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Sommario del 12/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il card. Filoni parte oggi per l'Iraq come Inviato Speciale del Papa

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Il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, parte oggi per l’Iraq (via Giordania), come Inviato Personale di Papa Francesco. A darne notizia è l’agenzia Fides. Il porporato aveva incontrato il Pontefice domenica scorsa, per informare sulla preparazione della sua missione e ricevere opportune istruzioni. La presenza del cardinale Filoni, ricorda l’agenzia Fides, vuole dimostrare la vicinanza di Papa Francesco a tutte le popolazioni sofferenti, e in particolare verso i cristiani.

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Santa Sede: autorità, soprattutto musulmane, condannino barbarie in Iraq

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Una condanna  chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, e di tutte le persone di buona volontà, dei crimini commessi in Iraq dai jihadisti dello Stato Islamico contro cristiani, yazidi e altre minoranze religiose. A chiederla, in una dichiarazione, è il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Il servizio è di Paolo Ondarza

"La situazione drammatica dei cristiani, degli yazidi e delle altre comunità religiose ed etniche numericamente minoritarie in Iraq - si legge nella dichiarazione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso - esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà. "Il mondo intero - si legge nel comunicato - ha assistito stupefatto a ciò che viene ormai chiamato 'la restaurazione del califfato' che era stato abolito il 29 ottobre 1923 da Kamal Ataturk, fondatore della Turchia moderna”. “La contestazione di questa 'restaurazione' da parte della maggioranza delle istituzioni religiose e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello 'Stato islamico' di commettere e continuare a commettere azioni criminali indicibili".

Il Pontificio Consiglio insieme a tutti coloro che si impegnano nel dialogo interreligioso, ai fedeli di tutte le religioni e agli uomini e alle donne di buona volontà non può che “denunciare e condannare senza ambiguità" una serie di "pratiche indegne dell'uomo": come il massacro per soli motivi di appartenenza religiosa, le pratiche esecrabili della decapitazione, della crocifissione, dei cadaveri appesi nei luoghi pubblici; o la scelta imposta a cristiani e yazidi tra la conversione all’islam, il pagamento di un tributo o l’esodo; l’espulsione forzata  di decine di migliaia di persone, bambini, anziani, donne incinte e malati; il rapimento di ragazze come bottino di guerra; l’imposizione della pratica barbara dell’infibulazione; la distruzione di luoghi di culto e mausolei cristiani e musulmani; l’occupazione forzata o profanazione di chiese e monasteri; il ritiro di crocifissi e altri simboli religiosi cristiani e di altre religioni; la distruzione del patrimonio religioso cristiano di valore inestimabile; l’abietta violenza con lo scopo di terrorizzare le persone e obbligarle ad arrendersi o a fuggire.

Nessuno – prosegue la dichiarazione del dicastero vaticano -  “potrebbe giustificare una tale barbarie e certamente non una religione". Si tratta di un'offesa di estrema gravità verso l'umanità e verso Dio Creatore, come ha spesso ricordato il Papa. “Tutti i responsabili religiosi devono essere unanimi nella condanna senza alcuna ambiguità di questi crimini e denunciare l'invocazione della religione per giustificarli. Altrimenti che credibilità avranno le religioni, i loro seguaci e i loro capi? Quale credibilità – dichiara il dicastero vaticano - potrebbe avere ancora il dialogo interreligioso pazientemente perseguito questi ultimi anni?". I responsabili religiosi devono anche "esercitare la loro influenza sui governi" affinchè si ponga fine a questi crimini, sia punito chi li commette, sia ristabilito uno stato di diritto sul territorio e garantito un rientro di quanti esiliati. “Nel ricordare la necessità dell'etica nella gestione delle società umane” la dichiarazione esorta i leader religiosi a sottolineare che "il sostegno, il finanziamento e l'armare il terrorismo è moralmente da condannare”. La violenza non si vince con la violenza, ma con la pace, conclude il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso unendosi alla voce del Santo Padre.

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Arcivescovo Baghdad: fermare "bulldozer" che vuole cambiare Medio Oriente

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Nell’Iraq travolto dalle violenze dei jihadisti, si lavora alacremente per la formazione di un nuovo governo di unità nazionale, dopo la nomina ieri del premier Haider al Abadi. Continuano intanto i raid americani contro i miliziani dell’ISIS che, nelle ultime ore, avrebbero preso in ostaggio 600 donne della minoranza yazida. Il servizio di Alessandro Gisotti 

Il premier incaricato, lo sciita Haider al Abadi, ha ricevuto nelle ultime ore l’importante sostegno da parte dell’Iran che aveva appoggiato finora il premier uscente Al Maliki. Quest’ultimo aveva invocato l’intervento dell’esercito contro la nomina del suo avversario, appoggiata da Usa e Nazioni Unite. Gli sviluppi sul fronte politico avvengono mentre non si arresta l’avanzata dell’ISIS al Nord, nonostante i raid statunitensi contro le loro postazioni. Proseguono anche i lanci di viveri e aiuti umanitari, da parte di americani e britannici, a favore delle migliaia di yazidi assediati dagli islamisti nella zona del Monte Sinjar. Dal canto suo, il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha chiesto una riunione d’urgenza a livello europeo per far fronte all’emergenza umanitaria. Bruxelles ha inoltre stanziato 5 milioni di euro di aiuti agli iracheni sfuggiti alla ferocia dell’ISIS. Sulla drammatica situazione in Iraq, abbiamo raccolto la testimonianza di mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini:

R. – Le ultime notizie non sono molto differenti dalle prime. C’è innanzitutto questa situazione tragica di molti cristiani e non cristiani che hanno perso tutto. Quindi, ancora non tutti hanno trovato una sistemazione. Ora abbiamo un nuovo primo ministro e speriamo tutti che riesca a fare un governo che rappresenti tutti ma questo si accompagna anche a una certa paura, un certo timore. Speriamo che questa nomina apra una nuova via per una normalizzazione del Paese perché il panico è sempre presente.

