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Sommario del 06/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: le Beatitudini sono il "ritratto di Gesù, via della vera felicità"

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Le Beatitudini sono lo specchio della vita cristiana. Alla prima udienza generale dopo la pausa di luglio, Papa Francesco ha ripreso le sue catechesi sulla Chiesa, dedicando la riflessione al tema del Discorso della montagna di Gesù. Al termine, un nuovo invito a pregare per la pace in Medio Oriente. Il servizio di Alessandro De Carolis

Con Papa Francesco a scuola di Beatitudini: quelle che non si sanno recitare a memoria come i Comandamenti, perché “non siamo abituati” a impararle, e quelle che stimolano la coscienza su cosa significa essere e vivere da cristiani.

Con le seimila persone messe al riparo in Aula Paolo VI dal caldo e dal sole che picchia su Piazza San Pietro, alla prima udienza generale d’agosto il Papa indossa come spesso gli accade in queste occasioni i panni del catechista. Stavolta, a essere messa a fuoco è la “novità” portata da Gesù rispetto all’Antica Alleanza. Prima di essere una parola, questa novità – spiega Papa Francesco – è rappresentata da un uomo. Giovanni Battista appare all’alba dell’esperienza cristiana come figura di raccordo fra Antico e Nuovo Testamento. E con un compito preliminare ben preciso:

“Con la sua testimonianza Giovanni ci indica Gesù, ci invita a seguirlo, e ci dice senza mezzi termini che questo richiede umiltà, pentimento e conversione: è un invito che fa all’umiltà, al pentimento e alla conversione".

Poi, arriva Cristo al centro della scena e Papa Francesco evidenzia il cambiamento di cui Gesù è portatore facendo un parallelo con Mosè. Il Patriarca era salito su un monte per ricevere da Dio la legge per il popolo eletto. Gesù fa altrettanto con la sua legge dell’amore. Sale sulla collina in riva al lago di Galilea e davanti alla folla enuncia le straordinarie affermazioni delle Beatitudini:

“Le Beatitudini sono la strada che Dio indica come risposta al desiderio di felicità insito nell’uomo, e perfezionano i comandamenti dell’Antica Alleanza (...) In queste parole c’è tutta la novità portata da Cristo, e tutta la novità di Cristo è in queste parole.  In effetti, le Beatitudini sono il ritratto di Gesù, la sua forma di vita; e sono la via della vera felicità, che anche noi possiamo percorrere con la grazia che Gesù ci dona”.

L’Aula che per alcuni minuti recita ognuna delle Beatitudini, ripetendole dopo il Papa, diventa una nuova icona di Francesco, Papa e maestro mai teorico di vita cristiana. Che non rinuncia, com’è suo costume, a dare il “compito a casa” a chi lo ascolta. L’impegno è a prendere il Vangelo e a rileggere le Beatitudini al capitolo 5 di Matteo e poi il 25, dove – conclude – compare il “protocollo” in base al quale “saremo giudicati alla fine del mondo”:

“Non avremo titoli, crediti o privilegi da accampare. Il Signore ci riconoscerà se a nostra volta lo avremo riconosciuto nel povero, nell’affamato, in chi è indigente ed emarginato, in chi è sofferente e solo… È questo uno dei criteri fondamentali di verifica della nostra vita cristiana, sul quale Gesù ci invita a misurarci ogni giorno. Leggo le Beatitudini e penso come deve essere la mia vita cristiana, e poi faccio l’esame di coscienza con questo capito 25 di Matteo. Ogni giorno: ho fatto questo, ho fatto questo, ho fatto questo… Ci farà bene! Sono cose semplici ma concrete".

Al termine dell’udienza, salutando in particolare un gruppo di fedeli in lingua araba, Papa Francesco ha invitato una volta ancora alla preghiera per l’area della Terra Santa:

“Preghiamo tanto per la pace in Medio Oriente: pregate per favore!”.

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Appello del Papa per le popolazioni cinesi colpite dal terremoto

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Vi sono vicino: così il Papa, nel suo appello alla fine dell’udienza generale, si è rivolto agli abitanti dello Yunnan, in Cina, colpiti tre giorni fa da un devastante terremoto di magnitudo 6,1. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Il bilancio sale ancora, e oggi si parla di 589 morti, 2.300 feriti. Ai sopravvissuti e ai familiari delle vittime è arrivato il cordoglio del Papa:

“Esprimo la mia vicinanza alle popolazioni della provincia cinese dello Yunnan, colpite domenica scorsa da un terremoto che ha provocato numerose vittime e ingenti danni. Prego per i defunti e per i loro familiari, per i feriti e per quanti hanno perso la casa. Il Signore dia conforto, speranza e solidarietà nella prova”.

Nella provincia meridionale si scava ancora, le squadre di soccorritori non hanno mai smesso di cercare tra il fango e le macerie, in un territorio da giorni devastato da piogge torrenziali che rendono sempre più difficili le operazioni di salvataggio e che hanno interrotto i collegamenti stradali, complicati anche dalle continue scosse di assestamento. E ci sono persone che forse non saranno mai ritrovate, fanno sapere fonti ufficiose. Circa 80 mila le abitazioni crollate, 124 mila quelle molto danneggiate, 230mila gli evacuati a causa di un sisma che risulta uno dei più disastrosi da decine di anni e che ha interessato un’area abitata da oltre un milione di persone.

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Il Papa ai ministranti tedeschi: usate bene la libertà, testimoni gioiosi di Cristo

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In un clima di festa oltre 50 mila ministranti di lingua tedesca hanno incontrato Papa Francesco in Piazza San Pietro. Dopo la celebrazione dei Vespri e il saluto al Santo Padre da parte del presidente della Conferenza episcopale tedesca, il Pontefice ha risposto alle domande di alcuni giovani chierichetti. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

“Liberi! Perché è lecito fare del bene”. Il motto del pellegrinaggio a Roma dei ministranti tedeschi è risuonato nella celebrazione dei Vespri. Durante l’omelia, pronunciata in tedesco, Papa Francesco ha detto che il Signore vuole persone libere. “Dio ci dimostra che Lui è il Padre buono”. E lo fa attraverso l’incarnazione del suo Figlio. Attraverso Gesù “possiamo capire ciò che Dio veramente intende”:

"Er will Menschen, die frei sind...
Egli vuole persone umane libere, perché si sentono sempre protette come figli di un buon Padre. Per realizzare questo disegno, Dio ha bisogno soltanto di una persona umana. Ha bisogno di una donna, una madre, che metta al mondo il Figlio. Lei è la Vergine Maria, che onoriamo con questa celebrazione vespertina. Maria fu totalmente libera. Nella sua libertà ha detto di sì. Lei ha fatto il bene per sempre. Così ha servito Dio e gli uomini. Imitiamo il suo esempio, se vogliamo sapere ciò che Dio si aspetta da noi suoi figli”.

Dopo l’omelia il Santo Padre ha risposto ad alcune domande. Come possono i giovani – ha chiesto un ministrante - essere più protagonisti nella vita della Chiesa? Il Papa ha risposto ricordando che il “mondo ha bisogno di persone che testimonino agli altri che Dio ci ama”. Non basta “mettersi al servizio del bene comune offrendo cose necessarie per l’esistenza”, come il cibo, i vestiti, le cure mediche, l’istruzione, l’informazione e la giustizia:

“Noi discepoli del Signore abbiamo una missione in più: quella di essere 'canali' che trasmettono l’amore di Gesù. E in questa missione voi, ragazzi e giovani, avete un ruolo particolare: siete chiamati a parlare di Gesù ai vostri coetanei, non solo all’interno della comunità parrocchiale o della vostra associazione, ma soprattutto al di fuori. Questo è un impegno riservato specialmente a voi, perché con il vostro coraggio, il vostro entusiasmo, la spontaneità e la facilità all’incontro potete arrivare più facilmente alla mente e al cuore di quanti si sono allontanati dal Signore”.

