Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 02/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Messa del Papa con dei giovani Gesuiti: vicinanza e discernimento

◊  

Papa Francesco ha presieduto questa mattina a Santa Marta una Messa con un gruppo di giovani Gesuiti, che avevano partecipato anche al pranzo con il Pontefice il 31 luglio nella Curia generalizia della Compagnia di Gesù. Nell’omelia, il Papa ha parlato della figura di San Pietro Favre, di cui ieri ricorreva la memoria liturgica. Compagno di Sant’Ignazio di Loyola e primo Gesuita ad essere ordinato sacerdote, Favre è stato dichiarato santo da Papa Francesco, con canonizzazione equipollente, il 17 dicembre dell’anno scorso. Alla Messa era presente anche lo studente gesuita Nicolò Mazza. Padre Bernd Hagenkord lo ha intervistato: 

R. – Stare con il Santo Padre, avere un Papa gesuita per me significa molte cose. In particolare, ho sentito la sua presenza, le sue parole, anche il suo stile nello stare a tavola con noi, nel celebrare la Messa questa mattina come un invito forte, un invito molto incisivo a tornare a ciò che di più essenziale, di più autentico c’è nel carisma della Compagnia di Gesù e nella spiritualità ignaziana.

D. – Senti che lui è un gesuita?

R. – Direi proprio di sì, per la sua sobrietà, la semplicità, il modo molto concreto di porsi, di stare con noi … Ho avuto, in alcuni momenti, proprio l’impressione di condividere qualcosa con un confratello, con un fratello maggiore.

D. – Stamani nell’omelia ha parlato di Pietro Favre…

R. – Ha ricordato la figura di San Pietro Favre, decisiva nel cammino della prima Compagnia. Ha fatto riferimento allo stile di San Pietro Favre che era uno stile di vicinanza ma anche di discernimento, dicendo che avrebbe potuto scegliere di chiudersi in fondamentalismi, in idee chiare, senza correre alcun rischio e invece - nel più autentico spirito di Sant’Ignazio - San Pietro Favre ha scelto di stare con la gente, di stare con chi era lontano e di farlo secondo uno spirito di discernimento.

D. – E’ stato un momento intenso?

R. – E’ stato bellissimo. È stato un momento toccante, una celebrazione estremamente sobria, semplice, senza grandi cerimonie. Personalmente, alla fine, quando l’ho salutato, gli ho chiesto di poterlo abbracciare, allora lui mi ha stretto forte, forte a sé e mi ha detto: “Questo sì che è un abbraccio da veri uomini”. Poi, mi ha mostrato come invece, una volta, a lui era stato insegnato ad abbracciare i confratelli, con una certa distanza. Mi ha detto: “Questo non va bene. Mi è piaciuto di più il tuo abbraccio”.

inizio pagina

Cei: 15 agosto, preghiera per cristiani perseguitati

◊  

Rispondendo a quanto denunciato dal Papa, e che cioè “ci sono più cristiani perseguitati oggi che nei primi secoli”, la Conferenza episcopale italiana promuove per il 15 agosto, nella solennità dell’Assunzione, una Giornata di preghiera per i cristiani vittime di persecuzione. Tutte le comunità ecclesiali – riferisce una nota della presidenza Cei - sono invitate ad “unirsi in preghiera quale segno concreto di partecipazione con quanti sono provati dalla dura repressione”. “Un autentico Calvario – prosegue la nota - accomuna i battezzati in Paesi come Iraq e Nigeria, dove sono marchiati per la loro fede e fatti oggetto di attacchi continui da parte di gruppi terroristici; scacciati dalle loro case ed esposti a minacce, vessazioni e violenze, conoscono l’umiliazione gratuita dell’emarginazione e dell’esilio fino all’uccisione. Le loro chiese sono profanate: antiche reliquie, statue della Madonna e dei Santi vengono distrutte da un integralismo che, in definitiva, nulla ha di autenticamente religioso”. In questi Paesi, affermano i vescovi italiani, “la presenza cristiana - la sua storia più che millenaria, la varietà delle sue tradizioni e la ricchezza della sua cultura - è in pericolo: rischia l’estinzione dagli stessi luoghi in cui è nata, a partire dalla Terra Santa”. Significativo il titolo del comunicato: “Noi non possiamo tacere”, in particolare di fronte ad una “nostra Europa, distratta e indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani”. Sullo spirito dell’iniziativa ascoltiamo il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, al microfono di Marina Tomarro: 

R. – Nasce dalla necessità, dal dovere di essere vicini a tantissimi fratelli e sorelle che sono perseguitati per la loro fede in molte parti del mondo. Quindi, la preghiera è la prima forma per noi cristiani di vicinanza, di solidarietà e vogliamo nello stesso tempo dire anche una voce, una parola chiara, forte al mondo occidentale in modo particolare che sembra totalmente distratto ed indifferente.

D. – Si parla delle guerre terribili che ci sono in questi giorni, ma la questione dei cristiani perseguitati viene occultata dall’indifferenza. Perché secondo lei c’è questo silenzio?

R. – Forse perché non si ha più il coraggio di dirsi cristiani, non è più percepito – almeno da un certo pensiero unico tipicamente occidentale – un grandissimo valore, addirittura il proprio grembo, le proprie origini della propria cultura, della propria società. Dall’altra parte sicuramente anche per interessi di tipo economico che si ha paura a scontrare, quindi è meglio tacere e far finta di niente piuttosto che mettere in pericolo rapporti economici.

