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Sommario del 16/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa beatifica a Seoul 124 martiri: mettere Cristo al di sopra di tutto

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I martiri ci ricordano che bisogna mettere Cristo al di sopra di tutto e non scendere a compromessi con la fede. E’ uno dei passaggi forti dell’omelia di Papa Francesco nella Messa di beatificazione di Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri, avvenuta oggi a Seoul presso la Porta di Gwanghwamun. Alla celebrazione hanno preso parte circa 800 mila persone. Da Seoul, il servizio del nostro inviato Davide Dionisi: 

“L’eredità dei martiri può ispirare tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad operare in armonia per una società più giusta, libera e riconciliata, contribuendo così alla pace e alla difesa dei valori autenticamente umani in questo Paese e nel mondo intero”.

L’eroico sacrificio di tanti martiri ha reso fecondo e ricco di prospettive future la Corea. Grazie a loro, il Vangelo di Cristo è cresciuto come albero adulto ed i frutti si espandono anche fuori del proprio Paese e del Continente asiatico. A Gwanghwamun, luogo simbolo di Seoul, Papa Francesco ha presieduto la Messa di beatificazione di 124 martiri, davanti ad 800mila fedeli. Durante l’omelia il Pontefice ha ricordato la vittoria e la testimonianza di chi ha pagato con il supremo sacrificio la loro fede in Dio. Paolo Yun Ji-chung e i suoi compagni hanno sigillato la loro missione di precursori con il martirio e da qui è scaturito il seme di nuovi cristiani:

“Il loro esempio ha molto da dire a noi, che viviamo in società dove, accanto ad immense ricchezze, cresce in modo silenzioso la più abbietta povertà; dove raramente viene ascoltato il grido dei poveri; e dove Cristo continua a chiamare, ci chiede di amarlo e servirlo tendendo la mano ai nostri fratelli e sorelle bisognosi”.

L’esempio dei martiri, inoltre, ci insegna l’importanza della carità nella vita di fede e la loro eredità può ispirare tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad operare in armonia per una società più giusta, libera e riconciliata. Ispirare soprattutto i laici i primi apostoli nella Corea, coloro che evangelizzarono il Paese. Caso singolare per un'area del mondo che, nonostante i numeri sempre in crescita dei fedeli, non ha conosciuto la parola di Dio da missionari:

Nella misteriosa provvidenza di Dio, la fede cristiana non giunse ai lidi della Corea attraverso missionari; vi entrò attraverso i cuori e le menti della gente coreana stessa. Essa fu stimolata dalla curiosità intellettuale, dalla ricerca della verità religiosa. Attraverso un iniziale incontro con il Vangelo, i primi cristiani coreani aprirono le loro menti a Gesù. Volevano conoscerlo di più, questo Cristo che ha sofferto, è morto ed è risorto dai morti”.

La Chiesa cattolica in Corea è cresciuta sul sangue dei martiri e si è dimostrata un buon esempio per la società coreana promuovendo la giustizia e i diritti umani, ha sottolineato l’arcivescovo di Seoul, card. Andrea Yeum Soo-jung, nel suo indirizzo di saluto al Papa. Il porporato si è detto convinto che questa beatificazione sarà un'occasione per realizzare la concordia e l'unità non solo dei cattolici coreani ma anche del popolo coreano e di tutti gli altri popoli asiatici, attraverso lo scambio della fraternità universale.

Essere martiri vuol dire soprattutto essere testimoni di Gesù. E a proposito di testimonianza, prima della Messa il Santo Padre si è fermato ancora una volta a salutare i familiari delle vittime del traghetto. Il suo abbraccio e la condivisione del dolore, nei giorni scorsi, ha suscitato tanta commozione e i quotidiani locali dedicano ai gesti di affetto e di condivisione del dolore ampi spazi. Anche perché, oltre ai segni e alle parole, il Papa continua ad indossare il piccolo nastro ripiegato ad anello di colore giallo, simbolo di vicinanza e solidarietà nei confronti delle vittime.

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Francesco ai religiosi: no a ipocrisia di chi fa voto di povertà e vive da ricco

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“La vita consacrata è un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nell’incontro con le comunità religiose coreane, nel grande auditorium della “School of Love” di Kkottongnae. Il Papa ha avvertito che non si può fare voto di povertà e poi vivere da ricco, è un’ipocrisia che danneggia la Chiesa. All’incontro hanno preso parte 5 mila religiosi e religiose che svolgono il servizio pastorale in Corea. Per motivi di tempo, visto il prolungarsi dell’incontro del Papa con i bambini disabili, non sono stati recitati i Vespri come inizialmente programmato. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Un’Ave Maria recitata con la dolce sonorità della lingua coreana ha dato inizio ad un incontro più breve di quello previsto ma non per questo meno bello e significativo. Il bianco dei veli delle religiose radunate nell’auditorium spiccava dinnanzi allo sguardo di Papa Francesco che, nel suo discorso, ha subito voluto sottolineare che al centro della vocazione c’è la gioia del sentirsi amati da Dio:

“Solo se la nostra testimonianza è gioiosa potremo attrarre uomini e donne a Cristo; e tale gioia è un dono che si nutre di una vita di preghiera, di meditazione della Parola di Dio, della celebrazione dei Sacramenti e della vita comunitaria. Quando queste mancano, emergeranno le debolezze e le difficoltà che oscureranno la gioia conosciuta così intimamente all’inizio del nostro cammino”.

