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Sommario del 11/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il card. Filoni: Papa Francesco vorrebbe essere in Iraq tra la gente

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Papa Francesco ha ricevuto, ieri sera, a Casa Santa Marta il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nominato suo Inviato personale in Iraq, per dimostrare la sua vicinanza alle popolazioni e in particolare ai cristiani duramente colpiti dal conflitto in corso, estremamente bisognosi di sostegno e di incoraggiamento. Il cardinale Filoni ha informato il Papa sulla preparazione della sua missione e sulla sua imminente partenza. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Papa Francesco, informa la Sala Stampa Vaticana, ha ribadito al cardinale Filoni “i suoi sentimenti di fronte ai tragici eventi in corso e gli ha dato le sue personali indicazioni per la missione”. Il Pontefice ha inoltre affidato “una somma da impiegare per aiuti urgenti alle persone più colpite, come segno della concreta solidarietà del Papa e della sua partecipazione agli sforzi delle istituzioni e delle persone di buona volontà per rispondere alla drammatica situazione”. In una dichiarazione rilasciata al Centro Televisivo Vaticano, dopo l’incontro, il cardinale Ferdinando Filoni sottolinea quanto il Papa abbia a cuore i tanti cristiani e le altre minoranze “che sono in una situazione di persecuzione e di fuga” in Iraq:

“La sollecitudine del Papa è stata proprio vivamente percepita, l’ho vivamente percepita perché il Santo Padre, probabilmente, avrebbe avuto anche piacere di essere lì, in mezzo a questa povera gente. Mi affida questo compito proprio perché io faccia presente questo affetto, questo amore profondo, questa condivisione che il Papa ha per questi nostri poveri di oggi”.

La missione, ha specificato il cardinale Filoni – già nunzio in Iraq ai tempi della seconda Guerra del Golfo (2001-2006) – sarà inizialmente “di incoraggiamento, anche di fiducia, di aiuto spirituale, morale e psicologico”:

“La nostra percezione è che questi cristiani, dopo tante difficoltà che hanno avuto, possano non pensare più che questo Paese sia ancora il loro Paese. L’Iraq, tradizionalmente, è un Paese in cui sono convissute tantissime realtà, è un Paese anche accogliente, è un Paese dove storicamente, per centinaia e centinaia di anni, minoranze e maggioranze sono convissute. E quindi sarebbe veramente un peccato, oggi, perdere questa ricchezza”.

Dunque, la missione vuole anche dire ai cristiani iracheni che “per loro c’è un futuro”. “Sono convinto – ha affermato il cardinale Filoni – che le autorità faranno di tutto per mettere questi cristiani in una condizione di proprio agio, di futuro, di sicurezza”:

“Ma devono anche sentire che la Chiesa universale è con loro, che non li abbandona, che li ritiene preziosi in questa terra, che loro abbiano ancora fiducia in se stessi e nelle relazioni che possono stabilire con gli altri. Il Papa è consapevole di tutto questo”.

La missione, conclude il cardinale Filoni, sarà dunque di “sensibilizzare ancora le autorità, raccomandando loro il bene di queste nostre popolazioni e, al tempo stesso, di studiare come aiutarle concretamente in questa situazione e nel prossimo futuro”. Infine, sarà l’occasione per “ringraziare tutti coloro – autorità, organizzazioni ecclesiastiche e non ecclesiastiche – ringraziare tutti per quello che stanno facendo in favore di questa popolazione”.

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Iraq, Isis conquista Jalawla. Mons. Warduni: mondo faccia qualcosa

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Nel nord dell’Iraq, non si ferma l’avanzata dei Jihadisti. Nonostante i bombardamenti aerei statunitensi le milizie dello Stato islamico hanno conquistato la città Jalawla. Intanto, anche la Lega Araba ha condannato i recenti massacri contro la minoranza Yazedi accusando l’Isis di crimini contro l’umanità, mentre prosegue il caos politico a Baghdad con lo stallo per la formazione di un nuovo governo e lo scontro tra il premier al Maliki e il presidente Massum. Il servizio di Marco Guerra: 

Dopo “intesi combattimenti” lo Stato islamico (Isis) si è impadronito della città di Jalawla, 130 chilometri a nordest di Baghdad, minacciando così i confini meridionali della regione autonoma del Kurdistan. I raid aerei statunitensi contro le postazioni jihadiste non sembrano fermare l’avanzata delle milizie islamiste. Anche le forze curde che stanno ricevendo armamenti da più fonti non sono in grado di contenere le forze dell’Isis. E mentre resta grave la situazione umanitaria delle centinaia di migliaia di sfollati interni, in fuga dalle aree occupate dal "Califfato", i ribelli sembrano approfittare dello scontro politico in corso a Baghdad. Il presidente iracheno, Fuad Massum, ha intimato al parlamento di nominare un premier senza però incaricare il primo ministro uscente, al Maliki, il quale non intende rinunciare al tentativo di formare per la terza volta un esecutivo. Dal canto suo, la coalizione "'Stato di Diritto-Alleanza Irachena Unita", principale forza politica sciita in Iraq, ha indicato come nuovo candidato premier l’attuale numero due del parlamento, Haider al-Abadi. Sulla situazione il commento di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliario di Baghdad dei caldei: 

