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Sommario del 03/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all’Angelus: Gesù ci insegna ad anteporre le necessità dei poveri

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Papa Francesco all’Angelus, soffermandosi sul passo evangelico odierno che ci presenta il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, ricorda il messaggio indicato da Gesù in questo Vangelo. Compassione, condivisione ed Eucaristia – ha spiegato il Santo Padre – costituiscono il cammino “che ci porta ad affrontare con fraternità i bisogni di questo mondo”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il passo Vangelo sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci – ha ricordato il Papa - indica tre strade: quella della compassione, della condivisione e dell’Eucaristia. “Avere compassione – ha detto il Santo Padre - significa immedesimarsi nella sofferenza altrui”. Non è semplicemente sentire pietà:

“Così è Gesù: soffre insieme a noi. Soffre con noi, soffre per noi. E il segno di questa compassione sono le numerose guarigioni da Lui operate. Gesù ci insegna ad anteporre le necessità dei poveri alle nostre. Le nostre esigenze, pur legittime, non saranno mai così urgenti come quelle dei poveri, che non hanno il necessario per vivere. Noi parliamo spesso dei poveri, ma quando parliamo dei poveri, sentiamo che quell’uomo, quella donna, quei bambini non hanno il necessario per vivere”?

Il secondo messaggio è quello della condivisione. E’ questa la logica di Dio, contraria a quella per cui ciascuno pensa solo a sé stesso:

“Quante volte noi ci voltiamo da un’altra parte pur di non vedere i fratelli bisognosi! E questo guardare da un’altra parte è un modo educato per dire, in guanti bianchi, ‘arrangiatevi da soli’. E questo non è di Gesù: questo è egoismo… Quei pochi pani e pesci, condivisi e benedetti da Dio, bastarono per tutti. E attenzione: non è una magia, è un ‘segno’! Un segno che invita ad avere fede in Dio, Padre provvidente, il quale non ci fa mancare il ‘nostro pane quotidiano’, se noi sappiamo condividerlo come fratelli!”.

Il terzo messaggio è quello dell’Eucaristia. Gesù dona “il pane di vita eterna”. Dona sé stesso:

“Ma noi dobbiamo andare all’Eucaristia con quei sentimenti di Gesù, cioè la compassione, e con quella voglia di Gesù – di condividere. Chi va all’Eucaristia senza avere compassione dei bisognosi e senza condividere, non si trova non bene con Gesù” …

Compassione, condivisione, Eucaristia. “Questo è il cammino – ha concluso il Papa – che ci porta ad affrontare con fraternità i bisogni di questo mondo”. Dopo l’Angelus il Pontefice ha rivolto il suo saluto ai coraggiosi fedeli -sotto la pioggia – giunti a Roma da diversi Paesi. Il Santo Padre ha salutato, infine, gli scout dell’Agesci ricordando le migliaia di scout italiani in cammino verso il grande raduno nazionale a San Rossore.

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“Papa Francesco e le donne“: un libro sulla “questione femminile“ nella Chiesa

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Le religiose cattoliche nel mondo sono oltre 700 mila, mentre i religiosi - esclusi i sacerdoti – sono circa 55 mila. I vescovi sono oltre 5.100 e i sacerdoti più di 414.000. Sono alcuni dei dati, arricchiti da riflessioni e testi in cui il Pontefice si è soffermato sulla “questione femminile” nella Chiesa cattolica, al centro del libro “Papa Francesco e le donne”, scritto dalle storiche e giornaliste Lucetta Scaraffia e Giulia Galeotti. Su questo tema Giada Aquilino ha intervistato Lucetta Scaraffia: 

R. – E’ un tema che sta emergendo con molta forza, perché da una parte c’è il Papa che dice delle cose forti e nuove sulle donne e dall’altra i cambiamenti che invece vengono realizzati sono ancora molto modesti. Quindi in questa – diciamo – discrepanza, nascono molto domande. Molti si domandano: “Qual è il reale atteggiamento di Papa Francesco nei confronti delle donne?”. Noi abbiamo cercato di rispondere pretendendo in esame i documenti e tutte le frasi che Papa Francesco ha detto sulle donne, che sono tante, sparse in tanti documenti. Non c’è mai stato un discorso compatto sulle donne: sono più che altro frasi dette qua e là. E poi, invece, abbiamo cercato di inserire questo suo atteggiamento dentro la storia della Chiesa e in particolare dentro la storia degli ultimi papati.

D. – Il Papa invita a fare una profonda teologia della donna. Cosa significa?

R. – Significa che non pensa che la situazione che c’è oggi nell’emarginazione delle donne nella Chiesa possa essere risolta semplicemente – diciamo – dando più potere alle donne, allargando a loro dei ruoli decisionali, perché questo sarebbe semplicemente - in qualche modo – un adeguarsi a quello che già avviene nella società laica. Invece il Papa pensa che se questo avvenga, debba avvenire all’interno di una riflessione più profonda, che coinvolga la tradizione della Chiesa, in cui c’è una forte presenza delle donne - nei Vangeli la presenza delle donne è fondamentale – nel riconoscere qualcosa che la Chiesa, la storia della Chiesa ha dimenticato e cioè che la Chiesa è fatta di donne e di uomini e che le donne sono state considerate da Gesù pari agli uomini.

D. – Lei scrive che il pensiero del Pontefice denuncia la condizione di subalternità in cui si trovano oggi le donne nella Chiesa. Qual è nello specifico?

R. – In tutte le riunioni in cui si decide il futuro della Chiesa non si sente la voce di una donna. E questo anche se le donne costituiscono il 60 per cento di tutti i religiosi e il clero. Quindi le donne sono una parte veramente importante della Chiesa: lavorano nella Chiesa, si sacrificano per la Chiesa e sono quelle che tengono in piedi la Chiesa in moltissime situazioni. Poi ci sono le donne laiche che sono anche molto importanti. Poi a questo si aggiunge poi il fatto che le donne non stanno in nessun organismo decisionale, come i Pontifici Consigli: a ruoli alti ce ne sono abbastanza, adesso tante, ma in ruoli molto subalterni.

