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Sommario del 24/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: la fede, rapporto di amore e di fiducia con Dio

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La Chiesa, popolo di Dio che ha con Dio un rapporto di amore e di fiducia. Ne parla Papa Francesco spiegando all’Angelus che Gesù ha voluto una Chiesa fondata “non più sulla discendenza, ma sulla fede”. E Francesco sottolinea l’immagine della comunità ecclesiale in costruzione come un edificio. Poi il saluto all’Ucraina nel giorno della festa nazionale con l’appello per la popolazione che vive “una situazione di tensione e di conflitto che non accenna a placarsi”.  Il servizio di Fausta Speranza: 

“Il nostro rapporto con Gesù, costruisce la Chiesa”. Così Papa Francesco sottolineando che “il Signore ha in mente l’immagine del costruire, l’immagine della comunità come un edificio”. Lo afferma Papa Francesco ricordando che Gesù, “quando sente la professione di fede schietta di Simone, lo chiama ‘roccia’, e manifesta l’intenzione di costruire la sua Chiesa sopra questa fede.” L’apostolo Simone  ha professato la sua fede in Gesù come ‘il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. Per la sua fede – sottolinea Francesco - e non per suoi meriti Gesù gli dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Commentando il Vangelo domenicale, Francesco sottolinea:

“Fermiamoci un momento proprio su questo punto, sul fatto che Gesù attribuisce a Simone questo nuovo nome: “Pietro”, che nella lingua di Gesù suona “Kefa”, una parola che significa “roccia”. Nella Bibbia questo termine, “roccia”, è riferito a Dio. Gesù lo attribuisce a Simone non per le sue qualità o i suoi meriti umani, ma per la sua fede genuina e salda, che gli viene dall’alto.”

Francesco afferma che “Gesù sente nel suo cuore una grande gioia, perché riconosce in Simone la mano del Padre, l’azione dello Spirito Santo. Riconosce che Dio Padre ha dato a Simone una fede “affidabile”, sulla quale Lui, Gesù, potrà costruire la sua Chiesa, cioè la sua comunità.”  

“Gesù ha in animo di dare vita alla “sua” Chiesa, Un popolo fondato non più sulla discendenza, ma sulla fede, vale a dire sul rapporto con Lui stesso, un rapporto di amore e di fiducia. E dunque per iniziare la sua Chiesa Gesù ha bisogno di trovare nei discepoli una fede solida, “affidabile”. È questo che Lui deve verificare a questo punto del cammino.”

Il riferimento all’oggi:

“Fratelli e sorelle, ciò che è avvenuto in modo unico in san Pietro, avviene anche in ogni cristiano che matura una sincera fede in Gesù il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Il Vangelo di oggi interpella anche ognuno di noi. Se il Signore trova nel nostro cuore una fede non dico perfetta, ma sincera, genuina, allora Lui vede anche in noi delle pietre vive con cui costruire la sua comunità, cioè tutti noi. Tutti noi.”

E Francesco aggiunge a braccio:

“Come va la tua fede? Ognuno faccia (dia) la risposta nel suo cuore, eh? Come va la tua fede? Come è? Cosa trova il Signore nei nostri cuori: un cuore saldo come la pietra o un cuore sabbioso, cioè dubbioso, diffidente, incredulo? Ci farà bene nella giornata di oggi pensare a questo.”

“Di questa comunità, - sottolinea Francesco - la pietra fondamentale è Cristo, pietra angolare e unica.” Poi c’è Pietro di cui Papa Francesco dice:

“Pietro è pietra, in quanto fondamento visibile dell’unità della Chiesa”.

Ma poi il Papa chiama in causa ogni battezzato:

“Ma ogni battezzato è chiamato ad offrire a Gesù la propria fede, povera ma sincera, perché Lui possa continuare a costruire la sua Chiesa, oggi, in ogni parte del mondo.”

“Anche ai nostri giorni – afferma Papa Francesco - «la gente» pensa che Gesù sia un grande profeta, un maestro di sapienza, un modello di giustizia… E anche oggi Gesù domanda ai suoi discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?». E dunque il Papa domanda:

“Che cosa risponderemo? Pensiamoci. Ma soprattutto preghiamo Dio Padre perché ci dia la risposta. Per intercessione della Vergine Maria preghiamolo che ci doni la grazia di rispondere, con cuore sincero: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente».”

