RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVIII n. 48 - Testo della
Trasmissione di martedì 17 febbraio
2004
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Oggi al
via la visita del cardinale Kasper a Mosca.
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Significativi segnali di pace tra India e Pakistan
Un altro soldato americano morto in Iraq
Fa discutere i Quindici dell’UE l’incontro
tra Francia, Germania e Gran Bretagna domani a Berlino.
17 febbraio 2004
LA
VOCE DELLE DISCIPLINE UMANISTICHE E SCIENTIFICHE DIFFUSA
DALLE
UNIVERSITA’ RISUONI PIU’ FORTE DEL LAICISMO
CHE
STORDISCE IL MONDO DI OGGI E RENDA TESTIMONIANZA AL SAPERE NATO
SUL
“FERTILE TERRENO DEL CRISTIANESIMO”.
COSI’
IL PAPA, CHE HA RICEVUTO UNA LAUREA HONORIS CAUSA DA UN ATENEO POLACCO
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
*********
Le università hanno la possibilità di parlare “ad alta
voce, e con un linguaggio universale, delle radici cristiane dell’Europa. Una
voce che se anche “può essere non accolta da coloro che vengono storditi
dall’ideologia del laicismo del nostro continente”, non “dispensa gli uomini di
scienza, fedeli alla verità storica, dal compito di rendere testimonianza
mediante un solido approfondimento dei segreti della scienza e della sapienza,
cresciute sul fertile terreno del cristianesimo”. Con queste parole, Giovanni
Paolo II ha accolto questa mattina una delegazione dell’Università polacca di
Opole - città di circa 120 mila abitanti - giunta in Vaticano per consegnare al
Papa, in segno di gratitudine, una laurea honoris causa. Nello spiegare
i motivi del conferimento del titolo, il prof Józef Musielok, rettore
dell’Università, ha ricordato che, dieci anni fa, “l’apporto e la benevolenza”
del Papa resero possibile una fusione tra l’Istituto Teologico pastorale
diocesano di Opole, allora affiliato all’Università di Lublino, e la locale
Scuola superiore di Pedagogia. L’unificazione diede vita all’attuale Facoltà
Teologica, che divenne così la prima di questo tipo a far parte di una
università statale, a mezzo secolo dalla soppressione delle Facoltà teologiche
di Cracovia e Varsavia volute dal regime dell’epoca.
Il Pontefice, da sempre sensibile all’importanza
dell’approfondimento e della condivisione dei patrimoni della cultura
universale, è ritornato sul ruolo fondamentale esercitato dagli atenei
nell’ambito “dell’integrazione della società”: obiettivo quest’ultimo – è stato
l’inciso dell’arcivescovo di Opole, Alfons Nossol – che dalla fondazione
dell’ateneo “sta cominciano a portare frutto”. L’integrazione, ha asserito il
Papa, non va intesa nel senso “dell’annullamento delle differenze,
dell’unificazione del modo di pensare, della dimenticanza della storia”, ma
come “perseverante ricerca di quei valori che sono comuni a tutti gli uomini”.
Un concetto che il Papa ha poi ampliato, soffermandosi ancora una volta
sull’eredità lasciata dal Vangelo nel Vecchio continente:
“DZIŚ WIELE MÓWI SIĘ O
CHRZEŚCIJAŃSKICH….
Oggi si parla tanto delle radici
cristiane dell’Europa. Se segno di esse sono le cattedrali, le opere d’arte, di
musica e di letteratura, esse in un certo senso parlano in silenzio. Le
Università, invece, possono parlarne ad alta voce. Possono parlare con il
linguaggio contemporaneo, comprensibile a tutti”.
In questo senso, ha osservato Giovanni Paolo II,
“l’Università, creando le possibilità per lo sviluppo delle scienze
umanistiche, può essere di aiuto in una purificazione della memoria che non
dimentichi i torti e le colpe, ma permetta di perdonare e di chiedere perdono”,
aprendo il cuore ai valori della verità, del bene e della bellezza,
condivisibili da credenti e laici.
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GIOVANNI
PAOLO II PRESIEDERÀ NELLA BASILICA DI SAN PIETRO
IL 25
FEBBRAIO LA CELEBRAZIONE PER IL MERCOLEDÌ DELLE CENERI,
CHE DÀ
INIZIO ALLA QUARESIMA
Giovanni Paolo II presiederà nella Basilica di San Pietro
il 25 febbraio la celebrazione per il Mercoledì delle Ceneri, che dà inizio
alla Quaresima. Durante la celebrazione che avrà inizio alle 10,30 saranno
benedette e imposte le ceneri. Domenica 29 febbraio inizieranno invece gli
esercizi spirituali per la Curia Romana alla presenza del Papa. Quest’anno gli
esercizi saranno predicati da mons. Bruno Forte, della Facoltà teologica
dell’Italia Meridionale di Napoli.
INIZIA
OGGI A MOSCA LA VISITA DEL CARDINALE WALTER KASPER, PRESIDENTE
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI
CRISTIANI.
INTANTO, IN UNA NOTA, IL PATRIARCATO DI MOSCA CRITICA
L’IPOTESI DELL’ISTITUZIONE DI UN PATRIARCATO GRECO CATTOLICO UCRAINO
Prende il via oggi a Mosca la visita del cardinale Walter
Kasper, presidente del
Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Il porporato è
stato invitato dalla Conferenza dei presuli cattolici della Federazione russa
e, secondo programma, dovrebbe incontrare in questi giorni il Metropolita di Smolensk
e Kaliningrad, Kirill, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche
estere del Patriarcato di Mosca.
