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Sommario del 19/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa, conferenza stampa aereo: lecito fermare aggressore

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Si è concluso ieri sera con l’arrivo all’aeroporto di Roma Ciampino poco prima delle 18.00 il terzo viaggio apostolico che ha portato il Papa in Corea. Ancora prima di rientrare in Vaticano, Francesco ha voluto rendere omaggio alla Madonna in Santa Maria Maggiore, con un mazzo di fiori che una bimba coreana gli aveva offerto in Nunziatura a Seoul. Di oggi un tweet di ringraziamento agli “amici coreani” che prosegue: “Con l’aiuto di Dio tornerò molto presto in Asia, nelle Filippine e in Sri Lanka”. Un viaggio dunque intenso come emerso anche dalla conferenza stampa che il Pontefice ha tenuto sul volo di ritorno. Una sintesi nel servizio di Gabriella Ceraso

Il pensiero al popolo coreano apre e chiude sostanzialmente il dialogo articolato in sedici domande che il Papa ha tenuto con i giornalisti, ma è stata l’attualità internazionale a irrompere tra gli argomenti. Innanzitutto, l’Iraq: l’approvazione o meno del bombardamento americano e un ipotetico viaggio del Papa nel Paese. “Sono disposto ad andare”, rivela Francesco, “ma in questo momento non è la cosa migliore da fare”. E poi ribadisce: “È lecito fermare l’aggressore ingiusto”, fermare, non dico bombardare, chiarisce, e quindi “valutare i mezzi con cui farlo”:

“Fermare l’aggressore ingiusto è lecito (…) Ma dobbiamo avere memoria, pure, eh? Quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto (…) le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma questo, come si ferma un aggressore ingiusto”.

Poi, la guerra in Medio oriente. Inutile dunque la preghiera di giugno con Abu Mazen e Peres in Vaticano?, gli si chiede. Quell’iniziativa “nata da uomini che credono in Dio” pace” “non è stata un fallimento”, risponde il Papa. Senza preghiera, non c’è negoziato né dialogo – spiega – dunque è stata “un passo fondamentale di atteggiamento umano”. “Credo che la porta sia stata aperta”:

“Adesso il fumo delle bombe, delle guerre non lasciano vedere la porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento. E io credo in Dio, io credo che il Signore guardi quella porta e quanti pregano e quanti chiedono che Lui ci aiuti”.

Le emozioni provate incontrando tanti testimoni di sofferenza in Corea sono l’occasione per il Papa per parlare degli effetti della guerra. Nell’abbraccio con le anziane donne superstiti della deportazione in Giappone nella Seconda Guerra mondiale, Francesco rivela di aver visto il dolore dell’intero popolo coreano, diviso, umiliato, invaso, eppure forte nella sua dignità. Da qui, il monito al mondo: “Dobbiamo fermarci a pensare un po’ al livello di crudeltà al quale siamo arrivati”. E poi sulla tortura usata nei processi e dall’intelligence, dice,:

“E la tortura è un peccato contro l’umanità, è un delitto contro l’umanità e ai cattolici io dico: torturare una persona è peccato mortale, è peccato grave! Ma è di più: è un peccato contro l’umanità”.

Sollecitato dai giornalisti, il pensiero del Papa torna anche sull’apertura al dialogo con il popolo cinese, definito “bello, nobile e saggio”, con cui, dice Francesco, “la Santa Sede tiene aperti i contatti”. Parla anche del processo di Beatificazione dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, sbloccato, spiega il Papa, con l’auspicio che ora “si chiarisca e che si proceda in fretta”. Poi, le immancabili domande sui viaggi nel 2015: è certa la tappa a Philadelphia per l’Incontro mondiale delle famiglie, cui si potrebbero aggiungere New York e Washington. Probabili poi il Messico e la Spagna. Infine, le tante curiosità dei giornalisti sul privato: la vita normale condotta a Santa Marta, le vacanze fatte di un “ritmo diverso” con più lettura, più riposo e più musica e il rapporto con Benedetto XVI:

“Il nostro rapporto è di fratelli, davvero, ma io ho detto anche che lo sento come avere il nonno a casa per la saggezza: è un uomo con una saggezza, con le nuances, ma che mi fa bene sentirlo E anche mi incoraggia abbastanza”.

La scelta , che ne fa oggi un Papa emerito, ha aperto, afferma Francesco una “porta istituzionale”:

Perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca… La salute forse è buona, ma non c’è la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa. E io credo che Papa Benedetto XVI ha fatto questo gesto di Papi emeriti. Ripeto: forse qualche teologo mi dirà che questo non è giusto, ma io la penso così. I secoli diranno se è così o no, no? Vediamo. Ma lei potrà dirmi: ‘E se lei non se la sentirà, un giorno, di andare avanti?’. Ma, farei lo stesso! Farei lo stesso. Pregherò, ma farei lo stesso”.

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P. Lombardi: il Papa tocca i cuori perché porta un Vangelo vivo

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Al termine del viaggio apostolico in Corea, il direttore della Sala Stampa vaticana, e nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, traccia un bilancio a partire dal contributo dato dalla visita di Papa Francesco alla causa della riconciliazione tra le due Coree, evocato a più riprese non solo di fronte alle autorità istituzionali ed ecclesiali, ma anche con i ragazzi della Giornata della gioventù asiatica. L’intervista è di Alessandro De Carolis

R. – Il tema della divisione fra le due parti della Corea e, più ampiamente, il tema della riconciliazione e della pace, è stato una costante di questo viaggio. Lo si è sentito molto intensamente già a partire dal primo giorno, dal discorso della presidente della Corea, del presidente dei vescovi della Corea al Papa, e poi ha accompagnato tutte le diverse dimensioni, in particolare anche questa dell’incontro con i giovani. Direi che questo fatto e la risposta data dal Papa alla giovane coreana – come anche l’omelia finale, che è stata tutta dedicata a questo tema, nella cattedrale di Seoul – ci fanno capire come l’approccio del Papa sia stato chiaramente evangelico, chiaramente cristiano, nel senso del favorire, instillare gli atteggiamenti profondi che sono la premessa della riconciliazione e della pace. Il Papa sa benissimo di non essere un politico e un’autorità con dei poteri politico-militari per realizzare la pace nel mondo, ma di essere un leader morale e religioso e quindi di agire su un piano, che però è molto più profondo e lungimirante, che poi è quello della conversione dei cuori e del dialogo fatto in profondità fra le persone nella loro completezza e, quindi, di un dialogo che suppone una conversione e un atteggiamento reciproco di ascolto. Questo, direi, che sia il messaggio che il Papa ci ha lasciato a proposito di pace e riconciliazione nella Corea. Qualcuno ne è stato forse anche un po’ deluso: avrebbe voluto dei messaggi più forti di condanna del regime della Nord Corea o delle persecuzioni che hanno subito i cristiani e le religioni nel Nord Corea, ma questo non era il compito del Papa in questo viaggio. Egli prende atto di una situazione che esiste purtroppo, ormai, da 66 anni e cerca di mettere le premesse perché questa cambi e cambi in profondità e per un tempo continuo, a partire quindi dalla riconciliazione che nasce dai cuori. Il discorso fatto dal Papa è stato fatto con consapevolezza, con grande profondità e credo che i coreani lo abbiano capito molto bene. Ho sentito tante espressioni, anche di gratitudine, per l’omelia della Messa finale.

