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Sommario del 04/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa agli scout europei: siete protagonisti, non spettatori, di questo mondo

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Pregate per la pace in Europa, non abbiate paura di salvaguardare i valori cristiani. E’ l’invito che il Papa rivolge agli scout europei nel suo messaggio in occasione del loro quarto raduno internazionale che, fino al 10 agosto, vede 12mila ragazzi di 20 Paesi riuniti in Normandia, a 100 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale e a 70 dallo storico sbarco. Siete voi gli attori di questo mondo: scrive loro Francesco. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

“Per conoscere Gesù è necessario mettersi in cammino, e strada facendo si scopre che Dio si fa incontrare in diversi modi: attraverso la bellezza della sua creazione, quando con amore interviene nella nostra storia, nelle relazioni fraterne e di servizio che abbiamo con il prossimo”. Con il suo messaggio, Papa Francesco affida agli scout europei un’importante missione, sulla scia delle tre tappe da lui indicate loro a Rio de Janeiro: andate, senza paura, per servire. Li invita tutti a spingersi, forti dell’incontro con Dio per mezzo dei Sacramenti e sostenuti dal suo amore che tutte le paure toglie, “ad annunciare il suo amore fino alle estremità della terra, a servire il prossimo nelle periferie più remote”. Sono tante le generazioni, riconosce il Papa, che alla pedagogia scout devono “la loro crescita sul cammino della santità, la pratica delle virtù e in particolare la grandezza d’anima”. Per questo, nella ricorrenza del centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale, Francesco li invita a pregare per una Europa unita e in pace, perché - dice loro -  “siete voi i veri attori di questo mondo e non soltanto gli spettatori!”. E poi li incoraggia a non aver paura di affrontare le sfide per salvaguardare i valori cristiani, in particolare la difesa della vita, lo sviluppo, la dignità della persona, la lotta contro la povertà, e le tante altre che si devono affrontare ogni giorno. In ogni momento quando il vostro cammino sarà più difficile, conclude Francesco, ad aiutarvi vi sarà l’amore e il sostegno di una Chiesa che è madre e che voi siete chiamati ad amare e servire con la gioia e la generosità proprie della gioventù.

“Il messaggio del Santo Padre - ha affermato la presidente dell'Unione internazionale Guide e Scout d'Europa Nicoletta Orzes - ci esorta ed incoraggia a perseguire con i mezzi dello scoutismo l'educazione integrale della persona, secondo l'umanesimo cristiano e la dignità di ciascuno come uomo e donna su cui Dio pone un disegno di vita”.

Da parte sua, padre Boguslaw Migut, assistente federale dell’Unione, ha osservato che il Papa invita gli scout e le guide d’Europa ad assumersi il compito di “annunciare il Vangelo di Cristo”, in particolare attraverso la testimonianza.

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Oltre 50mila ministranti tedeschi incontrano il Papa

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Domani pomeriggio, alle 18.00, oltre 50mila ministranti tedeschi incontreranno in Piazza San Pietro Papa Francesco, in occasione del loro pellegrinaggio nazionale a Roma, che si svolge sul motto “Liberi! Perché è lecito fare del bene”. Sul significato di questo pellegrinaggio, Isabella Piro ha intervistato mons. Michael Gerber, vescovo ausiliare di Friburgo: 

R. - Per noi, questo pellegrinaggio è molto importante. Per esempio, dalla mia diocesi, che è quella di Friburgo, verranno a Roma 10mila ministranti, di un’età compresa tra i 14 ed i 22 anni. Per tanti di loro, questa sarà anche un’occasione per approfondire la fede e la scelta di essere nella Chiesa, di servire la Chiesa. Quando questi giovani arriveranno a Roma, potranno sperimentare che sono in tanti, che fanno parte di una cosa molto grande: fanno parte della Chiesa universale. Questo fa sì che in tanti di loro si verifichi un cambiamento nel cuore che li potrà portare, in futuro, a continuare il loro servizio nella Chiesa anche da adulti.

D. - Il motto del pellegrinaggio è: “Liberi! Perché è lecito fare del bene”. Perché è stato scelto questo versetto del Vangelo di Matteo?

R. - Vuol dire che Dio ci ha regalato la libertà, la sua libertà, con Gesù Cristo e che questa libertà ci rende liberi di fare del bene come Cristo ha fatto del bene.

D. - Momento centrale di questo pellegrinaggio sarà l’incontro con Papa Francesco, martedì 5 agosto, nel pomeriggio. Quali sono le attese per questo incontro?

R. - Per i ministranti, è una grande gioia incontrare Papa Francesco perché per almeno il 90 per cento di essi sarà la prima volta che potranno essere davvero in Piazza San Pietro e la prima volta che potranno incontrare il Santo Padre ed ascoltare le sue parole. Io credo che Papa Francesco potrà incoraggiare i ministranti nel loro servizio per Cristo, per la Chiesa, per i sofferenti, per i giovani ed i bambini.

D. - Quali sono le caratteristiche che un ministrante deve avere oggi?

R. - Avere la gioia per questo servizio, un’allegria profonda per il servizio a Cristo e alla sua Chiesa, insieme ad una relazione personale con ciò che avviene durante la Santa Messa, che è espressione di una fede viva. Ed avere anche un certo senso di responsabilità, che cresce con l’età, nei confronti di questo servizio, perché da noi, in Germania ed anche nella nostra diocesi, spesso i ministranti prestano servizio per più di dieci anni. Questo significa che gran parte della pastorale giovanile lavora con i ministranti. Siamo molto felici, ad esempio, che qui a Friburgo ci siano 45mila ministranti, che rappresentano la maggior parte della Pastorale giovanile.

D. - Quanto è importante il sostegno della famiglia per un ragazzo che decide di diventare ministrante?

R. - È molto importante! Gran parte delle famiglie è felice che per i figli ci sia la possibilità di introdursi nella vita parrocchiale, di accostarsi alla fede. E viceversa: i ministranti sono felici di essere sostenuti dalle famiglie.

D. - Questo pellegrinaggio potrà donare un nuovo slancio al rinnovamento della Chiesa di Friburgo e di tutta la Germania?

R. - Potrà essere una piccola tappa di un processo di rinnovamento. Questo incontro di tanti ministranti riuniti a Roma potrà anche, per tanti di loro, essere una tappa di approfondimento personale della fede. Questo è sempre il risultato più importante: quando cambia qualcosa nella personalità di qualcuno, quando una persona può approfondire la sua fede e, a partire da questa fede, offrire un servizio alla Chiesa ed alla società. Il mio auspicio è che questo pellegrinaggio non sia semplicemente un “grande evento”, ma anche un “grande evento” nel cuore delle persone.