D. – La Lettera apostolica “Mulieris Dignitatem” di San Giovanni Paolo II è stata definita da Papa Francesco come un documento storico, il primo del magistero pontificio dedicato interamente al tema delle donne. Lei scrive che ha fornito “una piattaforma teorica al femminismo cattolico”: cosa significa e, secondo lei, servirebbero altri documenti del genere? Lei scrive che “finora è stata scarsamente attuata”…

R. – Penso che forse basta anche quella, però dovrebbe essere attuata! Giovanni Paolo II ha detto che gli esseri umani sono divisi in uomini e donne. Le donne devono essere ugualmente rispettate; a loro devono essere state date uguali possibilità all’interno della Chiesa ed è necessaria questa differenza. Insiste molto sulla necessaria complementarietà fra donne e uomini e che quindi anche il clero, il sacerdote, ha bisogno delle donne per costruire una Chiesa.

D. – Parliamo delle donne cristiane perseguitate, cacciate dalle loro case, come ad esempio in questi giorni in Iraq, ma anche violentate, uccise… Cosa rappresentano per la Chiesa?

R. – In questi Paesi, dove le donne non sono rispettate, dove le donne sono violentate, dove sono trattate come oggetti, dove non possono scegliere la loro vita, la Chiesa rappresenta per loro un’occasione: un’occasione di risorgere, di essere rispettate, di essere considerate uguali agli uomini. Quindi in questi Paesi la Chiesa svolge un ruolo di emancipazione delle donne importantissimo e imprescindibile e, in gran parte, lo svolgono proprio le suore, le missionarie che le aiutano, in queste condizioni drammatiche, a ritrovare la loro dignità, a studiare e a trovare un lavoro. Lì la Chiesa svolge un ruolo - diciamo così - femminista molto forte.

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Alta affluenza di pubblico ai Giardini di Castel Gandolfo

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A quasi 5 mesi dall’apertura al pubblico dei Giardini delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, il bilancio è molto positivo: l’affluenza dei visitatori è rilevante ed è anche alta l’attenzione registrata da parte dei media di tutto il mondo. I giardini di Villa Barberini sono ricchi dal punto di vista archeologico e botanico: accanto ad alberi plurisecolari e a piante particolari come l’Ibiscus di colore bianco e giallo dedicato a Giovanni Paolo II, si conservano, infatti, i resti della villa dell’imperatore Domiziano e del suo anfiteatro. L’assetto dei Giardini è ancora sostanzialmente quello uscito dai lavori di attento restauro voluti da Pio XI tra il 1929 e il 1934. La visita è prenotabile sul sito dei Musei vaticani. Le Ville Pontificie, 55 ettari, sono state fino ad ora luogo di residenza per le vacanze dei Papi mentre Francesco ha scelto di restare nella casa Santa Marta anche nel periodo estivo. Della scelta di Papa Francesco di aprire al pubblico i giardini e della possibilità che altre aree delle Ville diventino visitabili, Fausta Speranza ha parlato con il direttore delle Ville Pontificie, Osvaldo Gianoli: 

R. - Innanzitutto dobbiamo ringraziare Papa Francesco per questa opportunità, perché non ce lo dobbiamo nascondere: sono un’opportunità ed una responsabilità molto grande. Papa Francesco ha deciso di non venire a Castel Gandolfo, nel contempo però ha voluto aprire questi giardini, queste meraviglie, al pubblico. Questo per noi è un vanto ed è una responsabilità. Noi sappiamo che su questo - che è un desiderio del Santo Padre - siamo compatti per essere all’altezza del compito che ci è stato affidato.

D. - Le Ville Pontificie comprendono Villa Barberini con i giardini, attualmente visitabili, Villa Cybo e il Palazzo Apostolico. È pensabile che a breve saranno aperte anche altre aree al pubblico?

R. - Abbiamo molti progetti. Stiamo valutando e stiamo lavorando su questa possibilità. Chiaramente questa prima esperienza di apertura - possiamo dichiararla tale - è stata molto positiva. Abbiamo avuto molti feedback da parte dei turisti che hanno espresso il loro entusiasmo. Certamente, a nostro modo di vedere, ci sono delle possibilità di sviluppo che noi prepareremo e che sottoporremo a chi di competenza per un eventuale sviluppo operativo.

D. - Quindi non ci anticipa nulla su quale potrebbe essere la prossima area?

R. - Noi abbiamo puntato molto sulla fattoria. Secondo noi dovrebbe essere uno dei prossimi punti che dovrebbe essere preso in considerazione. Le dirò di più: anche su questo tema abbiamo già fatto delle attività; ad esempio, abbiamo accolto nella fattoria i ragazzi del Dispensario di Santa Marta: abbiamo ricevuto 350 persone tra bambini, adulti, ecc… Abbiamo portato tutti in fattoria, gli abbiamo fatto fare il giro di una mezza giornata e abbiamo concesso questo spazio, che è appunto nell’interesse dei nostri obiettivi.

D. - La bellezza di questo luogo è particolare anche, e forse soprattutto, per il livello di conservazione che c’è stato negli anni; una conservazione grazie anche al fatto che in qualche modo è stato un luogo chiuso, preservato. C’è una ricchezza dal punto di vista archeologico, botanico. Tutto questo viene aperto al pubblico; significa che viene condiviso. È una scommessa assicurare per le prossime generazioni lo stesso rispetto del luogo condividendolo?

R. - Certo. Ma noi abbiamo una grande forza, quella della tradizione del nostro personale, che ha sempre seguito questo aspetto, prima a livello privato, e oggi lo fa sapendo che è per il pubblico. Quindi siamo tranquilli e sereni da questo punto di vista. Quando si cambia e quando si apre al pubblico un luogo, i rischi vanno sempre messi in conto. Chiaramente, anche qui noi valutiamo in maniera ponderata l’apertura al pubblico e le varie zone che andiamo ad aprire. Lo facciamo, ma nello stesso tempo dobbiamo garantire la conservazione dei luoghi.

D. - C’è un luogo, un posto, un angolo dei giardini dove – da quando sono stati così sistemati – hanno sostato tutti i Papi, compreso Papa Francesco, e ad eccezione di Giovanni Paolo I che non fece in tempo a recarsi a Castel Gandolfo?

R. - Noi abbiamo l’angolo delle Fontana della Madonnina che è stato visitato da tutti i Papi e dove tutti i Papi si sono fermati in preghiera. Non dobbiamo dimenticare che questo è un luogo di riposo, ma anche di preghiera. Quindi la Fontana della Madonnina è uno dei punti cardine di questa attività.