D. – Parlando del viaggio nel suo insieme, prenderei spunto da una considerazione fatta a caldo alla Radio Vaticana dal presidente dei vescovi coreani, che ha detto: “Francesco ci ha consolati e ci ha fatto sorridere”. Potremmo dire, con una parola, che il Papa ha dato una dimostrazione di “empati”a verso il popolo coreano, nel modo in cui egli stesso ne ha parlato con i vescovi?

R. – Certamente. In quel discorso, è stato espresso molto bene l’atteggiamento che il Papa si aspetta che la Chiesa abbia per incontrare gli altri popoli, per incontrare le persone che hanno un atteggiamento diverso, una fede diversa dalla nostra e con cui però noi dobbiamo entrare in dialogo. Direi sia stato un modo diverso, specifico per l’Asia di parlare di quello stesso concetto, che egli normalmente esprime come “cultura dell’incontro”, cioè far sì che le persone possano entrare in rapporto fra loro completamente, a livello più profondo, coinvolgendo tutte se stesse, non solo a livello di parole e di ragionamenti, che sono estremamente importanti – sono anche una parte del dialogo naturalmente – ma non sono tutto e non sono neanche la base più profonda. Direi che il Papa abbia dimostrato di essere un uomo che si muove sempre per incontrare l’altro, vedendolo nella luce della fede, e nella luce della fede cristiana come immagine di Dio, come figlio di un unico Padre. E per il popolo coreano ha avuto questo stesso atteggiamento di amore profondo, che ha dimostrato anche, in modo estremamente efficace, nei confronti dei gruppi di persone sofferenti che ha incontrato. Questo ha toccato molto i coreani, che sono sensibili al contributo specifico che la Chiesa cattolica ha portato, fin dalle sue origini, di attenzione a chi è più debole, nell’ambito della società. Ecco, il Papa con i suoi gesti è riuscito a far capire che, alla luce della fede cristiana tutti, tutti i membri del popolo coreano, qualunque sia la loro situazione, il loro sentimento, sono per lui persone da abbracciare, da amare, da incontrare.

D. – E a proposito di gesti, uno degli incontri in Corea ha visto Papa Francesco quasi muto, ma il suo atteggiamento invece ha commosso – lei lo ricordava – tutti i coreani. Parlo della sua visita al Centro di assistenza per disabili di Kottongnae. Che impressione le ha lasciato quel momento?

R. – Credo sia effettivamente una delle immagini che rimarrà più profondamente scolpita nella memoria dei coreani e di tutti coloro che hanno seguito questo viaggio. Qualcuno – non mi ricordo esattamente chi – mi ha ricordato, a questo proposito, le parole di San Francesco, che dice: il Vangelo va annunciato sempre, con tutta la nostra vita, “se necessario anche con le parole”. Ma questo suppone che, effettivamente, il Vangelo si annunci prima che con le parole, con la vita e quindi anche con gli atti concreti. E Papa Francesco raccoglie in modo eccezionalmente vivo questa raccomandazione. Ed è per questo che, giustamente, non doveva fare grandi discorsi. Se le persone cui si rivolgeva erano piccoli bambini disabili, non aveva senso fare loro grandi discorsi, anche bellissimi, perché non erano in grado di recepirli. Mentre l’abbraccio, la carezza, la manifestazione dell’amore anche fisico, diciamo pure, ma certamente concreto è qualcosa che tutti possono percepire, è un linguaggio assolutamente universale. Questo è da apprezzare e da ringraziare il Cielo: c’è, cioè, un linguaggio universale che tutti capiscono, anche se ci sono delle lingue diverse con cui a volte abbiamo difficoltà di comunicazione ed è quello dell’amore, dell’amore concreto. Tutti i Santi l’hanno capito. Ricordavamo prima Francesco, ma anche Madre Teresa: perché Madre Teresa, che poi ha lavorato in Asia, è riuscita a far passare il suo messaggio? Perché ha incarnato il messaggio dell’amore cristiano. Papa Francesco riesce a farlo – è anche un suo dono – con grande semplicità e naturalezza. Quei piccoli disabili, che poi sono persone abbandonate, che erano state abbandonate, sono quindi veramente coloro che sono stati più bisognosi di amore e che hanno potuto ritrovare una vita fisica e, a loro misura, un senso della vita, grazie all’amore, a un amore motivato cristianamente, almeno nel loro caso concreto. E questo è uno dei modi più efficaci con cui la Chiesa testimonia Gesù Cristo nella sostanza, nell’amore.

D. – I coreani, fieri di ricordare spesso che la nascita della loro Chiesa è dovuta all’impegno dei laici; la ragazza cambogiana che chiede al Papa che si possano conoscere i martiri che si sono sacrificati per il Vangelo nel suo Paese… L’impressione in Occidente, dove le Chiese asiatiche sono poco conosciute, è che siano invece molto più volitive e radicate di quello che le loro dimensioni possano suggerire. Qual è la sua opinione?

R. – Effettivamente, noi abbiamo molto da imparare dalle Chiese dell’Asia. Credo che uno dei grandi valori di questo viaggio sia stato, a livello di Chiesa universale e quindi un po’ per tutti noi, quello di imparare a guardare e a capire questo messaggio così prezioso che ci viene dalle Chiese dell’Asia, dalla loro storia e dalla loro testimonianza di fede. I viaggi del Papa hanno anche questo grande valore per tutti i fedeli del mondo. In particolare, questa Chiesa coreana ha questi due aspetti che nei giorni passati sono stati ricordati numerosissime volte: di essere stata originata da laici del posto, quindi non da missionari stranieri, e quello di avere una grande storia di martirio. Quindi, questa fede nata così, dall’ascolto della Parola di Dio, è stata così forte da poter superare le persecuzioni più orribili, nel corso di decine e decine di anni, di più di un secolo. Questo fa una grande impressione a chi invece vive la fede magari in situazioni più facili, non così provate. Le Chiese dell’Asia, nella massima parte, a parte le Filippine, sono Chiese cattoliche di minoranza nel loro Paese. Anche la fede cristiana è in minoranza. La minoranza ha sempre questo carattere di una profondità di convinzione, di una prova della convinzione personale, che viene vagliata con più profondità, con più serietà e difficoltà che quando ci si trova portati dalla condizione di maggioranza. Ma oltre a questo aspetto della minoranza, io vorrei cogliere proprio questo aspetto invece della inculturazione, che mi sembra molto significativo ed è testimoniato dalla Chiesa coreana in modo unico, proprio perché abbiamo la ricezione del Vangelo e dei suoi valori e della sua novità e del suo parlare a ogni persona non da messaggeri che vengono dall’esterno a portarti un messaggio, che è stato originato altrove, ma che nasce dalla riflessione profonda, personale, di laici coreani che hanno scoperto, loro, per la loro passione di ricerca della verità, il valore del messaggio evangelico. Allora, questo è l’argomento a mio avviso più forte per poter dire che il linguaggio evangelico entra nei diversi popoli e nelle diverse culture come qualcosa che può parlargli dal di dentro, che non viene “appiccicato” dal di fuori, che non è superficialmente aggiunto, ma entra in una sintesi vitale con l’anima, la sensibilità e la cultura dei popoli. Ecco, questo è un aspetto importantissimo, per quanto riguarda l’evangelizzazione dell’Asia e ci dà anche dei criteri per capire, come dice il Papa, che la grande evangelizzazione che noi desideriamo per questo immenso continente, nasce da un’empatia, cioè nasce da una conoscenza del Vangelo che non è aggiunta, che non è estranea, ma che si fonde profondamente con l’anima di chi lo riceve, giungendo nel più profondo. E questo dice anche la nostra convinzione che è il Signore che lavora e che dà la grazia e che può darla nel più profondo del cuore, dove solo Lui riesce ad arrivare e dove invece le parole degli uomini non riescono a penetrare: un lavoro, quindi, di Dio, un lavoro della grazia, un lavoro nei più profondi strati dell’anima umana. Il fatto della nascita della Chiesa coreana, come essa è avvenuta, mi sembra che lo testimoni e ci dia quindi anche una guida e un orientamento su come continuare a lavorare e a pregare per l’evangelizzazione nell’Asia.