R. – La cooperazione del mondo è molto debole ed è venuta molto tardi! Anche dall’Europa, anche dall’America… Voi dite: “Meglio tardi che mai”, ma la nostra tragedia non è stata presa sul serio sin dall’inizio. Per questo il Patriarca e noi tutti abbiamo visto la noncuranza del mondo all’inizio, per almeno quasi un mese. Per questo siamo arrivati a questo punto. All’inizio, almeno, parlavano con una lingua dolce con i cristiani, ma solo per alcuni giorni… Poi sono però arrivati a cacciarli, a ucciderli se non diventavano musulmani. E questo non solo a Mosul, perché quattro giorni fa hanno “svuotato” tutta la Piana di Ninive: i bambini, gli anziani dormono per la strada… Una cosa tremenda! Quindi, anche l’America è arrivata in ritardo... Noi vediamo che queste persone seminano la paura, una grande paura nel cuore della gente, che lascia tutto e se ne va. Noi vogliamo un'azione pronta, adesso, subito! Quanti bambini sono morti, quante donne sono state calpestate, quanti uomini sono stati uccisi! Perciò, Sua Beatitudine dice, e anche noi che lui, che il mondo deve intervenire molto presto, subito! Non deve vendere le armi a questa gente!

D. – Quindi, nelle zone occupate dall’Isis la situazione è peggiorata rispetto a un mese fa. Ma cosa è cambiato in queste ultime settimane?

R. – Prima dicevano ai cristiani di non andarsene, perché qualcuno all’inizio aveva parlato con loro dicendo così… Poi, hanno cacciato i cristiani dalle loro funzioni pubbliche nel governo, poi hanno scritto sulle case, poi hanno gridato “cristiani fuori!”…. Dopo tutto quello che è accaduto nella Piana di Ninive, e la paura che sono riusciti a seminare nel cuore di tutti, appena la persone sentono che si stanno avvicinando, scappano via subito, corrono via, uno dopo l’altro… Sono migliaia: 150-200 mila persone si trovavano all’aperto... La Chiesa ha cercato di fare qualcosa, di trovare dei posti: ringraziamo Dio che la maggioranza di queste persone hanno potuto avere un tetto. Noi gridiamo a tutto il mondo: “Per favore, fate qualche cosa! Per favore non vendete le armi!”. Le nazioni che aiutano queste persone, bisogna chiamarle e chiedere loro: “Voi siete con il mondo o fuori dal mondo?”. Se sono fuori dal mondo, allora devono essere puniti!

D. – La mancanza di un’unità politica nella capitale si sente? E’ un problema? Con tutte le etnie dell’Iraq unite si potrebbe sconfiggere l’Isis?

R. – Questo è uno dei problemi più grandi. Il governo e tutti gli altri partiti che dovrebbero prendere le cose sul serio discutono solo delle poltrone, invece di dire “andiamo dai curdi e facciamo un blocco unito che mostri la forza dell’Iraq”. Noi non vogliamo la guerra! Noi non vogliamo uccidere gli altri, ma vogliamo i nostri diritti, vogliamo la pace! Vogliamo la sicurezza per i nostri bambini e le nostre donne, per le ragazze che vengono maltrattate. Queste divisioni sono una grande lacuna nella storia dell’Iraq. Se il governo si unisse con i curdi, con un cuore solo, certamente le cose sarebbero di altro tipo. Però anche gli americani, anche l’Europa devono intervenire! Anche se i curdi non sono con il governo…

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Il Papa ai coreani: anziani e giovani insieme garanzia di futuro

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Tra due giorni, alle 16, dall’aeroporto di Fiumicino decollerà il volo papale che porterà Francesco in Corea per il suo terzo viaggio apostolico, in programma fino a lunedì 18. Tanti gli appuntamenti del viaggio, che vedrà il Papa stringere in un abbraccio i giovani che parteciperanno alla Giornata della gioventù asiatica, ma anche rilanciare la pace tra le due Coree e rinsaldare la fede della Chiesa locale attorno ai suoi martiri. Prima di partire, il Papa ha voluto affidare a un videomessaggio sentimenti e auspici. La sintesi delle sue parole nel servizio di Alessandro De Carolis

Due verbi, intensi nel loro dinamismo, che valgono un nuovo inizio: “Alzati, risplendi!”. Papa Francesco si rivolge così ai coreani, come migliaia di anni fa Isaia faceva con Gerusalemme. L’agenda di sei giorni del primo viaggio di Francesco nell’Estremo Oriente è ovviamente fitta, ma al di là degli impegni al Papa sta a cuore che a essere accolta, dice, sia la “luce” di Cristo, per rifletterla – indica – “in una vita piena di fede, di speranza e di amore, piena della gioia del Vangelo”.

