RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 204 - Testo della Trasmissione di mercoledì 23 luglio 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Signore della storia e del creato protegge gli umili e frena l’orgoglio dei potenti. Così il Papa all’udienza generale da Castel Gandolfo, dedicata al Salmo 146.

 

I rapporti tra la Chiesa e gli Stati del mondo degli ultimi: in un volume, raccolti i concordati e gli accordi bilaterali degli ultimi due secoli.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Le cause della mortalità infantile al centro dell’ultimo Rapporto dell’Unicef. Ne parliamo con Carol Bellamy, direttore generale dell’organismo Onu.

 

L’uccisione dei due figli di Saddam Hussein annunciata dagli Usa: intervista con Guido Olimpio.

 

I rischi della missione militare italiana in Afghanistan: ai nostri microfoni, il maggiore Simone Schiavoni.

 

Presentata ieri, nella sede generale della Rai, la 55.ma edizione del Prix Italia. Con noi, il segretario del premio, Carlo Sartori.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Grande partecipazione di fedeli ai funerali di padre Taddeo Gabrieli, il missionario ucciso in Brasile sabato scorso.

 

Due religiosi cattolici premiati in Nepal per il valido contributo prestato nel campo educativo.

 

Inaugurato in Cile un sito internet sulla spiritualità ignaziana.

 

Conclusa in Toscana l’Assemblea generale delle Missionarie comboniane.

 

Nello Zambia nuova edizione del “Tonga music festival”. Per valorizzare la cultura africana.

 

24 ORE NEL MONDO:

Nuovo messaggio di Saddam Hussein che incita alla resistenza il popolo iracheno.

 

In Medio Oriente, ancora un nulla di fatto sulla liberazione di 350 detenuti palestinesi.

 

Continuano senza sosta gli scontri armati in Liberia.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

23 luglio 2003

 

 

LA SOLLECITUDINE PATERNA DI DIO VERSO GLI UMILI E I POVERI

E LA SUA FERMEZZA CONTRO I POTENTI CHE DIRIGONO CON ARROGANZA I DESTINI DELL’UOMO.

COSI’ IL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE DA CASTEL GANDOLFO

 

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

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Dio, Signore della storia e del creato, “ignora l’orgoglio e l’arroganza del potere” e si oppone all’“imperversare dei prepotenti” che “sfidano il cielo con la loro superbia”. Sono alcune delle affermazioni forti pronunciate stamattina da Giovanni Paolo II all’udienza generale di Castel Gandolfo. Nell’analizzare la struttura del Salmo 146, oggetto della sua catechesi, il Papa ne ha messo in evidenza i “due movimenti poetici e spirituali” che lo caratterizzano, spiegandoli alle circa 2.500 persone radunatesi nel cortile del Palazzo apostolico.

 

La prima parte del Salmo mostra sia l’azione storica compiuta da Dio nei confronti del popolo ebreo, sia la sua paternità che lo mostra mentre si china a sanare i cuori spezzati e a circondare di tenerezza i poveri. Un volto premuroso ma sul quale si coglie la fermezza della giustizia quando, ha detto il Papa, “si erge come giudice severo nei confronti degli empi”. Il Signore della storia, ha scandito il Pontefice, “non è indifferente davanti all’imperversare dei prepotenti che credono di essere gli unici arbitri delle vicende umane: Dio abbassa nella polvere della terra coloro che sfidano il cielo con la loro superbia”.

 

Ma Dio è anche “re del creato”, ha proseguito Giovanni Paolo II, “e l’universo intero risponde all’appello del suo Creatore”. Una considerazione che introduce al secondo momento del Salmo. La natura e gli animali ricevono acqua e cibo dal Padre celeste, così come l’uomo che ottiene attenzione dall’alto se “giusto e umile”. E qui, ha commentato il Papa, ritorna l’immagine del Dio giusto che “ignora l’orgoglio e l’arroganza del potere, ma si schiera dalla parte di chi è fedele e spera nella sua grazia, cioè si abbandona alla guida di Dio nel suo agire e nel suo pensare, nel suo progettare e nel suo stesso vivere quotidiano”:

 

“Noi non siamo abbandonati a noi stessi o alle energie cosmiche, ma siamo sempre nelle mani del Signore per il suo progetto di salvezza”.

 

Al momento dei saluti, pronunciati in nove lingue, Giovanni Paolo II ha augurato a tutti di riprendere le forze durante le vacanze e a quanti non possono partire di trascorrere la pausa estiva “in serenità e gioia” circondati dalla famiglia e dagli amici. Il saluto del Pontefice ha anche raggiunto, tra gli altri, i Padri Scolopi riuniti in Capitolo generale:

 

“Carissimi, vi ringrazio per la testimonianza e il servizio che il vostro Ordine rende alla Chiesa e alla società. Affido i frutti dell’Assemblea capitolare all’intercessione di Maria Santissima  e di san Giuseppe Calasanzio, vostro fondatore”.

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DUE SECOLI DI STORIA DEI RAPPORTI CHIESA-STATO

IN UN “ENCHIRIDION DEI CONCORDATI” EDITO DAI DEHONIANI DI BOLOGNA,

CON LA PREFAZIONE DEL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO ANGELO SODANO

 

- A cura di Giovanni Peduto -

 

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Il volume, di 2.300 pagine per un costo di 85 euro, offre in ordine cronologico il testo originale - con versione italiana a fronte - di tutti gli accordi conclusi dalla Santa Sede con gli Stati negli ultimi due secoli, a partire da quello tra Pio VII e Napoleone Bonaparte. Le mutazioni interne ai vari Paesi consigliarono talora aggiornamenti o trattative che sfociarono in nuovi  concordati: un indice alfabetico per Nazione mostra l’evolversi dei rapporti tra la Santa Sede e un singolo Stato. Infine, l’indice tematico permette di comparare le soluzioni adottate bilateralmente su singoli argomenti di particolare interesse.