D. – Durante il viaggio in Corea potremmo dire, come testimoniano peraltro i tanti tweet, che Papa Francesco non ha mai dimenticato la tragedia che sta vivendo l’Iraq...

R. – Certamente. E questo l’ha testimoniato in particolare con un gesto molto semplice, ma assolutamente suo e spontaneo, cioè quando ha aggiunto, al termine della preghiera dei fedeli, durante la Messa conclusiva, una preghiera per la missione del cardinale Filoni in Iraq, per la situazione in Iraq. Ho saputo che quando i nostri colleghi della Radio l’hanno detto al cardinale Filoni in un’intervista, lui non lo sapeva ancora e ne è stato molto felicemente colpito. Questo dice la sintonia profondissima con cui il Papa si muove con tutte le dimensioni della Chiesa, in particolare con quelle della sofferenza e delle difficoltà. Del resto, appunto in Corea la presenza del tema “persecuzione”, “sofferenza”, “difficoltà della Chiesa”, sia nella storia sia oggi, è stato estremamente presente. E l’Iraq è un luogo dove lo si vive oggi in modo drammatico, anche se non è l’unico. Certamente è però un luogo su cui la nostra attenzione è concentrata e quindi il Papa certamente non l’ha mai dimenticato e l’ha tenuto sempre presente: si è informato giorno per giorno sulla missione del cardinale Filoni e continua a cercare le vie. Nella conversazione finale in aereo, ha addirittura detto di avere preso in considerazione la possibilità di un passaggio, suo, personale, nel Kurdistan, che poi non si è finora verificato ma comunque dice di un atteggiamento di presenza, non solo teorica, non solo lontana con il pensiero, ma veramente con tutto il suo cuore.

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Card. Gracias: Francesco mette l’Asia al centro del suo Pontificato

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All’indomani della partenza di Papa Francesco dalla Corea, sono in molti a registrare la particolare attenzione che il Pontefice attribuisce al Continente asiatico, dove ritornerà a gennaio prossimo. A sottolinearlo è anche il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente della Federazione degli episcopati asiatici. L’intervista è del nostro inviato a Seoul, Sèan Patrick Lovett: 

R. – I was there for the Youth in Daejeon. ...
Ero a Daejeon per la Giornata della gioventù asiatica due giorni prima dell’arrivo del Papa. Ho visto l’emozione e la passione per il Papa. Ogni volta che veniva nominato, la gente si alzava e gridava di gioia, dicendo: “Stiamo incontrando Papa Francesco in questo momento, per la prima volta, nella vita vera!”. Le assicuro che non sono rimasti delusi. Sono venuti qui per incontrare il Santo Padre, per ascoltare il suo messaggio, per ascoltare le sue sfide. Questo è quello che si aspettavano, quello che tutti si aspettavano e questo è ciò che il Papa ha fatto: ha sfidato i giovani ad andare fuori per testimoniare il Vangelo, vivere il Vangelo e fare in modo che anche gli altri possano vivere il Vangelo, diffondere il Vangelo ... Questa è la sfida che ha lanciato ai giovani e a tutte le Chiese in Asia.

D. - Sappiamo già del prossimo viaggio in Asia: tornerà qui di nuovo per recarsi in Sri Lanka e Filippine. Perché questa speciale attenzione per l’Asia?

R. – What we must realise is that Asia is becoming ...
Dobbiamo renderci conto che l’Asia sta diventando sempre di più il centro del mondo. Prima di tutto in Asia si trova il 60 percento della popolazione mondiale; secondo motivo: la maggior parte della popolazione asiatica è giovane. Quindi si tratta di un continente giovane, sta diventando importante dal punto di vista politico, economico, anche militare – purtroppo. Cina e India insieme contano il 37 percento della popolazione mondiale: solo due Paesi! Quindi si può notare come l’attenzione stia gradualmente cambiando. È importante per la Chiesa raggiungere non solo i cristiani, i cattolici, ma tutti, per portare il messaggio del Vangelo. Penso che questo sia veramente importante. Non possiamo vivere senza l’Asia. E penso che il Papa sia interessato all’Asia. Durante l’incontro con i vescovi asiatici ha parlato dell’Asia, di quanto questa sia importante e del suo grande desiderio di imparare a conoscere meglio l’Asia. Questa è la cosa che ho colto fin dall’inizio del suo Pontificato. Quindi non è assolutamente una sorpresa che l’Asia sia per il Papa un continente di grande speranza, grandi possibilità, grande futuro: è in questo senso che va il Vangelo ed è per questo che il Papa è venuto qui.

D. - Lei ha parlato delle diversità in Asia. Questo è molto positivo, per la crescita della Chiesa. Ma ci sono delle difficoltà: ci sono tensioni religiose anche in India, nel suo Paese d’origine, purtroppo. Il Papa è a conoscenza di tutto questo?

R. – I am sure the Holy Father is aware ...
Sono sicuro che il Santo Padre ne sia a conoscenza, ma non abbiamo avuto sufficiente tempo per poterne parlare insieme. Penso che ci siano sfide di diversa natura; ideologie diverse che spesso sfidano la Chiesa; diverse situazioni politiche, gruppi religiosi differenti che sfidano la Chiesa. Ma penso che l’Asia sia in grado si affrontarle. Ci sono i martiri coreani che ci ispirano e che ci mostrano come affidarsi alla fede. Sono stato in Vietnam, dove ho visto chiese vibranti, nonostante tutte le grandi difficoltà. Sono stato in chiese povere dove la gente è cosi entusiasta e ama la fede. In India, possiamo riuscire nel nostro intento. Sono sicuro che lo stesso sentimento sia presente in tutta l’Asia. Non ho mai e poi mai percepito un senso di depressione o sorta di sconfitta da parte delle chiese in Asia, in queste nazioni, mai! La Chiesa è fiduciosa e piena di speranza.