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Il Papa ricorda il card. Clancy: pastore di ampia visione ecumenica

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Papa Francesco ha espresso il proprio cordoglio per la morte del cardinale Edward Bede Clancy, l’arcivescovo emerito di Sydney, morto ieri all’età di 90 anni. Nel telegramma inviato all’amministratore apostolico dell’arcidiocesi australiana, Peter Comesoli, il Papa ricorda “con gratitudine” il porporato scomparso per “la sua sapiente guida pastorale” durante gli anni di ministero a Sydney, dimostrata in particolare – scrive il Papa – dalla “sua sollecitudine per i bisogni dei poveri”, dal “suo sostegno all'educazione cattolica” e dalla “sua ampia visione ecumenica e civile”.

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Il Papa dà l’assenso a revoca sospensione a divinis di padre Miguel d’Escoto

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Papa Francesco ha dato il suo assenso perché sia revocata la “sospensione a divinis” di padre Miguel d’Escoto Brockmann, 81 anni, della Congregazione di Maryknoll. Il religioso era incorso nella pena canonica negli anni ’80 per il suo coinvolgimento nel governo sandinista del Nicaragua: pena da lui accettata fin dall’inizio, pur rimanendo membro della propria società missionaria, senza svolgere alcuna attività pastorale. Da qualche anno il sacerdote aveva abbandonato l’impegno politico. Padre d’Escoto ha scritto una lettera al Papa, manifestando il desiderio di “ritornare a celebrare la Santa Eucaristia”, “prima di morire”. Papa Francesco, rispondendo affermativamente alla sua richiesta, ha lasciato al superiore generale dell’Istituto di seguire il confratello nel processo di reintegrazione al ministero sacerdotale.

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"Nazionale" di calcio vaticana sfida vecchie glorie del Borussia M.

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La rappresentativa di calcio della Città del Vaticano, composta tra gli altri da giocatori della Dirtel (Poste Vaticane) e dalla Gendarmeria Vaticana – e con la partecipazione per la prima volta di due giocatori provenienti dalla Segreteria di Stato e tre dalla Guardia Svizzera Pontificia, voleranno il 9 e 10 agosto a Francoforte, in Germania, per una partita amichevole con il Borussia Monchengladbach. La partita tra la rappresentativa vaticana e la “Hacki Wimmer 6 Friends” (le vecchie glorie del Borussia, guidate da Hacki Wimmer, già campione mondiale nel 1974 con la nazionale tedesca), si giocherà domenica 10 agosto alle 13 a Francoforte, nel glorioso stadio del Borussia. La delegazione vaticana, guidata, tra gli altri, da mons. Markus Heinz, uno degli organizzatori, Domenico Ruggero, coordinatore del calcio in Vaticano, Gianfranco Guadagnoli, allenatore della “nazionale” vaticana e da Paolo Rotundi, dirigente accompagnatore, sarà ospite della società tedesca. L’iniziativa di beneficenza, avviata dal Papa emerito Benedetto XVI è stata confermata da Papa Francesco. Luca Collodi ne ha parlato con un altro degli organizzatori, mons. Guillermo Karcher, della Segreteria di Stato: 

R. – È un’iniziativa che è nata nel 2011. A suo tempo, infatti, fu accettata da Benedetto XVI. Ecco il bello: la continuità. Quando  Papa Francesco l’ha saputo, non ha fatto che plaudire a questa iniziativa. Conosciamo il suo spirito sportivo. Vorrei sottolineare proprio questa continuità: i due Papi, hanno visto in modo chiaro l’importanza dello sport. Poi, c’è la gioia di sapere che il Vaticano sarà presente nei suoi diversi uffici e dicasteri – parliamo addirittura della Gendarmeria Vaticana, della Guardia Svizzera pontificia, della Segreteria di Stato. Una squadra composta da tanti giocatori eccellenti, che rappresentano il mondo vaticano.

D. – Si può parlare ufficialmente di una rappresentativa dello Stato della Città del Vaticano?

R. – Dello Stato e non solo. Per questo motivo, ho detto Segreteria di Stato e Guardia Svizzera. Quindi, va oltre lo Stato Vaticano. Ma chiamiamola pure la squadra del Vaticano.

D. – Mons. Karcher, dobbiamo però sottolineare come il calcio in Vaticano sia amatoriale, un momento importante di valori e divertimento…

R. – Assolutamente. Questo è lo spirito che regna in questi incontri. Penso che il Vaticano offra un’iniziativa sana: non c’è solo il lavoro, per chi è impiegato nello Stato vaticano,  ma anche un momento di incontro con altre persone, non solo del Vaticano e dell’Italia ma, come in questo caso, con il mondo tedesco, con il grande Borussia Mönchengladbach.

D. – Qual è il valore aggiunto dello sport per la Chiesa?

R. – Diciamo che è un momento di aggregazione. Poi, sappiamo che lo sport quando viene praticato con lo spirito giusto diventa una scuola per la disciplina, per il rispetto per chi gioca, con me o contro di me nella squadra dei rivali. Questi sono tutti valori molto evangelici, perché promuovono la crescita della persona, il rispetto per l’altro. Inoltre, lo spirito di gruppo è molto importante per la vita e per lo sviluppo della persona.

D. – Lo sport è importante anche sul piano sociale: per il primo settembre è previsto a Roma un altro appuntamento sportivo, con il Vaticano protagonista nella partita interreligiosa per la pace a sostegno, tra l’altro, dei bambini in Argentina...

R. – Mi ha anticipato. Volevo invitare a seguirla giustamente, visto che siamo qui, perché è un’iniziativa alla quale il Santo Padre tiene particolarmente. Lui è promotore della pace e vede nello sport, in questo incontro che si terrà allo Stadio Olimpico di Roma il primo settembre – al quale stanno aderendo i grandi giocatori di tutte le squadre del mondo – un momento per promuovere l’obiettivo della pace. Vi invito a partecipare a questo incontro di calcio, che sarà importante soprattutto perché voluto dal Papa.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Le necessità dei poveri: all'Angelus il Papa ricorda che la logica di Dio è la condivisione.

Il cordoglio del Papa per la morte del cardinale Edward Bede Clancy.

Sangue a Gaza nonostante la tregua.

Se il figlio diventa un diritto: in prima pagina, Lucetta Scaraffia sulla vicenda del bimbo thailandese.

Radiomessaggio da Manila: Eliana Versace su Giovanni Battista Montini e l'Asia, e Nuccio Fava sulla responsabilità culturale nel segno di Paolo VI.

Forti precipitazioni sull'Esquilino: Fabrizio Bisconti sull'origini di Santa Maria Maggiore.

Un articolo di Giovanni Preziosi dal titolo "Ucciso per aver fatto il prete": nell'agosto 1944 i nazisti trucidarono don Aldo Mei.

Un viaggio senza ritorno: l'arcivescovo di Dublino per il centenario della prima guerra mondiale.