 

In passato, gli studiosi di diritto avevano a disposizione la grande collezione di Concordati, compilata ed edita dal sacerdote Angelo Mercati nel 1919 e pubblicata poi in una elegante edizione nel 1954. E’ la nota Raccolta di Concordati su materie ecclesiastiche tra la Santa Sede e le Autorità Civili, della Tipografia Poliglotta Vaticana, scritti nel millennio trascorso: nel primo volume figurano quelli del periodo dal 1098 al 1914 e nel secondo quelli del quarantennio che va dal 1915 al 1954. Accanto alla Raccolta del Mercati, videro la luce, in Italia e in altri Paesi, varie collezioni di documenti pattizi.

 

Ora, le Edizioni Dehoniane di Bologna hanno voluto preparare questo Enchiridion dei Concordati che abbraccia gli ultimi due secoli e il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato, si congratula nella prefazione con i promotori dell’iniziativa e si augura “che la nuova opera contribuisca a far conoscere sempre meglio l’impegno della Santa Sede nel promuovere vie nuove di collaborazione con le autorità civili, dando così a Cesare ciò che è di Cesare e chiedendo pure a Cesare di dare a Dio ciò che è di Dio”.

 

La nuova raccolta offre in particolare tutti i testi dei recenti Accordi, stipulati fra la Santa Sede e gli Stati dell’Europa centrale ed orientale, che dopo il 1990 sono rinati alla libertà. E’ stata una nuova pagina dell’impegno sempre vigile della Sede Apostolica, inteso ad accompagnare i responsabili delle nazioni nello stabilire norme, di volta in volta più attuali, di cooperazione tra Chiesa e Stato nei grandi campi della vita e dell’attività umana: la promozione della persona umana e della famiglia, la difesa della libertà della Chiesa, l’educazione della gioventù, l’assistenza religiosa a varie categorie di persone (malati, carcerati, soldati), le opere di assistenza e di carità.

 

Risale a tempi antichi la prassi della Santa Sede di stipulare convenzioni con gli Stati o altre società politiche. Molte volte queste convenzioni segnarono il superamento di periodi di non facile convivenza della Chiesa con i responsabili degli Stati e rappresentarono il riconoscimento, da parte di questi ultimi, degli spazi di libertà concessi alla Chiesa per l’adempimento della sua missione. Si è discusso molto in passato sulla natura e l’opportunità di queste convenzioni. Il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), senza pronunciarsi per questa o quella forma, ha ribadito il principio che la comunità politica e la Chiesa, indipendenti e autonome ciascuna nel proprio campo, tanto più svolgeranno il loro servizio a vantaggio di tutti quanto meglio coltiveranno una sana collaborazione tra loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo.

 

La Santa Sede intrattiene oggi relazioni diplomatiche con 174 Stati, e anche con l’Unione Europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM). Ha relazioni di natura speciale con la Federazione russa e con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e partecipa a differenti organizzazioni e organismi intergovernativi, sia internazionali sia regionali. Questi patti internazionali testimoniano il riconoscimento internazionale e sopranazionale del ruolo morale, culturale, sociale, oltre che religioso che la Chiesa cattolica svolge nel mondo e nei singoli ordinamenti civili. L’alto numero di concordati del Pontificato di Giovanni Paolo II dimostra come questo nostro tempo stia vivendo un’epoca feconda di relazioni fra la Chiesa cattolica e gli Stati.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

Apre il giornale, in riferimento alla catechesi dell’udienza generale, il titolo “La logica del Signore ignora l’orgoglio e l’arroganza del potere, ma si schiera dalla parte di chi è fedele”.

 

Nelle vaticane, un dettagliato articolo sull’attività missionaria della diocesi di Oria in Albania: “nel luogo consacrato dal sangue dei martiri e suggellato dalla fede dei giovani”.

 

Nelle pagine estere, riguardo all’Iraq, l’uccisione di due figli di Saddam Hussein durante un raid Usa a Mossul.

Liberia: di ora in ora più drammatica la condizione delle popolazioni; appello dei vescovi alla comunità internazionale.

Il commosso saluto dei fedeli brasiliani al missionario ucciso a Imperatriz.

 

Nella pagina culturale, un approfondito contributo di Marco Impagliazzo sugli Atti del Convegno dedicati ai cinquant’anni della “Rivista di storia della Chiesa d’Italia”.

 

Nella cronaca di Roma, in evidenza la notizia di un altro anziano trovato morto dopo giorni. Il titolo all’articolo è “Il dovere morale e civile di fare di più per chi è solo”.

 

Nelle pagine italiane, tra i temi in rilievo, la questione legata al conflitto d’interessi.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

23 luglio 2003

                                                                                                              

 

IL TASSO REALE DI MORTALITA’ INFANTILE IN ASIA

PIU’ ELEVATO DELLE CIFRE FORNITE DAGLI STATI.