Per esperienza, ha aggiunto, “so che la vita comunitaria non è sempre facile, ma è un terreno provvidenziale per la formazione del cuore”. Nonostante conflitti e difficoltà, ha evidenziato, “è nella vita comunitaria che siamo chiamati a crescere nella misericordia, nella pazienza e nella perfetta carità”. Francesco ha quindi affermato che “nella vita consacrata la povertà è sia un muro che una madre”. “È un muro – ha precisato – perché protegge la vita consacrata, è una madre perché la aiuta a crescere e la conduce nel giusto cammino”:

“L’ipocrisia di quegli uomini e donne consacrati che professano il voto di povertà e tuttavia vivono da ricchi, ferisce le anime dei fedeli e danneggia la Chiesa. Pensate anche a quanto è pericolosa la tentazione di adottare una mentalità puramente funzionale e mondana, che induce a riporre la nostra speranza soltanto nei mezzi umani e distrugge la testimonianza della povertà che Nostro Signore Gesù Cristo ha vissuto e ci ha insegnato”.

Il Pontefice ha, dunque, ringraziato i presidenti dei religiosi e delle religiose coreane, che avevano pronunciato l’indirizzo d’omaggio, perché hanno parlato del pericolo che “la globalizzazione e il consumismo” rappresentano per la “vita della povertà religiosa”. “Non ci sono scorciatoie”, ha detto ancora: “Dio desidera i nostri cuori completamente, e ciò significa che dobbiamo distaccarci e uscire da noi stessi sempre di più”. La castità, ha così osservato il Papa, “esprime la vostra donazione esclusiva all’amore di Dio”. Le tentazioni in questo campo, ha affermato, “richiedono umile fiducia in Dio, vigilanza e perseveranza”. Infine, un rinnovato incoraggiamento ad essere testimoni gioiosi di Dio nella società coreana:

“Cari fratelli e sorelle, con grande umiltà, fate tutto ciò che potete per dimostrare che la vita consacrata è un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo. Non trattenetelo solo per voi stessi; condividetelo, portando Cristo in ogni angolo di questo amato Paese. Lasciate che la vostra gioia continui a trovare espressione nei vostri sforzi di attrarre e coltivare vocazioni, riconoscendo che tutti voi avete parte nel formare gli uomini e le donne consacrati quelli che verranno dopo di voi, domani”.

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Oltre a carità curare promozione umana: così il Papa ai laici coreani

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Pane e promozione umana. Per Papa Francesco sono questi i due “poli” dell’attività di un laico cristiano. Lo ha affermato nel discorso che ha chiuso la sua quarta giornata del viaggio apostolico in Corea, pronunciato al cospetto dei leader dell’Apostolato laico coreano, incontrati nel Centro di spiritualità di Kkottongnae, la cittadella della carità che sorge a 90 km da Seoul. La cronaca di Alessandro De Carolis

Parlare ai laici coreani è rivolgersi a una parte della comunità cattolica che porta con orgoglio la consapevolezza e ama spesso ricordare che se oggi esiste una Chiesa nel Paese è perché ieri in larga parte dei laici l’hanno fondata, promossa e difesa anche perdendo la vita.

Papa Francesco ne è ben cosciente quando inizia il suo discorso davanti alle 150 persone, donne e uomini, che guidano l’Apostolato dei laici in Corea, rete che conta 37 sedi in tutta la nazione e basi in 16 diocesi. Un sistema capillare, erede di una sensibilità evangelica che si traduce – riconosce il Papa – in opere di “esemplare carità”, che non badano alla “cultura e allo stato sociale” di chi ne beneficia. Pur “profondamente grato” per questa testimonianza, Papa Francesco precisa: “Questa attività non si esaurisce con l’assistenza caritativa, ma deve estendersi anche ad un impegno per la crescita umana”:

“Assistere i poveri è cosa buona e necessaria, ma non è sufficiente. Vi incoraggio a moltiplicare i vostri sforzi nell’ambito della promozione umana, cosicché ogni uomo e ogni donna possa conoscere la gioia che deriva dalla dignità di guadagnare il pane quotidiano, sostenendo così le proprie famiglie. Ecco, questa dignità, in questo momento, è minacciata di essere tolta per questa cultura del denaro, che lascia senza lavoro tante persone (…) Lui e lei, che sono senza lavoro, devono sentire nel loro cuore la dignità di portare il pane a casa, di guadagnarsi il pane! Vi affido questo lavoro a voi”.

Il mondo ormai conosce quanto a Papa Francesco stia a cuore la dignità di chi lavora e quanto lo addolori l’attuale scenario di crisi che produce più disoccupazione che possibilità di impiego. E conosce anche la sua preoccupazione per le sorti della famiglia, quella cristiana in particolare, che chiede ai laici coreani di difendere:

“In un’epoca di crisi della vita familiare – lo sappiamo tutti – le nostre comunità cristiane sono chiamate a sostenere le coppie sposate e le famiglie nell’adempiere la loro missione nella vita della Chiesa e della società. La famiglia rimane l’unità basilare della società e la prima scuola nella quale i bambini imparano i valori umani, spirituali e morali che li rendono capaci di essere dei fari di bontà, di integrità e di giustizia nelle nostre comunità”.