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Oggi in Primo Piano



Sisma in Cina: quasi 400 vittime, si scava ancora tra le macerie

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Rischia di aggravarsi ancora il bilancio del sisma di magnitudo 6.1 che ieri ha investito la regione dello Yunnan, nel sudovest della Cina, provocando - finora - 381 vittime e circa 1.800 feriti. Quasi 80 mila le case crollate e 124 mila quelle che hanno registrato danni. I settemila soccorritori continuano a scavare tra le macerie per trovare superstiti, ma la pioggia rende difficili le operazioni, saltata anche la rete elettrica e delle telecomunicazioni. Nell’area, intanto, le autorità hanno inviato duemila tende, tremila posti letto, coperte, indumenti, cibo e acqua. Della zona colpita dal sisma, Benedetta Capelli ha parlato con Ferdinando Mezzetti, già corrispondente a Pechino per “Il Giornale”: 

R. - Per la pericolosità dei terremoti in quelle zone, basta ricordare quello del Sichuan del 2008 con almeno 70 mila vittime. Sono zone montagnose e, nello specifico, l’area in cui ieri c’è stato questo terremoto - secondo l’agenzia Nuova Cina - ha un’altitudine media di 1.900 metri. Quindi, non so in che modo le case siano costruite, ma certamente non sono costruzioni antisismiche. La lezione del Sichuan non è servita. La Cina si trova in una fase di sviluppo tumultuoso che ha toccato in larga parte le campagne, le zone più interne, come lo Yunnan. La stessa agenzia Nuova Cina si interroga quasi a prevenire domande su come mai un terremoto che, secondo gli esperti, non è stato di potenza e intensità cosi grandi abbia provocato tanti morti e tanti crolli. L’agenzia mettendo le mani avanti dice: “Ma le case erano tutte vecchie.” Le case “tutte vecchie” erano al pianoterra, non avrebbero dovuto esserci tanti morti. In realtà, i crolli hanno coinvolto anche tante costruzioni nuove realizzate senza seguire le norme antisismiche, come se la lezione del Sichuan non fosse servita. Non dimentichiamo che lo Yunnan è una delle zone più interne della Cina: tocca molto le corde dei cinesi perché è una regione con bellissimi paesaggi e molte zone dello Yunnan sembrano ricordare i tradizionali dipinti cinesi, con i fiumi che scorrono tra gole altissime, con montagne elevate avvolte nella foschia. C’è proprio un che di tradizionale cinese che sembra nato nello Yunnan. Questo toccherà molte corde.

D. - Quanto le carenze a livello di sicurezza pesano su queste tragedie? Il tema della sicurezza è forte, sentito in Cina?

R. - Nell’immediato, quando ci fu l’immensa tragedia del Sichuan con oltre 70 mila vittime, ci furono grandi dibattiti, osservazioni, impegni per garantire che da quel momento in poi si sarebbe dovuto costruire solamente in condizione di grande sicurezza con applicazioni antisismiche già previste da norme che a oggi restano largamente inapplicate. Non si sbaglia pensando che in zone interne così le norme antisismiche non siano state osservate.

D. - I social network hanno mostrato foto, filmati che mostrano la situazione nella zona. Ad oggi l’accesso ad Internet da parte di utenti cinesi è possibile? È garantito?

R. - Loro non bloccano quasi mai l’accesso ad IInternet, bloccano l’accesso a siti selezionati – ad esempio quello del New York Times – ma non credo che in questi casi blocchino il web. D’altra parte, non dimentichiamo che si tratta di una zona sismica, quindi i soccorsi non saranno tempestivi perché la zona sarà difficilmente accessibile e le notizie sono frammentarie proprio per questo.

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Gaza, tregua subito violata. Muore bimba di otto anni

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Una tregua debolissima quella unilaterale stabilita oggi per sette ore da Israele, sulla striscia di Gaza, esclusa Rafah. Durante la notte, nonostante il parziale ritiro ieri delle truppe israeliane, si è continuato a sparare con numerose vittime e con il bombardamento di una scuola delle Nazioni Unite. Tensione alta a Gerusalemme dove sarebbe stato sventato un attentato, e dove si susseguono le manifestazioni di giovani arabi. Sono intanto arrivati a oltre 1800 le vittime palestinesi dell’offensiva israeliana, tra loro 400 bambini. Francesca Sabatinelli: 

E’ durata sei minuti la tregua umanitaria unilaterale annunciata da Israele. Un raid israeliano ha ucciso una bambina di otto anni e ferito una trentina di persone, nel campo profughi di Shati nei pressi di Gaza City, quindi nella zona inclusa nel cessate il fuoco, che esclude Rafah. Non vi sono ancora conferme da parte israeliana, ma testimonianze oculari anche di giornalisti concordano con quanto avvenuto. I lanci di razzi da Gaza non si sono invece mai interrotti. 

La comunità internazionale chiede che si fermi il bagno di sangue, soprattutto dopo l’attacco ieri su una scuola dell’Unrwa trasformata in centro di accoglienza per gli sfollati e dove sono morte circa dieci persone, atto che ha suscitato una condanna unanime. La tensione è molto alta anche a Gerusalemme, dove in un attacco condotto con un trattore che si è andato a schiantare contro un bus e un'auto, sarebbero morte due persone, tra loro l'attentatore ucciso dalla polizia, cinque i feriti. 

“Il diritto totale di Israele alla sicurezza non giustifica il massacro dei civili a Gaza”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, per il quale una soluzione politica deve essere imposta ad entrambe le parti, israeliani e palestinesi. Per Avigdor Lieberman, ministro degli esteri israeliano, la soluzione dovrebbe invece essere quella di porre sotto il controllo delle Nazioni Unite la Striscia di Gaza, ora guidata da Hamas.

Su tutte però si alza la voce delle Ong: ogni tregua violata rende impossibile il soccorso dei civili, bambini soprattutto. In Giordania abbiamo raggiunto Karl Schembri, responsabile comunicazione per il Medio Oriente di Save the Children:

R. – Tutto questo ha un impatto diretto sul nostro lavoro, perché noi proviamo a raggiungere quelli che hanno più bisogno, quelli che sono in situazioni disperate. E questa operazione è sempre compromessa quando la tregua non regge! Ci sono ormai più di un milione di bambini che sono intrappolati, senza elettricità, senza acqua, senza i servizi medici e i servizi essenziali di cui hanno bisogno. Noi facciamo tutto quello che possiamo per raggiungerli. Anche oggi la stessa esperienza: una tregua dichiarata, della quale vediamo il collasso nel giro di un’ora o due, con civili uccisi un’altra volta ancora.