“Tanti ragazzi e giovani della vostra età – ha aggiunto il Papa - hanno un immenso bisogno di qualcuno che con la propria vita dica loro che Gesù ci conosce, ci ama, ci perdona, condivide con noi le nostre difficoltà e ci sostiene con la sua grazia”:

“Ma per parlare agli altri di Gesù bisogna conoscerlo e amarlo, fare esperienza di Lui nella preghiera, nell’ascolto della sua parola. In questo voi siete facilitati dal vostro servizio liturgico, che vi permette di stare vicino a Gesù Parola e Pane di vita. Vi do un consiglio: il Vangelo che ascoltate nella liturgia, rileggetelo personalmente, in silenzio, e applicatelo alla vostra vita; e con l’amore di Cristo, ricevuto nella santa Comunione, potrete metterlo in pratica. Il Signore chiama ognuno di voi a lavorare nel suo campo; vi chiama ad essere gioiosi protagonisti della sua Chiesa, pronti a comunicare ai vostri amici ciò che Lui vi ha comunicato, specialmente la sua”.

Un altro ministrante ha chiesto come sia possibile conciliare varie attività, tra cui quella sportiva o la passione ad esempio per la musica, con l’impegno di ministrante. Il Santo Padre ha detto che bisogna saper pianificare, capire cosa realmente è importante e ricordarsi del Signore:

“Bisogna un po’ organizzarsi, programmare in modo equilibrato le cose… ma voi siete tedeschi, e questo vi viene bene! La nostra vita è fatta di tempo e il tempo è dono di Dio, pertanto occorre impegnarlo in azioni buone e fruttuose. Forse tanti ragazzi e giovani perdono troppe ore in cose futili: il chattare in internet o con i telefonini, le 'telenovele', i prodotti del progresso tecnologico che dovrebbero semplificare e migliorare la qualità della vita e talvolta distolgono l’attenzione da quello che è realmente importante”.

Oltre ad evitare di perdere del tempo in cose futili, non si deve trascurare il Signore:

“Tra le tante cose da fare nella routine quotidiana, una delle priorità dovrebbe essere quella di ricordarsi del nostro Creatore che ci consente di vivere, che ci ama, che ci accompagna nel nostro cammino”.

Come sperimentare – ha chiesto infine un terzo ministrante - che la fede significa libertà? Da Dio – ha risposto il Pontefice – abbiamo ricevuto il grande dono della libertà:

“Se non è esercitata bene, però, la libertà ci può condurre lontani da Dio, può farci perdere la dignità di cui Lui ci ha rivestiti. Per questo sono necessari degli orientamenti, delle indicazioni e anche delle regole, tanto nella società quanto nella Chiesa, per aiutarci a fare la volontà di Dio, vivendo così secondo la nostra dignità di uomini e di figli di Dio. Quando non è plasmata dal Vangelo, la libertà può trasformarsi in schiavitù: la schiavitù del peccato”.

Ricordando che “i nostri progenitori, Adamo ed Eva, allontanandosi dalla volontà divina sono caduti nel peccato, cioè nel cattivo uso della libertà”, Papa Francesco ha aggiunto:

“Cari ragazzi e ragazze, non usate male la vostra libertà! Non sciupate la grande dignità di figli di Dio che vi è stata donata! Se seguirete Gesù e il suo Vangelo, la vostra libertà sboccerà come una pianta in fiore, e porterà frutti buoni e abbondanti! Troverete la gioia autentica, perché Lui ci vuole uomini e donne pienamente felici e realizzati. Solo aderendo alla volontà di Dio possiamo compiere il bene ed essere luce del mondo e sale della terra”.

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Il Papa: la famiglia, centro d’amore in cui nessuno è scartato

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La famiglia è un “centro d’amore” in cui “nessuno è scartato”: lo scrive Papa Francesco in un messaggio inviato al primo Congresso latinoamericano di Pastorale familiare, in programma a Panama dal 4 al 9 agosto. Organizzato dal Consiglio delle Conferenze episcopali dell’America Latina, il convegno ha come tema: “Famiglia e sviluppo sociale per la vita piena e la comunione missionaria”. Il servizio di Isabella Piro: 

“Cosa è la famiglia?” chiede il Papa in apertura del suo messaggio. E la risposta è chiara: la famiglia è “un centro d’amore” in cui regnano “la legge del rispetto e della comunione”, capace di resistere a “manipolazioni” mondane. La famiglia è ciò che permette di superare “la falsa opposizione tra individuo e società”; in seno ad essa “nessuno è scartato” e tutti – anziani e bambini – trovano accoglienza. Ed è nella famiglia che nascono “la cultura dell’incontro e del dialogo, l’apertura alla solidarietà e alla trascendenza”.

Il Papa, quindi, mette in risalto due caratteristiche peculiari del nucleo familiare: la stabilità e la fecondità. Il primo aspetto, che deriva “dall’amore fedele fino alla morte” forma “il tessuto basilare di una società umana”, dandole “coesione e consistenza”. Quanto alla fecondità, essa significa la generazione non solo di nuova vita – spiega il Pontefice - ma anche di “un nuovo mondo”, grazie all’ampliamento “dell’orizzonte dell’esistenza”. Nonostante “la disperazione e le sconfitte”, ribadisce il Papa, “una convivenza basata sul rispetto e la fiducia è possibile” perché la famiglia, “in contrasto con la visione materialistica del mondo”, “non riduce l’uomo allo sterile utilitarismo”, ma ne guida ed accompagna “i desideri più profondi”.

La famiglia, scrive ancora Papa Francesco, è “oggetto di evangelizzazione ed agente evangelizzatore”, è “esperienza fondante”, che fa crescere l’uomo nella sua “apertura a Dio Padre”, è il luogo in cui “la fede si mescola con il latte materno”. In quest’ottica, “l’amore familiare nobilita” ogni azione umana e le dona “un valore aggiunto”. Infine, il Pontefice ricorda tre parole-chiave da coltivare sempre in famiglia, ovvero “perdono, grazie e per favore”, e prega la Vergine di Guadalupe di rendere ogni nucleo familiare fonte di “vita, concordia e fede”. Il messaggio pontificio è stato letto in apertura del Congresso da mons. Raúl Martín, vescovo di Santa Rosa, in Argentina, e presidente del Dipartimento per la Famiglia, la vita e la gioventù del Consiglio delle Conferenze episcopali dell’America Latina (Celam).