Parole di gratitudine, Papa Francesco spende per le “donne cattoliche coreane” e per il “prezioso contributo” che, dice, offrono “alla vita e alla missione della Chiesa in questo Paese, come madri di famiglia, catechiste e insegnanti e in altri svariati modi”. Ma a tutti i laici indistintamente affida il compito di curare con “catechesi permanente” e “direzione spirituale” chi scelga di servire la Chiesa in questa specifica vocazione e di operare in “completa armonia di mente e cuore” con vescovi e sacerdoti:

“Oggi, come sempre, la Chiesa ha bisogno di una testimonianza credibile dei laici alla verità salvifica del Vangelo, al suo potere di purificare e trasformare il cuore umano, e alla sua fecondità nell’edificare la famiglia umana in unità, giustizia e pace (...) Il vostro contributo è essenziale, poiché il futuro della Chiesa in Corea, come in tutta l’Asia, dipenderà in larga parte dallo sviluppo di una visione ecclesiologica fondata su una spiritualità di comunione, di partecipazione e di condivisione dei doni”.

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Il Papa abbraccia e benedice i disabili del Centro di Kkottongnae

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È stato il linguaggio universale della tenerezza il protagonista dell’incontro tra Papa Francesco e i disabili – 150 adulti e una cinquantina bambini – ospiti della “House of Hope”, un Centro di recupero che sorge a Kkottongnae. La località, a 90 km da Seoul, ospita su una collina una vera e propria cittadella della carità, con alloggi e ospedali per la cura dei poveri e dei malati abbandonati.

A piedi scalzi, in segno di rispetto, il Papa ha fatto ingresso nella struttura verso le 16.30, ora locale, fermandosi brevemente in preghiera nella cappellina per poi intrattenersi per mezz’ora in una grande sala dove, assieme ai malati, erano presenti anche i 70 operatori sanitari e insegnanti – religiosi, religiose e laici – che prestano opera di assistenza nel Centro.

Con grande affetto, dopo alcuni canti e aver ricevuto bigliettini e molti piccoli doni dai malati – tra cui una corona di fiori indossata sul collo e un suo ritratto eseguito da una donna gravemente disabile – Papa Francesco ha salutato uno a uno i degenti, accarezzandoli, baciandoli e benedicendoli. Grande simpatia ha suscitato da parte del Papa quando, congedandosi verso le 17.15, ha ripetuto con le braccia poste sul capo il gesto simbolo che sono soliti fare le persone che vivono nella “House of Hope”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Francesco prega davanti al "Giardino dei bambini abortiti"

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Una sosta breve ma capace di catalizzare rapidamente l’attenzione mondiale. È quella, di appena qualche minuto, che Papa Francesco ha compiuto al “Giardino dei bambini abortiti”, poco dopo essersi congedato dai disabili e dai loro assistenti incontrati nella vicina “House oh Hope” a Kkottongnae.

Il Papa è sceso dall’auto che lo portava all’incontro con i religiosi e si è avvicinato al simbolico cimitero formato da dozzine di croci bianche piantate nell’erba, rimanendo per qualche istante in silenzio e in preghiera. Prima di ripartire, Papa Francesco ha salutato una rappresentanza degli attivisti “Pro-life” coreani e il missionario senza gambe e braccia, Br. Lee Gu-won.

Nella sua Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, Papa Francesco aveva ricordato che tra i “deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo”.

Ribadendo che sul punto “non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione”, Papa Francesco scriveva: “Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a ‘modernizzazioni’. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero – riconosceva con schiettezza – che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l'aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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L'appello del Papa ai sacerdoti: non castigate il popolo di Dio, consolatelo!

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Ieri il Papa si era recato a sorpresa presso la Sogang University di Seoul, prestigioso ateneo gesuita della Corea del Sud. E’ stato un incontro semplice e familiare. Papa Francesco ha rivolto ai Gesuiti un breve ma intenso discorso a braccio. Ce ne parla Sergio Centofanti

“Non castigate più il popolo di Dio! Consolate il popolo di Dio!”: questa l’esortazione del Papa ai sacerdoti, ribadendo la sua convinzione che la Chiesa in questo momento è “un ospedale da campo”, perché “il popolo di Dio ha bisogno di consolazione, di essere consolato” per le sue “tante ferite”. E “ci sono molte ferite nella Chiesa – ha osservato – ferite che molte volte provochiamo noi stessi, cattolici praticanti e ministri della Chiesa”. “Tante volte il nostro atteggiamento clericale”, il clericalismo, fa tanto male alla Chiesa.

“Consolazione è una parola bella per chi la riceve – ha aggiunto - però è difficile dare consolazione”. Tuttavia “non ci sono ferite che non possono essere consolate dall’amore di Dio”. Così, i sacerdoti sono chiamati a “curare le ferite”, nella certezza che “Dio consola sempre, spera sempre, dimentica sempre, perdona sempre”.

