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Sommario del 01/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Card. Tagle: Francesco nelle Filippine, vicino a popolo sofferente

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Mancano poco più di dieci giorni al viaggio apostolico di Papa Francesco in Corea del Sud, ma altri due Paesi asiatici si stanno già preparando ad accogliere il Successore di Pietro: si tratta dello Sri Lanka e delle Filippine, dove il Pontefice si recherà nel gennaio dell’anno prossimo. Grandi sono le speranze per questi viaggi, anche sulla scorta delle parole di Giovanni Paolo II che vedeva nel Terzo Millennio una nuova primavera cristiana in Asia. Sull’attesa nelle Filippine, Emer McCarthy ha sentito il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila: 

R. – Il popolo filippino ama il Santo Padre e, l’annuncio del suo viaggio in Asia, in particolare nelle Filippine, l’anno prossimo, ha dato tanta gioia alla gente, è stata una cosa meravigliosa. I non cattolici, i mass media, la televisione, la radio, tutti, tutti i filippini, parlano sempre del prossimo gennaio come di un mese di grazia. E c’è anche un’altra ragione: il 14 gennaio 1995, Papa Giovanni Paolo II è venuto nelle Filippine, per la Giornata della gioventù. L’anno prossimo, Papa Francesco arriverà il 15 gennaio, 20 anni dopo. La gente filippina vedrà di nuovo un Vicario di Cristo, nella persona di Papa Francesco.

D. – Il Papa dice che viene soprattutto per pregare ed essere vicino alle vittime del tifone, che si è abbattuto nelle Filippine l’anno scorso, causando numerose vittime e ingenti danni. Ecco, l’importanza della vicinanza del Papa a questo popolo sofferente...

R. – Sì, sì, un popolo sofferente, che si trova in un processo di ricostruzione della vita: non solo delle case, delle scuole, infatti, ma specialmente della vita. La sofferenza continua, ma la vicinanza di tutti i popoli di buona volontà è straordinaria ed è una ragione per avere la speranza e la forza di continuare. La vicinanza del Santo Padre avviene, comunque, in un modo speciale, perché un anno fa il Papa benedisse il mosaico di San Pedro Calungsod, nella Basilica di San Pietro, dopo il tifone, e lanciò un messaggio al popolo sofferente delle Filippine: “Non stancatevi di chiedere: ‘Perché? Perché?’”. La parola usata dai bambini con il papà e la mamma. Nella sofferenza il popolo deve chiedersi “perché?”, per attirare l’attenzione e gli occhi di Dio Padre a sé. E questo è il messaggio toccante per le Filippine.

D. – Tra pochi giorni il Papa si recherà in Asia per la sua prima visita nel continente, per la Giornata asiatica della gioventù e per beatificare 124 martiri coreani. La sua diocesi precedente è stata quella dove si è svolta la quinta edizione della Giornata asiatica della gioventù. Ci può parlare di questa realtà e di come sia l’attesa per l’arrivo del Papa in Asia?

R. – Sì, quattro o cinque anni fa, la mia precedente diocesi è stata scelta come luogo per lo svolgimento della Giornata asiatica della gioventù. E’ un raduno dei giovani asiatici abbastanza piccolo, se paragonato alla Giornata mondiale. Questi giorni, però, sono giorni intensi di formazione, di preghiera, di comunione e missione. E penso che avverrà la stessa cosa a Seul, in Corea, con un dettaglio molto particolare, però: la presenza del Santo Padre. Questo è l’appoggio ad una Chiesa sofferente, ma vivace, in Corea.

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Gaza, card. Maradiaga: strage di innocenti, tregua sia permanente

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“Un cessate il fuoco permanente”, che sia “il primo passo sulla strada di una pace giusta”. Lo chiede il cardinale Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, in un documento sulla situazione a Gaza. Sui contenuti di questa riflessione, ascoltiamo il servizio di Davide Maggiore

Dalla realtà di una guerra “devastante”, che riduce “in cenere” ogni speranza di un futuro di pace, prende le mosse la riflessione del card. Maradiaga. Il cessate il fuoco permanente chiesto dalla Caritas, specifica, deve condurre a “una pace giusta, basata su negoziati inclusivi, in tutta la regione”. “La strada per la riconciliazione è lunga ma comincia da noi”, ricorda il porporato, chiedendo alle parti in conflitto: “Perché continuate a guardare la pagliuzza nell’occhio del vostro fratello e non a vedere la trave che è nel vostro?”. “Dovreste deporre le armi – continua - e prendere un binocolo”, per vedere “che la gran parte delle vittime sono innocenti”. Ricordando le altre guerre scoppiate nella Striscia, l’impegno della Caritas e le condizioni di vita dei palestinesi, il card. Maradiaga chiede “la fine del blocco su Gaza”, così che i suoi abitanti possano “vivere una vita degna”. Il porporato ricorda poi l’incontro di Papa Francesco con i presidenti Peres e Abbas, e le parole di Benedetto XV - durante la Prima Guerra mondiale - secondo cui la forza può “reprimere i corpi”, non le anime degli uomini. Il cardinale prega dunque perché “le anime di palestinesi e israeliani restino libere di credere in un futuro di giustizia e pace”.

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Francesco a pranzo con i confratelli per la festa di Sant'Ignazio

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Una sorpresa gradita è quella che ieri Papa Francesco ha fatto alla comunità dei suoi confratelli Gesuiti, recandosi a pranzo nella Curia generalizia nel giorno della festa di S. Ignazio. Il Papa, riferisce un comunicato della Curia dell’Ordine, “ha comunicato all'ultimo momento al Padre Generale questo suo desiderio. Si è trattato di una visita del tutto privata e semplice. Il Papa si è trattenuto con la comunità in sala da pranzo e poi in sala di ricreazione per il caffè, conversando amabilmente e stringendo la mano a tutti”.

Al pranzo, precisa la nota, erano presenti anche i sette fratelli e sorelle di P. Paolo Dall'Oglio, rapito un anno fa in Siria. “Con loro – conclude il comunicato – il Papa ha scambiato parole di apprezzamento e di conforto”. Presente, ancora, il gruppo degli scolastici dell'Ejif (Gesuiti Europei in Formazione), che in queste settimane tengono il loro convegno annuale presso la Curia generalizia.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Non c'è tregua che tenga: nuovo cessate il fuoco violato dopo poche ore nella Striscia di Gaza.