D. – Qual è l’appello che la Cei intende lanciare proprio attraverso questa iniziativa?

R. – Ci auguriamo che tutte le comunità cristiane del nostro Paese, insieme a tutte le persone di buona volontà – che sono moltissime – facciano una voce unica, oltre che una preghiera corale, unica, insistente e corale veramente, perché le autorità politiche, i responsabili delle nazioni e dei popoli guardino verso questi fatti di insostenibile, inaccettabile intolleranza perché il diritto a professare la propria fede, alla libertà religiosa è un diritto fondamentale, base di tutti gli altri diritti umani. Non si può far finta di nulla di fronte a questo eccidio sistematico, strategico che è in atto in tante parti del mondo - in particolare in questo momento in Iraq e Nigeria, ma non solo – che mette in pericolo non soltanto la fede dei cristiani ma mette in pericolo la civiltà del mondo.

D. – Secondo alcuni dati ogni cinque minuti viene ucciso un cristiano nel mondo. Noi cristiani in che modo possiamo dare una mano, possiamo aiutare questi fratelli?

R. – Oltre che con la preghiera, con la coscienza crescente della grazia di essere cristiani; che ognuno possa avere la propria fede, rispettosa di quella degli altri, in dialogo costruttivo. Faccio appello a tutti i media - perché sono i media che hanno a mio parere gli strumenti adeguati - perché ogni cinque minuti non si può più tollerare l’uccisione di una persona per ragioni di fede, per nessuna ragione, ma prima di tutto per ragioni di fede. Se i media fossero molto più presenti, attenti - ogni giorno, oserei dire, se fosse il caso – per mettere all’attenzione del mondo - soprattutto per le nazioni occidentali che sono le più distratte intenzionalmente - questo fatto inaccettabile disumano, credo che i responsabili comincerebbero a pensare un po’ diversamente.

inizio pagina

Perdono di Assisi. Alla Porziuncola si prega per il Medio Oriente

◊  

Da ieri, molte persone di varia provenienza internazionale si sono radunate nella Chiesa della Porziuncola per la solenne cerimonia del “Perdono d’Assisi”, la speciale indulgenza fissata al 2 agosto di ogni anno, che nel 1216 il Papa concesse su richiesta di Francesco. L’intenzione di preghiera di quest’anno è per la pace in Medio Oriente, tante volte evocata nelle ultime settimane anche dal Papa che ha scelto per il suo ministero il nome del Santo umbro. Il servizio di Alessandro De Carolis

La finestra e la porta. Entrambe spalancate per far passare un unico messaggio: pace per il Medio Oriente. La finestra di Papa Francesco all’Angelus e la porta ad arco della Porziuncola, che porta diritta nel cuore del francescanesimo, sono unite oggi dal filo doppio di un’unica intenzione, l’invocazione per la fine dell’ennesima onda di violenza che sta insanguinando la terra di Gesù. Gli appelli a un dialogo autentico, senza odio, che ormai ogni domenica Papa Francesco leva a mezzogiorno sono ben noti e sono l’unica voce che dà forza a una speranza altrimenti seppellita dalla disillusione di tante tregue annunciate che non resistono mezz’ora.

Meno noto ai più è invece il desiderio di pace, intesa come riconciliazione di ogni anima con Dio, che nasce in una notte di 800 anni fa tra le pietre nude riparate a mano della Porziuncola. È il 1216 e Francesco – che in quella stessa chiesetta ha capito cosa Dio volesse da lui e dove ha dato forma al primo nucleo di frati – è immerso in preghiera quando, narrano le fonti, una luce inonda l’ambiente e Gesù e Maria gli appaiono sopra l’altare, chiedendogli cosa desideri per la salvezza delle anime. Un “ampio e generoso perdono”, risponde pronto Francesco. La “completa remissione di tutte le colpe” per chiunque, pentito e confessato, venga a visitare la piccola chiesa.

La tua è una richiesta “grande”, osserva Gesù, che tuttavia concede l’indulgenza a patto che Francesco la domandi al Papa. Il Poverello parte subito per Perugia dove in quei giorni si trova il neoeletto Papa Onorio III, che ascolta e approva la richiesta. E alla domanda: “Francesco, per quanti anni vuoi quest’indulgenza?”, la replica è di una splendida magnanimità: “Padre Santo, non domando anni, ma anime”. Così, il 2 agosto, in un’affollata Porziuncola Francesco può annunciare felice: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!”.

Anche ieri il “Perdono d’Assisi” è stato donato a un’altra folla, molto più internazionale, ma attirata come la prima da quella “porta sempre spalancata” della Porziuncola, come l’ha definita durante la Messa il ministro generale dei Frati minori, fr. Michael Perry. “Questa chiesetta – ha soggiunto – non è una reliquia del passato”, ma è un “invito: è un abbraccio che la Madonna degli Angeli offre a chiunque vi entri. Essa in questo modo ci dice: non abbiate paura di aprire anche voi le vostre case, le vostre famiglie, la vostra vita alla presenza del Signore”.

 

Fino alla mezzanotte di oggi, dunque, sarà possibile ottenere l’indulgenza plenaria presso tutte le chiese parrocchiali e francescane del mondo. Intanto, momento di festa questo pomeriggio, sarà l’arrivo nella Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli dei giovani partecipanti alla Marcia Francescana, dedicata quest’anno al tema “Cento per Uno”. Al microfono di Federico Piana, ne parla fra Giancarlo Rosati, responsabile della pastorale giovanile e dell’animazione vocazionale francescana di Santa Maria degli Angeli: 

R. - L’Indulgenza - diciamo così - non è una specie di sconto sulla giustizia di Dio, ma piuttosto è l’eco della misericordia e dell’amore di Dio. Dio, appunto, è amore e quindi questa indulgenza è un più di amore che Francesco ha voluto mediare sia per la gente del suo tempo, sia anche per tutti noi oggi.

D. - Dove si può ricevere l’Indulgenza?

R. - Questa indulgenza si può ricevere il 2 agosto in tutte le chiese parrocchiali del mondo e in tutte le chiese francescane anche se non parrocchiali. Quello che la Chiesa oggi chiede è la confessione sacramentale, ma poi anche la riconciliazione con Dio e anche con coloro che eventualmente abbiamo offeso o ci hanno offeso.

