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Sommario del 09/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Tweet del Papa: proteggere vittime violenza in Iraq

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Papa Francesco, attraverso Twitter, continua a mantenere alta l’attenzione sulle drammatiche notizie che giungono dall’Iraq. Oggi, ha lanciato nuovi tweet sull’account @Pontifex. Nel primo scrive: “Chiedo alla comunità internazionale di proteggere tutte le vittime di violenza in Iraq”. Nel secondo lancia l’invito: “Chiedo a tutte le parrocchie e comunità cattoliche – scrive - di dedicare una preghiera speciale in questo fine settimana ai cristiani iracheni”.

Ieri, erano stati tre i tweet del Pontefice in cui esortava non solo i cattolici, ma tutti gli uomini di buona volontà ad unirsi alle sue preghiere per sostenere coloro che in Iraq sono privati di tutto.

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Il nunzio a Baghdad: togliere le armi ai jihadisti

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“Occorre non abbandonare la popolazione irachena, gli aiuti umanitari sono indispensabili ma sarebbe stato meglio prevenire questa ondata di violenza”. Questo in sintesi nelle parole del nunzio apostolico in Iraq e Giordania, mons Giorgio Lingua, intervistato da Gabriella Ceraso: 

R. - Mi ha impressionato, da quello che ho potuto vedere, il dramma soprattutto dei bambini sfiniti per aver percorso tanti chilometri di strada in condizioni difficili: li ho visti buttati per terra, qualcuno dormiva su delle pietre. È impressionante. Penso anche ai tanti anziani che hanno dovuto lasciare tutto. E’ un vero e proprio esodo che fa impressione.

D. - Ieri abbiamo avuto la notizia che il Santo Padre sta pensando anche di incontrare proprio i nunzi di tutta la regione...

R. - Sì. Non è una cosa che si può fare subito, ma il Santo Padre già mi aveva detto - quando l’ho incontrato 15 giorni fa - che stava pensando di convocare i nunzi della regione per vedere come affrontare soprattutto il problema della fuga dei cristiani - non soltanto dell’Iraq, ovviamente, ma anche della Siria e di altri Paesi - che lasciano le terre delle loro origini, dove vivono da duemila anni.

D. - Lei si è fatto un’idea di quale sia una soluzione possibile?

R. - Le cose non sono facili. Il problema principale è quello delle armi. Mi domando come fanno ad avere certe armi così sofisticate; questi gruppi considerati terroristici. Non sono produttori di armi, quindi da qualche parte devono pur arrivare. Credo che, innanzitutto, sia un fallimento dell’intelligence - questo è il punto principale - bisogna fermare, o controllare meglio questo aspetto, altrimenti non si finirà mai.

D. - A più voci si è lamentato in questi giorni un vuoto istituzionale in Iraq. Oggi gli Stati Uniti lo hanno ribadito: “Noi ci impegniamo ma serve un governo solido a Baghdad”…

R. - Certo, senza dubbio: ci vuole un governo che sia inclusivo altrimenti lo Stato diventa sempre più debole. È chiaro che la democrazia ha i suoi tempi, non si può pretendere di instaurarla subito. La democrazia non è la dittatura della maggioranza: deve tenere conto anche delle minoranze, di quei gruppi più deboli, o che la pensano in modo diverso. Questo è un cammino che va fatto con il tempo ma che bisogna cominciare, altrimenti non si uscirà da questa empasse.

D. - Ora c’è stata una scelta precisa: gli Stati Uniti hanno deciso di intervenire, raid mirati ed aiuti umanitari… Che pensa di questo?

R. - Purtroppo si interviene per riparare ad una situazione che forse si poteva prevenire, ma è bene quando si riesce a togliere almeno le armi dalle mani di questa gente che non ha scrupoli.

D. - Il Papa ha deciso di inviare in Iraq il card. Filoni per valutare qual è la situazione e agire. Sarà un viaggio molto delicato…

R. - Credo che sia un gesto molto apprezzato dalla popolazione che è importante non si senta abbandonata. È chiaro che forse questo, materialmente, non potrà risolvere tutti i problemi, ma se non altro sensibilizza l’opinione pubblica e fa sentire alla gente che c’è qualcuno a cui stanno a cuore, perché spesso è proprio questo sentirsi abbandonati che fa perdere la speranza.

D. - Quale è il suo pensiero in questo momento per la popolazione irachena e per tutto il Paese?

R. - Ciò che chiedo è che non perdano la speranza. Prego perché questa gente sia cosciente che, anche nella tempesta, Gesù è vicino a tutti e mi sembra che già stiano dando questa testimonianza perché sono dei confessori della fede. Prego perché la fede non venga meno.