“Essere sacerdote – ha affermato Papa Francesco - non dà lo status di chierici di Stato, ma di pastore. Per favore – è la sua esortazione conclusiva - siate pastori e non chierici di Stato. E quando siete nel confessionale ricordatevi che Dio non si stanca mai di perdonare. Siate misericordiosi!”.

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Card. Tagle: asiatici colpiti dall'autenticità di Francesco

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Il cardinale filippino Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo di Manila, che accoglierà Papa Francesco nelle Filippine nel prossimo gennaio, sta seguendo il Pontefice anche in questo suo primo viaggio nel continente asiatico. Ascoltiamo la sua riflessione al microfono del nostro inviato in Corea, Davide Dionisi

R. – Noi asiatici siamo lieti e ci sentiamo benedetti dalla visita pastorale del Santo Padre. A gennaio dell’anno prossimo, noi filippini saremo pronti ad accogliere il Santo Padre con un abbraccio, un abbraccio caloroso, a Manila!

D. – Secondo lei, perché piace così tanto, Papa Francesco?

R. – Secondo me, il primo punto è che i giovani mostrano un’apertura ad un modello di umanità e i giovani cercano questo modello e trovano nel Santo Padre questo cuore pieno, pieno di umanità, di amore e compassione e misericordia. E da parte sua, il Santo Padre mostra ai giovani questa sincerità di cuore, questa autenticità di umanità. E questo dialogo di due cuori, ambedue aperti all’amore di Dio, questo per me è una fonte di energia, di zelo …

D. – La visita del Papa in Corea è quasi come se volesse iniziare un nuovo annuncio del Vangelo partendo proprio da qua …

R. – La Corea diventa un centro non solo nella Regione dell’Asia, ma un centro mondiale, economico e anche politico. Anche nel mondo dell’arte, nel mondo della musica la Corea è tra i leader del mondo. Mi sembra che la visita pastorale del Santo Padre sia un incoraggiamento anche per la Chiesa di Corea, affinché faccia un passo avanti nell’evangelizzazione e nell’attività missionaria e caritativa verso i sofferenti ed i poveri del mondo.

D. – Può anticipare qualcosa per il prossimo viaggio in Asia, che oltre alle Filippine prevede anche una tappa nello Sri Lanka?

R. – La visita pastorale del Santo Padre nelle Filippine avrà due punti nodali: il primo è per incoraggiare i filippini, specialmente i laici, le famiglie, i giovani, anche i poveri ad essere missionari della fede nel mondo contemporaneo, a portare il messaggio di Gesù Cristo nei vari livelli del mondo, della vita contemporanea; il secondo è per visitare la gente che soffre a causa del tifone, le vittime del tifone e del terremoto: un atto concreto di compassione, di solidarietà con i sofferenti.

D. – Cosa racconterà? Cosa sta raccontando ai suoi confratelli vescovi, ai sacerdoti, ai parroci filippini di questi giorni di Papa Francesco?

R. – In Corea, io mi sento come un giovane, un giovane … Nell’incontro di ieri, io mi sentivo come un ragazzo che volevo vedere per la prima volta il mio “nonno nella fede”: la gioia dei giovani è come un virus che mi ha contagiato! [ride] E gli altri cardinali e vescovi, accanto a me mi sembra che sentissero la stessa cosa. Ho sentito non solo l’amore, ma anche la sete dei giovani per l’autenticità e per la comunione. I giovani asiatici vogliono toccare le mani, toccare … in questo contatto umano, la comunione diventa vera.

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Oggi in Primo Piano



Card. Filoni, i bambini yazidi ci dicono: "Cosa fate per noi?"

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Il cardinale Fernando Filoni, inviato personale del Papa in Iraq, prosegue la sua missione tra i rifugiati nel Kurdistan. Il porporato ieri aveva portato gli aiuti del Pontefice a una comunità yazida: oggi ha avuto un altro toccante incontro con i membri di questo gruppo religioso. Ma ascoltiamo la testimonianza del cardinale Filoni al microfono di Sergio Centofanti