Intanto, fonti
di agenzia riferiscono che il Patriarcato di Mosca ha duramente criticato - con
una nota - l’eventuale istituzione in Ucraina occidentale di un Patriarcato per
la comunità locale greco-cattolica.
Attualmente, si calcola che siano circa un milione e 300
mila i cattolici presenti in territorio russo, circa l’un per cento della
popolazione. Nel febbraio del 2002, Giovanni Paolo II ha elevato a diocesi le
quattro amministrazioni apostoliche della Chiesa cattolica già esistenti nella
Federazione Russa ed ha creato, allo stesso tempo, una regolare
Provincia ecclesiastica.
ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Nel corso della mattinata, Giovanni Paolo II ha ricevuto
in successive udienze mons. Gerard Daucourt, vescovo della diocesi francese di
Nanterre, in visita ad Limina e il signor Fuad Aoun, ambasciatore del
Libano in visita di congedo.
Nelle Bahamas, il Pontefice ha nominato arcivescovo metropolita di Nassau, mons. Patrick Pinder, finora vescovo di Case
Calane e ausiliare della medesima arcidiocesi.
In Giamaica, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale
dell’arcidiocesi di Kingston, presentata da mons. Edgerton Roland Clarke, per sopraggiunti
limiti d’età. Il Papa ha nominato
suo successore mons. Lawrence Burke, trasferendolo dal governo pastorale
dell’arcidiocesi di Nassau.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo "Le
Cattedrali testimoni silenziose delle radici cristiane dell'Europa. Le
Università ne parlino ad alta voce", in riferimento al discorso del Papa
ad una Delegazione dell'Università polacca di Opole, in occasione del
conferimento della Laurea "honoris causa".
Nelle vaticane, un articolo di Laureato
Maio in ricordo di Giorgio La Pira, nel centenario della nascita: "Quel
Rosario recitato con tanto fervore".
Una pagina dal titolo "18 febbraio: memoria
liturgica del beato Giovanni da Fiesole (Beato Angelico)"
Nelle estere, un articolo dal titolo
"Rilanciare l'impegno mondiale in favore della pace in Africa":
ancora insufficiente il sostegno alle iniziative per fermare i conflitti.
Haiti: i Vescovi chiedono ai governanti
"la decisione salutare che si impone" nell'interesse della
popolazione; anche la Francia studia l'invio di una "task force".
Nella pagina culturale, un articolo di Gian Filippo
Belardo dal titolo "L'altro Personè": da vent'anni, fino alla
settimana scorsa, ogni mercoledì, le due colonne di apertura della terza pagina
erano riservate agli elzeviri del compianto Luigi Maria Personè. Oggi questo
spazio rimane vuoto. Non per un "buco" o per un disguido tecnico, ma
come omaggio ad un illustre collaboratore che aveva eletto "L'Osservatore Romano"
a sua seconda dimora.
Nell' "Osservatore libri" un approfondito
contributo di Luigi Martellini sul libro di Heidemarie Poehlmann dal titolo
"Leopardi e gli scrittori tedeschi del suo tempo".
Nelle pagine italiane, il tema dei prezzi:
criticate le misure contro il carovita; il ministro Tremonti: "I rincari
colpa dell'euro".
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17 febbraio 2004
APPELLO DEI VESCOVI HAITIANI A FERMARE IL BAGNO DI SANGUE
IN
ATTO NELL’ISOLA CARAIBICA
-
Intervista con il vescovo Pierre Dumas -
La crisi politica ad Haiti si
aggrava di ora in ora. Le milizie armate sollevatesi dieci giorni fa contro il
governo del presidente Jean-Bertrand Aristide hanno attaccato la città di
Hinche, nei pressi del confine con la Repubblica Dominicana. Negli scontri tra
gli insorti e la polizia sono rimaste uccise almeno tre persone. I vescovi haitiani hanno lanciato un appello
a tutte le parti perché si ponga fine alle violenze. Il servizio di Sergio
Centofanti.
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“La sofferenza della popolazione è
ormai intollerabile”, dicono i vescovi haitiani che chiedono di cessare subito
ogni forma di violenza. Il bilancio dei 10 giorni di
scontri è di oltre 50 morti. I rivoltosi accusano il presidente di corruzione,
brogli elettorali e violazioni dei diritti umani. Ma l’opposizione democratica
ad Aristide contesta l’uso delle armi per rovesciare il governo. La Francia - ha detto oggi il ministro degli esteri
francese Dominique de Villepin - sta considerando l'ipotesi di un invio ad
Haiti di una forza internazionale di pace. La situazione umanitaria è
gravissima: nel nord del Paese cominciano a mancare i generi alimentari e si temono
epidemie.
Gli Stati Uniti hanno approntato
un piano di emergenza nel timore di un esodo di massa di profughi e sono pronti
ad accogliere 50 mila haitiani nella base di Guantanamo, nell'estremità orientale
dell'isola di Cuba. Nel 1994 furono le
truppe statunitensi a intervenire militarmente ad Haiti, su mandato dell’ONU,
per riportare al potere il presidente Aristide deposto da un golpe.
L’instabilità qui è cronica: in due secoli di indipendenza sono stati
organizzati oltre 30 colpi di Stato. Haiti è uno dei Paesi più poveri del
mondo: la disoccupazione supera il 55% degli 8 milioni di haitiani; gli
analfabeti toccano quota 50% e solo il 46% della popolazione ha accesso
all’acqua potabile.
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Ma sull’attuale situazione ad Haiti ascoltiamo mons.
