Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 08/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa nomina il card. Filoni suo inviato personale in Iraq

◊  

Il Papa ha lanciato due tweet sull’account @Pontifex. Nel primo scrive: “Chiedo a tutti gli uomini di buona volontà di unirsi alle mie preghiere per i cristiani iracheni e per tutte le comunità perseguitate”. Nel secondo lancia questa esortazione: “Vi prego di dedicare un momento oggi alla preghiera per tutti coloro che sono costretti a lasciare la loro casa in Iraq. #prayforpeace”. E alla luce della grave situazione in Iraq, il Santo Padre ha nominato il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, suo Inviato Personale per esprimere la sua vicinanza spirituale alle popolazioni che soffrono e portare loro la solidarietà della Chiesa. Ascoltiamo il cardinale Filoni al microfono di Sergio Centofanti: 

R. – Certamente è un gesto di fiducia del Santo Padre nei miei confronti, ma più ancora direi è un gesto che manifesta la sollecitudine del Papa verso la situazione di questi cristiani, che in questo momento sono in sofferenza: quella di aver lasciato la casa e di vedere tutte le loro radici tagliate, di essere stati anche umiliati, lasciando le loro case così come erano e cercando rifugio altrove. Quindi questa sollecitudine del Papa mi pare la cosa più importante e spero, da questo punto di vista, di poter venire incontro alle esigenze di tanta gente e non solo manifestando questo aspetto proprio della sollecitudine del Papa, ma anche cercando di vedere con il Patriarcato cosa noi possiamo fare come Chiesa universale.

D. – Sarà sicuramente un viaggio difficile e delicato: c’è già qualche idea per l’organizzazione?

R. – Stiamo cercando in questo momento di organizzare, anche perché non è facile raggiungere il posto… Ma non bisogna spaventarsi più di tanto. Indubbiamente non mancheranno anche tutti gli elementi per poter fare un viaggio e vedere in che modo poter essere vicini a questa gente per qualche tempo.

D. – Il Patriarca caldeo Sako ha parlato di rischio di genocidio…

R. – Il Patriarca Sako è sul posto e quindi conosce molto bene tanti aspetti che purtroppo a noi possono sfuggire. Il popolo cristiano di questa area non è purtroppo la prima volta che si vede costretto a migrazioni e anche a sofferenze indicibile. Questo era già cominciato quasi un secolo fa e si è ripetuto poi più volte durante la storia di questi ultimi 90 anni della vita dell’Iraq, quando il territorio passò da Impero Ottomano a diventare uno Stato indipendente come tutti gli altri Paesi della regione. Quindi è una popolazione che porta ancora dentro di sé tante sofferenze e comprendo anche l’espressione del Patriarca.

D. – Lei si sente di lanciare un appello alle popolazioni che andrà a trovare?

R. – Io prima di tutto cercherò di portare la solidarietà e la vicinanza nella preghiera, anche fattivamente. Sono convinto che anche il Santo Padre mi dirà poi più esattamente quello che lui desidera far presente a questa popolazione, che è cara al cuore del Papa, ma anche a tutta la Chiesa.

inizio pagina

P. Lombardi: ci sarà incontro Papa-nunzi Medio Oriente

◊  

Sulla scelta del cardinale Fernando Filoni come inviato del Papa in Iraq e su altre iniziative della Santa Sede per la drammatica situazione dei cristiani in questo Paese, ascoltiamo una riflessione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Sergio Centofanti

R. - Il cardinale Filoni è certamente la persona più indicata come inviato del Papa in questa situazione e in quell’area, perché - come ricordiamo - è stato nunzio in Iraq e Giordania per ben sei anni: negli ultimi anni del regime di Saddam Hussein, per tutta la durata della guerra e anche nei primi anni successivi. Durante la guerra, egli restò, fedelmente e coraggiosamente, a Baghdad nonostante i bombardamenti e fu praticamente l’unico diplomatico straniero a rimanere per tutta la durata della guerra in quella situazione. Quindi, una persona coraggiosa, una persona che ha dimostrato il suo amore per le popolazioni dell’Iraq e della regione, con grande dedizione; può conoscere le situazioni e partecipare profondamente ai problemi e alle sofferenze di queste popolazioni.

D. - C’è anche un’iniziativa della Segreteria di Stato …

R. - A nome del Papa, tutti i nunzi della regione sono stati invitati a prendere con attenzione l’appello che è stato pubblicato ieri e a presentarne il significato, l’importanza sia alle autorità politiche dei Paesi dove sono rappresentanti della Santa Sede, sia alle autorità ecclesiastiche, in modo da promuovere tutto un movimento di preghiera e di solidarietà che venga incontro a questa situazione drammatica dei nostri fratelli e sorelle e delle popolazioni colpite da questa tragedia. Inoltre, posso aggiungere che è allo studio un progetto di incontro qui a Roma tra i nunzi della regione e il Santo Padre per studiare la situazione, scambiare idee e possibili iniziative e manifestare - anche in questo modo - la vicinanza del Papa e della Chiesa universale ai problemi che sono in corso. Questo tipo di incontro, probabilmente, avrà luogo a settembre.

