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Sommario del 15/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Cristiani forza di rinnovamento, così il Papa nella Messa a Daejeon

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Nella Solennità dell’Assunzione, seconda giornata della sua visita in Corea, Papa Francesco ha presieduto la Messa nello stadio di Daejon, invocando la protezione di Maria e pregando affinché i cristiani possano essere una forza generosa di rinnovamento spirituale. Accolto da migliaia di fedeli, ha incontrato i familiari delle vittime del naufragio del traghetto di Sewol. Il servizio del nostro inviato Davide Dionisi

150 chilometri in treno per raggiungere Daejeon, dove nel catino del World Cup Stadium ad attenderlo c’erano cinquantamila fedeli. Papa Francesco sorprende ancora, rompendo il protocollo che prevedeva il trasferimento in elicottero nella quinta città più grande del Paese. Il secondo giorno del Pontefice in terra asiatica, Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria e Festa Nazionale della Liberazione della Repubblica di Corea, è iniziato così, con il consueto bagno di folla che lo ha accolto con una ola e con un inatteso coro in lingua italiana:

“Viva il Papa! Viva il Papa!...”

Durante l’omelia, il Pontefice ha invocato la protezione di Maria, Madre della Chiesa in Corea, e pregato affinché i cristiani della nazione possano essere una forza generosa di rinnovamento spirituale in ogni ambito della società:

“Combattano il fascino di un materialismo che soffoca gli autentici valori spirituali e culturali e lo spirito di sfrenata competizione che genera egoismo e conflitti. Respingano inoltre modelli economici disumani che creano nuove forme di povertà ed emarginano i lavoratori, e la cultura della morte che svaluta l’immagine di Dio, il Dio della vita, e viola la dignità di ogni uomo, donna e bambino”.

Poi l’appello ad una rinnovata conversione alla Parola di Dio, un’intensa sollecitudine per i poveri, i bisognosi e i deboli  e l’invito a guardare a Maria, Madre della speranza:

“Questa speranza, cari fratelli e sorelle, la speranza offerta dal Vangelo, è l’antidoto contro lo spirito di disperazione che sembra crescere come un cancro in mezzo alla società che è esteriormente ricca, ma tuttavia spesso sperimenta interiore amarezza e vuoto. A quanti nostri giovani tale disperazione ha fatto pagare il suo tributo! Possano i giovani che sono attorno a noi in questi giorni con la loro gioia e la loro fiducia, non essere mai derubati della loro speranza!”.

Commosso il discorso di benvenuto del vescovo di Daejeon, mons. Lazzaro You Heung-sik, che ha ricordato al Papa il percorso compiuto dai fedeli della sua diocesi che li ha portati a questo appuntamento: “Abbiamo recitato il Santo Rosario per Lei più di 15 milioni di volte, celebrato la Messa secondo le sue intenzioni più di 2 milioni di volte. Le promettiamo di continuare a pregare incessantemente per Lei” ha detto il presule.

Durante l’Angelus Papa Francesco ha affidato alla Madonna ha affidato le vittime di Sewol e i loro familiari:

“May the Lord welcome the dead into his peace…
Il Signore accolga i defunti nella sua pace, consoli coloro che piangono, e continui a sostenere quanti così generosamente sono venuti in aiuto dei loro fratelli e sorelle. Questo tragico evento, che ha unito tutti i Coreani nel dolore, confermi il loro impegno a collaborare insieme, solidali, per il bene comune”.

Tra i presenti, un gruppo di dieci persone, tra cui alcuni superstiti, che il Papa ha incontrato prima della Messa. Con loro, uno dei genitori dei ragazzi tragicamente scomparsi che ha compiuto un pellegrinaggio di 900 chilometri portando con sé una croce e che ha chiesto al Pontefice di essere battezzato. Il Santo Padre ha acconsentito e celebrerà la funzione domani mattina in nunziatura. Ancora un segno del suo grande cuore.

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Il Papa ai giovani: la Corea è una, l'unità del Paese è possibile

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Pregate per la riunificazione dell’“unica famiglia” della Corea, fatta di fratelli che parlano “la stessa lingua”. È la consegna lasciata da Papa Francesco alle ragazze e ai ragazzi della Giornata della gioventù asiatica, incontrati nel pomeriggio – ora locale – a Daejeon, nella grande tenda allestita nel parcheggio del Santuario di Solmoe. Un’ora e mezzo di entusiasmo e di grande attenzione alle parole del Papa, che ha concluso invitando al perdono e spiegando ai giovani cosa significhi scegliere di seguire Gesù nella vita. Il servizio di Alessandro De Carolis

La colpa della divisione tra le due Coree è solo di una parte? Se Dio mi chiede di seguirlo in una vocazione e io sento altro, questo è una tentazione o no? Domande gigantesche, che chiedono subito risposte che un adulto farebbe enorme fatica a formulare senza essere condizionato da politicamente corretto, timori reverenziali, esitazioni dettate da interesse. E infatti a pronunciarle senza paura sono tre ragazzi a nome dei seimila radunati alla Giornata asiatica dei giovani, che approvano con applausi e boati.

Papa Francesco non delude le attese. Ascolta con attenzione e prende appunti mentre una ragazza cambogiana, un giovane di Hong Kong e una della Corea gli aprono il cuore con un senso di fiducia così totale da lasciare disarmati e commossi. Quando è il suo turno, con lo stesso anticonformismo il Papa interrompe a metà il discorso preparato e letto fin lì in inglese chiedendo ai ragazzi il permesso di passare all’italiano, la lingua che gli permette di far parlare direttamente il cuore, non prima di aver collocato nella giusta cornice ciò che dirà loro:

“Dear young friends, in this generation…

Cari giovani amici, in questo nostro tempo il Signore conta su di voi! Egli è entrato nei vostri cuori nel giorno del vostro Battesimo; vi ha dato il suo Spirito nel giorno della vostra Confermazione; vi fortifica costantemente attraverso la sua presenza nell’Eucaristia, così che possiate essere suoi testimoni davanti al mondo. Siete pronti a dirgli 'sì'? Siete pronti?”.

La prima risposta è per Mey, giovane cambogiana divisa tra il seguire la voce che la spinge verso la consacrazione religiosa e una strada ugualmente di impegno ma di tipo laicale. Il Papa lo definisce…

“…un conflitto apparente, perché quando il Signore chiama, chiama sempre per fare il bene agli altri: sia alla vita religiosa, alla vita consacrata, sia alla vita laicale, come padre e madre di famiglia. Ma lo scopo è lo stesso: adorare Dio e fare il bene agli altri (...) Ma tu non devi scegliere nessuna strada! La deve scegliere il Signore! Gesù l’ha scelta! Tu devi sentire Lui e chiedere: ‘Signore cosa devo fare?’”.