Pierre Dumas, vescovo ausiliare di Port-au-Prince, intervistato da Lucas Duran:
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R. – Siamo sull’orlo di una guerra civile e l’anarchia
regna sull’isola. C’è molto caos. Stiamo cercando ora di vedere come evitare
una catastrofe umanitaria, chiamando tutti a prendere delle decisioni capaci di
portare la pace ed evitare così un bagno di sangue nel Paese.
D. – Come giudica la Chiesa l’azione dei ribelli nel nord
del Paese?
R. – E’ necessario togliere, a questo riguardo, ogni
dubbio ed ogni confusione: questi non operano con l’opposizione. Noi vescovi
condanniamo e non accettiamo la violenza, da chiunque sia fatta. La violenza distrugge,
calpesta e quindi noi non vogliamo questo e soprattutto non crediamo che Haiti
meriti questo. Noi come Chiesa vogliamo giocare la nostra parte, dicendo a
tutte le parti in conflitto che bisogna deporre le armi e che bisogna arrivare
ad un dialogo serio. Noi come Chiesa offriamo questo spazio.
D. – Mons. Dumas, chi ha in questo momento la possibilità
effettiva di risolvere la situazione difficile che sta vivendo Haiti?
R. – Ogni attore deve prendere delle decisioni coraggiose
e patriottiche. A livello internazionale, poi, credo che l’America che aveva
riportato Aristide nel Paese deve ora dimostrare che Aristide è stato riportato
per far rispettare le regole democratiche e per far rispettare i diritti umani.
L’operazione americana si chiamava “Restore Democracy” e quindi restaurare la
democrazia e restaurare la speranza. Ma questa speranza è stata delusa e la democrazia
non c’è e quindi l’America deve ora ricordare e richiamare l’attenzione del governo
di Haiti sulle regole da rispettare.
D. – Mons. Dumas, com’è possibile che un uomo come
Aristide, che aveva la fiducia di un intero popolo, possa cambiare così tanto
in un così breve periodo di tempo?
R. – Noi vediamo solo quello che emerge, quello che
appare. L’unica cosa che abbiamo notato è che l’uomo che nel ’90 aveva
incarnato tutte le speranze di una popolazione, che aspirava alla pace e che
aspirava ad una vita migliore, rappresenta oggi il pomo di discordia per la
nazione. Negli ultimi tempi è stato anche accusato di aver armato delle
baby-gang, dei bambini che ammazzano e saccheggiano. Noi come Chiesa è chiaro
che non possiamo accettare tutto questo.
D. – Molti osservatori temono che una volta partito o
dimesso Aristide, Haiti cada in una situazione di ingovernabilità.
R. – Gli haitiani non accettano che i diritti vengono
calpestati senza dire niente. Noi stiamo aprendoci a questo mondo nuovo e la
Comunità internazionale deve facilitare questo passaggio, prendendosi il tempo
che le occorre, ma non vorrei che diventasse troppo tardi. C’è un gruppo di
Paesi, chiamato “I Paesi amici di Haiti”, composto da Stati Uniti, Canada,
Venezuela e Francia, che deve fare qualcosa in modo da impedire una catastrofe
umanitaria nel Paese. Occorre fare qualcosa quando si è ancora in tempo e penso
che questo tempo è ora, non domani!
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IL
COMMERCIO INTERNAZIONALE DEI PRODOTTI AGRICOLI
IN
PRIMO PIANO ALLA 27.MA SESSIONE ANNUALE DEL CONSIGLIO ESECUTIVO
DELL’IFAD,
L’AGENZIA DELL’ONU PER LO SVILUPPO AGRICOLO,
CHE SI
APRIRA’ DOMANI AL PALAZZO DEI CONGRESSI DI ROMA
-
Intervista con Sappho Haralambous -
Prende
il via domani al Palazzo dei Congressi di Roma la 27.ma sessione annuale del
consiglio esecutivo dell’Ifad, l’agenzia dell’Onu impegnata nella lotta alla
povertà rurale. Ad aprire la due giorni di lavori sarà il presidente del
Burkina Faso, Blaise Compaoré. Dalla sua fondazione, nel 1977, l’Ifad – che
conta 163 Stati membri – ha investito oltre 8 miliardi di dollari in 653
progetti di sviluppo rurale in 115 nazioni a beneficio di oltre 200 milioni di
persone. Oggi, rileva l’agenzia Onu tre quarti dei poveri nel mondo – circa 900
milioni di esseri umani – vivono e lavorano nelle aree rurali nei Paesi in via
di sviluppo. L’incontro di quest’anno sarà incentrato sul ruolo del commercio
per lo sviluppo delle aree rurali. Un tema particolarmente attuale dopo il
vertice dell’Organizzazione mondiale del commercio a Doha, che ha messo in luce
come i sussidi all’agricoltura da parte dei Paesi ricchi influiscano
negativamente sulle prospettive di sviluppo dei Paesi poveri. Sulle strategie
dell’Ifad per combattere la povertà nei Paesi del sud del mondo, Alessandro
Gisotti ha intervistato Sappho Haralambous, membro della divisione politica
dell’Ifad:
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R. – La strategia più valida che l’Ifad sta seguendo è di
aumentare - per le popolazioni rurali - la capacità di organizzarsi in termini
di sapere, la capacità di avere informazioni e in più aumentare il loro accesso
a risorse naturali, alla tecnologia e al credito. Recentemente, la nostra
attenzione si è incentrata sulla facilitazione dell’accesso da parte delle
popolazioni rurali ai mercati.
D. – In che modo i Paesi in via di sviluppo, che basano
spesso la propria economia sull’agricoltura, possono mettersi al passo con le
nazioni industrializzate?
