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Sommario del 18/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Messa riconciliazione. Il Papa: la Corea è un'unica famiglia

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Papa Francesco si è congedato oggi dalla Corea, decollando dalla Base Aerea di Seoul alle 13, ora locale, quando in Italia erano le 6 del mattino. Il volo papale atterrerà all’aeroporto romano di Ciampino verso le 17.45 e di lì il Papa raggiungerà in elicottero il Vaticano. Il terzo viaggio apostolico si è concluso a Seoul con uno degli eventi più attesi, la Messa per la pace e la riconciliazione in Corea, celebrata in uno dei luoghi più antichi della fede coreana, la Cattedrale di Myeong-dong. Durante la liturgia, Francesco ha ribadito: i coreani sono “membri di un’unica famiglia”, il dialogo potrà superare le differenze. La cronaca del nostro inviato, Davide Dionisi

“Preghiamo dunque per il sorgere di nuove opportunità di dialogo, di incontro e di superamento delle differenze, per una continua generosità nel fornire assistenza umanitaria a quanti sono nel bisogno e per un riconoscimento sempre più ampio della realtà che tutti i coreani sono fratelli e sorelle, membri di un’unica famiglia e di un unico popolo. Parlano la stessa lingua”.

Nella Cattedrale di Myeong-dong, il Papa ha presieduto la Messa per la pace e la riconciliazione in Corea, ultimo appuntamento del suo intenso viaggio, certamente tra i più attesi. Davanti ai leader religiosi e alla presidente della Repubblica, Park Geun-hye, il Pontefice ha ribadito che il dono divino della riconciliazione, dell’unità e della pace è inseparabilmente legato alla grazia della conversione e che la forza profetica della croce di Cristo colma ogni divisione, sana ogni ferita e ristabilisce gli originali legami di amore fraterno.

Nella divisione del popolo coreano, le due parti si sono rispecchiate come figli di un’unica terra, che le vicende politiche hanno separato, parte al nord e parte al sud. E questa esperienza umana ha aiutato la gente a comprendere meglio il dramma della divisione. Solo mediante un generoso impegno a favore del bene comune sarà possibile superare le difficoltà e giungere a un risultato positivo, che sarebbe motivo di gioiosa speranza per l'umanità.

Impegno che Papa Francesco ha chiesto ai cristiani, ai seguaci di altre religioni e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, che hanno a cuore il futuro della società. Il Pontefice ha inoltre espresso la sua “personale” riconoscenza nei confronti dei sacerdoti coreani per il loro impegno caritatevole che contribuisce alla costruzione della in Corea:

“Il vostro esempio di amore senza riserve per il Signore, la vostra fedeltà e dedizione al ministero, come pure il vostro impegno caritatevole per quanti si trovano nel bisogno, contribuiscono grandemente all’opera di riconciliazione e di pace in questo Paese”.

Infine, la sua preghiera affinché il dialogo e gli scambi possano contribuire alla riconciliazione delle due popolazioni, alla riunione di famiglie separate ormai da oltre mezzo secolo e alla rinnovata stabilità e prosperità dell'intera Penisola coreana:

“Possano i seguaci di Cristo in Corea preparare l’alba di quel nuovo giorno, quando questa terra del calmo mattino godrà le più ricche benedizioni divine di armonia e di pace!”.

Prima della Messa, il Pontefice ha incontrato i leader religiosi e salutato le “donne di conforto”. Con la croce donatagli dal Metropolita Ortodosso di Corea ha impartito la benedizione finale. Segni e testimonianze di un viaggio apostolico che, in questo suo ultimo atto, invocano nuova unità e chiedono una pace comprovata da gesti coraggiosi di riconciliazione.

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Padre Lombardi: Francesco e la cultura dell'incontro

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Papa Francesco ha concluso il suo viaggio in Corea lanciando un nuovo messaggio di pace e riconciliazione. Anche ieri, incontrando i vescovi dell’Asia, aveva ribadito la necessità di promuovere il dialogo e la cultura dell’incontro sottolineando una parola, l’empatia. Ascoltiamo il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Davide Dionisi

R. – Il Papa - come sappiamo - cerca l’incontro: parla sempre della cultura dell’incontro: le persone si incontrano quando c’è una vera disponibilità del cuore, della mente, della persona nella sua globalità ad accogliere l’altro, a capirlo e ad accoglierlo, pensando che dall’incontro ci si arricchisce mutualmente, che dall’incontro si torna migliori e più ricchi di valori spirituali, e anche religiosi eventualmente, di quando si era prima di incontrarsi. Allora il Papa dice ai vescovi di questo continente in cui il dialogo fra le diverse culture, fra le diverse religioni, fra i diversi popoli è estremamente importante, che ci vuole l’atteggiamento fondamentale per affrontare questa situazione, ma più che affrontarla per viverla perché è la situazione in cui i cristiani vivono normalmente in Asia. Quindi, con questa empatia vuol dire capacità anche di sintonia, di entrare sulla stessa onda e quindi di capirsi quasi istintivamente, perché tutto il proprio essere è messo in movimento per accogliere l’altro. Quindi non è una operazione puramente intellettuale, non è un’operazione formale, ma è qualche cosa in cui ci si mette in gioco. Per questo diciamo che nel “vocabolario papale” spesso questo stesso tema lo ritroviamo, concretizzato poi nella cultura dell’incontro.