D. - Una sorta di cappella a cielo aperto …

R. - Sì, possiamo dire così.

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Oggi in Primo Piano



Medio Oriente: iniziato il ritiro di Israele da Gaza

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A Gaza oggi è il giorno del ritiro della maggior parte delle truppe di terra israeliane, che resteranno per distruggere i tunnel di Hamas e proteggere le frontiere. Continuano intanto i raid sulla Striscia. Colpita una scuola delle Nazioni Unite a Rafah. Dieci i morti secondo fonti palestinesi. E mentre Israele annuncia la morte del soldato disperso da venerdì, al Cairo una delegazione palestinese tratta la tregua con la mediazione dell’Egitto. Michele Raviart: 

L’annunciato ritiro dalla striscia di Gaza non è che un ridispiegamento delle truppe con meno effettivi sul terreno. Spiega il portavoce dell’esercito israeliano che “la missione è in pieno svolgimento. Sta cambiando veste ma continua”. 180 attacchi aerei sono infatti stati portati avanti anche questa notte sulla Striscia. Una quarantina i morti tra i palestinesi. L’episodio più grave a Rafah, al confine con l’Egitto, dove un razzo israeliano ha ucciso dieci persone in una scuola gestita dalle Nazioni Unite, riparo per tremila palestinesi fuggiti dagli scontri tra Israele e Hamas. Le milizie islamiste hanno lanciato una decina di missili verso il sud di Tel Aviv e il Negev, senza causare vittime. E’ invece stata annunciata la morte del sottotenente israeliano Hadar Goldin, 23 anni, disperso da due giorni. I funerali si terranno oggi pomeriggio nei sobborghi di Tel Aviv. Dall’inizio del conflitto le vittime israeliane sono così salite a 68, per la maggior parte miltari, mentre i palestinesi uccisi, perlopiù civili, sono oltre millesettecento. L’Egitto sta cercando di trovare una mediazione alla crisi. Ospitata al Cairo una delegazione dell’Autorità Nazionale Palestinese, mentre dal Qatar è arrivata una rappresentativa di Hamas. In queste fase dei colloqui Israele ha ufficialmente confermato di non partecipare.

 

Naomi e Issa, lei israeliana di una località del Negev, lui palestinese di Betlemme, Cisgiordania. In comune hanno un conflitto e l’esperienza italiana presso l’Associazione Rondine Cittadella della Pace, di Arezzo, uno studentato internazionale, dove giovani provenienti da Paesi in conflitto vivono insieme, imparano a conoscersi, a capire le ragioni dell’altro, e a volersi bene. Naomi, 25 anni, è ancora in Italia, tra pochi giorni rientrerà in Israele dove ha la famiglia. E’ fiera di essere israeliana, ma triste e arrabbiata per l’orrore che arriva da Gaza. Francesca Sabatinelli l’ha intervistata: 

R. – Io sono molto triste, adesso, quando vedo le notizie, perché la mia famiglia sta vivendo tutto questo, perché i miei fratelli sono entrati ora nell’esercito perché è obbligatorio per tutti. Sono molto triste però qua, da lontano, ho l’opportunità di vedere altri punti di vista. Vedo come la pensano gli italiani, vedo come la pensano i miei amici palestinesi o i miei amici in generale, in tutto il mondo, vedono il conflitto.

D. – Questo che cosa ti ha fatto capire? In che modo adesso lo vedi, questo conflitto?

R. – In modo più critico, perché quando si vive all’interno di una situazione, è molto difficile giudicare. Io ho sempre provato, anche quando ero in Israele, a essere obiettiva, a vedere tutti e due i lati, ma adesso è più facile: da fuori si vede di più, si vedono le notizie da tutte e due le parti, si vede la verità, si vede la critica che anche da fuori si fa a Israele, che è giusta, è importante!

D. – Il fatto che tu sia israeliana qui in Italia ti ha fatto scontrare con dei pregiudizi?

R. – Anche questo, sì. Perché tanti vedono negli israeliani il governo di Israele. E’ molto difficile, ed è molto importante per me, anche, far capire agli italiani che giudicano. La prima cosa che fanno è cambiare l’espressione: sono tristi quando sentono che sono israeliana, e allora devo spiegare che non tutti vogliamo uccidere la gente e che vogliamo la pace, è importante spiegare questo, anche agli italiani. Io sono pacifista, quando non c’è la guerra non c’è bisogno di definirsi pacifisti o meno, ma quando vivi questo, quando hai l’esperienza del servizio militare, sì, io ho capito che sono pacifista e che la soluzione violenta non funzionerà mai. Quando inizi il servizio militare, la prima cosa che capisci è che abbiamo bisogno dell’esercito perché abbiamo nemici e io ho iniziato a chiedere, e avevo 18 anni: “Ma, perché ho nemici? Nessuno mi ha fatto del male: perché allora devono essere miei nemici, perché dobbiamo rispondere con la forza e non parlando?”. Per me è stata la prima volta che ho capito che questo Paese funziona così. Noi giovani dobbiamo dire quello che pensiamo, dobbiamo dire che non funziona con la violenza. I soldati sono ragazzi, sono ragazzi che hanno appena finito la scuola superiore, sono ragazzi che sono cresciuti in questa situazione che non è cambiata da 60 anni almeno, conoscono solo questo! E’ molto, molto, difficile avere un pensiero critico ad un livello così alto quando vivi questa situazione. Sono ragazzi che fanno cose che sono obbligati a fare. Capisco che il mondo veda i soldati come i responsabili, ma voglio dire che i responsabili sono i capi, quelli che mandano questi soldati, perché sono ragazzini di 18 anni. Cosa ne sai, quando hai 18 anni?

D. – Le tue posizioni e le tue idee sono condivise dalla tua famiglia?

R. – Io provo, ma non sempre siamo d’accordo. Loro vivono là e capiscono, ma non siamo arrivati al punto che sono riuscita a convincere qualcuno a cambiare. Piano piano spero di cambiare anche le idee delle persone.

D. – L’Associazione Rondine Cittadella della Pace ti ha dato l’opportunità di stringere la mano, di conoscere, di parlare con ragazzi palestinesi, con chi che nel tuo Paese è considerato il nemico …

R. – Mi ha dato davvero l’opportunità di ascoltare, di conoscere la storia come loro la imparano. Perché noi, in Israele, non sappiamo come loro imparano e quando io non so cosa loro pensano, come posso capire? Per me, Rondine è stata questa opportunità: di avere fiducia, di far vedere ai ragazzi palestinesi che io sono una persona e non sono un soldato, perché loro conoscono solo i soldati.

