Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 13/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa a Ban Ki-moon: fare tutto il possibile per fermare violenze in Iraq

◊  

Quanto sta avvenendo lungo il nord l’Iraq, con le violenze anticristiane e contro altre minoranze religiose, è una “sofferenza intollerabile” che non può non indurre le coscienze di tutti a proteggere e sostenere chi è vittima di queste violenze. È il senso dell’accorato messaggio che Papa Francesco ha inviato al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, chiedendo che le Nazioni Unite facciano ogni sforzo per garantire pace e diritti umanitari. Il servizio di Alessandro De Carolis

La galleria degli orrori che arriva dal nord dell’Iraq corre ogni giorno sul web, con i social network che grondano letteralmente sangue e dove si condivide, con pena oppure con odio, ogni sorta di ferocia fermata dall’obiettivo di una macchina fotografica. Di fronte tutto questo, il cuore di Francesco è “carico e angosciato”: scrive proprio così il Papa a Ban Ki-moon, dicendosi “commosso” dalla situazione dei cristiani e delle altre minoranze religiose “costretti a fuggire dalle loro case e assistere alla distruzione dei loro luoghi di culto e del patrimonio religioso”.

Nel sottolineare la sua decisione di inviare in Iraq, come suo rappresentante personale, il cardinale Fernando Filoni, per portare sollievo alla “sofferenza intollerabile” di coloro che, afferma, “desiderano solo vivere in pace, armonia e libertà nella terra dei loro antenati”, Papa Francesco si rivolge al segretario generale dell’Onu mettendo “davanti a lei – scrive – le lacrime, le sofferenze e le grida accorate di disperazione dei Cristiani e di altre minoranze religiose dell’amata terra dell'Iraq”.

L’appello, rivolto a una voce con i “Patriarchi Orientali” e gli “altri leader religiosi”, e indirizzato di nuovo alla comunità internazionale è – chiede il Papa – per un intervento che ponga “fine alla tragedia umanitaria in corso”. E in particolare alle Nazioni Unite perché garantiscano “la sicurezza, la pace, il diritto umanitario e l'assistenza ai rifugiati”, in conformità, precisa il Papa, “con il Preambolo e gli Articoli pertinenti della Carta delle Nazioni Unite”.

Del resto, osserva, “gli attacchi violenti che stanno dilagando lungo il nord dell'Iraq non possono non risvegliare le coscienze di tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad azioni concrete di solidarietà, per proteggere quanti sono colpiti o minacciati dalla violenza e per assicurare l'assistenza necessaria e urgente alle tante persone sfollate, come anche il loro ritorno sicuro alle loro città e alle loro case”.

In gioco, come insegnano “le tragiche esperienze del ventesimo secolo, c’è “la più elementare comprensione della dignità umana”, e ciò – asserisce Papa Francesco – “costringe la comunità internazionale, in particolare attraverso le norme ed i meccanismi del diritto internazionale, a fare tutto ciò che le è possibile per fermare e prevenire ulteriori violenze sistematiche contro le minoranze etniche e religiose”.

inizio pagina

Mons. Tomasi: Iraq non sia nuovo Rwanda, agire con decisione

◊  

Per un commento sulla lettera del Papa a Ban Ki-moon, ascoltiamo mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra. L’intervista è di Sergio Centofanti

R. – Il Papa in maniera molto esplicita richiede, primo, l’assistenza umanitaria immediata e, secondo, di fare tutto ciò che è possibile per fermare e prevenire ulteriori violenze. Mi ha colpito l’espressione che dice che la situazione è così tragica che “costringe” la comunità internazionale ad agire. Infatti, se guardiamo alla Carta delle Nazioni Unite, vediamo, con molta chiarezza, che l’articolo 42 dice che la Comunità internazionale ha la responsabilità di proteggere – anche con la forza - quello che non può essere fatto dallo Stato locale, dalle autorità locali, che per varie ragioni siano impedite ad agire o non abbiano le possibilità di farlo, dopo che si sono tentate tutte le vie del diritto, del dialogo, del negoziato, per evitare mali come quelli che si vedono nel nord dell’Iraq, in questi giorni. Ma è chiaro che "con la forza" è l'ultima soluzione, è l'ultimo passo. In questo momento c’è un tentativo, c’è un’azione specifica di aiuto, almeno in parte, secondo questa richiesta e questo meccanismo previsto dalle Nazioni Unite. Vediamo come si svilupperà la situazione. Direi che sia importante sottolineare che non si tratta di una difesa di cristiani e altre minoranze religiose, semplicemente in un’azione di appoggio diretto ai cristiani: qui ci troviamo di fronte a esseri umani i cui diritti fondamentali sono calpestati e per le quali le autorità locali non possono intervenire. Quindi, il dovere della comunità internazionale è di proteggerli. Il problema non è, in parole semplici, un problema di Chiesa, è un problema dell’umanità, della famiglia umana. Secondo, bisogna trovare la maniera di limitare, di cercare di bloccare il fatto che armi, aiuti finanziari e politici continuino ad arrivare nelle mani dei rappresentanti di questo Stato fantomatico del Califfato, che finora è solo una scusa per creare violenza e ammazzare coloro che sono in disaccordo con i leader di questa nuova entità.

D. – Il Patriarca caldeo Sako denuncia un rischio di genocidio e definisce ancora insufficienti gli interventi della comunità internazionale…

R. – A me vengono in mente le discussioni che si facevano mentre la violenza tra Hutu e Tutsi in Rwanda, anni fa, creava una situazione simile a quella che stiamo vivendo oggi nel nord dell’Iraq. Venivano ammazzate persone, venivano costrette a scappare e la comunità internazionale discuteva, senza prendere nessuna misura concreta o misure adeguate. E per tutti questi anni che sono seguiti ci siamo riuniti ogni anno per commemorare questo genocidio, facendo il mea culpa, per non avere agito con decisione.

inizio pagina

Card. Tauran: leader musulmani pratichino solidarietà o si va verso abisso

◊  

Dopo la pubblicazione del messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso sul dovere, in particolare dei leader musulmani, di condannare le atrocità perpetrate dai jihadisti in Iraq, varie autorità islamiche, tra cui il Grand Mufti dell’Egitto, hanno risposto positivamente all’appello. Sul messaggio ascoltiamo il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero che lo ha diffuso, al microfono di Jean-Baptiste Cocagne: 

“Di fronte a tanta barbarie, a tutti i fatti che abbiamo visto sui giornali e in televisione, non possiamo dire che non sapevamo. Quindi, non si può tacere. Questo messaggio ha come scopo di risvegliare l’opinione pubblica ma anche i leader religiosi, soprattutto i leader musulmani che hanno il dovere di praticare la compassione, la comprensione e la solidarietà, altrimenti andremo verso l’abisso. È vero che, in mezzo a questo quadro così cupo, ci sono anche bellissimi episodi di solidarietà: famiglie musulmane che hanno accolto i rifugiati cristiani trattandoli come membri della famiglia. Queste sono belle cose. Ma dobbiamo stare molto attenti a non abituarci a queste situazioni che sono indegne per l’uomo”.

inizio pagina

Papa, tweet: grazie a chi aiuta con coraggio nostri fratelli in Iraq

◊  

Dopo averlo fatto domenica scorsa all’Angelus, Papa Francesco ha nuovamente espresso gratitudine con un tweet agli operatori umanitari in Iraq. Questo il testo del messaggio lanciato dal suo account @Pontifex: “Ringrazio quanti stanno coraggiosamente aiutando le nostre sorelle e i nostri fratelli in Iraq”.

inizio pagina

Card. Filoni verso Kurdistan iracheno. Cor Unum: aiuti a 4 mila famiglie

◊  

Il cardinale Fernando Filoni, inviato personalmente da Papa Francesco a portare la sua vicinanza e la solidarietà concreta alle vittime delle violenze in Iraq, è giunto nel pomeriggio di ieri ad Amman, in Giordania. Il programma di oggi prevede lo spostamento in direzione di Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove si troverà anche il patriarca caldeo, Louis R. Sako.