Papa Francesco sottolinea l’importanza di quella che definisce la confessione di fede chiedendo a tutti di ripeterla con Lui tre volte.

Dopo la preghiera mariana, il pensiero “all’amata terra d’Ucraina”:

“A tutti i suoi figli e figlie, ai loro aneliti di pace e serenità, minacciati da una situazione di tensione e di conflitto che non accenna a placarsi, generando tanta sofferenza tra la popolazione civile. Affidiamo al Signore Gesù e alla Madonna l’intera Nazione e preghiamo uniti soprattutto per le vittime, le loro famiglie e quanti soffrono.”

Papa Francesco confida di aver ricevuto una lettera da un vescovo dell’Ucraina che racconta tanto dolore.

Infine i saluti a tutti i pellegrini romani e quelli provenienti da vari Paesi, in particolare i fedeli di Santiago de Compostela (Spagna), i bambini di Maipù (Cile), i giovani di Chiry-Ourscamp (Francia) e quanti partecipano all’incontro internazionale promosso dalla diocesi di Palestrina. Ai nuovi seminaristi del Pontificio Collegio Nord Americano, giunti a Roma per intraprendere gli studi teologici. Ai seicento giovani di Bergamo, che a piedi, insieme al loro Vescovo, sono giunti a Roma da Assisi. A loro dice: “Cari giovani, tornate a casa con il desiderio di testimoniare a tutti la bellezza della fede cristiana”. Il saluto ai ragazzi di Verona, Montegrotto Terme e della Valle Liona, come pure i fedeli di Giussano e Bassano del Grappa.

A tutti l’augurio di buona domenica e buon pranzo!

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Messa di Benedetto XVI a conclusione dello Schuelerkreis

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Benedetto XVI Papa emerito ha presieduto questa mattina, alle ore 09.00 presso la Chiesa del Camposanto Teutonico in Vaticano, la Santa Messa a conclusione dello Schuelerkreis, cioè letteralmente ‘circolo degli studenti’, dedicato quest’anno al tema della Teologia della Croce e svoltosi presso il Centro Mariapoli di Castelgandolfo dal 21 al 24 agosto. Partecipanti, come ogni anno, ex alunni del teologo Ratzinger. Relatore principale è stato quest’anno il teologo Karl-Heinze Menke.

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Omelia del card. Parolin per il centenario della morte di S.Pio X

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“Fare di Cristo il cuore del mondo”: questo fu il “solo e grande progetto” nella vita e nel ministero di San Pio X, ha affermato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ieri, nell’omelia della messa di chiusura del centenario della morte di Papa Sarto. “Pastore secondo il cuore di Dio, umile anche se energico, proteso alle necessità umane e spirituali” del suo gregge, San Pio X – ha proseguito il porporato – richiamò la Chiesa del suo tempo a “ricentrarsi su Cristo” nel confrontarsi con il fenomeno, ai suoi tempi in fase iniziale, della secolarizzazione. Il Pontefice santo, che - ha notato il card. Parolin - rappresentò “uno spartiacque nella visione del sacerdozio”, non invitò però la Chiesa “all’autoreferenzialità, all’isolamento e alla chiusura in sé stessa”. Piuttosto, fece appello a quelle che definì “una somma alacrità” e una “magnifica impresa”. Un richiamo, ha detto il Segretario di Stato vaticano, che “è di estrema urgenza per la Chiesa di oggi”, come ricorda “costantemente” anche Papa Francesco. Allo stesso modo, ha proseguito il card. Parolin “il primato spirituale nella vita del prete non lo distacca dal mondo. Anzi, lo radica in maniera ancora più significativa nella storia e nella comunità”. “L’amore del pastore a Cristo, ha spiegato infatti il porporato “ricade nella Chiesa come carità pastorale”, e S. Pio X – ha concluso – fu appunto una figura “dalla inesauribile carità umana e sacerdotale”. (D.M.)