D. – In Israele ci sono persone che la pensano come te, che vogliono la pace?

R. – Sicuramente, sicuramente. Nella mia famiglia mi ascoltano, mi capiscono, ho amici e ci sono organizzazioni che raccolgono le testimonianze di ragazzi, di soldati. E’ importante che parliamo, è importante che giudichiamo. Ci sono anche parlamentari, deputati che sono contrari e parlano. Dobbiamo alzare la voce perché da fuori non si vedono queste cose. Certo che è un momento difficile, anche quando muoiono soldati israeliani, ma ce ne sono, ce ne sono di persone che criticano, che dicono che noi dobbiamo fermare questa guerra, che dobbiamo interrompere la violenza. In questo momento non rappresento Israele, ma rappresento me stessa: io sono triste, ma ci sono tanti israeliani che sono tristi di questa situazione. Non dico che vogliamo la pace, che è una parola molto grande, però vogliamo il dialogo, vogliamo fermare le violenze perché è possibile vivere insieme e io ho fatto questo a Rondine. Possiamo essere amici, siamo forti, quando siamo insieme.

 

Issa ha 33 anni, è cristiano, vive a Betlemme dopo aver trascorso anche lui un periodo in Italia. Come tutti i palestinesi vive chiuso dal muro, dai check point  e vive il dolore della violenza sui suoi fratelli a Gaza. Eppure, non ha mai ceduto all’odio. Ascoltiamolo intervistato da Francesca Sabatinelli: 

R. – Il mio cuore dice che esiste sempre il contrario dell’odio. Non posso odiare nessuno, perché siamo tutti esseri umani. Così sono cresciuto. Ma da quello che vediamo ogni giorno al telegiornale, in tv, da quello che sentiamo, sembra che ormai si sia persa la speranza di amare, di rispettare il prossimo. Senza questa speranza, però, non si può vivere. Rimaniamo quindi con questa speranza e viviamo sempre con questa speranza: di avere un futuro migliore, di avere uno Stato libero palestinese, che viva accanto ai suoi vicini liberamente e pacificamente.

D. – Gli israeliani sono il nemico?

R. – Dipende da dove sono. In Italia, a Rondine Cittadella della Pace, gli israeliani non erano nemici, anzi erano amici con cui ho condiviso la vita quotidiana. Di qua, invece, è difficile considerare gli israeliani amici, per fatti semplici come il muro, che limita la possibilità di vederci, di comunicare, di sentirci. Io sono palestinese e non posso andare in Israele senza il permesso, che viene rilasciato da Israele molto difficilmente. Per questo con i miei contatti israeliani, che avevo conosciuto in Italia, ci sentiamo, ma molto difficilmente. E per questo dico che l’israeliano è amico o nemico a seconda di dove ci si trova. Sono pacifista e non posso cambiare, anche perché di questa violenza ne ho vista tanta. Sono sempre più convinto che si possa raggiungere una soluzione, una soluzione pacifica, ma non so quando. So che tutti e due i popoli devono essere convinti dell’idea di dover vivere insieme pacificamente.

D. – I tuoi amici, però, la tua famiglia, gli altri palestinesi, cosa ti rispondono?

R. – La maggioranza dice che non si può fare la pace con questa violenza. A volte do loro ragione, anche perché in questi ultimi giorni ci sono stati più di 1600 morti palestinesi a Gaza e più di 8 mila feriti. Più di un terzo dei morti sono donne e bambini. Con tutte queste statistiche, quando mi dicono che la pace è impossibile, a volte gli credo. Insisto comunque sulla mia idea che si possa arrivare alla pace, ma con la volontà vera di volerla fare, da parte di tutti e due i popoli, dei politici stessi di tutte e due le parti.

D. – In questi giorni a Betlemme che cosa sta succedendo?

D. – A Betlemme ci sono sempre manifestazioni contro i checkpoint, sono pacifiche, sono “con i sassi”, come siamo abituati noi palestinesi, e ci sono manifestazioni di solidarietà a favore di Gaza. La situazione è più calma sicuramente che a Gaza, ma anche in Cisgiordania, a Betlemme, ci sono stati morti. E’ una cosa molto triste. Papa Giovanni Paolo II, quando è arrivato qua, nel marzo del 2000, prima della seconda Intifada, disse che la Terra Santa aveva bisogno di ponti e non di muri. Io sottolineo questa frase, perché abbiamo davvero bisogno di ponti, di comunicare di più, di sentirci e di sapere che l’altro è un altro essere umano, anche se non sempre. Ci sono, infatti, persone disumane, come abbiamo visto in questi ultimi giorni, ma da tutte e due le parti ci sono anche esseri umani e abbiamo bisogno di trovarci, di metterci insieme e di arrivare ad una soluzione. Speriamo che la preghiera che ha fatto Papa Francesco davanti al muro il 25 maggio arrivi in cielo e non ci sia più questo muro.

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Grecia: il nuovo presidente della commissione europea incontra il premier ellenico

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Prima visita domani ad Atene del nuovo presidente della commissione Ue, Jean Claude Juncker. Incontrerà il premier Samaras per discutere di occupazione, di crescita e di investimenti. La Grecia spera in un allentamento della politica dell'austerità che, finora, è costata sacrifici enormi e una disoccupazione del 26,7%. Eppure i mercati, il Fondo monetario internazionale e la stessa Troika (Fmi, Bce e Ue) premiano il percorso compiuto finora. Quale è dunque ad oggi il quadro del Paese e quali le prospettive? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea alla Bocconi: 

R. – Se guardiamo i dati dell’economia reale, le stime sono di una crescita dello 0,6 per cento, quest’anno, e la dinamica del debito pubblico inizierà a scendere. La disoccupazione sta iniziando a ridursi e anche il deficit di bilancio commerciale è contratto. Quindi, in realtà, la macroeconomia greca e, pian pianino, la crescita e l’occupazione stanno dando segnali di risposta giusti. Quindi i mercati, ovviamente, anticipano questa cosa, e premiano evidentemente lo sforzo. Le riforme sono quelle note a costi, dal mio punto di vista, inaccettabili. Oggi, dunque, giustamente, il governo greco dice: “Bene, il mio lavoro l’ho fatto, datemi un po’ più di respiro, per iniziare a ridare qualcosa ai cittadini”.

D. – In termini concreti questo respiro come si potrebbe tradurre?

R. – Flessibilità sui conti pubblici, un percorso di rientro dal deficit un po’ più allentato nel tempo, in modo che gli effetti positivi della crescita migliorino la situazione della finanza pubblica.

D. – Stiamo assistendo ad una situazione drammatica dall’altra parte dell’Oceano, in Argentina: default del Paese. Due reazioni diverse a due situazioni economiche tragiche: si va in default o si viene recuperati, ma ad un prezzo durissimo. E’ questo un po’ il quadro che si delinea, d’ora in poi, anche per altri Paesi che versano in difficoltà?