Com’è noto il cardinale Filoni porta con sé una somma consegnatagli dal Papa per far fronte all’emergenza umanitaria dei molti sfollati. Ma già da tempo l’area dell’Iraq interessata dal conflitto e dalla presenza di profughi è al centro di un’intensa azione caritativa da parte della Chiesa. In un comunicato, il Pontificio Consiglio “Cor Unum” precisa che dal mese di giugno “sono in atto programmi di assistenza umanitaria per i profughi”, avviati in particolare tramite Caritas Iraq, che hanno raggiunto quattromila famiglie. A ciò si aggiungono le iniziative di aiuto altri organismi nazionali “della famiglia Caritas, sotto il coordinamento di Caritas Internationalis”, e quelli di enti internazionali cattolici.

Papa Francesco, si legge ancora nella nota, “ha contribuito tramite Cor Unum a questa attività di soccorso con una prima donazione, mentre il Presidente del Dicastero è in contatto diretto con il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Sua Beatitudine Louis Raphael I Sako, oltre che per esprimere la sua vicinanza spirituale, per conoscere i bisogni più immediati da affrontare”. Attualmente, conclude il comunicato, “l’azione umanitaria svolta dagli organismi cattolici si sta concentrando in particolare su tre aree: il soccorso di urgenza con derrate alimentari e kit sanitari; l’educazione ai ragazzi; il sostegno psicologico. Sono in corso studi e visite sul posto al fine di predisporre un piano organico di assistenza da parte della Chiesa cattolica nel prossimo futuro, in stretto concerto con il Patriarcato di Babilonia dei Caldei e con la Caritas locale”. (A cura di Alessandro De Carolis)

inizio pagina

Tweet del Papa: unitevi a me in preghiera per la Corea e l’Asia tutta

◊  

Il Papa ha lanciato stamani un tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Nel giorno della mia partenza, vi invito ad unirvi a me in preghiera per la Corea e l’Asia tutta”.

inizio pagina

Francesco a Santa Maria Maggiore per invocare la protezione della Vergine

◊  

Questa mattina, alle 11.00, Papa Francesco – a poche ore dalla partenza per la Corea - si è recato in forma privata, senza seguito, alla Basilica di Santa Maria Maggiore, dove ha sostato per una ventina di minuti in preghiera silenziosa davanti all’immagine della Vergine “Salus Populi Romani” e le ha presentato un semplice omaggio floreale. E’ la decima volta che Papa Francesco si reca a pregare a Santa Maria Maggiore per invocare la protezione della Vergine.

inizio pagina

Viaggio in Corea: il Papa partito per Seoul

◊  

Papa Francesco è partito nel pomeriggio dall’aeroporto di Fiumicino alla volta della Corea per il terzo viaggio internazionale del suo Pontificato. A salutarlo, il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi. L’arrivo a Seoul è previsto per le 10.30 del 14 agosto, in Italia saranno le 3.30 del mattino. Nella prima giornata, il Papa incontrerà il presidente della Corea, la signora Park Geun-hye, le autorità istituzionali e una rappresentanza del corpo diplomatico. Nel pomeriggio, ora locale, ci sarà l’incontro con i vescovi coreani. Sull’attesa che si vive a Seoul, il servizio del nostro inviato Davide Dionisi

Colorato, festoso e commosso. Il volto di Seoul appare così alla vigilia di un grande evento atteso per 25 anni. La metropoli asiatica è un viavai di colori, visi e voci che manifestano un entusiasmo non comune in questa parte di mondo abituata a misurarsi con il progresso e con la competizione sfrenata nel campo delle nuove tecnologie. Papa Francesco, a poche ore dal suo arrivo, ha già lasciato il segno. Un segno nuovo, forte, diverso. Da qui, infatti, il Pontefice intende ripartire per riproporre l’urgente priorità del primo annuncio. Sa bene quanto sia importante la sfida che il Continente Asiatico pone al Vangelo. Tutto è rilevante in Asia: il numero di abitanti, l’altezza delle montagne, l’estensione dei deserti, ma anche l’incidenza delle religioni nella vita dei singoli e della società.

In questo contesto la Chiesa è cresciuta dimostrando che, avendo ricevuto un grande valore spirituale dai laici che per primi hanno portato il Vangelo, la prosperità materiale può andare di pari passo con la crescita spirituale. E così ha sostenuto i giovani nel loro cammino di fede e preghiera, promosso programmi per aiutarli a diventare portatori di speranza nelle proprie famiglie, semplificato gli insegnamenti sociali della Chiesa per renderli più accessibili alle nuove generazioni.

Papa Francesco sostiene questo sforzo e per questo ha scelto di partecipare alla Giornata della gioventù asiatica, la loro festa, e ricordare che le virtù spirituali di fiducia reciproca e di riconciliazione, di generosità disinteressata e d’amore fraterno sono parte del retaggio e della vocazione coreana. Myŏng-dong, nel centro di Seoul, e Daejeon oggi sono i simboli di questa vocazione. Nel piazzale della Cattedrale tutto parla del Papa, della sua visita, della sua passione per i giovani e, non ultimo, della sua simpatia. Una t-shirt in vendita nel negozio di souvenir nel piazzale della Cattedrale lo raffigura mentre strizza l’occhio, ha il pollice retto ed è indicato come “Soul Food”, gioco di parole per indicare la capitale asiatica e l’anima. Benvenuto Pope Hope, Papa della Speranza.

inizio pagina

L'arcivescovo di Daejeon: ai coreani piace cuore grande del Papa

◊  

Il primo bagno di folla con la gente coreana Papa Francesco lo avrà nel giorno dell’Assunta, quando celebrerà la Messa nello stadio di Daejeon. Al microfono del nostro inviato, Davide Dionisi, il vescovo della città, mons. Lazzaro You Heung-sik, racconta la preparazione svolta in attesa del Papa: 

R. – Abbiamo cercato di prepararci bene, facendo tutti la nostra parte, cioè pregare. Le cose vanno iniziate sempre con la preghiera. L’importante è collaborare insieme, non sa soli, e creare un clima di comunione reciproca.