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Nomine episcopali in Brasile e Mozambico

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In Brasile, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Ordinariato Militare per il Brasile, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Osvino José Both. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Fernando José Monteiro Guimarães, dei Redentoristi, finora vescovo di Garanhuns. Mons. Guimarães è nato il 19 luglio 1946, in Recife, Stato di Pernambuco, arcidiocesi di Olinda e Recife. Ha frequentato gli studi liceali presso i Padri Redentoristi in Garanhuns e in Campina Grande e gli studi di Filosofia e Teologia nel Seminario Maggiore Redentorista di Juiz de Fora, ottenendo poi la Licenza in Filosofia nella Facoltà di Don Bosco, in São João del Rei. Ha conseguito il Dottorato in Teologia Morale presso l'Alfonsianum nel 1989 e poi la Licenza in Diritto Canonico presso l’Ateneo Romano della Santa Croce della Pontificia Università di Navarra, Spagna. Ha emesso la prima professione nella Congregazione dei Redentoristi il 25 gennaio 1965 e la professione perpetua il 13 dicembre 1969. È stato ordinato sacerdote il 15 agosto 1971. Ha svolto diverse attività pastorali ed ecclesiastiche: Vice Parroco della Parrocchia Santo Afonso, in São Sebastião do Rio de Janeiro; Membro dell'Équipe di Coordinamento della Pastorale dell'arcidiocesi; Vice Parroco della Parrocchia São José, in Belo Horizonte; Collaboratore presso la Segreteria di Stato e presso la Congregazione per i Vescovi (1980-1983); Segretario esecutivo della Commissione della Dottrina della Fede, nell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro; Perito al Sinodo dei Vescovi sulla "Formazione sacerdotale nelle attuali circostanze" (1990); Professore di Teologia Morale nell'Istituto Teologico dell'arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro e nella Scuola Teologica dei Benedettini di Rio de Janeiro; Assistente dell'Em.mo Card. Eugênio de Araújo Sales (1990-1994). E’ stato Capo Ufficio della Congregazione per il Clero; Membro della Commissione Speciale per la trattazione delle cause di dichiarazione di nullità della Sacra Ordinazione e di dispensa dagli obblighi del diaconato e del presbiterato; Commissario deputato per la trattazione delle cause di dispensa dal Matrimonio rato e non consumato; Giudice esterno del Tribunale di Appello del Vicariato di Roma. Il 12 marzo 2008 è stato eletto Vescovo di Garanhuns ricevendo l’ordinazione episcopale il 31 marzo successivo. Come Vescovo ha ricoperto diversi incarichi: Membro del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; Presidente della Commissione Episcopale per l’implementazione dell’Accordo Brasile-Santa Sede; Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi.

In Mozambico, Papa Francesco ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Nampula mons. Ernesto Maguengue, già vescovo di Pemba. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Fornos Minore.

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Ecclesiam suam di Paolo VI compie 50 anni: la Chiesa in dialogo col mondo

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50 anni fa, il 6 agosto 1964, Paolo VI firmava la sua prima Enciclica, intitolata “Ecclesiam suam”. All’udienza generale Papa Francesco ha ricordato Papa Montini che si spegneva 14 anni dopo quel documento, nel 1978, proprio il 6 agosto, nella Festa della Trasfigurazione: “Lo ricordiamo con affetto e con ammirazione – ha detto - considerando come egli visse totalmente dedito al servizio della Chiesa, che amò con tutto se stesso. Il suo esempio di fedele servitore di Cristo e del Vangelo sia di incoraggiamento e di stimolo per tutti noi”. Sulla Enciclica “Ecclesiam suam” ascoltiamo il servizio di Sergio Centofanti:

“Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa, perché sia nello stesso tempo madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza”: le prime parole dell’Enciclica danno già il tono del documento, tutto ispirato al dialogo con il mondo, a partire dalla consapevolezza della propria identità. “La Chiesa – afferma innanzitutto Paolo VI - deve approfondire la coscienza di se stessa”, della sua “missione che la trascende, d'un annuncio da diffondere. È il dovere dell'evangelizzazione. È il mandato missionario”. 

Il metodo dell’evangelizzazione indicato da Papa Montini è il dialogo: occorre infatti – osserva - “avvicinare il mondo, nel quale la Provvidenza ci ha destinati a vivere, con ogni riverenza, con ogni premura, con ogni amore, per comprenderlo, per offrirgli i doni di verità e di grazia di cui Cristo ci ha resi depositari, per comunicargli la nostra meravigliosa sorte di Redenzione e di speranza”.

Il dialogo – rileva - implica “un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva”. Richiede quattro caratteri principali: la chiarezza, innanzitutto. Poi la mitezza: infatti “il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l'esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso”. Quindi, la fiducia “tanto nella virtù della parola propria, quanto nell'attitudine ad accoglierla da parte dell'interlocutore: promuove la confidenza e l'amicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione ad un Bene, che esclude ogni scopo egoistico”. Infine, la prudenza pedagogica. “Nel dialogo, così condotto, si realizza l'unione della verità con la carità, dell'intelligenza con l'amore”.

“Nel dialogo – afferma l’Enciclica - si scopre come diverse sono le vie che conducono alla luce della fede, e come sia possibile farle convergere allo stesso fine. Anche se divergenti, possono diventare complementari, spingendo il nostro ragionamento fuori dei sentieri comuni e obbligandolo ad approfondire le sue ricerche, a rinnovare le sue espressioni. La dialettica di questo esercizio di pensiero e di pazienza ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni altrui, ci obbligherà ad esprimere con grande lealtà il nostro insegnamento e ci darà merito per la fatica d'averlo esposto all'altrui obiezione, all'altrui lenta assimilazione”.

Come San Paolo – sottolinea Papa Montini – è necessario farsi tutto a tutti: “Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi. Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell'uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli degli uomini nell'atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo dovremo ricordare e studiarci di praticare secondo l'esempio e il precetto che Cristo ci lasciò”.

In questo dialogo non è esente il pericolo, nota Paolo VI: “L'arte dell'apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all'impegno verso la nostra fede. L'apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana. L'irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo”.

Nonostante i rischi, la Chiesa cattolica “dev'essere pronta a sostenere il dialogo con tutti gli uomini di buona volontà”, perché “nessuno è estraneo al suo cuore. Nessuno è indifferente per il suo ministero. Nessuno le è nemico, che non voglia egli stesso esserlo”. Anche con chi nega Dio, sebbene molto difficile, si può tentare il dialogo: “Per chi ama la verità, la discussione è sempre possibile”. Papa Montini parla dei regimi comunisti atei, parla della Chiesa del silenzio.

Cerca quindi di “cogliere nell'intimo spirito dell'ateo moderno i motivi del suo turbamento e della sua negazione. Li vediamo complessi e molteplici – afferma - così da renderci cauti nel giudicarli e più efficaci nel confutarli; li vediamo nascere talora dall'esigenza d'una presentazione del mondo divino più alta e più pura, che non quella forse invalsa in certe forme imperfette di linguaggio e di culto, forme che dovremmo studiarci di rendere quanto più possibile pure e trasparenti per meglio esprimere quel sacro di cui sono segno. Li vediamo invasi dall'ansia, pervasa da passionalità e da utopia, ma spesso altresì generosa, d'un sogno di giustizia e di progresso, verso finalità sociali divinizzate, surrogati dell'Assoluto e del Necessario, che denunciano il bisogno insopprimibile del Principio e del Fine divino … Li vediamo anche talvolta mossi da nobili sentimenti, sdegnosi della mediocrità e dell'egoismo di tanti ambienti sociali contemporanei”. Quindi, afferma: “Noi non disperiamo che essi possano aprire un giorno con la Chiesa altro positivo colloquio”.

Si sofferma poi sul dialogo col popolo ebraico, con i musulmani e le grandi religioni afroasiatiche. C’è il dialogo ecumenico: “Volentieri facciamo nostro il principio: mettiamo in evidenza anzitutto ciò che ci è comune, prima di notare ciò che ci divide. È questo un tema buono e fecondo per il nostro dialogo. Siamo disposti a proseguirlo cordialmente. Diremo di più: che su tanti punti differenziali, relativi alla tradizione, alla spiritualità, alle leggi canoniche, al culto, noi siamo disposti a studiare come assecondare i legittimi desideri dei Fratelli cristiani, tuttora da noi separati. Nulla tanto ci può essere più ambito che di abbracciarli in una perfetta unione di fede e di carità”.

E’ un cammino impegnativo – sottolinea Paolo VI – che richiede di “ringiovanire il volto della Santa Chiesa”: un  coraggioso rinnovamento che significa innanzitutto “obbedire a Cristo” sulla strada della santità, in uno spirito di “povertà evangelica” e carità. La carità – afferma - deve “assumere il posto che le compete, il primo”. Questa è “l’ora della carità”. “Noi siamo lieti e confortati – conclude Papa Montini - osservando che un tale dialogo all'interno della Chiesa, e per l'esterno che la circonda, è già in atto: la Chiesa è viva oggi più che mai!”.