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Il Papa: se la Chiesa non è pellegrina è moribonda

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La Chiesa è vera se è in cammino e in “doppia uscita”, verso di Dio e verso i fratelli, altrimenti “diventa un’associazione civile”. È una delle affermazioni rese da Papa Francesco durante il colloquio in diretta radiofonica con un’emittente comunitaria argentina, appartenente alla parrocchia Vergine del Carmine della cittadina di Campo Gallo. La sintesi delle parole del Papa nel servizio di Alessandro De Carolis

Una Chiesa rannicchiata su se stessa è come l’acqua stagnante di una pozza: è “moribonda”. Al contrario, per essere viva una Chiesa viva deve avere di sé l’immagine di un “pellegrino” e camminare senza stancarsi nelle due direzioni insegnatele da Gesù, verso Dio e verso i fratelli. Per pensieri e toni sembra di essere a Messa a S. Marta e invece Papa Francesco parla in diretta con l’altra parte del mondo, la “sua”, nella lunga diretta con la radio parrocchiale di Campo Gallo, località nel nord dell’Argentina, dove la fede, intessuta di pietà popolare, è un grande sostegno per la gente che, per il resto, possiede ben poco. E proprio il sentimento di fede che scalda il cuore latinoamericano è il primo aspetto che il Papa mette in risalto, specie per quello che riguarda la devozione a Maria:

“Nuestro pueblo no es  ‘gaucho’, nuestro pueblo tiene Madre! …
Il nostro popolo non è orfano: il nostro popolo ha la Madre! (…) Un figlio senza madre ha l’anima mutilata e un popolo senza madre è un popolo orfano, solo, arido, senza idee, senza la tenerezza che soltanto una mamma ci dà”.

Poi, concreto come sempre, Papa Francesco tocca con delicatezza il tasto dei bisogni. “La Chiesa – ricorda – si sostiene con la pietà dei fedeli”, assieme ai Sacramenti e alle preghiere. Il “mio ringraziamento”, dice il Papa, va a chi fa vita di fede attiva e anche, soggiunge, a “quelle persone che si privano di qualcosa, di qualche bene o di soldi per darlo a voi”. E chiarisce: “Non è importante con quanto vi aiutino, quello che è importante è che vi aiutino, quello che è importante è che vi guardino”.

Ma se la carenza di beni può essere fonte di emarginazione sociale, essa non lo è certo se si parla di vita cristiana, dove ogni battezzato è ricco per elezione. Ed è soprattutto “pellegrino”, l’icona della Chiesa “in uscita” tanto cara al Papa che ama le periferie. “La nostra Chiesa – esclama – non si stanchi mai di camminare”:

“Cuando una comunidad cristiana esta quieta, le pasa lo del agua cuando …
Quando una comunità non è pellegrina – e non solo nei piedi ma anche nel cuore – non ha un cuore pellegrino, un cuore che non va al di là di se stesso, non ha un cuore pellegrino né per adorare Dio né tanto meno per aiutare i fratelli, questa Chiesa è moribonda ed è necessario resuscitarla rapidamente (…) Questo pellegrinaggio che fate lì una volta l’anno, bisogna che lo facciate tutti i giorni nella vita quotidiana: un pellegrinaggio verso Dio per adorarlo, un pellegrinaggio verso nostra Madre, la Vergine, per ricordarla ed amarla e un pellegrinaggio verso gli uomini e le donne e le necessità del nostro popolo”.

Altro tema caro sono le chiacchiere, o meglio la rinuncia a ciò che possa creare ferite nella comunità. “Lavorare per l’unità è sempre importante”, afferma il Papa, e se anche, riconosce, “sempre ci saranno differenze, sempre ci saranno scontri, importante è non lasciarli crescere e cercare di fare in modo che le cose si risolvano fra fratelli”. Perché “non è cristiano” spellarsi vivi, secondo una sua ormai celebre espressione. Infine, le vocazioni e il coraggio della risposta quando Dio bussa alla porta dell’anima:

“A los jóvenes les diría que si sienten alguna vez el llamado de Jesús…
Ai giovani direi che se sentono la chiamata di Gesù non abbiano paura. Guardino a tutto il bene che possono fare, tutta la consolazione che possono portare, tutto il messaggio cristiano che possono trasmettere e non abbiano paura. La vita è fatta per essere vissuta e non per guardarla (...) Se qualcuno sente invece che Dio lo chiama a formare una famiglia, che sia una famiglia cristiana, grande, bella, con molti figli che portino avanti la fede”.

Il saluto finale è tipico di Francesco, Papa annunciatore di misericordia: “Dio ci ama. Dio ci aspetta sempre. Dio non si stanca mai di perdonarci (…). Io chiedo al Signore che a tutti coloro che stanno ascoltando li benedica molto, dia loro forza, dia loro forza di vivere e di lottare, dia loro il coraggio di non lasciarsi rubare la speranza, ma soprattutto dia loro una carezza e li faccia sorridere”.