R.. - Questa mattina a Duhok ho incontrato il governatore di questa regione: abbiamo ampiamente parlato della situazione dei rifugiati e abbiamo anche appreso di quanto il governo locale stia facendo in favore dei vari gruppi. Da parte sua, naturalmente, c’è un impegno molto generoso, anche se certo la regione non ha i mezzi sufficienti per sopportare a lungo la situazione che si è venuta a creare: quasi si è raddoppiata la popolazione, rispetto a quella precedente. Dunque, anche lui chiede che aiuti giungano il più presto possibile, soprattutto riguardo ai generi di prima necessità. Siamo poi andati a visitare con gli altri vescovi, il patriarca caldeo e il nunzio, i vari insediamenti per i rifugiati e abbiamo fatto una visita a Manghes, che è un villaggio dove c’è un buon numero di cattolici caldei e dove ho potuto vedere la situazione e parlare con gli ospiti di questo centro parrocchiale, nel quale numerose famiglie sono ospitate: si tratta di persone che sono fuggite da Qaraqosh, da Bakhdida e da altri villaggi della Piana di Ninive. C’è fiducia che la Chiesa non li abbandonerà, ma anche loro si appellano affinché il loro grido non venga a livello internazionale dimenticato. Poi, lì vicino, in una scuola messa a disposizione dal comune, siamo andati a visitare i rifugiati degli yazidi. Qui ho trovato una situazione molto, molto drammatica: non tanto dal punto di vista logistico, quanto da un punto di vista psicologico e morale. Ho visto soprattutto donne e tantissimi bambini e pochi anziani… Nel parlarmi, questi anziani piangevano perché non vedono più futuro per la loro terra, la loro cultura, la loro tradizione e continuamente ci domandavano: “Che male abbiamo fatto per essere uccisi?”. Le donne erano in una situazione passiva: tra l’emozione, il piano e l’incapacità di avere una reazione, stordite dal dolore e dalla sofferenza. I bambini, naturalmente tantissimi, che ci circondavano, ci guardavano con quegli occhi grandi, quasi a chiederci: “Che costa state facendo per noi?”. Una situazione commovente, una situazione di grande sofferenza, credo condivisa da tutti. Il fatto che abbia assicurato che il Papa e la Chiesa cattolica li difende, che parla per loro e che loro abbiano voce attraverso di noi, li ha un po’ rincuorati. E poi continuano a giungere ancora notizie di uccisioni: si parla di 100 uomini che sono stati uccisi, la notizia è arrivata questa mattina… Stiamo cercando di approfondirla meglio. Si parla di situazioni disperate in alcuni villaggi, perché  la gente non è riuscita a fuggire.

D. - L’Unione Europea si sta muovendo per aiutare, in particolare, i curdi ad affrontare l’offensiva jihadista, l’Onu ha votato una Risoluzione, oggi sono arrivati ad Erbil i primi aiuti italiani. I rifugiati vedono che, piano piano, il mondo si sta muovendo per loro?

R. - Hanno ancora una percezione relativa. Queste notizie sono ancora notizie - come dire – mediatiche. La raccomandazione che tutti ci fanno è: “Fate in fretta! Non lasciate morire la speranza!”. Capiscono che quanto più passa il tempo, più in loro viene meno la speranza di ritornare ad una vita dignitosa e normale. Loro dicono che bisogna fare una cintura internazionale di protezione attorno a questi villaggi e dicono: “Fate presto!”. E’ chiaro che quindi c’è un livello immediato di intervento, ma c’è anche un livello in cui bisogna in tutti i modi e a tutti i costi  che le Nazioni Unite, l’Unione Europea non soltanto si preoccupino di questo, ma si preoccupino anche di creare condizioni fattibili per il ritorno alla vita normale.

D. - A suo avviso, la Comunità internazionale cosa può fare di altro, che non sta facendo?

R. - Quello che mi sento di dire è un appello: “Fate presto!”. Vedo che la gente soffre e avrebbe bisogno di sentire anche una parola urgente da parte della Comunità internazionale in loro favore. Sono stati dimenticati un po’ troppo a lungo!

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Iraq: nuova strage di yazidi. 80 uccisi e 200 rapiti dai jihadisti

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Non si ferma l’orrore nel nord dell’Iraq. I miliziani dell’Isis hanno perpetrato un nuovo massacro contro la minoranza yazida. Almeno 80 le vittime accertate. Intanto, Gli Stati Uniti continuano a bombardare le postazioni dei jihadisti mentre l’Unione europea ha dato il via libera alla fornitura di armi ai peshmerga curdi per fronteggiare l’avanzata del califfato. Anche l’Onu si mobilita con una risoluzione volta ad ostacolare il finanziamento dell’Isis. Il servizio di Marco Guerra: 

Un convoglio di uomini armati ieri pomeriggio è entrato nel villaggio di Kocho, 100 chilometri a ovest di Mosul, e ha compiuto l’ennesima strage di yazidi. Secondo dei sopravvissuti sentiti dalle autorità curde arrivate dopo il massacro, almeno 80 uomini sto stati uccisi perché hanno rifiutato di convertirsi all’Islam. Gli ostaggi, più di 200 donne e bambini sono stati trasferiti - stando alle informazioni riportate da fonti locali - nella città di Tal Afar. I bombardamenti dei caccia statunitensi non riescono quindi a fermare l’imperversare delle milizie jihadiste nel nord dell’Iraq. Oggi, nuovi raid sulle postazioni dell’Isis vicino alla diga di Mosul. Una delle più grandi e strategiche del Paese, finita sotto il controllo dei jihadisti. Droni Usa hanno poi distrutto due veicoli corazzati. E a breve arriveranno gli aiuti militari dei Paesi europei ai peshmerga curdi. Ieri, il Consiglio dei ministri degli Esteri dell'Ue ha dato il via libera alla decisione di alcuni Stati membri di consegnare le armi ai curdi iracheni che combattono l'Isis. Già nei giorni scorsi, le singole cancellerie avevano annunciato l’invio di materiale militare di vario genere, mentre oggi è atterrato a Erbil il primo aereo di aiuti umanitari mandati dall’Italia. Anche l’Onu si muove con l’approvazione di una risoluzione che ostacola il reclutamento e il finanziamento dei jihadisti dello Stato islamico. Si allenta invece la tensione politica a Baghdad, dopo la decisione del premier uscente, al Maliki, di dimettersi lasciando al neo eletto al-Abadi la possibilità, entro un mese, di formare il nuovo esecutivo.