D. – Perché, secondo lei, Papa Francesco piace tanto ai coreani e in generale agli asiatici?

R. – Perché il suo cuore è grande. Quando sono stato in udienza dal Santo Padre, ho visto come lui abbia vissuto una bellissima esperienza con i coreani in Argentina: con i sacerdoti, con le suore. A lui piaceva molto l’evangelizzazione della Corea, l’entrata del cristianesimo attraverso un laico. In tanti hanno dato la vita come martiri e lui ha sempre visto in questo un grande miracolo. Adesso, questa testimonianza dei martiri coreani viene vista da lui come un buon esempio per i giovani asiatici e per i cristiani in genere.

D. – Papa Francesco ha scelto la Corea come primo ponte per la nuova evangelizzazione verso l’Asia. Sentite questa responsabilità come coreani?

R. – Io sì e penso che tanti coreani lo stiano capendo. L’anno scorso ho detto al Santo Padre e al cardinale Filoni come 30 anni fa, celebrando il bicentenario della Chiesa cattolica in Corea, la Chiesa abbia un poco capito se stessa. Fino a quel momento, infatti, la Chiesa era sempre stata perseguitata. Dopo cinque anni, durante il Congresso eucaristico internazionale, siamo diventati, come recitava lo slogan, “pane per gli altri”. Abbiamo quindi iniziato ad andare verso gli altri con le opere sociali e così via. Adesso, dopo 25 anni, nel 2014, il Santo Padre viene in Corea e, secondo me, la Corea aspetta ora di mandare tanti missionari in Asia e nel mondo. Questo per me è molto importante: uscire da se stessi e andare per il mondo. Il Papa parlerà a noi con la voce dello Spirito Santo. E’ importante da parte nostra, e anche da parte mia, avere il cuore aperto e che qualunque parola il Papa dirà, quella parola e quel messaggio continui ad andare avanti in futuro.

 

Intanto, i ragazzi asiatici stanno ultimando i preparativi per celebrare la loro sesta Giornata della gioventù con Papa Francesco, che li incontrerà una prima volta il 15 agosto, al Santuario di Solmoe di Daejeon, e poi il 17 agosto per la Messa al Castello di Haemi di Seoul. L’atmosfera che si respira è quella della grandi occasioni, come racconta Thomas Hong-Soon Han, già ambasciatore della Repubblica di Corea presso la Santa Sede, intervistato da Davide Dionisi: 

R. – Siamo in un’atmosfera di grande attesa. Siamo consapevoli che la visita di Papa Francesco non deve rimanere come un avvenimento semplice: speriamo, ci auguriamo tanto e siamo molto determinati a trarre grande vantaggio da questa visita, maturandoci nella fede. Quindi, noi stiamo innanzitutto pregando, offrendo una preghiera speciale fatta proprio per questa occasione. Siamo ben consapevoli che dobbiamo imparare bene dall’insegnamento di Papa Francesco, cioè dall’esortazione “Evangeli Gaudium””: ogni parrocchia sta studiando questo documento e il suo insegnamento. Faremo del nostro meglio per mettere in pratica quello che noi impariamo da Papa Francesco.

D. – Che opinione hanno i coreani di Papa Francesco?

R. – Tutti lo ammirano, hanno grande stima di lui. Penso che non solo i coreani ma tutto il popolo mondiale vede in Papa Francesco la speranza: che il mondo si possa cambiare praticando l’insegnamento del Santo Padre e ce lo dimostra non soltanto con le parole ma anche attraverso le sue azioni. Papa Francesco è un uomo di speranza, che mette in pratica l’amore verso i poveri, verso le persone emarginate. È quindi un uomo di carità, di riconciliazione ed un uomo di pace, apostolo di pace. Questa stima non è solo dei cattolici ma di tutto il popolo.

D. – La Chiesa coreana sente una responsabilità importante, considerando che Papa Francesco ha scelto la Corea proprio per far partire la nuova evangelizzazione in tutta l’Asia…

R. – Ci sentiamo responsabili per l’evangelizzazione di tutta l’Asia, anzi è proprio quello che noi volevamo. Quindi, questa visita noi la consideriamo come un privilegio che ci dà, ci offre il Santo Padre. Anzi, un privilegio che ci offre il Signore attraverso Papa Francesco. Però, noi sappiamo bene che dobbiamo ricompensare questa grazia facendoci protagonisti dell’evangelizzazione di tutta l’Asia, nonché della Corea e anche della Corea del Nord. Abbiamo invitato i nostri fratelli del Nord a partecipare a questo avvenimento. Della visita del Santo Padre finora non sappiamo nulla, ma qua succede sempre in questa maniera e noi, con santa pazienza, aspetteremo fino all’ultimo momento. Non solo i fedeli cattolici ma tutto il popolo della Corea è grato per la decisione del Santo Padre di celebrare la Beatificazione di 124 martiri sul posto del loro martirio, cioè in Corea. Anche con i preparativi per la visita del Santo Padre siamo pronti: siamo pronti a rinnovare lo spirito di questi martiri nella nostra vita quotidiana. Penso che anche questa Beatificazione sarà un momento favorevole all’evangelizzazione di tutta l’Asia, perché avrà un impatto anche sui giovani che si raduneranno per la Giornata asiatica della gioventù.

inizio pagina

P. Rossi De Gasperis: lo Spirito "motore" del cristianesimo in Asia

◊  

La visita in Corea che inizierà domani a Seoul sarà anche preludio di un non lontano ritorno in Asia di Papa Francesco, che si recherà nel prossimo gennaio anche in Sri Lanka e nelle Filippine. Si tratta di tre Paesi piuttosto differenti fra loro e in cui le comunità cristiane hanno avuto percorsi di nascita diversi. Tuttavia, la storia del cristianesimo in queste periferie asiatiche presenta dei tratti comuni, come la radicalità della fede e la profondità spirituale. Lo sottolinea padre Francesco Rossi De Gasperis, biblista e già missionario in Giappone, intervistato da Stefano Leszczynski

R. – La Chiesa in Corea è nata verso la fine del XVIII secolo da laici, che erano interessati alla vita spirituale, interessati alla verità: quindi una Chiesa che è nata così, senza missionari. Soltanto più tardi, Papa Gregorio XVI è stato raggiunto dalla richiesta di questi coreani che chiedevano qualche missionario. E poi, pian piano, è rinata la Chiesa che oggi è molto fiorente.

D. – Cosa insegna alla Chiesa di oggi il fatto che il cristianesimo in Corea si sia diffuso senza che vi fosse una struttura istituzionale a promuovere questa evangelizzazione?

R. – E’ lo Spirito che ha portato questa curiosità di conoscere qualche cosa che sta al di là della nostre cognizioni e che forse è un messaggio di verità, in cui appunto l’azione dello Spirito ha fatto riconoscere a questa comunità la verità che cercavano. Che cosa insegna? Oggi è vero – e mi pare che questo sia il problema principale del cattolicesimo italiano – che noi siamo “soffocati” dai Sacramenti: non facciamo che amministrare Sacramenti, senza che la gente sappia esattamente che cosa siano. Infatti uno dei problemi che si sta studiando, anche adesso per il Sinodo sulla famiglia, è che cosa vuol dire “Matrimonio Sacramento”? Perché in Corea senza Sacramenti, senza Battesimo si è istaurata una comunità cristiana, partendo dalla fede.