D. - A livello mediatico c’è qualche iniziativa da parte della Santa Sede?

R. - Si cerca di sostenere questo clima di preghiera, di mobilitazione spirituale e di solidarietà. Uno degli strumenti con cui questo è stato fatto anche in altre occasioni - e verrà fatto anche in questa occasione - è l’intensificare e dedicare la diffusione dei tweet del Papa proprio su questo tema, in modo tale da creare un’atmosfera che, in modo continuo, accompagni con partecipazione questa situazione, ricordi i problemi che sono in atto e inviti tutti a pregare e a fare tutto quello il possibile per manifestare la loro solidarietà.

inizio pagina

Iraq: primi raid aerei statunitensi contro lo Stato Islamico

◊  

Iraq: aerei statunitensi hanno bombardato alcune posizioni dello Stato islamico nel nord del Paese, come ha confermato il Pentagono. È questo il primo dei raid mirati annunciati dal presidente americano Obama in risposta all’avanzata dei jihadisti, che ha costretto alla fuga centinaia di migliaia di persone. Davide Maggiore:

I raid contro le postazioni dei fondamentalisti sono partiti poco prima dell’una, ora italiana e hanno preso di mira postazioni d’artiglieria utilizzate contro le forze curde che difendono la città di Erbil. Due i bombardieri impiegati, secondo il portavoce statunitense John Kirby. Il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, ha sostenuto che l’aviazione è in grado di individuare e colpire anche singoli militanti che prendano di mira personale americano nella regione o le migliaia di persone costrette alla fuga dai combattenti dello Stato islamico. Si tratta di sfollati – almeno 200 mila secondo l’Onu – appartenenti alle minoranze religiose irachene, in particolare cristiani e yazidi: per loro l’aviazione statunitense ha effettuato lanci di generi di prima necessità, così come farà nei prossimi giorni la Royal Air Force britannica. Nelle scorse ore, dando il via libera ai raid, Barack Obama aveva accusato lo Stato islamico – che aveva conquistato varie località della piana di Ninive e la diga di Mosul – di mirare a un “genocidio” in Iraq.

Ad Arbil nel Kurdistan iracheno dove stanno affluendo centinaia di migliaia di profughi cristiani e di altre minoranze è don Behnam Benoca, originario di una delle città della piana di Ninive ora nelle mani dei miliziani del cosiddetto stato islamico . Così spiega al microfono di Gabriella Ceraso la gravità di quanto sta accadendo: 

R. – Sono originario di una cittadina che si chiama Bartella, accanto c’è Karamlesh e poi Qaraqosh. Sono le tre città che sono state prese ieri notte. Si tratta di città molto antiche, alcune sono state fondate nel 600 a.C. quindi stiamo parlando di popoli presenti fin dall’inizio della storia dell’Iraq. Oggi, stanno andando via. Per questo motivo, chiediamo a tutti quanti un aiuto sistematico se dovesse finire la nostra storia qui, con una perdita per tutta l’umanità.

D. – Lei oggi è ad Erbil, nel Kurdistan, dove stanno arrivando i profughi cristiani e non. Qual è la loro situazione ad oggi?

R. – Ce ne sono migliaia e migliaia... Non so dire i numeri esatti perché la gente non è stabile si sta muovendo ancora di città in città. Forse saranno più di 40 mila.

D. – Che assistenza potete dare?

R. – Solo assistenza per la gente comune, per le parrocchie e per la diocesi di Erbil. Non c’è ancora un’assistenza organizzata, per esempio, dall’Onu. Per questo, la sofferenza si duplica giorno dopo giorno. Moltissime persone si trovano per strada, sotto il sole. Oggi ci sono circa 45 gradi all’ombra, figuriamoci al sole quanti saranno. Non ci sono posti per dormire, dormono all’aperto, nei campi.

D. – La sicurezza com’è, dove possono andare per stare sicuri?

R. – Sono arrivati qui perché hanno trovato nella città di Erbil la sicurezza ed è sicura. Però, non possono sopportare una condizione che non è umana, né degna per l’uomo. Fin quando potranno resistere a stare all’aperto, senza cibo, senza acqua? Anche se poi tornano nelle loro case non abbiamo più la certezza che nel futuro non soffriranno la stessa cosa.

D. – L’offensiva dello Stato islamico stamattina hanno detto che continuerà. È questo quello che preoccupa?

R. – Il punto interrogativo adesso è questo: come mai l’esercito iracheno non lo può affrontare? Come mai sono riusciti a entrare e a conquistare città nel centro dell’Iraq così facilmente? Questa è una preoccupazione soprattutto per i cristiani, per le minoranze che è gente comune, pacifica, che non ha armi.

D. – L’avrete saputo che gli Stati Uniti hanno deciso per un intervento con raid mirati aerei, ma si sono impegnati anche per aiuti umanitari. Di tutto questo vedete già qualcosa?

R. – Da qui non sappiamo con esattezza cosa sta succedendo sul campo di battaglia: se gli americani siano già intervenuti o no. Speriamo ci sia un intervento molto forte, da una parte per difendere il posto dove ci troviamo, il Kurdistan e la zona della Piana di Ninive, cacciarli via via anche da Mosul e da altre città per ridare la pace a tutti gli iracheni. Dall’altra parte, speriamo che gli aiuti umanitari arrivino al più presto possibile, perché la condizione è veramente tragica.

D. – Di cosa c’è bisogno?

R. – Di sicurezza e di aiuti umanitari urgenti. Alcuni sono andati fuori dall’Iraq in questi ultimi giorni, altri non lo possono fare perché non hanno i passaporti: gli sono stati sequestrati dai terroristi che si trovano nella Piana di Ninive. Senza documenti, non possono andare da nessuna parte. Non potrebbero nemmeno stare in Iraq oggi, perché per spostarsi servono i documenti. Quindi, le difficoltà che abbiamo qui sono di livello molto alto, non sono solo difficoltà di tipo umanitario.

D. – E’ stato detto tanto dalla Chiesa in questi giorni, si è parlato di “genocidio”. Come definirebbe quello che sta accadendo?