D. – Manca l’elettricità, manca l’acqua, tutto questo sta anche impedendo che si svolga la normale attività sanitaria a sostegno dei bambini, che muoiono ogni giorno …  

R. – Infatti! Muore un bimbo ogni ora, come media, sotto questo assedio. Questa guerra è una guerra sui bambini! Sono i civili quelli che stanno pagando il prezzo più alto di questo conflitto. In quegli ospedali che ancora funzionano, perché in altri o è troppo pericoloso lavorare oppure sono andati totalmente distrutti, vediamo quasi l’esaurimento totale del carburante. E questo significa che non ci sarà più elettricità per far funzionare le apparecchiature essenziali di cui ogni ospedale ha bisogno. Anche i medicinali si stanno esaurendo o sono già esauriti. Tutti coloro che stanno lavorando a Gaza, lo fanno in condizioni disperate. Noi, così come l’Onu, come la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa, non siamo in grado di proteggere bambini e civili da questo assolto. Non c’è alcun posto, alcun luogo sicuro a Gaza! Abbiamo visto ospedali e scuole attaccate, dove c’erano sfollati. Fino a ieri erano in 3 mila sotto attacco in una scuola dell’Onu. Nessun luogo è sicuro! Non c’è alcun rispetto della legge internazionale umanitaria! In questi casi c’è sempre l’imperativo umanitario! Noi dobbiamo poter raggiungere queste persone, dobbiamo poter dar loro delle zone, dei luoghi, dove possano radunarsi e trovare protezione. Questo non lo possiamo fare!

D. – Voi avete anche sottolineato il fortissimo aumento di parti prematuri a Gaza…

R. – I parti prematuri si sono raddoppiati a causa dei traumi subiti da parte delle donne in gravidanza. Noi facciamo appello a tutte le parti, alla Comunità internazionale, affinché si risponda alla guerra in corso contro i bambini e affinché si metta in campo tutta l’influenza diplomatica per fermare questo bagno di sangue. Ci deve essere una risposta, devono esserci misure di lungo periodo che fermino questa assurda spirale di violenza, ma anche che segnino la fine del blocco di Gaza. Non è possibile la ricostruzione di Gaza sotto il blocco! Adesso c’è bisogno dell’intervento diplomatico di tutte le parti che hanno influenza sulle parti in conflitto e quindi su Israele e Hamas.

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Jihadisti sconfinano in Libano. Mons. Hobeika: abbiamo paura

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I gruppi islamisti che in Siria combattono sia contro il regime sia contro gli oppositori di Assad hanno sconfinato nel vicino Libano. Nelle ultime 24 ore ad Arsal, un villaggio di confine nella valle della Beqaa, l’esercito ha combattuto una intensa battaglia in cui sono morti 12 soldati e una quarantina di militanti. Lo spettro è che i gruppi jihadisti, che in Iraq stanno perseguitando tutte le minoranze, infiammino il conflitto anche nel Paese dei cedri. Il regime siriano in queste ore ha deciso di offrire sostegno ai militati libanesi. Massimiliano Menichetti ha intervistato mons. Mansour Hobeika, vescovo di Zahleh dei Maroniti: 

R. - Noi cristiani del Libano, ma anche le altre confessioni presenti, sentiamo il pericolo di questo gruppo chiamato "Dash" che diventa fattore di guerra. Si è visto cosa sta accadendo per i cristiani in Medio Oriente. Il Libano rischia lo stesso.

D. – In Iraq, i cristiani sono stati cacciati da Mosul, in Siria tutti combattono contro tutti. C’è paura che questo accada anche in Libano?

R. – Si. Oggi e ieri, ci sono stati conflitti tra l’armata libanese e gli estremisti. Questa realtà potrebbe svilupparsi in altre regioni del Libano, dove ci sono campi di profughi siriani che potrebbero essere armati da Dash, o al-Nusra. Questi estremisti sono “cugini” e dipendono entrambi da Al-Qaeda.

D. - C’è dunque un pericolo concreto di una estensione delle violenze?

R. - Sì, è già cominciata. Adesso, la cosa positiva è che la maggioranza dei musulmani non accetta questo. E' chiaro che gli sciiti non lo accettano, ma neanche i sunniti lo accettano, salvo gli estremisti.

D. - Non lo accettano per paura di una guerra?

R. - Sì, non vogliono distruggere il Libano, ma non è facile mantenere calmi gli estremisti sunniti libanesi.

D. - La politica come sta affrontando questa situazione?

R. - I politici sono d’accordo nel fare tutto il possibile per difendere il Paese. Non sembrano divisi su questo punto.

D. - Come Chiesa cosa state facendo?

R. – Con la nostra comunità e con l’opinione pubblica libanese stiamo facendo un discorso di pacificazione, preghiere, omelie, incontri: tutto quello che possiamo fare adesso.

D. – Oltre nove milioni gli sfollati in Libano per la guerra in Siria, molti continuano ad arrivare in Libano. Qual è la loro condizione?

R. - Sono quasi un milione e 500 mila e la maggior parte di loro vivono nella miseria totale. Gli aiuti ci sono, ma non bastano mai.

D. – Il Libano vede da una parte la guerra in Siria, dall’altra il conflitto tra israeliani e palestinesi…

R. - E’ una cosa diabolica che cerca di aumentare l’odio nel popolo, tra le diverse etnie, tra le diverse religioni e professioni religiose. Intendo dire che se in Iraq, Dash voleva  fare un Paese sunnita non era necessario cacciare tutte le altre minoranze dal Paese. Cristiani e non cristiani tutte le minoranze sono cacciate. Lo scopo è l’odio. Se questo stesso odio viene in Libano, in questo piccolo Paese - dove ci sono 16 confessioni - tutti saranno contro tutti. E’ una cosa diabolica che serve solo a distruggere. Abbiamo paura.

D. - Quindi, qual è il suo auspicio in questa situazione così difficile?

R. - Vorrei che il Libano rimanesse in pace, nell’accoglienza di tutte le minoranze. Se il Libano non riuscirà a mantenere la pace e i cristiani non ci rimarranno, tutto cambierà! E’ un problema grande che merita che tutte le persone di buona volontà, ma soprattutto la Chiesa universale, se ne preoccupino. Non dobbiamo essere lasciati soli!

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Amazzonia, sempre più a rischio il futuro dei popoli indigeni

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È sempre più allarmante la situazione degli indigeni dell’area amazzonica a causa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. A denunciarlo è la Commissione inter-americana per i diritti umani che esprime particolare preoccupazione per la sorte di quelle comunità che, non avendo contatti con le società contemporanee, sono ancora più in pericolo di fronte alla minaccia di violenza e malattie. Sentiamo Francesca Casella, direttrice dell’organizzazione non governativa “Survival International Italia”, intervistata da Caterina Gaeta: 

R. - La situazione è molto grave, perché la loro scelta di rimanere isolati è molto spesso il frutto di una scelta forzata, fatta nelle epoche passate per sopravvivere - appunto - alle invasioni che hanno portato poi allo sterminio o alla decimazione violenta della maggior parte delle loro comunità. Oggi, purtroppo, sono circondati su tutti i fronti: sono invasi da compagnie petrolifere e di disboscamento; le loro terre vengono usurpate dai coloni, che le convertono poi in allevamenti di bestiame o aziende agricole; i loro territori vengono attraversati da strade, che aprono - a loro volta - le porte a bracconieri, che rischiano anche di portare violenza e malattie.