Papa Francesco prende anche un impegno con la ragazza, che gli ha ricordato l’esistenza di martiri cambogiani tuttora sconosciuti, uccisi in particolare durante gli anni del sanguinario regime di Pol Pot:

“Io ti prometto che mi occuperò, quando torno a casa, di parlare all’incaricato di queste cose, che è un bravo uomo e si chiama Angelo ... e chiederò lui di fare una ricerca su questo per portarlo avanti”.

“Angelo” è il cardinale Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e l’impegno assunto dal Papa è suggellato da un applauso scrosciante, uno dei tanti con i quali i giovani vogliono comunicare a Francesco che il loro entusiasmo è grande ma ha bisogno di poggiare sulle certezze, quelle di una generazione nuova che si chiede se potrà scrivere una storia diversa dal passato. Come fa Marina, che si spinge con la sua domanda fin nella ferita più dolorosa, aperta da 60 anni: che senso ha l’odio che divide le Coree? Il Papa è chiaro: non ci sono due Coree, afferma. Ce n’è una, ma è divisa, la famiglia è divisa”:

“Prima di tutto, il consiglio: pregare; pregare per i nostri fratelli del Nord. ‘Signore, siamo una famiglia, aiutaci, aiutaci all’unità, Tu puoi farlo. Che non ci siano vincitori né vinti, soltanto una famiglia, che ci siano soltanto i fratelli’ (...) Adesso, la speranza. Qual è la speranza? Ma, ci sono tante speranze, ma ce ne è una bella: la Corea è una, è una famiglia. Ma, voi parlate la stessa lingua, la lingua di famiglia; voi siete fratelli che parlate la stessa lingua (…) Pensate ai vostri fratelli del Nord: loro parlano la stessa lingua e quando in famiglia si parla la stessa lingua, c’è anche una speranza umana”.

Il tendone che piomba nel silenzio, con i giovani raccolti assieme al Papa in preghiera per la riunificazione della Corea è un’immagine che non verrà dimenticata. Ma è utopica una speranza senza il perdono ed è a questo aspetto che Papa Francesco dedica l’ultima riflessione a braccio. Rifacendosi alla scena recitata poco prima sul palco da un gruppo di giovani, in chiave di musical, ispirata alla parabola del Figliol prodigo, il Papa conclude ribadendo la certezza che è la pietra d’angolo del suo Pontificato, e cioè che Dio è misericordia e pazienza infinite:

“Nessuno di noi sa cosa ci aspetta nella vita. E voi giovani: ‘Ma, cosa mi aspetta?’. Noi possiamo fare cose brutte, bruttissime, ma per favore non disperare, sempre c’è il Padre che ci aspetta! Tornare! Tornare! Quella è la parola. Come back! Tornare a casa, perché mi aspetta il Padre. E se io sono molto peccatore, farà una grande festa. E a voi sacerdoti, per favore, abbracciate i peccatori e siate misericordiosi”.

Il “Padre Nostro” cantato in coreano è l’immagine di dissolvenza che si intreccia con un grido ritmato in italiano quasi perfetto, che fa vibrare a lungo la megatenda di Solmoe:

“W Papa! W Papa!...”

Prima di trasferirsi al Santuario di Solmoe, Papa Francesco aveva pranzato con un gruppo di giovani nel refettorio del Seminario maggiore di Daejeon. Al pranzo, durato oltre un’ora, hanno partecipato 18 ragazzi provenienti da diverse parti dell’Asia, accompagnati dal vescovo di Daejeon, mons. Lazzaro You Heung-sik, e dal gesuita che lo accompagna in questi giorni con funzioni di interprete. Il clima è stato gioioso, animato da semplici battute. Gli interventi più consistenti hanno riguardato la vita delle singole Chiese locali raccontata dai giovani. Gran parte dei ragazzi ha invitato Papa Francesco a visitare il proprio Paese. Insieme hanno intonato l’inno della Gmg e, al termine è avvenuto, sempre in un clima di festa, lo scambio di piccoli doni. Non sono mancati i "selfie" e gli autografi. Alla fine un abbraccio di gruppo.

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Seoul. Visita a sorpresa del Papa all'Università dei Gesuiti

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Un fuori programma ha caratterizzato il rientro di Papa Francesco a Seoul, dopo l’incontro con i giovani asiatici a Daejeon. Prima di raggiungere la Nunziatura per concludere la giornata, il Papa ha voluto fare visita alla Sogang University, ateneo fondato dalla Compagnia di Gesù a Seoul nel 1960. Tra i presenti alla visita, c’era il direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro, che racconta gli istanti della visita al microfono del nostro inviato, Davide Dionisi

R. – Il Papa ha deciso di andare a trovare i suoi confratelli Gesuiti e l’ha comunicato ieri. E’ stata una cosa, quindi, assolutamente nuova anche per loro, che sono rimasti sconcertati, perché non sapevano cosa preparare e come. In realtà l’incontro è stato di una semplicità incredibile: un senso di casa, di famiglia, di normalità assolutamente grande, potente.

D. – Che cosa vi siete detti e che cosa ha detto soprattutto ai confratelli?

R. – Beh, intanto il Papa è entrato ed è stato accolto, come potete immaginare, da un grande applauso, e tutti si sono presentati. Si sono presentati uno per uno alla fine, ma all’inizio anche per tipologia di attività: i giovani in formazione, quindi, i novizi, e poi coloro che si occupano dell’apostolato spirituale, dell’apostolato giovanile. E’ stata veramente una grande festa. Il Papa ha goduto molto di questo clima e poi, dopo alcune, poche, parole introduttive di saluto, il Papa ha parlato. Ha parlato a braccio, assolutamente a braccio ovviamente, ed è stato un discorso semplice e potente, tutto incentrato su una parola – consolazione – che per noi Gesuiti è una parola fondamentale: la consolazione spirituale. Ha detto che noi siamo ministri di consolazione, che a volte nella Chiesa si sperimentano fatiche, a volte ferite, e a volte la gente sperimenta ferite anche a causa dei ministri della Chiesa. E ha ribadito quell’espressione che mi aveva comunicato nell’intervista della Chiesa come “ospedale da campo”. L’ha ribadita, l’ha confermata. Questa è la sua visione della Chiesa. Quindi, il compito di noi Gesuiti – ma direi più in generale dei ministri del Vangelo, dei sacerdoti, dei religiosi – è quello di essere persone di consolazione, che danno pace alla gente, che leniscono le ferite. E l’ha ripetuto in vari modi e con accenti molto intensi, molto coinvolti.