Sul contesto in cui fu scritta l’Enciclica, ascoltiamo don Angelo Maffeis, presidente dell’Istituto Paolo VI, al microfono di Rosario Tronnolone

R. - Non dobbiamo dimenticare che il Concilio era riunito in quel momento. Paolo VI, eletto nel giugno del 1963 dopo la morte di Giovanni XXIII, aveva ereditato questa impresa appena avviata del Concilio. Quindi, anche l’Enciclica inaugurale si deve mettere in relazione con l’impegno e la riflessione dei Padri conciliari che era in corso e che Paolo VI, subito dopo la sua elezione, dichiara di voler continuare. Da una parte Paolo VI vuole rispettare la libertà del collegio episcopale riunito in Concilio di maturare la sua riflessione sulla Chiesa, e dall’altra offre, con questa Enciclica, il suo contributo personale alla riflessione che la Chiesa stava compiendo in quel momento, ponendo alcuni degli accenti che rimangono caratteristici del suo modo di interpretare il servizio che il vescovo di Roma, il Papa, è chiamato a compiere alla Chiesa.

D. - Nell’Enciclica c’era anche un richiamo ad una consapevolezza della Chiesa, di sé stessa e del proprio compito …

R. - Certamente. Il primo dei temi su cui Paolo VI richiama l’attenzione è appunto quello della coscienza che la Chiesa è chiamata a rinnovare di sé stessa, della propria identità e missione. Abitualmente si parla dell’Enciclica del dialogo; ed è vero che è un tema certamente importante, ma non bisogna dimenticare che il primo tema è appunto la coscienza che la Chiesa è chiamata a rinnovare di sé in linea con la riflessione, l’approfondimento che il Concilio stava compiendo. Inoltre, il tema del rinnovamento e della riforma della Chiesa. Sono questi i tre temi, l’identità, il rinnovamento e il dialogo, che scandiscono la riflessione di Paolo VI in questa Enciclica.

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Il cardinale Parolin: la Chiesa cattolica in Cina è viva

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"La Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese è viva e attiva. Essa cerca di essere fedele al Vangelo e cammina attraverso condizionamenti e difficoltà”. E’ quanto dichiarato dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in un'intervista a Famiglia Cristiana. “La Santa Sede – ha aggiunto il porporato – è a favore di un dialogo rispettoso e costruttivo con le autorità civili per trovare la soluzione ai problemi che limitano il pieno esercizio della fede dei cattolici e per garantire il clima di un'autentica libertà religiosa". Parlando poi della Corea, nell'imminenza del suo viaggio, il cardinale Parolin ha sottolineato come  da una recente indagine sia  risultato che la Chiesa cattolica in questo Paese, con i suoi numerosi fedeli, sia l'organizzazione religiosa che più influisce sulla società locale. Papa Francesco – ha poi ricordato il porporato - andrà in Corea anche per portare un messaggio di pace, di riconciliazione e di unità, nonché nuovi impulsi al dialogo inteso a contribuire a sanare i conflitti che ancora lacerano la penisola e il popolo coreano". "Sono convinto – ha aggiunto il segretario di Stato - che il messaggio del Papa troverà cuori e menti aperti ad accoglierlo. La Corea del Sud è il primo Paese in Asia che ha la grazia e l'onore di accogliere Francesco, la cui visita conferma la grande attenzione per la Chiesa locale".

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Intervista del card. Filoni a Vatican Insider sul viaggio in Corea

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La storia della Chiesa coreana, con la sua “carica missionaria” particolarmente evidente “nei laici”, prefigura l’immagine della Chiesa “in stato permanente di missione” delineata nella "Evangelii Gaudium". Lo afferma il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, in un’intervista per "Vatican Insider" alla viglia del viaggio di Papa Francesco in Corea del Sud. La tentazione da evitare, in Corea come altrove, è invece quella di concepire “i piani pastorali” – che in sé sono “strumenti utili” – come “strategie di proselitismo sul modello delle campagne pubblicitarie”. Il porporato ricorda poi la “costellazione di santi sconosciuti” che nel Paese asiatico hanno testimoniato con il martirio la loro fede: 124 di loro verranno beatificati durante il viaggio del Papa. Guardando poi alla Cina, il cardinale definisce “un segno incoraggiante” l’attenzione che “in molti ambienti” del Paese viene riservata al Pontefice. “C’è da auspicare – prosegue – che oltre alla curiosità verso il Santo Padre si proceda nell’applicazione concreta dei diritti religiosi del popolo cinese che sono sanciti dalla Costituzione”, in modo che la Chiesa non sia più considerata “un fattore estraneo”. L’auspicio finale è che “anche nei rapporti tra Cina Popolare e Santa Sede si arrivi a un accordo fondato sull’impegno, sul rispetto reciproco e sulla positività delle relazioni”. (D.M.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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A lezione di Beatitudini: durante l'udienza generale Papa Francesco riprende le catechesi sulla Chiesa e ricorda Paolo VI nell'anniversario della morte. In occasione della ricorrenza, le omelie del cardinale Giovanni Battista Re e del vescovo Marcello Semeraro.

Come si usa la libertà: in Piazza San Pietro l'incontro del Pontefice con i ministranti tedeschi.

Messaggio del Papa al primo Congresso latinoamericano di pastorale familiare.

Regge la tregua tra Israele e Hamas.

Uno sgarbo molto gradito: Gianpaolo Romanato sulla Compagnia di Gesù nella Russia di Caterina II.

Buon non compleanno: Claudia Daniotti su due mostre su Veronese senza che ci sia alcuna ricorrrenza.

Un articolo di Cristian Martini Grimaldi dal titolo "Occasioni mancate e presunti omicidi": per due volte fallì il progetto di evangelizzare la Corea.

La classe media della santità: la prefazione di Ferdinando Castelli al libro di Joseph Malègue "Agostino", un capolavoro da riscoprire.

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Oggi in Primo Piano



Regge la tregua a Gaza. Msf: la situazione della gente è pessima

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Secondo giorno di cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza, dove resta in vigore la tregua di 72 ore iniziata ieri mattina. Nei colloqui indiretti tra israeliani e palestinesi, al Cairo, si discute di un prolungamento a 120 ore. Ieri, l’Unicef ha diffuso i dati sulle vittime palestinesi che sono 1.875, tra loro 400 bambini. I minori feriti sono 2.500, 370 mila quelli che hanno bisogno urgente di aiuto psicologico. Si rischia anche la diffusione di alcune malattie per la carenza di acqua potabile. Benedetta Capelli ha raggiunto telefonicamente all’ospedale Al Shifa di Gaza, Cosimo Lequaglie, chirurgo di Medici Senza Frontiere: 

R. – Adesso come adesso, la situazione effettivamente è proprio tranquilla. Se così dovesse rimanere, allora saremo tutti contenti. Sono due giorni di maggiore tranquillità: dai circa 48 interventi in una giornata, tra mattina e notte, ieri siamo calati agli otto interventi, quindi la situazione è già diversa.

D. – Come le sembra adesso la popolazione di Gaza? Molti tornano nelle loro case e scoprono che non ci sono più… Com’è la situazione da questo punto di vista?

R. – La situazione è pessima. E’ la distruzione completa di case, delle coltivazioni. L’acqua non c’è, non c’è l’energia elettrica… Tutti quelli che sono dovuti tornare hanno scoperto che la casa o non c’era più oppure c’erano crepe, crolli. Tanti colleghi, chirurghi, o medici dell’ospedale di Gaza sono tornati a casa in questi due giorni e si sono ritrovati davanti questa situazione veramente drammatica, anche perché non è poi così facile ricostruire perché costa.