R. – Sono situazioni in realtà molto diverse. La Grecia fa parte di un’area monetaria comune, ha un vastissimo livello di finanziarizzazione, con una profonda integrazione nei mercati internazionali, fa parte della seconda moneta più importante del mondo, con delle “responsabilità” rispetto alla situazione teorica di un default, che evidentemente sarebbe molto più costoso e molto più rischioso, non solo per la Grecia, ma per tutti i Paesi che fanno parte della moneta unica. E, in generale, anche per l’idea che dentro l’Europa c’è sostanzialmente un modello integrato di produzione, per cui i nostri vantaggi dipendono da quello che fanno gli altri Paesi europei; e se questo modello viene messo in discussione, perché ci sono dei default, quindi delle uscite teoriche, comunque dell’instabilità finanziaria, poi ne soffriamo tutti. L’Argentina, invece, è un Paese indipendente e, quindi, ha uno spazio di manovra diverso, che può “permettersi” un default. Ricordiamo, però, che comunque dopo il default argentino del 2001, un argentino su cinque era sotto la soglia di povertà. Anche per l’Argentina, pure in una situazione teoricamente meno complicata dal punto di vista dei rapporti internazionali, dei legami economici internazionali, il default è stato comunque durissimo.

D. – Perché questo primo viaggio ufficiale di Junker proprio ad Atene con un forte valore simbolico? Perché Junker ha seguito la vicenda? Perché ha un preciso progetto anche su Atene? O perché?

R. – Sicuramente Junker è stato uno dei protagonisti nell’organizzazione del salvataggio greco, nel bene e nel male. Oggettivamente, però, se guardiamo i numeri della macroeconomia, la Grecia è un caso di successo. Quindi Junker vorrà mettere la bandierina e dire: “Come Commissione siamo riusciti a gestire, di fatto, un Paese sull’orlo del fallimento o già fallito; lo abbiamo preso, l’abbiamo aiutato e lo abbiamo tirato fuori dai guai; qui partiamo, quindi, passata la fase acuta della crisi, per ricostruire e probabilmente per ridare ai cittadini quello che gli abbiamo tolto durante questi anni”. Penso che il messaggio politico sia proprio questo.

D. – Per restituire ai cittadini greci quello che hanno dato con lacrime e sangue, non ci vorranno almeno un paio di generazioni?

R. – Assolutamente sì, con una base imponibile più solida, con meno corruzione, ed efficienza del sistema economico. Ci vorranno, però, dieci, quindici anni.

D. – E l’indebitamento è stato il problema di fondo della Grecia, situazione verso la quale vanno ad oggi anche altri Paesi: l’Italia, anche la stessa Francia...

R. – Non è solo un problema di debito, è un problema di vedere come finanziamo gli squilibri di competitività all’interno dell’eurozona. Quello che dobbiamo capire è come fare pezzi di politica fiscale comune. Se non facciamo questo, l’eurozona non sta in piedi.

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Caritas Ucraina: oltre 110 mila sfollati, serve l’aiuto della comunità internazionale

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Crisi ucraina. Continuano le operazioni dei recupero dei corpi dei passeggeri dell’aereo malese abbattuto lo scorso 17 luglio. Circa 70 gli esperti internazionali, perlopiù olandesi e australiani che hanno raggiunto il luogo dello schianto, nell’Ucraina orientale controllata dai separatisti filorussi. Intanto l’esercito di Kiev continua ad avanzare, con sconti a fuochi nei pressi delle città di Donetsk e di Lugansk, dove nelle ultime 24 ore sono morti nove civili. E’ inoltre sempre più grave l’emergenza profughi, come spiega al microfono di Michele Raviart, il presidente di Caritas Ucraina e vicepresidente di Caritas Europa, Andrij Waskowycz

R. – They are now about 110 thousand...
Al momento sono circa 110 mila gli sfollati all’interno dell’Ucraina. Questi almeno sono i numeri forniti dall’Unchr, l’agenzia ufficiale delle Nazioni Unite per i rifugiati. Solitamente questo numero è sempre più basso del numero reale. Nell’ultima settimana, si sono aggiunte da un migliaio a 10 mila persone, specialmente dalle zone di Donetsk e Luhansk. Generalmente queste persone vanno verso le regioni vicine e i servizi statali stanno cercando di organizzare aiuti per loro. Sono in molti, comunque, ad essere aiutati dalle organizzazioni umanitarie e dalle iniziative private di alcune persone, che li stanno accogliendo per il tempo necessario.

D. – Le persone che stanno lasciando le loro case sono filorussi che scappano e raggiungono la Russia o sono legati a Kiev? Chi sono questi profughi?

R. – Both. The difference is not in whom they are supporting…
Entrambi. La differenza non sta in chi appoggiano. Ci sono persone che stanno lasciando, per il terrore che si vive nei loro territori. Generalmente la gente lascia, quindi, per insicurezza: ci sono banditi e uomini armati. Ecco perché se ne vanno.

D. – Di che cosa hanno bisogno e cosa sta facendo Caritas Ucraina?

R. – Caritas Ukraine in this situation...
Caritas Ucraina, in questa situazione, sta andando in due direzioni. Prima di tutto, sta aiutando in quelle aree dove non c’è più acqua, e la sta distribuendo. Stiamo poi preparando programmi per aiutare le persone a trovare un riparo, cibo, prodotti alimentari, kit igienici e tutto quello di cui hanno bisogno, stando fuori dalle loro case ed essendo sfollati. Stiamo lavorando insieme ad organizzazioni partner come Caritas Europe, organizzazioni appartenenti a quest’area dell’Est e a Caritas America.

D. – Qual è una sua impressione della guerra? Sta per finire, continuerà a lungo?

R. – It is a difficult question…
E’ una domanda difficile. Non è una guerra normale: è una guerra nascosta, con un’agenda nascosta. Non sappiamo quanto durerà. L’esercito ucraino sta guadagnando territorio, ma l’instabilità rimane ancora e non possiamo prevedere cosa succederà. Speriamo che questa guerra finisca, ma non sappiamo come la Russia reagirà.