LO RIVELA UN RAPPORTO DELL’UNICEF

- Intervista con Carol Bellamy -

 

I bambini muoiono in tutto il mondo e spesso nessuno conosce le vere dimensioni della tragedia che li ha resi vittime. Secondo un nuovo rapporto presentato a Roma dall’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, nei Paesi dell’Europa centrale e della Comunità degli Stati indipendenti i tassi di mortalità infantile sono molto superiori alle cifre rese note dai governi. Nonostante questo, secondo i dati ufficiali del 2001, nella regione presa in esame dall’Unicef sono morti 60 mila bambini entro il primo anno di età. Stefano Leszczynski ha intervistato Carol Bellamy, direttore generale dell’Unicef.

 

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R. – IN PART OF THIS REGION …

In un’ampia parte della regione, presa in esame dal rapporto dell’Unicef, soprattutto nel Caucaso e in Asia Centrale, il problema della mortalità infantile entro un anno di vita è molto grave, anche se non viene riportato correttamente nelle statistiche ufficiali. Quindi, la situazione che hanno evidenziato i nostri studi riguarda una forte sottovalutazione del problema. Nella realtà, i tassi di mortalità infantile, in questi Paesi, sono cinque volte maggiori che in quelli limitrofi e dodici volte più alti che nei Paesi occidentali. Questo significa che i bambini muoiono in un numero che è assolutamente inaccettabile.

 

D. – Quali sono state le reazioni nei Paesi che avete osservato?

 

R. – THERE ARE SEVERAL REASONS FOR THIS …

Ci sono diverse ragioni alla base di questi problemi. Innanzitutto, l’assenza di standard statistici comuni, cosa che impedisce di rendersi conto della reale portata di fenomeni come la mortalità infantile. Ad esempio, non esiste un criterio comune di definizione per i nati vivi ed i nati morti. Oggi, molti di questi Paesi hanno accettato di adottare gli standard ufficiali. In secondo luogo, molti Paesi hanno compreso le ragioni del deterioramento dei loro standard sanitari di maternità e di cura dell’infanzia e tutti hanno accettato di migliorarli. Il nocciolo della questione è nel divenire consapevoli di quelle che sono le condizioni reali del proprio Paese, perché se non ci si rende conto che esiste un problema, non si ha alcun motivo di trovare una soluzione. Noi speriamo che questo rapporto aiuti ad acquistare coscienza del problema dell’altissima mortalità infantile in questi Paesi.

 

D. – In concreto, cosa si può fare nel breve termine per aiutarli a migliorare la propria situazione?

 

R. – NUMBER ONE: GOING BACK TO INFORMATION …

Anzitutto, avere coscienza che il problema della mortalità infantile è molto più grande di quanto si pensasse. Ciò dovrebbe servire a sensibilizzare per primi gli operatori sanitari. Secondo, comprendere che gli investimenti devono essere diretti soprattutto nei settori della maternità e della cura dell’infanzia. Queste non sono cose che richiedano alta tecnologia, ma l’applicazione di semplici regole sanitarie e un bassissimo costo di formazione.

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L’UCCISIONE DEI FIGLI DI SADDAM HUSSEIN,

UN DURO COLPO PER LA GUERRIGLIA CHE SI OPPONE ALLE TRUPPE USA IN IRAQ

- Intervista con Guido Olimpio -

 

Uday ed Qusay, i due figli di Saddam Hussein uccisi ieri dalle truppe statunitensi a Mossul, dove si erano rifugiati, erano utilizzati dal rais iracheno come i guardiani del decaduto regime. Per le forze americane, erano rispettivamente “l’asso di cuori” e “l’asso di fiori” del mazzo di carte con i volti dei 55 gerarchi iracheni super ricercati. Ma per la guerriglia che i fedelissimi di Saddam Hussein stanno riorganizzando contro le truppe statunitensi, cosa rappresenta l’uccisione di Uday e Qusay? Roberto Piermarini lo ha chiesto all’esperto nella regione del Corriere della Sera, Guido Olimpio:

 

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R. – Certamente può essere un colpo al morale di chi si sta battendo contro gli americani. In secondo luogo, è un colpo anche al prestigio ormai ridotto di Saddam Hussein, anche perché i due figli hanno rappresentato una buona parte del regime e l’aspetto peggiore del regime di Saddam Hussein. Sono stati accusati di violenze, di nefandezze di ogni tipo. Qusay Hussein, in particolare, era l’uomo della sicurezza. Quindi, è possibile che avesse ancora dei rapporti con i suoi seguaci. Anche se alla fine sono morti come dei banditi, assediati in una casa, ciò fa pensare in realtà che la resistenza irachena sia più “scollata”, un po’ più episodica, che organizzata.

 

D. – Il fatto che siano stati uccisi proprio a Mossul, quindi in Iraq, non contraddice la versione americana che i gerarchi iracheni sarebbero in Siria e in Iran?

 

R. – Una notizia sulla presenza dei due figli e di altri dirigenti iracheni in Siria è venuta da una fonte non sospetta che era il segretario di Saddam Hussein il quale, una volta catturato, ha dichiarato che per un certo periodo i due si erano recati in Siria e poi erano tornati indietro. Secondo me, è possibile che alcuni gerarchi siano nascosti in Siria, ma dopo questa vicenda - l’uccisione dei due figli e, ad esempio, il ritorno della famiglia di Saddam – è evidente che non abbiano poi molti posti dove andare. Quindi, lentamente, quasi tutti rientrano in Iraq, pensando che forse, alla fine, possano trovare una sistemazione o una soluzione adatta a loro. Si era anche parlato di un possibile accordo tra loro e gli Stati Uniti: in definitiva, la cosa che sorprende di più è che il regime iracheno non si sia preparato una via di fuga, una via d’uscita più confortevole, visto che gli americani stavano arrivando.