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Francesco: Chiesa manifesti al mondo l'infinita Misericordia di Dio per l'uomo

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E' giusto “proclamare nel mondo intero le opere meravigliose di Dio e in particolare far conoscere la sua infinita misericordia per tutti gli uomini, che spesso sono nelle tenebre dell’egoismo e nell'ombra della morte”, privi della speranza, “vera luce” dell’umanità: è quanto scrive Papa Francesco nella Lettera con cui ha nominato il cardinale Francisco Javier Erràzuriz Ossa, arcivescovo emerito di Santiago del Cile, suo Inviato Speciale al III Congresso Apostolico Mondiale della Misericordia (WACOM III), che si celebrerà a Bogotá dal 15 al 19 agosto prossimi.

“Il Signore – si legge nel testo - è misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di misericordia (Salmo 103,8). Questa verità – prosegue il Papa - è attestata della Sacra Scrittura, dalla vita di molti santi e dagli eventi della storia dei popoli. In realtà, le creature dell’universo vivono della misericordia del Creatore, che ama tutte le cose che esistono e ha compassione di tutti (cfr Sap 11,23)”.

“E’ compito della Chiesa – conclude Papa Francesco - rivelare a tutto il mondo con parole e opere la ricchezza della Divina Misericordia e invocarla con preghiere incessanti”,  ricordando che “il render presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione di Messia” (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 3).

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Il card. Lajolo inviato del Papa al 100.mo del Movimento Schönstatt

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Papa Francesco ha nominato il cardinale Giovanni Lajolo, presidente emerito del Governatorato dello Stato della Citta del Vaticano, come suo inviato speciale alla celebrazione del centenario della fondazione del Movimento Apostolico di Schönstatt, in programma a Schonstatt in Vallendar (Germania) dal 16 al 19 ottobre 2014.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per portare la solidarietà del Papa: intervista di Gianluca Biccini al cardinale Fernando Filoni, inviato personale del Papa in Iraq.

Lontana una nuova tregua tra Israele e Hamas.

Il Pastore segue il gregge: l'intervento di Karol Wojtyla (15 aprile 1966 a Cracovia) sul dialogo come metodo nell'Ecclesiam suam, con un articolo di Pierangelo Sequeri dal titolo "La genuina arte della parola sacra".

Hermann Geissler sullo zelo apostolico di san Paolo secondo il beato John Henry Newman, di cui l'11 agosto ricorre l'anniversario della morte.

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Oggi in Primo Piano



Gaza, nuove vittime. Ue: aprire "corridoio" marino Gaza-Cipro

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In Medio Oriente, prosegue il lancio di razzi verso Israele, che risponde con nuovi raid nella Striscia di Gaza. Almeno cinque palestinesi, tra cui un bambino, sono morti in seguito agli attacchi compiuti, nella notte, dall’aviazione israeliana. Il bilancio delle vittime sale, complessivamente, a 1.900. Il servizio di Amedeo Lomonaco

La tregua è già un ricordo. Al lancio di razzi da parte di miliziani di Hamas è seguita la risposta dello Stato ebraico che riferisce di aver centrato almeno 20 obiettivi nella Striscia di Gaza. Ma il movimento estremista palestinese rende noto che sono stati colpiti magazzini, case, moschee e centri di formazione. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si è detto “profondamente deluso” dal mancato prolungamento della tregua. Al Cairo, intanto, si lavora affannosamente per cercare di riaprire canali di dialogo tra la delegazione israeliana e quella palestinese. L’Egitto chiede di “tornare immediatamente” al cessate-il-fuoco e, “il prima possibile”, al tavolo delle trattative.

Secondo le autorità egiziane i punti di disaccordo “ancora in sospeso” sono pochi. Ma il negoziato è fermo. Hamas accusa Israele di ignorare la richiesta della fine dell’embargo. ''Vogliamo dare una possibilità ai negoziati e non siamo interessati ad una escalation”, ha detto, citato da Times Of Israel, il portavoce di Hamas a Gaza, Sami Abu Zuhri. "Non possiamo tornare - ha aggiunto - al punto di partenza e accettare il blocco di Gaza e dei suoi residenti". Sull’altro versante, lo Stato ebraico ritiene inutile ogni trattativa se non cesserà il lancio di razzi. Un nuovo piano per cercare di allentare il blocco di Gaza arriva dall’Europa. La proposta è di aprire un corridoio marino da Gaza a Cipro, controllato da osservatori europei, per il transito di uomini e merci.