E i primi chiamati in causa sono loro, i giovani, che in massa Papa Francesco incontrerà il 15 agosto a Daejeon per la sesta Giornata Asiatica della Gioventù. A loro in particolare, dice, “porterò l’appello del Signore: ‘Gioventù dell’Asia, alzati! La gloria dei martiri brilla sopra di te’”:

“I giovani sono portatori di speranza e di energie per il futuro; ma sono anche vittime della crisi morale e spirituale del nostro tempo. Per questo vorrei annunciare a loro e a tutti l’unico nome nel quale possiamo essere salvati: Gesù, il Signore”.

Ci sono poi gli “specchi” nei quali brilla la luce di Cristo. Sono i martiri sul cui sangue la Corea ha costruito la propria identità cristiana. Come Paul Yun Ji-chung e i 123 compagni che a Seul, il 16 agosto, Papa Francesco eleverà agli altari. Dunque, il futuro della Corea – futuro che spera nella riconciliazione di ciò che il 38.mo parallelo oggi ancora divide – ha bisogno di guardare sempre alla storia e il Papa lo ripete tornando a un concetto a lui molto caro:

“Cari fratelli e sorelle coreani, la fede in Cristo ha messo radici profonde nella vostra terra e ha portato frutti abbondanti. Gli anziani sono i custodi di questa eredità: senza di loro i giovani sarebbero privi di memoria. L’incontro tra gli anziani e i giovani è garanzia del cammino del popolo. E la Chiesa è la grande famiglia in cui tutti siamo fratelli in Cristo. Nel suo nome vengo a voi, nella gioia di condividere con voi il Vangelo dell’amore e della speranza”.

Quella di Kkottongnae sarà una delle tappe più importanti del viaggio del Papa in Corea. In questa località sorge una struttura esclusiva per disabili che vengono abbandonati dalle famiglie. Secondo il Ministero del Welfare e della salute coreano, il numero di persone disabili in Corea è oltre due milioni e mezzo. Di questi, 42 mila sono bambini. Di questo particolare servizio pastorale parla don Ignazio Sung Jeewoon, della diocesi di Seul, al microfono di Davide Dionisi

R. – Ho lavorato per tre anni come viceparroco. Ho lavorato anche per i ragazzi disabili. Nella nostra società, ci sono tante persone che hanno bisogno di aiuto da parte di coloro che possono offrire sostegno. Nella nostra società viviamo tutti insieme e se coloro che hanno bisogno accettano questa situazione, anche noi possiamo dare alcune cose: condividiamo i pensieri, i sentimenti…

D. – Quali sono le principali sfide pastorali che un parroco coreano deve affrontare nel suo servizio quotidiano?

R. – I fedeli, nella chiese, nella loro parrocchia pregano molto, cercano quale sia il significato evangelico. Però, nella vita quotidiana o nel lavoro trovano delle difficoltà a vivere secondo il Vangelo.

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Il cordoglio di Francesco per l'incidente aereo a Teheran

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Papa Francesco ha espresso il proprio dolore per il tragico incidente avvenuto ieri poco dopo il decollo di un velivolo dall’aeroporto di Teheran, che ha causato la morte di 39 persone e il ferimento di altre nove. Nel telegramma di cordoglio, il Papa esprime le proprie condoglianze alle famiglie delle vittime, prega per coloro che hanno perso la vita chiedendo per tutti “benedizioni divine di forza, consolazione e di pace”.

L’aereo, un Antonov 140, si è schiantato verso le 9.18, ora di Teheran, nella zona residenziale Azadi, un'area riservata per i militari e le loro famiglie, a meno di cinque chilometri dall'aeroporto. Dopo l'incidente, il presidente iraniano Rohani ha ordinato di bloccare tutti i voli degli Antonov 140 costruiti in Iran.

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Il Papa riceve in udienza il cardinale Ouellet

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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No all'odio in nome di Dio: Papa Francesco chiede un'efficace soluzione politica per fermare la violenza in Iraq.

Tutti siamo fratelli: videomessaggio alla vigilia della partenza per la Corea.

Israele e Hamas al Cairo per negoziare.

Fratel John su Paolo VI, Taizé e l'"Ecclesiam suam".