 

D. – Il prossimo obiettivo ora è Saddam Hussein…

 

R. – Non c’è dubbio sia inevitabile che gli americani cerchino di catturare Saddam Hussein a tutti i costi perché, finché è vivo, la resistenza contro gli americani avrà maggiore forza. Ma ritengo che essa continuerà anche dopo la morte di Saddam Hussein. Questo perché la resistenza usa Saddam come pretesto, ma non mi risulta che questi gruppi si firmino “Figli di Saddam” o “Gruppo con Saddam”. In realtà, c’è uno scontento generale nei confronti della presenza americana, di quello che sta avvenendo nel cosiddetto dopoguerra, e quindi anche l’uccisione di Saddam non servirà a ridimensionare la situazione. Molto dipenderà da quello che faranno gli americani dopo, cioè se crescerà questo governo, se interverranno sulla vita civile e se veramente soddisferanno i bisogni della popolazione.

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ALTA TENSIONE IN AFGHANISTAN, DOPO L’ATTENTATO

CONTRO I PEACEKEEPER ITALIANI. LA DIFFICILE RICOSTRUZIONE

DI UN PAESE PROVATO DA ANNI DI CONFLITTI

- Con noi, il maggiore Simone Schiavoni -

 

Permane difficile la situazione in Afghanistan a tre giorni dall’attentato, che ha provocato quattro feriti tra i paracadutisti italiani impegnati nell’operazione Enduring Freedom. Un soldato olandese dell’Isaf, la Forza multinazionale di pace, è stato ferito  a Kabul da un ordigno esplosivo, mentre è sempre alta l’allerta per possibili nuovi attentati. Intanto, l’Ana, il nuovo esercito afgano addestrato dalle forze della coalizione, ha dato il via alla sua prima operazione nella provincia meridionale di Paktia. L’ Ana è stato costituito in base agli accordi inter-afgani di Bonn della fine del 2001, per permettere al legittimo governo di assicurare la sua autorità in tutte le province. Ma come stanno vivendo questo momento di particolare tensione i soldati italiani che operano in territorio afgano? Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Bagram, nel nord dell’Afghanistan, il maggiore Simone Schiavoni, portavoce del contingente di pace italiano:

 

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R. – Per noi, per la nostra missione, non è cambiato niente. Il livello di attenzione era già elevato prima e adesso continua a permanere a livelli tali da consentire di continuare ad operare nella piena sicurezza.

 

D. – Quali sono e difficoltà più insidiose che gli uomini della missione italiana stanno affrontando in Afghanistan?

 

R. – Il territorio è senz’altro particolare. La regione di nostra responsabilità, in cui si muove il nostro contingente, ha una catena montuosa e, pertanto, è difficile muoversi su questo terreno ed è difficile mantenerne il controllo.

 

D. - Qual è la risposta della popolazione afgana alla presenza dei peacekeeper italiani?

 

R. – Credo che, forse grazie alle nostre modalità di approccio, la popolazione ci sia nettamente favorevole, almeno segnali positivi vanno in questa direzione. Non dimentichiamo che due grandi depositi illegali di armi e munizioni sono stati ritrovati la settimana scorsa proprio su segnalazione della popolazione, che quindi collabora concretamente con i nostri ragazzi. I militari italiani si muovono, sono continuamente presenti nei villaggi anche per un’attività di cooperazione civile e umanitaria, e prestano assistenza medica dove necessario.

 

D. – Accanto al problema della sicurezza, quali sono le altre emergenze che potete riscontrare nel vostro lavoro quotidiano?

 

R. – La popolazione dell’Afghanistan ha un livello socio-economico abbastanza basso. Questa nazione ha avuto una guerra di quasi 25 anni. Ci sono degli equilibri particolari. Poi purtroppo, esistono le fasce più deboli - i bambini e gli anziani - che sono esposte alle malattie, a volte anche endemiche, come l’esmaniosi, portata dalle zanzare. Le condizioni igienico-sanitarie, inoltre, non sono buone.

 

D. – Negli ultimi mesi avete visto dei miglioramenti nella situazione della sicurezza  e delle altre emergenze, che la popolazione dell’Afghanistan deve affrontare?

 

R. – Molto è stato fatto ma è ancora lunga la strada da percorrere. Ci sono segnali di ripresa, ci sono segnali di apertura, ma sicuramente ancora molto resta da fare. Posso dire onestamente di aver visto diminuire quella iniziale diffidenza che un popolo fiero ed orgoglioso, come quello afgano, ha da sempre nei confronti degli stranieri.

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SI VOLGERA’ TRA CATANIA E SIRACUSA LA 55.MA EDIZIONE DEL PRIX ITALIA.