D. – Come si fa, a questo punto, a immaginare, ad esempio in Occidente, un percorso inverso, quindi un percorso che riporti alla fede?

R. – Qui direi che abbiamo già tracciato delle vie con il culto della Parola: siamo ritornati alla Parola e quello vuol dire ritornare alla fede, ritornare all’ascolto. Se poi il cuore vibra alla Parola vuol dire che qualche cosa si è messo in moto. Quindi, direi che la via è quella ma certo non è la maggioranza delle comunità che in Italia – anche solo in Italia – partono dalla Parola e vivono partendo dalla Parola. Il Sacramento dovrebbe arrivare alla fine. Quando tre anni fa, mi pare a Madrid, ci fu quell’Adorazione Eucaristica di notte – ne parlava padre Lombardi, anche perché lui era presente – in cui due milioni di giovani pregavano con il Papa e venne un temporale terribile che distrusse 18 tende in cui erano custodite le particole da consacrare il giorno dopo nella Messa e non si poté consacrare niente, perché tutte le particole erano bagnate – io dissi: “Ecco, il Signore ci ha dato una lezione, dicendoci ‘Lasciate perdere le particole, lasciate perdere le ostie, perché l’Eucaristia non sono le ostie, siete voi che date la vita per i fratelli’”. Quando due milioni di giovani da tutte le parti del mondo stanno insieme, pregano insieme, questa è l’Eucaristia: c’è già l’Eucaristia! Non c’è bisogno di dare l’ostia. E’ paradossale se vogliamo, no?

D. – Quindi dall’Asia, in sostanza, ci può arrivare un messaggio positivo su come ripensare la nostra fede…

R. – Non credo che l’Asia ci dia questa lezione, però dalle comunità che sono in Asia, proprio perché sono in un certo senso, se vogliamo, più libere da certe ufficialità greco-latine, arriva questa libertà spirituale dove c’è una profondità spirituale autentica. Io credo che da lì possiamo avere delle buone indicazioni.

D. – Questa può essere anche un’occasione non soltanto per i cattolici, ma per tutto il mondo cristiano, di ritrovarsi su una base comune solida…

R. – Certo! L’ecumenismo bisogna che parta dalla fede e la fede parte da Gerusalemme, tra l’altro, perché Paolo VI e Atenagora non si sarebbe potuti abbracciare se non a Gerusalemme: proprio perché lì è nata la Parola.

D. – Perché Papa Francesco ha scelto o ha comunque ritenuto che l’Asia dovesse essere una priorità nel suo Pontificato?

R. – L’Asia è dove la Chiesa è nata: è la culla della Chiesa. La Chiesa non è occidentale, è orientale. Il cristianesimo è l’Occidente secondo molti, ma questo è falso! E fa da ostacolo ai non occidentali il fatto di dover diventare occidentali per diventare cristiani.

D. – Molti Paesi asiatici sono alle prese con un fortissimo sviluppo, tutti i difetti della globalizzazione, materialismo, secolarizzazione… Come si concilia con questo desiderio di spiritualità più profonda?

R. – Purtroppo, io credo che sia una infezione che stanno prendendo dall’Occidente in tante aspirazioni: vengono a cercare delle cose, come se noi ne avessimo di più di loro. Io credo che dovrebbe essere quasi l’opposto: andare noi a imparare qualche cosa da loro, dando meno importanza a questa crescita economica. Non si può crescere in continuazione! C’è quindi un equivoco: c’è un equivoco tra l’Occidente e l’Asia su cosa sia il benessere. Speriamo che ci sia un connubio dal quale uscire nutriti tutti e due, in senso buono piuttosto che in senso cattivo.

inizio pagina

Telegramma del Papa per i 70 anni dall'eccidio nazista di Stazzema

◊  

Anche Papa Francesco ha voluto ricordare, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e indirizzato all’arcivescovo di Pisa, Giovanni Paolo Benotto, le 560 vittime – tra cui due sacerdoti – uccisi a Sant’Anna di Stazzema, in Toscana, dalle truppe nazisti il 12 agosto 1944, delle quali ieri si è fatta memoria a 70 anni dall’eccidio.

L’auspicio del Papa, si legge nel telegramma, è che si “rinsaldi il comune impegno per una solidale convivenza dei popoli e delle nazioni", mentre in una preghiera a Maria, il Papa affida al suo conforto “i familiari delle vittime e tutti gli abitanti” dei luoghi “così duramente provati”.

Con una recente decisione, la Corte federale di Karlsruhe, in Germania, ha deciso di riaprire le indagini su questa tragica pagina di storia. Delle 10 ex SS condannate in Italia, ma non in Germania, oggi l’incriminazione potrebbe arrivare per uno solo, l’ex ufficiale Gerhard Sommer, all’epoca comandante di una compagnia responsabile della strage, due suoi colleghi non sono stati ritenuti in grado di affrontare il processo, gli altri sono tutti morti.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Il risveglio delle coscienze: commosso e angosciato per la tragedia umanitaria in Iraq il Papa rinnova il suo appello in una lettera al segretario generale dell'Onu.

La tragedia dei cristiani iracheni: Francis Campbell, già ambasciatore della Gran Bretagna presso la Santa Sede, su diritti umani e politica internazionale.

Un articolo di Luigi Testa dal titolo "In onda": il 15 agosto 1954 da Castel Gandolfo il primo Angelus radiofonico di un Papa.

Le scrivo con vergogna e orgoglio: Roberto Pertici sulla lettera inedita che Piero Treves indirizzò a De Gasperi nel 1951.

Scritta sulla seta: da Seoul, Cristian Martini Grimaldi sulle persecuzioni anticristiane fra Sette e Ottocento in Corea.

Il metodo don Bosco per riformare la pubblica amministrazione: sul progetto dei salesiani laici nel bicentenario della nascita del santo dei giovani, intervista del vice direttore a Rosario Maiorano, dal 2001 al 2012 coordinatore mondiale dell'Associazione dei Salesiani Cooperatori.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Siria, Isis verso Aleppo. Mons Audo: temiamo sia come in Iraq

◊  

La drammatica situazione dei cristiani in Iraq spaventa anche la comunità siriana specie ad Aleppo, nella cui provincia i jihadisti dello Stato islamico hanno conquistato almeno cinque centri abitati con violenti scontri, una quarantina i miliziani uccisi. Non c’è tregua dunque su una città, che da febbraio scorso, secondo l’Istituto siriano per la giustizia, è stata colpita da 2.500 barili-bomba sganciati dal regime, con oltre 1.800 vittime. Ma sentiamo speranze e timori della popolazione nella testimonianza di mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria. L’intervista è di Gabriella Ceraso: 

R. - Tra Aleppo e Mosul ci sono contatti tra le famiglie, ci sono tradizioni, soprattutto per noi come caldei ma anche per gli altri cristiani. Quando dunque i cristiani qui vedono quello che succede a Mosul e nel nord dell’Iraq dicono che si deve partire velocemente per non essere uccisi.