D. - In questo momento ovviamente la prima urgenza è salvare vite umane di cristiani, yazidi…

R. - C’è anche un’altra categoria di cui si parla poco che sono i curdi sciiti: anche loro sono stati aggrediti, cacciati via. E’ un’altra piccola minoranza.

D. – Dopo tanta inazione dell’Occidente, della comunità internazionale adesso ci sono questi bombardamenti da parte degli americani, però la situazione è molto complicata nella zona?

R. – Noi siamo figli della Chiesa. C’è stato un Papa che ha detto: se fate la guerra contro l’umanità la fate anche contro Dio. Non lo cito testualmente ma è questo che ha detto Giovanni Paolo II, adesso Santo. Non nascondiamoci dietro il “politicamente corretto”. Il problema non viene da qui, viene anche dall’Occidente! Si fermi questo “bulldozer” che vuole cambiare tutto il Medio Oriente… un progetto come quello di Babele, della torre di Babele, finirà sempre con frantumi umani e frantumi di Paesi e di comunità… Non dobbiamo nasconderci: il problema viene da una certa politica internazionale. Apparentemente è un problema sciita-sunnita, poi cristiano-islamico: tutto questo non è vero!

D. – C’è anche tanta frustrazione da parte dei cristiani, di tutti gli iracheni, perché questa guerra non finisce mai…

R. - Non finisce mai. C’è molta gente onesta, molta gente che vuole vivere in pace. Per fare la guerra bastano un centinaio di teste “bruciate” che portano le armi ma la stragrande maggioranza della gente vuole vivere onestamente, degnamente.

D. - Come pastore di una comunità perseguitata che soffre da così tanto tempo quali sono le sue speranze, cosa si sente di dire?

R. – Che portiamo una croce, ma questa croce è quella di Cristo: Lui può cambiare la storia umana. La nostra storia è basata su un miracolo divino. Umanamente parlando siamo incapaci, impotenti. Solo da Dio può venire la salvezza.

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Caritas: ecco come sostenere gli aiuti in Iraq

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Da oltre dieci anni la Caritas è presente in Iraq a sostegno della popolazione, ma nelle ultime settimane le violenze si sono intensificate rendendo più difficili gli aiuti e costringendo migliaia di famiglie a fuggire dalle loro terre. Molti sono stati gli appelli internazionali per non dimenticare l’esodo dei profughi, ma molti vorrebbero contribuire in prima persona. Paolo Giacosa ha chiesto a Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana, quali sono i progetti in corso e quali le modalità per sostenerli: 

R. - Siamo sul territorio da più di 10 anni: riusciamo a lavorare in Iraq e nei Paesi confinanti senza grandi difficoltà - ad essere molto onesti - con la capacità anche di essere accettati da tutte le comunità locali. Penso sia al Sud dell’Iraq, alla zona di Bassora; a zone molto segnate dalla presenza sciita, per esempio la zona centrale; e la zona del Nord, quella a maggior presenza curda. Quindi è una presenza consolidata della Chiesa locale, della Caritas locale con cui noi collaboriamo. Quello che è cambiato nelle ultime settimane è che un po’ tutte le minoranze vengono  prese di mira: quindi da soggetto che aiuta e che si pone in atteggiamento di solidarietà, rischia di diventare oggetto di violenza e di sofferenza. Ecco perché molti sono in fuga, ecco perché centinaia di migliaia di persone - tra cui molti cristiani - si sono riversati già da alcune settimane in Turchia, in Siria, in Libano, con queste proporzioni da esodo biblico. Per cui gli aiuti ci sono: ci sono aiuti sia nella zona dell’Iraq centrale, come in tutto il resto del Paese; già prima di queste ultime settimane, erano più di 14 i centri di distribuzione di aiuti umanitari. Adesso le attività proseguono ad un livello più ridotto, ma proseguono. Si cerca in più di dare soccorso a queste persone che sono costrette alla fuga anche nei Paesi confinanti, che rischiano loro stessi di mettere a repentaglio la propria coesione sociale: anche lì si cerca di aiutare, ma con grande attenzione e certamente aiutando tutti, indipendentemente dall’appartenenza religiosa e cercando di abbinare all’aiuto materiale anche delle azioni per la riconciliazione.

D. - I progetti, quindi, riguardano aiuti sia sul territorio iracheno, sia per coloro che sono costretti ad emigrare?

R. - Sì, è già da settimane che Caritas Turchia e Caritas Libano hanno chiesto l’aiuto di tutte le Caritas del mondo per far fronte ad una nuova ondata di arrivi. Già prima erano sommerse di presenze, soprattutto dalla Siria, e nelle ultime settimane c’è stato questo esodo iracheno. Sono stati messi a punto dei progetti ad hoc per questi ultimi arrivi e si cerca di seguire queste persone nei limiti del possibile, perché tutto il transito delle persone dall’Iraq verso questi Paesi è a rischio di mille difficoltà, soprattutto per i bambini.

D. - Come si può concretamente sostenere il vostro operato?

R. - Sul nostro sito Caritas.it cerchiamo di fornire regolari informazioni sulle iniziative che stiamo conducendo a sostegno soprattutto delle Caritas di questi Paesi, con tutti i riferimenti bancari, postali e di carta di credito per contribuire a queste iniziative.