IERI LA PRESENTAZIONE DEL PREMIO, CON CENTINAIA DI PROGRAMMI INTERNAZIONALI IN CONCORSO TRA RADIO, TV E WEB

- Servizio di Dorotea Gambardella -

 

Premiare programmi radio, tv e web di elevata qualità: è questo da sempre il fine del “Prix Italia”. La 55.esima edizione del più antico concorso internazionale del settore mediatico, istituito dalla Rai, si svolgerà tra Catania e Siracusa dal 13 al 20 settembre. Gli eventi che caratterizzeranno la manifestazione di quest’anno sono stati illustrati ieri nel corso della conferenza stampa svoltasi nella sede Rai di viale Mazzini. Erano presenti, tra gli altri, il direttore generale dell’azienda, Flavio Cattaneo, il presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro e il segretario del “Prix Italia”, Carlo Sartori. Il servizio è di Dorotea Gambardella.

 

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Duecentoventiquattro programmi in concorso nelle sezioni Radio, Televisione e Web, provenienti da oltre 40 Paesi del mondo. Sono i numeri a parlare per il Prix Italia, la manifestazione istituita dalla Rai a Capri nel 1948, che da 55 anni premia solo programmi di elevata qualità. Ma cosa significa Televisione di qualità? Lo abbiamo chiesto a Carlo Sartori, segretario generale del Prix:

 

R. – La qualità non è una formula matematica. La qualità è una tensione, è un qualcosa che si cerca sempre di raggiungere nella produzione. Però ci vogliono tutta una serie di elementi che fanno la qualità. Il concetto, dunque, è che non esiste solo la qualità dei contenuti, esiste anche la qualità dell’assemblaggio dei contenuti, per esempio dei palinsesti. Esiste la qualità dell’organizzazione che produce programmi di qualità o non di qualità. Ci sono tutta una serie di gradini, rispettando i quali si ha poi un prodotto di qualità.

 

D. – Don Giuseppe Costa, sulle pagine dell’Osservatore Romano diceva che la televisione deve sfuggire all’influenza politica e deve investire sulla sperimentazione. Che ne pensa?

 

R. – La qualità è anche certamente indipendenza ed è anche sperimentazione, non c’è dubbio. Anzi, la sperimentazione è il motore continuo che rimette in gioco la sedimentazione che tendenzialmente si riscontra dei programmi televisivi: la televisione, in sostanza, è talmente onnivora che tende poi a ripetere se stessa, sempre. Ecco, quindi, che l’innovazione deve servire ogni volta a riaccendere il motore della creatività e quindi della qualità.

 

Tante le novità della 55.ma edizione, la cui giornata iniziale, il 13 settembre, coincide con il Consiglio informale dei ministri europei della cultura e dell’audiovisivo, che parteciperanno anche alla cerimonia inaugurale. Quindi, ci sarà la riunione dei vertici delle televisioni europee del Mediterraneo, al fine di costruire uno spazio comune di comunicazione che non penalizzi, però, le peculiarità dio ciascuna etnia. Ed ancora, nell’Anno della disabilità, è prevista una giornata intera dedicata alle persone diversamente abili, in cui verrà presentato anche il cartone animato “Storie di Anna”che ha per protagonista una bambina con disabilità  motorie. Sentiamo ancora il prof. Sartori:

 

R. – Tra i compiti del servizio pubblico c’è certamente quello di occuparsi della fasce più deboli, marginali e marginalizzate della società. Quindi il Diversity Day è stato per noi l’occasione di mettere assieme ancora una volta tutto un ambito internazionale che dibatterà di questi problemi. E insieme verificheremo cosa si stia facendo in Europa, e non solo in Italia, a proposito di questo problema.

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CHIESA E SOCIETA’

23 luglio 2003

 

 

GRANDE FOLLA DI FEDELI AI FUNERALI DI PADRE TADDEO GABRIELI,

 IL MISSIONARIO BERGAMASCO UCCISO IN BRASILE SABATO SCORSO.

“TRASMETTEVA IL MESSAGGIO DI FRATERNITÁ E GIUSTIZIA DEL VANGELO”,

 COSI’, IL PROVINCIALE CAPPUCCINO DELLA LOMBARDIA

 

IMPERATRIZ. = “Era un religioso appassionato dell’uomo, attento agli ultimi e ai bisognosi, capace di trasmettere, nel servizio che svolgeva, il messaggio di fraternità e giustizia del Vangelo”: così padre Eugenio Bollani, ministro provinciale cappuccino della Lombardia, ricorda all’agenzia Fides padre Taddeo Gabrieli, missionario bergamasco di 73 anni, ucciso sabato 19 luglio nella cittadina di Imperatriz, nello stato di Maranhao, nel Nord est del Brasile. I funerali del religioso sono stati celebrati lunedì pomeriggio nel convento dove padre Taddeo risiedeva, dal ministro provinciale del Brasile, padre Daurival Miranda, alla presenza di una grande folla di fedeli radunatisi per rendere omaggio e pregare per padre Taddeo. Il frate era molto conosciuto e amato nella zona, per il suo impegno nel servizio ai poveri. Giunto in Brasile nel 1962, dopo sei anni di missione in Eritrea, aveva sempre lavorato per i contadini del luogo, iniziando e incoraggiando progetti di sviluppo e cooperative. Per il suo carattere semplice e la sua dedizione al lavoro, veniva chiamato “il frate con la tuta”, indumento che indossava sempre e per il quale era ormai riconoscibile. I confratelli in Brasile sono rimasti molto scossi da questa morte violenta. Secondo la ricostruzione dell’omicidio, intorno alle 21.30 del 19 luglio, ora locale, padre Taddeo stava tornando in convento in automobile dopo aver celebrato l’Eucaristia in una zona periferica della città. Nei pressi del convento avrebbe incrociato un uomo in bicicletta, visibilmente ubriaco, che sarebbe caduto davanti alla sua auto. Il religioso si sarebbe fermato per aiutarlo ma l’uomo, per motivi ancora poco chiari, gli si è avventato contro e gli ha inferto due coltellate. Padre Taddeo ha percorso ancora cento metri dirigendosi verso il convento, ma è morto dissanguato. La Provincia cappuccina di Maranhao è nata come missione dei frati della Lombardia. Oggi, dopo la sua erezione a circoscrizione indipendente, vi operano ancora come missionari 30 frati cappuccini lombardi. (M.D.)