D. – Ha fatto qualche riferimento alla situazione coreana, alla sua visita agli obiettivi della sua visita?

R. – Ha salutato... No, non ha parlato della sua visita in generale, ma si è riferito a una situazione particolare, perché durante l’incontro con i giovani una ragazza cambogiana ha fatto riferimento al fatto che il suo Paese non ha un santo canonizzato. In realtà, c’è un martire, il primo vescovo, che si trova in fase di processo di beatificazione, comunque di esame, di cui il Papa è assolutamente consapevole. A parte questo, però, il Papa è rimasto profondamente colpito dal fatto che una ragazza così giovane si sia posta una domanda del genere. Lo abbiamo visto del resto già nell’incontro. Questo lo ha colpito profondamente e lo ha ripetuto, anche perché c’era un gesuita coreano che vive in Cambogia. C’erano, quindi, pure Gesuiti che vivono in altri luoghi.

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P. Lombardi: carisma del Papa coi giovani funziona a ogni latitudine

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Al termine della terza giornata della visita apostolica in Corea, l’inviato a Seoul, Davide Dionisi, ha chiesto un commento al direttore della Sala Stampa vaticana, e nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, che spiega anzitutto la scelta del Papa di recarsi in mattinata a Daejeon in treno anziché, come previsto, in elicottero: 

R. – Non era dovuto ad un’emergenza e non c’è stato nessun particolare problema. Era un’alternativa che era già stata ben preparata dagli organizzatori, in caso l’uso degli elicotteri, per qualche motivo di visibilità, di turbolenza e così via, fosse non consigliabile. E questo è avvenuto anche se non c’erano, mi sembra, delle condizioni atmosferiche drammatiche. Per prudenza, però, si vede che hanno preferito quest’altra soluzione, che è stata anche interessante, curiosa. Il Papa ha osservato che era la prima volta che prendeva un treno ad alta velocità e i programmi sono stati rispettati pienamente.

D. – L’incontro con i familiari delle vittime di Sewol è un incontro che ha confermato ancora una volta il grande cuore del Santo Padre, tenuto conto che domani mattina avverrà appunto questo Battesimo in privato del papà di uno dei ragazzi scomparsi tragicamente...

R. – Sì, è stata una richiesta un po’ a sorpresa forse, ma evidentemente ben motivata, per cui è stata accettata dal Santo Padre. Quello che io trovo interessante è questo aspetto che si aggiunge nel viaggio: l’aspetto del Papa che battezza in un Paese, in cui ci sono tanti Battesimi di adulti. Si dice che ce ne siano 100 mila l’anno nella Chiesa coreana, che è una cosa molto notevole. E allora, che anche il Papa qui sia battezzatore, in questi suoi giorni di permanenza, partecipi a questo ministero, è molto bello – dice la vitalità della fede in questa regione – ed è bello che possa avvenire anche per una persona che ha vissuto una grande sofferenza, vive una grande sofferenza. Quindi, la crescita nella fede si manifesta, la risposta spirituale di cui c’è bisogno quando le persone si trovano a interrogarsi sulle questioni più fondamentali della vita e della morte.

D. – L’incontro di oggi pomeriggio con i giovani ha avuto un preludio a pranzo?

R. – Sì, sullo schema delle Giornate mondiali della gioventù si è fatto anche qui il pranzo del Papa con i giovani. Naturalmente è un fatto simbolico, perché vi possono partecipare solo pochi giovani. Ce n’erano una ventina, tutti rappresentanti di Paesi asiatici differenti, che ponevano le loro domande al Papa, che stavano gioiosamente insieme a lui per un’ora, un’ora e mezzo, e in qualche modo rappresentavano tutti i loro compagni, le loro compagne, i loro coetanei, potendo poi andare a riferire di questa eccezionale esperienza d’incontro personale da vicino, con un Papa così affabile, così cordiale, a cui potevano far firmare i loro libri, a cui potevano dare i loro piccoli doni, a cui potevano fare le domande più curiose.

D. – Poi, l’incontro di oggi pomeriggio, che ha avuto diversi fuori programma…

R. – L’incontro dei giovani di oggi pomeriggio è stato per me estremamente importante, non solo perché era un momento fondamentale di questo viaggio, ma anche perché era il primo grande incontro del Papa con i giovani fuori del mondo latino, per così dire, con lingue e culture estranee a quelle più abituali al Papa. Eppure, si è visto che l’incontro, la capacità di comunicazione, il carisma di toccare il cuore, di entusiasmare i giovani, di saper cogliere le loro attese e saperli coinvolgere con delle domande, che egli stesso a sua volte pone, con il farli pregare e così via, ha funzionato benissimo anche in Asia. Quindi, non ci sono confini geografici per il carisma di incontro tra Papa Francesco e i giovani del mondo.

D. – L’ultimo fuori programma è di poco fa: ha visitato la Sogang University, l’Università dei Gesuiti con un abbraccio ai confratelli...

D. – È abbastanza normale che i suoi confratelli, che qui in Corea hanno un opera estremamente importante e attiva nel campo dell’evangelizzazione, una università cattolica molto importante, ma anche tanti altri ministeri – i ministeri con i giovani, i ministeri sociali, i ministeri spirituali, sono un bel gruppo – desiderassero anche loro poter incontrare il loro grande confratello. Lui ha ceduto volentieri, senza condizionare o cambiare il programma previsto, ma aggiungendo questa mezz’ora di incontro molto familiare e gioioso, veramente in famiglia.

D. – Che cosa ha detto ai suoi confratelli?

R. – Ha detto le cose che dice spesso anche ai sacerdoti per incoraggiarli nel loro ministero, nell’atteggiamento che devono avere nel loro ministero di testimonianza della fede, di misericordia, di consolazione spirituale delle persone che incontrano. Lo ha detto con dei toni abbastanza caratteristici della spiritualità ignaziana, anche se sono tematiche che abbiamo spesso sentito sulle sue labbra.

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Corea. Giovani Sant'Egidio: la Chiesa in Asia è viva e bella

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All’incontro dei giovani asiatici con Papa Francesco a Daejeon ha partecipato anche una delegazione della Comunità di Sant’Egidio. Davide Dionisi ne ha sentito il responsabile, Marco Francioni: 

R. – Qui, a Seul, siamo tanti, impegnati in parecchie attività: abbiamo dei momenti di preghiera per la pace e la riconciliazione, che è molto attuale in tutto il mondo e anche in Corea oggi, e poi anche incontri con i poveri.