Piano di emergenza contro l'ebola.

Più Vangelo nella gestione dei beni delle comunità religiose: intervista di Nicola Gori al prefetto della Congregazione per la vita consacrata e la vita apostolica.

La Chiesa e le donne: Maurizio Gronchi sulla storia non ideologica di una questione cruciale.

L'odissea di Eusebio: Manlio Simonetti sul vescovo di Vercelli e la controversia ariana.

Un articolo di Felice Accrocca dal titolo "Per tornare allo spirito primitivo": di nuovo in italiano le fonti agiografiche dell'Ordine francescano.

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Oggi in Primo Piano



Gaza: tregua violata, stop negoziati. Hamas rapisce soldato israeliano

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E’ stata violata dopo poche ore la tregua di tre giorni scattata stamattina in Medio Oriente e accettata per la prima volta da entrambe le parti al 25.mo giorno di offensiva. I colloqui sono allo stallo, le vittime solo stamani a Gaza sono state una cinquantina e, ad aggravare la situazione, la notizia del rapimento di un soldato israeliano nella Striscia. “Non servirà una tregua se Gaza resta una terra disperata dove crescono paura e frustrazione”, fa sapere il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, che chiede sostegno concreto. Il servizio di Gabriella Ceraso

Colloqui rimandati a sabato. E’ una fonte egiziana a comunicarlo alle delegazioni israeliana e palestinese, attese al Cairo dalla notte scorsa per la negoziazione. La decisione dopo la notizia della cattura di uno dei soldati di Gerusalemme, rivendicata da Hamas e confermata dal sito israeliano Haaretz. Il militare, 25 anni, sarebbe scomparso questa mattina durante combattimenti nel sud della Striscia, dove hanno perso la vita altri due soldati. Scattata all’inizio della giornata, la tregua di 72 ore sembrava una soluzione, ma intorno alle 11 ora italiana sirene d’allarme nel sud di Israele, colpi d’artiglieria a Rafah, con una cinquantina di morti, poi le accuse reciproche, hanno mandato in fumo le speranze. Inutili gli appelli dell’Unione Europea e dell’Onu, che ha espresso ferma condanna per Hamas ritenuta responsabile della ripresa delle violenza. Superata quota 1.400 tra le vittime palestinesi - ben oltre la strage dell’operazione "Piombo fuso" del 2009 - e la sessantina tra i soldati isareliani rimasti uccisi. ”Occorre rimuovere le condizioni strutturali che alimentano l'odio cieco, a partire dall'embargo”, spiega il patriarca latino di Gerusalemm,e mons. Fouad Twal, all’agenzia Fides. “Non odio, alimentiamo rapporti di fraternità”, ripete Sonia Zelazo, cristiana collaboratrice del "Franciscan Media Center" di Gerusalemme: 

R. – La situazione è veramente tragica. Aumenta l'ostilità e in questi giorni si è arrivati anche all’odio fra l’uno e l’altro. C’è soprattutto paura nelle persone. Addirittura, alcuni dei nostri amici arabi, per esempio, non si muovono più nelle zone ebraiche perché hanno paura che possano fare loro del male e viceversa... E magari, quello che si è costruito per anni e anni, anche nel campo del dialogo, sembra perso. Ma non è esattamente così, ed è un peccato che se ne parli così poco sulla stampa. Ci sono tante persone che si impegnano. Ci sono artisti, medici, avvocati, giovani di varie religioni, da tutti e due i lati, che si incontrano e che si ritrovano insieme per le preghiere. Oggi, per esempio, nella chiesa latina qui, a Gerusalemme, tutta la Chiesa si unisce a pregare. Poi, ci sono anche quelli che hanno ancora il coraggio di credere nella convivenza. Di questo si dovrebbe veramente parlare di più. Non ci sono più arabi ed ebrei: ci sono estremisti e persone normali.

D. – C’è un tentativo dunque di ricucire uno strappo che invece, a livello politico, sembra assolutamente compiuto e inconciliabile?

R. – A livello politico, penso che nessuno speri. Netanyahu ha detto chiaramente che assolutamente andrà fino in fondo. Però, veramente è anche tanto difficile capire la situazione, perché abbiamo sentito anche il nostro padre di Gaza che dice che, quando c’è la tregua, Hamas comincia a lanciare missili addirittura dai punti nei quali si trova la gente… La cosa certa, che anche tanti israeliani dicono, è che la risposta è sproporzionata. Ero qui nel 2009 e sono andata a Gaza al termine della guerra di allora: c’era distruzione però esisteva ancora la città. Non so invece cosa esista adesso. Però, c’è anche una cosa straordinaria da dire tra quei pochi cristiani che sono lì: quanto bene e amore reciproco tra loro. Per me, ti confesso, è eroico! Non so se avrei il coraggio di continuare ad amare… Spero che questa testimonianza sia per noi tutti un incoraggiamento nelle nostre situazioni quotidiane, per non arrenderci davanti alle difficoltà. Penso che il compito nostro, veramente grande, sia oggi di promuovere qualsiasi – qualsiasi! – iniziativa di buona volontà tra tutte le religioni per dare voce veramente a quella maggioranza silenziosa che vuole coesistenza, vuole vivere con gli altri.

D. – Che cosa è rimasto, secondo te, di quella presenza del Papa a Gerusalemme, di quell’abbraccio a tre davanti al Muro del pianto o della preghiera comune fatta in Vaticano?

R. – Penso sia tanto più importante e tanto più viva di quello che si pensi. Penso che quella presenza qui a Gerusalemme ci abbia incoraggiato e continui: continua a darci il coraggio di non perdere ogni occasione per promuovere rapporti veri, rapporti fraterni. Solo così si cambia la storia.