 

 

RELIGIOSI CATTOLICI PREMIATI IN NEPAL PER IL SERVIZIO OFFERTO AL PAESE NEL CAMPO DELL’ EDUCAZIONE.

SONO PADRE EUGENE WATRIN E SUOR MARGARET MARY,

CHE HANNO RICEVUTO IL PREMIO DALLE MANI DEL RE GYANENDRA

 

KATMANDU. = La comunità cattolica nepalese festeggia un importante riconoscimento: due missionari, il gesuita padre Eugene L. Watrin e Suor Margaret Mary hanno ricevuto il premio “Gorkha Dakshin Bahu”, uno dei più alti riconoscimenti civili del Paese, conferito dal re Gyanendra in persona in occasione del suo 57.mo compleanno. La motivazione del premio per i due missionari è il contributo da loro offerto alla crescita civile e morale del Paese nel settore dell’educazione. Padre Watrin, cittadino americano, lavora in Nepal da metà degli anni ‘50 e ha da poco compiuto il 60.mo anno di appartenenza alla Compagnia di Gesù. E’ impegnato nell’insegnamento all’istituto “St. Francis Xavier” e in diversi progetti sociali nei quali ha coinvolto numerosi ex studenti della scuola. Suor Margaret è nata in India e risiede in Nepal da alcun anni, dove è stata preside della “St. Mary School” a Gorkha ed ora guida un istituto di Katmandu, frequentato da oltre 2 mila alunni dalle classi elementari fino alle superiori. In passato altri due religiosi avevano ricevuto il premio: i gesuiti padre Casper Miller e padre Lawrence Maniyar, ex preside dell’Istituto “St. Francis Xavier” a Kathmandu. Il riconoscimento è significativo per la Chiesa cattolica, che gestisce 23 scuole in Nepal frequentate anche da alunni non cristiani, oltre a provvedere all’istruzione di oltre 35 mila rifugiati del Bhutan, stanziati nei campi profughi della zona orientale del Paese e assistiti sin dal 1993 grazie all’impegno del Jesuit Refugees Service. Negli ultimi anni, però, non sono mancati anche i problemi, dovuti particolarmente alle attività della guerriglia maoista. Tre scuole cattoliche in distretti di montagna, sottoposte a minacce, hanno dovuto chiudere per due anni. Dopo l’insistenza dei genitori e le richiese degli studenti, gli istituti hanno riaperto, sebbene la situazione non sia ancora del tutto pacificata. Dopo l’inizio dei negoziati nel febbraio 2003, le trattative tra governo e ribelli sono attualmente in una fase di stallo. “Attualmente siamo abbastanza preoccupati per il nostro personale, che lavora nelle scuole e in istituti assistenziali senza alcuna protezione: la situazione potrebbe degenerare con una ripresa delle ostilità”, spiega all’agenzia Fides padre Pius Perumana, pro-prefetto apostolico in Nepal. Attualmente nel Paese vivono circa 6 mila cattolici. La missione del Nepal è stata istituita nel 1983, ed è stata affidata ai gesuiti. Nel 1996 è stata elevata a prefettura apostolica. (M.D.)

 

 

INAUGURATO IN CILE UN SITO INTERNET SULLA SPIRITUALITÁ IGNAZIANA.

ALL’INTERNO LETTURE, DOCUMENTI E PREGHIERE, MA ANCHE COLLEGAMENTI

AD ATTIVITÁ SOCIALI E UMANITARIE PROMOSSE DAI GESUITI

 

SANTIAGO DEL CILE. = Un sito internet dedicato a giovani e adulti di luoghi diversi, che svolgono attività e hanno esperienze differenti, ma che si sentono attirati o si riconoscono nella spiritualità ignaziana. Questo lo scopo del portale, inaugurato in questi giorni, www.laicosignacianos.cl, dedicato ai laici ignaziani del Cile. Sarà l’occasione per dare vita ad un punto di incontro virtuale finalizzato a promuovere la crescita spirituale e personale attraverso le diverse opportunità di formazione e le attività apostoliche offerte dalle opere gesuitiche, per creare così una rete di persone legate alla spiritualità del santo fondatore della Compagnia di Gesù. L'idea e la gestione del sito è affidata ad un comitato direttivo di cui fanno parte docenti universitari delle università della Compagnia, i responsabili delle associazioni umanitarie gestite dalla congregazione, il direttore della rivista “Mensaje” Antonio Delfau. Nel sito si trovano le letture liturgiche del giorno, gli orari delle messe celebrate dai gesuiti, documenti, riflessioni, preghiere. Sono presenti anche un elenco di attività o di istituzioni a cui partecipa la Compagnia di Gesù, nonché vari links ad altre attività sociali ed umanitarie. (M.D.)

 

 

CONCLUSA A LUCCA L’ASSEMBLEA GENERALE DELLE MISSIONARIE COMBONIANE.