D. – Qual è un auspicio per l’immediato?

R. – First of all, everything has to be done...
Per quanto riguarda l’aspetto umanitario, quello di cui abbiamo bisogno, di cui la Caritas ha bisogno, sono i mezzi e l’appoggio per aiutare direttamente le persone che sono state colpite da questa guerra. Abbiamo bisogno del sostegno della comunità internazionale, per organizzare un aiuto efficiente e sistematico per gli sfollati sparsi in tutta l’Ucraina, specialmente quelli delle zone di Donetsk e Luhansk. Abbiamo bisogno di sostegno specialmente per aiutare le persone a ristrutturare le loro case, che sono state distrutte dalle battaglie, nelle città dell’Est. Non vediamo l’ora di aiutarli, quando Donetsk e Luhansk saranno libere.

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In Puglia le “Sentinelle del mattino” invitano a pregare

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Chi si trova in vacanza in Puglia, in queste settimane, potrà imbattersi, un sabato sera, in alcuni giovani della diocesi di Oria che rivolgono un invito singolare. La proposta è di incontrare Cristo, di trascorrere un momento di preghiera in una delle chiese dei luoghi di villeggiatura. L’idea è delle “Sentinelle del mattino”, un gruppo di giovani nato alcuni anni fa che porta avanti progetti pastorali per i coetanei. L’iniziativa estiva si chiama “Una luce nella notte”. La illustra al microfono di Tiziana Campisi il responsabile delle “Sentinelle del mattino” don Antonio Andriulo: 

R. – Sono degli appuntamenti, che noi proponiamo solitamente il sabato sera, in una zona delle nostre città o anche delle nostre marine, dove sappiamo che c’è una grande affluenza di giovani fino a notte inoltrata, solitamente le 2.00 o le 3.00 e, a volte, anche oltre. Usciamo per la piazza, in mezzo ai giovani, e li invitiamo ad incontrare, in maniera esplicita, Gesù, e, quindi, a venire in chiesa, dove ci sono altri giovani che curano l’accoglienza. In chiesa cosa trovano? Il Gesù vivo, vero. L’eucaristia sull’altare è il centro della serata. Coloro che liberamente vengono in chiesa e aderiscono a questa nostra proposta, vengono accompagnati attraverso un percorso, fino ad arrivare davanti all’eucaristia. Lì, a volte, avviene davvero qualcosa di molto bello, perché ci sono giovani che, magari, da tantissimo tempo non entravano in chiesa e da tantissimo tempo non avevano un contatto diretto con Gesù, e alcuni lì si sciolgono nella preghiera, si sciolgono con questo primo contatto con il Signore.

D. – Come viene accolto l’invito dai giovani che incontrate?

R. – L’invito non è accolto subito, immediatamente. Una luce nella notte non ha la pretesa di convertire per forza o di riempire le chiese, che apriamo il sabato notte. E’ una proposta che noi lanciamo, che è accompagnata molto anche dalla preghiera: ci sono gli intercessori, mentre avviene tutto questo. Alcuni giovani aderiscono e dicono “Sì, più tardi veniamo”; altri rifiutano la proposta; e altri, invece, entrano in una sorta di dialogo con gli evangelizzatori, con i giovani che vanno per strada ad invitarli. A volte il dialogo è su quelle cose che non piacciono della Chiesa, su quelle cose che non piacciono dei sacerdoti. A noi, però, interessa invitarli a questo incontro.

D. – Papa Francesco invita spesso alla creatività. Vi ritrovate in questo?

R. – Beh, sì, tantissimo. E’ vero, infatti, che questa nostra iniziativa ha una sua struttura, ma ogni volta è una sorpresa per i giovani che aderiscono. Ma la sorpresa più grande, dal mio punto di vista, è vedere questi giovani che si coinvolgono nell’evangelizzazione.

D. – Quanto vi sostiene l’invito di Papa Francesco?

R. – Ci sostiene tantissimo, perché le parole del Papa ci fanno sempre riecheggiare le parole di Gesù nel Vangelo, questo mandato di Gesù “Andate, andate”. Allo stesso tempo, soprattutto, ci provocano, perché tante volte noi con la pastorale tendiamo ad essere poco creativi, a conservare quello che c’è. Invece il Papa, facendo riecheggiare il Vangelo, davvero ci spinge ad andare fuori, a metterci tra i giovani, ad ascoltarli e ad invitarli alla cosa importante, che è l’incontro con Gesù. Poi, da qui, vengono le scelte, cambia la vita e tutto il resto.

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Pediatria: le favole stimolano l’intelligenza dei bambini

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Leggere favole ai bambini è utile fin dai primi mesi di vita. A consigliarlo alle famiglie è l'Accademia americana di pediatria. I bambini che hanno ascoltato favole fin dalla prima infanzia hanno, infatti, già alla scuola materna, un vocabolario più ampio e questo non è l’unico beneficio. Al microfono di Elisa Sartarelli, il pediatra Italo Farnetani: 

R. – I bambini che hanno avuto delle stimolazioni acustiche, sonore, visive, che sono vissuti in mezzo alla gente, in un ambiente stimolate, anche rumoroso, in un ambiente dove si parlava, saranno bambini, studenti e adulti più intelligenti, perché hanno avuto, fin dal settimo mese di gravidanza (quando il feto inizia a partecipare alla vita dell’ambiente esterno) maggiori stimolazioni. Pertanto il cervello è stato maggiormente sviluppato.  Poi, i genitori devono parlare con loro e qui entrano in aiuto le favole. I bambini, nonostante tutti i mezzi tecnologici - dall’i-pad alla televisione - preferiscono che siano mamma e papà, cioè degli adulti, a raccontare loro le favole. Dietro alle parole, infatti, c’è un’esperienza viva. Finché il bambino ha due anni gli basta ascoltare; dai due ai sei anni, è il momento in cui le fiabe sono più importanti, perché il bambino ha una capacità mentale che gli permette di immagazzinare tutto quello che apprende, cioè impara a memoria le favole e dopo rivive anche nel gioco quello che ha imparato.

D. – Come si fa a far innamorare un bambino di un libro?

R. – Se i genitori amano i libri, i bambini ameranno i libri. Oggi c’è una generazione di genitori che non hanno avuto una scuola di lettura. Oltre alla famiglia, che è fondamentale, sarebbe importante che anche nelle scuole si insegnasse a leggere di più, ad amare i libri. Io sono contrario ai compiti per le vacanze: durante le vacanze i bambini non devono leggere neanche i libri. Ci deve essere un impegno per promuovere la lettura durante l’anno scolastico. Ho sempre proposto di far vedere i film associati ai libri. Se il bambino a scuola, o a casa, vede un film e poi gli viene dato il libro, è un modo per interessarlo e per modernizzare la lettura. Ormai la generazione dei genitori attuali non ama la lettura, nella maggior parte dei casi, perché non ci sono abituati. Sarebbe difficile, dunque, che i figli, guardando solo l’esempio dei genitori, amassero la lettura e amassero i libri. Anzi, oggi c’è la tendenza ad usare sempre meno i libri, perché nelle case c’è sempre meno spazio. Sicuramente gli e-book non hanno sfondato.