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Popoli indigeni, giornata mondiale per riflettere sui loro diritti

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Ricorre oggi la Giornata mondiale dei popoli indigeni che quest’anno ha come tema “Colmiamo il divario: realizziamo i diritti dei popoli indigeni”. È, quindi, l’occasione per riflettere su queste popolazioni in vista di settembre: a New York, infatti, si terrà la prima Conferenza mondiale sui popoli indigeni. Un evento che va a coincidere con il 25.mo anniversario della Convenzione ILO 169, del 27 giugno 1989. Tra i criteri fondamentali ivi enunciati, c’è l’autoidentificazione dei popoli indigeni, il diritto alla non discriminazione, quello alla consultazione e alla partecipazione dei nativi sulle questioni che riguardano direttamente le loro terre. Padre Antonio Bonanomi, missionario della Consolata in Colombia per 36 anni in Colombia, dei quali 19 a contatto con il popolo Nasa, ha sottolineato l’importanza di questa Giornata al microfono di Paolo Giacosa

R. – Mi sembra importantissimo questo. Tenendo conto del fatto che la maggior parte dei popoli indigeni sono minoranze nei loro Paesi e hanno due tipi di problemi grandi. Il primo è di tipo territoriale: oggi c’è un’invasione a livello mondiale, un’invasione dei territori indigeni che diventa poi anche un’invasione della cultura, soprattutto in quei Paesi dove gran parte dell’economia è dedicata ai metalli. L’altro problema è quello culturale. Quella indigena è una cultura alternativa a quella occidentale: è la cultura della natura, dell’incontro, del dialogo di fronte a una cultura occidentale che è, a volte, una cultura della prepotenza e della superbia. La mia esperienza in Colombia mi ha fatto capire che, fondamentalmente, questo è il primo grande problema che hanno i popoli indigeni: il conflitto etnico e culturale che diventa anche territoriale e sociale. Mi sembra importante dedicare almeno un giorno a pensare che è importante difendere i diritti dei popoli indigeni, che sono una ricchezza per il mondo.

D. – Quest’anno ricorre il 25.mo anniversario della “Convenzione 169,” che ha sancito i diritti nei confronti delle popolazioni indigene. È stata importante per la loro tutela. C’è ancora da migliorare?

R. – Mi è piaciuto molto lo sforzo che hanno fatto le Nazioni Unite per riconoscere i diritti dei popoli indigeni. Poi, però, nella pratica sono i governi che devono applicare le norme e non sempre le applicano, anche perché sono mossi da modelli economici alternativi al modello indigeno.

D. – Ci può raccontare la sua esperienza in Colombia a contatto con questi popoli?

R. – Io ho avuto la fortuna di lavorare 19 anni con un popolo indio, nel nord del Cauca nella diocesi di Popayán, sudovest della Colombia. Il popolo Nasa è uno dei più grandi a livello numerico dei popoli indigeni della Colombia ed è anche un popolo molto significativo. Proprio lì dove mi trovavo, è nata la prima organizzazione indigena di tutta America che si chiama il "Cric", "Consejo Regional Indijena del Cauca", un’organizzazione che riunisce tutte le autorità indigene. Io ho sostituito un sacerdote indio che, nel 1984, è stato ucciso proprio per difendere i diritti del suo popolo. Inoltre, ho avuto la fortuna di lavorare con un’equipe missionaria: eravamo 22, di cui 6 sacerdoti missionari, 6 suore e 10 laici. È stata una grande fortuna perché, lavorando tutti insieme, si riescono a capire molte cose che da solo non si capirebbero. Fondamentalmente, abbiamo continuato la linea tracciata da padre Alvaro che si potrebbe riassumere con due parole: un’evangelizzazione “liberatrice” e un’evangelizzazione “inculturata”, secondo le indicazioni dell’altra Conferenza a Puebla, nel 1979. Quindi, un’evangelizzazione liberatrice che aiuta il popolo a liberarsi da tante situazioni difficili, che vive a causa delle invasioni dei suoi territori, e “inculturata” perché vuole annunciare il Vangelo che però si fa vita nella cultura, nelle esperienze religiose e spirituali di quel popolo. Io ammiro profondamente la cultura indigena. Come dice anche un documento della Chiesa americana, il documento di Aparecida: la cultura indigena ha valori alternativi alla cultura occidentale, i valori dell’umiltà, della solidarietà, dell’unità, del rispetto della natura e dell’altro; valori alternativi alla superbia e alla prepotenza di altre culture.

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Eterologa. Palazzani (Cnb): bene la legge, Consulta non bastava

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La fecondazione eterologa continua a far discutere in Italia, dopo che ieri sera il Consiglio dei ministri ha stabilito che per la sua introduzione in Italia sarà necessario attendere una legge del parlamento. Il Ministero della salute ha comunque predisposto una bozza di intervento legislativo per disciplinare tale tecnica. Alessandro Guarasci ha sentito la prof.ssa Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica: 

R. - Penso che la legge sia una scelta giusta, perché consente una regolamentazione complessiva, sistematica, di tutto ciò che la Legge 40/2004 non ha esplicitamente regolato a seguito di tutti i cambiamenti che ci sono stati nella giurisprudenza. Il problema della legislazione è che si tratta di una procedura lenta, perché ovviamente implica una discussione parlamentare, ci sono molto problemi etici in ogni singolo aspetto della nuova regolamentazione. L’altro problema della legge è che una eventuale revisione richiederebbe tempi altrettanto lunghi. Quindi, nell’ambito della bioetica ci siamo accorti che i problemi della biolegislazione sono dati proprio dalla lentezza e dalla rigidità di certi meccanismi, che non riescono a stare al passo rispetto a tutti i nuovi problemi che emergono da progresso scientifico.