D. - Tantissimi giovani che si avvicinano al Sacramento della Confessione il 2 agosto alla Porziuncola…

R. - Naturalmente sia il giorno 1 che il giorno 2 agosto sono a disposizione tantissimi sacerdoti per le confessioni. Sono veramente due giornate pienissime, ore e ore in cui tantissima gente si avvicina al Sacramento della Riconciliazione.

D. - Momento di festa il 2 agosto l’arrivo della Marcia Francescana…

R. - Ormai sono più di 30 anni che si fa la Marcia Francescana. I giovani marciano, ciascun gruppo nella propria regione, con i frati rispettivi: l’ultimo giorno - cioè il 2 - si portano nei pressi di Santa Maria degli Angeli e quindi tutti i gruppi, di tutte le regioni, si ritrovano sulla piazza di Santa Maria degli Angeli, accolti dal nostro ministro generale. E’ una festa bellissima!

D. - Come si svolge la Marcia?

R. - Sono 20-25 chilometri al giorno che si fanno, con lo zaino pesante, per strade interne, in una campagna bellissima; si dorme nelle parrocchie, nelle scuole, nei vari luoghi che ci mettono a disposizione con tanta generosità e spirito di accoglienza. Questo crea uno spirito di essenzialità nei giovani, uno spirito di fraternità, di sostegno reciproco e naturalmente di fede: perché si inizia con la preghiera e si parte; ci si riposa naturalmente, ci si rifocilla e poi il pomeriggio c’è una catechesi, c’è la celebrazione eucaristica naturalmente. Ci sono momenti anche di festa nelle piazze dei luoghi dove si giunge: la gente è molta contenta, molto generosa quando ci accoglie. Ci sono paesini che preparano la cena… E’ un esempio per molti vedere queste centinaia di giovani, perché oggi si parla molto di giovani come dissipati, come sperduti: invece no, c’è una bellissima gioventù che cerca lo Spirito, che cerca il Signore, che cerca nella fede un incontro personale con il Signore. C’è una domanda che questi giovani si fanno: “Cosa devo fare?”, come Francesco a San Damiano. “Cosa devo fare, Signore? Qual è la tua volontà nella mia vita?”.

inizio pagina

Tweet del Papa: soldi e potere, idoli che prendono il posto di Dio

◊  

Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet sull’account @Pontifex: “Quando non si adora Dio, si diventa adoratori di altro. Soldi e potere sono idoli che spesso prendono il posto di Dio”.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Il buio oltre la tregua: più di cento palestinesi uccisi in una nuova ondata di raid dopo il presunto rapimento di un soldato israeliano.

Il testimone più antico: il direttore sull'evangeliario di Vercelli che fu commissionato da Eusebio, con gli articoli di Anna Cerutti e Timoty Leonardi, e di Tito Orlandi sulle tecnologie per la decifrazione e lo studio dei testi.

Il Papa e Kafka: Vincenzo Bartolone su un'originale rilettura del discorso di Paolo VI al'Onu.

La perfidia cancellata: Anna Foa a proposito di uno stereotipo antisemita fra liturgia e storia.

Dall'Arirang alla Korea wave: Marcello Filotei su una tradizione musicale che si rinnova.

Lasciare l'Iraq non è una soluzione: intervista di Jean-Marie Guénois al patriarca di Babilonia dei Caldei.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Il card. Barbarin: nei cristiani iracheni abbiamo visto la forza della fede

◊  

Si è conclusa in Iraq la visita di solidarietà di una delegazione di vescovi francesi alle comunità cristiane del Paese. Particolarmente commovente è stato l’incontro con i cristiani cacciati da Mossul. Ascoltiamo, al microfono di Cyprien Viet, la testimonianza del cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, che ha partecipato alla missione: 

R. - En eux, nous avons vu la force de la foi…
In loro, abbiamo visto la forza della fede. Abbiamo visto le loro lacrime, abbiamo ascoltato i loro racconti, abbiamo visto i loro volti scoraggiati. Poi abbiamo cantato nella cattedrale di Kirkuk con la piccola corale di giovani: i loro canti sono stati bellissimi, siamo stati felici di essere insieme e io ho promesso di dire il Padre Nostro in caldeo ogni giorno … e l’ho recitato davanti a loro, ancora un po’ stentato, perché l’avevo imparato a memoria … E loro sono stati contenti, è venuta una grande allegria, hanno applaudito, abbiamo cantato: c’era gioia perché era un vero incontro. Nella sua cattedrale, il vescovo di Kirkuk ha detto: “Prima eravamo senza voce, ora invece la nostra voce è ascoltata”. Questa è stata la mia gioia più grande. Il Patriarca mi ha detto: “Vedo il loro morale rinascere giorno dopo giorno”. Hanno compreso che in Francia c’è gente che si sta interessando molto a loro.

D. – Lei ha potuto percepire, tra i fedeli di Lione, una presa di coscienza e la volontà di mettere in opera una catena di solidarietà e di fratellanza per aiutare i cristiani iracheni?