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Ucraina: ancora vittime. Caritas: è catastrofe umanitaria

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Continuano le violenze in Ucraina orientale. Una ventina di persone sono morte negli scontri tra l’esercito di Kiev e i separatisti filorussi, alcuni dei quali sono civili. E mentre arrivano nuovi esperti internazionali, per aiutare a recuperare i corpi ancora dispersi delle vittime del disastro aereo del MH17, cresce anche l'emergenza profughi. Il servizio di Michele Raviart

I combattimenti sono avvenuti  nella notte vicino al luogo dello schianto dell’aereo malese dello scorso 17 luglio, quando sono morte 298 persone. Delle 14 vittime, 10 sono paracadutisti dell’esercito di Kiev, attaccati a colpi di mortaio e cannonate dai separatisti filorussi nei pressi di Shaktharsk. Gli altri sono ancora in corso di identificazione. Cinque i morti tra i civili e nove feriti a Lugansk, una delle roccaforti dei separatisti Le operazioni militari dell’esercito ucraino nell’est del Paese sono quindi ricominciate, dopo l’interruzione di un giorno deciso dal governo di Kiev per permettere a un gruppo di esperti internazionali di raggiungere il luogo disastro, per le operazioni di recupero degli 80 corpi ancora rimasti. Si tratta di rappresentanti dell’Osce e personale proveniente da Australia e Olanda, i Paesi da cui provenivano la maggior parte dei passeggeri dell’MH17. Intanto, dopo che ieri l’Unione Europea ha approvato nuove sanzioni contro la Russia, in quello che è il provvedimento più pesante contro Mosca dai tempi della guerra fredda, è anche allarme umanitario. Sono infatti circa 100 mila le persone che hanno abbandonato le loro case in Ucraina orientale per la guerra, come ci spiega Karel Zelenka, volontario della Caritas Ucraina, raggiunto telefonicamente a Leopoli.

“Una parte degli sfollati vanno in Russia, ma la maggioranza degli sfollati rimane nell’Ucraina dell’est. I bisogni riguardano soprattutto alloggio, cibo, acqua, medicine. C’è bisogno di prepararci per l’inverno e anche alla riapertura delle scuole: questo sarà un grande problema per gli studenti, per i bambini… E’ una vera catastrofe umanitaria. Tutti noi speriamo, ma il conflitto potrebbe ancora durare un po’, purtroppo”.

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Libia: a Bengasi i jihadisti proclamano un emirato islamico

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Non si fermano gli scontri in Libia e c’è preoccupazione soprattutto per la situazione a Bengasi, dove ieri i miliziani islamisti di Ansar al-Sharia hanno dichiarato di aver instaurato un “emirato islamico”. Ma la pretesa dei fondamentalisti di aver conquistato la città è contestata dai loro avversari. Il proclama è dunque solo una mossa propagandistica? Davide Maggiore lo ha chiesto ad Antonio Morone, docente di Storia dell’Africa all’Università di Pavia: 

R. - Sicuramente la dichiarazione fatta da Ansar al-Sharia ai media arabi riflette, in realtà, sul campo una fase di forte cambio negli equilibri della lotta in corso tra forze laiche e forze islamiste. Quindi la proclamazione ha, prima di tutto, l’obiettivo di dimostrare al mondo la forza di Ansar al-Sharia in Libia e sicuramente però di mettersi in connessione anche con quello che sta succedendo in Iraq: proprio perché Ansar al-Sharia è una forza a tutti gli effetti libica, che però ha fortissimi collegamenti col mondo della rete internazionale dell’estremismo islamico. Quindi tende - come dire - ad ingigantire quelle che sono in realtà le posizioni reali sul campo, proiettando un’immagine molto probabilmente più di forza di quella che in realtà si può intravedere.

D. - Chi sono questi ribelli: non solo di Ansar al-Sharia ma anche gli appartenenti al Consiglio dei rivoluzionari che agiscono - anch’essi - a Bengasi?

R. - Bisogna ricordare che, in effetti, il Califfato islamico venne proclamato anche all’indomani della caduta del regime di Gheddafi e quindi sostanzialmente è un tema ricorrente: un più ampio movimento di richiesta di autonomia della parte orientale della Libia e sicuramente su questo tema c’è una ampia convergenza, per molti versi anche impropria, tra quelle che sono realmente le frange più estremiste e, invece, una parte molto più moderata - come appunto il Consiglio - che pur di riuscire ad ottenere una maggiore autonomia da Tripoli è disposta a convergere sulle posizioni di Ansar al-Sharia.

D. - Qual è il collegamento tra ciò che sta accadendo a Bengasi e, invece, i fatti e gli scontri di Tripoli? Qual è la posta in gioco di questi scontri?

R. - Non è un qualcosa di irrazionale, illogico o difficile da comprendere. In realtà sono obiettivi molto concreti: sicuramente lo sfruttamento della rendita petrolifera che rimane la grande risorsa della Libia e poi ovviamente le posizioni di potere all’interno del governo di Tripoli e, viceversa, le eventuali posizioni di autonomia nelle diverse sedi regionali. Allora in questa partita diventa ovviamente molto importante l’impostazione, il modello di riferimento delle nuove istituzioni. Gli attori - tutto sommato - non sono così tanti come possono sembrare: c’è sostanzialmente un fronte più laico, moderato, come riferimento più prossimo all’Occidente e un fronte, invece, molto più estremista che propone un modello di islam politico, anche se declinato ovviamente in diverse forme a seconda di quelli che sono i momenti e anche le frange degli schieramenti. Va detto, però, che su questi due fronti c’è poi tutta una maggiore composizione tra l’est e l’ovest del Paese: c’è una alleanza impropria tra il generale Haftar, che da mesi sta tentando di contrastare Ansar al-Sharia in Cerenaica, e le forze di Zintan a Tripoli; viceversa le forze di Bengasi di Ansar al-Sharia - in effetti -  si stanno coordinando con quelle che invece sono le milizie islamiste di Misurata, che però  non sono esattamente la stessa cosa di quelle di Bengasi.