D. – Cosa consiglia di leggere ai bambini?

R. – C’è la tendenza da parte dei genitori di leggere i libri, i racconti, anche le fiabe, che loro hanno ascoltato da piccoli. Ma cambiando il modo di scrivere, cambia anche il modo di raccontare le storie, ed io consiglio sempre di prendere libri attuali per la lettura. Solo se sono alla moda, infatti, sono legati alla realtà e il bambino li apprende meglio. Quando Michele Prisco, grande scrittore, vinse il Premio Fiuggi, gli chiesero: “Maestro, ma oggi nel momento in cui si sta sviluppando – allora si chiamava cibernetica l’informatica - che senso ha la letteratura? Che senso ha leggere?”. E Prisco rispose: “Finché dietro una macchina ci sarà un uomo, ci sarà sempre bisogno del romanzo e della letteratura”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Illustrato il logo del viaggio del Papa in Albania

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Nei giorni scorsi, la Chiesa albanese ha presentato il programma del viaggio apostolico che Papa Francesco compirà a Tirana, in Albania, il prossimo 21 settembre. Nell’occasione è stato mostrato e spiegato anche il logo della visita. In una intervista rilasciata a Klaudia Bumci, della Radio Vaticana, il coordinatore generale del viaggio, Albert Nikolla, lo ha illustrato in questo modo: “Al centro del logo è raffigurata una persona umana mentre cammina ed è orientata verso la Croce. Vicino ai suoi piedi ci sono orme di sangue: il sangue, come spesso accade in pittura, è simbolo del sacrificio, della testimonianza e della sofferenza. Nel caso dell’Albania, rappresenta tutti i martiri della Chiesa cattolica, ma non solo: anche tutti gli uomini credenti e non credenti, che hanno sofferto la repressione del regime comunista. Questo uomo, che potrebbe rappresentare ogni uomo, ha le mani in alto, rivolte verso il cielo, verso il Signore. Sulle mani è situato il motto del viaggio: ‘Insieme con Dio, verso la speranza che non delude’. I vescovi hanno ritenuto che fosse importante mettere l’enfasi sulla parola ‘insieme’, perché significa collaborare insieme agli altri uomini di buona volontà. Quindi, abbiamo voluto mettere anche le parole ‘che non delude’, perché l’Albania è uscita dal regime comunista, un regime che ha soppresso la religione. Una volta uscita dal regime, la popolazione albanese è stata in contatto diretto con il consumismo che rappresenta, in qualche modo, false speranze per lo sviluppo integrale della persona umana. Dio è sempre, invece, una speranza che non delude! Non allontaniamoci mai da Dio! C’è poi l’elemento della Croce. Ci sono dei punti, come dei piccoli passi, che salgono verso la Croce: per arrivare alla Croce la strada è difficile. La Croce è una via difficile per ogni uomo, ma dietro la Croce appaiono dei raggi di sole che rappresentano la speranza. Poi c’è la scelta dei colori: il nero e il rosso rappresentano i colori della bandiera albanese. Sono presenti anche il colore giallo e lo sfondo bianco, che rappresentano invece la bandiera vaticana. Si è voluto mettere insieme i colori delle due bandiere per esprimere questa visita come segno di unità”.

Albert Nikolla ha poi parlato dei preparativi: “E’ in corso un lavoro veramente frenetico. Desidero ringraziare le centinaia di volontari cattolici che in tutta l’Albania, nelle diocesi e nelle parrocchie, stanno lavorando per far sì che questa visita sia veramente bella e che riesca nel suo significato. I tempi sono stretti. Normalmente per l’organizzazione di una visita del Papa si va dai sei mesi ad un anno: noi abbiamo a disposizione soltanto questi tre mesi. Ma questo non solo non ci preoccupa e non ci stanca, ma ci dà anzi molta gioia e molta energia per affrontare questo impegno. Sono assolutamente sicuro che il Papa troverà una Chiesa cattolica che lo attende con tanto amore e con tanta dignità. Anche il governo albanese ha formato una Commissione per coordinare i lavori per far sì che questa visita - anche nel suo aspetto ufficiale, politico e statale - abbia la migliore riuscita. Posso sicuramente dire che tra la Commissione dello Stato e la Commissione della Chiesa cattolica c’è una collaborazione e una sintonia perfetta”.

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Sri Lanka. Il card. Ranjith: visita del Papa aiuterà a superare le divisioni

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“La visita del Papa in Sri Lanka, dal 12 al 15 gennaio 2015, aiuterà a superare le divisioni nel Paese”: lo afferma il card. Malcom Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente dei vescovi locali. “In una nazione in cui due comunità etniche, si contrastano da anni – spiega il porporato – l’arrivo di Papa Francesco offrirà l’occasione per riflettere sull’importanza della pace e della riconciliazione, così come per intraprendere un dialogo tra le parti in causa ed il governo”. Dal 1975 in Sri Lanka, infatti, si è accentuata la conflittualità tra la maggioranza cingalese, in maggioranza buddista, e la minoranza tamil, induista e cristiana, in seno alla quale si è affermata la guerriglia delle Tigri tamil per la liberazione dell’isola, impegnata nella lotta per l’indipendenza delle province settentrionali. Dopo anni di scontri, i ribelli sono stati sconfitti nel maggio 2009, ma la fine del conflitto non ha risolto i problemi della minoranza tamil, tra cui la liberazione dei detenuti politici, la restituzione delle terre confiscate e le violazioni dei diritti umani nel Paese.

Intanto, sono già stati avviati i preparativi per accogliere il Pontefice, tanto che nei giorni scorsi la Conferenza episcopale ha istituito un Comitato e sotto-commissioni specifiche, incaricate di “rendere la visita del Papa significativa e fruttuosa”. Tra le numerose iniziative intraprese, anche l’inaugurazione di canale televisivo cattolico: denominata “Verbum TV”, in questi primi mesi l’emittente trasmetterà solo su web, mentre da dicembre in poi i programmi andranno in onda anche sul digitale. “Questa tv cattolica – ha detto il card. Ranjith, inaugurando la sede dell’emittente – rappresenterà, per la Chiesa cattolica dello Sri Lanka, un nuovo modo di evangelizzare e di cercare di chiarire le incomprensioni legate al fondamentalismo”. Infine, l’auspicio del porporato è che la “Verbum Tv” possa contribuire alla buona riuscita della visita del Papa.