R. – Dal punto di vista agricolo, ci sono sussidi, misure
di protezionismo della produzione agricola da parte dei Paesi del Nord del
mondo. Per questo, i piccoli produttori rurali del mondo sottosviluppato non
hanno le chances per competere con i prodotti che vengono dal Nord. I loro
mercati sono inondati dai prodotti artificialmente economici, di basso prezzo,
con i quali loro non possono competere. Inoltre, molti di questi Paesi
dipendono dalla produzione di un unico bene agricolo, c’è una sovrapproduzione
a livello globale che fa sì che i guadagni che vengono da tali prodotti siano
molto bassi. Allora, lì c’è la necessità di introdurre nuove colture e nuovi
prodotti per queste popolazioni, con iniziative come il commercio equo, la
produzione agricola organica. Devono legarsi con questa domanda dei consumatori
del Nord e produrre per questi mercati specifici.
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PRESENTATO
IN ITALIA L’ULTIMO ROMANZO DELL’AUTORE ISRAELIANO MEIR SHALEV.
SI
INTITOLA “FONTANELLA” E DESCRIVE UNA FAMIGLIA EBRAICA
TRA
REALTA’, POESIA E SURREALE
-
Intervista con l’autore -
Si
intitola “Fontanella” l’ultima fatica letteraria di Meir Shalév, autore israeliano
molto popolare nel suo Paese, da giorni in Italia per promuovere il suo romanzo
pubblicato dalla casa editrice Frassinelli. Apprezzato per la sua scrittura
vivida, calda, venata da toni fantastici e umoristici, Shalév ha immaginato il
protagonista della sua ultima storia come un uomo maturo – inserito in un
tipico “clan” ebraico - al quale sia rimasta aperta quella piccola fessura sul
cranio, detta appunto “fontanella”, che normalmente si salda nei bambini dopo
il primo anno di età. Se il protagonista è così un uomo singolare, al quale
basta sfiorare la testa per evocare passato e futuro, desideri e tormenti, la
trovata permette all’autore di costruire una narrazione dove realtà e poesia si
scambiano spesso i ruoli, grazie ad un linguaggio – che pur proprio di un
autore “laico” – possiede in molti passaggi le cadenze e i richiami
paesaggistici dei testi sacri. Nella presentare il libro, Shalèv ha detto di
essere un uomo molto impegnato politicamente, ma di voler tenere la sua
scrittura libera dalle pressioni della politica. Il perché, lo spiega
nell’intervista di Alessandro De Carolis:
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R. – I
THINK THAT USING MY LITERATURE…
Io credo che utilizzare la propria scrittura, il proprio
lavoro letterario, per promuovere le proprie idee politiche sia quasi un
peccato. Io tratto la mia scrittura e il mio lavoro di scrittore come una forma
d’arte e c’è, in questo, un grande insegnamento che ho appreso dai classici:
l’Iliade e l’Odissea. L’Iliade è un libro politico, la storia dell’Iliade è una
storia politica. La storia dell’Odissea, invece, è la vicenda di un uomo che
torna a casa stanco, dopo la guerra, da sua moglie. Lo stesso uomo quindi,
Ulisse, è combattente, condottiero, generale e uomo politico nell’Iliade, e un
semplice uomo stanco nell’Odissea. Ebbene, oggi, noi non ricordiamo più
l’Ulisse dell’Iliade, ricordiamo soltanto l’Ulisse che torna a casa dopo lunghe
peripezie. Questo è il mio modo di leggere e interpretare la letteratura ed il
suo valore.
D. – Lei fa parte di questa fase di rinascita della
letteratura ebraica. Come giudicherebbe, in pochi aggettivi, la letteratura
ebraica contemporanea?
R. – MOST
OF IT IS GOOD…
Io la trovo spesso, in moltissimi casi, buona, stimolante,
straordinariamente viva. Oltre a noi, ci sono anche scrittori più giovani -
scrittori che hanno adesso tra i 20 e i 30 anni - che trovo tutti molto capaci,
dotati di grande talento. E complessivamente, questa nostra narrativa, trovo
che rifletta un senso di vivacità e di forza. In una parola, è una narrativa
che mi piace molto.
D. – Come giudica la situazione attuale della crisi
mediorientale?
R. – I’VE
ALWAYS BELIEVED…
Fin dalla guerra dei 6 giorni del 1967, alla quale ho
preso parte – ero un giovane soldato e ho combattuto – ho sempre creduto che noi
israeliani dobbiamo restituire il prima possibile i territori occupati ai
palestinesi. E questo non soltanto perché i palestinesi possano avere uno Stato
tutto loro, ma anche perché noi ebrei, israeliani, non dobbiamo dominare un
altro popolo. Sono anni e anni che Israele investe tutte le sue energie
finanziarie, intellettuali, tutti i suoi talenti, le sue capacità, soltanto
nella soluzione del problema palestinese. Io penso che invece dovremmo tornare
ad investire le nostre risorse nello scrivere, nel fare scienza, nel fare
ricerca, nello studio, ma anche nel costruire università, ospedali… Insomma nel
fare tutte le cose che siamo bravi a fare.
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17 febbraio 2004
“LA
POVERTA’ IN EUROPA: IL BISOGNO DI POLITICHE ORIENTATE ALLA FAMIGLIA”:
PRESENTATO IERI POMERIGGIO, NELLA SEDE DI BRUXELLES DELL’EUROPARLAMENTO,
IL
RAPPORTO DELLA CARITAS, CONDOTTO IN 42 PAESI DEL VECCHIO CONTINENTE
- Servizio di Roberta Gisotti -
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BRUXELLES.