 

Giovani e riconciliazione sono stati tra i temi forti della visita di Papa Francesco in terra coreana. Proprio su questo binomio si sofferma padre Philippe Blot, della Società delle Missioni estere di Parigi, da 24 anni in Corea del Sud. L’intervista è del nostro inviato Davide Dionisi

R. - Ho fondato alcune case di accoglienza per i bambini e i giovani che vivono situazioni di difficoltà e non solo per i giovani della Corea del Sud, ma da tre anni a questa parte anche per i giovani che sono fuggiti dalla Corea del Nord: sono 50 giovani. Formiamo una comunità di riconciliazione tra le due nazioni con questa gioventù.

D. - Che eredità lascia ai giovani asiatici questa visita?

R. - Un grande messaggio arriva dalla sua visita: non dormire, ma avere un progetto! Svegliarsi e andare verso gli altri, condividere tutto l’amore che hanno nel loro cuore con agli altri, offrendolo specialmente a coloro che sono isolati, a coloro che sono ammalati, a coloro che hanno bisogno di questo l’amore.

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Francesco fa gli auguri all'Ungheria per la festa di S. Stefano

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Papa Francesco ha inviato al presidente della Repubblica di Ungheria, János Áder, un telegramma di auguri in occasione della festa nazionale, nella quale si festeggia il Patrono Santo Stefano. “Nell’affidare la Nazione alla provvidenza amorevole di Dio Onnipotente – scrive il Papa – prego affinché tutti gli ungheresi continuino a promuovere una società costruita sulla verità, la giustizia e l'integrità”.

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Il card. Filoni: il Papa dà voce a iracheni che vogliono essere difesi

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Per il cardinale Fernando Filoni, inviato personale di Papa Francesco in Iraq, sono le ultime ore di missione nel martoriato Paese. Domani, il porporato farà infatti rientro a Roma, mentre oggi a Baghdad ha incontrato il presidente iracheno, Fuad Masum, per consegnargli una lettera di Papa Francesco. Il cardinale Filoni ha parlato di questo incontro con Alessandro Gisotti, che lo ha raggiunto telefonicamente a Baghdad: 

R. - L’incontro è stato molto cordiale. Io ero accompagnato dal Patriarca caldeo, il Patriarca Sako, dal nunzio apostolico e da mons. Warduni. Ho consegnato la lettera, alla quale il presidente poi risponderà. Ho raccontato un po’ l’esperienza di questi giorni e ho sottolineato che la mia non era una visita politica, ma era una visita umanitaria per conto del Santo Padre ed è quindi per questo che mi sono recato prima di tutto a Erbil, dove la situazione nel Kurdistan è ancora molto seria e grave, e poi a Baghdad dove, appunto, avrei avuto questo incontro.

D. - Ovviamente, una lettera del Santo Padre per il presidente iracheno proprio in questo contesto di impegno a tutto campo di Francesco per la pace…

R. - Questo è nel cuore, nella mente e nell’azione pastorale del Papa. Quindi, il Santo Padre, davanti a situazioni di così grave emergenza, non lesina possibilità di intervento proprio per sottolineare quanto stia a cuore questa situazione a favore di questi poveri. La questione qui in Iraq non è solo una tragedia per il popolo iracheno, per i nostri cristiani o per gli yazidi, ma è qualcosa che riguarda tutti gli uomini che hanno a cuore l’umanità. Piccole o grandi minoranze, fedi diverse e religioni diverse: non c’è per nessuno un modo di pensare diverso che tutti siamo accumunati in questa stessa dignità umana, che deve essere salvaguardata, difesa e incrementata.

D. - Papa Francesco, di ritorno dal viaggio in Corea, in aereo, nella conferenza stampa con i giornalisti, ha anche detto: “Io sono disposto, anzi avrei voluto essere in Iraq…  Ma sono disposto ad andare, se questo è possibile”…

R. - Conoscendo il cuore, la mente e anche il motivo per cui mi inviava, non avevo dubbi che se in quel momento lui avesse potuto, certamente non avrebbe mancato di farlo anche direttamente, pur comprendendo le tante situazioni che possono emergere. Quindi, vedo confermato che la mia intuizione non era sbagliata.

D. - Il Papa ha anche detto: “Fermare l’ingiusto aggressore è lecito”. Come sono state accolte queste parole in Iraq?

R. - Io credo che il Santo Padre non abbia fatto altro che manifestare quella che è stata la richiesta di tutti i cristiani, di tutti gli yazidi, di tutte queste persone rifugiate, che hanno il desiderio di riprendere la loro vita, la loro dignità. Ora, davanti a una situazione così precaria - e vorrei dire anche così dura - io credo che qui non si tratti di guerra: noi non possiamo mai essere a favore delle guerre, però ci sono delle conflittualità dove i più poveri - pensiamo che i nostri cristiani non avevano armi, gli yazidi non avevano armi - sono stati sottratti alle loro terre, violentati nella loro dignità, rubati dalle loro famiglie… Ecco, possiamo rimanere indifferenti? Ecco allora che si tratta di diritti che devono essere difesi da ogni persona di buona volontà. Ognuno lo deve fare secondo le proprie capacità. Il Santo Padre lo fa con tutta la sua capacità spirituale e morale. Ognuno poi a livello civile, a livello sociale, a livello di responsabilità deve poi anche tirare la sua parte. Nel contesto che non si fa una guerra, ma che il diritto dei popoli va salvaguardato. Se noi non interveniamo, poi avremo i genocidi e magari dopo qualche settimana avremo un rimorso di coscienza, come purtroppo è avvenuto nel passato in alcune situazioni drammatiche dell’Africa, per non dire anche precedentemente e che ancora oggi si ripetono in alcune situazioni ancora dell’Africa. Non pensiamo che, per esempio, la situazione drammatica delle circa 450 bambine rubate alla loro casa sia un fatto concluso. Questi sono aspetti sui quali io credo che qualsiasi persona potrebbe pensare: “Quella bambina, quella giovinetta potrebbe essere mia sorella, una della mia famiglia… Potrei io essere indifferente? Non farei di tutto per liberarla?”.

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Argentina. Muoiono in incidente tre familiari del Papa

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Tre familiari di Papa Francesco sono rimasti uccisi in un incidente stradale in Argentina. Si tratta della moglie e dei due figli piccoli del nipote di Papa
Francesco, Emanuel Horacio Bergoglio, 35 anni, figlio del fratello del Pontefice, rimasto gravemente ferito nell'incidente stradale. Le vittime sono Valeria Carmona, 39 anni, e i due figli, Antonio, 8 mesi, Jose, di 2 anni.

Il Papa è stato informato ed è profondamente addolorato per la tragica notizia e chiede a tutti coloro che partecipano al suo dolore di unirsi a lui nella preghiera. Tutti i suoi più stretti collaboratori, così come i dipendenti della Santa Sede, si uniscono a Papa Francesco e partecipano al grave lutto che ha colpito la sua famiglia.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Una porta aperta: nell'incontro con i giornalisti durante il viaggio di rientro dalla Corea, Papa Francesco rilancia le speranze di pace per il continente asiatico e per il mondo.