D. - Lei come risponde a chi dice che però la sentenza della Consulta bastava per dare il via all’eterologa in Italia?

R. - No, non bastava. Dal mio punto di vista non era assolutamente sufficiente, perché dare il via all’eterologa in realtà è un percorso che deve essere regolato in modo molto chiaro e preciso rispetto, ad esempio, alla selezione dei donatori, al numero di donazioni per donatore, alla donazione, soprattutto degli ovociti femminili, che può nascondere un mercato…

D. - Ma secondo lei quale è un principio cardine da rispettare?

R. - Il diritto dei nati a conoscere le proprie origini. Credo che questo sia un punto inesorabile che debba essere accolto, quale che sia la prospettiva etica, perché il problema delle nuove tecnologie non è solo il diritto di chi accede alle nuove tecnologie, ma è anche il diritto di chi nasce. E in questo caso, nella nascita da eterologa il bambino ha diritto a conoscere le modalità in cui è stato concepito e soprattutto conoscere qual è la sua origine: l’origine genetica innanzi tutto, perché altrimenti questo gli creerebbe uno svantaggio da un punto di vista medico, ma anche la sua origine geografica, perché, in qualche modo, si è percepito ormai da tutti gli studi che sono stati fatti sull’eterologa, che i bambini che nascono da questo procedimento sentono l’esigenza di ricostruire le proprie origini.

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Route Agesci: a San Rossore all'insegna del "coraggio"

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Dal 7 al 10 agosto, la tenuta di San Rossore a Pisa ospita la terza “Route nazionale" dell'Agesci, che coinvolge oltre 30 mila scout. Tutela ambientale e della persona alcuni dei temi trattati. I ragazzi hanno stilato anche una "Carta del coraggio" per dare ulteriore slancio al loro impegno sociale. Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Gionata Fragomeni, responsabile dell’organizzazione della “route” Agesci: 

R. – Questa "Carta del coraggio" è un messaggio che viene mandato a tutte le istituzioni, un messaggio che viene mandato a tutti gli italiani fondamentalmente. Ma non è solamente un messaggio, non è una richiesta di aiuto o una richiesta di impegnarsi per gli altri. E' soprattutto un esprimere il proprio desiderio di impegnarsi, di mettere a disposizione quindi tutte le proprie capacità e le proprie forze all’interno della nostra società, essendo capaci di fare delle scelte coraggiose, delle scelte che riescono a operare un cambiamento e che riescono a incidere su quella che è la nostra società, per cercare di cambiare tutte quelle cose, che pensiamo possano essere leggermente migliorate.

D. – Significativa la presenza del capo del Corpo forestale, Patrone, a ribadire il vostro impegno in difesa dell’ambiente...

R. – Noi abbiamo deciso di fare questa "Route" in un parco naturale. Il nostro impegno all’interno dell’ambiente è sempre stato dichiarato: noi facciamo le nostre attività a contatto con la natura, perché crediamo che sia un ambiente in cui si possano trasmettere tantissimi valori. Per i giovani, per i bambini e per i ragazzi di oggi può essere sicuramente un metodo per riuscire a educare, per riuscire quindi a trasmettere valori diversi, che permettano appunto di costruire una società migliore. In questi giorni, noi siamo stati accolti benissimo sia dal Corpo forestale che dal direttore e dal presidente dell’Ente Parco. Abbiamo cercato di portare qualche miglioramento a questo territorio: abbiamo cercato di rispettarlo e abbiamo cercato di promuoverlo e di fare delle scelte che ci hanno permesso di vivere, di interagire con il territorio senza modificarlo, rispettando quello che c’è, anzi cercando di migliorare dove possibile.

D. – In questi giorni, è stata presentata la delega per la riorganizzazione del terzo settore all’insegna di semplificazione e maggiore trasparenza. Come accogliete questa notizia?

R. – La nostra "Route" non si è svolta solamente in questi giorni a San Rossore, ma è partita il primo agosto. Tutte le comunità locali si sono incontrate in tutta Italia e hanno promosso le loro "azioni di coraggio", che sono state svolte durante tutto l’anno. E’, quindi, un percorso che dura già da oltre un anno. Le azioni di coraggio sono state azioni proposte dai ragazzi dai 16 ai 21 anni e sono azioni incentrate soprattutto nel sociale. Per noi, è quindi sicuramente importante promuovere azioni di questo tipo ed è sicuramente importante riuscire a promuovere l’impegno all’interno del sociale. Poi, ho visto molte di queste azioni di coraggio, presentate dai ragazzi. Ce ne sono molte che sono veramente interessanti e che vanno sicuramente in questa direzione. E siamo stati veramente contenti del lavoro fatto dai ragazzi che, in totale autonomia, sono riusciti a fare delle cose che probabilmente altre volte non avevamo mai visto.