D. – Da quante persone è composto il vostro gruppo e quali sono le nazionalità asiatiche rappresentate?

R. – Le nazionalità asiatiche sono sicuramente quelle della Corea, di Hong Kong, delle Filippine, dell’Indonesia, del Pakistan, della Cambogia. Sono parecchi i giovani, di Paesi e culture diverse, tutti uniti in questa fede, in questa gioia nell’accogliere il Papa in Asia.

D. – Come vi siete preparati?

R. – Ci siamo preparati sicuramente pregando molto insieme, riflettendo sulle parole del Papa. Avendo avuto, poi, il dono della visita del Papa alla Comunità di Sant’Egidio, due mesi fa, abbiamo molto riflettuto su ciò che ci ha detto e abbiamo, quindi, ascoltato le sue parole, letto i suoi testi e meditato molto su preghiera, poveri e pace e su come realizzare questa missione che il Papa ci ha affidato.

D. – Come stanno vivendo in questi giorni i giovani asiatici gli appuntamenti della Giornata mondiale della gioventù?

R. – Con grandissimo entusiasmo, gioia, voglia di conoscere quanti più giovani possibili qui in Corea, proprio perché è bello condividere la fede e tutto quello che si fa.

D. – Cosa riporterete a casa di questa esperienza?

R. – La gioia di una bella Chiesa in Asia, viva sicuramente, che ha un respiro sul mondo. Una Chiesa che scopre, che conferma il valore della vita qui in Asia, che lo vuole trasmettere e comunicare: un valore, appunto, di attenzione, di amore, vicinanza, soprattutto a chi è più debole – penso ai poveri, agli anziani – e comunicazione del Vangelo, che è gioia ed è una responsabilità non solo della Chiesa e dei religiosi, ma anche dei giovani.

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Tweet del Papa: il mio cuore sanguina quando penso ai bambini in Iraq

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Tre i tweet pubblicati nella Solennità dell’Assunzione da Papa Francesco sull’account @Pontifex. Nel primo si legge: “Maria, Regina del Cielo, aiutaci a trasformare il mondo secondo il progetto di Dio”. Il secondo è una esortazione: “Cari giovani, Cristo vi chiama ad essere accorti e vigili per riconoscere ciò che conta davvero nella vita”. Il terzo tweet è per l’Iraq: “Il mio cuore sanguina quando penso ai bambini in Iraq. La Madonna, nostra Madre, li protegga”.

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Il card. Filoni porta l'aiuto del Papa agli yazidi

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Il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e inviato personale di Papa Francesco in Iraq, celebra nel pomeriggio la Messa della Solennità dell’Assunzione tra i cristiani sfollati nel campo profughi di Duhok, a nord della Piana di Ninive. Stamattina ha incontrato nel Kurdistan la comunità degli yazidi, un’altra minoranza religiosa perseguitata in Iraq. Ascoltiamo il cardinale Fernando Filoni al microfono di Sergio Centofanti

R. - Ho incontrato i loro responsabili, ho portato la solidarietà, l’affetto e la vicinanza del Santo Padre, ho consegnato loro un dono a nome del Santo Padre per le loro necessità materiali; ho raccolto i loro appelli: chiedono al Santo Padre e a tutti gli uomini di buona volontà di non essere lasciati soli in questa tragedia, che li vede umiliati e li vede distrutti! E’ una testimonianza molto toccante di queste persone, che soffrono terribilmente a causa dei morti che hanno avuto, delle donne rapite e delle loro case che sono state “rubate” e che non sanno più dove stare e dove andare. Successivamente, mi sono recato più a nord, dove ho incontrato una piccola comunità caldea, insieme al suo vescovo: naturalmente ho ringraziato questa comunità per ciò che sta facendo, perché accoglie alcune famiglie profughe, dando loro ospitalità. Tra poco visiterò altri campi profughi, sempre qui al nord del Kurdistan, nella zona di Duhok; andrò domani a Zakho e visiterò ancora altri campi. Questi due giorni sono dedicati alla visita dei campi dei rifugiati e delle comunità che li ospitano qui nel nord del Kurdistan.

D. - Lei sta visitando questi campi profughi, dalle immagini vediamo tanti, tanti bambini…

R. - Sì. Effettivamente i bambini sono l’unica ricchezza che in questo momento le famiglie hanno. Naturalmente loro percepiscono solo relativamente il grande problema che stanno vivendo essi stessi e le loro famiglie: qualche volta la loro gioia è l’unico elemento che rincuora queste famiglie. Si tratta di bambini che mantengono ancora quella loro semplicità di vita, quel loro modo di essere, di trovarsi insieme, di stare insieme… Bisogna dire che ci sono anche tanti volontari che, attraverso musiche, giochi e canzoni, li distraggono.

D. - Lei celebra oggi pomeriggio la Messa per l’Assunta tra i profughi di Duhok: quali parole porterà loro,  quale incoraggiamento?

R. - La parola è che in questa situazione loro vivono in pieno l’esperienza della piccola Famiglia di Nazareth, profuga in Egitto per la malignità e la cattiveria. Quindi, trovano comprensione nella Sacra Famiglia di Nazareth, che anch’essa fu profuga e dovette vivere nel disagio. Questa condivisione da un punto di vista proprio reale può aiutare anche spiritualmente e moralmente questa gente che si sente così, come sradicata dalla propria patria, dal proprio villaggio e senza futuro… Speriamo che in questa parola di incoraggiamento, che noi conosciamo proprio perché la Famiglia di Nazareth ritornò nella sua terra, possano anche loro ritrovarla nella speranza presto - il più presto possibile - di rivedere le loro case e i loro villaggi.

D. - In questo viaggio che cosa la sta colpendo in modo particolare?

R. - Oggi il dramma di questi poveri yazidi, uomini veramente frustrasti, prostrati, distrutti nella loro dignità, era la cosa più toccante! Si tratta di persone che hanno una cultura millenaria, una tradizione millenaria e che si vedono distrutti, perché privati delle proprie famiglie, non c’è più futuro per loro! Si appellano non solo al Santo Padre, ma anche a livello internazionale perché tutti intervengano in difesa di questa minoranza, che è stata profondamente violata nella sua dignità. 