D. - Quindi si può quasi dire che siano rifugiati nella loro stessa terra…

R. - Purtroppo sono costretti a mantenere l’isolamento proprio per sfuggire alle violenze di cui vengono resi vittima.

D. - Perché i governi non tutelano queste popolazioni?

R. - Il motivo per cui questi territori non vengono protetti è lo stesso ricorrente nella storia e in ogni parte del mondo, quindi non solo in Sud America: l’avidità e il razzismo. La brame di risorse cui governi e società non riescono a rinunciare, anche a costo di sacrificare la vita di questi popoli; il razzismo porta poi a pensare che si tratti di popoli, in qualche modo, primitivi e fermi nel tempo - cosa che assolutamente non è vera - che hanno bisogno di essere accompagnati e guidati nella società dominante e quindi “civilizzati”.

D. - A differenza dei governi, invece come agiscono le organizzazioni internazionali e soprattutto quali sono i progetti per il futuro?

R. - Proteggere il futuro di questi popoli è relativamente facile: basta riuscire ad imporre il rispetto delle leggi! Quindi costringere i governi che hanno il dovere di farlo, anche perché lo impone la loro stessa Costituzione, a rispettare la legge e a proteggere i loro territori. Quindi l’azione di pressione e di mobilitazione dell’opinione pubblica è davvero un’arma molto efficace di cui noi possiamo dotarci e che dobbiamo usare per garantire il futuro ai popoli indigeni di tutto il mondo e non solo ovviamente in Sud America.

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Procura apre inchiesta su tragedia Refrontolo. Giovedì i funerali

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Si svolgeranno giovedì pomeriggio nel Duomo di Pieve di Soligo, nel trevigiano, i funerali delle quattro vittime dell’esondazione, sabato sera nel corso di una festa paesana a Refrontolo, del torrente Lierza provocata  da una bomba d’acqua. Otto i feriti, due dei quali sono in gravi condizioni. Il Veneto conta i danni mentre si moltiplicano le polemiche sulla sicurezza del territorio. Aperta un’inchiesta dalla Procura di Treviso. Sul luogo è giunto il ministro dell'ambiente, Gian Luca Galletti. Presente subito dopo la tragedia, per prestare assistenza spirituale ai parenti delle vittime durante il riconoscimento delle salme, è stato don Giuseppe Nadal, parroco di Refrontolo. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. - Il luogo in cui è avvenuto questo terribile incidente è ritornato come prima, perché il disastro è avvenuto nel giro di 30 minuti circa e dopo le strade sono ritornate tutte praticamente asciutte. I cuori delle persone però, e la comunità si trovano adesso a sentire questo immenso dolore. Io quella notte ho soccorso e sono stato in mezzo ai familiari che arrivavano a fare il riconoscimento delle salme.

D. - Si ricercano le cause di quello che è accaduto…

R. - Credo che tutti riconoscano che quanto accaduto fosse imprevedibile. Il luogo è davvero molto bello e famoso: c’era un vecchio mulino e la “croda” che per noi è una roccia, un pendio, meta di turismo. Venivano allestite anche delle mostre, perché il Molinetto era stato trasformato in un museo e tante volte rimaneva anche asciutto per la scarsità di acqua che scende dal ruscello. A monte, in questa circostanza, non so cosa sia successo. Quando sono stato chiamato credevo mi prendessero in giro, mi parlavano di una “bomba d’acqua”, ma andando su non sembrava avesse piovuto, non c’era segno di acqua sulle strade. È avvenuto tutto a monte di quel luogo. Dicono si sia riempito un bacino, probabilmente si è formata una barriera di tronchi o di altro materiale, per cui questo bacino si è riempito e ha ceduto la diga naturale costituita da tronchi, o da altre ramaglie che si erano ammassate all’uscita…

D. - Difficile dire ancora se la tragedia sia da imputare alla scarsa manutenzione, quindi a una negligenza umana, piuttosto che a eventi di portata notevole a livello atmosferico, meteorologico…

R. - Questo non lo saprei dire. C’è chi dice ci sia stata un po’ di incuria, ma io non saprei dare un giudizio su questo. Sono andato a trovare anche i superstiti e ho trovato le persone che avevano organizzato la festa e che in quel momento erano lì felici a cucinare. Quando hanno visto arrivare un po’ d’acqua hanno pensato di salvare e portare via alcune vivande. Non potevano prevedere che sarebbe arrivata quella cascata d’acqua così improvvisa. Qualcuno dice che è stato un "mini-Vajont"...

D. - A proposito dei feriti…

R. - Si trovano in reparto di rianimazione a Treviso. Uno è uscito dal coma, mentre un altro è davvero molto grave, dipende da come evolverà nelle prossime 24 ore: ha riportato alcune infezioni avendo subito ferite molto profonde nel fango. Coloro che sono sopravvissuti sono scioccati.

D. - Di fronte a una tragedia che irrompe in un momento di festa, cosa può dire la fede?

R. - E’ l’unica che può dirci qualcosa perché umanamente ci sarebbe solo il massimo dello sconforto. Qui, ringraziando Dio, abbiamo il dono della fede, almeno le famiglie che sono state colpite sanno reagire bene. Ho visto in tutti un dolore contenuto che si legge solamente nei gesti discreti e negli sguardi. Abbiamo pregato insieme, ma non ci sono parole di conforto.

D. - Lei celebrerà le esequie delle vittime?

R. - Ci siamo messi d’accordo che i funerali verranno fatti giovedì, alle ore 15, nel Duomo di Pieve di Soligo. Immaginiamo ci sarà tantissima gente che arriverà.