= Se l’indigenza diventa una condizione cronica gli Stati e la stessa Unione
Europea non possono stare a guardare ma devono agire con efficacia, e subito,
per contrastare un fenomeno in crescita, che va a colpire soprattutto le
famiglie numerose o con genitori separati, con presenza di invalidi, malati
cronici, tossicodipendenti, alcolisti, disoccupati o persone rimpatriate. 15
famiglie su 100 in Europa, vale a dire 55 milioni di persone sono sulla soglia
della povertà, la percentuale più bassa in Svezia, 10 per cento, la più alta in
Irlanda, 21 per cento. E vediamo le disuguaglianze in un’Europa unita, prossima
ad allargarsi ad Est. In Russia, Georgia e Lituania il reddito medio mensile è
rispettivamente di 88, 102 e 103 euro, contro 650 della Spagna, 1096 di Regno
Unito, 1420 di Austria. L’alloggio, soprattutto per chi è in affitto, assorbe
circa la metà delle entrate familiari in Russia, Gran Bretagna, Austria e
Spagna, sotto il 30 per cento in Georgia e Lituania, dove è più diffusa la
proprietà. La seconda spesa è invece per la cura dei figli. Si va dalla Spagna
con il 15 per cento, fino alla Gran Bretagna con oltre il 60 per cento, ma il
governo di Londra garantisce l’assistenza gratuita per tutti i bambini dai 4
anni in su. Il nodo da sciogliere è proprio questo, al centro del Rapporto
della Caritas: se erogare benefici a tutti o secondo il reddito. Nel primo caso
Paesi, come la Repubblica Ceca o la Francia, che hanno sposato negli anni ’90
politiche di ‘benessere per tutti’, hanno ottenuto migliori risultati nel
ridurre la povertà, rispetto a chi come l’Italia – ma la tendenza è generale in
Europa - ha puntato ad accertare il reddito nel concedere agevolazioni. Una
sorta di ‘stigma’ del bisogno – denuncia la Caritas - che può essere rifiutata
- fino al 60 per cento in alcuni casi - o perché ci si vergogna di averla o per
le pastoie burocratiche e amministrative che comporta ottenerla. Dunque quali raccomandazioni dalla Caritas a
tutti i governi europei? Anzitutto valutare l’impatto di ogni nuova legge sui
più poveri, garantire un’indennità di disoccupazione e di alloggio per tutti,
migliorare i servizi sociali per le famiglie, aiutare i giovani a trovare il
primo lavoro. All’Unione Europea la Caritas chiede di rendere onore agli
impegni della Conferenza di Lisbona per la lotta alla povertà, attraverso il
Fondo sociale europeo e di promuovere un Anno europeo per genitori soli, una
realtà di forte disagio sociale e psicologico, sempre più diffusa.
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SI SVOLGERA’ A BELGRADO, DAL 20 AL
22 FEBBRAIO, L’ INCONTRO TRA I PRESIDENTI DELLE CONFERENZE EPISCOPALI DI SETTE
PAESI DEL SUD - EST EUROPA, CHIAMATI A DIALOGARE SULLE PROBLEMATICHE CHE
AFFLIGONO QUESTI PAESI.
UNO DEI TEMI TRATTATI SARA’ LA POVERTA’ COME SFIDA PER LA CHIESA
BELGRADO. = Si incontreranno a Belgrado dal
20 al 22 febbraio i presidenti delle
Conferenze episcopali di Albania, Bulgaria, Bosnia Erzegovina, Grecia, Serbia
e Montenegro, Romania, Turchia. 7 Paesi
del sud-est Europa in cui la Chiesa cattolica vive in minoranza, rispetto a una
maggioranza ortodossa o musulmana. E' stato l'arcivescovo cattolico della
città, mons. Stanislav Hocevar, a invitare i vescovi a Belgrado per rinnovare
il consueto appuntamento, da quattro anni a questa parte, del Consiglio delle
Conferenze episcopali d'Europa (CCEE). Tra i partecipanti saranno presenti
anche rappresentanti della Santa Sede chiamati ad affrontare temi e
problematiche attuali e urgenti, relative a questi Paesi, soprattutto in ambito
ecumenico, interreligioso, sociale e politico. Nella giornata di sabato 21
febbraio, una sessione di studio sarà
dedicata al tema della povertà, come sfida per la Chiesa. Un secondo momento
dei lavori si concentrerà, invece, su “l'Europa e il cristianesimo”, in
particolare, nel contesto del processo di unificazione europea: al dibattito
parteciperà anche il vescovo ortodosso di Novi, Sad Irinej. Sempre durante la
mattinata di sabato, i partecipanti saranno ricevuti dal Patriarca della Chiesa
ortodossa serba, Pavle. La sera, nella cattedrale di Belgrado, si riuniranno
per la veglia di preghiera per l'unità dei cristiani, alla quale parteciperanno
molti giovani. (F.C.)
LE
CASE CINEMATOGRAFICHE INDIANA E PAKISTANA HANNO INIZIATO
UNA
COLLABORAZIONE PER LANCIARE UN SEGNALE
DI PACE E COMPRENSIONE ATTRAVERSO LE
LORO PELLICOLE
MUMBAI.