Di seguito trovate i riferimenti per sostenere gli interventi in corso:

Si possono inviare offerte alla Caritas Italiana (via Aurelia 796 – 00165 Roma) attraverso varie modalità, specificando nella causale “Iraq”:

- c/c postale n.347013

- UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119
- Banca Prossima, piazza della Libertà 13, Roma – Iban: IT 06 A 03359 01600 100000012474
- Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT91 P076 0103 2000 0000 0347 013
- Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma – Iban: IT 29 U 05018 03200 000000011113

 

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Il card. Parolin: Francesco in Corea guardando a tutta l'Asia

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Papa Francesco parte domani pomeriggio alle 16.00 dall’aeroporto di Fiumicino per il suo viaggio apostolico in Corea, il terzo internazionale del suo Pontificato. Uno dei momenti principali della visita, che si concluderà il 18 agosto, sarà l’incontro con i giovani, riuniti per la Giornata della gioventù asiatica. Quale sarà il messaggio del Papa? Ascoltiamo il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, intervistato da Alessandro Di Bussolo, del Centro Televisivo Vaticano: 

R. - Direi che l’importanza di questo viaggio è legata essenzialmente a tre fattori: il primo è il fatto che il Papa, per la prima volta, si reca nell’Estremo Oriente, una regione del mondo che acquista una rilevanza sempre più accentuata nella politica e nell’economia mondiale. Va il Papa per rivolgersi a tutto il continente, non soltanto alla Corea. Certo, il viaggio è per la Corea, però ha come destinatari tutti i paesi del continente, grazie proprio a questa celebrazione della giornata asiatica della gioventù, che si svolgerà in Corea e alla quale parteciperanno rappresentanze dei giovani dei paesi vicini. E poi, il terzo aspetto, è quello del futuro, la gioventù rappresenta il futuro, quindi il Papa si rivolge al futuro di questo continente, si rivolge al futuro dell’Asia.

D. - Cuore del viaggio sarà l’incontro di Papa Francesco con i giovani dell’Asia, che spesso, in una società molto competitiva, si allontanano dalla Chiesa per cercare il successo a scuola. Quale messaggio porterà loro il Papa?

R. - Il messaggio che io credo il Papa porterà a questi giovani è che devono diventare protagonisti della vita della Chiesa. Quindi una presenza attiva, una presenza partecipe, una presenza fatta di collaborazione e di corresponsabilità. La Chiesa ha bisogno dei giovani, ce lo ricordava san Giovanni Paolo II, ce lo ricorda Papa Francesco. Quindi un protagonismo all’ interno della Chiesa e un protagonismo anche nella missione. I giovani, e questa è la chiamata fondamentale, devono diventare, evangelizzatori dei loro coetanei, quindi siamo sempre sulla linea della evangelizzazione, ed è questo il messaggio che il Papa porterà, oltre naturalmente, all’insistenza sul non lasciarsi abbagliare dai valori effimeri delle nostre società e del nostro modo e di trovare in Gesù la vera risposta i loro interrogativi e alle loro inquietudini.

D. - Quale testimonianza possono dare alle giovani generazioni di cattolici asiatici i martiri coreani che Papa Francesco beatificherà a Seoul?

R. - Questo è un altro motivo per il quale il Papa va in Corea, per la beatificazione dei 124 martiri coreani. Credo che va sottolineato il fatto come all’interno di questo gruppo c’è soltanto un sacerdote, mentre gli altri sono laici, che esercitavano le più svariate e differenti professioni, dalle più umili alle professioni più in alto nella scala sociale, e questo ci riporta ad una delle caratteristiche della Chiesa coreana, e cioè il fatto che è una Chiesa nata dalla testimonianza e dall’impegno dei laici, che hanno saputo conservare e trasmettere la fede. Credo che questo è il messaggio fondamentale, e cioè che nella Chiesa tutti siamo chiamati a collaborare alla missione di annunciare il Vangelo e tutti siamo chiamati alla santità, una santità che si può manifestare in diverse forme ma che deve caratterizzare l’impegno di ciascuno.

D. - Papa Francesco incontrerà i superstiti e i parenti delle vittime del naufragio del Sewol. La pastorale della tenerezza e della vicinanza a chi soffre può lasciare il segno anche in Corea?

R. - Sì, certamente. Sappiamo che questo avvenimento drammatico, luttuoso, ha suscitato tanto dolore. Ha aperto tante ferite e suscitato tante polemiche nella società coreana. Il Papa vuole dimostrare appunto che il metodo per lenire questi dolori e per cercare di curare queste ferite, è proprio quello di stare vicino alle persone, questo è il segno chiaro, questa vicinanza, che è la vicinanza di Gesù a tutti coloro che soffrono, che dev’essere la vicinanza della Chiesa a tutti coloro che soffrono. Quindi va anche in questo senso proprio questo gesto di carità e di amore nei confronti dei familiari delle vittime di questa tragedia.

D. - Il Papa chiuderà il suo viaggio in Corea, che i vescovi definiscono “l’ultima vittima della guerra fredda” con una messa per la pace e la riconciliazione. Questo viaggio potrà aprire nuovi canali di dialogo tra i leader delle due Coree e dare speranza ai cattolici della Corea del Nord?