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Portogallo: Banco Espirito Santo, crollo record in borsa

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Le azioni di Banco Espirito Santo ieri hanno perso il 50% dopo essere state riammesse alle contrattazioni sulla piazza di Lisbona. Il "rosso" più elevato di tutta la storia del Paese è legato all'esposizione al debito della holding familiare Espirito Santo, e ha portato la Banca centrale lusitana a sospendere sia i diritti di voto delle azioni appartenenti alla controllante, sia dall'incarico i "risk manager", i supervisori e i funzionari dell'audit della banca portoghese, ritenuti responsabili di condotte illegali che potrebbero aver contribuito alle enormi perdite dell'istituto. Marina Tomarro ha chiesto un commento all’economista Alberto Quadrio Curzio: 

R. - Certamente la situazione è molto grave, perché il bilancio del primo semestre è emerso con un rosso - cioè in negativo - record di 3,57 miliardi di euro, che per una banca di quelle dimensioni è una perdita gigantesca. Ma naturalmente, poiché il sistema bancario è, in Europa come altrove, un sistema fortemente integrato, ci sono state delle ripercussioni anche sui titoli bancari degli altri Paesi. Adesso, bisognerà vedere come questa crisi bancaria portoghese si ripercuoterà sia sulla situazione economica più generale del Portogallo, sia eventualmente sulla situazione di altri Paesi dell’Europa continentale.

D. - Si è parlato anche dell’ipotesi di un prelievo forzoso sui conti correnti: tutto questo creerebbe un precedente? C’è stato Cipro, come esempio…

R. - Bisognerà vedere come le autorità monetarie del Portogallo in consultazione con la Banca centrale europea gestiranno questa crisi. Bisognerà anche vedere quelle che sono le obbligazioni subordinate e, al limite, anche una situazione sui conti correnti. Dobbiamo attendere… Speriamo che si possa uscire da questa situazione eventualmente con qualche processo di acquisizione e di fusione da parte di banche più grandi e più forti, che sarebbe poi la soluzione meno traumatica e meno onerosa.

D. - Questa banca non è l’unica traballante, in Europa ce ne sono diverse. La Bce finora ha sempre coperto, ma fino a quando può funzionare un sistema del genere, secondo lei?

R. - Diciamo che la situazione delle banche europee è molto variegata. Se io dovessi parlare, per esempio, del sistema bancario italiano, ritengo che sia uno dei sistemi bancari più solidi d’Europa e questo per due ragioni: uno, perché la Banca d’Italia è sempre stata molto attenta - ciò non toglie che alcune crisi ci siano state, ma come sappiamo sono state controllate e alla fine risolte. La seconda ragione è che le banche italiane non hanno fatto, in generale, operazioni speculative pericolose su mercati lontani dove non avevano competenze. La Bce eserciterà una funzione di governo alla distanza di questa situazione, tanto perché il sistema unificato europeo, di vigilanza europeo, non c’è ancora e - in secondo luogo - perché toccherà all’autorità monetaria internazionale gestire la crisi. Certo, se la Bce dà delle indicazioni specifiche, è chiaro che è molto difficile oggi sottrarsi da queste indicazioni. Oltretutto non sarebbe opportuno, perché la Bce ha una credibilità ben maggiore della Banca centrale portoghese. Credo comunque che il fatto che ci sia la Bce sia un grande vantaggio anche per crisi bancarie come questa.

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In vigore Convenzione Istanbul contro violenza sulle donne

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Entrerà in vigore in Italia, questo primo agosto, la Convenzione di Istanbul sulla “prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”. Il documento, promosso dal Consiglio d’Europa, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante sul tema ed è stato firmato da 32 Paesi. In Italia, secondo alcune stime, quest’anno le donne uccise sono state 36, la metà rispetto allo scorso anno, ma questo tipo di violenza rimane ancora un fenomeno diffuso, come spiega al microfono di Michele Raviart, suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata che si occupa di assistenza alle donne vittime della tratta: 

R. – La violenza più comune è proprio quella che deriva dalla mancanza di rispetto, la mancanza di parità verso le persone di sesso femminile; questa idea di superiorità, questa idea di possesso, “tu sei mia e non puoi appartenere a nessun altro”. Qui c’è da lavorare moltissimo culturalmente per ritornare a scoprire il valore di ogni persona, con la propria dignità, con la propria libertà, con le proprie capacità, perché il valore della donna non è solo il suo corpo, ma il valore della donna è il suo essere.

D. – La violenza sulle donne da qualche anno è al centro di campagne di sensibilizzazione, però ancora una donna su tre è vittima di molestie di vario genere. Cosa c’è ancora da fare?

R. – Dobbiamo lavorare molto di più sui giovani, nelle scuole, nelle parrocchie perché veramente solo così, sensibilizzando, formando coscienze nuove, coscienze di responsabilità - perché siamo tutti responsabili di questo grande problema che sta distruggendo la vita di tante persone in tanti modi - e se non cambiamo la mentalità continueremo ad avere persone umiliate, sfruttate e anche maltrattate.

D. – Non c’è il rischio di creare una contrapposizione insanabile tra uomo e donna?

R. – Molte persone che vivono questa realtà, colgono questi squilibri. Perchè abbiamo tanta violenza? Perchè non abbiamo capito che dobbiamo lavorare per creare  unione tra uomo e donna, comunione. L'uguaglianza nella diversità. Assolutamente non ci devono essere contrapposizioni perché abbiamo ruoli diversi, però con la stessa dignità. Questo a volte lo dimentichiamo: ciascuno compie il proprio ruolo proprio per il bene dell’umanità, il bene della famiglia e della società. Non devono essere ruoli che staccano, che separano, ma sono ruoli che uniscono: l’uguaglianza nella diversità.

D. – Valorizzare la dignità della donna è anche uno dei punti spesso toccati da Papa Francesco…

R. – Anche in Vaticano si sta prendendo atto di queste situazioni, si sta cercando di dare risposte. Ci sarà un Simposio, nel mese di novembre, in cui saranno invitate proprio giovani da tutto il mondo per poter avere anche la loro presenza, le loro capacità, poter coinvolgere i loro coetanei insieme a lavorare davvero per un cambio di mentalità che sarà veramente la chiave di una grossa svolta, perché ogni persona ritorni ad essere considerata persona.