R. – Con termini religiosi direi “persecuzione” religiosa, ma anche “genocidio” contro una popolazione che oggi sta per essere cancellata dalla faccia della terra. 

inizio pagina

Mons. Soddu: Caritas italiana pronta ad accogliere profughi iracheni

◊  

Le diocesi italiane sono pronte ad accogliere i cristiani perseguitati in Iraq. Il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, lo ha detto in un’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera. Paolo Ondarza ha intervistato il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu

R. - Innanzitutto, quanto il cardinale ha detto ci riempie di infinita gioia, perché non fa altro che manifestare un’opera che la Caritas in quanto organismo della Chiesa italiana già mette in atto quotidianamente. Per quanto riguarda i nostri fratelli e sorelle di cui ha parlato il cardinale, ci stavamo già impegnando con la rete di Caritas Internationalis sul luogo, per una pronta accoglienza. Come dicevo, questo ci riempie di infinita gioia, perché ci dà la possibilità e l’opportunità di investire per l’accoglienza la rete delle 220 Caritas presenti in Italia.

D. - Faceva riferimento al coordinamento che avete con Caritas Internationalis. Dalle notizie che ricevete, qual è la situazione in Iraq nelle ultime ore?

R. - C’è una continua affluenza di profughi soprattutto al confine. Le testimonianze che ci arrivano in questi giorni non sono solamente di gravissime ingiustizie, ma addirittura racconti che possono sembrare al limite della realtà. Ingiustizie perpetrate nei confronti di persone che chiedono semplicemente un diritto all’esistenza e alla professione della propria fede.

D. - Ieri, un nuovo appello del Papa a porre fine a questo dramma umanitario in Iraq: “La violenza non si vince con la violenza”, dice Papa Francesco, “ma con la pace”. Come possono essere messe in pratica queste parole?

R. - Prima di tutto, non costruendo e non fornendo delle armi. Dal non possesso delle armi si ha l’acquisizione dei beni principali primari quali il pane e, di conseguenza, la pace. Queste sono le tre parole chiave: non armi, pane e pace.

D. - È di queste ultime ore la decisone degli Stati Uniti di dare il via al lancio di aiuti umanitari a favore della popolazione irachena in difficoltà. Il presidente Obama ha autorizzato anche raid mirati per colpire i terroristi. È reale il rischio che da una tragedia possa nascere qualcosa di più grave e devastante?

R. - Il rischio c’è. Comunque, bisogna raccogliere quello che i pastori del luogo hanno lanciato con un accorato appello. Leggo in quegli appelli disperazione e l’esortazione affinché il mondo non stia a guardare. Il non stare a guardare non significa che, contestualmente, bisogna per forza di cose dare nuovamente luogo a una guerra, ma fare di tutto, tutto ciò che purtroppo non è stato ancora messo in atto, come il dialogo, la partecipazione unanime delle nazioni. Non è possibile stare lì a guardare le immagini terribili di una nuova guerra che si sta accendendo in Iraq.

inizio pagina

Il card. Sandri: urgenti interventi per fermare l'esodo dei cristiani

◊  

“Il mondo civile, le pubbliche autorità e gli organismi internazionali, nella estrema gravità della situazione, non attardino gli indispensabili interventi umanitari e ad ogni altro livello per fermare, specie in Iraq e in Siria, il doloroso e profondamente ingiusto esodo dei cristiani dalle terre che abitano da duemila anni”: è l’appello lanciato dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che ringrazia di cuore Papa Francesco “per la vicinanza tanto sollecita espressa agli oltre centomila cristiani che nella notte hanno dovuto lasciare le proprie case, chiese e villaggi della biblica piana di Ninive in Iraq ed ora vagano verso la città di Erbil in condizioni impossibili alla ricerca di rifugio e sopravvivenza sempre più incerti”.

“Si tratta – afferma il porporato - di atti contro Dio e contro ogni senso di umanità”. In costante contatto con il patriarca caldeo Sako, con la rappresentanza pontificia a Bagdad e i vescovi locali, la Congregazione per le Chiese Orientali “incoraggia i responsabili e quanti sono sensibili alla sorte dei cristiani d’Oriente affinché si compia con urgenza quanto è indispensabile per alleviarne le sofferenze: privi di acqua e cibo, e di ogni altro genere di prima necessità, specie i bambini, gli anziani e i malati, sono nella più insopportabile tribolazione. Si teme, purtroppo, un epilogo catastrofico se non si pone fine alla marcata insicurezza generale alimentata dalla indifferenza di molti più volte denunciata”.

“Interpretando il dolore immenso e lo sdegno dei pastori e dei fedeli orientali cattolici sparsi nel mondo”, il cardinale Sandri “rinnova la più intensa preghiera al Signore per le popolazioni duramente colpite da barbarie totalmente contrarie alla dignità umana e la piena solidarietà umana e cristiana nei loro confronti”.

inizio pagina

Corea. Una religiosa: Papa apprezzato per la sua semplicità

◊  

Cinque giorni separano Papa Francesco dalla partenza per il suo terzo viaggio apostolico in Corea del Sud, primo in Asia del Pontificato. L’occasione principale sarà la presenza del Papa accanto ai giovani che si apprestano a prendere parte alla sesta Giornata della gioventù asiatica. Da Francesco, i giovani attendono una chiamata a un impegno più forte nella Chiesa, che da parte sua si mostri attenta alle loro speranze e dia loro fiducia. Ne è convinta suor Ausilia Chang, salesiana della diocesi di Jeonju, già preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione Auxilium, intervistata da Davide Dionisi

R. – Il Papa vuole incontrare i giovani del continente asiatico. Continente di cui si hanno notizie, ma dove però la possibilità di comunicazione è molto inferiore rispetto a quella delle lingue occidentali. Quindi, considero questo incontro ecclesiale importante al massimo.