L'urlo e il furore: ancora violenze a Ferguson mentre Obama ammette che sulla questione razziale in America c'è ancora molto da fare.

Cento anni fa, il 20 agosto 1914, moriva  Pio X: con lo stile del servizio, così lo ricorda il cardinale segretario di Stato; gli ultimi giorni di vita raccontati nella pagina tratta dal libro "Il santo pontefice romano Pio X" che accompagna i testi di Nello Vian, bibliotecario e scrittore conterraneo del Papa; un articolo di Carlo Fantappié sul "riformatore".

Prolungato il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.

Si rischia la crisi istituzionale in Pakistan.

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Oggi in Primo Piano



Iraq, l'esercito verso Tikrit. I curdi: il Papa venga da noi

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E’ in atto un’importante offensiva delle forze irachene per riprendere il controllo della città di Tikrit, a nord di Baghdad, nelle mani dell’Isis dall’11 giugno scorso. Intanto, prosegue l’avanzata dei peshmerga curdi che due giorni fa hanno strappato ai miliziani la strategica diga di Mosul, la più grande del Paese. Il servizio di Francesca Sabatinelli

L’esercito, appoggiato dai volontari sciiti e dagli elicotteri, ha iniziato all’alba l’attacco contro la città natale di Saddam Hussein, nel momento in cui i jihadisti vengono attaccati anche al nord, stretti tra i combattenti curdi e i raid aerei statunitensi. I peshmerga consolidano le loro posizioni prima di sferrare l’attacco finale alla città di Mosul, dopo la riconquista, due giorni fa, dell’importante diga.

Stanno intanto per arrivare gli aiuti Onu a circa 500 mila sfollati nel nord Iraq. L’intervento umanitario verrà avviato a partire da domani, l’Unhcr ha annunciato un ponte aereo, convogli via terra e via mare, che coinvolgeranno Turchia, Giordania, Emirati arabi e Iran. Domani intanto, il Parlamento italiano sarà chiamato a decidere sull’invio di armi ai curdi. E da Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove si è recato l’inviato del Papa, cardinale Filoni, e dove sono riparati centinaia di migliaia di civili, soprattutto delle minoranze yazida e cristiana, lancia il suo appello l’Alto rappresentante del governo regionale del Kurdistan in Italia presso la Santa Sede, Rezan Kader:

R. – C’è un’enorme folla di gente, noi non eravamo né preparati né ci aspettavamo una situazione del genere. È accaduto tutto velocemente e il problema è che nessuno di noi era pronto ad affrontare un tiranno di questo genere: è piombato in casa nostra e purtroppo non ha risparmiato né donne né bambini, nessuna etnia, nessuna religione. La situazione è molto grave, per sette-otto giorni gli yazidi sono stati sulle montagne aride di Sinjarl. Tanti bambini, tante donne sono morti. Abbiamo anche cercato di aprire un corridoio, ma noi non abbiamo neanche gli elicotteri per farli scendere dalle montagne... Comunque, abbiamo fatto di tutto per salvare quelli che potevamo salvare, altri purtroppo hanno perso la vita nelle montagne. La situazione dei cristiani è altrettanto grave, sia quelli di Mosul che quelli della Piana di Ninive sono dovuti scappare via, sono stati cacciati dalle loro case e sono stati maltrattati, derubati di tutti i beni. Sono arrivati in Kurdistan, qui abbiamo cercato almeno di salvare la loro vita, ma purtroppo non è stato possibile fare altrettanto per gli yazidi perché sono stati aggrediti improvvisamente e sono scappati verso le montagne e lì è successo quello che sappiamo. I fratelli cristiani sono a Erbil e in altre città. Hanno trovato riparo nelle chiese, nelle scuole e per la strada, non c’è albero sotto il quale non abbia trovato riparo una famiglia. In questo momento, abbiamo più di un milione e duecentomila persone rifugiate in questo territorio, oltre a coloro che sono fuggiti dalla Siria.

D. – Di cosa c’è bisogno in questo momento?

R. – Di tutto. Di viveri, di generi di prima necessità, di tende, di tutto. Ma soprattutto non abbiamo niente per poter difendere la nostra gente. Non vogliamo aggredire nessun Paese, ma noi non abbiamo mezzi di difesa. Quei pochi mezzi che i nostri peshmerga hanno sono i residui di armi molto vecchie provenienti dal governo dell’Iraq. Abbiamo solo quello e nient’altro. Noi abbiamo bisogno di una cintura di sicurezza internazionale.

D. – Quanto è stata importante la visita dell’inviato del Papa, il cardinale Filoni?

R. – Quella del cardinale Filoni è stata la visita più importante per noi, per tutta la popolazione, che siano cristiani, che siano yazidi o musulmani, e anche per le autorità del Kurdistan. Il cardinale Filoni ha fatto una missione veramente molto importante. È stato accanto alle persone, non ha fatto distinzioni tra cristiani, musulmani, yazidi. È stato con tutti quanti, lui è rimasto con noi. È stato veramente un grande appoggio, un grande sollievo per tutta la nostra popolazione e specialmente per i peshmerga, affinché possano continuare a difendere la nostra gente. Perché questa è una catastrofe! Una tragedia umana commessa dalle mani di persone che non conosciamo, non sappiamo chi sono. I peggiori dei Paesi del mondo si sono radunati, si sono messi d’accordo con l’Isis e massacrano la popolazione del Kurdistan. È un’aggressione, un’agenda ben precisa per poter annientare e togliere quel bel mosaico del Kurdistan da parte dei nemici dell’umanità, della convivenza, della tolleranza. La parola del Santo Padre per me è importantissima. Non possiamo fare nulla senza il suo appoggio. La nostra gente lo sta aspettando qui in Kurdistan per una visita, anche lampo, per poter accarezzare questi bambini, per ridare dignità a questa gente, per poterla abbracciare e dire:  Dio è con voi. la Chiesa è con tutti voi.

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Petizione online a Ue in difesa dei cristiani perseguitati

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Ha raggiunto oltre 110 mila firme in una sola settimana la petizione lanciata dalla Fondazione "Novae Terrae" a sostegno dei cristiani perseguitati sul sito "www.citizengo.org". Il testo indirizzato al governo Renzi, chiamato a guidare in questi mesi il Consiglio Ue, chiede in particolare di elaborare politiche di partenariato europee con i Paesi di Africa e Medio Oriente in base al grado di libertà religiosa. L’esecutivo italiano ha posto tale diritto fondamentale tra le priorità del semestre europeo. Paolo Ondarza ha intervistato il presidente di "Novae Terrae", Luca Volontè

R. – Concretamente, chiediamo due cose: delle politiche di accoglienza e di asilo davanti a questo genocidio che vengano intraprese da tutti i Paesi dell’Unione Europea. La seconda cosa che chiediamo è che l’Europa incominci a introdurre e a dare attuazione a quel principio e a quel valore della libertà religiosa nelle politiche di vicinato e di partenariato che, come sappiamo, sono strumenti molto concreti perché sono strumenti finanziari per poter convincere i Paesi del Medio Oriente, e non solo, a rispettare questo diritto umano fondamentale, la cui violazione vediamo in questi ultimi anni, e soprattutto in queste ultime settimane, a quali abomini porti.