R. - Questa è sempre stata la grande speranza della Santa Sede che si è impegnata anche concretamente in questa direzione. E’ una constatazione più che ovvia che la penisola è ancora percorsa da molte tensioni e che la penisola ha bisogno di pace e di riconciliazione. Io credo che il viaggio del Papa aiuterà anche in questo senso, nel senso di continuare in questa opera di solidarietà, nei confronti delle popolazioni che si trovano nel bisogno, nella necessità, e di favorire, nella misura del possibile, aperture di spazi di comunicazione e di dialogo, perché io credo, ed è una convinzione che il Papa ha ribadito tante volte, che soltanto attraverso questa comunicazione e questo dialogo si possono anche risolvere i problemi che ancora esistono, e che se c’è buona volontà da parte di tutti canali se ne trovano sempre. 

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Viaggio in Corea. L'attesa di Francesco a Seoul

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A Seoul, Papa Francesco atterrerà domani alle 10.30 ora locale, quando in Italia sarà notte fonda, dpo circa 11 ore e mezzo di volo e quasi novemila chilometri percorsi. Una visita apostolica agli antipodi di Roma, che riporta dopo molti anni un Pontefice in Estremo Oriente. E grande è il clima di attesa che si respira nella capitale sudcoreana, come racconta il nsotro inviato, Davide Dionisi

Un frenetico via vai nei pressi della cattedrale di Myeong-dong a Seoul accoglie i fedeli coreani in questi giorni di vigilia della visita di Papa Francesco. Il rosa e il viola delle maglie dei volontari cattolici colorano l’area antistante le vie limitrofe che, con i manifesti che annunciano l’imminente arrivo del Pontefice, pullulano di pellegrini e di tanti curiosi. La metropoli asiatica attende così il Pontefice, tra i giovani e i loro gazebo in strada che invitano tutti al pellegrinaggio che loro stessi hanno organizzato dalla cattedrale al Santuario dei martiri di Seo So-Mun, per far conoscere i luoghi della memoria della Chiesa coreana. 260 in tutto i ragazzi della diocesi che fanno parte della macchina organizzativa. Quattromila invece saranno i loro coetanei coreani ai quali si uniranno altri duemila provenienti da tutta l’Asia. In strada fervono i preparativi. Le Forze dell’ordine ricevono le ultime indicazioni, mentre partecipano attivamente alle celebrazioni pubbliche in ricordo delle vittime di Sewol. Tutto è pronto, dunque, l’auspicio è che tutto vada per il meglio, recita la preghiera di un bambino, riportata insieme a quelle degli stranieri che vivono qui, su uno dei quattro maxi-pannelli colorati sistemati a ridosso della cattedrale: “Io voglio bene a Papa Francesco - scrive il piccolo - perché mette in pratica la Parola di Dio”. E come lui da queste parti la pensano in tanti.

Audace nel programmare il futuro, specialmente per il compito missionario, la Chiesa coreana pensa in grande e si prepara a diventare punto di partenza per la nuova evangelizzazione in Asia. In piena crescita, ricca di vocazioni e impegnata nel campo dell’educazione nel lavoro sociale e nella missione, guarda con fiducia al futuro, per vivere una nuova primavera cristiana che da queste parti è già cominciata. L’attesa, le speranze e gli auspici dei coreani, in vista dell’arrivo di Papa Francesco, nella testimonianza di Suor Giuliana Lee, presidente delle religiose coreane residenti in Italia, al microfono di Davide Dionisi: 

R. – L’intera popolazione coreana è colma di gioia da quando è stato annunciata questa notizia. Salgono l’attesa e le aspettative nei vari gruppi. Il programma di questa visita del Papa è intenso, è vastissimo, sia per gli aspetti storici ed ecclesiali, sia per le possibili ricadute sulla Chiesa coreana e sul tessuto sociale di tutta la popolazione coreana, con le sue aspettative per i credenti e con i suoi interrogativi sulle problematiche nazionali, che sono tanti.

D. – La visita del Papa è il punto di partenza per il nuovo annuncio del Vangelo in Asia?

R. - L’Asia è il più vasto e complesso continente da vari punti di vista. Le sue realtà demografiche, linguistiche, sociali, politiche, religiose, culturali, economiche sono estremamente diversificate e oltre a essere culla di tutte le grandi religioni del mondo, il mondo asiatico è anche luogo di molte altre tradizioni spirituali in cui si esprimono un innato impeto spirituale e una saggezza morale tipica dell’animo asiatico. La cristianità in Asia però resta ancora una piccola minoranza. Anche se l’Asia ha una minoranza di cattolici, la Corea rappresenta un’eccezione per l’esponenziale crescita delle comunità cristiane che si caratterizzano per un grande dinamismo in ambito pastorale e missionario.

D. - Parliamo del numero dei laici e del loro impegno a sostegno dei diversi servizi pastorali…

R. – Il ruolo dei laici in Corea dà una scossa alla Chiesa locale, che si ripercuote anche su quella universale. La maggior parte dei laici è molto istruita e cosciente della voce ecclesiale. Tanti sacerdoti, religiosi, religiose, insieme ai laici, fronteggiano l’ingiusto sistema economico.

D. - Nella penisola cresce l’istanza di riunificazione, per ora solo un progetto, che le popolazioni del nord e del sud ancora divise sentono fortemente. Qual è l’impegno della Chiesa?

R. - La Chiesa coreana da molti anni è impegnata per aiutare la Chiesa nascosta e in silenzio della Corea del Nord. Anche se non possiamo dare apertamente un grande impatto per l’evangelizzazione tra i nordcoreani, abbiamo anche tanti immigrati nordcoreani e il governo coreano si dedica molto al loro inserimento nel tessuto sociale in Sud Corea. Tante religiose in Corea, per esempio, fanno un digiuno ogni settimana per poter poi dare un aiuto concreto ai nordcoreani.