D. – Si teme molto anche per le conseguenze sui bambini: secondo gli ultimi dati, sono 400 vittime, 370 mila minori che hanno bisogno urgente di aiuto psicologico. C’è anche il rischio mancando l’acqua, come lei diceva, di malattie che si diffondono, di epidemie…

R. – I bambini sono veramente la cosa che è stata più destruente in questa missione, almeno per me, ma sicuramente per tutti. Abbiamo visto questi bambini attoniti, increduli a molti è stata praticata, per esempio, una craniotomia per levare un ematoma cerebrale, a chi è stata amputata una gamba, a chi un braccio. Se noi pensiamo semplicemente al futuro di questa generazione, questa è la cosa che spaventa di più, oltre al problema immediato psicologico che si ripercuoterà poi nel tempo. Però, sicuramente è una generazione menomata dal punto di vista fisico, dal punto di vista psichico e anche dal punto di vista affettivo, perché non tutti hanno ancora i genitori, i fratelli…

D. – Cosa la colpisce della vita dei palestinesi e soprattutto ha visto segni di speranza per loro?

R. – La cosa che mi colpisce di più è questa estrema volontà a continuare, anche nei giorni di guerra: se, per esempio, durante la stessa giornata c’era una tregua di due-tre ore, tutti erano fuori, tutti riaprivano i negozi e cercavano di fare, più o meno, una vita normale... Fermo restando poi tutti i gravi problemi che dicevo prima: acqua, pane, cibo, soldi che non ce ne sono, banche chiuse da più di un mese, la posta non esiste. Quindi sperano, però tutti quanti indistintamente dicono: “Questa è la terza, quarta guerra che vivo, me ne aspetto un’altra fra poco”.

D. – Qual è l’appello che Medici Senza Frontiere vuole fare per aiutare questa vostra missione?

R. – Abbiamo bisogno di materiale sanitario. Noi di Medici Senza Frontiere cerchiamo di tamponare alcune situazioni in anestesiologia con alcuni farmaci. Certo è che all’ospedale mancano tante cose che noi, in Italia, in Europa, nel mondo, abbiamo usualmente: presidi moderni come collanti, sigillanti, emostatici, suturatrici meccaniche, qualunque cosa di nuovo lì manca. I colleghi sono in gamba e quello che hanno fatto in questi giorni è veramente ammirevole, ci sono alcuni che non sono neanche pagati da tanto tempo e comunque hanno continuato a venire in ospedale con turni veramente massacranti. Questa cosa ci ha accomunato e quindi noi di Medici Senza Frontiere siamo entrati nel vivo, nell’animo e anche nel cuore di queste persone con cui abbiamo condiviso la stessa vita, le stesse ore.

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Vertice Usa-Africa: da Washington 30 miliardi d'investimenti

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Oltre 30miliardi di dollari saranno investiti dal governo e dalle aziende statunitensi in Africa nei prossimi anni: è questo il risultato principale finora raggiunto dal vertice Stati Uniti–Africa, che si conclude oggi a Washington dopo tre giorni di incontri, e a cui hanno partecipato oltre 40 capi di Stato del continente. Davide Maggiore ha chiesto a Massimo Zaurrini, direttore della rivista specializzata “Africa e Affari”, quali obiettivi vuole raggiungere l’amministrazione Obama con questo impegno rinnovato: 

R. – Gli Stati Uniti intendono tornare in Africa in maniera massiccia e pressante. Intendono recuperare il tempo perduto e soprattutto recuperare lo svantaggio nei confronti della Cina, il grande assente di questo vertice.

D. – Invece, cosa si aspetta l’Africa da Obama?

R. – L’Africa in questo momento è in cerca di investitori, di qualsiasi provenienza. Sicuramente, la Cina in questi anni è stata il Paese che maggiormente ha investito: è stata molto presente. Diciamo che molti Paesi africani vedono di buon occhio un ritorno degli Stati Uniti su un tipo di partenariato diverso, anche per sostituire i cinesi, in alcuni casi. Gli Stati Uniti fino ad una decina di anni fa guardavano l’Africa con altri occhi, soprattutto legati all’energia, alle materie prime. Oggi, che con lo "shale gas" gli Stati Uniti godono di una autosufficienza energetica, guardano all’Africa con un nuovo interesse, molto più commerciale. Basta guardare le aziende che sono presenti a questo vertice ai loro massimi livelli: sono le società finanziarie, sono le grandi aziende infrastrutturali, sono le aziende energetiche, sono le aziende del commercio, cioè i pilastri su cui sta poggiando l’Africa del futuro.

D. – In questo contesto, ci si può aspettare anche un accresciuto impegno politico degli Stati Uniti sul continente africano?

R. – Le due cose non vanno così a braccetto, come una decina di anni fa. Indubbiamente, però, il successo di questa “tre giorni” lascia presagire un ritorno politico in grande stile.

D. – Abbiamo detto che la vera posta in gioco è anche quella di fare concorrenza alla Cina sul continente. In questo senso, i Paesi africani cosa si aspettano dagli Stati Uniti che la Cina, in questo momento, non può dare?

R. – Non so cosa la Cina non possa dare. Sicuramente, gli africani hanno imparato, proprio grazie alla Cina, che maggiori sono gli attori e gli interessi internazionali che si muovono sul continente e maggiori sono anche i loro spazi di manovra proprio nel negoziare con un soggetto o l’altro e quindi provare a strappare le condizioni migliori. Una delle cose che probabilmente ci si aspetta è anche che gli statunitensi, per la loro modalità di investimento così differente da quella dei cinesi, possano creare maggiori posti di lavoro sul continente.

D. – Da cosa si misurerà sul medio e lungo periodo il successo di questo vertice?

R. – Direi che il dato che ci potrà aiutare a misurare quanto questo vertice sia o non sia stato un successo sarà la partecipazione dell’Africa al mercato delle esportazioni e delle importazioni americane. Attualmente, come ha ricordato lo stesso Obama, citandolo proprio come dato della disattenzione americana al continente africano degli ultimi anni, l’Africa subsahariana rappresenta una piccola parte del mercato americano: conta tra l’1 e l’1,5% delle esportazioni statunitensi e l’1,7% delle importazioni. Numeri molto bassi: numeri che, se la spinta che è stata data in questi tre giorni avrà seguito, dovrebbero cominciare a crescere nei prossimi anni.

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Iraq, Giornata di preghiera per la pace. Testimonianza da Karakosh

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In Iraq, centinaia di donne e di ragazze, tutte della minoranza religiosa yazida, sarebbero state fatte prigioniere dai miliziani dello Stato islamico. Il Ministero degli Affari femminili iracheno lancia l’allarme sul grave rischio di riduzione in schiavitù corso da queste donne della città di Sinjar, nel nordovest, conquistata dagli jihadisti domenica scorsa. Sono migliaia gli yazidi che vivono assediati, senza acqua né cibo, e decine di bambini, è la denuncia, sarebbero già morti di sete. Nella ricorrenza della Trasfigurazione, oggi si celebra la Giornata di preghiera per la pace in Iraq, promossa da "Aiuto alla Chiesa che Soffre" assieme al Patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Sako, mentre continuano ad arrivare notizie della fuga di migliaia di cristiani - già scappati dall’offensiva jihadista contro Mosul, nel nord del Paese - e ora di nuovo in cerca di riparo, dopo l’attacco a tre villaggi. Padre Vito Magno ha intervistato padre Jalal Yako, superiore della comunità dei Padri Rogazionisti, impegnata nell’aiuto ai profughi di Karakosh, a circa trenta chilometri da Mosul: 

R. – Hanno raccontato il loro dramma, come sono stati cacciati via e lasciati quasi nudi. All’una di notte sono venuti a bussare, a scrivere sulle loro case una "N", “Nazareni”, un’offesa per i cristiani. Una ragazza li ha rimproverati senza paura ed è stata quindi distesa a terra perché le venisse tagliata la testa. Poi è successo qualcosa ed è fuggita.