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Iraq, Pistelli: le nostre forniture ai curdi non arriveranno tardi

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Il primo dei sei aerei italiani con aiuti umanitari è atterrato oggi a Erbil, nel Kurdistan iracheno. La situazione umanitaria è stata affrontata dai ministri degli esteri dell'Ue riuniti ieri a Bruxelles, che hanno anche concordato nella necessità di armare i curdi assediati dai jihadisti in Iraq. Per stabilire l’intervento dell’Italia, il 20 agosto sono state convocate le commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato. Alessandro Guarasci ha sentito il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli

D. – Quale sarà il ruolo dell’Italia in questa fornitura di armi ai curdi? Non si rischia di arrivare tardi? Il ministro Mogherini, infatti, ha detto che prima dovrà esserci un passaggio parlamentare e questo potrebbe avvenire presumibilmente a fine agosto...

R. – Partiamo intanto da quello che è già arrivato. Stanotte, è arrivato ad Erbil un primo volo di aiuti umanitari e stasera arriva il secondo di sei voli umanitari. Questo per ribadire, quindi, che l’Italia, innanzitutto sul fronte umanitario c’è ed è stato il primo Paese ad essere politicamente lì. Adesso, c’è una sequenza di visite in corso e siamo tra i più esposti su questo fronte. Per quanto riguarda il resto, noi dobbiamo assolutamente seguire delle procedure interne internazionali e stiamo attenti a non ripetere errori fatti in passato. Per quanto riguarda le forniture, noi abbiamo uno strumento che è il “decreto missioni” e abbiamo bisogno in questa circostanza di un passaggio parlamentare. Il passaggio parlamentare potrebbe anche avvenire, se uno vuole, a posteriori, quindi a fine agosto. Dato però che gli americani con diverse procedure sono riusciti ad arrivare per tempo e hanno anche segnato alcuni successi che hanno permesso di ridurre il danno dell’avanzata di Isil, credo che le nostre forniture, per quello che saranno, non arriveranno comunque tardi.

D. – Lei è soddisfatto della risposta dell’Europa? Insomma, si comincia a capire quale sia il pericolo di quell’avanzata?

R. – Ho soltanto il cuore gonfio per tutti quelli che hanno perso la vita a causa dei ritardi fino ad oggi. Mi pare che adesso la risposta dell’Europa cominci a esserci e che ci sia una consapevolezza accresciuta, finalmente. Ringrazio anche per l’appello che ha fatto il Santo Padre, che è stato una bella sveglia per tutti, almeno per tutti quelli che dormivano, per capire qual è la minaccia esistenziale per due o tre Paesi che sono attraversati dal progetto del "Califfato" di al-Baghdadi. Al tempo stesso, senza questa pressione internazionale, non ci sarebbe stato il cambio, che è un cambio importante, con la designazione di un leader sciita, al-Abadi diverso da al-Maliki. Quindi, adesso tutto l’incoraggiamento va anche ad al-Abadi, affinché riesca a formare in un paio di settimane un governo che dia una prospettiva politica anche all’Iraq unitario.

D. – Temete qualche riflesso negativo in Europa? Mi riferisco ad attacchi terroristici...

R. – Questo è uno di quei pericoli che ovviamente sono sempre sotto la vigilanza delle diverse intelligence nazionali, per i quali è sbagliato sollevare un allarme non motivato e che potrebbe essere generalizzato, e cioè che ovunque uno veda un iracheno sunnita, islamico che vive in Europa, lì potenzialmente vi sia una cellula dormiente e chissà quale attentato in corso: è un errore. Dall’altra parte, è chiaro che questo è un mondo aperto, nel quale dall’11 settembre in poi sappiamo che, se non teniamo sotto controllo dei centri di radicalismo islamista e jihadista, ovviamente c’è sempre il rischio di una metastasi che si diffonda sul territorio europeo.

D. – Al momento, dunque, non ci sono rischi particolari da quello che capisco...

R. – Niente che sia nel radar, dopo di che spero di non essere smentito dai fatti di cronaca. Credo, però, che tanto più la risposta è europea, convinta e robusta e tanto più siamo capaci invece di ributtare questo progetto del "Califfato" e di sradicarlo veramente dalla mappa geografica. Ci avviciniamo al centenario degli accordi Sykes-Picot, che furono accordi imperfetti, nessuno dice il contrario, ma anche l’idea che la mappa del Medio Oriente possa venire riscritta da un’organizzazione, che immagina di instaurare il califfato su quattro Paesi, questo mi sembra assolutamente fuori da ogni possibilità di accettazione.