R. – Oui, vraiment, tout à fait, de que mon voyage è été annoncé …
Sì, in realtà, da quando ho annunciato il mio viaggio sono arrivati tantissimi doni e la gente diceva: “Per i cristiani d’Iraq, per i cristiani d’Iraq” … E sono sicuro che ancora si stanno raccogliendo denari e questi andranno ai profughi di Mossul. Il vescovo di Mossul non ha il diritto di rimanere nella sua città, quindi è un vescovo esiliato, insieme a tutti i suoi cristiani: ci sono tra gli 8 e i 10 mila cristiani che sono stati espulsi da Mossul e che si trovano ora sparsi in moltissimi luoghi, 30 famiglie di qua e 25 famiglie di là … E lui va a visitarli … 

inizio pagina

Gaza. Nessuna tregua, scambio accuse Israele-Hamas

◊  

Sono almeno 35 i palestinesi rimasti uccisi stamattina nel bombardamento israeliano su Rafah, mentre sono oltre cento da ieri, dopo la rottura della tregua umanitaria durata solo poco più di un’ora. Israele cerca il soldato scomparso, mentre si continua la conta dei morti dall’inizio dell’offensiva: in 26 giorni sarebbero morti 1.650 palestinesi, in massima parte civili. Oltre 60 le vittime da parte israeliana, in maggioranza soldati. Francesca Sabatinelli

Forse rapito, forse rimasto ucciso nei combattimenti. La sorte del soldato Hadar Goldin è ancora sconosciuta, con scambi di accuse tra Israele e Hamas mentre la tregua umanitaria è fallita e sono ripresi i raid su Rafah e il lancio di razzi da Gaza. Hamas nega il sequestro: la scomparsa di Goldin, secondo la dirigenza del movimento palestinese, è servita da scusa agli israeliani per intensificare gli attacchi che starebbero per condurre, secondo i portavoce militari dello Stato ebraico, alla totale distruzione dei tunnel nella Striscia di Gaza. Ma gli israeliani sono convinti che a prelevare il 23enne siano stati proprio i miliziani. A questo momento sono oltre 1.600 i morti palestinesi contati dall’8 luglio. Intanto, fonti del governo israeliano fanno sapere che non sarà inviata alcuna delegazione al Cairo per nuovi colloqui sul cessate il fuoco perché – si afferma – “Hamas non è interessato ad alcun accordo”. Nella capitale egiziana, invece, è attesa la delegazione palestinese. L’iniziativa egiziana è l’unica via d’uscita per fermare il conflitto e bloccare l’emorragia di sangue palestinese, ha dichiarato il presidente egiziano Al Sissi, che ha ribadito la necessità di dare uno Stato ai palestinesi. E dal Cairo, dove ha incontrato il premier italiano, ha poi lanciato un appello comune con Renzi per la “distensione e il cessate il fuoco a Gaza”.

inizio pagina

Sermig Torino: stasera marcia per i cristiani perseguitati

◊  

Il Sermig di Torino celebrerà la festa di “Maria Madre dei Giovani” con una marcia della speranza che partirà stasera, alle 20, dall’Arsenale della Pace fino a raggiungere la chiesa russo-ortodossa Parrocchia San Massimo. Una ricorrenza che verrà celebrata anche nelle diocesi di Madaba, in Giordania, e di San Paolo, in Brasile, dove sono presenti gli altri Arsenali della pace  delSermig. L’icona della "Madonna dalle tre mani", segno di unità e di dialogo con i cristiani di tutte le confessioni, accompagnerà la preghiera per ricordare i cristiani perseguitati in Iraq e nel resto del mondo. Paolo Giacosa ha intervistato Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, nel suo 50° anniversario dalla nascita: 

R. – Prima di tutto, è un marcia di ringraziamento perché da una piccola preghiera che abbiamo scritto è partita una storia che non avremmo mai immaginato. Qando Giovanni Paolo II conobbe questa preghiera, la volle fare sua e la firmò. Quando la conobbe Papa Benedetto, il 3 febbraio del 2006, mise anche lui con molto piacere la sua firma e poi il 5 ottobre dell’altro anno ho avuto la grande gioia di stare un po’ di tempo con Papa Francesco, il quale ha posto anche lui la firma. Quindi, pensare che una piccola preghiera scritta da noi – intitolata “Maria è dai giovani che parte il futuro” – ci è stata firmata da tre Papi è qualcosa di commovente, che ci dà una grande responsabilità. Allora, ne abbiamo parlato con il nostro padre vescovo che è stato molto contento, ci ha chiesto di scegliere una data e noi abbiamo scelto quella del 2 agosto, perché il 2 agosto dell’83 siamo entrati all’Arsenale. Quest’anno, però, serve anche a ricordare che, in oltre 50 Paesi del mondo, noi cristiani siamo perseguitati. Dico noi perché dobbiamo sentirci un cuor solo e un’anima sola. Oltre 150 milioni di cristiani sono perseguitati nel mondo: nell’87, c’era un milione 400 mila cristiani in Iraq e oggi ce ne sono 300 mila. Mentre stasera marceremo ricorderemo i nostri fratelli che sono morti e coloro che hanno paura.

D. – La preghiera per i cristiani perseguitati abbraccerà tutte le altre diocesi, non solo quella di Torino dove sono presenti Arsenali Sermig…

R. – Esatto. A Madaba in Giordania ci sarà il vescovo che marcerà e pregherà con noi. In Brasile, ci sarà il cardinale di San Paolo che sarà con noi nel momento di preghiera.

D. – L’icona della "Madonna delle tre mani" ha una storia interessante, un segno di dialogo tra tutti i cristiani. Ce la può raccontare?

R. – E’ una storia nata, io penso, nel cuore di Dio, perché non avremmo mai immaginato una cosa del genere. Ho pensato che questa icona arrivasse dalla Russia: in un documentario che la Rai aveva trasmesso, un monaco - questo fa parte della storia - andò da Stalin e riferì che un angelo gli aveva detto che se Stalin avesse messo su un aereo militare l’icona della Madonna e le avesse fatto fare tre giri intorno a Mosca, la Madonna avrebbe protetto la città e così è avvenuto. Poi, ho chiesto a un amico non credente se ci poteva regalare un’icona che arrivasse dalla Russia, lui accettò e telefonò ad un suo amico di Mosca chiedendo di comprargli un’icona che avesse anche un valore di antichità. Quando ce la diede abbiamo scoperto che aveva tre mani. C’è, infatti, la storia di Giovanni Damasceno che era stato punito dall’emiro che gli fece tagliare una mano perché non dipingesse più. Giovanni Damasceno però riuscì a riprendersi la mano: pregò tutta la notte la Madonna e si risvegliò con la mano a posto. Per riconoscenza, mise una mano d’argento come terza mano: questa icona è sul Monte Athos.