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La Chiesa ricorda Santa Teresa Benedetta della Croce, Patrona d'Europa

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La Chiesa celebra il 9 agosto Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, religiosa carmelitana, ebrea convertita al cattolicesimo e uccisa in quanto ebrea ad Auschwitz nel 1942. Canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1998 è stata proclamata l’anno dopo Patrona d'Europa insieme a Santa Caterina da Siena e Santa Brigida di Svezia. Qual è il cardine della spiritualità di Edith Stein? Monia Parente lo ha chiesto alla prof.ssa Lodovica Maria Zanet, docente di filosofia presso l'Università Cattolica: 

R. - Edith Stein come filosofa e fenomenologa si è sempre lasciata guidare da un’unica ma determinante domanda: chi sono io? Chi è la persona umana? Tutte le sue pubblicazioni - tra queste si può ricordare almeno l’ultima scritta, quando era già carmelitana, dal titolo “Essere finito ed essere eterno” -, ruotano intorno al desiderio, ma direi di più, al bisogno vitale di poter dare una risposta a tale interrogativo per sé e per gli altri. Edith, ormai cattolica e consacrata, scopre però che una piena risposta a questa domanda non può venire solo o tanto dall’intelligenza umana - che pure ha un valore straordinario -, ma mettendosi in ascolto di Colui che ha creato l’uomo e lo chiama alla comunione con sé: Dio. Edith Stein credo che, anche ripercorrendo in retrospettiva la sua vita, abbia sperimentato l’amore fedele di Dio che, con pazienza, l’ha accompagnata e l’ha aspettata anche quando le sue scelte apparentemente si allontanavano da ciò a cui era chiamata. Impara, con il tempo, a rispondere lei stessa in prima persona alla fedeltà di questo amore.

D. – Qual è il cardine della spiritualità di Edith Stein?

R. - Come ha ricordato Papa Giovanni Paolo II in un’intensissima omelia pronunciata in occasione della sua canonizzazione nel 1998, “ … è questo il punto cardine della spiritualità di Edith, che si può riassumere attraverso la parola “croce”. La croce è, per chi crede, quel luogo in cui sofferenza e amore si intrecciano. Parlando di Edith, il Papa diceva: “Chi ama davvero - ed è una citazione - non si arresta di fronte alla prospettiva della sofferenza; accetta la comunione nel dolore con la persona amata”. Credo che questo sia centrale in Edith Stein e che sia anche un grande messaggio che lei vuole dare a noi. Edith non ha mai rimosso la sofferenza, ma l’ha accolta e l’ha attraversata con coloro che l’amavano e che lei amava: il Signore, la comunità cristiana, la Germania e l’Europa del suo tempo e il popolo ebraico con cui riscopre una profondissima sintonia.

D. – Edith ha vissuto profondamente, fino al martirio, la storia del suo tempo …

R. - Edith è stata una carmelitana, e l’ordine carmelitano si ispira al profeta Elia, quindi ha questa attenzione profetica verso la storia. Mi pare che la vita di Edith sia estremamente significativa, perché tutte le scelte di questa donna si sono sempre mosse al passo con la storia in cui era immersa. Lei oggi, come del resto tutti i veri santi, non ci propone un messaggio magari valido in sé, ma decontestualizzato; al contrario, è capace di leggere i segni dei tempi e aiuta i contemporanei, ma l’uomo di ogni periodo storico, a decifrarli, a comprenderli, non perché Edith dica cose future, ma perché alla luce della preghiera, della Croce di Cristo, riesce a penetrare nel presente svelando qualcosa del suo senso ultimo. Penso che questo sia un grande messaggio. Credo che Edith Stein forse si commuova molto nell’essere oggi ricordata come compatrona d’Europa, perché in tal modo affianca quel San Benedetto che, appena convertita, è stato suo maestro nella vita di preghiera e liturgica quando decideva di passare ogni Settimana Santa presso una grande abbazia del tempo che era quella di Beuron.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 19.ma Domenica del tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù cammina sulle acque. Pietro chiede al Signore di seguirlo, ma impaurito, comincia ad affondare, gridando a Gesà di salvarlo. Il Signore lo afferra con la mano e dice:

«Uomo di poca fede, perché hai dubitato?»