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Russia-Ucraina: nessuna intesa su aiuti. Caritas: gente è sotto shock

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Ancora alta la tensione tra Russia e Ucraina, dopo che Kiev ha affermato di aver distrutto parte di una colonna di blindati di Mosca, lungo la frontiera di Donetsk, sventando un'incursione militare. Ma il presidente Putin nega e accusa a sua volta Kiev di voler ostacolare l'invio dei convogli carichi di aiuti destinati ai separatisti. "Senza accordi bilaterali, non ci sarà nessuna missione umanitaria", fa sapere intanto la Croce Rossa internazionale. Dunque è stallo, sarà forse il vertice di domani Berlino tra i ministri degli esteri di Russia e Ucraina, insieme a quelli di Francia e Germania, a trovare la mediazione. In questa situaizone, è la popolazione del sudest ucraino a soffrire di più. “E’ difficile far arrivare gli aiuti e non c’è chiarezza su quanto accade effettivamente nell’area di conflitto”, spiega al microfono di Gabriella Ceraso, la consulente Caritas Ucraina, Karel Zelenka: 

R. – Non c’è accesso alle zone in conflitto. La situazione che si conosce di Donetsk e Lugansk è che praticamente non c’è elettricità da tanti, tanti giorni. Non c’è approvvigionamento di prodotti freschi, mentre la temperatura è tra i 30 e i 35 gradi e questo significa che la situazione, soprattutto per gli anziani, è difficile. La gente cerca di scappare, di fuggire, ma le strade non sono sicure. Ci sono 165 mila sfollati in Ucraina e circa 185 mila in Russia.

D. – In questi quasi quattro mesi di conflitto, la popolazione non ha ricevuto nessuna forma di aiuto umanitario?

R. – Limitatissimo. Non regolare. E non si sa esattamente chi riceva questi aiuti.

D. – Che cosa sarebbe necessario per sbloccare la situazione?

R. – Penso un accordo politico, che è difficilissimo, ma anche a questo intervento della Croce Rossa internazionale. Noi, come Caritas, stiamo cercando di aiutare con l’acqua, l’acqua potabile, che è importantissima.

D. – Di cos’altro c’è bisogno?

R. – Di medicine, articoli di igiene personale e materiali per ospedali: soprattutto questo, perché sembra che adesso ci siano di nuovo tanti, tanti feriti nelle zone di conflitto… Poi, c’è anche gente che sta cercando rifugio negli ospedali…

D. – Ma la gente come sta vivendo questo momento? Cosa capisce di quello che accade?

R. – Ci sono tanti casi di traumi psicologici, oltre che fisici. C’è un grande desiderio che questo conflitto finisca e che si possa tornare nelle proprie case. Ecco, questi sono i sentimenti: shock e trauma per molta gente, ma anche incertezza del futuro ha il suo peso, perché in Ucraina non è ancora finita la transizione e questo conflitto non da un buon aiuto alla transizione.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 20.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui una donna cananèa implora Gesù, gridando, di liberare la figlia dal demonio. Il Signore, prima, non le rivolge neanche la parola, poi la respinge. Ma la donna insiste con coraggio. Allora Gesù dice:  

«Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 

Trovo commovente questa pagina di Matteo, questo dialogo tra la donna cananea e Gesù, con la confessione di Cristo sulla fede della donna. Quante volte, anche nella storia della Chiesa, sono risuonate queste parole di Gesù: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”. Dietro quante vocazioni, dietro quanti gesti di fede, dietro quanta capacità di offrire e di soffrire, dietro quanta speranza negli ospedali, davanti a casi terminali o a malattie di ordinaria quotidianità, troviamo la “grande fede” di una donna. Dietro quanti matrimoni santi o difficili, dentro il cuore di quanti uomini c’è la consolazione del cuore di una donna, piena di fede! Accanto a quanti santi c’è la genialità, la dedizione, la fede di una donna. Anche dietro tanti Istituti c’è la risposta di fede data a Dio da una donna! Le parole del Signore a questa straniera, dicono tutto il dono che Dio ha fatto all’umanità con la creazione della donna! Le parole di Cristo sulla fede di questa donna dovrebbero oggi riempire anche noi di gratitudine.  Papa Francesco, nella “Evangelii Gaudium”, non solo “riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini”, ma non teme di affermare: “C’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa” (n. 103). La cananea è figura della Chiesa: preghiamo perché il Signore non guardi oggi ai nostri peccati ma alla fede della sua Chiesa...

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Nella Chiesa e nel mondo



I Patriarchi orientali in Iraq per solidarietà ai cristiani

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Una delegazione di Patriarchi orientali guidati dal Patriarca dei Maroniti, cardinale Béchara Raï, si recherà lunedì 18 agosto a Erbil nel Kurdistan iracheno per esprimere la vicinanza e solidarietà della Chiesa libanese con cristiani fuggiti dalle persecuzioni dell’Isis. Lo ha annunciato dai microfoni della “Voce del Libano” mons. Samir Mazloum. Se le condizioni lo permettono la delegazione si recherà anche a Baghdad. Nel programma della visita sono previsti incontri con le autorità del Kurdistan iracheno che sta accogliendo migliaia di profughi e il Patriarca di Babilonia dei caldei Louis Sako.