D. – La marcia di stasera è organizzata nel 50.mo anniversario della fondazione del Sermig. Avete compiuto tanta strada, ma la via della pace è ancora impegnativa. Quali sono i vostri progetti futuri?

R. – Di continuare a credere che Dio voglia entrare sempre più in relazione con l’umanità, ma un’umanità che viva Isaia: "Ci sarà un tempo in cui le armi non saranno più costruite e l’uomo non imparerà più l’arte della guerra". La nostra speranza è che veramente le tre religioni riconoscano che siamo tutti figli di Dio. Oggi non è così, ma noi continuiamo a sperare che questo possa avvenire. Se noi siamo in Giordania è perché speriamo di poter portare un piccolo contributo nel dialogo. Così come speriamo che, attraverso la carità, attraverso l’accoglienza dello straniero, l’accoglienza del carcerato e la visita degli ammalati, possiamo rivivere il concetto dell’amore di cui ci parla Gesù.

inizio pagina

Ebola, un missionario in Sierra Leone: "Prevenzione difficile"

◊  

Allarme dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sull’epidemia di ebola in Guinea Conakry, Sierra Leone e Liberia. La malattia, spiegano gli esperti, “avanza più velocemente degli sforzi per controllarla”. Decisa una riunione d’emergenza per il prossimo 6 agosto, oltre a provvedimenti per arginare il contagio. Le vittime accertate sono ormai oltre 700. La compagnia aerea Emirates ha sospeso i voli verso Conakry, mentre le autorità di Francia e Italia sconsigliano i viaggi nelle tre nazioni colpite. Per una testimonianza sulla situazione, Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente in Sierra Leone padre Carlo Di Sopra, superiore dei Missionari Saveriani nel Paese: 

R. - Il processo è questo: la gente, prima di tutto, è incredula. Pensa secondo le voci che circolano. All’inizio, era un “dire comune” che questa cosa qui non esistesse e quindi non si sono prese precauzioni. Nelle nostre chiese, siamo stati un po’ i primi a sospendere le riunioni, a parlarne, a prendere per esempio delle precauzioni, a diluire varecchina in acqua per lavarsi le mani all’entrata delle chiese e delle case… Siccome questo virus si contagia con il contatto, abbiamo anche abolito lo scambio del segno della pace in chiesa, incoraggiando poi la gente a essere prudente anche nei contatti. Un po’ alla volta sta entrando questa mentalità di difendersi. Il 31 luglio scorso, il presidente ha dichiarato lo stato di emergenza. E meno male, perché con questa presa di posizione adesso speriamo che la gente sia veramente più attenta, perché l’unica maniera di fermare questo virus è cambiare alcuni comportamenti, che sono anche culturali.

D. - Quindi, c’è una difficoltà ad abbandonare queste pratiche?

R. - E’ veramente molto difficile, perché qui la vicinanza - soprattutto nella famiglia - è una cosa essenziale. Quando qualcuno sta male, la prima cosa che si fa è andare a trovarlo. Non è come da noi che quando qualcuno sta male, si chiude in stanza… Loro hanno bisogno di sentire la vicinanza delle persone, della famiglia prima di tutto e poi della loro comunità. Con l’ebola non è possibile fare questa cosa. Quindi, anche chi si ammala ha il terrore dell’isolamento. Anche al momento del funerale c’è il lavaggio del corpo e poi la vicinanza: sono cose che loro veramente vivono… E’ difficile cambiare questi comportamenti. La gente non capisce e da lì vengono fuori tante storie, che fanno sì che subentri il terrore e che la gente vada a nascondersi e preferisca andare nei villaggi all’interno della foresta… Così il contagio si propaga. C’è da dire che c’è poco personale e gli ospedali non sono pronti per questo, hanno una stanza dove possono mettere i malati. In tutta la nazione c’è un centro solo, a Kenema, nel sud, dove fanno questi esami.

D. - E’ capitato che le persone si rivolgessero ai guaritori tradizionali, alle autorità tradizionali. Per vincere queste resistenze culturali, non si potrebbe cercare di lavorare anche con queste particolari figure?

R. - Adesso lo stanno facendo, però è una cosa molto complessa. La comunicazione è scarsa, la televisione non c’è… Sensibilizzare la gente qui è molto, molto difficile perché devi parlare anche la lingua: sono in tanti villaggi, in posti nascosti. Quindi è veramente molto, molto difficile raggiungere un po’ tutti. Molti sono scappati addirittura dagli ospedali o sono stati presi dai familiari e portati da questi guaritori…

inizio pagina

Bimbo Down supera la cultura dello scarto: la vicenda di Gammy

◊  

Sta facendo discutere in tutto il mondo la decisione di una coppia australiana che, dopo aver avuto due gemelli da una madre surrogata in Thailandia, ha deciso di abbandonare il maschio di nome Gammy, affetto da sindrome di Down, e di tenere soltanto la sorellina. La notizia, riportata dalla Bbc, è stata subito ripresa dai social network. Il bimbo, ora di 6 mesi, ha una grave patologia cardiaca e ha bisogno di cure urgenti. La mamma naturale, una giovane thailandese di 21 anni che ha rifiutato l’aborto, ha già due figli e ha coraggiosamente deciso di occuparsi del piccolo: ha chiesto però aiuto, perché i 15 mila dollari che ha ricevuto per prestare il proprio utero - inizialmente destinati agli studi dei due figli - non sono sufficienti a far curare Gammy. Un giornale thailandese ha lanciato una campagna di solidarietà, che ha già raccolto 120.000 dollari. Sulla vicenda, Giada Aquilino ha raccolto il commento di Filippo Maria Boscia, docente di Bioetica all’Università di Bari e presidente dell’Associazione medici cattolici italiani: 