 RIBADITO L’IMPEGNO A RILEGGERE LA PROPRIA VOCAZIONE GUARDANDO

 AL FONDATORE DANIELE COMBONI

 

CARRAIA. = L’Istituto secolare delle missionarie comboniane ha appena concluso, nella sede centrale di Carraia (Lucca), la settima assemblea generale. L’appuntamento, che si realizza ogni sei anni per rivedere e programmare la vita dell’Istituto e il proprio servizio missionario, è servito anche per rinnovarne il consiglio centrale. Per questo motivo sono intervenute le delegazioni dell’Istituto provenienti da Italia, Portogallo, Spagna, Egitto, Colombia, Ecuador e Costarica, Paesi nei quali operano le missionarie. L’Istituto, sorto sul solco della spiritualità del beato Daniele Comboni, ha visto come provvidenziale la coincidenza, in questo stesso anno 2003, fra la celebrazione della settima assemblea generale e l’evento della canonizzazione del beato Comboni, previsto per il prossimo 5 ottobre. Proprio con questo spirito l’assemblea si è aperta con una visita-pellegrinaggio a Limone sul Garda, luogo natale di Daniele Comboni. Tra le priorità indicate per i prossimi sei anni è emersa la necessità di rileggere il senso della vocazione secolare missionaria per una maggiore incisività negli ambiti sociali di attività. (M.D.)

 

 

MUSICA E CULTURA AFRICANA. A CHIKUNI, NELLA ZAMBIA, TORNA IL “TONGA MUSIC

FESTIVAL”. LA TRADIZIONE COME PUNTO DI RIFERIMENTO PER I GIOVANI

 

CHIKUNI. = La musica è sempre stata un elemento imprescindibile per la cultura africana. Proprio per valorizzare questo patrimonio verrà riproposto a Chikuni, nel sud della Zambia, il ‘Tonga music festival’, la manifestazione che nelle sue quattro edizioni ha cercato di promuovere la cultura dell’etnia Ba Tonga, originaria di quella regione. Il festival, previsto per il 29 e 30 agosto, è nato nel 2000 attraverso l’iniziativa dell’emittente cattolica Radio Chikuni, le cui prime trasmissioni presero il via in quello stesso anno. Il tema che accompagnerà le esibizioni dei gruppi musicali di questa quarta edizione sarà “Condividere attraverso la musica”, una definizione che rimanda all’esigenza di salvaguardare una cultura come importante punto di riferimento per i più giovani. Nell’impegno degli organizzatori c’è la convinzione che un patrimonio culturale rimanga l’elemento di forza di qualsiasi società solo se preservato da una collettiva perdita di memoria storica. Con questo spirito anche quest’anno migliaia di persone e decine di musicisti si daranno nuovamente appuntamento a Chikuni. (M.D.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

23 luglio 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

I corpi di Uday e di Qusay, i figli di Saddam Hussein uccisi ieri nel corso di un’operazione militare statunitense a Mossul, nel Nord dell’Iraq, sono stati trasferiti all’aeroporto internazionale di Baghdad. Il segretario di Saddam Hussein, Mahmud al-Tikriti, avrebbe riconosciuto, secondo la radio pubblica nazionale americana, i cadaveri dei figli dell’ex rais. Sulla loro identità, anche il comandante delle forze di coalizione schierate nel Paese, il generale Ricardo Sanchez, non ha dubbi: “Le condizioni dei corpi ne permettono l'identificazione - ha dichiarato ieri sera - e fonti multiple ci confermano che sono proprio loro”. Il presidente americano, George Bush, ed il primo ministro britannico, Tony Blair, non hanno nascosto la loro soddisfazione per la morte di Uday e Qusay. “L’uccisione dei due figli di Saddam - ha dichiarato Tony Blair - segna un grande giorno per il nuovo Iraq”. Secondo Ahmed Chalabi, uno dei leader del Consiglio provvisorio iracheno, l’uscita di scena di due tra i massimi rappresentanti dell’ex regime iracheno, “ridurrà la pressione sulle forze americane presenti nel Golfo Perisco”. Ma nel Paese arabo, invece, non sembra interrompersi la lunga, drammatica sequela di violenze. Due sanguinosi attacchi antiamericani compiuti oggi, presso le città di Mossul e Ramadi, hanno causato la morte di due soldati statunitensi ed il ferimento di altri otto. Episodi, questi, che sembrerebbero purtroppo seguire l’esortazione di un nuovo messaggio audio trasmesso oggi dalla rete televisiva araba Al Arabiya, nel quale Saddam Hussein ha chiesto alla guardia presidenziale irachena “di intensificare gli attacchi contro le forze di occupazione”. Il servizio di Elena Molinari:

 

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I figli di Saddam Hussein, temuti in tutto il Paese per la loro ferocia, sono stati sorpresi nella villa di un uomo d’affari, presa d’assalto ieri all’alba. La soffiata era arrivata il giorno prima da una fonte irachena che si è così aggiudicata i 30 milioni di dollari di taglia sui due. I combattimenti sono durati sei ore e alla fine sono rimasti sul luogo quattro corpi carbonizzati ma non irriconoscibili. Importante anche il fatto che fra i cadaveri ci fosse quello di un ragazzino, il figlio 14.enne da cui Qusai non si separava mai. La quarta vittima era invece una guardia del corpo. Washington spera che l’uccisione dei due spezzi la resistenza dei fedelissimi del regime che sta costando vite americane ogni giorno.