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Scuola cattolica. Morgano: necessaria effettiva parità economica

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“La scuola cattolica risorsa educatrice della Chiesa locale per la società”. Questo il titolo della Nota pastorale della Commissione episcopale per l’educazione, la scuola e l’Università della Conferenza episcopale italiana, diffusa in questi giorni. Su questo documento e sulla realtà, oggi, delle scuole cattoliche in Italia si sofferma Luigi Morgano segretario nazionale della Fism (Federazione italiana scuole materne), intervistato da Amedeo Lomonaco: 

R. - Da parte della Federazione c’è un vivissimo ringraziamento all’Episcopato italiano per questo documento che segue quello del 1983, quindi di oltre 30 anni fa. In questi anni abbiamo ottenuto un risultato fondamentale che vale la pena di ricordare, perché anche nel nostro mondo cattolico non erano pochi coloro che pensavano che la presenza di queste nostre istituzioni fosse sostanzialmente di ‘supplenza’ rispetto al progressivo intervento da parte dello Stato. Oggi sappiamo che dopo la Legge 62 del 2000, le nostre scuole sono scuole paritarie e fanno parte dell’unico sistema nazionale di istruzione. Quella che non è stata attuata è invece la parità economica, in questo momento ancora più complicata, perché da un lato i contributi dello Stato in questi anni sono progressivamente diminuiti, dall’altro Comuni e Regioni si trovano anch’essi in difficoltà con riferimento al cosiddetto Patto di Stabilità, ma soprattutto questa situazione non consente certamente di trasferire su di loro i maggiori costi che ovviamente un servizio di questo tipo comporta.

D. - Un servizio che comporta in media costi per alunno, per lo Stato, molto diversi raffrontando le scuole statali con quelle paritarie ...

R. - Per dare un dato che mi sembra non controvertibile, non discutibile - sono dati ufficiali - il costo per bambino nella scuole statale per lo Stato si aggira intorno ai 6500 euro, il contributo che è stato erogato lo scorso anno per bambino nelle nostre scuole è stato di 420 euro; e poi lo sforzo da parte delle scuole cattoliche e di ispirazione cristiana è quello di mantenere un livello di qualità assolutamente alta. Sappiamo che questo è riconosciuto anche a livello internazionale dall’Ocse, che dice che proprio il sistema della scuola infantile in Italia è il parametro di riferimento di eccellenza a livello internazionale.

D. - Allargando lo spettro al sistema generale delle scuole cattoliche in Italia possiamo dire che sono sicuramente un risparmio per lo Stato, offrono un servizio legato al pluralismo, un servizio di eccellenza e poi sono anche una risorsa preziosa per le comunità cristiane locali ...

R. - Certamente sì. Tra l’altro, oggi, il problema che sta diventando davvero urgente è quello di un intervento economico che consenta a tutti di poterla frequentare perché, diversamente, se i deficit diventano strutturali vanno in difficoltà economica e se dovessero chiudere chiaramente la possibilità di scegliere quale tipo di scuola frequentare diverrebbe un’aspirazione e non un dato di realtà.

D. - Una scuola, quella cattolica, che è al servizio di tutti, in particolare dei più poveri ...

R. - C’è una lunga tradizione di particolarissima attenzione delle nostre scuole proprio alle situazioni di maggiore difficoltà. Tradizionalmente, c’è sempre stata la disponibilità ad accogliere anche chi non poteva pagare o sostenere la retta; c’è una particolare attenzione nei confronti dei bambini figli di genitori immigrati, e poi il grande tema su cui la nostra Federazione è molto impegnata è quello dell’attenzione alla disabilità. Oggi il problema è quello sostanzialmente - torno a dire – della necessità di un aiuto alle famiglie, perché tutti i contributi che arrivano - essendo le nostre scuole no profit - sono ad a sgravio della retta.

D. - Dunque, in base a questo contesto quali le richieste urgenti da rivolgere all’attuale governo?

R. - Da un lato riteniamo l’alta qualità un dovere; dall’altro chiediamo passi effettivi sull’avvio della parità economica, cosa che è garantita a livello europeo praticamente ovunque. È tempo di mettere mano al completamento della Legge 62 che oggettivamente è rimasta, per questo aspetto, incompiuta.

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Al via il Perdono di Assisi. Fra Michael Perry: è l'amore senza limiti di Dio

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Hanno preso il via questa mattina ad Assisi le celebrazioni della Festa del Perdono, che quest’anno ha come intenzione di preghiera particolare la fine della guerra e delle ostilità in Terra Santa. Fino alla mezzanotte di domani sarà  possibile lucrare l’Indulgenza della Porziuncola in tutte le chiese parrocchiali e francescane del mondo dopo essersi confessati, aver partecipato ad una celebrazione eucaristica, recitato un Credo, un Padre nostro e una preghiera secondo le intenzioni del Papa. Domani l’arrivo dei giovani partecipanti alla marcia francescana. Sul Perdono di Assisi Paolo Ondarza ha intervistato il ministro generale dei frati minori fra Michael Perry: 

R. – Si tratta di una celebrazione dell’amore senza limiti, della misericordia di Dio; un Dio che non smette di richiamarci alla comunione con Lui, gli uni con gli altri e con tutta la Creazione. È importante ricordare quello che San Paolo ci ha detto nella Seconda Lettera ai Corinzi: noi siamo battezzati in Cristo e questo significa diventare una nuova creatura e, essendo una nuova creatura, noi cristiani siamo chiamati discepoli e “commissionari”. Come Cristo siamo chiamati a diventare ministri della riconciliazione, della misericordia e della pace di Cristo per tutto il mondo. Credo che anche San Francesco nella sua vita abbia vissuto tantissime esperienze di discordia anche tra i frati minori, nella Chiesa o nel mondo. Per questo Francesco volle celebrare e ricordare quello che è l’essenziale della nostra vita in Cristo, nella Chiesa e nel mondo, nel suo tempo ma anche per noi oggi.

D. – Il Papa non si stanca mai di parlare al mondo della misericordia di Dio, in sintonia con quel “Voglio mandarvi tutti in Paradiso”, pronunciato da San Francesco e alla base di questa solennità del Perdono…

R. – Credo che questa festa ci dia anche un senso del futuro: noi siamo limitati in questo mondo, abbiamo uno sguardo che si limita alle esperienze del mondo di oggi - la sofferenza, la violenza – ma abbiamo una vocazione molto più ampia, collegata con il piano di Dio per noi, per il mondo, per il Creato… Ci attende un  futuro di speranza e non di disperazione; un futuro della gioia e non della miseria.