D. – Il governo Renzi, durante il semestre italiano di presidenza presso il Consiglio dell’Unione Europea, si è impegnato a difendere e promuovere la libertà religiosa. La situazione dei cristiani perseguitati in Iraq e non solo – lei lo ricordava – chiama dunque all’appello l’esecutivo italiano, già distintosi nelle scorse settimane se pensiamo all’intervento a favore di Meriam Ibrahim…

R. – Infatti, vogliamo valorizzare questo paragrafo introdotto dal governo italiano nel semestre europeo, dando maggiore spinta e maggiore concretezza a queste parole, importanti che l’Italia ha voluto introdurre nella presidenza del suo semestre. Chiediamo che dalle parole si passi ai fatti: il partenariato sia vincolato rispetto ai diritti della libertà religiosa nei vari Paesi del mondo, a partire dalla riva sud del Mediterraneo e dal Medio Oriente. Ci sembra un modo intelligente di dare attuazione alle idee del governo Renzi e pensiamo anche che sia un modo urgente, attraverso il quale concretamente l’Europa riprende un protagonismo fondato sulla giustizia e anche sulla solidarietà.

D. – Protagonismo dell’Europa, ma protagonismo – potremmo anche dire – delle singole persone, perché una petizione è un validissimo strumento di cittadinanza attiva. Cosa ne sarà di tutte queste sottoscrizioni che sono arrivate a 110 mila, quando il vostro obiettivo è il raggiungimento delle 200 mila?

R. – Guardi, non ci speravamo. Sei giorni fa, quando abbiamo lanciato questa petizione su iniziativa della Fondazione "Novae Terrae", attraverso la piattaforma di "citizengo" durante il weekend di agosto, non speravamo di arrivare a così tanto. Speriamo di moltiplicare, almeno per il doppio o ancora di più, il numero delle firme: questo darà la possibilità a tutti i cittadini europei di dare un contributo attraverso questa lettera che arriverà sul tavolo del presidente Renzi e del ministro Mogherini, del presidente della Commissione esteri del Parlamento europeo e anche del presidente del Consiglio europeo, van Rompuy. E questo è un modo concreto per dire ai nostri politici, ai nostri rappresentanti, a coloro che hanno una responsabilità politica, che ci sono centinaia di migliaia di cittadini europei, e anche nel mondo, che sperano e chiedono qualcosa di più concreto da parte dell’Europa per fermare questo genocidio. Purtroppo, diciamocelo con grande chiarezza, il Consiglio europeo della settimana scorsa è stato molto deludente perché stabilire che ognuno dei Paesi possa decidere di poter inviare armi o medicinali o aiuti alimentari è una non decisione. Quindi, questa petizione rappresenta una grande occasione per i cittadini italiani e di tutto il mondo, una grande occasione per la politica per non mancare a questo appuntamento con la storia.

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Gaza, tregua infranta. Razzi contro Israele, raid nella Striscia

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Alla fine non ha retto ancora una volta la tregua a Gaza, in vigore dall'11 agosto. Mentre al Cairo erano in corso i negoziati per un cessate-il-fuoco duraturo, tre razzi lanciati dalla Striscia di Gaza hanno raggiunto il Sud di Israele, cadendo in zone disabitate nei pressi di Beersheva, a una quarantina di chilometri dalla Striscia.

Immediata la reazione dell’esercito israeliano, secondo quanto comunicato dal portavoce militare. Testimoni, citati in arabo sui social network, hanno riferito di esplosioni nella Striscia.

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Libia. Stati Uniti negano il coinvolgimento nei raid su Tripoli

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Tensione in Libia dove anche questa notte si sono registrati raid aerei su Tripoli e lancio di missili Grad nella zona dell’aeroporto. Intanto, è ancora giallo sul bombardamento compiuto da due caccia non identificati sulla capitale che ha ucciso 5 persone, portando a 600 i morti negli ultimi mesi. Dopo la smentita di Onu, Francia, Italia e Stati Uniti che hanno negato la loro responsabilità nell’azione, oggi è arrivata la rivendicazione da fonti vicine al generale ribelle, anti-islamista Khalifa Hafthar, secondo cui l'obiettivo era la rivale Brigata di Misurata, ma l’Aeronautica ha ribadito che si trattava di aerei stranieri e non libici. Preoccupazione per la recrudescenza del conflitto è stata espressa dalla Lega Araba, che si dice contraria a ogni intervento straniero, mentre Roma e Parigi hanno lanciato un nuovo appello per un accordo politico nel Paese. Al microfono di Cecilia Seppia, l’analisi di Bernard Selwan Elkourì, esperto dell’area della rivista di geopolitica Limes: 

R. - Sono diverse settimane che è in atto una vera e propria guerra anche a Tripoli, dopo Bengasi, tra due fazioni per il controllo totale della città. Le due fazioni sono principalmente legate alle due città-simbolo dei ribelli libici che hanno preso parte alla “Guerra di liberazione” - come la chiamano loro - del 2011. Quindi, da una parte ci sono i ribelli di Misurata e dall’altra quelli della città di Al-Zintan. Anche in questo caso emerge uno scontro tra le due anime del Paese: l’anima islamista, con la sua ala armata, e l’altra ala che possiamo definire "liberare". Questi sono i due schieramenti che si stanno combattendo a Tripoli e questa operazione è stata denominata da parte delle forze islamiste “Operazione alba della Libia”, con l’obiettivo di cacciare due brigate che sono accusate di non essere altro che residui del vecchio regime. L'altra operazione, è quella guidata dal generale ribelle Haftha,r che è stata invece chiamata "Operazione dignità".

D. - C’è stato, la scorsa notte, un raid effettuato con due caccia non identificati. Oggi, è arrivata la rivendicazione da uno dei comandanti vicini al generale ribelle Hafthar. Si può escludere totalmente l’attribuzione di questo raid a forze straniere, come Francia, Italia e Stati Unit,i che hanno appunto negato il loro coinvolgimento? Cioè può essere plausibile che sia Hafthar ad avere condotto raid?

R. - In realtà, sono proprio i libici - l’opinione pubblica, i funzionari e anche i capi delle milizie - che sono molto confusi riguardo a questo e la stampa libica locale rispecchia tale confusione. Detto questo, è ovvio che le forze del generale Hafthar hanno promesso già da diverse settimane di estendere le loro operazioni da Bengasi anche a Tripoli… Quindi, queste dichiarazioni vanno prese, per il momento, con la massima prudenza e la massima attenzione perché è ovvio che attualmente ogni ministro, ogni gruppo ha intenzione di sfruttare anche quella che è l’arma mediatica per cercare di indebolire la fazione opposta. Quello che ancora non è chiaro - e su cui bisogna avere delle conferme - è se in realtà si sia trattato di due caccia o soltanto di due aerei militari droni che sono predisposti per lanciare degli ordigni esplosivi.