D. – A proposito di vocabolario, l’omelia della Messa nella Giornata della gioventù asiatica ha ruotato attorno al motto “Gioventù dell’Asia ‘Alzati!’”…

R. – E’ stata una omelia che ha analizzato e seguito le grandi parole su cui questi giovani si sono incontrati. Naturalmente il Papa cerca di dare a questi giovani la carica dell’entusiasmo di cui hanno bisogno per vivere le situazioni non sempre facili, anzi spesso difficili, in cui si trovano e che sono spesso situazioni di minoranza nella società in cui vivono, che sono situazioni che comportano spesso gravi problemi di carattere sociale, di carattere economico. Quindi sono giovani che devono essere incoraggiati, ma non con un senso di compatimento, ma con un senso di grande dignità, che loro devono scoprire e vivere e che trova il suo fondamento in una fede vissuta. Molto bello mettere i giovani a confronto con la testimonianza dei martiri, che sono poi veramente gli eroi della vita cristiana, quelli che hanno saputo giocare se stessi pienamente anche nelle situazioni di contrasto più duro nei confronti della fede, nei confronti della loro vita, per affermare la positività della loro fede e anche per quelli che sono i martiri coreani, che sono anche martiri di un impegno di uguaglianza sociale e di carità nella società, che rifiutava un’attenzione veramente a tutti e in particolare ai più deboli o alle persone considerate inferiori. Quindi il Papa vuole indicare a questi giovani la via del coraggio, dell’entusiasmo, della gioia, sempre fondata però su una fede sicura, che viene dall’incontro con Cristo, dalla conoscenza con Gesù Cristo e dalla familiarità con Lui.

D. – Dalla Corea il seme del nuovo annuncio è stato gettato: Indonesia 2017…

R. – Queste Giornate della gioventù asiatiche percorrono i diversi Paesi del continente. Noi abbiamo avuto, in uno degli incontri dei giovani con il Papa, una bellissima rappresentazione culturale fatta dai giovani indonesiani che erano qui presenti e che hanno manifestato la ricchezza e la specificità delle culture di questo immenso arcipelago: erano danze di cinque culture differenti, il che vuol dire che i problemi dell’accogliersi, del capirsi, valgono anche all’interno di ognuno di questi grandi Paesi. Il fatto che l’itinerario passi dalla situazione coreana ad una situazione molto diversa, come è quella indonesiana, dice il grande itinerario che la Chiesa deve percorrere, le varietà delle sue situazioni, la meraviglia anche – diciamo pure - delle culture o delle situazioni che si incontrano e che vanno confrontate poi con il Vangelo per essere aiutate a dare il meglio di sé.

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Corea. Il presidente dei vescovi: Francesco ci ha consolati

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Un primo bilancio a caldo della visita di Papa Francesco in Corea è tracciato dal presidente della Conferenza episcopale coreana, mons. Peter U-il Kang, al microfono del nostro inviato a Seoul, Davide Dionisi

R. - E’ stata veramente una visita benedetta per tutto il popolo di Corea. Penso che il Papa abbia dato l’impressione del buon pastore. Ci ha fatto sorridere, ci ha fatto sentire la consolazione, ci ha fatto sentire di essere guariti dai tanti tipi di ferite… Dunque, la sua visita è stata una visita veramente piena di amore del pastore.

D. - Qual è stato il messaggio più forte, secondo lei?

R. - Il messaggio più forte, per me, è sentire che per poter arrivare alla pace bisogna cominciare a costruire la giustizia nella società, tra il popolo e tra noi stessi.

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Card. Tagle: viaggio del Papa in Corea, seme di speranza per l'Asia

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Il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, che accoglierà Papa Francesco nelle Filippine nel prossimo gennaio, ha seguito il Pontefice in questo suo primo viaggio nel continente asiatico. Ascoltiamo un suo bilancio di questa visita al microfono di padre Zdzislaw Josef Kijas

R. – We have seen the pastoral love...
Noi abbiamo visto l’amore pastorale e l’attenzione del Santo Padre, non solo per i cristiani e per il popolo coreano, ma anche per tutto il continente asiatico. Per noi è un segno di speranza il modo in cui lui ha interagito con i giovani, com’è stato capace di infondere energia nei giovani, e l’Asia è un continente molto giovane. Si dice che circa i due terzi della popolazione asiatica sia composta di giovani. E quindi per i cristiani qui in Corea, e tutti i giovani asiatici, vedere il Santo Padre interessarsi a loro, parlare con loro con compassione e come una guida, penso sia una testimonianza meravigliosa non solo per la Corea, ma per tutta l’Asia. Un’altra cosa di cui lui ha continuato a parlare è la solidarietà, specialmente nell’attuale divario tra i ricchi e poveri, con diversi tipi di divisione all’interno della società e tra Paesi, specialmente nel continente asiatico. Quindi, quando lui si riferisce a questo tema e vuole unire le persone, persone di fedi diverse, questo, di nuovo, è un messaggio molto importante, che il Santo Padre sta comunicando. E penso che in Corea ciò avrà davvero un grande impatto, a causa della divisione tra Nord e Sud.

D. – Uno dei momenti più importanti del viaggio è stata la beatificazione dei martiri coreani: quale il significato per l’Asia?

R. – While the church in Asia…
Nonostante la Chiesa in Asia rimanga una Chiesa molto piccola in termini di numero di cristiani, noi siamo pure consapevoli che in Asia centinaia di migliaia di cristiani hanno offerto la loro vita per la fede. Quindi, le difficoltà che i cristiani incontrano in Asia non sono nuove. Questa è stata la storia della Chiesa. E la Chiesa in Asia ha quella meravigliosa tradizione, quell’eredità di Gesù, che offre la sua vita per tutti: qui, la terra asiatica è stata benedetta dal sangue dei martiri. E per noi in Asia questo è un buon modo per ricordare. Il Santo Padre ha parlato di diverse forme di idolatria ai giovani. E’ facile per comodità mettere da parte la fede in nome del pragmatismo e fare compromessi. Io durante la beatificazione mi sono davvero molto commosso, quando ho detto: “Oh, in Asia abbiamo degli antenati che hanno voluto pagare il prezzo di essere cristiani anche offrendo la loro vita”. Questo è d’ispirazione per tutti noi.

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Il Papa ai leader religiosi: la vita è un cammino che va percorso insieme

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Incontrando i leader religiosi a Seoul, il Papa ha rivolto alcune parole a braccio in spagnolo: “Voglio ringraziarvi per la gentilezza e l’affetto che avete dimostrato venendo qui ad incontrarmi – ha detto - La vita è un cammino, un cammino lungo, ma un cammino che non si può percorrere da soli. Bisogna camminare con i fratelli alla presenza di Dio. Per questo vi ringrazio per questo gesto di camminare insieme alla presenza di Dio. Che è quello che chiese Dio ad Abramo. Siamo fratelli – ha concluso Francesco - riconosciamoci come fratelli e camminiamo insieme. Che il Signore ci benedica. E per favore vi chiedo di pregare per me. Tante Grazie!”.