Il tassello mancante: l'articolo di Giuseppe Decarlini, comparso sul settimanale "Il Popolo", sulla scoperta del luogo di nascita di Maria Gogna, nonna materna di Jorge Mario Bergoglio.

Compagnia e amore: da Seoul, intervista di Cristian Martini Grimaldi a padre Maurizio Giorgianni, da ventuno anni in missione in Corea del Sud.

Totale immersione: Timothy Verdon in vista del viaggio papale.

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Oggi in Primo Piano



Gaza: tiene la tregua, trattative in corso al Cairo

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In Medio Oriente, sembra reggere la tregua di 72 ore nella Striscia di Gaza, ed è stato riaperto il valico di Kerem Shalom, mentre al Cairo sono ripresi i colloqui indiretti tra le parti, mediati dall’Egitto: secondo fonti palestinesi, ad Israele sarebbe stato offerto un cessate il fuoco duraturo in cambio del riconoscimento di uno Stato palestinese provvisorio nella Striscia, ma senza esito. Sulla possibilità che questi negoziati aprano nuove prospettive, non solo a breve termine, Davide Maggiore ha sentito l’opinione di Stefano Silvestri, consigliere scientifico dell’Istituto Affari internazionali: 

R. - Se la tregua regge è possibile che si apra un negoziato per un cessate il fuoco più lungo. Il problema di una soluzione a più lungo termine è più complesso perché le posizioni sono molto distanti. Per il momento, da una parte Israele chiede soprattutto un completo disarmo di Gaza - molto complicato perché, tra l’altro, non è chiaro chi lo garantirebbe e come effettuarlo - e dall’altra invece Hamas, che si oppone a questa idea, vuole semplicemente la cessazione di ogni tipo di blocco o controllo alle frontiere, in particolare con l’Egitto, cosa che per altro non piace molto al Cairo.

D. - Questa condizione posta da Hamas riguardo la fine del blocco è una condizione veramente insormontabile o è una richiesta che Hamas fa sapendo che però potrà ottenere qualcosa di meno?

R. - Certamente potrà ottenere di meno, come anche Israele potrà ottenere di meno. Per questo dico che non dobbiamo aspettarci una soluzione in questo momento dei negoziati, ma appunto un compromesso che possibilmente faccia durare la tregua, l’armistizio. Quindi in questo senso, dopo, se la cosa durerà potrebbe aprire delle possibilità o degli spiragli per un negoziato più approfondito.

D. - Quali potrebbero essere le basi di questo compromesso? Cosa potrebbe accettare, ad esempio, Hamas?

R. - Il compromesso potrebbe essere legato semplicemente ad un’apertura più larga del valico di Rafah, quindi ad una ripresa  - più o meno - delle linee commerciali normali tra l’Egitto e Gaza. Poi ci sono naturalmente altri problemi più complicati - naturalmente - di scambi di prigionieri a Gaza… Infine c’è il problema degli aiuti economici a Gaza e della gestione di questi aiuti economici internazionali, perché chi controlla questi quattrini sostanzialmente controlla anche la città.

D. - E invece Israele che cosa può offrire?

R. - Offre la non continuazione della guerra, la sospensione delle operazioni militari, però vuole ottenere garanzie del fatto che non vengano ripresi i bombardamenti con i razzi e che naturalmente, in qualche maniera, ci sia un controllo di queste operazioni nei tunnel. Questo richiede un controllo, e Hamas resiste ad ogni forma di controllo. Per cui credo che tutto sommato sia più difficile soddisfare le richieste di Israele che quelle di Hamas.

D. - Abbiamo sottolineato la necessità di un mediatore; un mediatore ufficiale c’è - l’Egitto -, ma abbiamo detto che anche questo ha i suoi interessi nella trattativa in corso. Esiste un soggetto terzo che sia riconosciuto da entrambe le parti e che possa garantire, anche in caso di una trattativa più ampia, il rispetto dei patti?

R. - Il miglior soggetto presente rimane l’Egitto. Se si arrivasse ad un accordo con l’Iran, questo potrebbe aggiungersi all’Egitto, ma lì parliamo quasi di fantascienza.

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Turchia: Erdogan nuovo presidente, primo eletto a suffragio universale

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Erdogan sarà il nuovo presidente della Turchia, il primo eletto a suffragio universale. Il leader dell’Akp ha vinto al primo turno con il 51,7% dei voti. Secondo, l’indipendente Ihsnoglu con il 38% e terzo l’esordiente curdo Demirtas con il 9%. Per Erdogan si tratta dell’ottavo successo elettorale consecutivo dal 2002. Sulle ragioni di questa vittoria e sugli scenari futuri Michele Raviart ha intervistato Federico De Renzi, turcologo ed esperto d’islam: 

R. – Ormai, è dal 2002 che il Partito Giustizia e Sviluppo (Akp) è alla guida del Paese. Ha cominciato, soprattutto negli ultimi 4-5 anni, a rimodellare il Paese dalla sua presunta identità kemalista o laica, portando avanti una serie di politiche di ristrutturazione della società sia in chiave religiosa che economica: una società che si riflette in Erdogan e che Erdogan riflette.