Quello del Pontefice in Sri Lanka sarà il secondo viaggio apostolico in Asia, dopo quello in Corea del Sud, previsto dal 13 al 18 agosto prossimi, e subito prima del viaggio nelle Filippine, in programma dal 15 al 19 gennaio 2015. I dettagli della visita in Sri Lanka sono ancora in fase di definizione, ma grande è, naturalmente, l’attesa della popolazione e della Chiesa locale. L’incontro con il Papa, tra l’altro, avverrà a pochi mesi dalla visita ad Limina della Conferenza episcopale, avvenuta in Vaticano il 3 maggio scorso: in quell’occasione, il Pontefice ha esortato i presuli a “promuovere la riconciliazione, per il rispetto dei diritti umani e per superare le tensioni etniche che rimangono” nel Paese, poiché “la fede può provvedere a creare un’atmosfera di dialogo per costruire una società più giusta”. (A cura di Isabella Piro)

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Morto il cardinale Edward Bede Clancy, arcivescovo emerito di Sydney

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Si è spento, all'età di 90 anni, l'arcivescovo emerito di Sydney, in Australia Edward Bede Clancy. Il porporato è nato il 13 dicembre 1923 a Lithgow, nella Diocesi di Bathurst. Compiuti gli studi presso la scuola Santa Monica a Richmond e, poi, presso il collegio dei Padri Maristi a Parramatta, all'età di sedici anni è entrato nel Collegio di S. Colomba a Springwood per preparasi al sacerdozio.  Ha ricevuto l'ordinazione presbiterale il 23 luglio 1949 dalle mani del Cardinale Gilroy. Nel 1952 è stato inviato a Roma, presso il Collegio San Pietro, per proseguire gli studi. Diplomatosi in Teologia alla Pontificia Università Urbaniana e in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico, dal 1955 - rientrato in Australia - ha svolto il suo servizio sacerdotale nelle parrocchie di Elizabeth Bay e di Liverpool.Nel febbraio 1958 è stato nominato professore di Sacra Scrittura presso il Collegio di Santa Colomba a Sprinfield. Conseguita la laurea in Teologia, è stato nominato Cappellano dell'Università di Sydney e professore di Sacra Scrittura nel Collegio San Patrizio di Manly. E’ stato eletto il 25 ottobre 1973 alla Chiesa titolare di Árd Carna e nominato Vescovo Ausiliare di Sydney. Ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 19 gennaio 1974, durante una solenne celebrazione nella Cattedrale di Santa Maria, presieduta dall'Arcivescovo di Sydney, Card. Freeman. Il 24 novembre 1978 è arcivescovo di Canberra. Nel 1983, Giovanni Paolo II lo ha trasferito alla Sede Metropolitana di Sydney. Creato cardinale nel Concistoro del 28 giugno 1988, è stato alla guida dell’Arcidiocesi di Sydney fino al marzo 2001. Dal 1986 al 2000 è stato presidente della Conferenza Episcopale Australiana. È stato anche membro del Comitato Internazionale per l'inglese nella Liturgia. È stato poi presidente delegato alla IX Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi del 1994, sulla vita consacrata.

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Iraq: lo Stato Islamico conquista due città al confine con la Siria

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Continua l’avanzata degli jihadisti dello Stato Islamico nel nord dell’Iraq. Conquistata la città di Zummar, centro petrolifero al confine con la Siria, e la città di Sinjar, sessanta chilometri a ovest di Mossul. I miliziani sunniti si sono scontrati con i peshmerga curdi, che hanno subito pesanti perdite. Entrambe le città si trovano nella provincia di Ninive, dove migliaia di cristiani stanno cercando rifugio dopo essere stati cacciati dalle loro case a Mossul. Con la conquista di Zummar, lo Stato Islamico arriva a controllare cinque i siti di petrolio, che sono una delle principali fonte di finanziamento del gruppo. (M.R.)

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Treviso: l'alluvione fa quattro vittime e venti feriti

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Il maltempo fa ancora vittime in Italia. Quattro persone sono rimaste uccise e una ventina feriie a Refrontolo, in provincia di Treviso, a causa di un alluvione improvviso che ieri notte ha colpito il Veneto. Il torrente Lierza è straripato e ha travolto un centinaio di persone che stavano partecipando ad una festa di paese. La fiumana di fango ha superato l’altezza di tre metri e ha distrutto anche stand e automobili. Sul posto sono impegnati nei soccorsi 40 vigili del fuoco e forze specializzate provenienti da tutta la regione. Due feriti sono in gravi condizioni e sono ricoverati all’ospedale di Treviso. Il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, ha chiesto lo stato di calamità in tutta la zona colpita dall'alluvione. Solidarietà è stata espressa del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. (M.R)

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Due pellegrini ungheresi in barca a vela sulle orme di San Paolo

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Un pellegrinaggio ecumenico in barca a vela, lungo le coste del Mediterraneo, per ripercorrere le tappe principali della vita di San Paolo: è l’iniziativa portata avanti da due giovani ungheresi, Soman Zámbori e Péter Nagy, con l’obiettivo di ”comprendere l’influenza dell’Apostolo delle genti sulle popolazioni di oggi”. Una prima parte del pellegrinaggio è già stata realizzata nell’autunno del 2013: i due giovani hanno navigato tra Malta, la Sicilia e Napoli, nell’arco di cinque settimane. Insieme a loro, anche un equipaggio di quaranta persone; a bordo sono saliti anche  sacerdoti cattolici e pastori protestanti.

Nel corso della navigazione, è stata realizzata inoltre la prima parte di un documentario intitolato ”Sulle orme di Paolo”: l’obiettivo del film è quello di presentare ”le terre di Paolo” attraverso la cultura ed il vissuto locale, soprattutto cercando di comprendere come i suoi scritti ed i suoi insegnamenti vengano recepiti nella realtà quotidiana. Tutto questo, spiegano gli ideatori dell’iniziativa,”nel pieno rispetto della libertà religiosa”.

Una seconda parte del pellegrinaggio è in programma tra la metà di settembre ed i primi di ottobre. Questa volta, la barca a vela costeggerà Atene, Corinto, Patmos, Efeso e Rodi, sempre nella sequela di San Paolo e sempre „con l’intento di evangelizzare i credenti e di dialogare con i non credenti”. (a cura del Programma Ungherese)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 215

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.