D. - Quindi, è ancora così: c’è pericolo, c’è paura tra voi della comunità cristiana in particolare…

R. - Sì, moltissimo. Ogni giorno cadono bombe, non si sa né quando né perché, e ogni giorno ci sono vittime. È una cosa terribile. La gente dice: “Siamo pronti a vivere senza acqua e senza luce, ma non possiamo più vivere sotto queste bombe”.

D. - Proprio in questi giorni, per la Solennità dell’Assunta, ci saranno tante iniziative nel mondo, proprio di preghiera per i cristiani. Il Papa sta insistendo tanto sulla loro protezione anche a livello internazionale. Qual è il suo pensiero a riguardo?

R. - Ci aiuta molto quando il Santo Padre interviene e prende iniziative. Ma dall’altra parte, quello che io sento tra la gente è che non ci sono cambiamenti: ogni giorno questi gruppi terroristici che sono armati e hanno denaro attaccano ovunque. Qui, tutti i cristiani dicono che c’è un complotto internazionale per far partire tutti i cristiani della regione, la convinzione è profonda adesso.

D. - Accoglienza di famiglie irachene vi è capitata di farne sul territorio siriano?

R. - Sì. Veramente ho avuto contatti con i vertici del governo che hanno detto di esser pronti ad accogliere famiglie cristiane provenienti dall’Iraq: caldei e siriaci. Ero contento per questa iniziativa, ma nella pratica non vedo come i cristiani dell’Iraq possano venire oggi in Siria con la pericolosa situazione che c’è. Non siamo né organizzati, né capaci di fare un lavoro al livello generale perché siamo noi stessi in pericolo.

D. - Qual è il suo pensiero in questi giorni,di festa religiosa, qual è la sua preghiera?

R. - La nostra preghiera è di fiducia. Io dico alla gente: “Preghiamo, restiamo pazienti e determinati”. È tutto quello che posso dire loro, in un atteggiamento di speranza.

D. - C’è stato un intervento internazionale, l’intervento americano in Iraq. In Siria non è mai accaduto: come lo valuta?

R. - Si dice che in Siria ci sia da tempo un complotto per dividere il Paese e per distruggerlo e forse questo sta accadendo ora.

D. - E questo giustifica il fatto che non ci sia stato un intervento internazionale?

R. - Penso di sì.

inizio pagina

Ebola. Anche il Canada offre vaccino sperimentale

◊  

L’Ebola non si arresta: l’ultimo bilancio parla di 1.013 decessi e di 1.848 casi censiti nei quattro Paesi – Liberia, Sierra Leone, Guinea e Nigeria – colpiti dal virus. Tra gli ultimi decessi, si ricorda quello di ieri del missionario spagnolo, Miguel Pajares, rimpatriato giovedì scorso, e quello di Jatto Asihu Abdulqudir, 36 anni, membro della Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale, l’Ecowas, che era stato in contatto con un liberiano contagiato. Salgono, quindi, a tre i morti in Nigeria, sui dieci casi confermati dal Ministero della sanità.

Ieri, il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha nominato il medico britannico, David Nabarro, coordinatore dell’Onu per l’Ebola, affermando di evitare il panico e la paura". Un segnale forte per contrastare l’epidemia viene dal “via libera” della commissione di esperti dell’Oms al siero sperimentale: "Nelle particolari circostanze di questa epidemia e purchè siano soddisfatte determinate condizioni, il panel è giunto al consenso che è etico offrire interventi non ancora testati, come potenziale trattamento o a titolo di prevenzione". Oggi, inoltre, le autorità sanitarie canadesi hanno fatto sapere che doneranno tra le 800 e le 1.000 dosi di vaccino sperimentale all’Oms.

In questo quadro si aggiunge, però, l’annuncio da parte della società americana che produce il siero "ZMapp", quello somministrato anche ai due missionari statunitensi in corso di guarigione, di aver spedito tutte le dosi disponibili in Africa. In attesa dei farmaci, ha sottolineato Margaret Chen, direttore generale dell’Oms, bisogna lavorare sulle misure di prevenzione. Antonella Palermo ha chiesto un’analisi del virus al prof. Aldo Morrone, primario di Medicina delle Migrazioni dell'IFO San Gallicano di Roma, chiedendo anche quali possano essere i rischi per l’Europa: 

R. – C’è un paradosso: il virus Ebola è un virus che viene ucciso. Bastano acqua e sapone, basta la candeggina. Però, quando penetra nell’organismo di alcuni soggetti debilitati, si riattiva in una maniera straordinaria, diventa estremamente letale. E questo succede, purtroppo, perchè si viene a contatto con i liquidi biologici della persona malata, quindi con le urine, con le feci o con il sangue. Questa è una cosa assolutamente da evitare. D’altra parte, i tre Paesi che in questo momento sono stati colpiti dall’epidemia – non cito adesso la Nigeria, ma Liberia, Guinea e Sierra Leone – sono stati travagliati da una guerra civile, da un taglio drammatico delle risorse sanitarie, delle risorse sociali e delle istruzioni. Ecco perché il virus Ebola è un virus tipico della povertà dell’Africa. Non è stato mai segnalato in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone. Quindi, è un problema di coscienza di ricerca scientifica, da parte dell’Occidente, investire risorse perché lì venga eliminato.

D. – Il Comitato di esperti di etica medica, riunito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, si è detto favorevole al ricorso di trattamenti non ancora omologati contro l’epidemia di ebola…

R. – Devo dire che questo è doveroso, ogni volta che c’è una situazione drammatica. Certo, rimango sempre più stupito, lavorando in Africa da 30 anni, che ancora si intervenga poco nella ricerca scientifica di vaccini, di sieri, di terapie, per quelle che vengono chiamate le “neglected tropical deseases”, cioè le malattie dimenticate che però si diffondono e non solo in Africa ma in altre regioni povere del mondo e che ormai colpiscono oltre due miliardi di persone. Sarebbe ora che l’industria farmaceutica, che i governi dell’Occidente investissero più risorse per malattie che colpiscono fondamentalmente persone povere.

D. - Come si estirperà questo virus in questi tre Paesi che sono epicentro dell’epidemia?

R. – Primo, c’è un intervento immediato, che viene chiamato emergenziale, che è quello di bloccare i movimenti in quei tre Paesi, investendo però in servizi sanitari. Secondo, che si arrivi a uno studio maggiore sulle forme di diffusione del virus. Il virus probabilmente è dovuto al salto di specie dalle scimmie e dai pipistrelli, che vengono mangiati in quell’area del mondo. Terzo, che ci sia un impegno internazionale perché anche negli altri Paesi – dal Gabon alla Repubblica democratica del Congo – ci sia un impegno a estirpare il virus, soprattutto creando servizi sanitari per tutti. C’è bisogno di un investimento serio e non ipocrita, come spesso accade a noi occidentali, duraturo nel tempo e non soltanto di fronte ad un’epidemia.

D. – L’allarme a livello internazionale è stato lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Quanto ci dobbiamo preoccupare?