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Telegrammi sorvolo. Il Papa invoca per la Cina "divine benedizioni"

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Come per il viaggio di andata, anche durante la rotta verso Roma Papa Francesco ha fatto giungere telegrammi di saluto ai presidenti degli 11 Paesi sorvolati, nell’ordine: Corea, Cina, Mongolia, Russia, Bielorussia, Polonia, Slovacchia, Austria, Slovenia, Croazia e Italia.

In particolare, al presidente cinese, Xi Jinping, e ai suoi concittadini, il Papa ha rinnovato i propri auguri invocando, scrive, “divine benedizioni per la vostra terra”. E gratitudine Papa Francesco ha espresso ancora alla presidentessa coreana, Park Geun-hye, accompagnandola da una preghiera di “pace e benessere” per “l’amato popolo coreano”.

“Affettuosa benedizione” è anche quella che il Papa invia all’Italia, assieme agli auguri di “serenità e prosperità”, nel telegramma indirizzato al presidente, Giorgio Napolitano.

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Twitter, Francesco supera i 15 milioni di follower

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Papa Francesco ha superato i 15 milioni di follower sull’account Twitter @Pontifex in nove lingue, inaugurato da Benedetto XVI nel dicembre 2012. I follower più numerosi sono quelli in lingua spagnola (6.479.550), seguiti da quelli in lingua inglese (4.366.300), italiana (1.867.400), portoghese (1.123.800), francese (291.800), latina (271.600), tedesca (206.300), polacca (251.100), araba (145.500).

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Nomina episcopale in Colombia

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In Colombia, Papa Francesco ha nominato vescovo di Armenia mons. Pablo Emiro Salas Anteliz, finora vescovo di Espinal. Il presule è nato a Valledupar il 9 giugno 1957. Compì gli studi di Filosofia e Teologia nel Seminario Maggiore di Bucaramanga. Ottenne la Licenza in Filosofia e Scienze religiose presso l'Università "Santo Tomás" di Bogotá, la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e la Licenza in Teologia Spirituale presso il Pontificio Istituto di Spiritualità "Teresianum" di Roma. Ha ricevuto 'Ordinazione sacerdotale per la diocesi di Valledupar il 2 dicembre 1984.

Come sacerdote ha svolto i seguenti incarichi: Parroco di "San Francisco de Asís de la Paz", Cappellano della scuola "Normal María Inmaculada" di Manaure, Delegato Episcopale per la pastorale vocazionale, Parroco di "La Inmaculada Concepción" di Valledupar, Cancelliere della diocesi, Rettore della chiesa cattedrale di "Nuestra Señora del Rosario" di Valledupar, Professore di Teologia Dogmatica nel Seminario Giovanni Paolo II di Valledupar e Vicario diocesano per la Pastorale. Nell’ottobre 2007 è stato nominato Vescovo di Espinal (Colombia). Ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 2 dicembre successivo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, sul viaggio di Papa Francesco in Corea, un editoriale del direttore dal titolo "Il Vangelo nel cuore".

Non lasciateci soli: il cardinale Fernando Filoni, inviato personale del Papa, tra le popolazioni perseguitate dell'Iraq.

La rabbia di Ferguson: violato il coprifuoco per la seconda volta consecutiva dopo l'uccisione dell'adolescente nero Michael Brown.

Alta tensione in Ucraina.

Il ragazzo che diventò Augusto: Giuseppe Zecchini sulla lezione di Ottaviano nel bimillenario della morte, e Giulia Galeotti su quel mistero raccontato ma non svelato nel celebre romanzo storico di John Edward Williams.

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Oggi in Primo Piano



Iraq, il Papa: innocenti cacciati dalle loro case possano ritornarvi presto

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Papa Francesco ha pubblicato un nuovo tweet sull’account @Pontifex: “Tanti innocenti sono stati cacciati dalle loro case in Iraq. Signore, ti preghiamo perché possano presto ritornarvi”. In mattinata, durante la Messa per la pace e la riconciliazione presieduta nella Cattedrale di Myeong-dong a Seoul, il Papa aveva pregato per il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, suo inviato personale tra le popolazioni perseguitate in Iraq: 

“Per il cardinale Fernando Filoni che doveva essere fra noi, ma che non è potuto venire perché è stato inviato dal Papa al popolo sofferente dell’Iraq, per aiutare i perseguitati e spogliati, e a tutte le minoranze religiose che soffrono in quella terra. Che il Signore gli sia vicino nella sua missione”. 

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Filoni in Iraq: cristiani e minoranze a rischio se non si interviene presto

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Il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e inviato personale del Papa, prosegue la sua missione tra i rifugiati in Iraq. Attualmente si trova ad Erbil, nel Kurdistan. Domani si recherà a Baghdad dove consegnerà un messaggio del Papa al presidente iracheno. Sulla situazione degli sfollati ascoltiamo la testimonianza dello stesso cardinale Filoni, raggiunto telefonicamente ad Erbil da Sergio Centofanti

R. - Giorno dopo giorno si vede che, anche se nella precarietà, si prendono già opportune soluzioni per facilitare la presenza di questi oltre ventimila rifugiati qui a Erbil, soprattutto nella cittadina di Ankawa, una cittadina quasi totalmente cristiana caldea, dove sono stati ospitati nei vari luoghi, dai giardini vicini alla chiesa, alla chiesa stessa, ai luoghi di catechismo, oppure nei centri che sono stati messi a disposizione ma dove - ovviamente - si è dovuto far fronte alla logistica: pensiamo ai bagni, alle docce ... qui ci sono 48 gradi! Quindi le esigenze di queste persone sono i beni di prima necessità. Naturalmente, dopo questa prima sistemazione, inizia ad emergere più forte il problema del futuro. Quindi, siamo un po’ in questa situazione. Tutte le autorità ci hanno garantito la loro collaborazione. Bisogna pensare che qui in Iraq oggi ci sono un milione e duecentomila rifugiati, quattrocentomila bambini, persone appartenenti a vari gruppi religiosi ed etnici ... E poi c’è tutto il problema della sicurezza e questo coinvolge le autorità per la presenza e la sicurezza stessa di questi luoghi. Poi c’è tutta la questione dei peshmerga che stanno cercando di riprendere e di controllare i territori che precedentemente non erano sotto il loro controllo.