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di Don Ezechiele Pasotti, Prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 

Il Vangelo di oggi, nella sua semplicità, è sconvolgente: dice tutto di Cristo, e dice tutto di Pietro, di ognuno di noi. Troviamo gli apostoli in balia delle onde, sul mare di Galilea. All’alba Gesù, il Signore del mare e delle onde, cammina sulle acque verso di loro che credono di vedere un fantasma. Il Signore dice loro: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Pietro gli risponde: “Se sei tu, comanda anche a me di venire a te camminando sulle acque”. Il Signore gli dice: “Vieni”. Ma non è così semplice: la natura di Pietro – la mia e la tua natura – si rivela subito per quello che è. Davanti a ciò che ci supera, alla sofferenza, alla morte, ci scandalizziamo, non guardiamo più colui che ci chiama, non ci fidiamo più della parola del Signore: “Vieni!”. Sommersi dalla paura affondiamo. Eppure Pietro – come noi – scende dalla barca e comincia a camminare sulle acque. Siamo testimoni del potere della parola di Dio. Ma lì ci fermiamo. Il cielo si fa lontano. Camminare sulle acque fa paura. Eppure, il battesimo ci ha già strappato dalle acque di morte – e una volta per sempre –, e ci ha dato la natura di figli di Dio. Come Pietro, anche noi siamo “Oligopistoi” = poca fede. “O poca fede”, è il nome con cui Gesù chiama Pietro. Oggi, Pasqua della settimana, il Vangelo ci invita a guardare a Lui: non guardare a te, alle tue forze, se stai annegando in qualche problema, alza lo sguardo e grida con Pietro “Salvami, Signore” e il suo braccio potente ti solleverà dal profondo delle acque; Lui, il nostro Mosè, ti farà fare Pasqua.

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Nella Chiesa e nel mondo



Appello dei vescovi europei: si fermino le armi in Iraq

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“Non possiamo non sperare che si fermino le armi al più presto e che torni l’ordine a portare speranza”: è quanto afferma il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), di fronte al drammatico conflitto che sta sconvolgendo l’Iraq. In una nota, a firma dei cardinali Péter Erdő ed Angelo Bagnasco, rispettivamente presidente e vicepresidente del Ccee, si esprime “grande preoccupazione” per quanto sta accadendo in Iraq, con particolare “apprensione per le persecuzioni contro i cristiani in atto nel nord del Paese”.

“Uniti alla preghiera del Papa e di tutti coloro che stanno soffrendo – affermano i due porporati – intendiamo  esprimere il sentimento dei nostri fedeli e della Chiesa Cattolica in Europa”. Assicurando, inoltre, “vicinanza spirituale”, il Ccee lancia un appello alla comunità internazionale “affinché possa fare ancora di più per fermare questa tragedia”. (I.P.) 

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Vescovi di Canada e Stati Uniti pregano per il Medio Oriente

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 “Bisogna intervenire rapidamente per portare soccorso ed aiutare la ricostruzione” della regione mediorientale: è quanto afferma il cardinale Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, in Canada, in una nota diffusa ieri e riguardante la grave crisi che sta sconvolgendo il Medio Oriente, con drammatici conflitti soprattutto in Iraq, a Gaza e in Siria. L’invito del porporato è che “la collettività canadese accolga i rifugiati” e che il governo di Ottawa “partecipi agli sforzi internazionali per la giustizia e la pace nella regione, esigendo che le autorità e le società locali rispettino la libertà religiosa e i diritti delle minoranze”.
 
Di qui, l’appello lanciato dal card. Collins affinché “aumenti il numero di posti disponibili per accogliere i cristiani iracheni che si rifugiano in Canada e vengano eliminati gli ostacoli burocratici al loro ingresso”, tanto più che “l’arcidiocesi di Toronto, grazie alla disponibilità delle parrocchie, è pronta ad accoglierli”.
 
Numerosi, inoltre, i momenti di preghiera per la pace organizzati nel Paese: domani, 10 agosto, a Toronto, si terrà una manifestazione pacifica organizzata dalle Chiese cattolica, ortodossa e assira d’Oriente, mentre il 17 agosto, presso il Santuario del Santissimo Sacramento di Québec, si celebrerà una Messa per la pace e la solidarietà in Iraq e in Medio Oriente, con intenzioni di preghiera dedicate a tutte le vittime della violenza e della guerra nel mondo. E ancora, per domenica 7 settembre, il cardinale Collins ha indetto un momento di preghiera interconfessionale nella Basilica di San Paolo di Toronto, che sarà seguita, il 4 ottobre successivo, da una Messa per la pace nella diocesi di Hamilton.
 