D. - L’Italia, assieme alla Francia, ha lanciato un appello per un accordo politico nel Paese. Però, siamo - politicamente parlando - ancora molto lontani da questo…

R. - Assolutamente. L’agenda politica, soprattutto dell’Italia, è quella di sostenere il dialogo nazionale libico e la riconciliazione del Paese. Anche i libici hanno tentato con le elezioni dell’ultimo parlamento di avviare questo dialogo, ma nella realtà è stato un fallimento totale. A questo punto, non possiamo escludere che possano avere luogo nel Paese ulteriori interventi da parte della comunità internazionale, magari non come quelli del 2011. Se la situazione dovesse aggravarsi ancora di più, mettendo a rischio interessi non soltanto per i Paesi occidentali, e rischiando anche di generare una crisi umanitaria, una crisi energetica, una crisi dei flussi migratori e se a questo aggiungiamo anche la minaccia del terrorismo e la volontà da parte dell’Isis - l’organizzazione dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria - di fondare una sua “branch” - diciamo così - proprio in Libia, capiamo bene che questa situazione richiederebbe nel modo più assoluto se non un intervento, quanto meno un coordinamento tra le autorità libiche, che sono molto deboli, e la comunità occidentale.

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Sessant'anni fa moriva De Gasperi, grande precursore dell'Europa

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Erano le 2 del mattino del 19  agosto del 1954, 60 anni fa: a Sella di Valsugana, nel Trentino, moriva Alcide De Gasperi. Dagli storici è considerato uno dei più grandi statisti italiani, l'uomo a cui si legano gli anni della ricostruzione dell'Italia dopo la seconda  guerra mondiale. Sulla sua figura, il segretario generale dell’Istituto Sturzo, Giuseppe Sangiorgi, ha scritto il libro “De Gasperi, uno studio”, edito da Rubbettino. Alessandro Guarasci lo ha intervistato: 

R. - Il messaggio di De Gasperi è duplice. Uno è rivolto, diciamo, alla comunità politica nella sua interezza e questo significa quindi avere una visione della politica prevalentemente di carattere internazionale e capire che la politica interna è un di cui della politica internazionale e non viceversa. E poi c’è il messaggio di De Gasperi rivolto al mondo politico cattolico: i cattolici possono fare semplicemente una politica da cattolici, quindi con un di più di moralità, di onestà, di attenzione alle classi più disagiate, oppure possono fare una politica di ispirazione cristiana, che è un’altra cosa, più complicata, molto più impegnativa e anche molto più affascinante. De Gasperi faceva e ha fatto una politica di ispirazione cristiana, con quella quasi impossibile mediazione tra cielo e terra, tra giustizia divina e giustizia umana.

D. - Secondo lei, De Gasperi che cosa direbbe oggi di questa Europa, molto lacerata e molto fondata sui parametri finanziari?

R. - Che questa è un’Europa estremamente lontana - perché è ancora un’Europa degli Stati - da quella che aveva concepito lui, che era quella degli Stati Uniti d’Europa. Però, avrebbe fatto anche una annotazione positiva: con la Prima Guerra Mondiale e la Seconda Guerra Mondiale l’Europa è stata un immenso campo di battaglia. Oggi, da oltre mezzo secolo, l’Europa è un’enorme area, la più grande area strutturata del mondo, pacifica, che attrae e che espande un’idea pacifica della politica. Stare dentro l’Europa è anche stare dentro un enorme sogno e guai a svegliarsi e a perdere quel sogno lì...

D. - Secondo lei, ci sono delle aree inesplorate nei rapporti di De Gasperi con la Chiesa? Insomma, un rapporto non sempre idilliaco…

R. - E’ stato sempre difficilissimo il rapporto di De Gasperi con la Chiesa, perché De Gasperi compie una trasformazione che la Chiesa non aveva mai accettato fino in fondo fino a quel momento. La Chiesa aveva finalmente condiviso l’idea di una democrazia sociale, ma De Gasperi trasforma l’idea di una democrazia sociale in democrazia politica: è un salto di qualità che la Chiesa ha sempre fatto con una certa difficoltà. Leone XIII aveva parlato sì di democrazia cristiana, ma con un valore sociale e Murri era stato scomunicato perché aveva fatto una prima democrazia cristiana come partito politico. Quell’antico problema è rimasto soprattutto nei rapporti tra De Gasperi e Pio XII.

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Ferragosto: cifre record per i musei italiani

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Musei affollati a Ferragosto in tutta Italia: la grande adesione di turisti e visitatori regala cifre sorprendenti. Si parla di oltre 23 mila persone al Colosseo,13 mila negli scavi archeologici di Ercolano e Pompei, 8 mila agli Uffizi ed il tutto esaurito per la Galleria Borghese a Roma. Per alcuni siti le percentuali di afflusso registrano anche aumenti di due cifre rispetto agli anni precedenti. Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi a Firenze, ha delineato una riflessione al microfono di Paolo Giacosa su come i musei possano continuare ad essere fondamentali luoghi di cultura: 

R. - I numeri dell’estate degli Uffizi sono numeri davvero cospicui. Il museo è veramente sovraffollato e naturalmente per quanto riguarda le casse dello Stato è cosa buona! Dal punto di vista educativo bisogna capire che cosa si intende per valorizzazione. Io devo confessare che a me interessa molto anche - e dico “anche” perché certo non posso disinteressarmi delle questioni economiche, perché vivo anche io in questo Paese - l’educazione, perché un museo credo che sia uno strumento di educazione. Agli Uffizi mi sono inventato una collana di mostre, che si chiama “La Città degli Uffizi”, con opere che sono quasi esclusivamente nei depositi, opere che sono legate a un certo territorio, da cui magari sono venute oppure sono connesse per altre ragioni. Queste opere vengono per 3-4 mesi portate nel luogo da cui provengono per fare una mostra, con altre opere che vengono chieste in prestito: seppure in questa difficoltà economica, dall’ottobre del 2008 al luglio 2014, le edizioni sono state 17 e i visitatori escono entusiasti.

D. - Tra i visitatori non ci sono solo i turisti. Quali iniziative si possono adottare perché i cittadini riscoprano i tesori dei propri territori e della cultura in generale?

R. - Il problema delle città, e io parlo di Firenze perché è la mia città, è quello non già di consentire ai fiorentini di venire agli Uffizi - è anche questo forse… - ma è quello di dire ai fiorentini che ci sono una infinità di luoghi nella loro città che loro neppure conoscono. Ci sono dei luoghi in città che sono di un’importanza storica ineffabile, che sono di una poesia indicibile: come, per esempio, il Chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata, dove ci sono agli esordi Andrea del Sarto, il Pontormo e Rosso Fiorentino, con affreschi di grandi dimensioni, ed è un luogo facilmente accessibile perché è in pieno centro, nella Chiesa della Santissima Annunziata… Credo che sia indispensabile che le città si dotino di strumenti tali da far capire che la città e il patrimonio di quella città sono molto più larghi ed estesi di quanto uno non pensi.