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Iraq, arcivescovo Mosul: jihadisti, minaccia per l’umanità

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In Iraq, il premier al-Maliki ha annunciato le dimissioni e manifestato il proprio sostegno al primo ministro designato al-Abadi. Il presidente americano Barack Obama rende norto che non ci saranno azioni militari di terra e che proseguiranno i raid aerei per proteggere la popolazione. Nel nord del Paese, intanto, resta drammatica la situazione delle minoranze, tra cui le comunità cristiane, in fuga dai miliziani jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Le chiese del nord del Paese sono impegnate nell'assistenza dei profughi. Ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo caldeo di Mosul, Amel Shamon Nona: 

R. - Le nostre famiglie vivono in una situazione drammatica! Vivono e dormono nei giardini delle Chiese e dei centri del catechismo… Non hanno niente! Hanno bisogno veramente di tutto. Può immaginare una famiglia che lascia la propria casa, lascia il lavoro, lascia tutto e va in un altro posto. Noi stiamo cercando di fare il possibile per loro, almeno per quello che riguarda il cibo, l’acqua… Ma il numero delle famiglie è molto grande!

D. - Questo orrore da parte dei miliziani jihadisti intende distruggere le minoranze e anche la dignità delle persone…

R. - Questo è vero, perché queste persone pensano che tutti quelli che sono diversi da loro non meritano di vivere! Quindi o diventano come loro, pensano e vivono come vogliono loro, o quelle persone non meritano di vivere! Per questo cercano di distruggere le altre religioni, come il cristianesimo, e le altre etnie. Distruggono tutto! Rappresentano una grande minaccia per l’umanità!

D. - Ma com’è possibile che uomini, padri, sposi, fratelli siano capaci di compiere simili crudeltà?

R. - Quando si pensa che solo una religione sia l’unica religione e che le altre siano niente, si può arrivare ad un punto in cui un uomo non guarda nient’altro se non ad eliminare gli altri, tutti gli altri che sono diversi da lui. E questo viene fatto in nome di Dio, in nome della religione, della fede, pensando di difendere così la sua fede… Finora non abbiamo sentito o visto - nel rispetto di tutti gli altri musulmani - persone che si sono ribellate a queste cose. Ce ne sono pochissimi che parlano…

D. - Da dove arriva la speranza?

R. - La speranza arriva anzitutto da Dio e sicuramente il nostro Dio è il Dio della speranza. E poi dal mondo intero e dalla Comunità internazionale nel momento in cui comincia a pensare in modo giusto, comincia a pensare che bisogna essere uniti contro un pensiero come questo, contro un gruppo come questo. La comunità internazionale deve pensare prima di tutto alle persone umane e non agli interessi della politica internazionale! Bisogna anche far capire a tutti gli uomini di tutto il mondo chi sono questi gruppi, cosa vogliono in nome della religione, in nome di Dio.

D. - Anche perché è un dramma, questo, che non riguarda solo l’Iraq…

R. - Riguarda tutta la comunità internazionale, perché questi gruppi non vogliono solo conquistare un pezzo di terra e rimanere là. Il loro obiettivo è tutto il mondo! Per loro tutti coloro che non pensano e non vivono secondo il loro pensiero e le loro leggi, sono obiettivi. Vogliono riuscire a convertirli o ucciderli! Per questo è molto importante che la comunità internazionale pensi, in modo unito, a come sia possibile cacciare questi gruppi, ad eliminare questo modo di pensare dal mondo.

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Oggi in Primo Piano



Preghiera per i cristiani perseguitati. Galantino: Europa marginale

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In Italia, la Solennità dell'Assunzione riunisce tutti i fedeli per una giornata di preghiera per i cristiani perseguitati. A promuoverla è stata la Conferenza episcopale italiana, in risposta a quanto denunciato dal Papa, e che cioè “ci sono più cristiani perseguitati oggi che nei primi secoli”. Tutte le comunità ecclesiali – riferisce una nota della presidenza Cei - sono invitate ad “unirsi in preghiera quale segno concreto di partecipazione con quanti sono provati dalla dura repressione”. “Noi non possiamo tacere” – affermano i vescovi italiani – “in particolare di fronte ad una “nostra Europa, distratta e indifferente, cieca e muta davanti alle persecuzioni di cui oggi sono vittime centinaia di migliaia di cristiani”. Il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, spiega l’iniziativa al microfono di Marco Guerra

R. – Il bisogno nasce dalla situazione drammatica che stanno vivendo i cristiani, non solo, ma anche la minoranza yazidi, in Iraq soprattutto, ma non solo in Iraq: anche in Siria, in Nigeria e altrove. Quindi, l’esigenza è nata dalla storia, purtroppo, e come vescovi eravamo già intervenuti. Ma questa volta si è ritenuto opportuno risvegliare un po’ tutti quanti in maniera molto più chiara, molto più decisa su questo tema. Il senso nasce dalla necessità di non dovere e non potere lasciare soli questi nostri fratelli a soffrire, a sopportare tutto quello che stanno sopportando.

D. – L’adesione delle diocesi è stata immediata...

R. – Sì: la risposta delle diocesi – ma non solo: anche dei Movimenti, delle Associazioni e dei Gruppi – è stata davvero una risposta pronta, corale, anche entusiasta, nel senso – cioè – che sentiamo il bisogno noi, anche, di orientarci insieme e di rispondere insieme, a pregare insieme per certe situazioni. Per cui, io penso che sarà veramente un momento molto importante: l’importante, poi, è anche questo: che davvero la nostra sia una preghiera che ci coinvolga, che coinvolga un po’ tutti anche nell’impegno concreto.

D. – C’è una presa di coscienza da parte dei cattolici italiani, nella drammatica situazione in cui versano i loro fratelli iracheni? Si percepisce quali siano i drammi di questi cristiani?

R. – Ma sì. Intanto, mi meraviglia come purtroppo la nostra televisione di Stato, ma anche altre televisioni, si siano svegliate un po’ tardi rispetto a questi argomenti. Grazie a Dio, “Avvenire” e da questo punto di vista anche i nostri media, non stanno smettendo di sensibilizzare in questa direzione. Parlando qualche giorno fa con padre Samir, che è il parroco della parrocchia che sta accogliendo migliaia di cristiani profughi proprio in Iraq, lui mi diceva: “In questo momento, più che bisogno di cibo, di coperte, in questo momento stiamo riuscendo a far fronte a queste realtà materiali. Il problema serio – diceva lui: aiutateci con i media, aiutateci a creare consapevolezza, aiutateci a far sapere in che situazione siamo noi, che non si tratta di un fatto episodico, non è un fatto che tocca pochissime persone … Questa malvagità, questa violenza è supportata purtroppo da una volontà decisa, da parte dell’Isis, di formare veramente questo califfato”.