D. – Pensando ai tanti fronti di guerra aperti oggi, cosa viene a dire il perdono?

R. – Il Perdono di Assisi può parlarci della situazione in tutto il mondo, nelle zone in guerra come la Siria, la Libia, il Sudan meridionale, l’Ucraina, la Terra Santa, la Repubblica Democratica del Congo, ma anche nelle grandi città degli Stati Uniti, del Messico, in tutto il mondo. Questa festa ci parla, ci invita e ci provoca oggi a pensare e ripensare il piano di Dio per il presente e per il futuro.

D. – Forte l’attualità del perdono in una società che sta smarrendo il senso del peccato ed è forse più oppressa da un senso di colpa e quindi più incline alla disperazione; disperazione che ha poco a che fare con il messaggio evangelico. Sente questa società il bisogno del perdono?

R. – I giovani che partecipano alla marcia francescana  - dall’Italia, Germania, Francia, Spagna, Slovacchia, Svizzera, Croazia e da altre parti dell’Europa - tutti loro stanno cercando la sicurezza della presenza di Dio, perché c’è una grande angoscia tra i giovani oggi. Credo che il Perdono di Assisi può toccare ed entrare in questo spazio vuoto e riempirlo con la misericordia, la gioia, la presenza e la sicurezza che Dio è sempre presente nella nostra vita.

D. – Importante riscoprirsi peccatori senza aver paura di riscoprirsi tali per aprirsi all’abbraccio misericordioso…

R. – Certo San Francesco ha cominciato così, dicendo: "io sono il più grande peccatore tra tutti”. Riconoscendo questo ci si apre, altrimenti rimaniamo chiusi nel nostro piccolo mondo, nelle nostre piccole mentalità e nei nostri peccati.

D. – Per concludere, il suo augurio per questa solennità del Perdono di Assisi 2014…

R. – Il mio augurio è questo: Signore fa di noi uno strumento della tua pace. Dove c’è l’odio fa' che noi portiamo l’amore, il perdono, che portiamo l’unione, la fede, la speranza, la gioia e la luce per ognuno di noi, per il mondo ed anche per il Creato oggi.

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P. Toniolo: "Quindicina dell'Assunta" preghiera mariana ecumenica

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Una liturgia presa e adattata da quella bizantina per vivere, in unità con le Chiese Orientali, la preparazione alla solennità mariana del 15 agosto. È quello che dal primo al 14 agosto, ogni sera dalle 21.30 alle 22.30, si vivrà nella Basilica di Via Lata, nel centro di Roma, con la cosiddetta “Quindicina dell’Assunta”. Al microfono di Monia Parente, il religioso dei Servi di Maria, padre Emanno Toniolo, spiega l’antica tradizione orientale per quella che viene definita “la piccola Quaresima della Madre di Dio”: 

R. – Il mese di agosto per le Chiese Orientali, specialmente per la Chiesa bizantina, è il mese mariano per antonomasia: ha nel cuore la Pasqua della Madre di Dio, il 15 agosto. Quindi, questa festa è in simmetria con la grande Quaresima che ci prepara alla Pasqua del Signore, nel Sabato Santo e nella Domenica di Pasqua. E poi, fino a fine mese, continuano le celebrazioni sempre ispirate alla Madre del Signore assunta nei cieli. Quindi, tutto il mese di agosto è un mese mariano nella ecumene bizantina, ma anche nelle altre Chiese, molte delle quali ora toccate dalla guerra: la Siria, l’Egitto e quindi i copti, i maroniti, i caldei nell’Iraq, gli armeni, gli etiopi… Quindici giorni di preparazione alla festa delle feste, che chiamano della Madre del Signore.

D. – E’ un modo per cantare a Maria con ambedue i polmoni, l’Oriente e l’Occidente…

R – Sì, e non solo, con le loro parole. E’ implorare insieme l’unica Madre. È implorarla per lo stesso scopo: è una implorazione fiduciosa dei figli che guardano alla Madre glorificata, ma che la sentono sempre vicina e accanto per i grandi problemi personali, familiari e soprattutto quelli nazionali ed internazionali. La pace della terra, Lei che è la Regina della Pace.

D. – Davvero bello immaginare che in questi 14 giorni che precedono la Solennità dell’Assunta si pregherà all’unisono…

R. – All’unisono! Pensavo specialmente ad Atene, a Nea Smyrni, dove sono stato nella parrocchia: lì è un assieparsi di fedeli, una compartecipazione inimmaginabile tanto è profonda e tanto perciò è sentita da tutto il popolo.

D. – E’ una celebrazione bizantina che verrà adattata al nostro stile liturgico…

R. – Noi abbiamo aggiunto qualcosa, perché noi siamo più abituati agli inni, più abituati ad una prolungata - chiamiamola - salmodia durante la celebrazione liturgica e soprattutto siamo abituati alle letture, una prolungata lettura. Ora qui, in questa Quindicina, abbiamo alternato - per così dire allargando - tanti pericopi evangeliche, brani della Sacra Scrittura di San Paolo e di altri Apostoli e poi soprattutto alcune letture splendide dei più grandi Padri che hanno parlato dell’Assunta, a partire dal VI secolo, e che hanno composto, per così dire, la nostra stessa dottrina sull’Assunzione della Madre di Dio.

D. – E poi la Quindicina, quest’anno, si concluderà a San Marcello al Corso, con la Veglia dell’Assunta, presieduta dal vescovo del Settore Centro di Roma, mons. Matteo Zuppi…

R. – Questa veglia ha una particolarità interessante anche dal punto di vista ecumenico: introduce cioè alcuni tra i 180 “tropari” stupendi della liturgia russa, non quella greca perciò ma del Patriarcato russo. Quindi, siamo in comunione con il Patriarca russo e con tutta la Chiesa della Russia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Colombia. Appello della Chiesa: non fermare il processo di pace nel Paese

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“L’escalation di violenza deve essere risolta senza allontanarsi dal cammino per la pace”. Queste le dichiarazioni rilasciate in conferenza stampa da mons. Augusto Castro Quiroga, presidente della Conferenza episcopale colombiana, in merito all’intensificarsi degli attacchi rivendicati dalle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) e che hanno innescato nuove critiche ai colloqui di pace in corso all’Avana.