D. – Parliamo della Messa per la pace e la riconciliazione nella Cattedrale di Myeong-dong…

R. – Trovandosi nel Paese diviso dall’ideologia, la sua presenza diventa non solo parola ma anche testimonianza per dire che non ha senso la divisione, la separazione tra il Nord ed il Sud. Il Papa insisterà su questo fatto: sulla necessità di una riconciliazione tra i Nord ed il Sud. Questo esige una conversione degli animi, sia dei politici ma anche della popolazione.

D. – Perché, secondo lei, Papa Francesco è così atteso dal popolo asiatico?

R. – Il Papa è conosciuto, apprezzato anche dalla popolazione non cattolica proprio per la sua semplicità: come uno che veramente ama e vuole il bene dell’altro. Quindi, uno che considera ognuno come fratello. Da questo punto di vista, io vedo veramente una nuova evangelizzazione per eccellenza.

D. – Un Papa preso dai cardinali quasi alla “fine del mondo”, che visita l’altra parte del mondo…

R. – Oggi, penso che la popolazione, anche non cattolica, forse riuscirà a capire che questa visita ha un senso apostolico forte: quello di andare in tutto il mondo fino agli estremi confini della terra. Essendo un Papa conosciuto così, la sua visita diventa veramente una prossimità agli estremi. Agli estremi non vuol dire soltanto dal punto di vista geografico. La lingua non facilita la comunicazione, la distanza non facilita l’avvicinamento a Roma: quindi, la sua visita nell’Estremo Oriente senz’altro è una dimostrazione del suo amore, del suo avvicinamento ai lontani. Da questo punto di vista, secondo me, susciterà tanta ammirazione da tutti.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

In prima pagina, la crisi irachena: Papa Francesco chiede preghiere per i cristiani e per le Comunità coinvolti nel conflitto.

La Congregazione per le Chiese orientali denuncia la gravità delle violenze in Iraq.

L'invenzione migliore: intervista di Silvina Premat al regista argentino Daniel Burman.

Un articolo di Giulia Galeotti dal titolo "Le nostre turbate coscienze di donne": proibito in Francia un filmato sulla sindrome di Down.

Lo sguardo dell'Umbria: Gaetano Vallini recensisce la mostra sul fotografo statunitense Steve McCurry a Perugia.

Luna d'Assisi: Mauro Papalini sulla vita di santa Chiara raccontata in versi.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Gaza: tregua finita, ripresi raid e razzi. Aperto valico di Rafah

◊  

In Medio Oriente è scaduta la tregua umanitaria di 72 ore. Subito dopo, sono ripresi il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza ed i raid israeliani. Un bambino palestinese è morto. Le autorità egiziane, intanto, hanno eccezionalmente e provvisoriamente riaperto il valico di Rafah per consentire di soccorrere i palestinesi feriti. Amedeo Lomonaco ha intervistato Giorgio Bernardelli, giornalista della redazione della rivista Mondo e Missione del Pime, esperto di Medio Oriente: 

R. - Il problema è che le tregue umanitarie non sono la soluzione di un conflitto; sono uno stop imposto per un lasso di tempo per lasciare spazio alla politica. Solo che, se quest’ultima è timida e non ha la forza di intervenire in queste finestre che si aprono, poi le guerre ricominciano. È il problema di un conflitto in cui, alla fine, entrambe le parti cercano un risultato politico che può venire solo da una mediazione internazionale forte, cosa che in queste ore non si è vista.

D. - Sembra fallire anche la proposta egiziana …

R. - Il problema che, secondo me, non si continua a non cogliere fino in fondo, è che questa  volta l’Egitto è una parte in causa. Che una mediazione egiziana riesca da sola a risolvere la questione è davvero un’illusione, perché i palestinesi vogliono assolutamente l’apertura del valico di Rafah, vogliono che questa guerra segni la fine dell’isolamento internazionale. Ma questo è ciò che l’Egitto non vuole, perché l’Egitto del generale Al Sisi ha chiuso ermeticamente quella frontiera.

D. - Cosa occorrerebbe? Quali dovrebbero essere le mosse da parte della Comunità internazionale?

R. - Credo che l’unica soluzione credibile sia qualcosa di molto simile a quello che è stato fatto nel 2006 in Libano. Ormai, appare in maniera evidente che la questione cruciale è la gestione del valico di Rafah e l’apertura di questo valico per l’uscita e l’entrata delle persone e delle merci da Gaza. Questo è un punto delicatissimo che si può raggiungere solo se c’è la presenza di forze internazionali in grado di dare garanzie a tutti. Credo che l’unica strada possibile sia quella, perché ogni altra situazione rischia solo di prolungare ulteriormente questo conflitto.

D. - In Iraq i cristiani scappano, a Gaza i palestinesi sono come in una trappola, non possono fuggire. Situazioni diverse, ma probabilmente sono il sintomo di un malessere generale che sta colpendo un’intera regione …

R. - Sono i contraccolpi di questa regione che ormai da tre anni, con la stagione delle Primavere arabe, si è messa in movimento e fatica a trovare degli equilibri. Ci sono degli attori regionali che hanno approfittato di questa situazione per fare la propria politica di potenza all’interno del Medio Oriente. Questo ha purtroppo conseguenze molto pesanti. Ci sono guerre che si consumano sulla pelle delle popolazioni civili più deboli. Quello che sta succedendo in Iraq, ad esempio, è assolutamente emblematico di tutto questo: è una situazione in cui c’è uno stallo, dove non si riesce neanche a trovare un accordo per nominare un primo ministro proprio per questa questione dei veti incrociati. Intanto nel nord del Paese, continua a succedere tutto quello che sappiamo.