D. – Oltre alla Chiesa, chi pensa a questi profughi?

R. – Ci sono delle organizzazioni locali e anche lo Stato iracheno. Grazie a Dio non manca da mangiare, ma hanno perso tutto, dopo la fatica di anni per vivere degnamente. Sono comunque rimasti fedeli alla loro fede e non hanno avuto paura di dire: “Noi rimaniamo cristiani, anche se ci uccidete”.

D. – Per quali necessità primarie date e chiedete aiuto?

R. – Per l’acqua, la corrente e, prima di tutto, per la tranquillità. La gente è spaventata, non sa cosa fare. Non c’è lo Stato, non c’è l’esercito, non ci sono uffici che funzionino e non sappiamo cosa succederà domani.

D. – A Karakosh, lei e i suoi confratelli rogazionisti, riuscite a svolgere anche attività pastorali?

R. – Sì, qui noi abbiamo un “salottino” che contiene quasi 150 persone. Lo abbiamo sistemato bene con i ragazzi ed è diventato una chiesa. Qui, celebriamo la Messa due volte a settimana. Abbiamo fatto il mese di maggio, il Sacro Cuore, l’incontro con le famiglie. Aiutiamo soprattutto i ragazzi nel doposcuola. C’è un gruppo di giovani che vogliono aiutarci a dare una mano.

D. – Che altro significa vivere in mezzo a cristiani che sono stati costretti a lasciare la loro terra?

R. – Vivere la loro condizione: vivere la sete, vivere la mancanza della corrente, vivere la fatica, il caldo... Vivere le loro sofferenze.

D. – Quando due anni fa lei è arrivato a Karakosh, quante persone c’erano nel campo profughi?

R. – 1.800. Tanti sono quelli che sono partiti e sono andati all’estero, vendendo tutto quello che avevano. Poi, ci sono altri che sono venuti, non solo profughi, ma anche famiglie bisognose che non hanno niente.

D. – E oggi quanti sono?

R. – Il numero oscilla più o meno tra 1.600 e 1.800.

D. – Da missionario a Karakosh c’è un invito che si sente di fare?

R. – Che le persone che hanno una coscienza possano parlare e denunciare questi avvenimenti che sono gravi contro l’umanità. Non bisogna restare in silenzio. Bisogna pregare e denunciare attraverso le organizzazioni mondiali.

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Scozia indipendente, a settembre il referendum

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La Scozia alle prese con il referendum sull’indipendenza dal Regno Unito. La consultazione vedrà andare alle urne, il prossimo 18 settembre, circa quattro milioni di cittadini. Il suo esito appare dai sondaggi decisamente orientato al “no”, anche se i fautori dell’indipendenza stanno recuperando consensi. Contrari i partiti tradizionali, laburista, conservatore e liberaldemocratico, ai quali si oppone il leader del fronte del “sì”, Alex Salmond. Ieri, il via alla campagna elettorale con un acceso dibattito televisivo. Ma che cosa accadrebbe con una Scozia indipendente da Londra? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Antonio Varsori, docente di Storia delle Relazioni internazionali all’Università di Padova: 

R. – Credo ci sarebbero problemi abbastanza seri, ad esempio per ciò che riguarda la presenza all’interno dell’Unione Europea. Una Scozia indipendente non sarebbe automaticamente membro dell’Unione, ma dovrebbe passare attraverso una procedura di adesione. Quindi, la prospettiva di una reale via verso l’indipendenza mi appare sufficientemente improbabile. Molti abitanti della Scozia, tutto sommato, ritengono che una qualche forma di legame con Londra debba essere mantenuta. Quello che vedo probabile è un negoziato che consenta a Edimburgo di avere una serie di vantaggi, forme più intense di autonomia, o almeno un trasferimento dei proventi della tassazione direttamente alla Scozia. Certo, si tratta naturalmente di vedere come il governo inglese sarà in grado di gestire questa fase.

D. – L’istanza indipendentista esiste solo in Scozia o anche negli altri Paesi del Regno Unito?

R. – C’è una certa rivendicazione di forme di autonomia ma più sul piano linguistico e culturale per ciò che riguarda il Galles. Però, non la vedo forte come nel caso scozzese.

D. – Dal punto di vista economico, una Scozia da sola di fronte all’Europa e al resto del mondo non rischia di apparire un po’ troppo debole?

R. – Assolutamente, sì. Ci sono speranze di poter sviluppare alcuni aspetti della loro economia. Però, diciamo la verità, la Scozia da sola sarebbe un Paese piccolo, relativamente debole e in qualche modo povero, almeno rispetto al resto naturalmente della Gran Bretagna.

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Italia in recessione tecnica. Zamagni: dare priorità all'agenda economica

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L’Italia è in recessione tecnica. Secondo dati Istat, il Pil nel secondo trimestre di quest’anno è ancora negativo, scendendo dello 0,2% rispetto a quello precedente. Il Ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha comunque precisato che non ci saranno manovre aggiuntive per il 2014. E il bonus di 80 euro – ha aggiunto - sarà confermato anche nel 2015. Ma cosa si intende per recessione tecnica? Luca Collodi lo ha chiesto al prof. Stefano Zamagni, professore di economia politica all'Università di Bologna: 

R. – Quando per due trimestri consecutivi il dato del Pil ha segno negativo, anche se molto modesto, tecnicamente si dice che siamo in recessione. E’ una convenzione statistica presa a livello internazionale. Questo dato è preoccupante, ma non giunge inatteso. In questo secondo trimestre dell’anno è stata data la precedenza, e starei per dire l’esclusiva precedenza, alla riforma delle istituzioni politiche e non a quella delle istituzioni economiche. Questo dato negativo è la conseguenza di una scelta di questo tipo. Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai? La mia spiegazione è che mentre per riformare le istituzioni politiche basta trovare l’accordo, appunto politico, con chi siede nei parlamenti o comunque nelle segreterie dei partiti rilevanti, per modificare le istituzioni economiche occorre invece andare contro i blocchi di potere economico, contro l’alta burocrazia, contro i detentori di gruppi di potere e così via. La conseguenza, allora, è che riformare le istituzioni economiche è molto, ma molto più difficile che non riformare le istituzioni politiche. La riforma del Senato è importantissima; il superamento del bicameralismo perfetto è importantissimo. Ma questo, però, non viene registrato dai dati del Pil. Avranno sì un effetto anche sull’economia, ma nel medio e lungo termine. Di fronte ad emergenze come quelle attuali, bisogna – questo è il mio parere – invertire l’ordine dell’agenda.

D. – Si è detto molto che all’Italia servivano le riforme, per poter ripartire anche sul piano economico. Ora questi dati ci dicono che non è così. Quindi questo è un dato da leggere anche in chiave politica?

R. – E’ possibile cambiare le regole degli assetti economici, come ad esempio il sistema bancario, il mercato del lavoro, il codice di commercio, e così via. Queste sono le riforme che fanno riportare in alto l’indice del Pil.

D. – Che conseguenze potrà portare oggi la recessione sulla vita quotidiana degli italiani?

R. – Sulla vita quotidiana ben poco. Ha però un impatto simbolico, da un lato, e soprattutto sul fronte europeo. Perderemo, infatti, un po’ di credibilità. La diminuzione dello 0,2% è dovuta esattamente al fatto che la domanda interna non è stata stimolata sufficientemente come si pensava e, soprattutto, che anche le esportazioni ne hanno risentito, ovviamente non in tutti i comparti. Perché? Perché evidentemente il calo della produttività si sta facendo sentire.