R. - Quando la tecnica lascia credere che tutto sia possibile, l’individuo l’interpreta come "tutto mi è dovuto" e il suo desiderio viene battezzato come un diritto. E lo stesso individuo intende far valere sempre con forza tale diritto presso le tutte le autorità sociali. In questo momento, siamo in un’isteria del progresso. Il diritto al figlio sta diventando "diritto al figlio perfetto". Quindi, in sostanza, l’effetto principale è che quando la scienza e la tecnica vengono applicate al procreare si lascia uno spazio aperto ad una serie di nuove libertà e nuovi domini della natura. La madre che ha portato avanti la gestazione si è invece preoccupata di guardare alla centralità del figlio: è questo l’elemento principale. E’ importante che in tutto il mondo si prenda coscienza che, quando si passa nella fase della procreazione, non sono più un uomo e una donna soltanto ad avere il dominio e la decisionalità di tutto, ma c’è un terzo componente importante: l’embrione.

D. - Papa Francesco più volte ha parlato della “cultura dello scarto”, le cui vittime - ha detto - sono proprio gli esseri umani più deboli e fragili, ad esempio i nascituri. Perché si è arrivati a questo punto?

R. - Perché la scienza mortifica lo statuto dell’embrione. I diritti dell’embrione devono essere fatti valere, ma chi accetta in questa società così modificata di difenderli? Noi abbiamo un silenzio, una mortificazione circostante, che agisce proprio come anestesia sociale. E questo consente pure che i tecnici si spingano oltre misura, anche con dei gesti che praticamente vengono dati come semi del progresso, ma sono semi della minaccia. Giustamente, Papa Francesco considera che ci debbano essere specifiche norme, diciamo speciali. Io direi che le norme della coscienza devono impedire ai poteri forti di utilizzare le metodiche riproduttive in maniera impropria, o seguendo un’onda di collettiva emulazione. Noi, soprattutto noi cattolici, non possiamo tacere.

D. - Proprio il Pontefice ha denunciato il rischio di essere scartati, espulsi da un ingranaggio che deve essere efficiente a tutti i costi. E’ il caso di Gammy?

R. - E’ quello che è successo. Questo bambino è nato, ma ci sono Centri italiani nei quali nel momento in cui viene riscontrato un bambino Down, al terzo mese di gravidanza, si fa una iniezione endouterina e quel bambino viene già scartato ancor prima di nascere, consentendo solo al sano di poter venire alla luce. Salvo poi a registrare casi come quello di Milano, dove un bambino che doveva essere scartato era invece sano…

D. - Dall’utero in affitto al rifiuto di un figlio con sindrome di Down: al di là della fede, dell’etica, è una questione di dignità umana che è in gioco?

R. - L’utero in affitto è già praticamente un attacco all’embrione e alla dignità umana. Mina la genitorialità che diventa asimmetrica, mina la genetica che, in sostanza, si rende responsabile delle trasmissioni delle malattie. Compromette il rapporto educazionale e relazionale, può creare delle crisi di identità, ma soprattutto crea delle situazioni di abbandono della vita che si dice ‘non degna’ di essere vissuta.

D. - Cosa augurarsi per Gammy, il bambino nato in Thailandia?

R. - Augurerei che siano in molte le coppie del mondo capaci di sostenere lo splendido atto di coraggio che la donna thailandese ha avuto. Forse, questo bimbo è il testimone credibile e vivente di quello che è invece il "guasto"’ che queste tecniche hanno portato.

inizio pagina

Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

◊  

Nella 18.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Gesù ha compassione della grande folla che lo ha seguito in un luogo deserto e non ha nulla da mangiare. Ai discepoli che gli consigliano di invitare la gente a comprare altrove il cibo, dice:

«Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare».

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 

Gesù, che ha udito della morte di Giovanni Battista, parte su una barca per un luogo deserto. Quando vi giunge trova una grande folla che lo ha preceduto e lo attende e, come sempre capita in queste occasioni, egli sente “compassione” per questa gente. Lasciamoci sorprendere anche noi da questa tenerezza divina. Noi, che siamo sempre pronti a “dare” qualche cosa a Dio in cambio di qualche favore, a fare i nostri atti religiosi pur di averne in cambio protezione e salute…, non siamo abituati a questa iniziativa divina, ai doni gratuiti di Dio. Gesù “sente compassione” – il verbo greco fa qui riferimento alle viscere materne, non solo come tenerezza, ma come l’atto proprio della madre di dare la vita al figlio. Il gesto di Gesù di sfamare la moltitudine fa conoscere il cuore di Dio. È la stessa “misericordia divina” che qui viene fatta presente, sono quelle “viscere di misericordia” che hanno creato l’uomo, che lo accolgono, lo curano, lo rigenerano nel perdono dentro quell’altoforno dell’amore gratuito di Dio. Il Signore ha poi dato ai suoi discepoli il potere di continuare a moltiplicare il “pane della vita” per la fame dell’uomo, a portare questo pane fino ai confini della terra. Oggi esso viene offerto gratuitamente anche a noi, come segno di comunione con Dio, come garanzia di comunione fraterna nella Chiesa, come sigillo di partecipazione alla vita eterna; mangialo, perché questo pane può soddisfare ogni tuo desiderio, e ne avanzerà anche perché tu lo porti a tutti gli uomini della terra.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Patriarchi di Gerusalemme: cacciata dei cristiani da Mossul, crimine contro l’umanità

◊  

Mentre si moltiplicano in tutte le comunità cristiane nel mondo gli annunci di liturgie, preghiere e digiuni per chiedere la pace a Gaza e in tutto il Medio Oriente, da Gerusalemme giunge una nuova ferma condanna delle persecuzioni perpetrate dalle milizie jihadiste dell’Isis contro i cristiani in Siria e in Iraq.