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Carceri. Don Balducchi: sostegno a pene alternative

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In Italia, novità annunciate per il mondo carcerario, secondo il decreto governativo convertito in legge sabato scorso, dopo l’approvazione con voto di fiducia al Senato. Novità nel sistema detentivo che continuano ad aprire dibattito. Il testo prevede oltre 20 milioni di euro da qui al 2016 per indennizzare i detenuti sottoposti a trattamenti inumani, meno carcere preventivo e priorità agli arresti domiciliari, oltre a più magistrati di sorveglianza e agenti penitenziari. Roberta Gisotti ha intervistato don Virgilio Balducchi, Ispettore generale dei Cappellani delle Carceri italiane: 

Sono 204 i penitenziari in Italia, 54.414 i detenuti, 5.012 in più rispetto ai posti disponibili, un terzo sono stranieri, 36.415 condannati in via definitiva, gli altri per metà in carcere preventivo e per metà in attesa di giudizio definitivo. Favorevole all’impianto generale della nuova legge è don Balducchi:

R. – Si va verso una conduzione della giustizia che utilizzi il meno possibile il carcere. Questa scelta di costruire delle pene sul territorio è più responsabilizzante per le persone, perché le mette nella condizione di dover rispondere alle loro responsabilità: si va a lavorare per mantenere anche la propria famiglia e, se si ha un reddito, per ricominciare a riparare anche economicamente ai danni fatti, ad esempio. Gli arresti domiciliari dovrebbero però essere accompagnati da un’opera sul territorio che permetta a queste persone di fare qualche piccola attività o dei lavori socialmente utili o del volontariato…

D. – Pene sul territorio che vanno quindi organizzate, anche per quietare i timori di chi teme una ricaduta sul territorio di reiterata criminalità…

R. – Il rischio aumenta se le persone non sono in grado di "reggere" economicamente.

D. – Altro punto è il risarcimento per chi è sottoposto a trattamenti inumani…

R. – Questo è un punto dolente. Comprendo chi dice: “Come? Dobbiamo anche tirare fuori dalle casse dello Stato dei soldi per chi?”... Ma chiunque di noi venga danneggiato, che cosa chiede? Almeno un risarcimento economico.

D. – Sarebbe forse meglio sapere che la dignità dei carcerati sarà garantita, piuttosto che sarà risarcita?

R. – Questo sicuramente, perché pagare la dignità con i soldi non è la cosa migliore di questo mondo, anche perché in questo modo viene monetizzato tutto. Però, di fatto, in alcuni procedimenti giuridici la mediazione viene fatta fondamentalmente su un accordo economico. Ripeto, quindi, questa sicuramente non è la migliore scelta: la migliore scelta sarebbe avere meno gente in carcere e dei luoghi di detenzione dignitosi.

D. – Che dire invece dei benefici per i minori che sono estesi fino ai 25 anni: vengono alzati quindi dai 21 ai 25 anni…

R. – Questa scelta ha l’intenzione, e spero sia compresa in questo modo, di permettere che la società si renda conto che i giovani che commettono reati sono anche frutto di un ambiente, di un modo di vivere. Favorire quindi l’elemento educativo rispetto alla pena: io questo lo vedo in modo positivo. Bisognerà poi verificare in che termini anche questo aspetto abbia le gambe per essere costruito in maniera decente. Per poter avere delle alternative per ragazzi di 24-25 anni, bisogna avere maggiori posti ad esempio nelle comunità e devono essere seguiti sul territorio in maniera diversa. Il problema rimane se la normativa non viene accompagnata anche da politiche sociali, che intervengano sulle situazioni

D. – Importante è sensibilizzare tutti al mondo del carcere, che non è un mondo "altro"...

R. – Non è il frutto della cattiveria di tutti quelli che sono in carcere. Le persone che sono in carcere, che hanno le loro responsabilità e di cui devono risponderne, sono però persone che vivono nelle nostre società. È una chiamata di corresponsabilità ad affrontare il male.

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In aumento truffe e raggiri ai danni di anziani e persone sole

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In aumento le truffe ai danni di anziani, invalidi e persone sole. Ingannati da falsi tecnici, manutentori, amici di famiglia, aprono le porte delle loro case a malviventi senza scrupoli che li privano di denaro ed oggetti di valore. Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Enzo Costa, presidente dell’Auser, Associazione di volontariato impegnata a promuovere l'invecchiamento attivo degli anziani, per avere consigli pratici: 

R. – Le tipologie più diffuse sono i meccanismi che puntano a introdursi in casa degli anziani e sono i più vari e fantasiosi: vanno dal falso dipendente dell’Enel che deve fare un controllo, alla compagnia telefonica, alla consegna di un pacco dove serve una firma e nel pacco non c’è niente. O addirittura, ci si presenta come medico della Asl per un controllo sanitario. Una volta introdotto in casa dell’anziano, con la scusa più banale – come appunto chiedere una firma per la consegna di un pacco, oppure con la semplice richiesta di un bicchier d’acqua – mentre l’anziano si allontana per prendere l’acqua, si fruga nei luoghi più comuni alla ricerca di quei pochi risparmi dell’anziano che, per motivi personali di tranquillità, tende per esempio a ritirare tutta la pensione e a tenerla a casa nel cassetto, perché con quei soldi si sente più tranquillo. Non usa la moneta elettronica, o la usa pochissimo, sono pochissimi gli anziani che la usano. Arrivano addirittura ad accumulare somme: a volte a noi arrivano telefonate di furti ad anziani a cui hanno portato via 10 o 20 mila euro in contanti trovati in casa.

D. – Consigli pratici per contrastare queste truffe?

R. – Nessuna compagnia, né telefonica, né elettrica, né del gas, manda persone a bussare alla porta se non c’è un preavviso. Non fate entrare in casa chiunque si presenti, a qualsiasi titolo. Secondo consiglio: se c’è, bussate a un vostro vicino, chiedete che ci sia anche un vicino che vi aiuti nella comunicazione con questo soggetto sconosciuto che tenta di aprire un rapporto con voi. L’altro consiglio è quello di non tener mai eccessivi valori in casa, perché i furti non riguardano altro che gioielli e denaro liquido.

D. – Come può il cittadino contribuire a combattere questi fenomeni?

R. – Il cittadino deve rinunciare a un pezzo di individualismo che è diventato davvero eccessivo. Deve riscoprire vecchi valori, come quello della solidarietà e della coesione sociale. Dobbiamo smetterla di pensare che il mondo inizi e finisca con noi anche perché, a furia di pensare questo, le persone che hanno una qualità della vita decente diminuiscono sempre più. Gli anziani devono essere parte integrante della comunità: questa è una società che invecchia e il periodo della vecchiaia non è più brevissimo, ma è un periodo medio-lungo, per cui la stessa società deve farsi carico di costruire politiche per garantire una qualità di vita agli anziani di questo Paese. Abbiamo un livello pensionistico che ha percentuali spaventose, sotto la soglia di povertà, e abbiamo un welfare che, gradualmente, continua a ritirarsi. Abbiamo la non autosufficienza che cresce perché crescono le aspettative di vita. Quindi, cresce l’età media e diminuiscono le risorse per combattere la non autosufficienza. Quando parliamo di 21-30% dell’intera popolazione, non stiamo parlando di una marginalità, ma stiamo parlando di una quota importante.