R. – Le possibilità che il virus arrivi in Europa sono assai scarse e dal punto di vista che il virus arrivi con gli immigrati sono assolutamente nulle. Ciò non toglie che giustamente l’Oms si preoccupi che in queste aree del mondo l’epidemia sia circoscritta e sia bloccata. La precauzione è fondamentalmente una: evitare i liquidi della persona malata, i liquidi biologici - sangue, urine, feci e sperma. Questo vuol dire sostanzialmente che può essere toccato soltanto con guanti, tute, mascherine. Tutto ciò che, tra l’altro, stiamo facendo sulle nostre navi dell’operazione “Mare Nostrum”. I tempi di incubazione della malattia sono talmente rapidi, dai 2 ai 10 giorni, che dal momento in cui il virus viene trasmesso al momento in cui abbiamo i sintomi - febbre molto elevata, tracce di sangue sulla pelle ed emorragie - è difficile che una persona che abbia questi sintomi possa fare viaggi di settimane o mesi, come accade per i migranti. È molto più facile possa accadere attraverso un aereo rapido, come quello che probabilmente è arrivato in Nigeria con una persona malata e che poi è deceduto forse a causa del virus Ebola.

inizio pagina

Sud Sudan: con la guerra si rischia il collasso dei servizi

◊  

È una crisi sia politica che umanitaria quella in corso in Sud Sudan, attraversato da otto mesi dal conflitto tra l’esercito del presidente Salva Kiir e i ribelli guidati dal suo ex vice, Riek Machar. Secondo gli inviati dell’Onu nell’area, non ci si può aspettare una fine rapida degli scontri – che riguardano soprattutto gli Stati di Unity, Upper Nile e Jonglei – e il Consiglio di Sicurezza minaccia sanzioni. Intanto, dagli Stati Uniti sono in arrivo 180 milioni di dollari per prevenire una carestia che si teme sia imminente. Davide Maggiore ne ha parlato con Chiara Scanagatta, rappresentante Paese dell’ong "Medici con l’Africa – Cuamm", raggiunta telefonicamente nella capitale Juba: 

R. – Nelle zone dove noi lavoriamo questo problema non è ancora visibile, come lo è invece in altri Stati in cui l’emergenza ormai è conclamata. Però, un aumento dei casi di malnutrizione inizia a vedersi, quindi ci stiamo allertando per monitorare la situazione e capire come evolverà. Anche una strana stagione delle piogge, iniziata prima del tempo, molto violenta, ha contribuito a complicare la semina e il raccolto che di solito in questo periodo assicura le scorte alle famiglie.

D. – D’altra parte, continua ormai ininterrottamente, dalla fine dello scorso anno, il conflitto tra le truppe del presidente Salva Kiir ed i ribelli guidati da Riek Machar. Cosa potete testimoniare sulla situazione sul terreno?

R. – C’è un’instabilità. Noi ci troviamo in zone un po’ più tranquille però, per esempio la settimana scorsa, c’erano voci consistenti di un gruppo di ribelli che si stava spostando verso la zona dove stiamo noi: c’è stato il panico tra la gente, la mobilitazione di truppe, l’invio di armi. Si sta sempre sul “chi va là” e la gente è molto tesa.

D. – Di cosa, in questo momento, ha bisogno la popolazione?

R. – Di tutto quello che può sostenere i servizi primari, in modo però generalizzato perché la seconda faccia dell’emergenza è che tutti gli aiuti vanno verso alcune aree geografiche e per alcune problematiche. Il resto della popolazione che si trova negli Stati meno colpiti rischia di restare senza supporti, quindi rischia una seconda emergenza, quella del collasso generalizzato di tutti i servizi, che è un po’ quello che sta accadendo.

D. – In questo scenario, l’Onu non vede una soluzione a breve termine del conflitto e prospetta addirittura sanzioni se non si concluderà. Quale effetto potrebbe avere l’imposizione di sanzioni su una situazione umanitaria già così compromessa?

R. – Sicuramente, il Sud Sudan è uno Stato fragilissimo e questo non farà altro che peggiorare la situazione in generale. Le risorse a livello di autorità locali sono già poche: tutto si basa fondamentalmente sugli aiuti che le agenzie internazionali possono dare alle Ong, altrimenti questa situazione si aggraverà. Anche l’aiuto che le Ong possono dare ha un certo limite. Mi chiedo anche se queste sanzioni possano effettivamente convincere le parti in causa a scendere a patti e cercare di fermare questo conflitto che ormai sembra fuori controllo.

D. – In questo drammatico scenario, vedete qualche segno di speranza?

R. – Noi comunque continuiamo a lavorare e devo dire che la gente che lavora con noi – dal personale sanitario, alle autorità sanitarie – sta collaborando molto. Noi che non facciamo prettamente emergenza ma portiamo avanti il nostro programma di sviluppo, azioni di lungo periodo, riusciamo con le solite difficoltà a portare a casa qualche buon risultato. Da parte anche dei nostri colleghi locali, c’è la voglia di andare avanti. Noi ci basiamo su questo.

inizio pagina

100mila sbarchi nel 2014. Mons. Montenegro: l'accoglienza è dovere

◊  

Sono circa 1.400 i migranti che tra ieri sera e la notte scorsa sono stati soccorsi dai mezzi dell’operazione Mare Nostrum. Tra loro decine di donne e bambini, molti dei quali siriani e palestinesi. Servizio di Francesca Sabatinelli

E’ incessante il lavoro di soccorso dei mezzi di Mare Nostrum, l’operazione avviata subito dopo la sciagura del 3 ottobre scorso, quando morirono 368 migranti. Dall’inizio dell’anno, con gli arrivi delle ultime ore, le persone sbarcate hanno superato quota 98 mila, come reso noto da fonti del Viminale, e tutte provenienti, o almeno la grandissima parte, da Paesi in guerra. Ce lo ricorda mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, presidente della Commissione Cei per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes:

R. – Queste persone stanno scappando e stanno cercando un luogo dove poter vivere. Mi meraviglio che ci si meravigli che questa gente continui a venire: è la Costituzione che dice che queste persone hanno diritto di essere accolte. Che “Mare Nostrum” sia una risposta alla gente che arriva, senz’altro sì, ma non è l’unica risposta. Ecco, allora, la politica dovrebbe inquadrare il discorso dell’accoglienza aggiungendo altre possibilità. Questa gente che arriva – e lo dice apertamente – non ha voglia di restare in Italia e l’Europa non può non prenderne atto. Soltanto che, come più volte ho avuto modo di dire, l’Europa ha messo al centro il profitto, l’interesse, il denaro, l’economia ma non ha messo l’uomo. Ed ecco che allora rincorriamo sempre qualcosa ma non sappiamo che cosa dobbiamo dare. Secondo me, non si vuole affrontare questo problema.

D. – Adesso si aggiunge il cosiddetto rischio-Ebola. In molti vendono nei migranti potenziali mine vaganti. Come si può evitare che si diffonda una psicosi collettiva contro persone che non arrivano neanche dai Paesi sottoposti, purtroppo, alla tragedia di Ebola?