D. – In questi casi, l’indignazione della società civile dovrebbe essere assoluta …

R. – Ha detto bene: dovrebbe essere assoluta, l’indignazione. Di fatto, ho l’impressione che qualche volta l’informazione arrivi in ritardo. Ci facciamo prendere anche un po’ tutti dalla paura di dovere intervenire su certe realtà. Ho l’impressione che nell’Europa che è sempre pronta a dispensare raccomandazioni, anche sulle forme delle banane che devono essere immesse sul mercato, di fronte a queste realtà propone soluzioni che veramente mostrano la loro marginalità. Mi sembra molto importante l’apprezzamento che il Patriarca Sako e i vescovi dell’Iraq stanno manifestando nei confronti dei cristiani dell’Occidente, in particolare della Chiesa cattolica europea, che si sta muovendo tantissimo, anche nei confronti della campagna di AsiaNews “Adotta un cristiano di Mosul perché aiuti i cristiani a rimanere in Iraq”.

D. – In generale, la Chiesa si sta muovendo: la Chiesa italiana ha dato disponibilità ad accogliere i perseguitati che lasciano l’Iraq. Ecco: le famiglie e le singole persone, come possono aiutare i cristiani iracheni perseguitati?

R. – Le soluzioni a questo dramma non sono uguali dappertutto: cioè, da alcune parti ci viene chiesto veramente aiuto materiale, da alcune parti ci viene chiesto di identificare dove sono i campi profughi e quindi intervenire con gli operatori che sono nel campo; da altre parti, come padre Samir della parrocchia di San Giuseppe stava dicendo, “aiutateci a rendere consapevoli tutti attraverso l’informazione di quello che sta succedendo”. Quindi, il “che fare” si sta disponendo su livelli diversi. Innanzitutto, dico: non smettiamo di dare notizia, non smettiamo di far sapere cosa sta succedendo, non smettiamo di far capire che questa furia omicida e di persecuzione non si sta fermando e non ha nessunissima intenzione di fermarsi. Incominciamo a fare, in maniera martellante, questo tipo di informazione: partiamo con il 15 agosto in modo tale che ci sia una ancora maggiore consapevolezza. Noi sul campo già ci stiamo: la Cei ha già destinato dei fondi, per cui il problema immediato, in questo momento, è veramente fermare questa furia omicida, far sì che ci sia davvero una attenzione di tutto il mondo, e non solo – tra l’altro – dell’Occidente, nei confronti di questa tragedia.

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Ucraina: attesa per il convoglio russo alla frontiera

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Segnali contrastanti arrivano dall’Est dell’Ucraina, dove prosegue il confronto militare tra l’esercito di Kiev e i ribelli filorussi. Militari e doganieri ucraini sono pronti alla frontiera di Donetsk per ispezionare il convoglio di aiuti umanitari inviato da Mosca nel Paese vicino, che dovrebbe quindi proseguire per Lugansk. Ma secondo altre informazioni, anche mezzi militari russi avrebbero sconfinato durante la notte. Il servizio di Davide Maggiore

Oltre 120 persone sono state dispiegate per ispezionare il convoglio che, ha riferito Mosca, trasporta 1.800 tonnellate di aiuti umanitari. I camion, che per Kiev e alcuni Paesi occidentali potrebbero mascherare un intervento militare russo nel Paese, dovrebbero poi proseguire per Lugansk, roccaforte separatista insieme a Donetsk. In quest’ultima città undici civili sono stati uccisi e 8 sono rimasti feriti nelle ultime 24 ore. Ieri  si erano registrate inoltre le dimissioni di due importanti leader filorussi: Igor Strelkov e Valeri Bolotov. I separatisti, ha ammesso però l’esercito ucraino, hanno anche riconquistato alcune località della regione. Intanto, la Nato accusa Mosca di “escalation”, e secondo il governo lituano 70 pezzi d’artiglieria, destinati ai ribelli, avrebbero attraversato la frontiera nella notte. Kiev ha confermato lo sconfinamento di una colonna militare russa nelle stesse ore. Le speranze di risolvere la crisi sono affidate a colloqui tra Russia, Ucraina e Commissione europea, decisi dopo una telefonata tra il presidente russo, Vladimi Putin, e quello della Commissione, Manuel Barroso. La data dell’incontro non è ancora stata resa nota.

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Colombia: riprendono all'Avana i negoziati governo-Farc

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Riprendono il 16 agosto all'Avana i negoziati tra il governo colombiano e i guerriglieri delle Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane), per cercare di porre fine a una guerra civile che va avanti da oltre cinquant’anni. Tra i punti in discussione l'assistenza e il risarcimento per i familiari delle vittime, più di 200 mila morti e oltre 20 mila dispersi. La Conferenza episcopale ha già comunicato la propria disponibilità ad assistere le parti nell’individuazione delle vittime e nell’elaborazione dei criteri per eventuali risarcimenti. Ma come si possono risanare le famiglie coinvolte da queste ferite? Michele Raviart lo ha chiesto alla storica Bruna Peyrot, esperta dell'area: 

R. – Una delle condizioni è quella di ristabilire una giustizia attraverso la memoria, ricostruire cioè quello che è davvero successo, riconoscere quello che la storia ha tolto e quindi restituirlo su un altro piano. E non intendo soltanto da un punto di vista di monetizzazione del lutto, ma soprattutto del reinserimento sociale, del ridare una dignità a quelle pagine di storia che hanno tolto i propri cari. E’ oltre mezzo secolo che la Colombia vive una lacerazione profonda al suo interno.

D. - Lei ha scritto molte storie sulla Colombia: ce ne può raccontare una per far capire il dramma che hanno vissuto le famiglie coinvolte in questa guerra civile?

R. - Potrei ricordare per la Colombia una figura che è diventata famosa, quella di Pablo Montes, che è stato ucciso nel Puracé dalle Farc. E la zia, la madre e la famiglia avevano deciso di denunciare le Farc pur essendo loro stessi militanti delle Farc. E questo proprio per dimostrare che era possibile una via legale. Quindi io quell’atto, da parte di un famigliare, l’ho preso come simbolo.

D. - Quali sono le specificità di quello che è avvenuto in Colombia rispetto al resto del continente?

R. - Il percorso per la democrazia è stato più carsico: ha dovuto faticare di più ad uscire alla luce del sole. E’ stato molto difficile questo passaggio in Colombia, rispetto a come è invece avvenuto in altri Paesi, anche se certo non semplicemente: penso anche allo stesso Nicaragua, all’Argentina o all’Uruguay in cui anche dei leader guerriglieri sono poi diventati dei leader politici, che hanno quindi mediato il conflitto, che prima era armato, a livello delle istituzioni.