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Nella Chiesa e nel mondo



Cina, vescovo denuncia campagna distruzione di chiese e croci

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In Cina, mons. Vincenzo Zhu Weifang, vescovo di Wenzhou, ha denunciato il governo dello Zhejiang per le demolizioni forzate delle chiese e la distruzione delle croci dalle chiese protestanti e cattoliche della provincia. Il presule – riferisce AsiaNews - ha diffuso una lettera pastorale con la data del 30 luglio dicendo ai suoi fedeli "di non temere ma di avere fede". Il 31 luglio, anche i suoi sacerdoti hanno chiesto alle autorità di fermare la campagna che va avanti ormai da mesi. Fedeli protestanti e cattolici sono stati feriti nel tentativo di fermare la polizia mentre distruggeva chiese e croci.

Mons. Zhu, 87 anni, nella sua lettera confessa che la campagna di distruzione lo ha sorpreso e spiega che all’inizio non è intervenuto perché pensava che questa campagna sarebbe finita presto. Chiede perdono, dunque, ai fedeli per il ritardo del suo intervento.

La politica delle demolizioni – sottolinea - è "sbagliata e ingiusta" perché anche "edifici dentro la norma" sono stati distrutti. Il vescovo nota che la campagna "prende di mira le croci sui tetti delle chiese” come “un segno della fede cristiana". Ciò accresce la tensione fra la Chiesa e il governo e causa violenze, distruggendo l'armonia religione-Stato e aumenta l'instabilità sociale. Secondo il vescovo la campagna si sta intensificando.

Mons. Zhu domanda ai fedeli di pregare per il destino della diocesi, offrendo un Rosario al giorno e una Via Crucis ogni venerdì. "Preghiamo - è la sua esortazione - perché coloro che ci perseguitano possano cambiare".

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Libia. Mons. Martinelli: resto qui finché rimane anche un solo cristiano

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“La comunità cristiana in Libia è ormai ridotta ai minimi termini ma intendo restare qui fino a che rimane anche un solo cristiano” dice all’Agenzia Fides mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli. La Libia sta vivendo il momento più difficile dopo la caduta del regime di Gheddafi. A Tripoli i sanguinosi scontri tra le diverse milizie per il controllo dell’aeroporto hanno creato gravi danni alle infrastrutture aeroportuali e si è sfiorato il disastro ecologico con l’incendio di un importante deposito di carburante. La situazione in Cirenaica appare ancora più confusa per la presenza di diverse milizie che lottano per il controllo del territorio.

Mons. Martinelli riassume così la situazione della comunità cristiana in Libia: “in Cirenaica non ci sono più suore mentre stanno lasciando la regione la maggior parte dei filippini, che sono il cuore della comunità cristiana in Libia. A Tripoli c’è ancora una buona presenza di filippini ma anche qui molti di loro sono in partenza”. “La Chiesa vive in rapporto con questa presenza di laici che operano nel settore sanitario e vista la situazione questo è realmente un momento di prova forte. Non so fin dove finiremo ma ho fiducia che un gruppo di persone resterà qui al servizio della Chiesa” dice mons. Martinelli.

“Il problema è sapere quale fisionomia assumerà il Paese” continua il vicario apostolico. “Per il momento i combattimenti sembrano cessati ma la situazione rimane precaria. L’aeroporto è chiuso e le persone che partono si imbarcano su navi. Anche il viaggio via terra verso il confine tunisino è diventato impraticabile”. “Ho ancora fiducia nel futuro della Libia ma siamo nella mani di Dio” prosegue Mons. Martinelli che afferma di non volere abbandonare il Paese. “Finché rimane qui anche un solo cristiano io devo restare per assisterlo. Anche se il servizio religioso è ridotto al minimo non posso abbandonare i pochi cristiani rimasti” conclude Mons. Martinelli che rivolge un appello alla preghiera, perché “solo la preghiera può risolvere situazioni difficili come quella della Libia di oggi”.

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Arcivescovo di Bangui: c'è rischio che Centrafrica diventi un Ruanda

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La situazione nella Repubblica Centrafricana “è precaria. Bangui sta vivendo un momento di tregua e gli spari sono quasi cessati. Ci sono ancora banditi che rubano. Le forze dell’Eufor (Unione europea) hanno svolto un lavoro apprezzato dalla popolazione. La vita sta riprendendo con le attività e il traffico per strada. L’interno del Paese è in mano a gruppi armati che a volte controllano un’intera città”. Così mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui e presidente della Conferenza episcopale centrafricana, in un’intervista al Sir presenta la situazione del Paese.

Nei giorni scorsi, secondo una fonte dell’Ansa, almeno 22 persone, soprattutto civili, sono rimaste uccise in violenti scontri tra milizia anti balaka ed ex ribelli Seleka a Batangafo (300 chilometri a nord di Bangui). Il presule mette in guardia dal pericolo che la situazione degeneri ulteriormente: “Il rischio che il Centrafrica diventi un Ruanda - afferma - è reale e stiamo cercando di farne prendere coscienza ai belligeranti per evitare questa tragedia alla nostra gente. Ci sediamo seduti sulle braci e alcune persone, con interessi, giocano ad alimentare il fuoco. Se qualcuno assume delle posizioni estremiste, possiamo facilmente sprofondare nella barbarie”.

In questo periodo di violenze “la Chiesa - riprende mons. Nzapalainga - è rimasta madre e ha accolto gli sfollati. Tre quarti dei siti di accoglienza sono luoghi di Chiesa: conventi, canoniche, parrocchie, seminari. La Chiesa ha protetto, nutrito, difeso i poveri. Attualmente sensibilizziamo i cristiani alla non-violenza, al perdono, alla tolleranza, alla riconciliazione e, soprattutto, al rispetto della vita”. “Noi predichiamo il disarmo delle menti e dei cuori per un nuovo Centrafrica dove poter vivere insieme nella diversità”, precisa, ricordando che “il nemico ha nomi precisi: orgoglio, odio, vendetta, rancore, violenza”, mentre “la Chiesa invita i suoi figli alla conversione”.

Sulla condizione dei rifugiati ospitati in parrocchie e strutture religiose, il vescovo non nasconde le difficoltà. “I rifugiati fanno fatica a procurarsi il cibo per il proprio sostentamento e mancano del necessario. La Caritas non ha i mezzi per sostenere questi gruppi a causa del suo budget limitato. Le persone hanno necessità di assistenza per ricostruire le loro case, avere un pasto quotidiano, abbigliamento, farmaci per curarsi”. L’appello, infine, è a “deporre le armi e sedersi, discutere e cercare delle soluzioni insieme. La rabbia e la violenza hanno distrutto il nostro Paese, le nostre relazioni. È nostra responsabilità ricostruire nuove relazioni e le città”.

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Ebola: si aggrava l’epidemia in Africa Occidentale, appello della Caritas

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“Si aggrava l’epidemia di ebola in Africa Occidentale e raggiunge cifre allarmanti per  numero di casi ed estensione territoriale con centinaia di decessi tra  Guinea - dove  l’epidemia ha avuto inizio nel mese di febbraio - Liberia, Sierra Leone. Si segnala un caso probabile anche in Nigeria”. E’ l’allarme che lancia la Caritas italiana.