R – Questo serve a “gridare all’untore”, per creare la strategia della paura, perché quando ci lasciamo prendere dalla paura non siamo più capaci di dare risposte oggettive e concrete. Questo fa il buon gioco di chi vuol provocare reazioni negative riguardo a questo problema. Ma i medici dicono che non c’è il rischio di contagio. Sono uomini, donne, bambini che desiderano vivere ed è un diritto loro, di vivere, e ci chiedono riconosciuto questo diritto. Sono persone che hanno una storia alle spalle che è molto triste; una storia che noi conosciamo come italiani. Sono povere persone che avrebbero piacere di restare nella loro terra, però non ci sono più le possibilità. E’ vero che nel sentire tante cose ti viene sconforto, ma per noi credenti la speranza è sempre il motore di avviamento. Però, ogni tanto, forse, dovremmo ricordarci quelle parole di Papa Francesco, quando ha ripetuto: “Vergogna!”. Ecco, la nostra civiltà di certo non si può misurare con i respingimenti: il mondo, la globalizzazione ci parlano di accoglienza e di condivisione.

inizio pagina

Meeting internazionale dei Giovani a Schio

◊  

Dal 13 al 17 agosto a San Martino di Schio (Vicenza) si tiene il XXIII “Meeting internazionale dei Giovani”. Il tema di quest’anno è “tutti tuoi o Maria…Madre della Famiglia”. Preghiera ma anche dialogo e confronto per porre l’accento sul ruolo sociale della famiglia e del vincolo matrimoniale. Sull’importanza del messaggio mariano e sulla centralità della famiglia Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Manuel Pistore, responsabile della iniziativa: 

R. – In questo momento storico, in cui la famiglia è provata a livello politico e sociale, in cui si vuole omologare ogni tipo di famiglia, noi vogliamo ribadire che la famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio tra uomo e donna, è l’unica in grado di garantire un futuro all’umanità ed è l’unica in grado di garantire la stabilità e l’educazione dei figli. E quindi abbiamo deciso che il tema di quest'anno sia “Tutti tuoi, o Maria, Madre della famiglia”.

D. – Quanto è importante per i giovani ribadire la centralità della famiglia?

R. – E’ importante perché in questo momento i giovani non hanno ben chiari i punti di riferimento. Questa società ci porta al relativismo e quindi i giovani hanno bisogno di sentirsi ribadire quali sono, i punti di riferimento. La famiglia è il punto di riferimento centrale per la società, per il futuro. Pertanto noi crediamo che parlarne, e parlarne nelle sue sfaccettature – perché durante la manifestazione parleremo di famiglia dopo un percorso di tossicodipendenza; parleremo di famiglia con sofferenza accettata e donata; parleremo di famiglia come matrimonio tra uomo e donna; parleremo di libertà educativa, e quindi toccheremo svariati temi che interessano la famiglia e che dimostrano che la famiglia è centrale in ogni cosa.

D. – Parteciperanno all’iniziativa giovani da tutta Europa: un confronto ed una riflessione che trovano nella figura di Maria e nella preghiera un fondamento comune …

R. – Maria è la protagonista di questa manifestazione. Abbiamo iniziato nel 1992, intitolandoci “Tutti tuoi, o Maria”; siamo ancora più consapevoli, oggi, che Maria è la Maestra, è la guida che ci aiuta ad arrivare a Gesù Cristo, a vivere il Vangelo nella sua pienezza. Quindi, alla luce dell’insegnamento del Vangelo di Maria i giovani riflettono, si interrogano, sono provocati, pregano insieme, ricercano le risposte autentiche agli interrogativi della vita … molto spesso è commovente vederli, quando si emozionano di fronte al Santissimo Sacramento e quando sono in preghiera. Non abbiamo la pretesa di rispondere ai loro quesiti, ma siamo certi di provocare in loro delle riflessioni, siamo certi di provocare una riflessione interna che li porti a riscoprire se stessi, che li porti ad avere una marcia in più per essere poi missionari nella quotidianità del Vangelo di Gesù Cristo.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



I vescovi europei alle Nazioni Unite: fermate atrocità in Iraq

◊  

La comunità internazionale prenda urgentemente “delle decisioni che pongano fine agli atroci atti contro i cristiani e altre minoranze religiose in Iraq”: è quanto scrive il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), in una lettera aperta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Una copia della missiva sarà consegnata a diversi governi europei e alle autorità dell’Ue, chiedendo loro di unirsi a questo appello. Con tale iniziativa – spiega una nota – “i vescovi del Ccee auspicano che anche altre sedi istituzionali, culturali e religiose si uniscano a questa condanna di quanto sta accadendo circa la violazione del diritto alla vita, alla sicurezza e alla libertà religiosa”.

È urgente – ribadiscono i presuli – intraprendere concrete misure umanitarie per rispondere alla situazione disperata dei cristiani iracheni, con l’auspicio che “anche in questo caso la comunità internazionale sia in grado di rispondere con una rapida assistenza ai molti rifugiati e garantisca la loro sicurezza nel ritornare alle loro città e case”.

La Chiesa cattolica in Europa esprime, inoltre, la sua vicinanza a quanti stanno vivendo momenti di paura e terrore, impegnandosi a compiere ed a continuare ad offrire gesti di solidarietà e di sostegno a persone e famiglie in sofferenza. I vescovi europei assicurano, quindi, la loro preghiera per la pace e con determinazione lanciano un appello alle Nazioni Unite, chiedendo loro di agire con la necessaria urgenza a vantaggio di tutte le vittime della guerra e della violenza che stanno soffrendo e aspettano la solidarietà del mondo.

Ulteriori appelli per la pace in Iraq sono stati lanciati anche da alcune singole Conferenze episcopali europee, come quella della Svizzera (Ces): in una nota, i presuli si dicono “costernati” di fronte “alla morte, alla paura ed alla miseria alle quali sono esposti i cristiani ed altre minoranze nel nord dell’Iraq”. Ribadendo la necessità di “un intervento urgente della comunità internazionale”, la Chiesa elvetica esorta i fedeli locali ad aiutare la popolazione irachena, sia con la preghiera che attraverso le organizzazioni caritative. “La preoccupazione dei cristiani – spiega la Ces – riguarda tutte le persone in difficoltà, senza distinzione di religione, perché chiunque veda la propria vita minacciata deve poter beneficiare del nostro aiuto e della nostra attenzione”.