D. - Il patriarca caldeo Sako ha lanciato un appello alla comunità internazionale a liberare i villaggi occupati dai jihadisti. Lei si è unito a questo appello ...

R. - Sì. In effetti facendo il giro soprattutto nella parte nord, abbiamo constatato le situazioni precarie che si sono create. Vorrei dire che ci sono delle questioni relative proprio alla certezza da parte di questa gente di poter vivere, anche se in luoghi di rifugio, ma comunque in sicurezza. Da parte nostra, quello che sollecitiamo – ma non noi, quindi io in quanto cardinale, o il patriarca o  i vescovi – lo facciamo a nome di tutta la gente, che ovunque siamo andati ci ha chiesto questo. Quello che il patriarca ha messo per iscritto è esattamente quello che i cristiani hanno detto. Quindi non siamo noi portavoce di qualcosa di nostro, quanto delle voci emerse ovunque siamo andati, tra cattolici, cristiani, yazidi, altre minoranze. Questo vorrei dirlo con chiarezza, perché mi pare opportuno che si comprendano l’esigenza e il desiderio di tutta la gente che abbiamo incontrato.

D. - C’è il pericolo che i cristiani e le altre minoranze religiose siano a rischio in Iraq se non si fa nulla?

R. - Certo! È questo il gravissimo problema! Quindi per questo diciamo che l’appello stesso chiede un intervento con urgenza che poi, in fondo fa eco, a ciò che il Santo Padre ha chiesto scrivendo alle Nazioni Unite.

D. - Lei sa che il Papa ha pregato per lei questa mattina a Seoul?

R. - No, è una notizia che mi dà lei…

D. - Il Papa al termine della Preghiera dei fedeli, ha detto queste parole: “ ... per il cardinale Fernando Filoni che doveva essere fra noi, ma che non è potuto venire perché è stato inviato dal Papa al popolo sofferente dell’Iraq, per aiutare i perseguitati e spogliati, e a tutte le minoranze religiose che soffrono in quella terra. Che il Signore gli sia vicino nella sua missione”. Queste sono state le sue parole ...

R. - … colgo questa occasione ovviamente per ringraziare … sono un po’ emozionato nel sapere questo…

D. - Sono parole molto belle dette in un momento particolare, durante la Messa per la pace e la riconciliazione ...

R. - Teniamo presente che più che le persone, la gente qui ha bisogno di essere sostenuta. Ieri sera, quando abbiamo fatto una grande Messa qui ad Erbil con la chiesa molto piena, dove ho manifestato da parte del Santo Padre la vicinanza, l’affetto e l’incoraggiamento. Non eravamo solo noi di qui, i rifugiati e la comunità cristiana di Erbil, ma ovunque siamo andati abbiamo detto di unirsi spiritualmente a questo nostro atto di culto, e quindi anche se erano dispersi nei vari villaggi, noi li avremmo tenuti presenti in questo momento particolare per dire la Messa in favore dei rifugiati, in sostegno alla loro vita. Quindi, eravamo un po’ una comunità presente, ma anche gli assenti, erano spiritualmente presenti.

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Iraq. I curdi avanzano, mons. Nona: "Abbiamo bisogno di tutto"

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Sull’Iraq continuano i raid statunitensi, mentre anche la Gran Bretagna esclude l’invio di truppe sul terreno. Intanto i combattenti curdi hanno annunciato di aver ripreso il controllo della diga di Mosul, caduta nelle mani del’autoproclamato Stato islamico nelle scorse settimane. Ora peshmerga e forze irachene – afferma un portavoce militare – cercheranno di riprendere anche la stessa città di Mosul. Per una testimonianza, Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente nella regione mons. Amel Shamoun Nona, arcivescovo di Mosul: 

R. - L’esercito curdo ha cominciato a liberare alcuni villaggi cristiani. Ma nessuno è tornato perché la gente ha ancora paura. Finché l’Isis sarà qui vicino sicuramente la gente non può tornare. La situazione delle famiglie rifugiate è la stessa; sono tutte nelle chiese, nei giardini, nelle aule di catechismo ... Sono ovunque. Stiamo cercando di aiutarli, ma abbiamo bisogno di tutto perché sono tantissime persone.

D. - Di quante persone parliamo? Di quanti rifugiati parliamo?

R. - Circa centomila cristiani. Ci sono anche altri, soprattutto yazidi, ma anche shabak, una minoranza di confessione sciita. Ma in queste zone ci sono soprattutto cristiani e yazidi.

D. - Dal punto di vista umanitario, qual è il bisogno più grande che avete in questo momento?

R. - Abbiamo bisogno di tutto. Ma penso che per quanto riguarda la situazione dei profughi avremo bisogno di case, di campi dove la gente possa vivere perché non è possibile che questi rimangano nei giardini, nelle aule. Ci sono famiglie, bambini, donne, ragazzi, ragazzine ... Per questo bisogna trovare una soluzione anche per loro.

D. - Quindi anche se le forze curde, come abbiamo detto, si stanno avvicinando a Mosul - hanno liberato dei villaggi, la diga - non è ancora possibile per i rifugiati tornare nelle loro case?

R. - Penso che sia ancora presto parlare di un ritorno. La gente non crede che la zona sia sicura. Penso che nessuno ritorni. Speriamo, in questi giorni, di avere la sicurezza per poter permettere a tutte queste persone di tornare nelle loro case.

D. - I rifugiati, come hanno accolto la notizia della riconquista dei villaggi dove sono le loro case?

R. - Con tanta tensione, perché è una guerra; magari domani si ritirano un’altra volta. Quindi restiamo a guardare cosa succederà.