inizio pagina

Ebola. Oms: peggiore epidemia degli ultimi 40 anni

◊  

L’epidemia di Ebola in corso in Africa Occidentale è considerata dall’Organizzazione mondiale della sanità come la peggiore degli ultimi 40 anni. Mille morti, cinque i Paesi coinvolti: Guinea Conakry, Liberia, Sierra Leone e Nigeria. I numeri hanno indotto l’Oms a parlare di emergenza internazionale ma, fonti ufficiali, riferiscono che è estremamente basso il contagio in Europa. Lunedì prossimo, l'organizzazione si riunirà nuovamente per decidere sui farmaci sperimentali. Perchè è così forte l’allarme dell’Oms? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Giovanni Putoto, medico della ong “Medici con l’Africa Cuamm”, raggiunto telefonicamente in Sierra Leone: 

R. - Il primo motivo è che questa epidemia sta interessando una regione dell’Africa dove non c’è storia di Ebola. Il secondo è che sta durando da troppo tempo, da più mesi. Generalmente, queste epidemie sono come una fiammata e nell’arco di qualche mese tendono a ridursi fino a spegnersi. Il terzo motivo è che ci sono casi di Ebola in contesti urbani, nelle capitali.

D. - Lei è arrivato lunedì a Freetown: che città ha trovato?

R. - Sono arrivato in una capitale deserta. Non c’erano persone lungo le strade, tutti gli uffici, i negozi erano chiusi, i mercati vuoti… Le uniche attività presenti erano quelle sanitarie lungo le strade, controllate dalla polizia con dei posti blocco. Diciamo che questa ulteriore misura precauzionale oltre che ridurre i contatti, allo stesso tempo fa riflettere la popolazione su quanto sta accadendo. La popolazione ha paura e quindi sta a casa e quando è ammalata non si reca presso strutture sanitarie. Le donne non partoriscono negli ospedali, i bambini non vengono portati alle unità statiche e mobili dedicate alle vaccinazioni. Questa è quindi un’implicazione grave dell’epidemia Ebola: il sistema sanitario, i servizi essenziali che si forniscono alla popolazione sono compromessi.

D. - Lei rimarrà nel Paese fino a quando questo virus non sarà debellato…

R. - Il Cuamm ha iniziato qui le sue attività nel 2012 nel distretto di Pujehun. Questo Paese ha un’altissima mortalità materna. Rimarrò finché sarà necessario per organizzare al meglio il nostro team di medici, infermieri e personale di supporto e per continuare a dare assistenza alle autorità sanitarie locali per gli interventi di salute pubblica sulla comunità e per assistere direttamente i casi sospetti, conclamati e certificati di Ebola.

D. - Dall’Ebola si può guarire, comunque…

R. - L’Ebola è una malattia molto temibile e terribile quando arriva, ma non è una malattia che non si può superare. I pazienti, se ben assisti, riescono a sopravvivere alla fase acuta, guariscono e tornano a casa, ma molto dipende dalla capacità che c’è sul posto di fornire un’assistenza che deve essere molto attenta, competente e che deve, naturalmente, essere dotata di molti mezzi di protezione legata poi al comportamento degli operatori sanitari.

D. - Ma ci sono stati segni di speranza?

R. - I segni di speranza sono quei pazienti che riescono a superare la fase critica, sopravvivono, si rialzano in piedi, escono dalla tenda che è considerata l’anticamera della morte. Ho impresso nella mia memoria, l’immagine di queste due donne, ancora giovani, affaticate, che però ci hanno salutato con la mano e gli abbiamo risposto: “Bellissimo! Andate avanti così! Vi aspettiamo”.

D. - Si parla molto di questi trattamenti sperimentali: lunedì ci sarà una riunione dell’Oms per decidere in merito...

R. - Queste terapie per ora sono sperimentali: sono condotte nei Paesi più ricchi - non lo dico polemicamente, ma è così - a favore degli operatori internazionali, anche loro, ahimè, vittime dell’epidemia. Non c’è stata un’attenzione dovuta a queste malattie emorragiche, neglette per certi aspetti, come lo sono le persone che sono colpite da malattie di questo tipo. 

inizio pagina

Ucraina. Occidente alle prese con le contro-sanzioni russe

◊  

Da ieri e per un anno, la Russia non importerà più gran parte dei prodotti alimentari provenienti da Stati Uniti, Unione Europea, Australia, Canada e Norvegia in risposta alla sanzioni occidentali dei giorni scorsi seguite al conflitto in Ucraina. L’embargo è stato annunciato dal premier Dmitry Medevedev e durerà un anno, ma non sono da escludersi misure in altri settori, perfino la chiusura dello spazio aereo per le compagnie europee. La Coldiretti lancia l’allarme: in Italia stanno arrivando le prime disdette di ordinativi, mettendo a rischio un volume d’affari di oltre 700 milioni di euro. Nel frattempo, però, continuano i combattimenti al confine tra Russia ed Ucraina. La Nato ha assicurato il suo appoggio a Kiev in caso di aggressione russa. Paolo Giacosa ha chiesto a Fulvio Scaglione, Vicedirettore del settimanale “Famiglia Cristiana”, quali potrebbero essere i possibili scenari, ora che la via del dialogo sembra sempre più difficile da intraprendere. 

R. – Di dialogo, fin dall’inizio di questa crisi ucraina, ce n’è stato pochissimo. Come ha detto il nostro ministro degli Esteri Mogherini, “la transizione dell’Ucraina non può avvenire contro Mosca, o con una Mosca ostile”; è un po’ tardi per accorgersene. La via di questo dialogo tripartito – Europa-Ucraina-Russia – avrebbe dovuto essere battuta sin dall’inizio ma non è stato così. Era molto, molto ingenuo aspettarsi che la Russia non reagisse alle sanzioni.