Le Farc sono responsabili del blackout che lunedì scorso ha fatto calare il buio sul porto di Buenaventura, il primo scalo marittimo commerciale del Paese, lasciando senza energia elettrica i suoi 400mila abitanti. Si è trattato del secondo attacco in pochi giorni; il primo era avvenuto in precedenza nel dipartimento di Meta ed aveva lasciato circa 600mila persone senza acqua potabile. Il presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha ammonito duramente le Farc, sottolineando che azioni di questo tipo mettono a rischio i colloqui di pace. “Se continuate così, il processo potrebbe concludersi” ha affermato Santos.

Parole respinte da mons. Quiroga, il quale ribadisce che gli ultimi avvenimenti non devono mettere fine al cammino verso la riconciliazione. Il presule si è poi rivolto direttamente alle Farc, ma anche all’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln), chiedendo ad entrambi di non mettere in atto simili dimostrazioni di forza, poiché il Paese cerca la pace attraverso il dialogo.

Proprio la settimana scorsa, il presidente dei vescovi colombiani si è incontrato, all’Avana, con le delegazioni del governo e delle Farc per portare avanti il dialogo di pace. Recentemente, infatti, la Chiesa colombiana si è detta disponibile ad assistere le parti in causa nell’opera di individuazione delle vittime e nell’elaborazione dei criteri per eventuali risarcimenti. Le vittime – la cui individuazione sarà completata entro il 6 agosto - formeranno, poi, una delegazione che sarà presente al tavolo dei negoziati in programma all’Avana il 16 agosto, alla presenza di esponenti del movimento rivoluzionario, dello Stato e di paramilitari (C.G.).

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Vietnam. Inviato Onu: “Gravi violazioni della libertà religiosa”

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“Gravi violazioni della libertà di religione o di credo sono una realtà in Vietnam”: lo ha detto Heiner Bielefeldt, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa, a conclusione della visita ufficiale in Vietnam, in cui ha incontrato funzionari del governo e delle autorità locali, nonché i rappresentanti delle comunità religiose. Come riferito a Fides dall’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (CSW), che ha seguito la visita, nel corso delle visite programmate nelle province di An Giang, Gia Lai e Kon Tum, alcuni testimoni, rappresentanti e attivisti che intendevano incontrare il relatore Onu “sono stati intimiditi, molestati o bloccati dalla polizia”. Nelle tre province si sono registrate negli ultimi anni violazioni della libertà religiosa, inclusi gli attacchi contro fedeli cattolici e protestanti a Kon Tum nel 2012 e nel 2013.

A conclusione della sua visita, Bielefeldt ha fatto riferimento “all’atteggiamento generalmente sprezzante, negativo verso i diritti delle minoranze e degli individui che praticano la religione al di fuori dei canali istituzionali”, alle “limitazioni in materia di diritti umani”, così come a “formulazioni vaghe all'interno del codice penale in materia di abuso delle libertà democratiche”.

Pur riconoscendo i passi avanti compiuti, il relatore speciale ha notato che “gravi violazioni” avvengono tutt’oggi”. Bielefeldt presenterà una relazione contenente le sue conclusioni e raccomandazioni al Consiglio Onu dei diritti umani nel 2015. CSW, condividendo le preoccupazioni espresse dal relatore chiede al governo vietnamita di assicurare che nessuno dei testimoni che ha colloquiato con Bielefeldt venga penalizzato dopo la sua partenza dal Vietnam.

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Siria, jihadisti impongono velo integrale a donne

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Le donne del sud della Siria non potranno mostrare altro che gli occhi. E' quanto prevede il severo codice di comportamento imposto dai jihadisti del cosiddetto Stato Islamico (Is) nelle zone sotto il controllo degli integralisti nella provincia di Deir Ezzor. Lo riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo il quale alle donne è stato ordinato di indossare l'abaya integrale, un lungo vestito senza alcuna decorazione, e di non mettere scarpe con i tacchi alti.

Il mese scorso i militanti dell'Is hanno proclamato l'istituzione di un 'califfato'' nell'area che unisce la Siria all'Iraq. Il gruppo è stato accusato delle peggiori atrocità durante i tre anni di guerra civile in Siria, fra cui rapimenti di massa ed esecuzioni sommarie. Nelle zone della città di Deir Ezzor che sono sotto il controllo dei jihadisti, i militanti hanno distribuito un comunicato nel quale si proibisce la vendita e l'uso di nargileh, tabacco e sigarette.

Intanto, la situazione umanitaria si fa sempre più drammatica: la scarsa pioggia, i livelli d'acqua bassi, il conflitto armato e le infrastrutture idriche e igienico-sanitarie danneggiate stanno causando un peggioramento della siccità in Siria con conseguenze disastrose per milioni di persone: l'allarme è lanciato oggi dal Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. L'accesso limitato all'acqua potabile continuerà a influenzare la vita dei siriani per gli anni a venire. Aumentano anche i profughi siriani in Turchia: hanno toccato quota 1,3 milioni. Circa 300mila sopravvivono in condizioni precarie, e senza status ufficiale, a Istanbul.

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I vescovi svizzeri: "Aiutiamo i cristiani in Iraq!"

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“Siamo profondamente colpiti e inorriditi”: scrive così la Conferenza episcopale svizzera (Ces), in una nota diffusa in seguito alla “barbara espulsione dei cristiani e di altre minoranze religiose dall’Iraq, specialmente da Mosul, voluta da jihadisti dello Stato islamico”. Tali “atti criminali”, sottolineano i vescovi elvetici, “costituiscono un attacco contro le radici della nostra civiltà”, perché “ebrei, cristiani e musulmani hanno un patriarca comune, Abramo, originario della Mesopotamia, l’attuale Iraq”. Quindi, “chi distrugge con violenza questo legame comune tra le tre religioni abramitiche, mette a rischio anche la sua stessa religione”.