D. - C’è un appello che lei vuole fare a quanti ci ascoltano attraverso la Radio Vaticana?

R. - Sicuramente. Chiediamo la preghiera di tutti, perché il Signore aiuti questa gente a trovare la pace, la serenità e una vita degna dal punto di vista umano. Attraverso la Radio Vaticana lancio un appello a tutte le persone di buona volontà affinché aiutino queste persone tramite qualsiasi forma di aiuto perché hanno veramente bisogno di tutto. Speriamo che tutte le persone di buona volontà possano aiutare questa gente.

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Gaza: scade oggi il cessate-il-fuoco. Si media per una tregua duratura

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Scade alle 24 di oggi, ora locale, il cessate-il-fuoco di cinque giorni a Gaza, mentre la delegazione palestinese ai negoziati del Cairo tra israeliani e Hamas riferisce che al momento non si è registrato alcun passo avanti. Oggi, il presidente dell’Anp, Abu Mazen, si è recato in Qatar per mediare con il leader di Hamas, Khaled Meshaal, una tregua duratura. Tregua richiesta anche dai donatori internazionali come condizione per la ricostruzione. Intanto, con la morte di alcuni feriti è salito 2.016 il bilancio delle vittime palestinesi dell’offensiva israeliana. Ma che fase si apre adesso con i colloqui nella capitale egiziana? Marco Guerra lo ha chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni Internazionali all’Università di Firenze: 

R. - Si apre innanzitutto una fase di un ritorno a quello che era prima, perché, poco prima che iniziasse questa guerra, Hamas e l’Autorità palestinese avevano concordato un governo di unità nazionale, che poi è stato spazzato via da questa crisi. E’ chiaro che - soprattutto per la mediazione dell’Egitto, che vuole a Gaza un governo stabile e un governo non di Hamas - l’Autorità palestinese, che è credibile e che ha sostenitori internazionali, sta rientrando in gioco. Chiaramente, Hamas non vuole perdere posizioni, ma Hamas è stretta tra l’Egitto e anche tra le altre fazioni di Gaza, perché pare che la jihad islamica sia a favore di una tregua che permetta una fase di tranquillità.

D. - Israele non vede di buon occhio il governo di unità nazionale. Come si porrà in questi negoziati al Cairo?

R. - Israele ha un doppio problema. Da una parte, non vede di buon occhio una tregua con Hamas perché sarebbe un modo di riconoscere anche una vittoria di Hamas. Dall’altra, è anche vero che non vuole un governo di unità nazionale, perché un governo unitario è l’unico che può seriamente pretendere un negoziato di pace concreto. Però, Israele, che ha causato molte vittime soprattutto per un eccessivo uso di munizioni, sta perdendo l’appoggio dell’opinione pubblica internazionale e quindi è anch’esso preso tra fuochi assai diversi. Il giocatore forte in questa fase è l’Egitto: l’Egitto dei militari che detesta Hamas, ha rapporti gelidamente cordiali con Israele e vuole rientrare in gioco secondo i propri parametri.

D. - Sul piatto, Hamas sta mettendo l’apertura del porto, dell’aeroporto e la riapertura dei valichi. Tutto va nella direzione di richieste per far uscire la Striscia dall’isolamento…

R. - La Striscia deve uscire dall’isolamento, perché senza un minimo di ripresa economica, che  deve anche cancellare gli enormi danni della guerra, la Striscia è condannata di nuovo a una situazione irreversibile. E’ interesse di tutti, anche di Israele, rendere la vita degli abitanti di Gaza meno peggiore di quella che è stata, perché altrimenti Gaza è una fabbrica di scontento e di ulteriori complicazioni.

D. - Intantom, alle 24.00 di oggi, ora locale, terminerà la tregua di cinque giorni a Gaza. Cosa dobbiamo aspettarci subito dopo la mezzanotte?

R. - Sicuramente, un prolungamento della tregua parziale e delle discussioni. L’obiettivo di questo delicato negoziato è una tregua di lungo termine: concetto che a Israele piace poco, perché tregua significa che prima o poi si ricomincia… Quindi, dobbiamo aspettarci in ogni caso un prolungamento. Quanto questo poi porti a una situazione di più lungo periodo dipende da molti fattori e anche dal ruolo che l’Egitto può giocare, anche in modo spregiudicato, perché l’Egitto tiene letteralmente le chiavi di Gaza: dall’altra parte c’è solo Israele.

D. - C’è stanchezza da parte del popolo israeliano che, in questa nuova offensiva, è stato provato. Almeno 70 le vittime…

R. - Non solo le vittime israeliane, ma anche la costante paura delle popolazioni nel sud di Israele di vedersi arrivare qualcosa in testa… Gli israeliani tutti sono assai scontenti. Il punto è che questo scontento non si coagula in un riavvio serio dei negoziati di pace, perché questo governo Netanyahu, che ha fazioni di estrema destra al suo interno, non è in grado al momento di intraprendere seri negoziati di pace.

D. - Avrà un ruolo la comunità internazionale? E mi riferisco all’Europa e agli Stati Uniti…

R. - Assolutamente sì, e forse più l’Europa degli Stati Uniti… E’ notizia di questi giorni che dal primo settembre scatterà l’embargo quasi assoluto sui beni prodotti negli insediamenti del West Bank, del Golan e di Gerusalemme Est. Questa pressione economica europea, che è anche pressione politica, è uno strumento prezioso per far sì che Israele ricominci a percorrere la strada della pace.

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Usa. Proteste a Ferguson, il prof Fasce: un test per Obama

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Negli Stati Uniti, seconda notte di coprifuoco nella città di Ferguson dove proseguono le manifestazioni di protesta dopo la morte del giovane nero ucciso lo scorso 9 agosto da un agente di polizia. Una persona, ferita in modo grave, è in condizioni critiche. Il governatore del Missouri ha chiesto l’intervento della Guardia nazionale. Per l’amministrazione Obama, la gestione delle proteste può rivelarsi un test cruciale: è quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco, il prof. Ferdinando Fasce, americanista dell'Università di Genova: 

R. – Dopo l’elezione di Obama qualcuno parlò, con un eccesso di ottimismo, di "società post-razziale", di superamento delle tensioni razziali. E quest’anno che vede, come sappiamo, il mezzo secolo dall’approvazione di quella legge davvero rivoluzionaria che fu il “Civil Rights Act”, che eliminava la segregazione per legge, ci ritroviamo di fronte a questa situazione. Quindi, per Obama, che già ha i suoi problemi sul piano internazionale, si aggiunge questa seria sfida.