D. – Lui ha detto che cercherà di mantenere il potere anche da presidente. Lo può fare costituzionalmente?

R. – Formalmente, non potrebbe farlo, perché – secondo l’art. 101 della Costituzione, che poi è una Costituzione rimodellata nel ’97, ma che è quella dell’82, quella cioè post-colpo di Stato dell’80 – automaticamente una volta candidatosi alla presenza, il ruolo di primo ministro verrebbe a cadere.

D. – Come si sono comportati i curdi in queste elezioni?

R. – In queste elezioni, una buona parte dei curdi hanno votato per questa nuova formazione, il Partito democratico del popolo, guidato da Selahattin Demirtas. Gli altri, e non in piccola parte, hanno votato per l’Akp, perché ricordiamo che i curdi non sono rappresentati maggiormente dal Pkk o dalle formazioni di estrema sinistra, anzi molto spesso i curdi, essendo sunniti tradizionalisti e soprattutto da quando c’è stata l’apertura ai curdi dello stesso Erdogan, hanno cominciato a votare un partito di ispirazione islamica sunnita, che è appunto l’Akp.

D. – Riguardo alla crisi in atto in Iraq, qual è la posizione della Turchia di Erdogan? Ricordiamo che la Turchia è ostile all’Isis, che propone un Califfato, ed è ovviamente ostile agli indipendisti curdi del Pkk che stanno combattendo lo Stato islamico sul campo in questo momento…

R. – Nonostante i proclami “zero problemi con i vicini”, teorizzati dall’attuale ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, si è passati ad una fase di “molti problemi con i vicini”: in Iraq in particolare, così come in Siria, la posizione della Turchia è stata molto equivoca. Inizialmente hanno fatto di tutto – parliamo del 2011 – per salvare il salvabile con Assad, così come fecero di tutto nel 2003 per salvare il salvabile con Saddam Hussein. Da allora, sono passati o sono stati lasciare passare, vista la complessità dei confini, molti combattenti jihadisti verso sia la Siria che l’Iraq. Da un lato, sarebbe poco gestibile per la Turchia avere un Califfato o uno Stato islamico alle proprie porte, così come è, dall’altro, poco gestibile o poco auspicabile avere un Stato curdo indipendente, che comprenda il Kurdistan in Iraq e la parte nordorientale della Siria alle porte della Turchia.

D. – Abbiamo citato il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu: lui è considerato uno dei possibili successori alla carica di primo ministro dopo Erdogan. Qual è la situazione, quali sono i candidati? Si parla anche del presidente precedente Gul…

R. – E’ molto probabile che possa esserci Abdullah Gul alla successione come primo ministro: diciamo che è il candidato più probabile e il più favorito, anche perché è visto molto in Occidente, così come lo stesso Davutoglu, anche se quest’ultimo non è esattamente ben visto anche in Turchia. Non è da escludersi neanche che ci sia a sorpresa una ricandidatura dello stesso Ekmelettin Ihsanoglu, il quale a queste elezioni – come secondo arrivato – ha preso il 38,5%.

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Oss. Diritti Minori: "Al Maxxi di Roma esposta opera pedopornografica"

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E’ polemica in Italia per l’esposizione a Roma nelle sale del Maxxi, il Museo delle Arti del XXI secolo, di una scultura raffigurante due ragazzine adolescenti e un membro sessuale maschile. La direzione del Maxxi difende la “libertà di epsressione degli artisti”, la cui intenzione sarebbe “la messa in discussione di false moralità” . Di opera a “fondo pedopornografico” finalizzata a normalizzare il crimine della pedofilia, parla invece Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – E’ accaduto che alcuni visitatori sono andati a visitare il Maxxi in compagnia di due figli minori. Si sono ritrovati di fronte a questa scultura che raffigurava due adolescenti alle prese con un organo sessuale maschile: indignati si sono rivolti all’Osservatorio sui diritti dei minori. Noi abbiamo verificato e ci siamo rivolti al ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, ed in serata abbiamo ricevuto una lettera firmata dalla direttrice, Anna Mattirolo, che giustificava l’opera in senso artistico – cosa che non ci sentiamo di condividere pur non essendo noi grandi conoscitori dell’arte – ma che soprattutto annunciava che sarebbe stata tolta immediatamente, perché la stessa opera non è permanentemente esposta…