= Una storia d’amore vera, quella tra un avvocato indù ed una ballerina
musulmana, presa come spunto per un film, che vedrà in collaborazione le
industrie cinematografiche indiana e pakistana. Una realizzazione, che sarà lo
strumento per diffondere un messaggio di pace e di comprensione. “In passato i politici di entrambi i Paesi hanno
sempre usato i film come armi da guerra o a fini propagandistici, per
demonizzare gli altri” ha dichiarato Mahesh Blatt, una importante regista di
Bollywood, la grande industria cinematografica indiana. Entro la fine del mese,
la regista indiana, si incontrerà, a
Islamabad, con il Ministro dell’Informazione Pakistano, Sheik Rashi, per firmare
il contratto e dare inizio alle riprese del film. Dunque, India e Pakistan, dopo anni di contrasti metteranno a disposizione le proprie
tecniche, strumenti e attori, finalmente, per cooperare insieme alla luce del
sole. In precedenza, infatti, molte collaborazioni venivano svolte in segreto.
Infine, una delegazione, formata da note personalità di Bollywood si recherà
presto in Pakistan, per lanciare alcune produzioni comuni e firmare un accordo,
che vieti la produzione di film che incitano all’odio tra i due popoli.(F.C)
DA IERI A SAN ANTONIO NEL TEXAS RIUNITI I VESCOVI DI TUTTO
IL CONTINENTE AMERICANO PER RIFLETTERE, A PARTIRE DALL’ESORTAZIONE APOSTOLICA
“ECCLESIA IN AMERICA”, SULLE SFIDE POSTE
DALLA SOCIETA’ ODIERNA, IN PARTICOLARE PER CONTRASTARE LE MINACCE
CRESCENTI ALL’ISTITUTO FAMILIARE
- A cura di Lisa Zengarini -
SAN
ANTONIO . = Le minacce alla famiglia
nel continente americano sono al centro del 32mo Incontro dei vescovi della
Chiesa in America, iniziato ieri a San Antonio, in Texas. Partendo dalla
considerazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in America”,
secondo la quale numerose insidie minacciano la solidità dell’istituto
familiare e costituiscono altrettante sfide per i cristiani, i presuli
americani cercheranno di individuare queste sfide, le strategie pastorali
migliori per fronteggiarle nei diversi Paesi del Continente e per la promozione
della famiglia. All’incontro partecipano una ventina di vescovi membri degli
Uffici direttivi delle Conferenze episcopali del Canada (Ccee) e degli Stati
Uniti (Usccb) e delle Conferenze episcopali latino-americane (Celam). Nati nel
1967 come Incontri interamericani dei vescovi, questi appuntamenti informali si
tengono annualmente su diverse problematiche che toccano la Chiesa del
Continente. Nel 1999, in occasione della loro assemblea a Cuba, il loro nome è
stato cambiato in Incontro dei vescovi della Chiesa in America, a sottolineare
l’unità della Chiesa americana dei due emisferi, in sintonia con le indicazioni
del Santo Padre dopo il Sinodo dei Vescovi per l’America. Il primo incontro
della nuova serie si è tenuto a Vancouver nel 2000 sul tema giubilare del
debito dei Paesi poveri. E’ seguito nel 2001 un incontro negli Stati Uniti
dedicato all’immigrazione, quello del 2002 in Brasile sulla globalizzazione dell’economia
e quindi l’anno scorso quello in Québec sulla globalizzazione della cultura. I
lavori di questa 32ª edizione si chiuderanno giovedì, 19 febbraio.
COMMOSSA PARTECIPAZIONE DELLA RADIO VATICANA PER
LA MORTE IERI
DEL
PAPA’ DEL DIRETTORE GENERALE, PADRE PASQUALE BORGOMEO
ROMA. =
Si è spento ieri all’età di quasi 100 anni Vincenzo Borgomeo, padre del direttore generale della nostra emittente;
un lutto che segue quello della moglie
Letizia De Meo, venuta a mancare poco più di un mese fa, anche lei alla
veneranda età di oltre 90 anni, e dopo 70 anni di matrimonio. I funerali di
Vincenzo Borgomeo si svolgeranno giovedì prossimo, 19 febbraio, nella chiesa di
Santo Spirito in Sassia, alle ore 11. Tutto il personale della Radio Vaticana
esprime il proprio cordoglio a padre Pasquale Borgomeo, in questi giorni di
dolore per la perdita dei suoi cari. (R.G.)
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17 febbraio 2004
- A cura di Fausta Speranza –
Significativi segnali di pace tra India e Pakistan
giungono da Islamabad dove ieri è cominciata la 'tre giorni' di colloqui voluta
per aprire la strada ad un accordo sulla contesa regione del Kashmir. A
confrontarsi domani saranno i capi delle diplomazie di Islamabad e di New
Delhi, in un cammino avviato il mese scorso dal primo ministro indiano,
Vajpayee e dal presidente pachistano, Musharraf. Da quando ottennero
l'indipendenza nel 1947, i due grandi Paesi asiatici hanno combattuto due
guerre per il Kashmir e a metà del 2002 sono stati sul punto di far scoppiare
un altro conflitto, questa volta con lo spettro degli armamenti nucleari di cui
sono entrambi dotati. Nella regione ora
regna una fragile tregua non rispettata da gruppi estremisti che anche nelle
ultime ore hanno scelto la via della violenza. Ma delle prospettive aperte da
questi colloqui e dell’atmosfera che regna al tavolo delle trattative, ci
riferisce Maria Grazia Coggiola:
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Il ghiaccio è stato rotto, l’atmosfera è cordiale, le
parti sono soddisfatte; ora si tratta di vedere i risultati concreti di questi
negoziati tra India e Pakistan che hanno riacceso le speranze di pace dopo tre
anni di crisi e di escalation militare. Mentre oggi sarà ancora una giornata
interlocutoria, domani si incontreranno i due sottosegretari agli esteri per
fissare i tempi e le modalità dell’agenda di pace. Il nodo del Kashmir, la
regione contesa da oltre mezzo secolo, non è ancora stato affrontato. Islamabad
vorrebbe giungere ad un accordo entro la fine dell’anno, quando il presidente
pakistano Musharraf lascerà l’incarico di capo delle forze armate che ha conservato
fin dal golpe del ’99. L’India, però, preferisce non accelerare anche perché
tra due mesi il governo si presenterà agli elettori per un voto generale
anticipato. Inoltre, Delhi è preoccupata per la tensione nel Kashmir indiano,
dove i gruppi integralisti islamici sono ancora attivi nonostante il
cessate-il-fuoco tra i due eserciti, in vigore dallo scorso novembre lungo la
linea di controllo. Ieri, nei pressi di Srinagar, il capoluogo estivo, è stato
ucciso in un agguato un leader politico locale appartenente al partito di governo.