In una dichiarazione congiunta, i Patriarchi e leader delle Chiese della città esprimono “orrore e shock”, in particolare per la sorte toccata ai cristiani di Mossul, costretti a scegliere tra l’abiura, la morte e la fuga. “I tragici eventi di questi giorni significano che, per la prima volta nella storia dell’Iraq, Mossul sarà una città senza cristiani”, si ricorda nella nota che rivolge un pressante appello ai governi e popoli della regione a denunciare questi “crimini contro l’umanità” e a fermare ogni atto di fanatismo che, si legge, “non rappresenta alcuna religione o civiltà umana”.

Intanto, il Patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael Sako, ribadisce la necessità di una “soluzione politica” che permetta ai cristiani di rimanere in Iraq e “di vivere in sicurezza, e con pari dignità con tutti”, piuttosto che ospitarli all’estero. Nei giorni scorsi – come è noto - la Francia e altri Paesi avevano dato la disponibilità ad accogliere cristiani di Mossul facilitando la concessione di visti. In un messaggio ripreso dall’agenzia Asianews il Patriarca Sako ringrazia per la proposta, ma sottolinea che "lasciare la nostra patria significa distruggere la memoria della nostra lunga storia". “Se la Francia e gli altri Paesi vogliono davvero aiutare – aggiunge - devono farlo incoraggiando queste famiglie a restare, inviando loro degli aiuti d'urgenza per lenire il loro dolore e contribuire alla costruzione di alloggi nelle città dove possano vivere in sicurezza". (L.Z.)

inizio pagina

I vescovi neozelandesi chiedono al Papa una Veglia di preghiera per Gaza

◊  

Indire una Veglia di preghiera per la pace a Gaza e in tutto il Medio Oriente, così come quella svoltasi il 7 settembre 2013, in Piazza San Pietro, per la Siria: è l’invocazione che la Conferenza episcopale della Nuova Zelanda presenta a Papa Francesco, tramite una Lettera aperta. Nella missiva, a firma di mons. John Dew, arcivescovo di Wellington, i presuli esprimono “tristezza ed angoscia per il terribile conflitto a Gaza” e sottolineano il loro “senso di impotenza”, alleviato soltanto dalla “preghiera costante per la fine del conflitto e la risoluzione delle questioni di lunga data che sono alla base di esso”.

Quindi, i vescovi della Nuova Zelanda informano il Santo Padre di aver incoraggiato i fedeli locali a “sostenere il lavoro della Caritas di Gaza”, raccogliendo fondi per l’aiuto umanitario. E non solo: “Abbiamo invitato i credenti – scrivono i vescovi – a pregare, da soli e in comunità, per la fine del conflitto”, ma “molto ancora resta da fare”, poiché “per coloro che vivono in pace è obbligatorio fare tutto il possibile per portare la riconciliazione agli altri”. La Chiesa di Wellington sottolinea, poi, i numerosi danni provocati dal conflitto israelo-palestinese all’economia di Gaza e l’impossibilità, per le persone, “di esercitare il proprio diritto a diventare rifugiati, attraversando il confine e sfuggendo ai combattimenti”.

Guardando, inoltre, all’invocazione per la pace in Medio Oriente svoltasi in Vaticano l’8 giugno scorso, per volere del Papa, alla presenza di Peres e Mahmoud Abbas, capi di Stato di Israele e Palestina, i vescovi ne sottolineano l’importanza, definendolo “un avvenimento mai visto prima”. “Sappiamo – scrivono ancora -  che Lei, Santità, userà tutta la leadership morale inerente al suo ruolo per fare il possibile affinché si ponga fine ai combattimenti e si raggiunga una pace vera e duratura tra Palestina ed Israele”. Infine, i presuli neozelandesi fanno proprio l’appello della Parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza e chiedono al Pontefice, “autentico testimone del Vangelo”, di indire una Veglia di preghiera “globale” per porre fine “a tale immenso disastro”. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Il vescovo di Cheju: visita Papa, speranza di pace tra le due Coree

◊  

Gratitudine personale al Santo Padre, ma anche la speranza che la sua visita possa rilanciare il processo di riconciliazione tra Nord e Sud Corea. Con questi sentimenti mons. Peter U-ill Kang, vescovo di Cheju e presidente della Conferenza episcopale coreana, attende il prossimo incontro con Papa Francesco. In un colloquio con l’agenzia Ucan, il presule parla delle aspettative della Chiesa coreana dal viaggio (13-18 agosto), ma anche di temi spinosi come la situazione in Nord Corea e la riunificazione e dell’attuale situazione della Chiesa sudcoreana.

Quanto al tema della riunificazione, che continua ad essere una ferita aperta per il popolo coreano, il presule si dice relativamente fiducioso che la situazione evolverà in un futuro non troppo lontano. “Siamo divisi solo dal 1945, ma siamo lo stesso popolo, abbiamo la stessa lingua e cultura”, ha detto. “L’attuale situazione in Corea del Nord non può reggere ancora a lungo: è nella fisiologia delle cose”. Secondo mons.  U-ill Kang , i cambiamenti a Pyongyang partiranno dall’interno e ci sono già sporadici  ma importanti segnali di ribellione contro il regime. Queste ribellioni – spiega - non hanno motivazioni politiche, ma sono dettate dalle difficili condizioni di vita nel Paese: “La fame è un motore di ribellione più forte degli ideali di democrazia e giustizia”.