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“Más por Menos”. Francesco: vedere nei più poveri il volto di Cristo

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Papa Francesco saluta i partecipanti alla 45.ma edizione della colletta “Más por Menos”, che ogni anno coinvolge i cattolici argentini in una iniziativa di solidarietà verso le popolazioni più povere del Paese. L’evento di quest’anno ha come motto “Grazie per il tuo aiuto”.

In un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin - inviato a mons. Adolfo Armando Uriona, vescovo di Añatuya e presidente della Commissione episcopale di aiuto alle Regioni più bisognose - il Pontefice “incoraggia a vivere con gesti semplici e concreti, con distacco dai beni materiali e con generosità, l’invito di Gesù a essere sale della terra e luce del mondo attraverso la testimonianza della fede, dell’amore fraterno, della solidarietà e della condivisione con i più bisognosi, vedendo in loro il volto di Cristo”.

Il Papa – inoltre - chiede “di non smettere di pregare per lui e per il suo servizio alla Chiesa, e allo stesso tempo, affida alla intercessione materna di nostra Signora de Luján i frutti di questa benemerita iniziativa, così come a tutti coloro che vi partecipano”. 

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Il Papa nomina mons. Rossolatos nuovo arcivescovo di Atene

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Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'Arcidiocesi di Atene e all’ufficio di Amministratore Apostolico Sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis di Rhodos (Grecia), presentata da mons. Nikólaos Foscolos, per raggiunti limiti di età.

Gli succede mons. Sevastianos Rossolatos, del clero diocesano di Syros, finora cancelliere della Curia e rettore del Santuario “Faneromeni” nella medesima circoscrizione. Mons. Sevastianos Rossolatos è nato il 19 giugno 1944 à Ermoupolis, Syros. Compiuti gli studi elementari a Syros, ha frequentato il ginnasio ed il liceo ad Atene dai Fratelli Maristi. Dal 1962 al 1968 ha proseguito gli studi di filosofia e teologia come alunno del Collegio Greco in Roma. Ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia e in Teologia all’Università Gregoriana.

E’ stato ordinato sacerdote il 21 luglio 1968 a Ano Syros ed è stato incardinato nella diocesi di Syros. E’ rettore del Santuario “Faneromeni”; direttore della Rivista diocesana; membro di varie Commissioni della Conferenza Episcopale Greca, in particolare quella Liturgica; è cancelliere della Curia, membro del Tribunale Ecclesiastico, ed ha insegnato Religione nelle scuole pubbliche per molti anni. Collabora ai corsi diocesani in preparazione al matrimonio, seguendo le coppie di sposi con appropriate iniziative. Parla anche l’italiano e il francese.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Nel cuore del continente asiatico: il cardinale Pietro Parolin parla del viaggio di Papa Francesco in Corea.

La forza del contagio: intervista di Mario Ponzi al vescovo di Daejeon sul prossimo incontro del Pontefice con i giovani.

Lo speciale “donna chiesa mondo” dedicato al viaggio del Papa.

Unanime condanna di azioni criminali indicibili: il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso sulla violenza dei jihadisti in Iraq.

Rifugio della cristianità: Giuliano Zanchi sull’iconografia mariana contemporanea, con un testo del direttore dal titolo “La modernità di Maria”.

Lievito della vita: Manuel Nin sulla Dormizione di Maria nei testi delle tradizioni siriache.

Le trappole dell’ideologia: Maurizio Gronchi sul Vaticano II e l’ermeneutica della rottura.

La famiglia secondo miss Dickens: Lucetta Scaraffia sull’ultimo bestseller di Donna Tartt.

Un occhio attento sul mondo moderno: Gianpaolo Salvini ricorda il gesuita Giovanni Rulli, per 61 anni alla Civiltà Cattolica.

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Oggi in Primo Piano



Ebola, oltre mille morti. Missionari restano con i malati

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Ancora alta la tensione internazionale per la diffusione del virus Ebola dal continente africano. Oggi, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dato parere favorevole al ricorso di trattamenti non ancora omologati contro l'epidemia, mentre dalla Spagna arriva la notizia di un nuovo decesso di un religioso. Si tratta di Miguel Pajares missionario spagnolo dei Fatebenefratelli, rimpatriato giovedì dalla Liberia. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

'epidemia di Ebola ha superato la soglia dei 1000 morti secondo l'Organizzazione mondiale della sanità: esattamente sono 1.013 e 1.848 i casi censiti. Le ultime 52 vittime si registrano tra il 7 e il 9 agosto insieme ad altri 69 nuovi casi, in Guinea, Liberia, e Sierra Leone. Nessun nuovo contagio o decesso invece in Nigeria e né in Rwanda, dove c’era stata una segnalazione. Ma l’allerta è massima: il Giappone ha deciso il rimpatrio di 54 cooperanti attivi nell’ovest dell’Africa, area della febbre emorragica. Ma la notizia importante di oggi è la decisione del comitato etico dell’Oms di permettere - nelle particolari circostanze attuali e nel rispetto di precise condizioni - l’uso sui pazienti di farmaci ancora sperimentali, per i quali effetti ed efficacia sono sconosciuti. Si pensa al vaccino messo a punto in America che ha guarito due pazienti, ma non ha salvato Miguel Pajares il missionario spagnolo dei Fatebenefratelli rimpatriato giovedì dalla Liberia e morto oggi. Ed è in Liberia che sono destinate proprio le prime dosi del vaccino ed è lì che sono morti già 5 religiosi della famiglia ospedaliera di San Giovanni di Dio, di cui il priore, oggi, ha sottolineato la "dedizione totale ai malati". Primo consigliere dei Fbf in Ghana è padre John Oppong che al microfono di Antonella Palermo racconta proprio della situazione in Liberia:

"La situazione è molto grave. I malati sono stati lasciati soli. Tutti, anche all’ospedale di Liberia-Monrovia, sono andati via. Non c’è nessuno all’ospedale. II governo della Liberia ha creato un centro per i malati di Ebola e tutti i malati sono ora in questo centro. E’ la prima volta che ci troviamo di fronte a questa situazione dolorosa, molto dolorosa. Pregate per noi. Grazie mille!".