D. – Quali potrebbero essere le ripercussioni di tale decisione del Cremlino: le cifre parlano di 700 milioni di euro di perdite solo per l'Italia…

R. – Abbiamo visto che per i Paesi Ue le autorità dell’Unione Europea stanno calcolando un danno di 12 miliardi di euro. La Russia non ha nessuna intenzione di subire le sanzioni, soprattutto se avverrà quanto voci di ben informati intorno al Cremlino stanno facendo filtrare, cioè che  voglia anche intervenire sulle rotte del traffico aereo. Lo spazio aereo russo è enorme, la Russia geograficamente parlando è il più grande Paese del mondo; quindi, se la Russia dovesse valutare di bloccare anche i corridoi aerei che passano sui suoi cieli, allora la cosa diventerebbe più complicata.

D. – Si sta avvicinando l’inverno: potrebbero esserci ripercussioni anche per l’approvvigionamento energetico?

R. – Gli entusiasti di quanto avviene in Ucraina si dimenticano, purtroppo, di sottolineare che tra le tante condizioni che il Fondo monetario internazionale ha messo per sostenere l’economia ucraina c’è proprio la revisione del settore gas ed energia in genere. Se qualcuno avesse letto il documento del Fondo monetario internazionale vedrebbe che questo chiede – non suggerisce ma chiede – che il prezzo del gas al consumo aumenti del 56% ed il prezzo del riscaldamento per gli appartamenti aumenti almeno del 40%. Quindi, a prescindere da quello che farà la Russia – che non può interrompere il passaggio del gas attraverso l’Ucraina, perché perderebbe il suo maggior cliente, l’Europa – per l’Ucraina sarà un inverno molto, molto freddo perché il Fondo monetario internazionale ha dato al nuovo governo ucraino un prestito di 3,2 miliardi di dollari, ma ne ha promessi 17; gli altri 14 miliardi arriveranno se l’Ucraina implementerà le riforme chieste dal Fondo.

D. – Il governo di Kiev sta cercando di impossessarsi nuovamente dei territori dei ribelli, è una violenza che dura ormai da settimane…

R. – Purtroppo, questa crisi militare oltre che politica è stata non direi perseguita ma purtroppo nessuno è stato capace di evitarla e si poteva evitare. Ormai, le vittime sono migliaia ed anche qui – come succede in tutte le guerre – sono in gran parte civili. Io non credo che la Russia tenterà mai, o abbia mai pensato di tentare, un’occupazione militare diretta di una parte del territorio dell’Ucraina, perchè è un'operazione che non potrebbe sostenere né politicamente, né militarmente. Però, certamente Mosca non mollerà facilmente la presa e, credo, continuerà da un lato ad aiutare i ribelli filorussi e dall’altro - come si pensa e come è molto probabile che sia - a infiltrare combattenti e agenti dei suoi servizi segreti nella zona dell’Ucraina dove si combatte.

D. – Non dovremmo quindi aspettarci un intervento diretto di Mosca, ma una Russia che faccia da Stato protettore dei ribelli senza esporsi direttamente…

R. – Sì, direi di sì; perché comunque l’occupazione militare di quella parte di territorio ucraino non è tecnicamente facile da fare: l’esercito russo ha fatto molti passi avanti negli ultimi anni ma non è l’esercito americano. Quindi, un’impresa di quel genere, oltre che ovviamente stolta dal punto di vista politico, sarebbe di difficilissima gestione anche dal punto di vista tecnico-militare.

inizio pagina

Si' del Senato alle riforma. Balboni: non perfetta ma non orribile

◊  

In Italia "sì" di Palazzo Madama alla riforma del Senato. Hanno votato a favore in 183, 4 gli astenuti. Soddisfatto il premier, Matteo Renzi, che dice: "Nessuno potrà più fermare il cambiamento iniziato oggi". Il servizio di Alessandro Guarasci:

Dal Senato arriva il primo via libera alla riforma costituzionale che supera il bicameralismo paritario, introduce il Senato non elettivo e riforma il titolo V. “Un primo passaggio”, dice il  ministro Boschi, visto che la riforma dovrà essere esaminata due volte da ogni Camera. Un sì sofferto, visto che 14 “dissidenti” del Pd non hanno partecipato al voto e con loro 19 frondisti del Pdl. Sono usciti dall’Aula anche i senatori del Movimento Cinque Stelle e i leghisti. Sentiamo il commento del costituzionalista della Cattolica, Enzo Balboni: 

R. – Ci sono tanti ordinamenti europei, da quello tedesco per primo ma anche quello francese e quello spagnolo, in cui una rappresentante delle regioni e dei Comuni è prevista. In nessun Paese il modello è il medesimo. Sarebbe stato preferibile – almeno questa è la mia scelta – seguire il modello tedesco del Bundestag, cioè di una vera rappresentanza dei governi regionali nel cuore della Repubblica. Si è scelta quest’altra strada che non è del tutto soddisfacente e perfetta, ma non è nemmeno orribile.

D. – Uno degli aspetti fondamentali in questa riforma è anche la scomparsa delle province dalla Costituzione della legislazione concorrente tra Stato e regioni. Potremmo evitare quella confusione che a volte si è creata tra amministrazione centrale e locale?