D. – C’è chi parla di sproporzione tra sistema di difesa ed effettiva minaccia, chi parla di omicidio a sfondo razziale… Perché negli Stati Uniti le tensioni sociali rischiano sempre più spesso di superare il livello di guardia?

R. – Non bisogna dimenticare i secoli in cui si è accumulata una storia terribile: la storia della tratta, la storia della schiavitù. Quindi, questo tragico processo che è durato secoli ha lasciato purtroppo delle tracce che diventano particolarmente rilevanti in fasi di difficoltà economiche, in momenti di tensioni internazionali… Non bisogna dimenticare un elemento: le principali rivolte razziali si sono sempre svolte d’estate, in condizioni di particolare difficoltà per le popolazioni che abitano nei ghetti.

D. – Dopo l’episodio di Ferguson, si riaccende il dibattito sull’eccessiva "militarizzazione" delle strade americane. Ogni anno - denunciano alcune Ong - si spendono oltre 75 miliardi di dollari, proprio da destinare alle forze di polizia locali…

R. – Non bisogna però dimenticare l’altra faccia: ci sono problemi, molto probabilmente, nella formazione delle forze dell’ordine a livello locale. E poi, c’è questo grande rilancio del clima neo-conservatore e conservatore dell’ultimo trentennio del diritto di portare le armi. Ricordo che Detroit già nei primi anni Settanta - 1971 - c’era una pistola dichiarata ogni tre abitanti.

D. – E poi alle polizie locali - ricordano anche diverse Ong - viene permesso di usare armi da guerra in eccesso, che il Pentagono non sa più dove collocare dopo il ritiro da Iraq e Afghanistan…

R. – Sono le conseguenze della grande quantità di armi che si sono accumulate e della cultura delle armi che si è accompagnata a tutto questo.

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Msf: 6 mesi per contenere Ebola. Missionario: controlli difficili

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Continua l’allerta per il virus Ebola che ha finora colpito quattro paesi africani: Guinea, Sierra Leone, Liberia e Nigeria. L’ong Medici senza frontiere ha ribadito che potrebbero volerci oltre sei mesi per mettere sotto controllo l’epidemia. Basso, secondo altri esperti, il rischio di propagazione in Europa e Usa, ma in Austria si indaga sulla morte di una donna appena tornata dalla Nigeria. Intanto, in Liberia, secondo un quotidiano locale, le Forze armate avrebbero ricevuto l’ordine di sparare a vista su quanti entrino illegalmente dalla Sierra Leone. E proprio da quest’ultimo Paese arriva la testimonianza del Missionario saveriano, padre Michele Carlini, raccolta da Davide Maggiore:  

R. – Le autorità hanno isolato le due province maggiormente colpite nella nazione, quelle di Kenema e di Kailahun: non si può entrare, né uscire da quei distretti per paura, appunto, che le persone portino il virus altrove. Le persone adesso si rendono conto che il problema esiste veramente, adottano quelle precauzioni che anche noi nelle chiese avevamo consigliato di prendere. Quello che cambia in peggio è il fatto che adesso gli ospedali si stanno svuotando perché hanno paura, i malati, di andare all’ospedale perché se lì ci fosse un caso di Ebola loro stessi potrebbero esserne contagiati. Quindi, non vanno per paura di contagio e se ci sono sintomi che possano fare pensare a Ebola, i pazienti vengono messi in quarantena, isolati e questo veramente fa paura.

D. – Si può fare qualcosa per vincere questa paura? E anche voi, come religiosi, state cercando di fare un’azione di sensibilizzazione?

R. – Sì, noi abbiamo la radio diocesana che dà informazione. Durante le Messe, cerchiamo di raggiungere le persone quando si riuniscono e diamo le informazioni che anche noi riceviamo. Trasmettiamo i comunicati fatti dal presidente che ha emesso delle normative restrittive. La situazione è seria. I cinesi hanno un ospedale costruito da pochissimo, bello, ma hanno avuto un caso di Ebola e quindi adesso tutto il personale che è stato vicino a questa persona è in quarantena per 21 giorni. Le persone malate cercano di fuggire perché hanno paura di queste forme così rigide di isolamento. Vanno negli altri ospedali, con sintomi simili alla malaria o al tifo, dicono: “Ho la malaria o il tifo” e quindi trasmettono questa malattia agli altri ospedali. E’ difficile veramente, convincere le persone ad aspettare, a rimanere nei loro luoghi di origine, a non viaggiare, a non trasferirsi…

È però in Liberia che si registra il più alto numero di vittime accertate del virus: 413. Domenica scorsa, nella capitale Monrovia un centro sanitario è stato preso d'assalto da uomini armati. Questo ha permesso la fuga di 17 pazienti, tutti malati. Ma qual è la percezione del rischio tra i liberiani? Davide Maggiore ha raccolto la testimonianza del nunzio apostolico a Monrovia, mons. mons. Miroslaw Adamczyk: 

R. – La gente è molto cosciente del pericolo. Anche le nostre parrocchie cattoliche e anche altre, di altre confessioni cristiane: la Messa domenicale serviva spesso per dare istruzione e informazioni su come evitare questa malattia. Certo che c’è paura: panico no, ma paura, precauzione senz’altro sì. Il nostro ospedale cattolico di San Giuseppe, guidato dai Fatebenefratelli, ha subito gravissimi danni. La comunità dei Fatebenefratelli, padre Miguel, fratello Patrick e George, tutti sono già morti…

D. – In questa situazione così drammatica, quindi, non c’è da parte della popolazione una sottovalutazione della malattia come è successo invece in altre parti dell’Africa colpite da Ebola?