Nell’intervista il vescovo di Cheju si sofferma anche sulla situazione interna alla Chiesa in Sud Corea, in particolare sulle divisioni nel clero coreano, di cui parlano i media, tra i sostenitori di posizioni considerate più “progressiste” e posizioni “conservatrici”. A suo parere non si tratta tanto di divisioni dottrinali, quanto piuttosto di due diverse “visioni” del ruolo Chiesa: una che la vorrebbe più presente sui temi sociali, sull’esempio del cardinale Kim durante gli anni della dittatura, l’altra che invece  ritiene che questo non sia suo compito. Secondo alcuni, ha aggiunto il presule, la visita del Papa potrebbe essere un’occasione per rilanciare il tema delle disparità e ingiustizie sociali che penalizzano soprattutto i giovani in Sud Corea, alla luce della dottrina sociale della Chiesa che è poco conosciuta dai fedeli. “L’episcopato dovrebbe impegnarsi di più su questo fronte, ma questo richiederà tempo”, ha concluso mons.  U-ill Kang. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Nicaragua. Appello dei vescovi: no a terrorismo, sì al dialogo

◊  

“Una condanna assoluta di atti di terrorismo ingiustificati” è quella pronunciata dalla Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen) in una nota a firma del presidente, mons. Sócrates René Sándigo Jirón. Il documento fa riferimento a quanto avvenuto il 19 luglio scorso nel Paese: cinque persone sono morte e altre 24 sono rimaste ferite in due attentati provocati da gruppi di uomini armati contro un convoglio di autobus che riportava a casa militanti pro-governativi, reduci dalle celebrazioni del 35.mo anniversario della Rivoluzione Sandinista a Managua.

Esprimendo “dolore” per l’avvenimento e volendo offrire, in quanto Chiesa, “una parole di luce e di consolazione”, la Cen auspica che le autorità identifichino quanto prima “i veri colpevoli di questi terribili massacri”. Di fronte, poi, a “persecuzioni, detenzioni ingiuste, sparizioni inspiegabili di persone, terrore e morte che si sono scatenate in alcune città del Paese”, i presuli esortano la popolazione a “non cedere alla tentazione della vendetta violenta”, perché “non bisogna confondere la giusta pena, che il colpevole deve espiare per il crimine commesso, con l’odio e la vendetta”. Se si agisse così, sottolinea la Cen, ne deriverebbe “un’escalation di violenza ancora più grande e più dolorosa che non lascerebbe spazio al ristabilimento della giustizia ed alla convivenza pacifica nella società”.

Quindi, la Chiesa locale si appella a polizia ed esercito affinché realizzino “indagini e detenzioni sempre legittime e necessarie”, “conformi a quanto stabilito dalla Convenzione Onu sui diritti umani, che sancisce che ogni sospettato deve essere trattato come se fosse innocente”. Essenziale, quindi, il rispetto dei diritti umani da parte delle forze dell’ordine, le quali non devono ricorrere a “pressioni, intimidazioni, tortura e violenza contro nessuno”, perché “pretendere di ristabilire la giustizia agendo in modo ingiusto ed utilizzando metodi propri del terrorismo è un errore gravissimo”. “È urgente porre fine ad ogni abuso delle autorità”, ribadisce ancora la Cen, poiché “in uno Stato democratico tutti abbiamo la responsabilità irrinunciabile di contribuire alla giustizia ed alla pace”.

Di qui, l’invito finale del messaggio episcopale a “cercare sempre soluzioni pacifiche attraverso il rispetto reciproco, il dialogo e la tolleranza”, impegnandosi “nella promozione e nella tutela della vita e della dignità di ogni essere umano, senza farsi travolgere dalla forza irrazionale della violenza, l’uno contro l’altro”. Il documento della Cen si conclude, quindi, con un’invocazione a “Maria, Regina della pace”. (I.P.)

inizio pagina

Canada. I vescovi: ricordare la Grande Guerra impegnandosi per la pace

◊  

“Il 100.mo anniversario dell’inizio della prima Guerra mondiale deve diventare, per i cristiani, l’occasione per rinnovare il loro impegno personale per la pace”: è l’auspicio di mons. Paul-André Durocher, arcivescovo di Gatineau e presidente della Conferenza episcopale canadese. Il presule ha diffuso una nota per commemorare l’ingresso in guerra del Canada, avvenuto il 4 agosto 1914, a fianco della Gran Bretagna e contro la Germania che aveva invaso il Belgio.

Nel suo messaggio, l’arcivescovo di Gatineau invita innanzitutto a “distinguere tra la guerra e le vittime che essa provoca”, poiché “non bisogna mai celebrare od onorare gli orrori dei conflitti, cioè le città incendiate, i monumenti distrutti, i campi devastati, le fabbriche bloccate”; al contrario, è necessario “onorare i soldati che, convinti di combattere il male, hanno accettato di sopportare la miseria, il dolore, le ferite e la morte”. “I soldati sono stati le prime vittime della guerra – scrive mons. Durocher – e questo non va dimenticato; piangiamo la loro morte, rammarichiamoci per la loro vita troppo breve e, in loro ricordo, impegniamoci a costruire la pace”.

Il presidente dei vescovi canadesi, quindi, definisce “inestimabile” il ruolo delle “cappellanie militari”: “I sacerdoti, i diaconi ed anche i laici che accompagnano i soldati e le loro famiglie – spiega - donano consigli ed incoraggiamento, vegliano sui militari, pregano per loro e con loro”. “I cappellani militari – sottolinea ancora il presule – sono veri fari di speranza, soprattutto nelle zone buie di combattimento”.

L’arcivescovo di Gatineau, poi, cita le parole di Paolo VI nell’Enciclica Populorum Progressio, ossia “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace” (n. 87) e sottolinea che “la guerra si nutre di disoccupazione, fame, oppressione, disperazione”. Per questo, spiega, “bisogna costruire la pace attraverso la costruzione di un mondo più giusto”. I cristiani, dunque – è l’esortazione conclusiva del presule – siano “testimoni impegnati per la giustizia e la pace”, “fedeli discepoli ed ardenti missionari del Principe della pace”, soprattutto oggi, tempo in cui “la guerra può essere davvero distruttiva ed omicida”, rendendo “quanto mai urgente l’annuncio del Vangelo”. (I.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 214

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.