Ringraziando, poi, tutti quegli esponenti di ciascuna religione che si oppongono al “terrore fondamentalista”, i presuli ricordano le organizzazioni della Chiesa che “con generosità portano aiuto ai rifugiati in difficoltà”. Ed anche “ogni governo di buona volontà, in ogni Paese – ribadisce la Ces – è invitato a fare tutto il possibile per alleviare la miseria del popolo iracheno”.

Di qui, il rinnovato appello lanciato mons. Markus Büchel, presidente dei presuli elvetici, al Consiglio federale del Paese affinché aumenti l’aiuto umanitario per i rifugiati, ne accolga un numero maggiore ed aderisca alla “Nota verbale” inviata nei giorni scorsi dalla Segreteria di Stato vaticana alle ambasciate accreditate presso la Santa Sede, per richiamare i recenti appelli sul Medio Oriente e l’Iraq rivolti dal Papa. Infine, la Ces esorta i fedeli a “pregare per i fratelli e le sorelle in Iraq ed a sostenerli con tutte le forze”. (I.P.)

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Il card. Nichols: Gaza, porre fine a carneficina

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“Imploro un’immediata tregua a Gaza che ponga fine a questa ennesima carneficina”: sono le parole del card. Vincent Nichols, primate di Inghilterra e Galles, che in una nota auspica la risoluzione “dei problemi di fondo del conflitto israelo-palestinese che ha rovinato la vita a tutti i popoli della Terra Santa”. “Di fronte alla crescente violenza che sta inghiottendo il popolo di Gaza”, il pensiero e le preghiere del porporato vanno “costantemente a tutti coloro che hanno perso i propri cari e le cui vite sono state distrutte dal conflitto”. “La guerra non è la risposta”, ribadisce ancora il card. Nichols, evidenziando “il dolore, l'angoscia e il senso di disperazione di uomini, donne e bambini” e sottolineando che “la violenza genera violenza”. (I.P.)

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Sud America: popoli indigeni minacciati da sfruttamento risorse

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Lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali rappresenta la più grande minaccia per le popolazioni indigene del Sud America. E’ l’allarme lanciato dalla Commissione inter-americana per i diritti umani in un rapporto reso pubblico in questi giorni. Secondo l’organo consultivo dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), sono più di 9 milioni gli ettari di territorio  in cui vivono 10mila indigeni di 200 etnie che non hanno contatti con la società moderna per restare fedeli alle proprie culture e tradizioni.

Una demarcazione “che non viene sempre rispettata”, sottolinea la Commissione, citando lo sfruttamento delle foreste in Perù, in  Brasile ed in Ecuador, così come l’estrazione degli idrocarburi in Bolivia o le attività minerarie in Venezuela,  che non sempre hanno le autorizzazioni necessarie. Non solo, le aree protette sono minacciate anche dalla costruzione di autostrade, da attività agroindustriali e dal cosiddetto ecoturismo, che oltre a ledere il diritto degli indigeni all’isolamento, causa la diffusione di malattie per le quali non hanno difese immunitarie.

Il disboscamento e le attività estrattive mettono a rischio la sopravvivenza di queste popolazioni e delle loro culture. Di qui la raccomandazione rivolta dalla Commissione agli Stati interessati a garantire l’effettiva tutela dei loro diritti e la loro autodeterminazione. (C.G.)

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Palermo. I Carmelitani: nessun "inchino" durante la processione

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La statua della Madonna non si è mai “inchinata” a nessun boss e chi ha cucito sulla vicenda lo scoop ha servito gli scopi dei mafiosi e non dell’informazione. È quanto in sostanza asseriscono i padri Carmelitani presenti a Palermo nella chiesa del Carmine Maggiore, nei pressi del mercato storico di Ballarò, e nella parrocchia di S. Sergio I Papa, alla periferia Roccella-Sperone, limitrofa a Brancaccio.

In un comunicato, il priore padre Pietro Leta ricostruisce punto per punto lo svolgimento della processione della Madonna del Carmine del 27 luglio scorso nel capoluogo siciliano, finita al centro di un caso mediatico per una presunta sosta anomala in “onore” del boss Alessandro D’Ambrogio, da due anni in carcere a Novara. Durante il percorso ufficiale della processione, spiega padre Leta, “sono state fatte almeno una quarantina di fermate della statua e quindi di tutto il corteo, sia per il pericolo di cavi elettrici stesi tra alcuni edifici, sia per la fatica dei portatori del fercolo, sia per dare la possibilità di issare alcuni neonati sulla statua della Madonna, come pure per permettere ad alcune famiglie di dare dai balconi la loro offerta”.

Nessuna sosta compiacente, allora, poiché quella che ha sollevato il polverone, compiuta davanti all’agenza di pompe funebri di proprietà di D’Ambrogio, “sebbene ad alcuni metri e per i minuti strettamente necessari, è stata dovuta – afferma padre Leta – solamente e precisamente su richiesta formale di una coppia di genitori che ha presentato il proprio bambino da issare al viso della Madonna”.

Dunque, scandisce il religioso carmelitano, si esclude “categoricamente” che “con la statua della Madonna sia stato operato alcun genere di ‘inchino’ o altri gesti o segni similari”. E pure si esclude, soggiunge, “che il boss in questione, infiltrato in mezzo ai Confrati due anni fa all’uscita della statua della Madonna, abbia mai fatto parte della Confraternita”.

“Siamo certi – osserva padre Leta – che il diavolo si annida dentro i mafiosi, ma è altrettanto vero che fa anche breccia dentro alcuni giornalisti disposti a fare scoop a qualsiasi costo. Come Carmelitani, teniamo a precisare che nella nostra azione pastorale in mezzo al popolo che siamo chiamati a servire, cerchiamo di fare delle scelte secondo il Vangelo, seguendo con grande attenzione gli insegnamenti della Chiesa, e in particolare in questo momento storico quanto Papa Francesco con naturalezza, ma con grande fermezza, stigmatizza sulla mafia e sulla zizzania dentro e fuori la Chiesa”.

“Forti dell’esempio e del coraggio del Beato Pino Puglisi”, cerchiamo di servire, conclude, “il vero e unico Dio, Padre di tutti gli uomini, buoni e cattivi, ma anche un Padre che chiede sempre a tutti la conversione del cuore per cercare insieme la giustizia e la verità, fondamento per vivere e cercare il bene comune”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 213

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.