R. – Liberiamoci presto delle province, che non sono mai state molto amate dal popolo italiano, e adesso per la semplificazione di uno dei dogmi che Matteo Renzi ha in testa vengono sostanzialmente eliminate. Ci vorranno un po’ di anni. Sulla competenza concorrente che avevano le regioni – che adesso non ci sarà più – dovrebbe eliminare gran parte della conflittualità tra regioni e Stato. Speriamo che ci sia almeno un miglioramento dell’efficiente nell’applicazione della legislazione.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Le Chiese Orientali: i musulmani condannino le violenze anticristiane

◊  

Cristiani e musulmani hanno il dovere di far fronte insieme all’estremismo religioso, per trasmettere alle generazioni future un Medio Oriente libero da questo flagello, illuminando le coscienze e le intelligenze” affermano in un comunicato emesso dai Patriarchi delle Chiese orientali cattoliche e ortodosse al termine della loro riunione che si è tenuta alla sede patriarcale maronita di Dimane, nel nord del Libano.

Riferendosi alla cacciata di oltre 100.000 cristiani dalla piana di Ninive, in Iraq da parte degli uomini del cosiddetto Califfato – riferisce l’Agenzia Fides - i Patriarchi si sono detti “sconvolti” di fronte “agli sviluppi disastrosi a carattere confessionale e religioso che hanno pochi uguali nella storia.”. Il comunicato chiede agli arabi e musulmani di adottare un atteggiamento fermo su quello che sta avvenendo nella piana di Ninive, esortando i leader religiosi musulmani a pubblicare delle fatwa (raccomandazione religiosa) e quelli politici di approvare leggi che sanzioni le discriminazioni religiose nei confronti delle minoranze.

I Patriarchi lamentano “le timide e insufficienti” prese di posizione da parte “islamica, araba e internazionale” e accusano alcuni Stati europei di “aggravare la situazione incoraggiando l’esodo dei cristiani, con il pretesto di proteggerli, un incoraggiamento che condanniamo e stigmatizziamo”.

I Patriarchi, che intendono non lasciare morire la presenza cristiana in Medio Oriente, lanciano un appello al Consiglio di Sicurezza dell’ONU perché adotti una risoluzione che ordini la restituzione delle case e di bene sottratti agli iracheni, “con tutti i mezzi possibili”, e alla Corte Penale Internazionale perché giudichi i crimini contro l’umanità commessi a Mosul come pure a Gaza.

inizio pagina

I vescovi francesi: ascoltiamo il grido dei cristiani in Iraq!

◊  

“La popolazione irachena, nelle sue diverse componenti, chiede a gran voce aiuto. Riusciremo ad ascoltare il suo appello?”: è la domanda posta da mons. Georges Pontier, presidente della Conferenza episcopale francese (Cef). “Già drammatica – scrive il presule in una nota – la situazione dei cristiani in Iraq si aggrava di ora in ora”. “Il terrorismo cieco – continua mons. Pontier – conta sul calo della nostra attenzione, durante questo periodo estivo, per intensificare i suoi ricatti e le sue odiose estorsioni”. Ricordando, poi, la recente visita in Iraq di una delegazione di vescovi d’Oltralpe, il responsabile della Cef invita anche le autorità francesi ed internazionali ad agire in modo concreto: “È necessario – afferma – che, al più presto, al livello delle Nazioni Unite, si organizzi la più ferma e la più rapida delle azioni, prima che sia troppo tardi”.

Quindi, mons. Pontier conclude: “I cattolici di Francia sono mobilitati nella preghiera e nell’azione: i nostri fratelli cristiani si sentono vicini a quelli in Oriente e la comunità internazionale è indegna del suo nome se non protegge tutte le minoranze del pianeta”. (I.P.)

inizio pagina

Mons. Paglia: in mondo individualista famiglia è luogo del dono

◊  

Famiglia soggetto di “sviluppo sociale” e “priorità” nelle agende dei governi sudamericani. Sono i due auspici che il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, ha espresso durante il suo intervento ieri al primo Congresso Latinoamericano degli agenti di Pastorale familiare, in corso a Panama sul tema “Famiglia e sviluppo sociale per la vita piena e la comunione missionaria”. Mons. Paglia ha rilevato che “se si vuole avanzare sulla via di uno autentico sviluppo dell'essere umano, la prospettiva della famiglia è indispensabile”. Anzitutto perché, ha detto, “la famiglia è una forma sociale unica che permette stabilmente di articolare due tipi di rapporto. Quello che si riferisce alla relazione tra i sessi (maschio-femmina) e quello generazionale (padre-madre -figli). Entrambi i rapporti sono caratterizzati da una differenza irriducibile. Al contrario – ha affermato – l'individualismo imperante dei nostri tempi si basa sull'ideale di autonomia e indipendenza, e su di una concezione 'quantitativa' di uguaglianza e di diritti”. Inoltre, ha proseguito mons. Paglia, “in un mondo dove la scelta è diventata, purtroppo, sovente provvisoria, la famiglia rimane il luogo di forti e stabili relazioni che influiscono profondamente, sia nel bene che nel male, nella vita di ciascuno dei suoi membri. Nella famiglia l'’altro’ perde la sua connotazione di instabilità, come invece accade nella maggior parte dei contesti sociali. Ngliaella famiglia l'altro non può essere annullato. In tal senso la famiglia è non solo una risorsa ma anche una fonte vivente che alimenta la socializzazione tra diversi senza annientare le differenze”. Dunque, “in un mondo dove tutto pare guidato dal consumo delle scelte individuali”, la famiglia, ha ribadito il rappresentante vaticano, “come l’ambito del dono che si accetta, segno della presenza provvidenziale dell’Altro”. Il Congresso si conclude domani e i suoi esiti sono orientati a contribuire al Sinodo sulla Famiglia che si terrà in ottobre in Vaticano. (A.D.C.) 

inizio pagina

India. L’arcivescovo di Delhi: aumentano attacchi contro i cristiani

◊  

Mons. Anil J. T. Couto, arcivescovo di New Delhi, ha espresso preoccupazione per il numero crescente di scontri in diverse parti del nord dell’India e di attacchi contro i cristiani e le proprietà della Chiesa all’interno e nei pressi della capitale. Il presule ha espresso la sua angoscia in un comunicato stampa dopo che, mercoledì sera, alcune persone non identificate hanno vandalizzato alcuni scuolabus parcheggiati di fronte a una chiesa arcivescovile di Rohtak, nello Stato di Haryana.