Poco più di una settimana fa, al termine della loro assemblea mensile, i vescovi e patriarchi libanesi avevano invocato l’urgente intervento della comunità internazionale per fermare l’avanzata del sedicente Califfato islamico e le sue efferate violenze contro i cristiani e le altre minoranze, lamentando l’inerzia delle Nazioni Unite, dei Paesi Arabi e di quelli occidentali di fronte alla tragedia in atto in tutto il Medio Oriente. I presuli con il Patriarca Raï hanno inoltre criticato offerte di asilo provenienti da diversi Paesi occidentali ai cristiani irachenI, temendo un esodo senza ritorno che svuoterebbe definitivamente l’Iraq della sua secolare presenza cristiana. (L.Z.)

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Svizzera: 20 agosto, Veglia interreligiosa per cristiani perseguitati

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Una Veglia interreligiosa di preghiera in segno di solidarietà con i cristiani perseguitati in Iraq e nel resto del mondo: è questa l’iniziativa che si terrà il 20 agosto a Ginevra. Organizzato dalla Chiesa cattolica svizzera, insieme ad esponenti ortodossi ed episcopaliani del Paese, la Veglia vedrà la partecipazione anche di rappresentanti della comunità yazidi e di numerose associazioni musulmane.

Tutti i partecipanti alla Veglia pianteranno una rosa bianca in segno di pace e di compassione per le vittime della persecuzione. “Di fronte ai tragici avvenimenti che si verificano attualmente in diverse regioni del mondo ed in particolare nel Nord dell’Iraq – spiegano gli organizzatori – vogliamo esprimere, con questa Veglia, la nostra solidarietà con tutte le minoranze vittime di crudeltà, di persecuzioni, di omicidi, costrette a fuggire dalla loro casa e dai loro villaggi per avere salva la vita”.

Allo stesso tempo, la Caritas Svizzera chiede al governo federale nazionale di accogliere un maggior numero possibile di rifugiati. In particolare, la Caritas ricorda che, in passato – ad esempio in concomitanza del conflitto in Kosovo – il Paese elvetico ha dato asilo a molti sfollati. “Più coraggio” da parte delle istituzioni, auspica dunque la Caritas che suggerisce di reintrodurre la possibilità di depositare le richieste d’asilo presso le ambasciate, risparmiando, così, agli sfollati, viaggi ad alto rischio verso i Paesi di accoglienza. (I.P.) 

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Ebola, Medici senza frontiere: "Epidemia sottovalutata"

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E’ salito a 1.145 morti il bilancio provvisorio dell’epidemia di Ebola, che tiene in scacco Sierra Leone, Liberia, Guinea e Nigeria. A renderlo noto, ieri, l’Organizzazione Mondiale della sanità. L’epidemia – ha dichiarato il presidente di Medici senza frontiere, Joanne Liu – è stata ampiamente sottovalutata e “si sta aggravando e avanzando più velocemente della nostra risposta”. Il Programma alimentare mondiale, intanto, ha annunciato aiuti per un milione di persone.

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Vietnam: “biciclette solari”, progetto Caritas per tutelare l’ambiente

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Contribuire a ridurre l’inquinamento ambientale e salvaguardare, così, il Creato: è questo l’obiettivo con cui la Caritas del Vietnam ha deciso di lanciare un progetto-pilota molto particolare. Si tratta di un sistema di noleggio di biciclette elettriche, alimentate ad energia solare. L’iniziativa verrà avviata ufficialmente nel mese di settembre, all’interno del Campus dell’Istituto politecnico di Hanoi.

“Da diversi anni – spiega la Caritas vietnamita – si verifica una recrudescenza delle catastrofi naturali legate al clima. inoltre, secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, il Vietnam fa parte dei cinque Paesi del mondo più soggetti al cambiamento climatico”. “La crescita economica del Vietnam, nazione in piena espansione – continua la Caritas locale – comporta un aumento delle emissioni di anidride carbonica e dell’inquinamento atmosferico”, così come “una maggiore diffusione del traffico motorizzato”. In particolare, ad Hanoi si contano, ogni mese 10 mila motociclette in più in circolazione, responsabili del 50% dell’inquinamento complessivo. Pensando a questi dati, dunque, la Caritas ha deciso di lanciare il suo progetto.

Riscontrato l’interesse per le biciclette elettriche, anche tra i turisti che visitano la città, infatti, l’organismo caritativo ha pensato di costruire una postazione per la ricarica di energia solare e il noleggio dei velocipedi elettrici presso l’Istituto politecnico di Hanoi. Altre due stazioni di servizio saranno allestite in un liceo e in un albergo. Circa 150 le bici elettriche previste per l’avvio dell’iniziativa, che sarà possibile noleggiare a un costo molto conveniente, in grado comunque di coprire i costi di gestione.

La fase sperimentale del progetto durerà un anno. Se i riscontri saranno positivi – ovvero se almeno 500 studenti rinunceranno alla motocicletta a favore della bicicletta elettrica – allora la proposta verrà estesa anche ad altre scuole e a imprese private. Non solo: nell’ambito di questa iniziativa, la Caritas vuole creare anche un’opportunità lavorativa per le persone disabili che saranno incaricate di gestire il noleggio e la manutenzione delle “bici solari”. (I.P.)

 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 228

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.