D. – Mi sembra di capire che da parte vostra non c’è alcun desiderio di attentare alla libertà di espressione artistica. Voi state sottolineando un contenuto…

R. – Lungi da noi. Non è né il nostro mestiere né la nostra vocazione esprimere valutazioni in ambito artistico. Il nostro allarme è scattato perché l’opera è di chiaro stampo pedopornografico e si inserisce in un contesto culturale contemporaneo dove i pedopornografi, cioè i criminali, lavorano per normalizzare culturalmente soprattutto il fenomeno della pedopornografia. Dico con estrema franchezza, proprio per essere chiaro e lontano da “bacchettonismi” di questo genere, che se l’opera in questione fosse stata, sì pornografica, ma rappresentativa di adulti, tutelata (ovvero fruibile da un solo pubblico adulto) , noi non ci saremmo neanche mossi perché non ci interessava. Il problema è la normalizzazione di adolescenti alle prese con la sessualità esplicita.

D. – La direzione del museo ha subito spiegato che l’accesso a quest’opera è di fatto protetto: non tutti possono vederla…

R. – No. La statua è esposta in un luogo dove bisogna necessariamente transitare per accedere al resto delle opere esposte nel museo. Né tantomeno qualcuno ha avvisato i genitori di minori che l’opera è loro vietata, cioè che i minori non possono vederla…

D. – Nelle intenzioni di chi ha realizzato quest’opera c’è la denuncia di una "falsa moralità"…

R. – Secondo loro moralità malata è indignarsi: secondo loro i malati siamo noi che ci siamo indignati. Per me è semplicemente una provocazione tendente a normalizzare la pedopornografia che macina milioni di euro/dollari all’anno da far impallidire il bilancio di uno Stato.

D. – Lei ha detto: “Tutti dovremmo essere concordi nel promuovere una cultura antitetica alla pedofilia”. Invece, non è così?

R. – Evidentemente no. Purtroppo le cifre del fenomeno mi danno ragione. Stiamo parlando di un crimine contro l’umanità.

D. – C’è una condanna internazionale di questo crimine?

R. – C’è il silenzio assordante delle Nazioni Unite che, rispetto alle svariate richieste di riconoscere la pedofilia quale crimine contro l’umanità, non rispondono. Questo è un aspetto ancora più inquietante che si inserisce in una “manovra” culturale contemporanea che tende a normalizzare il tutto.

D. – Ci sono, però, segnali concreti di questo “sdoganamento” della pedofilia nel mondo?

R. – In Olanda è venuto fuori il Partito dei pedofili, quindi il massimo tentativo istituzionale di normalizzare la pedofilia. Il giudice del Tribunale dell’Aia ai ricorsi contro questo partito ha risposto dicendo che è legittimo per non ledere la libertà di espressione. Quindi, se già le istituzioni europee riconoscono come libertà di espressione la normalizzazione di un crimine che riguarda bambini molto piccoli, vuol dire che quello che lei mi chiede è già in atto. Ricordiamo inoltre che l’Italia è il Paese europeo con la più bassa soglia di età per il “consenso sessuale”. Ecco perché bisogna fare attenzione a tutto, anche a quello che un museo espone. 

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Santa Chiara: la preghiera come chiave per il cuore dell'uomo

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In una situazione internazionale lacerata da guerre e persecuzioni, si festeggia oggi Santa Chiara d'Assisi, vergine e fondatrice delle Clarisse. È, quindi, un’occasione importante per riflettere sull’importanza della preghiera, anche alla luce delle continue sollecitazioni di Papa Francesco. Tra le molte iniziative, oggi pomeriggio - alle ore 17 - il monastero delle Clarisse di Sant’Agnese a Perugia ospiterà un incontro ecumenico ed interreligioso per la pace, con la presenza, tra gli altri, di un imam e di un ministro ortodosso. Paolo Giacosa ha chiesto a Suor Maria Chiara Cavalli, sorella del monastero perugino, una riflessione sulla memoria della loro fondatrice: 

R. – Noi festeggiamo Santa Chiara nel giorno del suo transito al cielo. L’11 agosto 1253, Chiara è andata in Paradiso, accompagnata da un corteo di vergini: così ci raccontano le testimoni e le sorelle, che erano presenti alla morte. Tra queste vergini ce ne era una, che era la maggiore: Maria Santissima. Chiara ha seguito la vita di Maria: è rimasta chiusa a San Damiano per più di 40 anni, pregando, prendendosi cura delle sorelle, prendendosi cura della Chiesa, prendendosi cura di tutte le persone, che andavano a visitarla e verso le quali ha operato anche tanti miracoli.

D. – In una società lacerata da guerre e persecuzioni, come quelle in Iraq, qual è la forza che possiamo trarre dalla preghiera?