Da New Delhi, per la Radio Vaticana, Maria Grazia
Coggiola.
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Ancora un morto in
Iraq. Si tratta di un soldato statunitense colpito dall'esplosione di una bomba
al passaggio del convoglio su una strada del nord del Paese. Un altro che si
trovava con lui è rimasto ferito. Intanto, cinque iracheni sono stati arrestati
per l'uccisione, nel settembre scorso a Baghdad, di Akila al Hachimi, una delle
tre donne del Consiglio di governo provvisorio iracheno. Proveniente da un'influente
famiglia sciita, aveva lavorato al ministero dell'Interno durante il regime di Saddam. Dopo la guerra,
al pari di altri membri del Consiglio di governo, fu denunciata per aver
collaborato con gli americani.
Venticinque
soldati americani sono rimasti feriti, tra cui due molto gravemente, per un
incidente del loro autobus su una strada del Kuwait. Lo ha annunciato oggi un
portavoce militare statunitense ma è accaduto domenica sera. Le cause
dell'incidente non sono ancora state determinate. Circa 25 mila soldati americani
hanno come base permanente il Kuwait ma altri 2000-4000 soldati transitano quotidianamente
dall'Emirato per recarsi in Iraq nell'ambito delle rotazioni effettuate dai
militari statunitensi che operano nel Paese.
Alcune centinaia
di manifestanti palestinesi hanno bloccato questa mattina il valico di Erez,
fra Israele e la Striscia di Gaza, impedendo il passaggio dei lavoratori.
La manifestazione è stata indetta per protestare contro i controlli severi
operati dall'esercito israeliano e per ricordare la morte ieri di un operaio palestinese,
schiacciato dalla calca provocata da circa 600 lavoratori palestinesi che
aspettavano di passare in territorio israeliano. Ogni giorno sono circa 19.000
gli operai palestinesi della Striscia di Gaza che si recano in territorio
israeliano. I controlli dell'esercito sono stati irrigiditi dopo l'attentato
kamikaze del 14 gennaio scorso attuato dalla giovane terrorista palestinese
madre di due bambini. L'attentato era stato rivendicato dal braccio militare di
Hamas e dalle brigate Al Aqsa.
C’è fermento tra i
Quindici dell’Unione Europea per il vertice convocato domani a Berlino tra Gran
Bretagna, Germania e Francia. Gli altri Paesi affermano che l’incontro non può
affrontare, e quindi prendere decisioni, su temi su cui dovrebbero esprimersi
tutti i Paesi membri. C’è chi ha parlato polemicamente di Direttorio e chi lo
giustifica come un incontro interlocutorio per chiarire le prospettive
possibili. Ma c’è il rischio che questo vertice possa provocare rotture
all’interno dell’Unione Europea, a pochi mesi dall’ingresso dei dieci nuovi
Paesi? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Sergio Romano, ex ambasciatore,
esperto di questioni internazionali:
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R. – Sì, soprattutto perché abbiamo l’impressione che
all’ordine del giorno vi siano molte questioni tra cui quelle che vengono più
discusse all’interno dell’Europa. E’ quindi comprensibile che in queste
circostanze molti Paesi abbiano una reazione negativa. Bisogna osservare che
questi tre Paesi, che si riuniscono a Berlino,in questo particolare momento,
non possono essere veramente la locomotiva dell’Europa integrata, perché
ciascuno dei tre è, in materia di questioni europee, molto più arretrato di
quanto gli europeisti non desidererebbero. Perfino i francesi ed i tedeschi,
che in altri tempi sono stati il motore dell’Europa, mi pare che in questo momento
tendano piuttosto a lasciarsi orientare dall’interesse nazionale. In altre
parole, questi Paesi possono fare un tratto di strada comune e possono anche
mettersi d’accordo su cose su cui è difficile raggiungere l’accordo a 25 ma
temo che sarà sempre un accordo al ribasso. Credo che chi vuole opporsi a questa
prassi del “direttorio” dovrebbe farlo da posizioni di entusiasmo europeista.
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Guardando
all’Italia, il presidente del Consiglio, Berlusconi, ha annunciato questa
mattina che si candiderà alle prossime elezioni europee di giugno e che non ci
sarà una lista unitaria della sua coalizione. Dopo la convention di sabato
scorso che ha lanciato la lista unitaria ‘Uniti per l’Ulivo’ e la leadership di
Romano Prodi, si discute sul valore da assegnare al voto europeo in termini di
consenso interno. In ogni caso, tra le questioni aperte all’interno dello
schieramento di centrosinistra c’è la partecipazione all’azione in Iraq.