“Non c’è alcun vaccino – afferma in una nota l’organismo cattolico - per prevenire e sconfiggere il virus, né alcuna cura specifica, per questo la letalità del virus è molto elevata, raggiungendo anche picchi del 90% di mortalità. Solo ora che si paventa il pericolo di espansione del contagio, l’opinione  pubblica occidentale sembra finalmente aver preso consapevolezza della gravità della  situazione”.

Le Caritas di Guinea e Sierra Leone, in collaborazione con le organizzazioni  internazionali e i Ministeri della Sanità locali, sono impegnate sin dallo scoppio dell’epidemia in attività di sensibilizzazione della popolazione locale, presso le famiglie e nei luoghi pubblici, per fornire spiegazioni sul virus e raccomandazioni igienicosanitarie di prevenzione, e nella distribuzione di sapone e cloro. Più di 100 animatori sono impegnati sul terreno; 100.000 sono già i beneficiari dell’aiuto Caritas in Guinea, 60.000 quelli previsti per la Sierra Leone, dove ad oggi si verifica una  forte espansione del virus e il governo ha dichiarato lo stato di emergenza.

“Fondamentale – spiega la Caritas - il ruolo della sensibilizzazione ‘porta a porta’ e nei luoghi pubblici per  accrescere la consapevolezza della popolazione, la conoscenza delle regole basilari per  la prevenzione e la condotta da tenere in caso di sintomi sospetti in famiglia e nelle  comunità. Cruciale a tal proposito è il ruolo degli animatori locali, che conoscono profondamente e condividono la cultura e le tradizioni nei villaggi e nelle comunità, così come quello delle autorità locali, in particolare religiose, in cui la popolazione ripone particolare fiducia e che possono far comprendere nei villaggi l’importanza di  seguire le raccomandazioni igienico-sanitarie (lavare e disinfettare regolarmente le  mani, cuocere bene i cibi, non mangiare selvaggina), di fare attenzione a sintomi  sospetti e rivolgersi ai centri medici preposti, di segnalare immediatamente casi  sospetti”.

Caritas Guinea e Caritas Sierra Leone hanno lanciato appelli alla rete internazionale. La Caritas Italiana, che sostiene sin dall’inizio dell’emergenza le attività delle  Caritas locali, ha messo a disposizione un primo contributo di 20.000 euro per aiuti d’urgenza e continua a seguire con attenzione l’evoluzione della situazione nell’intera  regione. Per sostenere gli interventi in corso, si possono inviare offerte a: Caritas Italiana, via Aurelia 796 – 00165 Roma, tramite C/C POSTALE N. 347013 specificando nella causale: “Africa/Epidemia ebola”.

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Irlanda. Mons. Martin: la guerra è un viaggio che non finisce

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“La guerra è un viaggio lungo una strada a senso unico, una volta iniziato è quasi inevitabile un’ulteriore spinta per il suo perpetuarsi”. Queste le parole pronunciate nell’omelia di questa domenica da mons. Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, in occasione della commemorazione dei 100 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale.

Mons. Martin ha aperto l’omelia nel ricordo di padre Francis Gleeson, cappellano della Second Royal Munster Fusilier, il corpo dei fucilieri irlandesi, che ha raccontato gli orrori della guerra in un diario, ora custodito negli archivi diocesani di Dublino. L’opera, ha spiegato il presule, è oggi uno straordinario documento che “cattura in modo unico il coraggio dei soldati e gli orrori della guerra”.                         

Mons. Martin ha invitato poi i fedeli a ricordare i milioni di giovani morti durante quei lunghi quattro anni di conflitto e a commemorare “l’idealismo, il valore e il coraggio di coloro che hanno servito in guerra”. “Ricordiamo, in particolare – ha aggiunto - le migliaia di giovani irlandesi che hanno combattuto e coloro che sono caduti seguendo un ideale”. L’arcivescovo di Dublino ha poi delineato le conseguenze della Grande Guerra che “ha portato ad una nuova industrializzazione delle armi e che ha costantemente bisogno di essere rifornita, generando una sorta di fascinazione e glorificazione della guerra in cui i giovani si sono fatti avanti per qualcosa che sembrava una sfida e che, invece, si è trasformato in  un orrendo trauma e in una carneficina”. Infatti, ha sottolineato ancora mons. Martin, “la guerra non termina con il cessate il fuoco, le ferite rimangono nel corpo, nei cuori dei soldati e nei rapporti tra popoli e tra Stati. La guerra danneggia quell’armonia tra le persone e con la natura che Dio ha originariamente creato”.

Guardando, inoltre, all’attuale conflitto che infiamma oggi il Medio Oriente, il presule irlandese ha ribadito che “il mese di luglio è stato il più sanguinoso degli ultimi anni, vediamo la carneficina soprattutto tra i civili” ed ha sottolineato che “ogni razzo lanciato da entrambe le parti e in qualunque conflitto è stato disegnato e costruito, venduto per profitto ed acquistato per rispondere ad interessi di persone che vivono lontane dai luoghi delle carneficine”.

Infine, mons. Martin ha sottolineato che il diario di padre Gleeson mostrava come “la fede aiutasse i soldati non solo ad affrontare gli orrori della guerra, ma desse loro anche la speranza che avrebbero contribuito a costruire una società diversa in cui le nazioni e i popoli avrebbero imparato a parlare il linguaggio della speranza e della pace”. “In un mondo travagliato – ha concluso il presule - dobbiamo mantenere vivo quell’ideale di pace, lo dobbiamo alla loro memoria”, perché “ogni cristiano è chiamato a portare la pace, a costruirla e a restaurarla in un mondo lacerato”. (C.G.)

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Anche la Caritas di Napoli resta aperta in agosto: la carità non va in vacanza

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Anche la Caritas diocesana di Napoli ad agosto resterà aperta, “perché la carità non va in vacanza”. “Sono migliaia le persone che ogni giorno bussano alle porte delle parrocchie e della Caritas diocesana, in questo duro periodo di crisi economica e occupazionale, che perdura e colpisce famiglie intere, rimaste, in molti casi, senza reddito e senza lavoro. Oltre ai senza fissa dimora anche interi nuclei familiari avvertono la mancanza del minimo vitale, per cui vanno in cerca di un po’ di pane e di un pasto caldo”, si legge in una nota della diocesi partenopea.

Il mese di agosto per quasi tutte queste persone è il mese più difficile da affrontare e, quindi, per volere del cardinale Crescenzio Sepe, il direttore della Caritas, don Enzo Cozzolino, ha predisposto per tempo “un piano delle mense, che saranno attive in diversi punti della città e che, nelle ore stabilite della giornata, potranno accogliere complessivamente circa 1500 persone, avvalendosi, anche quest’anno del prezioso servizio generosamente assicurato da tantissimi volontari”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 216

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.