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Centrafrica: per la prima volta un premier musulmano

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La presidente della Repubblica Centrafricana Catherine, Samba Panza, ha affidato l'incarico di primo ministro a Mahamat Kamoun. Il neo premier è di religione musulmana ed è un tecnico specializzato nel settore finanziario. La nomina arriva dopo due settimane dall’accordo per il cassate-il-fuoco raggiunto a fine luglio tra le milizie anti-balaka e gli ex ribelli del Seleka, in gran parte musulmani, che si sono fronteggiati, per circa un anno, in un sanguinoso conflitto interetnico. Sulla situazione nel Paese africano e il processo di riconciliazione nazionale, Marco Guerra ha sentito il sacerdote centrafricano don Mathieu Bondobo: 

R. – Il Centrafrica da un po’ di tempo sta vivendo il momento più buio della sua storia dall’indipendenza ad oggi: c’è stato un colpo di Stato che si è trasformato in una crisi politica che poi, purtroppo, è scivolata su un piano anche interreligioso. Quindi, ultimamente, a Brazzaville è stato firmato un accordo che prevedeva un cessate-il-fuoco tra tutti i gruppi armati in guerra in Centrafrica. La nomina di questo nuovo primo ministro musulmano, per la prima volta nel Paese, è stato uno dei punti forti del dialogo a Brazzaville: è un segnale forte, perché è la prima volta che questo accade nella storia del Paese, e questo significa una volontà reale, forte da parte di tutti per arrivare ad una pace vera.

D. – Il cessate-il-fuoco tra le milizie anti-Balaka, in maggioranza composta da cristiani, e i ribelli musulmani Seleka sta reggendo?

R. – Questo cessate-il-fuoco, purtroppo, non ha raggiunto il livello più alto possibile, perché qualche giorno fa ci sono stati scontri nella parte Nord del Paese tra questi gruppi armati: ci sono ancora persone che stanno soffrendo. Però l’accordo, nel suo insieme, sta reggendo e il popolo del Centrafrica sta dicendo “basta” alla guerra, perché è una sofferenza mai vista prima.

D. – Quindi, è servita la presenza delle truppe francesi sul territorio?

R. – La presenza delle truppe francesi è servita molto perché il Paese, al momento attuale, non ha un esercito nazionale: l’esercito non esiste più. E quindi è grazie alle truppe francesi, ma anche alle grazie alle truppe inviate dall’Unione Africana che stanno proteggendo il Paese dal punto di vista della sicurezza. Quindi, la loro presenza per noi è una cosa molto positiva: senza la loro presenza non so dove saremmo arrivati …

D. – Quali sono le condizioni, oggi, in Centrafrica?

R. – La situazione umanitaria è sempre precaria, perché ci sono ancora persone che hanno paura e che non vogliono tornare nelle loro case. Però, ci sono anche persone che hanno perso tutto: casa e altri loro beni. E quindi, andare via, sì: ma dove? Ci sono aiuti che arrivano, nel Paese, però per arrivare ad una stabilità piena, la strada è ancora lunga …

D. – La guerra civile ha avuto anche dei risvolti interreligiosi: si sta superando questa divisione, nel Paese?

R. – Noi della Chiesa abbiamo sempre alzato la nostra voce per dire che questa crisi, questo conflitto non è interreligioso: non ha niente a che vedere con la religione. In Centrafrica cristiani, musulmani e le altre religioni, tutti siamo sempre riusciti a coabitare. Direi di più: c’è una piattaforma religiosa composta dall’arcivescovo di Bangui con l’imam, che rappresenta i musulmani, e il pastore che rappresenta le Chiese protestanti. Questa piattaforma è un segnale forte per far capire che noi siamo per la pace. L’arcivescovo di Bangui con l’imam si trovano in Rwanda per imparare anche dall’esempio rwandese – sappiamo che lì c’è stato un genocidio, nel ’94 – per imparare come hanno fatto ad uscire dalla loro crisi e portare questa esperienza anche in Centroafrica.

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70 anni dall'eccidio di Sant'Anna, in attesa delle indagini

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Sono 70 anni oggi dalla Strage di Sant’Anna di Stazzema, un massacro opera dei nazisti che il 12 agosto del 1944, in poco più di tre ore, trucidarono 560 civili, perlopiù donne, vecchi e bambini. Un eccidio pianificato con l’obiettivo di rompere ogni collegamento fra le popolazioni e le formazioni partigiane presenti nella zona e che a oggi non ha ancora visto la condanna dei colpevoli. Ora, però, si è riaperta la possibilità di un’incriminazione a carico di uno degli autori. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Lo sguardo da Sant’Anna si rivolge alla Germania, perché dopo 70 anni finalmente si possa arrivare alla verità dietro a una strage che, come ricorda il presidente Giorgio Napolitano nel suo messaggio, “ha inorridito il mondo”. Con la riapertura a  Karlsruhe di una delle pagine più buie della storia italiana, non saranno solo quei 560 morti, donne, bambini, anziani, ad avere giustizia ma soprattutto la storia. Oggi, i sopravvissuti raccontano che il popolo tedesco l’hanno perdonato, ma ciò che accadde allora, l’indiscriminato sterminio, lo rivedono in quello che accade in altre parti del mondo Ed ecco che tornano i ricordi di chi quel 12 agosto del 1944 rimase completamente solo al mondo, dopo aver visto trucidare genitori, fratelli, zii, nonni a scariche di mitra o con bombe a mano. Corpi sui quali non fu neanche possibile piangere, perché dati alle fiamme subito dopo.