Proprio questa mattina al Senato è iniziata la discussione generale sul decreto
riguardante la proroga della partecipazione italiana a operazioni
internazionali, tra cui anche la missione militare in Iraq. Il voto finale é previsto per domani.
Sempre in Italia, nell’ambito del caso Parmalat sono stati
arrestati questa mattina, tra gli altri, Stefano, Francesca e Giovanni Tanzi. I primi due sono i figli dell’ex
patron dell’azienda di Parma e ricoprivano rispettivamente le cariche di
consigliere della Coloniale e di consigliere di amministrazione di Parmatour.
Giovanni Tanzi, invece, è il fratello di Calisto ed era membro del cda di
Coloniale. Le accuse sono di associazione per delinquere, bancarotta e false
comunicazioni sociali. Ci sono poi altri 5 arresti tra amministratori di
diverso livello delle società dei Tanzi o di società strettamente legate
all’azienda che ha subito il crac.
Andare a votare
per “non lasciare” che i conservatori entrino in Parlamento. E’ l’appello del
presidente iraniano Khatami, che si è schierato così contro il boicottaggio
delle legislative del 20 febbraio dichiarato dai principali partiti riformisti,
a lui vicini. Nonostante l’intervento del presidente, i riformisti proseguono
però la loro protesta contro il Consiglio dei guardiani che accusano di essersi
assicurato la vittoria ancora prima del voto avendo escluso moltissimi
riformisti al momento della presentazione delle candidature. Sono saliti a 679, pertanto, i candidati del
fronte riformatore che hanno rinunciato a partecipare alle consultazioni. Ma a
questo punto, come può essere interpretato l’invito del riformista Khatami a
non disertare le urne venerdì prossimo? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Alberto
Negri, inviato speciale del ‘Sole 24 Ore’ a Teheran:
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R. – Possiamo leggerla in due modi diversi. Da una parte,
il suo ruolo istituzionale gli impone in qualche modo di invitare la gente ad
andare alle urne, anche se resta il fatto che è stato anche il rappresentante
politico del movimento riformista iniziato proprio con la sua elezione alla presidenza,
nel ’97, con una valanga di voti. Purtroppo, questo movimento riformista ha
provocato una grande delusione nella gente ed è anche in contraddizione con le
stesse dichiarazioni di Khatami. Poco tempo fa, infatti, Khatami aveva detto,
di fronte alla cancellazione dalle liste di molti importanti candidati
riformisti, che lui non avrebbe avallato elezioni non libere e non corrette.
Ebbene, queste elezioni non sembrano né troppo libere né troppo corrette, ma
lui invita a partecipare. Credo che stiamo assistendo alla fine dell’esperimento
riformista.
D. – Sulla carta, la storia delle prossime legislative
sembra già scritta a favore dei conservatori. Ci chiede, dunque, che indirizzo
darà all’Iran un Parlamento a maggioranza conservatrice?
R. – Ci sono due ipotesi. L’una, che i conservatori
perseguano una campagna di arretramento rispetto alle libertà civili, di
espressione che erano state conquistate in questi anni. Ma, d’altra parte, c’è
anche un’altra versione, secondo la quale proprio i conservatori tenteranno di
portare avanti quelle riforme economiche che si sono arrestate in questi sette
anni di presidenza di Khatami.
D. – Per le strade di Teheran, la gente cosa dice a
proposito delle elezioni?
R. –
Quando viene interpellata, quasi unanimemente dice che non andrà a votare.
Certamente, però, il sentimento generale è innanzitutto di profonda delusione
per l’esperimento riformista e in secondo luogo di grande scetticismo rispetto
a quello che può fare il governo per la gente.
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Gli elementi
raccolti nel corso di 10 giorni di indagini confermano che sarebbe stato
un attentatore suicida a compiere la
strage che il 6 febbraio causò oltre 40
morti nel metrò di Mosca. Lo ha reso noto oggi l'ufficio stampa dei servizi di
sicurezza russi, Fsb, aggiungendo al momento risultano identificati con certezza
i corpi di 40 vittime della strage nel
metrò e che nell'ambito delle indagini sono state raccolte migliaia di segnalazioni su possibili
complici, sono stati interrogati un
migliaio di testimoni e perquisiti circa 200 siti. Non ci sono indicazioni,
invece, su cosa abbia provocato, sabato scorso, il crollo del tetto del parco
di giochi acquatici, alla periferia di
Mosca, che ha causato la morte di almeno 25 persone. Sulla stampa trovano
spazio anche ipotesi di un attentato.
ll ministero
dell'agricoltura cinese ha annunciato oggi la scoperta di due nuovi focolai
della cosiddetta influenza dei polli. I focolai sono stati entrambi rilevati
nella provincia dell'Hunan e portano a 50 il totale dei focolai, accertati o solamente
''sospetti'', in Cina. Il Giappone conferma il secondo focolaio dopo che ieri
aveva annunciato che era estinta l’infezione sul suo territorio. Nei due Paesi
non ci sono stati finora casi di trasmissione del virus dai volatili all'uomo.
E’ stato più volte spiegato che si tratterebbe di diverse forme del virus. La
variante che ha colpito la Thailandia e il Vietnam, infatti, ha causato la
morte di almeno 20 persone.
E’ allarme
sanitario anche in Indonesia dove la febbre ‘dengue', trasmessa dalla puntura
di un insetto, ha ucciso da gennaio 91 persone, mentre altre 4.500 circa sono
ricoverate in ospedale. Numerosi i morti nella capitale Giakarta, ma la zona
più colpita è l'isola di Giava. A Giakarta, in particolare, il numero delle
vittime è raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, periodo
che rappresenta comunque il momento di picco dell’infezione.
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