“Notizie di altri attacchi contro pastori cristiani e gruppi di preghiera sono molto inquietanti – ha sottolineato l’arcivescovo – per questo chiediamo alle autorità locali di adottare misure adeguate per individuare i miscredenti che minacciano di indebolire il tessuto sociale di questa grande nazione”.

Secondo i resoconti dei media ripresi dalla Misna, gruppi del movimento Sangh Parivar stanno raccogliendo dettagli di persone che nello Stato di Uttar Pradesh sono state convertite all’islam e al cristianesimo allo scopo di sottometterli al ‘shuddhikaran’ – un rito di ri-conversione all’induismo”. L’arcivescovo ha ribadito ciò che aveva già espresso nella sua precedente dichiarazione, cioè che questa pratica è un grave attacco ai diritti fondamentali degli individui e dei gruppi.

“In passato, campagne di odio contro la comunità cristiana e la fede cristiana da parte di organizzazioni religiose fondamentaliste ed estremiste, hanno sempre preceduto violenze su larga scala contro la comunità cristiana” ha detto mons. Couto. Per questo l’arcivescovo ha chiesto un intervento immediato da parte della polizia locale e delle autorità civili per fermare tali campagne di odio ed aiutare a mantenere la pace sociale e l’armonia.

inizio pagina

Argentina. Il vescovo di La Plata: no a cliniche mobili per aborto

◊  

Il medico è obiettore di coscienza e rifiuta di praticare l’aborto: al suo posto arriva la clinica mobile. È la decisione del Ministero della Sanità di Buenos Aires duramente criticata dall'arcivescovo di La Plata, Héctor Aguer, e dai suoi due ausiliari, dopo la diffusione di un messaggio dal titolo “L’aborto è più facile nella Provincia di Buenos Aires”. “L’aborto è un omicidio deliberato e diretto”, ha reagito il vescovo all’annuncio col quale, questa settimana, il Ministero ha annunciato – informa la Fides – la creazione di una equipe mobile per le emergenze dedicata ai casi controversi di aborto legale, oltre a un consultorio per assistere con i farmaci le vittime fino a 12 settimane di gestazione. Per l'arcivescovo di La Plata, “il diritto all’obiezione di coscienza non può essere considerato un ostacolo, così come non si può sostenere che una azione rivolta ad eliminare una vita sia un’opera di assistenza sanitaria”. L’arcivescovo di La Plata, mons. Héctor Aguer, e i suoi due vescovi ausiliari, mons. Nicolás Baisi e mons. Alberto Bochatey, si sono detti sorpresi di questa iniziativa abortista del governo provinciale e hanno ricordato gli insegnamenti della Chiesa sottolineando che “l’aborto procurato è un omicidio vero e proprio, in qualsiasi condizione venga effettuato, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, che va dal momento del concepimento alla nascita”. “Ogni essere umano deve essere rispettato”. (A.D.C.)

inizio pagina

Senegal. Card. Sarr: riconoscere ruolo della donna nella Chiesa

◊  

Il ruolo della donna all’interno della comunità cristiana è innegabile e fondamentale, “come quello di una madre in casa”: sono le parole del card. Théodore Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, in Senegal, pronunciate nei giorni scorsi, in occasione della Santa Messa presieduta nella Parrocchia di Santa Maria Maddalena a Mbao. “Prendete il posto che vi compete – ha detto il porporato alle donne presenti alla celebrazione – e che la Chiesa-Famiglia vi riconosce in verità e giustizia!”.

“La comunità parrocchiale – ha continuato l’arcivescovo di Dakar – ha bisogno dell’ardore, dell’iniziativa delle donne; ha bisogno della loro gioia nel testimoniare l’amore per Gesù Cristo”. Per questo, ha evidenziato ancora il cardinale, “l’ambizione di costruire una comunità unita in Cristo Salvatore, una comunità famiglia di Dio, famiglia di famiglie, non si potrà sviluppare senza l’intuito femminile, senza l’istinto materno, senza la sollecitudine delle donne”.

Al contempo, il porporato ha puntato il dito contro gli atteggiamenti misogini “culturali, sociali, sessisti che esistono nella realtà della vita parrocchiale e che si basano su considerazioni malevole ed improduttive”. Al contrario, ciò che occorre è “la condivisione di capacità e debolezze, ambizioni e sogni di tutti, per costruire una comunità invece di distruggerla, per alimentarla invece di farla inaridire”. Di qui, l’appello del card. Sarr a “non ignorare il ruolo delle donne nell’animazione pastorale delle parrocchie”, poiché esse “si distinguono per il loro dinamismo nei movimenti, nei gruppi e nelle associazioni, ma anche per la loro spontanea generosità nelle diverse organizzazioni diocesane, parrocchiali e comunitarie”.

Nella sequela di Cristo, ha quindi concluso l’arcivescovo di Dakar, è importante mettere in pratica “una fraternità nell’amore basata sul rispetto, la stima e la cura reciproca; una collaborazione nella fiducia e una condivisione dei punti di vista, delle capacità e delle possibilità di ciascuno, per essere sì diversi, ma anche complementari gli uni con gli altri”. (I.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 220

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.