Chi allora uscì vivo dal massacro, oggi riesce ancora ad essere narratore di quei fatti, affinché i giovani, gli studenti, non dimentichino mai che ideologie come quelle fascista e nazista sono state capaci di ammassare cadaveri. Il 2014 segna una svolta, con l’annullamento da parte della Corte federale di Karlsruhe della decisione della procura di Stoccarda di non riaprire le indagini. Delle 10 ex SS condannate in Italia, ma non in Germania, oggi l’incriminazione potrebbe arrivare per uno solo, l’ex ufficiale Gerhard Sommer, all’epoca comandante di una compagnia responsabile della strage, due suoi colleghi non sono stati ritenuti in grado di affrontare il processo, gli altri sono tutti morti. Nel 2005, a La Spezia erano stati condannati all’ergastolo perché, come fu stabilito, si trattò di un atto terroristico premeditato e pianificato in ogni minimo dettaglio, perché la strage di Sant’Anna non fu rappresaglia.

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Morto Robin Williams. Don Maffeis: sorriso che faceva pensare

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Ha gettato nello sgomento il mondo del cinema e dei suoi appassionati la notizia, arrivata nella notte dalla California, della morte all’età di 63 anni di Robin Williams. Il popolare attore è stato trovato senza vita per una probabile “asfissia” nel suo appartamento a Tiburon, dove viveva con la moglie Susan. Dai primi rilievi, la polizia non esclude l’ipotesi del suicidio per un artista che soffriva di una grave forma di depressione. Da tre decenni, Robin Williams aveva conquistato il pubblico soprattutto per la sua cifra comica e brillante esibita in molti film di successo. Lo ricorda così il presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, don Ivan Maffeis, intervistato da Alessandro De Carolis

R. – Questo attore sicuramente con la sua formazione teatrale, con la popolarità che lo ha raggiunto fin dall’inizio con la televisione e con i film che lo hanno visto protagonista di ruoli brillanti in pellicole che sono arrivate nel nostro Paese e che sono state di notevole successo, è stato un artista amato. Penso a “Good Morning Vietnam”, quello che di fatto lo ha reso famoso, e forse ancora di più, pensando anche a tanti adulti di oggi, il film “L’attimo fuggente” o “La leggenda del Re Pescatore”…

D. – Lei citava “L’attimo fuggente”, che è il film che in qualche modo rivela al grande pubblico un Robin Williams non solo grande attore brillante e comico, ma anche capace di un registro di sensibilità…

R. – Questo film, almeno a livello personale, è quello che parla più direttamente: proprio in un tempo in cui anche come adulti spesso facciamo fatica a portare la responsabilità di essere tali, la figura di questo insegnante che sa fare la fatica di avvicinarsi ai ragazzi, impegnandosi e anche impegnandoli ad assaporare ogni attimo della vita, credo che questo sia quello che oggi rimane più impresso. Parlavo questa mattina con qualche adulto, che adesso ha anche una certa età, ma che lo ha visto e che ammette: “Mi ha fatto sorridere, ma mi ha fatto anche riflettere…”.

D. – Come tutti gli attori abituati a interpretare tanti ruoli, anche la personalità artistica di Robin Williams è piuttosto complessa, perché dopo tanti film comici soprattutto all’inizio degli anni Duemila si cimenta in tutta una serie di ruoli, diciamo così, più “oscuri”. Che cosa rappresentano nella sua filmografia queste prove?

R. – Potremmo distinguere una serie di film che lo hanno visto candidato all’Oscar e raggiungere l’Oscar nel ’97 con “Genio ribelle”. E poi potremmo dire che c’è una seconda parte di film che ottengono comunque un consenso di critica e anche del grande pubblico, penso a “Patch Adams”… Per essere onesti, forse gli ultimi film in cui si cimenta lo vedono anche in ruoli che non ottengono questo successo, che non hanno questo riscontro anche proprio per la qualità stessa dell’opera…

D. - Un attore ha tante vite quante sono quelle dei suoi personaggi. Invece, che cosa ricordiamo del Robin Williams uomo, quello che vive a riflettori spenti?

R. – Leggevo proprio in queste ore il messaggio della moglie, che invitava a non fermarsi semplicemente su questo momento drammatico, ma a saper recuperare e valorizzare quei tanti momenti di gioia che questo uomo, questo attore, ha saputo dare a milioni di persone. Penso a un genio non semplicemente comico, ma proprio al suo sforzo, anche attraverso quell’umorismo, di raggiungerti direttamente e di lasciarti comunque un interrogativo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi albanesi: 17 agosto giornata di preghiera per gli iracheni

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I vescovi albanesi hanno indetto per domenica 17 agosto una giornata di preghiera per gli iracheni, cristiani e non, vittime della violenza efferata dei miliziani dell’ISIS. In una lettera indirizzata alle parrocchie dell’Albania, i presuli chiedono di innalzare la preghiera “per far tornare la pace, per il rispetto dei diritti umani e per la convivenza tra uomini di diverse religioni, in modo che nessuno sia cacciato dalla sua casa e sia perseguitato a causa della fede” in Iraq come in ogni altro Paese. Dal canto suo, il Consiglio Interreligioso dell’Albania e i suoi membri (la Comunità Musulmana dell’Albania, la Chiesa Ortodossa Autocefala dell’Albania, la Chiesa Cattolica dell’Albania e la Comunità Mondiale dei Bektashi (la sede centrale della quale si trova proprio in Albania, ndr) appoggiati dalla Confraternita Evangelica dell’Albania), hanno pubblicato una dichiarazione comune per condannare con forza gli “atti criminali” perpetrati dai “terroristi dell’ISIS in Iraq”. Il Consiglio interreligioso esprime solidarietà con quelli che soffrono in Iraq e in Medio Oriente, assicurando la propria preghiera e vicinanza spirituale. (A.G.)