D. – Questo dato negativo per il Pil italiano avrà ripercussioni sull’attività di governo?

R. – Io ovviamente spero di no. Potrebbe, però, rappresentare quella tiratina d’orecchio del tipo: “cambia l’ordine dell’agenda”, “dai più priorità agli aspetti dell’economia reale”, quindi delle istituzioni economiche, e semmai “rallenta su quell’altro fronte”. Sembra che questo si stia capendo, perché si sta parlando di rinviare a settembre la nuova legge elettorale. Ma la legge elettorale non serve adesso: si andrà a votare tra tre anni e mezzo, perché perdiamo tempo per cambiare la legge elettorale, quando non serve? Ora serve riempire di beni di varia natura le nostre famiglie, soprattutto quelle numerose. Bisogna far capire che il criterio dell’urgenza ha caratteristiche diverse da quelle dell’importanza o della rilevanza.

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Route nazionale Agesci: 30 mila scout a San Rossore

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San Rossore accoglie fino a domenica 30.000 scout per la “Route nazionale” dell’Agesci: è la terza nella storia dell’Associazione e nasce dal bisogno di mettersi in ascolto dei ragazzi. Il titolo di quest’anno è “Strada di coraggio…diretti al futuro”, ma di strada se n’è già percorsa molta: da inizio agosto, infatti, circa 500 campi mobili fatti da clan gemellati hanno percorso e unificato simbolicamente tutta l’Italia. Domenica scorsa dopo l’Angelus, Papa Francesco ha salutato tutti gli scout italiani in cammino per il raduno nazionale. Padre Giovanni Gallo, assistente ecclesiastico della Branca nazionale, ha descritto l’arrivo a San Rossore, a Pisa, ed il programma dei prossimi giorni al microfono di Paolo Giacosa: 

R. – Innanzitutto, l’immagine bellissima di questo fiume di ragazzi, che arrivano con gli zaini sulle spalle, alcuni stanchi, altri sorridenti. E’ un fiume di ragazzi che sono sereni, felici di essere qui, che arrivano dopo avere camminato sulle strade del coraggio. In tutte le parti d’Italia, questi ragazzi hanno vissuto l’esperienza bella del servizio e dell’incontro, anche con le realtà ecclesiali, civili. Oggi stanno arrivando qui ed è un fiume azzurro quello che si riversa a San Rossore. Gli arrivi sono cominciati con i clan della Sardegna e poi da tutte le regioni d’Italia. E’ il cammino del coraggio, guardando al futuro: il futuro della loro vita, dei loro sogni, delle loro speranze. Li aspetta una condivisione di questi percorsi; li spetta un momento forte, che è quello di scrivere quella che noi chiamiamo “Carta del coraggio”, che è l’insieme di tutti i desideri, di tutti i sogni che hanno portato nel cuore, ma che vogliono diventare gesti concreti. Li mettiamo su carta, per poi verificare questi gesti concreti.

D. – Quali sono gli obiettivi della “Carta del coraggio”, che i ragazzi stileranno in questi giorni?

R. – Gli obiettivi sono quelli di guardare avanti, di abitare la crisi con una nuova speranza, di generare futuro, di vivere con bellezza il tempo che hanno davanti. Questi sono gli obiettivi più grandi. Poi vedremo quello che in questi giorni hanno sognato, hanno raccolto e che cosa ne uscirà.

D. – Papa Francesco ha incitato gli scout in Normandia “ad essere protagonisti e non spettatori del mondo”. Quanto è importante questo invito?

R. – L’invito è una meraviglia, soprattutto perché domenica all’Angelus ci ha parlato di compassione, condivisione, Eucaristia, il "patire con", cioè il vivere con passione la vita. Questo è il grande messaggio che Papa Francesco ci ha lasciato domenica scorsa.

D. – Avrete come ospiti anche rappresentanti delle istituzioni, il presidente del Consiglio e i presidenti di Senato e Camera ... è un incoraggiamento a diffondere e continuare il modello scout?

R. – E’ un incoraggiamento soprattutto perché vengono e ci incontrano “in ascolto”. Ecco, il nostro desiderio è proprio che si mettano in ascolto dei ragazzi. E loro si sono resi molto disponibili ad ascoltare quello che i ragazzi hanno da dire.

D. – Qual è l’augurio che vi fate per questo campo di San Rossore?

R. – L’augurio per questo campo di San Rossore è quello che ci facciamo sempre, di “buona strada”, perché questo cammino sia davvero un cammino reale, concreto, fatto di gesti, di incontri, di sorrisi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nigeria: nuovi assalti a chiese cattoliche

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Almeno una persona è morta e diverse altre sono rimaste ferite in un assalto ad una chiesa cattolica nel villaggio di Ungwar Poppo, nella Kachia Local Government Area nello Stato di Kaduna (nel nord della Nigeria). Alcuni uomini armati di Kalashnikov AK47 hanno attaccato il luogo di culto mentre i fedeli erano riuniti per celebrare la Messa nella mattina di domenica 3 agosto, sparando indiscriminatamente uccidendo una guardia incaricata di proteggere la chiesa e ferendo diverse persone, alcune in modo grave.

Gli assalitori sarebbero pastori Fulani, che negli ultimi mesi hanno compiuto diversi attacchi ad alcune comunità nella zona. Il tradizionale scontro tra pastori musulmani e agricoltori cristiani sembra aver fatto un salto di qualità, da quando i Fulani mostrano di disporre di armi sofisticate, ottenute, forse, dalla setta islamista Boko Haram.

Nel frattempo Boko Haram ha intensificato gli attacchi e gli attentati suicidi in diverse aree della Nigeria, anche contro luoghi di culto cristiani. Domenica 27 luglio un’attentatrice suicida si è fatta esplodere nella parrocchia San Carlo di Kano. “La ragazza avrà avuto 17-18 anni” dice all’Agenzia Fides padre Valentin, della Società delle Missioni Africane (SMA). “I militari che proteggono la chiesa l’avevano fermata all’entrata, insospettiti, dal fatto che era coperta dalla testa ai piedi, quando la bomba che nascondeva è esplosa. Oltre all’attentatrice sono morte altre quattro persone e una settantina sono rimaste ferite. Ho portato alcuni dei feriti all’ospedale. Purtroppo tre ricoverati sono morti successivamente” conclude il religioso.

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India, 10 agosto Giornata antidiscriminazione per cristiani e islamici

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Marce, incontri, manifestazioni, digiuni, petizioni e veglie di preghiera. Anche quest’anno sarà celebrato in questo modo il 10 agosto in tutta l’India, il “Black Day”, la giornata di lutto contro la discriminazione dei dalit cristiani e musulmani indetta nel 2010 dalla Conferenza episcopale indiana (Cbci), insieme al Consiglio nazionale delle Chiese (NCCI) e dal Consiglio nazionale dei Dalit Cristiani (Ncdc).

La data scelta ricorda l’approvazione, il 10 agosto 1950, dell’art. 3 del "Constitution Scheduled Castes Order", il decreto costituzionale che concede speciali diritti e benefici solo alle cosiddette ”caste registrate” di religione indù. Diritti successivamente estesi anche ai dalit (fuori-casta) buddisti e sikh, ma da cui continuano a essere invece esclusi i dalit convertiti al cristianesimo o all’islam. I dalit cristiani e musulmani, con in prima fila la Chiesa cattolica, da anni chiedono la cancellazione della norma considerata incostituzionale, in quanto discriminatoria e quindi contraria al principio di uguaglianza.