R. – Questa sottovalutazione c’era all’inizio, anche perché forse mancavano un po’ di prudenza e di precauzione. Però, adesso non credo che la gente la prenda alla leggera: no, questo no. La questione è che ogni sistema sanitario e amministrativo nel momento di un’epidemia di una malattia così grave fa fatica a rivedere tutto.

D. – Abbiamo accennato alle difficoltà del sistema sanitario: di cosa c’è particolarmente bisogno?

R. – Prima di tutto, ci vogliono i mezzi di protezione perché in questo momento i medici e anche gli infermieri spesso hanno paura di un contatto diretto con i malati e allo stesso tempo la gente ha paura di andare all’ospedale. Fratello Patrick, prima di morire, è venuto qui da me a cercare – giustamente – fondi per compare i guanti e i mezzi di protezione. Poi, adesso succede che siccome c’è un po’ di paura, incominciano ad aumentare i prezzi degli alimenti e così via...

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Eterologa. Scienza e Vita: anche adozione sia a carico dello Stato

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Entro il 2015 una legge che regoli il ricorso alla fecondazione eterologa su tutto il territorio nazionale. L’annuncio dato ieri dal ministro della Salute, Lorenzin, è accolto come un gesto di responsabilità dall’Associazione Scienza e Vita, che tuttavia ribadisce il suo "no" a questa tecnica. “Se il governo ha intenzione di inserire l’eterologa nei 'Lea', i Livelli essenziali di assitenza, faccia lo stesso per l’adozione”, spiega al microfono di Paolo Ondarza il copresidente di Scienza e Vita, Domenico Coviello

R. – Io accolgo le dichiarazioni del ministro Lorenzin, come un atto di alta responsabilità in un settore così delicato del quale ci stiamo occupando, la fecondazione eterologa. La responsabilità sta nel fatto di voler dare una normativa chiara e uniforme per tutto il territorio nazionale sull’attuazione di questa decisione, soprattutto per l’aspetto della qualità, per fare in modo che i centri debbano attenersi a determinati standard. L’aspetto della qualità è importantissimo per la sicurezza, per la salute, dei cittadini. Non dobbiamo dimenticare che spesso si parla di questo procedimento come una cosa ormai acquisita, ma esistono rischi medici.

D. – Il ministro ha detto: “L’eterologa deve essere inserita nei livelli essenziali di assistenza, gratuita o con ticket, e per questo ci sono già 10 milioni di euro a disposizione”…

R. – Da un lato, possiamo approvare la decisione che lo Stato abbia una garanzia pubblica per non lasciare tutto in mano ai laboratori privati ma, dall’altro, direi che dobbiamo evitare discriminazioni per chi risponde a questa domanda di paternità e maternità in un modo differente. Quindi, dobbiamo ricordare che non esiste solo la risposta della fecondazione in vitro ma, come ben sappiamo, esiste anche la scelta dell’adozione come risposta al desiderio di paternità e maternità responsabile: venga egualmente messo nei "Lea" e preso a carico dal Sistema sanitario nazionale, perché risponde esattamente alla stessa domanda della coppia di paternità e maternità.

D. - Cioè voi dite: se lo Stato inserisce nei "Lea" la fecondazione eterologa, che di fatto risponde a un desiderio di genitorialità, rivolgendosi a donatori terzi, allo stesso modo il medesimo desiderio di paternità e maternità, che tante coppie vogliono perseguire, soddisfare attraverso l’adozione, deve avere lo stesso trattamento da parte dello Stato…

R. – Esattamente. Il percorso dell’adozione, come sappiamo, comporta problematiche sia di tipo psicologico che economico. Queste dovrebbero essere sostenute dallo Stato dal momento che lo Stato decide di sostenere le spese della fecondazione in vitro. Vorrei ricordare a tutti gli ascoltatori che la fecondazione in vitro, pur essendo una tecnica che viene data come consolidata, è un percorso non semplice. Io parlo con diverse coppie che vengono a fare esami di genetica nel nostro laboratorio prima della fecondazione assistita e mi accorgo che non sempre sono consapevoli delle difficoltà e dei rischi medici dovuti all’iper-stimolazione ovarica che le donne devono subire.

D. – Cioè se ne sta parlando in modo troppo semplificato?

R. – Esatto. Bisognerebbe ricordare che non è una procedura banale, solo perché  viene fatta rientrare nei "Lea". Bisogna fare molta attenzione nell’informare l’utenza in modo corretto e appropriato sui rischi di questa procedura: rischi che sono di tipo medico, rischi che sono di tipo psicologico come quelli derivanti dalla problematica della tracciabilità, di cui si è parlato ultimamente: infatti è innato nell’essere umano il voler conoscere le proprie origini biologiche.

D. – Come Scienza e Vita vi proponete anche per fornire suggerimenti a chi dovrà normare questa materia così delicata?

R. – Come sempre, Scienza e Vita con tutti i propri membri ed esperti è a disposizione. Cercheremo di avere un contatto con il Ministero e monitorare che questa legge includa tutti i criteri di qualità e di sicurezza. Inoltre, suggeriremo che vengano adottati aiuti anche per quelle coppie che decidono di ricorrere all’adozione.

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Nella Chiesa e nel mondo



Patriarca Youssef: Europa fermi tsunami anticristiano in Iraq

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Quello che sta accadendo alle comunità cristiane e alle altre minoranze perseguitate nella piana di Ninive e a Sinjar “è uno tsunami, è l’ecatombe del secolo”. E’ un grido d’allarme drammatico quello lanciato da Sua Beatitudine Ignace Youssef III, Patriarca di Antiochia dei Siri, che dalle pagine del quotidiano francese “Ouest France”, rivolge un nuovo pressante appello ai Paesi occidentali a fermare l’epurazione etnico-religiosa perpetrata dai jihadisti dell’Isis e a soccorrere le comunità cristiane irachene.

Il Patriarca chiama in causa in particolare l’Europa: “L’Unione Europea, in cui la Francia ha un ruolo fondamentale, ha la responsabilità di fermare questi terribili abusi e discriminazioni”, afferma. “L’Europa deve essere all’altezza della sua missione nel Mediterraneo. Altrimenti - ammonisce - le comunità cristiane dell’Iraq, della Siria e del Libano che sono tra le più antiche in Medio Oriente, rischiano veramente di scomparire insieme alla loro cultura e patrimonio millenario”.