D. - L’alto afflusso di presenza nei musei è un ulteriore incentivo alla valorizzazione del turismo culturale?

R. - Bisognerebbe incentivare quel turismo che è più "curioso". In Italia ci sono tanti, tanti luoghi negletti, che sarebbero delle vere e proprie scoperte per il popolo del turismo. Vede, io non sono così ingenuo da non rendermi conto che chi viene dall’Australia o dal Giappone o dalla Cina o dall’India, se viene a Firenze, voglia entrare agli Uffizi e naturalmente vedere Botticelli. Quello che, invece, mi resta più difficile capire è come gli italiani continuino a perseverare nell’errore di indirizzare sempre nei medesimi luoghi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Arcivescovo di Bangui: solo dialogo può risolvere crisi in Centrafrica

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"Solo il dialogo e il confronto possono aiutare i cittadini centrafricani a risolvere la crisi che sta vivendo il loro Paese”. Lo ha ribadito domenica mons. Dieudonné Nzapalahinga, arcivescovo di Bangui e presidente della Conferenza episcopale centrafricana, a quasi un mese dal cessate-il-fuoco firmato il 23 luglio a Brazzaville tra le milizie anti-balaka e gli ex ribelli del Seleka.

Intervenendo a una funzione ecumenica celebrata alla presenza della Presidente Catherine Samba-Panza, per ricordare il 120.mo anniversario della fondazione della prima parrocchia dell’allora Territorio dell'Oubangui-Chari, mons. Nzapalahinga ha sottolineato il ruolo centrale della Chiesa nella promozione del dialogo, ma anche quello della famiglia: “La Chiesa domestica è il luogo in cui il padre, la madre e il figlio dovrebbero dimostrare rispetto reciproco e dialogare per promuovere i valori autentici che cambieranno la nostra società”, ha detto il presule. “La prima scuola di dialogo comincia infatti a casa che è il luogo dove si trasmettono i veri valori.  Se ci sono divisioni in famiglia – ha quindi ammonito - non dovete sorprendervi se i vostri figli le portano nelle strade”.

L’arcivescovo di Bangui – riporta l’agenzia africana Apa- ha chiamato in causa anche le responsabilità delle milizie cristiane anti-balaka, nate inizialmente come formazione di difesa dagli ex ribelli musulmani del Seleka, ma che si sono anche loro lasciate andare a massacri di civili: “Quando scegliete le persone sulla base della loro razza o appartenenza etnica, non siete più una chiesa. Non assolvete alla missione di Dio, la missione universale che ci è stata affidata da Cristo”.

Intanto, nonostante il cessate-il-fuoco e la presenza delle truppe francesi, di quelle dell'Unione Africana e l’arrivo di quelle dell’Unione Europea, le armi non si sono completamente fermate in Centrafrica. E’ dei giorni scorsi la notizia di nuove violenze in diversi villaggi del nord in cui sono state uccise 34 persone per mano di sospetti ex ribelli musulmani Seleka e di pastori dell'etnia nomade Fulani.(L.Z.)

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India: Justice Sunday dedicata alla tutela del creato

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“Giustizia ambientale ed ecologia”: sono stati questi i temi della 31.ma edizione della Justice Sunday (Domenica della giustizia), celebrata il 17 agosto in India. Promossa fin dal 1983 ed organizzata dalla Commissione Giustizia, pace e sviluppo della Conferenza episcopale indiana, la ricorrenza viene celebrata ogni anno nella domenica successiva al 15 agosto, festa dell’indipendenza del Paese, con l’obiettivo di “rendere le persone e le istituzioni più sensibili nei confronti della società, così da rispondere meglio alle richieste di giustizia”.

Domenica scorsa, quindi, in tutte le Parrocchie sono stati distribuiti appositi opuscoli sull’importanza della salvaguardia del Creato e sull’educazione ad un corretto sfruttamento delle risorse ambientali. Nella Chiesa di San Domenico a New Delhi, ad esempio, il padre domenicano John Paul ha spiegato ai fedeli che “la giustizia ambientale comporta una giusta relazione sia con il Creato, sia con Dio”. Per questo, ha aggiunto, “la vocazione cristiana è anche una vocazione ecologica, che implica una responsabilità nei confronti dell’ambiente, così da custodire il Creato e trasformare il mondo in un luogo migliore in cui vivere”.

Citando, quindi, i numerosi appelli di Papa Francesco contro “la cultura dello scarto”, padre John Paul ha esortato i fedeli a praticare “la cultura della tutela” ed ha messo in guardia da “il saccheggiamento delle risorse naturali e la distruzione dell’ambiente”, che renderebbero “imminente” l’estinzione degli esseri umani.

Da ricordare che il tema della salvaguardia del Creato era stato anche al centro della Plenaria dei vescovi, svoltasi lo scorso febbraio; in particolare, nel documento finale dei lavori, i presuli sottolineavano l’importanza “dello sviluppo sostenibile dei popoli e dell’ecologia umana”. In questo modo, la Chiesa indiana raccoglie le sollecitazioni del magistero di Papa Francesco: infatti, ieri, nella conferenza stampa sull’aereo di ritorno da Seoul, al termine del terzo viaggio apostolico internazionale, il Pontefice ha spiegato di aver già elaborato una prima bozza di Enciclica incentrata sul tema della salvaguardia del Creato e dell’ecologia umana. Il documento dovrà, quindi, essere revisionato in vista della versione definitiva. (I.P.)

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Preparativi per il Festival cattolico della gioventù australiana

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“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”: è tratto dal passo evangelico delle Beatitudini (Mt 5,8) il tema del secondo Festival cattolico della gioventù in programma ad Adelaide, in Australia, dal 3 al 5 dicembre 2015. Sebbene manchi più di un anno all’evento, i preparativi sono già stati avviati dalla Conferenza episcopale australiana (Acbc), in particolare dall’Ufficio per la Pastorale giovanile. Più di 4mila i partecipanti attesi per questo Festival che, spiega l’Acbc in una nota, “si pone l’obiettivo rafforzare l’impegno dei ragazzi nella vita della Chiesa cattolica”.

“Sono orgoglioso di ospitare questo evento nella nostra meravigliosa città – commenta l’arcivescovo di Adelaide, mons. Philip Wilson – Mi aspetto di vedere migliaia di giovani, provenienti da tutto il Paese, condividere la Buona Novella”. Il tema scelto per il Festival, sottolinea ancora mons. Wilson, richiama anche il carisma di Mary McKillop, la prima Santa australiana, fondatrice delle Suore di San Giuseppe del Sacro Cuore di Gesù, prima Congregazione religiosa del Paese con sede proprio ad Adelaide. “Di fronte ad innumerevoli sfide, infatti – spiega il presule – Mary ha sempre mantenuto il suo cuore puro e rivolto a Cristo”.

Il versetto del Vangelo di Matteo fa eco anche al tema della 30.ma Giornata diocesana della gioventù, da celebrarsi il 29 marzo 2015, domenica delle Palme, e si proietta già al 2016, quando la città di Cracovia, in Polonia, accoglierà la 31.ma Giornata mondiale dei giovani, con il motto “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7). L’evento si terrà dal 26 al 31 luglio, con l’auspicio, naturalmente, di vedere la partecipazione di Papa Francesco.

Da ricordare, infine, che il primo Festival cattolico della gioventù si è svolto dal 5 al 7 dicembre 2013 a Melbourne, sul tema “Lo Spirito del Signore è su di me”, tratto dal Vangelo di Luca. Più di tremila i giovani che vi hanno preso parte. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 231

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.