Sulla stessa linea anche la Chiesa cattolica di Francia, i cui vescovi – insieme alla Caritas locale e ad altri organismi caritativi, come l’Oeuvre d’Orient – rilanciano l’appello di Papa Francesco a “porre fine alle violenze e ad instaurare una pace duratura e giusta in Iraq, a Gaza ed in Siria”. Elencando i già numerosi aiuti distribuiti nelle regioni mediorientali devastate dal conflitto, la Chiesa d’Oltralpe invita poi tutti i fedeli ad unirsi in preghiera il 15 agosto, affidando alla Vergine Maria i cristiani iracheni e tutte le comunità del Medio Oriente e della Siria che “stanno vivendo una Via Crucis”. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

I vescovi nigeriani: la riforma sanitaria non protegge il diritto alla vita

◊  

In Nigeria, forti riserve sono state espresse dai vescovi sulla riforma sanitaria approvata dall’Assemblea nazionale. Gli obiettivi dichiarati del National Health Bill, passato dopo ripetute modifiche, è di creare un sistema sanitario nazionale in grado di garantire una copertura medica minima a tutti, in particolare le categorie più vulnerabili che ne sono escluse. Secondo i vescovi, tuttavia, nelle pieghe della legge si nascondono alcune norme che minacciano il diritto alla vita. In questo senso si è espresso il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, intervenendo nei giorni scorsi a un forum della Caritas Nigeria. Il riferimento è in particolare agli articoli 50, 51 e 52. 

A suscitare maggiori perplessità, anche negli ambienti medici del Paese, è l’articolo 51 che riguarda la donazione di embrioni e di altro materiale genetico: secondo i suoi critici la sua formulazione è troppo generica e rischia di aprire la strada al commercio di gameti e alla clonazione umana. Il cardinale Onayekan ha quindi invitato il presidente Goodluck Jonathan a firmare il provvedimento solo dopo gli opportuni emendamenti al testo. L’arcivescovo di Abuja ha inoltre esortato l’Esecutivo e il Parlamento a non farsi condizionare in questo senso dalle pressioni di governi e organizzazioni internazionali.

La riforma della sanità in Nigeria è ormai in discussione da diversi anni. A renderla necessaria le tante criticità dell’attuale sistema sanitario evidenziate dai dati preoccupanti sullo stato di salute della popolazione. Secondo le statistiche dell’Organizzazione mondiale della Sanità, l’aspettativa di vita nel Paese è di appena 54 anni, la mortalità materna è di 608 donne su 100mila nascite, dieci volte più dell’Egitto. Inoltre appena il 3 per cento delle madri sieropositive accedono alle terapie di trattamento anti-retrovirale. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

I vescovi del Kerala: allarme per crescita delle sètte

◊  

Si moltiplicano sempre più rapidamente le sètte nello Stato indiano del Kerala: a lanciare l’allarme è il Consiglio episcopale cattolico locale (Kcbc), che mette in luce la necessità di “intensificare le misure preventive per evitare che i fedeli aderiscano a gruppi settari che minacciano la Chiesa”. Naturalmente, sottolinea il Kcbc, “la preoccupazione per l’espandersi delle sètte non è nuova nella Chiesa, che ha sempre fatto i conti” con questo problema.

Tuttavia, spiega il Consiglio episcopale, ora occorre una maggiore attenzione nei confronti del singolo fedele: “Le persone hanno bisogno di aiuto in ogni momento della loro vita – affermano i vescovi del Kerala – non solo in casi di sofferenza o di dolore. Ma spesso la Chiesa cattolica, essendo composta da parrocchie molto numerose di 2 o 3mila persone, non riesce ad offrire un supporto diretto a ciascun fedele”. E questo favorisce il crescere delle sètte che, “formate, invece, da piccoli gruppi, spesso hanno leader che interagiscono personalmente con gli altri membri”.

Dal suo canto, l’arcivescovo Mar Joseph Perumthottam, vice-presidente del Kcbc, ribadisce che creare una maggiore consapevolezza sull’argomento può aiutare a sconfiggere le derive settarie. “I fedeli devono avere una conoscenza chiara della Chiesa – spiega l’arcivescovo – Per questo, bisogna incoraggiare lo sviluppo dei movimenti ecclesiali”, “promuovere l’unità della famiglia” ed “esortare i fedeli ad un approccio corretto nei confronti della Dottrina della Chiesa”. Anche perché, mette in guardia il vice-presidente del Kcbc, molte volte “i leader delle sètte sono stati cattolici in passato e quindi conoscono bene la Bibbia, ma la interpretano nel modo sbagliato, favorendo i propri interessi personali”.

Sulla stessa linea si pone anche Jose Vithayathil, già segretario della Commissione per i laici del Kcbc: “È un dato di fatto – dice – che i laici siano insoddisfatti per come vengono trattati da alcuni membri della Chiesa. La minaccia derivante dalle sètte, allora, potrebbe essere eliminata se la Chiesa offrisse un sostegno maggiore, non solo spirituale, ai suoi fedeli”. (I.P.)

inizio pagina

Argentina: riunione dei vescovi dedicata al Sinodo sulla famiglia

◊  

Si è aperta ieri, e proseguirà fino a domani, presso la sede della Conferenza episcopale argentina, la 168.ma riunione della Commissione permanente presieduta dal presidente dell’episcopato mons. José María Arancedo, arcivescovo di Santa Fé. In agenda, il rapporto della Commissione episcopale per i laici e la famiglia sul prossimo Sinodo straordinario sulla famiglia che si svolgerà a ottobre in Vaticano ed alla luce dei contributi raccolti nel primo Congresso Latinoamericano della Pastorale per la famiglia che si è svolto a Panama dal 4 al 8 agosto.

Un’ulteriore riflessione sarà dedicata all’organizzazione del Congresso eucaristico nazionale previsto per l’anno 2016 nella provincia di Tucumán, ed al quale è stato invitato il Santo Padre Francesco. Il tema scelto per il Congresso è “Gesù Cristo, Signore della storia, abbiamo bisogno di te”. Infine, le Commissioni per la Pastorale sociale e per la Giustizia e pace presenteranno i rispettivi rapporti, che saranno utili per l’elaborazione di un documento specifico da approvare nella prossima Assemblea Plenaria, in programma a novembre e nella quale si svolgeranno anche le elezioni per il rinnovo degli incarichi della Conferenza episcopale. (A.T.)

inizio pagina

Si è spento don Pierino Gelmini, fondatore della Comunità Incontro

◊  

Si è spento ieri sera Pierino Gelmini: è morto a Molino Silla di Amelia, la sede centrale della Comunità Incontro, "assistito fino in ultimo" dai "suoi ragazzi" che per anni ha aiutato a uscire dalla tossicodipendenza, ha detto Giampaolo Nicolasi, suo stretto collaboratore. Don Pierino, 89 anni, era malato da tempo.

Nato a Pozzuolo Martesana in provincia di Milano il 19 gennaio 1925, si era impegnato fin da giovane ad assistere i giovani alle prese con problemi di tossicodipendenza. Ha quindi fondato la Comunità Incontro, che oggi conta 164 sedi residenziali in Italia e 74 sedi in altri Paesi.

Ordinato sacerdote nel 1949, nel 2008 ottenne di essere dimesso dallo stato clericale per meglio difendersi da accuse di molestie sessuali sui alcuni suoi assistiti. Il primo luglio scorso il dibattimento a suo carico era stato temporaneamente sospeso dopo che una perizia disposta dai giudici aveva accertato come non fosse in grado di "partecipare coscientemente" al processo.

Il funerale si svolgerà giovedì alle 10.30 presso la Cappellania di San Pietro Apostolo della Comunità Incontro di Amelia. Sarà celebrato dal vescovo di Terni, padre Giuseppe Piemontese.

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 225

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.