D. - Questi colloqui all'Avana sono il passaggio giusto per arrivare alla pace?

R. - Ho presente i famosi 6 punti che sono in discussioni: la terra, la partecipazione politica, le garanzie di cittadinanza, il discorso grosso delle vittime, la droga e, appunto, le modalità stesse di questo processo di pace. Sulla carta - come dire? - sembrano sempre tutti ottimi processi di pace: la Colombia ha sempre avuto delle ottime carte… Il problema è stato poi quello dell’attuazione e il “riamalgamare” questo da un punto di vista sociale: per esempio il reinserimento degli ex guerriglieri… Non so quando tutto questo possa essere efficace presto!

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Bicentenario nascita Don Bosco, al via le celebrazioni

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Si aprono in questa solennità dell’Assunta le celebrazioni per il Bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco, che mamma Margherita diede alla luce a Castelnuovo d’Asti, in Piemonte, il 16 agosto 1815. Un calendario fitto di eventi per ricordare il fondatore dei Salesiani e patrono dei giovani: l’apertura, dunque, a Castelnuovo, in programma, poi, ci sono i due Congressi internazionali di Storia e Pedagogia Salesiana e l’Incontro mondiale del Movimento Giovanile Salesiano. Dal 19 aprile, inoltre, una prolungata Ostensione della Sindone proprio in concomitanza con il Bicentenario. Sulle celebrazioni, Paolo Giacosa ha intervistato don Francesco Cereda, vicario del Rettore Maggiore: 

R. - Le celebrazioni del bicentenario iniziano nel giorno dell’Assunta, con l’accoglienza del Rettore Maggiore da parte del Consiglio comunale e del Consiglio pastorale parrocchiale. Già in questa prima sera il Rettore Maggiore porrà in evidenzia qual è  il ruolo di Maria nella vita di don Bosco, così come lui ha appreso l’affidamento a Maria da mamma Margherita e all’interno dell’ambiente parrocchiale. Sabato, che è propriamente il giorno dell’inizio del bicentenario c’è un pellegrinaggio, seguirà poi sul piazzale della Basilica di Don Bosco, a Colle Don Bosco, la celebrazione eucaristica. Durante queste celebrazioni eucaristiche il Rettore Maggiore lancerà il messaggio del bicentenario. Segue quindi il conferimento della cittadinanza onoraria al Rettore Maggiore del comune di Castelnuovo.

D. - Quali sono gli scopi del bicentenario, che ha come tema “Don Bosco con i giovani e per i giovani”?

R. - Lo scopo fondamentale è ricordare la figura di Don Bosco, vedendo specialmente quali sono le sfide cui egli ha fatto fronte per apprendere - da Don Bosco stesso - come oggi dobbiamo rispondere alle sfide dei giovani. Quindi potremmo dire una lezione di discernimento pastorale educativo sulle situazioni in cui i giovani vivono nelle diverse parti del mondo: come Don Bosco, anche noi desideriamo impegnarci come famiglia salesiana e come movimento salesiano a essere con i giovani e per i giovani. Quindi il tema della compagnia, quello dell’essere vicino a loro, del comprenderli, del coinvolgerli nell’azione educativa pastorale a favore di altri giovani, fino a far in modo che ogni giovane scopra il progetto di Dio su di lui, impostando così la sua vita per il futuro.

D. - Il bicentenario durerà fino al 16 agosto 2015: quali sono le principali iniziative in programma?

R. - Ci sono iniziative a livello delle Ispettorie di tutto il mondo, sono 90 Ispettorie; a livello, invece, di Congregazione, la prima - oltre l’apertura - sarà alla fine di settembre la consegna dei crocefissi missionari a coloro che partono per le diverse parti del mondo. Seguirà, in novembre, un congresso storico che prenderà in considerazione lo sviluppo del carisma di Don Bosco dal punto di vista della istituzione Opera Salesiana, dal punto di vista educativo e dal punto di vista spirituale. Proseguirà per l’Italia in particolare un momento nazionale il 24 di gennaio a Torino e nel mese di marzo avremo poi un convegno internazionale pedagogico all’Università Salesiana. Uno degli avvenimenti cui come famiglia salesiana parteciperemo è la visita del Papa a Torino in occasione dell’Ostensione della Sindone e in occasione anche di questo bicentenario. E poi nell’ultima settimana, l’incontro dei giovani di tutto il mondo in modo che prendano slancio per essere loro stessi Don Bosco oggi dove si trovano.

D. - Il messaggio del fondatore dei Salesiani riesce ancora ad essere attuale e quali sono i punti di forza?

R. - Noi vediamo come questo messaggio nelle varie parti del mondo faccia presa, proprio perché è un messaggio di simpatia, di vicinanza ai giovani. La pedagogia di Don Bosco possiamo definirla come l’arte dell’incoraggiamento: essere vicino a loro al punto in cui loro si trovano, attraverso anche la proposta della fede. Il sistema di Don Bosco, proprio per questo avvicinamento a loro, qualunque sia la loro espressione di fede, li porta ad una maturazione. Il progetto è quello di aiutare ogni giovane ad avere un futuro e possibilmente spendersi per gli altri, perché questo era lo stile di Don Bosco: cominciare costituendo un vasto movimento di persone, perché per educare bisogna essere in tanti.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pyongyang: lancio razzi nel Mar del Giappone non collegato a viaggio Papa

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Il regime nordcoreano ha dichiarato oggi che i lanci di razzi a corta gittata effettuati giovedì sono stati decisi per celebrare la ricorrenza dell'indipendenza della Corea e che sono stati guidati dallo stesso Kim Jong-un. A diffondere la notizia è stata l'agenzia statale nordcoreana KCN, che in una nota spiega che "in occasione del 69.mo anniversario della liberazione della Corea (dall'Impero Giapponese) ha avuto luogo il collaudo di potenti razzi tattici sotto la supervisione e la direzione del maresciallo Kim Jong-un".

L'Esercito popolare nordcoreano ha realizzato tre lanci pochi minuti prima dell'atterraggio di Papa Francesco a Seoul. Poche ore dopo, il regime di Kim Jong-un ha condotto altri due lanci dalla provincia di Wonsan. Seoul ha criticato ieri i lanci della Corea del Nord "nel giorno in cui il Papa portava a Seoul un messaggio di pace e riconciliazione" e ha esortato il regime di Kim Jong-un a "porre fine a provocazioni irresponsabili".