 

Da New York, Elena Molinari, per la Radio Vaticana. 

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Si è svolta ieri, al Palazzo di vetro, la prima riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla situazione in Iraq. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha evidenziato l’esigenza di un piano di ripristino della sovranità irachena attraverso l’insediamento di un governo democratico.

 

Il primo ministro britannico, Tony Blair, sul cui governo si è abbattuta una bufera in seguito alla morte dello scienziato David Kelly, ha anticipato la propria partenza da Hong Kong, ultima tappa del suo viaggio in Asia. L’imminente arrivo del tifone “Imbudo” ha infatti costretto il premier inglese a partire un giorno prima dalla penisola cinese.

 

La questione della liberazione dei prigionieri palestinesi sembra attraversare una fase di stasi nel processo di pace in Medio Oriente. Dopo le divergenze politiche tra i due premier, Sharon ed Abu Mazen, oggi la radio israeliana ha rivelato che lo Stato ebraico rilascerà 350 detenuti palestinesi, ma tra questi non ci sarà nessun militante della Jihad islamica o di Hamas. La commissione interministeriale, che si è riunita questa mattina, ha autorizzato infatti la liberazione solo dei detenuti inseriti nella lista fornita dallo Shin Beth, il servizio segreto interno israeliano. Ce ne parla Graziano Motta:

 

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Esiguo il numero di coloro che Israele è disposto a scarcerare, mentre le organizzazioni della rivolta hanno proclamato la tregua a condizione che vengano liberati tutti. Così, la questione sarà affrontata nelle riunioni che la Casa Bianca e il presidente Bush avrà venerdì con Abu Mazen, e martedì della settimana ventura con Ariel Sharon. Abu Mazen, che incontra oggi ad Amman re Abdallah di Giordania, arriverà nella notte a Washington e domani sarà ascoltato dalla commissione esteri del Congresso. Nella capitale americana si trova già il ministro degli Esteri israeliano, Shalom, che oggi sarà ricevuto dal vice presidente Cheney, dal segretario di Stato Powell e dalla consigliera per la sicurezza, Condoleeza Rice. Sul terreno, intanto proseguono ancora le violenze. Ieri, presso Taibe, i militari israeliani hanno ucciso un palestinese e ne hanno ferito un altro - erronea la segnalazione che fossero terroristi - ed è scomparso un soldato israeliano che rientrava a Nazareth per una breve licenza: potrebbe essere stato rapito.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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“Entro il fine settimana la crisi sarà risolta”. Così si è espresso ieri il leader della Giunta militare di salvezza nazionale, Fernando Pereira, che mercoledì scorso ha preso il potere nell’arcipelago di São Tomé e Principe. La mediazione internazionale è portata avanti, in modo coordinato, dalla Comunità dei Paesi di lingua portoghese e la Comunità economica degli Stati dell’Africa Centrale, con l’appoggio di Onu, Stati Uniti e Portogallo.

Sarebbero più di 600 le persone morte, secondo il governo di Monrovia, nei combattimenti che da cinque giorni stanno purtroppo martoriando la capitale. Nessun progresso sembra provenire dal fronte diplomatico: i ribelli hanno infatti respinto il piano di pace della Comunità degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas). Sono stati intanto bloccati, in Svizzera, circa 1,3 milioni di euro su conti appartenenti a due persone vicine al presidente liberiano, Charles Taylor. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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I guerriglieri del Lurd, i Liberiani Uniti per la riconciliazione e la democrazia, stringono ormai d’assedio il presidente Charles Taylor, asserragliato nei palazzi del potere con le truppe lealiste. Ieri sera, avrebbero dichiarato un cessate il fuoco, ma l’ipotesi di una soluzione pacifica senza una forza d’interposizione è a dir poco impensabile. In un appello congiunto, l’arcivescovo di Monrovia, mons. Michael Francis, e i vescovi di Makeni e di Kenema, George Biguzzi e Patrick Daniel Koroma, hanno sollecitato ieri gli Stati Uniti e la comunità internazionale perché s’impegnino a riportare al più presto la pace in Liberia. E mentre si moltiplicano gli appelli delle organizzazioni umanitarie, l’allestimento di una forza di peacekeeping è ancora di là da venire.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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La giornalista iraniano-canadese, Zahara Kazemi, della quale il Canada chiedeva le spoglie, è stata sepolta oggi a Shiraz, in Iran, a due settimane dalla sua controversa morte, avvenuta a Teheran. Era stata arrestata e sottoposta ad brutale interrogatorio con l’accusa di aver scattato fotografie davanti alla prigione della capitale.

 

La giunta militare al potere in Birmania ha liberato oggi 91 prigionieri politici, arrestati a seguito degli scontri tra i sostenitori della leader della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), Aung San Suu Kyi, e i militanti filogovernativi.

 

Per timore di un attentato, il primo ministro delle Isole Salomone, Allan Kemakeza, ha lasciato la capitale insieme alla sua famiglia per raggiungere una destinazione segreta. Il premier farà ritorno ad Honiara domani per accogliere il primo scaglione della forza multinazionale che dovrà riportare l'ordine sull'isola lacerata da quattro anni di guerra civile.

 

Circa 40 immigrati di nazionalità africana, tra cui due donne ed un bambino, sono stati trasbordati poco fa dal gommone sul quale si trovavano, al largo di Lampedusa, sulla motovedetta della Guardia costiera italiana che li ha soccorsi.

 

 

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