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Venezuela, concluso il V Congresso Missionario Nazionale

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Si è concluso a Barinas, in Venezuela, il V Congresso Missionario Nazionale Giovanile (CONAJUMI). Più di mille giovani venezuelani hanno partecipato a questo evento organizzato dalle Pontificie Opere Missionarie. Il Congresso ha voluto celebrare i diversi eventi ecclesiali che per 30 anni hanno contribuito alla crescita dello spirito missionario nei movimenti giovanile del Venezuela: il Concilio Plenario, La Missione Continentale, l’Anno della Fede e il CAM 4. Sotto lo slogan dell'incontro: "Giovane missionario, incoraggia la nostra Chiesa ad uscire”, il Congresso ha lavorato dal 6 al 10 agosto, e ha offerto a tutta la comunità ecclesiale del Venezuela un invito a vivere una Chiesa “in uscita”, come lo stesso Papa Francesco ha chiesto. La conclusione, come segnala la nota inviata a Fides, appare a tutti come un compito: affascinare i giovani ascoltando la loro realtà, riflettendo con essi ed impegnarsi insieme in una cooperazione missionaria per fare crescere la chiesa in Venezuela.

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Bangladesh: i missionari cattolici aprono un nuovo college per giovani tribali

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Fornire un'educazione completa ai giovani tribali e ai più bisognosi, che permetta agli studenti di imparare non solo come guadagnare dei soldi, ma come condursi nella vita. È la filosofia che guida il Notre Dame College, istituto dei missionari della Holy Cross in Bangladesh. Il 7 agosto scorso i sacerdoti hanno inaugurato una nuova sede nella diocesi di Mymensingh, che si aggiunge alle altre quattro già aperte dall'ordine religioso. Lo riferisce AsiaNews.

L'istituto conta 750 studenti, 18 insegnanti e nove impiegati. Padre Bakul S. Rozario è il preside del college. Per diversi anni è stato vicepreside del Notre Dame College di Dhaka. "Vogliamo offrire ai nostri alunni - afferma il sacerdote - la migliore educazione possibile, istruendoli anche sull'importanza della moralità e della puntualità". I primi corsi riguarderanno le arti, le scienze e l'economia.

La decisione di aprire un nuovo istituto, spiega, "è nata nel 2008, quando il vescovo di Mymensingh ci ha chiesto di occuparci dell'istruzione dei giovani locali". Secondo mons. Ponen Paul Kubi gli studenti del Notre Dame College Mymensingh saranno "delle persone diverse. Impareranno non solo a ricevere, ma a dare". In Bangladesh i missionari della Holy Cross sono noti e apprezzati per il loro apostolato educativo. Il primo Notre Dame College è stato fondato a Dhaka nel 1949 e oggi è considerato uno dei migliori del Paese.

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Laos. Human Right Watch chiede attenzione su tutela diritti umani

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Il Laos, nel mese di ottobre, sarà sottoposto alla seconda Revisione periodica universale (Upr) presso il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra. In preparazione a questo appuntamento, oggi – informa l’agenzia Misna – l’organizzazione Human Rights Watch (Hrw), con sede a New York, ha sollevato questioni relative alla situazione dei diritti umani nel Paese, che meritano una particolare attenzione internazionale. Tra i problemi documentati restano le gravi restrizioni alle libertà fondamentali, l’assenza di diritti del lavoro e la detenzione, senza accusa e per periodi di anni, di soggetti sospettati di droga in centri “abusivi” di recupero.

A suscitare allarme particolare è la scomparsa forzata dell’attivista Sombath Somphone. “Sombath – ha detto Phil Robertson, vicedirettore Hrw per il settore Asia – è scomparso dopo essere stato fermato a un posto di blocco della polizia, nella capitale Vientiane, il 15 dicembre 2012. E’ stato visto in un video sotto sorveglianza della polizia mentre veniva trasferito in un’automobile e da allora non se ne sa più nulla. Le autorità del Laos finora non hanno dato nessuna spiegazione”.

I funzionari di Vientiane sostengono che stanno studiando il caso e hanno negato un proprio coinvolgimento, suggerendo che l’attivista possa essere stato rapito da “elementi criminali”. Nel 2005, Sombath era stato insignito del Ramon Magsaysay Award, l’equivalente asiatico del premio Nobel, per il suo lavoro nel campo dell’istruzione e dello sviluppo. Human Rights Watch ha anche denunciato la scomparsa dell’ambientalista Sompawn Khantisouk, irreperibile da quando, nel gennaio 2007, gli era stato ordinato di presentarsi a una stazione di polizia.

Il mese scorso, nel corso di un incontro bilaterale in Belgio, l’Unione Europea ha sollevato preoccupazioni circa le restrizioni sui media, le registrazioni delle organizzazioni non governative e altre questioni relative ai diritti umani, sottolineando la necessità in Laos di una società civile più libera e vivace.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 224

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.