Intervistato dai giornalisti il direttore della Radio Vaticana, padre Federico Lombardi ha detto che i lanci del regime "non rappresentano qualcosa di eccezionale". Papa Francesco nel suo primo discorso del viaggio in Corea ha ricordato la tensione nella Penisola della Corea e ha esortato a continuare "gli sforzi in favore della riconciliazione e della stabilità nella penisola coreana". (R.B) 

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Vescovi inglesi: porre fine ad atrocità contro cristiani e yazidi

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Il cardinale arcivescovo di Westminster Vincent Nichols saluta positivamente gli aiuti umanitari offerti in questi giorni dal Governo britannico a favore delle martoriate popolazioni dell’Iraq e chiede al Foreign Office di intensificare anche gli sforzi diplomatici per fermare l’offensiva dei jihadisti dell’Isis.

In una lettera indirizzata al nuovo ministro degli Esteri britannico Philip Hammond, il presidente dei vescovi inglesi e gallesi sottolinea il ruolo che può svolgere in questo senso il Regno Unito. Per fermare le sofferenze inflitte in questi ultimi dieci anni alle comunità irachene, sottolinea la missiva, occorre puntare alla “creazione di una società basata sul rispetto dei diritti umani fondamentali, soprattutto la libertà religiosa, e sullo stato di diritto”. Di qui l’appello a intensificare l’impegno messo in campo dal Governo “per promuovere una cultura in cui sia posta al centro la dignità della persona”.

Il cardinale Nichols ha allegato alla sua missiva la lettera aperta indirizzata ieri dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per chiedere alla comunità internazionale di prendere urgentemente “decisioni che pongano fine alle atrocità contro i cristiani e altre minoranze religiose in Iraq” con “tutti i mezzi legittimi possibili”. (L.Z.)

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I vescovi della Slovacchia: difendere cristiani in Iraq, è genocidio

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La Conferenza episcopale slovacca ha indetto una speciale Settimana di preghiera per la pace e la riconciliazione nel mondo, da tenersi dal 15 al 22 agosto. Guardando, in particolare, ai conflitti che stanno devastando l’Iraq, la Terra Santa e l’Ucraina, si legge in una nota, i presuli si dicono sconvolti dalla "persecuzione dei cristiani sottoposti alla violenza ed alla morte, così come da tutti coloro che sono costretti ad abbandonare le loro case”.

“Per questo motivo – spiegano i vescovi di Bratislava - rivolgiamo un urgente appello a tutti i fedeli della Slovacchia ed agli uomini di buona volontà affinché  si uniscano a noi nella preghiera per la pace nel mondo e per la riconciliazione tra i popoli”. Al contempo, e “con la stessa urgenza”, i presuli si rivolgono agli “alti rappresentanti della Repubblica slovacca”, pregandoli di “non diminuire l’intensità dei loro sforzi orientati alla ricerca di soluzioni pacifiche e di voler difendere i fondamentali diritti umani”, sopratutto “nel caso dei cristiani in Iraq, i quali stanno patendo un vero genocidio”. La nota dei vescovi slovacchi si conclude con un’invocazione a Maria, Regina della Pace, affinché, per sua intercessione, si ottenga da Dio “il dono della riconciliazione e della pace”. (I.P.)

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Gaza: regge la tregua, oggi in Italia i funerali del reporter Camilli

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Prosegue la tregua a Gaza, mentre in Israele circa 10 mila persone, manifestando a Tel Aviv, hanno chiesto una “soluzione duratura” al conflitto con Hamas. Al Cairo proseguono i colloqui, ma l’esercito israeliano fa sapere di essere pronto a qualsiasi eventualità, perché considera le operazioni “non ancora terminate”. Intanto, si svolgeranno questa sera alle 18 i funerali di Simone Camilli, il videoreporter italiano rimasto ucciso nella Striscia: nella stessa chiesa di Pitigliano, in provincia di Grosseto, si raccoglierà per un momento di preghiera la comunità diocesana invitata dal vescovo. (D.M.)

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Nigeria: Boko Haram rapisce 100 giovani nel nordest

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Circa 100 ragazzi sono stati rapiti in Nigeria da sospetti appartenenti al gruppo Boko Haram. L’azione – hanno specificato alcuni testimoni che sono riusciti a fuggire – è avvenuta domenica scorsa a Doron Baga, nello stato nordorientale di Borno. Oltre a portare via i giovani, probabilmente per arruolarli nella propria milizia, i rapitori hanno anche ucciso sei persone, secondo quanto dichiarato dai testimoni, raggiunti a Maidiguri, la capitale del Borno. (D.M.)

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Somalia: almeno 14 morti dopo scontri a Mogadiscio

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Pesanti combattimenti hanno opposto nella notte le forze dell’Unione Africana e una milizia locale nella capitale somala di Mogadiscio: sono almeno 14 i morti. Gli scontri sono stati innescati dal tentativo delle forze della missione internazionale "Amisom" di disarmare i miliziani, fedeli al signore della guerra Ahmed Dai, che controllava il quartiere di Wajir. Dai ha negato ogni accusa, sostenendo di aver “difeso” la sua casa da un raid della missione internazionale. Dopo alcune ore di scontri, i soldati di "Amisom" sembrano aver ripreso il controllo della situazione. (D.M.)

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Usa: torna la calma a Ferguson dopo il discorso di Obama

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Negli Stati Uniti, le autorità del Missouri sono intervenute per ridurre le tensioni a Ferguson, la cittadina statunitense dove da giorni erano in corso violente proteste per l’uccisione del 18.enne nero, Michael Brown, da parte di un poliziotto bianco. La gestione dell’ordine pubblico è stata tolta alla contestata polizia locale e affidata alla stradale, che dipende dallo Stato del Missouri. Sulla vicenda è intervenuto nelle stesse ore anche il presidente Usa, Barack Obama: “Non ci sono scuse per un uso eccessivo della forza da parte della polizia contro manifestanti pacifici”, ha detto il capo di Stato americano, criticando anche l’arresto, durante le manifestazioni, di due giornalisti poi rilasciati. Le autorità federali, ha spiegato Obama, stanno indagando su quanto accaduto a Ferguson ed è tempo che “torni la pace sulle strade”. Le ultime manifestazioni, in effetti, si sono svolte nella calma. Nelle prossime ore, riferisce la Cnn, verrà reso noto il nome dell’agente che ha sparato contro Brown. (D.M.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 227

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.