Anche la Corte Suprema ha più volte sollecitato il governo federale ad affrontare il problema e diverse commissioni governative hanno riconosciuto la necessità di modificare la normativa, ma finora senza alcun risultato concreto. Un nuovo appello era stato lanciato l’anno scorso dai vescovi e dal Consiglio nazionale delle Chiese. A New Delhi, il "Black Day" sarà celebrato il 12 agosto. Interverranno l’arcivescovo della capital,e Anil Couto, l’arcivescovo emerito, Vicent Concessao, e Alwan Masih, segretario generale della Chiesa anglicana dell’India del Nord. (A cura di Lisa Zengarini)

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Hiroshima. Commemorazione nel 69.mo della bomba atomica

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Oltre 45 mila persone hanno commemorato al "Peace Memorial Park" di Hiroshima il 69.mo anniversario dell’esplosione della prima bomba atomica. Il governo giapponese ribadisce la necessità di una messa al bando mondiale delle armi nucleari. Il 6 agosto del 1945, alle 8.15 del mattino l’aereo militare “Enola Gay” sganciava sulla città di Hiroshima la prima bomba atomica mai usata per fini bellici, causando, in pochi secondi 140 mila vittime. Il Giappone ha ricordato stamani, con un intenso minuto di silenzio, la tragedia che 69 anni prima con il bombardamento di Hiroshima a cui ha fatto seguito quello sulla città di Nagasaki il 9 agosto dello stesso anno - aveva costretto il Giappone alla resa, contribuendo così a mettere drammaticamente fine al secondo conflitto mondiale. La cerimonia, trasmessa in diretta televisiva e seguita sul posto da almeno 45 mila persone, ha visto al fianco delle massime autorità dello Stato, alcuni sopravvissuti all’esplosione atomica e alcuni parenti e discendenti delle vittime. La cerimonia ha avuto luogo nel "Peace Memorial Park", epicentro del bombardamento nucleare dedicato alla memoria delle vittime e alla promozione della pace. Tra i rappresentati diplomatici dei 67 Paesi che hanno partecipato alla cerimonia, significativa la presenza dell’ambasciatrice statunitense, Caroline Kennedy. La commemorazione quest’anno è stata però segnata dalle polemiche in seguito alla decisione del governo del premier, Shinzo Abe, di riavviare il programma nucleare a uso civile, dopo la tragedia della centrale di Fukushima nel marzo del 2011. Ad avvelenare ulteriormente il clima la decisione del governo giapponese di modificare la Costituzione per consentire alle Forze armate di svolgere un ruolo più attivo a livello internazionale. Nonostante le critiche, tuttavia, il premier Shinzo Abe ha colto l’occasione per ribadire davanti al mondo l’impegno del Giappone - unico Paese ad avere mai subito un attacco nucleare - al disarmo nucleare totale. Un auspicio che è stato ribadito anche dal sindaco di Hiroshima, Kazumi Matsui, che ha invitato il presidente americano, Barack Obama, e i leader dei Paesi che possiedono armi nucleari a visitare i luoghi del bombardamento in Giappone. Theodore Van Kirk, navigatore di volo e ultimo membro dell’equipaggio composto da 11 uomini dell’"Enola Gay", è morto di vecchiaia la settimana scorsa in Georgia, negli Stati Uniti. Van Kirk, all’età di 24 anni, con le sue carte di volo ha guidato i piloti americani dall’isola di Titian, nelle isole Marianne, fino ai cieli di Hiroshima. (C.G.)

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Belgio. Pax Christi: le armi nucleari sono immorali

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“L’uso ed il possesso di armi nucleari è immorale e non può essere giustificato”: è quanto scrive Pax Christi International – organismo con sede a Beuxelles - in una nota diffusa in occasione dell’anniversario del bombardamento atomico su Hiroshima, avvenuto il 6 agosto del 1945. Di qui, l’appello a “diplomatici, politici e membri della società civile” affinché tutti i Paesi rispettino il Trattato di non proliferazione nucleare e si impegnino per il disarmo. “Le armi chimiche e biologiche sono state stigmatizzate e bandite – scrive Pax Christi – Anche le armi nucleari, quindi, devono essere eliminate”.

“Il nostro appello per un mondo libero dal flagello nucleare – prosegue la nota – non è radicato sulla paura, anche se le conseguenze dell’uso di tali armamenti sono davvero catastrofiche, bensì sulla speranza; speranza animata dalla verità insita nel cuore dell’uomo, ossia che siamo tutti una sola famiglia umana, un solo popolo chiamato ad essere una comunità”. In accordo, poi, con il magistero di Papa Francesco, Pax Christi evidenzia che “il disarmo nucleare è il primo passo” per abolire gli ostacoli “al potenziale umano verso la giustizia e la solidarietà globale”.

La nota punta, inoltre, il dito contro “l’impegno irragionevole ed esorbitante” di alcuni tra gli Stati più potenti a “mantenere e a modernizzare costantemente l’arsenale nucleare”, seguendo una “politica obsoleta”, rendendo così “inaccettabilmente lento” il processo di riduzione degli armamenti nucleari e “insufficientemente coraggioso” quello di attuazione del Trattato di non proliferazione. “Le armi nucleari sono incompatibili con la pace – si legge ancora nel documento – e con la sopravvivenza della civiltà umana a lungo termine”.

Ricordando, infine, con “grande tristezza la distruzione e la sofferenza umana” scatenata dal bombardamento su Hiroshima e, successivamente, su Nagasaki, Pax Christi riafferma il proprio impegno ad “agire per un futuro libero dalla minaccia o dall’uso di arsenali nucleari, immensamente distruttive” ed esorta “tutte le persone di buona volontà ad incrementare gli sforzi educativi” per bandire l’uso di tali armamenti. (I.P.)

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Aperta assemblea Conferenza episcopale Africa Meridionale

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Si sono aperti a Marianhill, in Sudafrica, i lavori dell’assemblea semestrale dei vescovi della Conferenza episcopale dell’Africa Meridionale (Sacbc), che riunisce i vescovi di Sudafrica, Botswana e Swaziland. I temi principali della sessione, che proseguirà fino al 12 agosto, saranno i rapporti tra Chiesa e Stato in Sudafrica a venti anni dall’introduzione della democrazia nel Paese; la riorganizzazione della Sacbc in funzione dell’evangelizzazione e le celebrazioni dell’Anno della Vita Consacrata che prenderà il via il prossimo novembre.

I presuli discuteranno delle sfide e della missione della Chiesa in Sudafrica oggi, partendo dalla riflessione svolta nella lettera pastorale “Venti anni di democrazia. Il popolo di Dio e tutti gli uomini di buona volontà”, pubblicato lo scorso a febbraio. Nel documento l’Episcopato aveva tracciato un bilancio di questi due decenni dalla fine dell’apartheid, evidenziando i progressi compiuti, ma anche i nodi ancora irrisolti: dalla violenza, alle ingiustizie sociali alla piaga del razzismo non ancora debellato. Ad introdurre il tema domani sarà padre Stuart Bate con una relazione dal titolo “Fede e secolarizzazione nei Paesi in via di sviluppo”.

I vescovi sudafricani discuteranno poi della riorganizzazione della Conferenza episcopale: in particolare, all’esame dell’assemblea sarà l’istituzione di un Consiglio per l’Evangelizzazione, di uno per i laici e di uno per i diaconi. Altro importante argomento in agenda la celebrazione dell’anno della Vita Consacrata, indetto da Papa Francesco nell’ambito delle celebrazioni del cinquantenario della fine del Concilio Vaticano II. Ospite d’onore della sessione sarà il cardinale Raymond Leo Burke, Prefetto della Segnatura Apostolica, che illustrerà all’assemblea alcune questioni giuridiche relative alla nullità del matrimonio religioso (A cura di Lisa Zengarini).

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 218

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.