Anche la Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) si sta mobilitando per portare aiuto ai cristiani del Medio Oriente: il presidente della Commissione dei vescovi statunitensi per la Giustizia e la pace, mons. Richard Pates, ha inviato una lettera a tutte le diocesi in cui ha descritto il dramma dei cristiani iracheni, la distruzione delle Chiese e delle abitazioni perpetrata dai militanti estremisti dello Stato islamico (Isis). Di qui, l’esortazione di mons. Pates affinché “tutti i cattolici manifestino alle rispettive autorità la loro preoccupazione” per le popolazione mediorientali, così che “l’assistenza umanitaria raggiunga i cristiani e le altre minoranze religiose di Iraq, Siria e degli altri Paesi della regione”. In quest’ottica, la Usccb ha indetto una Giornata di preghiera per la pace, da celebrarsi domenica 17 agosto. (I.P.) 

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Ebola: la Nigeria dichiara lo stato di emergenza

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Il governo nigeriano ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale per il virus Ebola. La decisione del presidente, Goodluck Jonathan, è stata annunciata ieri sera e prevede anche uno stanziamento di 9 milioni di euro. Le scuole resteranno chiuse. Previste anche limitazioni per gli ingressi nel Paese. I morti, a causa del virus in Nigeria, al momento restano due. 139 persone, sospettate di avere contratto l'infezione, sono state poste in quarantena. E’ in quarantena in un ospedale, in Canada, anche una persona di ritorno dalla Nigeria con dei sintomi riconducibili al virus. Secondo le ultime stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sono complessivamente 961 le vittime su 1779 casi. Lo Stato più colpito rimane al momento la Sierra Leone. Per il comitato di emergenza istituito dall’Oms, l’epidemia di Ebola in corso in Africa occidentale è una "emergenza di salute pubblica di livello internazionale". Il commissario europeo alla Salute, Tonio Borg, in una nota rassicura i cittadini europei: “il rischio che l'Ebola arrivi su territorio europeo – sottolinea - è estremamente basso”. E comunque, "nell'improbabile caso che il contagio arrivi – aggiunge - l'Europa è pronta". Partirà infine dall'Italia il laboratorio mobile che l'Unione Europea invierà in Sierra Leone nei prossimi giorni per fronteggiare l'epidemia. A confermarlo all’Ansa il direttore scientifico dell'Istituto Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito. (A.L.)

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Ucraina: colpi artiglieria a Donetsk, nessuna vittima

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Non si fermano i combattimenti a Donetsk, in Ucraina. Anche oggi, colpi di artiglieria pesante sono stati sparati nella città controllata da separatisti filorussi. Lo riferiscono i media. Secondo il Consiglio comunale, proiettili d'artiglieria hanno colpito il quartiere di Kyivski, nel nordovest della città. Le autorità locali rendono noto che non è stata colpita alcuna abitazione. Non si hanno notizie di vittime.

Intanto, durante una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite incentrata sul conflitto in Ucraina, il rappresentante permanente americano al Palazzo di Vetro, Samantha Power, ha dichiarato che qualsiasi tentativo da parte della Russia di recapitare aiuti umanitari nell’Ucraina orientale per gli Stati Uniti equivarrebbe a “un'invasione mascherata”. Power ha replicato così all'offerta di un convoglio di soccorsi per gli sfollati delle regioni russofone ucraine - seppure scortato e controllato da emissari della Croce Rossa - che l'omologo russo, Vitaly Churkin, aveva formulato durante una seduta di emergenza dello stesso Consiglio. (A.L.)

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Somalia: scontri nella regione dell’Hiran, almeno 18 morti

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Almeno 18 persone sono morte nella regione dell'Hiran, in Somalia, tra jihadisti al Shabaab, soldati dell'Unione Africana (Ua) e del governo di Mogadiscio. A riferirlo, un portavoce degli islamisti, Abdulaziz Abu Musab. Tra le vittime, nove soldati dell'Unione Africana e cinque miliziani Shaebaab. I combattimenti sono avvenuti a Buloburde, circa 200 km a nord della capitale somala. Buloburde è stata riconquistata quest’anno dai militari dell’Unione Africana – che può contare su 22 mila uomini in Somalia – ai danni dei fondamentalisti islamici, che mantengono però il controllo su gran parte del territorio intorno alla città. (A.L.)

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Yemen: miliziani di Al Qaeda uccidono 14 soldati

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Nella penisola arabica, Al-Qaeda ha rivendicato la responsabilità dell'esecuzione di 14 soldati dell'esercito yemenita nella provincia meridionale di Hadhramaut. In un comunicato, i miliziani hanno spiegato di aver fermato un autobus che trasportava i militari costringendoli a scendere. ''I soldati sono stati portati in un mercato e sono stati uccisi dopo un discorso'', si legge nel testo. Al-Qaeda ha anche diffuso su Internet fotografie dei militari con le mani legate dietro la schiena. Secondo uno studio condotto nello Yemen dall'"Abaad Studies and Research Centre", sono stati almeno 570 i soldati assassinati nel Paese da combattenti di  al-Qaeda dal 25 gennaio. Tra le vittime anche 170 civili. In questi sette mesi, sono stati uccisi circa 300 miliziani islamici. (A.L.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 221

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.