R. – La preghiera è fondamentale, come ci ha detto il Papa, se non altro per renderci conto che le forze del bene sono più grandi delle forze del male. Con la preghiera chiediamo l’aiuto del Dio dell’amore e della pace, in cui tutti siamo uno. Per i cristiani, - per noi che seguiamo Gesù, che ha vinto il male, ha vinto la morte, ha vinto ogni forma di divisione - è già rendere presente la Risurrezione. Quindi con la preghiera rendiamo già presente il Paradiso e allontaniamo le forze del male.

D. – Quanto è significativo che il Papa inviti con frequenza alla preghiera per i cristiani in difficoltà, ma anche per il proprio mandato?

R. – E’ significativo, perché nulla dipende da noi. Senza Gesù, senza la forza di Dio non possiamo fare nulla. Questo lo dice il Vangelo e di questo possiamo renderci conto ogni giorno, se siamo seri con la vita. Ricordiamo che non tutto dipende da noi. E’ importante che noi ci rendiamo strumenti del bene, ma siamo strumenti, perché è Dio che opera. Per questo è importante pregare per tutti. E’ importante che ci siano persone che dedicano la loro vita alla preghiera, completamente, anche se sembra assurdo nella nostra società, così tecnologizzata, in cui sembra che la tecnica, la scienza possano fare tutto. Se abbiamo occhi per vedere, ci rendiamo conto che gli strumenti sono importanti, ma il cuore dell’uomo è fondamentale.

D. – In occasione della festa di Santa Chiara, organizzate un incontro ecumenico per la pace. La preghiera può essere la chiave fondamentale per il dialogo interreligioso?

R. – Siamo molto contente che abbiano scelto un monastero per questo incontro ecumenico. Nel monastero, infatti, tutti siamo uno e non esiste divisione. Il monastero – io dico sempre – è la casa di tutti. Preghiamo per tutti, nessuno escluso. Ed è bello ritrovarsi a pregare insieme ad un imam, ad un ortodosso e a esponenti di altre Chiese. Pregheremo per la pace, come il Santo Padre continuamente ci chiede.

D. – Fare silenzio è il primo passo per entrare in dialogo con Dio, ma è sempre molto difficile. Ci può dare qualche consiglio?

R. – Il silenzio è una necessità. E’ sempre più difficile fare silenzio. Pare che abbiamo paura del silenzio, perché forse abbiamo paura di incontrare noi stessi. Io inviterei tutti a venire nei monasteri, luoghi di silenzio e di pace, dove poter ritrovare noi stessi e il senso delle nostre azioni, il senso della vita, il senso degli eventi che capitano. Si impara a pregare anche vedendo altri che pregano.

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Nella Chiesa e nel mondo



Il Patriarca Raï: fermare la strage di cristiani in Iraq

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Il Patriarca di Antiochia dei Maroniti Béchara Raï ha rinnovato ieri l’appello alla comunità internazionale perché ponga fine alle efferate violenze del sedicente Califfato islamico contro i cristiani iracheni. Nell’omelia domenicale pronunciata nella residenza estiva di Dimane, il cardinale Raï ha di nuovo chiesto un intervento immediato alla Lega Araba, alle Nazioni Unite e alla Corte penale Internazionale per fermare la strage, punire i colpevoli per crimini contro l’umanità e consentire il rientro in sicurezza dei cristiani. Il porporato ha inoltre esortato tutte le comunità libanesi ad accogliere i profughi che hanno trovato rifugio in Libano fornendogli un tetto e cibo.

L’appello del Patriarca di Antiochia giunge a pochi giorni dalla dura denuncia dei vescovi e patriarchi maroniti, riuniti mercoledì per la loro assemblea mensile, che avevano puntato il dito contro l’inerzia delle Nazioni Unite, dei Paesi Arabi e di quelli occidentali di fronte alla tragedia in atto in tutto il Medio Oriente. A preoccupare i vescovi libanesi è anche il persistente stallo politico nel Paese che attende ancora un nuovo presidente, mentre la sua stabilità è ulteriormente minacciata dagli islamisti dell’Isis al confine con la Siria. (L.Z.) 

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Vescovo nigeriano: grande sofferenza dei cristiani a causa di “Boko Haram”

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“L’insorgere dei Boko Haram in Nigeria era atteso ed è dovuto ad una combinazione di abuso di potere, di risorse e di capacità perpetrato per decenni, nel totale disinteresse della legge”: lo afferma, in un’intervista alla redazione Inglese Africa della Radio Vaticana, mons. Emmanuel Badejo, vescovo di Oyo e presidente dell’Apostolato per le comunicazioni della Conferenza episcopale nigeriana. Secondo il presule, gli scontri che attualmente strangolano il Paese non sono il risultato di un’improvvisa esplosione del conflitto, quanto, piuttosto, l’esito dell’incapacità delle autorità di rispondere a numerosi segnali di allarme. Mons. Badejo delinea, quindi, le responsabilità dell’amministrazione nazionale, che non ha saputo combattere la corruzione e il clientelismo interno al Paese, e critica il governo per come ha affrontato la perenne questione della disoccupazione, tra i problemi scatenanti del conflitto.