Quattro quindi le richieste rivolte ai governi europei: fermare il flusso di armi ai gruppi jihadisti in Siria e in Iraq, smettendo di inviarne ai sedicenti gruppi moderati dell’opposizione in Siria; ottenere dalle Nazioni Unite la convocazione del Consiglio di Sicurezza perché prenda misure immediate a favore delle persone più vulnerabili e delle minoranze in Iraq; esigere dallo stesso Consiglio una risoluzione vincolante che assicuri il rientro immediato in sicurezza di tutti coloro che sono stati costretti ad abbandonare le loro case e proprietà; e, infine, raddoppiare gli aiuti umanitari compresi quelli di emergenza ai profughi e ai rifugiati nei Paesi vicini. (L.Z.)

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Colombia: impegno della Chiesa per i colloqui di pace all’Avana

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La Conferenza Episcopale della Colombia (Cec), le Nazioni Unite  e l'Universidad Nacional Colombiana hanno annunciato i nomi delle prime 12 vittime dei guerriglieri delle Farc e dello Stato che parteciperanno ai colloqui di pace a L'Avana. In base agli accordi tra governo e Farc, ricorda l’agenzia Fides, è prevista la partecipazione ai colloqui per mettere fine all’ultradecennale guerra civile colombiana, di una rappresentanza delle vittime del conflitto per un totale di 60 persone, scelte dalle tre istituzioni sopra citate.

In una nota inviata proprio a Fides dalla Conferenza episcopale si ricorda che secondo Fabrizio Hochschild, coordinatore delle Nazioni Unite in Colombia, la selezione delle vittime è stata effettuata in base agli autori delle violenze, ai crimini subiti e alla loro provenienza, in modo da comprendere le varie zone del Paese. La delegazione è già arrivata a Cuba, accompagnata da mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente della Cec, e da Padre Dario Echeverri Gonzalez, segretario della Commissione di riconciliazione nazionale. (A.G.)

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Sud Sudan: bloccate trasmissioni della principale radio cattolica

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Sono ancora bloccate le trasmissioni di Radio Bakhita, la principale radio cattolica del Sud Sudan, dopo che il 16 agosto le autorità locali hanno imposto la chiusura dell’emittente ed arrestato il capo-redattore, Ochan David Nicholas, che si trova ancora in custodia cautelare. La radio, promossa dall’arcidiocesi di Juba – informa l’agenzia Fides – è stata chiusa dopo aver dato notizia di scontri il 15 agosto tra le truppe governative fedeli al presidente Salva Kiir e quelle dell’opposizione legata all’ex vice presidente Riek Machar.

Diversi media locali sono stati costretti alla chiusura o hanno subito pesanti pressioni dal servizio di sicurezza sud sudanese da quando, a dicembre, è scoppiata la crisi che ha messo in ginocchio il Paese. Gli accordi di pace siglati lo scorso giugno non sono stati applicati dalle parti: in particolare non è ancora stato costituito il governo di unità nazionale. L’ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, conclude Fides, ha denunciato l’arrivo nel Paese di nuove forniture di armamenti, lasciando presagire una ripresa delle ostilità su vasta scala. (A.G.)

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Card. Vallini guida pellegrinaggio a Lourdes della diocesi di Roma

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Sarà dedicato a “La gioia della conversione” il tradizionale pellegrinaggio della diocesi di Roma a Lourdes che si svolgerà dal 25 al 29 agosto. A guidare i fedeli nei luoghi di Santa Bernadette sarà il cardinale vicario Agostino Vallini, attraverso un percorso di preghiera e pentimento. Ad accompagnarlo i vescovi ausiliari Lorenzo Leuzzi e Guerino Di Tora assieme a mons. Liberio Andreatta, vicepresidente dell’Opera romana pellegrinaggi che quest’anno celebra l’ottantesimo anniversario di attività.

Il primo giorno sarà dedicato all’accoglienza, il secondo alle confessioni, il terzo ai Sacramenti. Mercoledì 27, invece, sarà la festa del pellegrino e verranno ricordati gli ottant’anni dell’Opera romana e i cinquant’anni di sacerdozio e i venticinque di episcopato del cardinale Vallini. Il vescovo della diocesi di Tarbes-Lourdes, mons. Nicolas Jean René Brouwet, consegnerà al vicario di Roma il titolo di “Cappellano onorario di Lourdes”. In occasione di questo anniversario verrà presentato anche il libro di mons. Leuzzi, Il coraggio della fede. Il quarto giorno sarà dedicato alla preghiera mariana con la celebrazione della Messa nella Grotta e la visita ai luoghi di santa Bernadette Soubirous. (A.G.)

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Giovani di Perugia in cammino verso Santiago de Compostela

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Sono 185 i giovani della diocesi di Perugia che si preparano a vivere il loro pellegrinaggio diocesano verso Santiago de Compostela, da oggi al 30 agosto. Percorreranno circa 5 mila km, dei quali 120 a piedi, da Ourense a Santiago. I 185 pellegrini perugini saranno accompagnati da don Riccardo Pascolini, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile e da altri giovani sacerdoti. Giunge ai pellegrini l’incoraggiamento e l’affetto dell’arcivescovo, il cardinale Gualtiero Bassetti, e del vescovo ausiliare, mons. Paolo Giulietti, già assistente spirituale della Confraternita di San Jacopo di Compostela in Perugia.

“Quello che si vive durante il cammino - spiega don Riccardo Pascolini, responsabile della pastorale giovanile di Perugia - fa parte integrante dell’esperienza. Il pellegrinaggio non è un viaggio per raggiungere una meta, ma è un viaggio che costruisce la persona e in un certo senso teorizza la meta dentro di sé”. “I giovani che si apprestano vivere il cammino di Santiago - conclude - avranno una occasione per riportare a casa un entusiasmo nuovo per la vita cristiana”. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 230

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.