È opinione diffusa tra i cristiani nigeriani, continua il vescovo di Oyo, che l’insurrezione del movimento “Boko Haram” sia figlia degli interessi di alcuni politici del nord del Paese, colpevoli di aver armato alcuni giovani ribelli. Tuttavia, sottolinea il presule, non si tratta di semplici malviventi, ma di criminali addestrati, in grado di sconvolgere e demoralizzare persino l’esercito nigeriano. Il vescovo ricorda poi che il gruppo armato non ha come bersaglio solo i cristiani, le loro chiese e le loro istituzioni, i quali “patiscono gravi perdite”, ma strutture del governo e interi villaggi, che sono stati distrutti e spazzati via. Ed è questo a rendere evidenti i differenti interessi interni ai “Boko Haram” che variano dalla politica, alla religione, all’economia, divenendo “estremamente difficili, se non impossibili da comprendere”.

Il presule si sofferma, quindi, sul caso drammatico delle 300 ragazze nigeriane rapite a Chibok più di cento giorni fa: rappresentano, spiega, “una tragica icona dell’illegalità e dell’insicurezza” che vigono nel nord del Paese. In questo contesto, è importante superare la convinzione, diffusa tra la popolazione, che la religione sia essa stessa un problema e una causa di conflitto; ciò sarà possibile dando risalto al bene che la religione e i religiosi hanno fatto e continuano a fare nella vita quotidiana delle persone, nella risoluzione dei conflitti, nello sviluppo e nella costruzione della nazione. Per questo, il presule evidenzia come la tragedia del conflitto abbia rafforzato la solidarietà e l’attività caritativa della Chiesa cattolica nigeriana nel portare aiuto alle famiglie ed ai giovani.

“Le sanguinarie attività dei Boko Haram sono estranee ad alcuni leader musulmani come lo sono a me”, dice ancora mons. Badejo, raccontando la sua testimonianza personale nella diocesi di Oyo, in cui cattolici e musulmani coabitano. “Siamo solo 45 mila cattolici tra circa un milione di musulmani – sottolinea il presule – E con loro, fortunatamente, conduciamo una coesistenza cordiale”. Il presule termina la sua analisi con una critica alla comunità internazionale, definita “ipocrita” nei suoi tentativi di risolvere la questione e pone, infine, un interrogativo: “È davvero impossibile rintracciare la fonte dei finanziamenti dei Boko Haram e di altre guerre in Africa, in un mondo così efficiente?”. (C.G.)

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Caritas Agrigento organizza campo per ragazzi in Tunisia

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Al via oggi il campo di formazione e volontariato in Tunisia per giovani “Oltre il mare” promosso dalla Caritas diocesana di Agrigento in collaborazione con l’arcidiocesi di Tunisi e la Fondazione Mondoaltro. Il campo, giunto ormai alla sua terza edizione, si svolge nelle località di Tunisi e Sousse (a 150 Km dalla capitale tunisina) e coinvolge 7 giovani (5 ragazze e 2 ragazzi) in un’esperienza di crescita personale e umana attraverso il contatto diretto col mondo arabo. Il campo pone l’accento sul percorso di collaborazione e reciprocità tra l’arcidiocesi di Agrigento e quella di Tunisi in corso ormai da diversi anni e che, in questo momento di complessità geopolitica, è importante consolidare attraverso percorsi di sostegno e di vicinanza alla Chiesa tunisina e di formazione per la nascente Caritas di Tunisi.

“L’aspetto peculiare del campo di quest’anno - dichiara il direttore della Caritas diocesana di Agrigento Valerio Landri - riguarda l’alleanza stabilita con diverse associazioni giovanili tunisine, nate all’indomani della Primavera araba. Una conoscenza reciproca che vuole essere il primo passo per la programmazione di una cooperazione transfrontaliera comune”. Durante i 12 giorni di campo i giovani volontari saranno impegnati in attività di formazione sui temi del dialogo, della cooperazione e della geopolitica ed in attività di animazione rivolte ai bambini di una scuola di Sousse che rispondono alle richieste della comunità locale ospitante. Ai giovani italiani si unirà un gruppo di giovani francesi che insieme ai tunisini collaboreranno nella realizzazione delle attività di servizio e formative, favorendo, quindi, un percorso di reciproca comprensione. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 223

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.