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Meeting Rimini. Guarnieri: cristiani realisti, non sbiaditi

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Il cristiano non perda mai il contatto con la realtà. E’ uno dei passaggi chiave del Messaggio che Papa Francesco ha indirizzato ai partecipanti al Meeting di Rimini, al via oggi sul tema “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza”. Al microfono di Luca Collodi, la presidente della Fondazione Meeting per l'Amicizia tra i Popoli, Emilia Guarnieri, si sofferma sull’esortazione del Papa: 

R. - Mai come oggi è evidente che l’esperienza cristiana o torna ad essere qualcosa che ha che fare con la vita e che si documenta come una capacità di potere accogliere le sfide della vita che sono quelle personali, quelle della crisi economica, quelle esistenziali, le crisi delle tragedie degli scenari internazionali che vediamo, e la fede c’entra con tutto questo - e il cristiano ha questa capacità di lasciarsi provocare dalla realtà affinché la certezza della fede si incrementi -, o altrimenti diventeremo dei cristiani molto sbiaditi.

D. - Bisogna guardare all’essenziale. Altro messaggio del Papa …

R. - Questo lo abbiamo sentito fin dal primo giorno con una suggestione, con una potenza grandissima. Qui al Meeting, in mezzo a tante persone di fedi e culture diverse, questo richiamo all’essenziale è ancora più potente ed è ancora più affascinante, perché senza una domanda umana carica di intensità e di esigenza di infinito  - e questo è qualcosa che accomuna tutti gli uomini che sono qui - anche Cristo diventa una risposta non richiesta e quindi, ultimante, una risposta non utile.

D. - Per un cristiano, oggi, è difficile vivere realisticamente?

R. - Credo che il cristiano, proprio dall’esperienza della fede cristiana che vive, tragga una risorsa in più per essere realista, perché Cristo è il massimo del realismo; Gesù ci ha insegnato a stare di fronte a tutto perché anche lui è stato di fronte a tutto. Credo che l’esperienza cristiana sia proprio un grosso aiuto. Don Giussani diceva sempre che Cristo non risolve i problemi della vita, però ti mette nella posizione tale da poterli affrontare meglio.

D. - Essere realisti, essere essenziali. Questo atteggiamento richiama un po’ il tema del meeting di quest’anno: si può essere tali solo nelle periferie del mondo o anche al centro del mondo?

R. - Penso che questa settimana di Meeting ci accompagnerà a renderci conto che periferia è ovunque c’è una domanda, ovunque c’è un bisogno. Pensare di esser al centro è - forse - una grande presunzione, perché la domanda personale, la sofferenza, il disagio, il bisogno, i drammi sono tutti periferie.

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Oggi in Primo Piano



Ancora morti al largo di Lampedusa, Alfano: "Intervenga l'Europa"

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Ancora una tragedia della migrazione al largo di Lampedusa, dove 18 persone sono morte su un gommone bloccato da un guasto. Altre 73, che si trovavano sulla stessa imbarcazione, sono state soccorse dalla nave Sirio della Marina militare italiana, che approderà a Pozzallo, nel Ragusano, nel primo pomeriggio. Sono 3500 i naufraghi soccorsi dalla Marina e dalla Guardia Costiera nel Canale di Sicilia da venerdì. Ed entro pochi giorni il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, vedrà la commissaria europea competente, Cecilia Malmstrom. Il servizio è di Davide Maggiore

Erano circa in 100 a bordo del gommone su cui i migranti hanno perso la vita: si cercano dunque almeno 8 dispersi, finora senza esito. I sopravvissuti, provenienti da Mali e Senegal, hanno spiegato che il viaggio durava da due giorni. È stato forse un guasto al motore a bloccare l’imbarcazione che, quando è stata avvistata, era ormai sul punto di affondare, mentre alcuni dei migranti erano già in acqua al momento del salvataggio. In tutto, sono oltre 3500 i naufraghi soccorsi dalla Marina e dalla Guardia Costiera nel Canale di Sicilia a partire da venerdì. E nel giorno in cui a Reggio Calabria è approdata la nave militare Fasan, con a bordo oltre 1300 naufraghi, il ministro dell’Interno italiano è tornato a rivolgersi all’Europa: o l’Unione prenderà in mano il dossier, ha detto Alfano al Corriere della Sera, “o l’Italia dovrà adottare le proprie decisioni”. La questione, ha sostenuto, non è solo nazionale, perché “i migranti vogliono andare in Europa”. Bruxelles “resta impegnata ad aiutare l’Italia”, ha precisato la Commissione europea in un comunicato, in cui esprime choc per le nuove tragedie: annunciato per i prossimi giorni anche un incontro tra Alfano e la commissaria per gli Affari Interni, Malmstrom. 

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I bambini, prime vittime del conflitto israelo-palestinese

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Due persone sono rimaste uccise a Gaza dopo un attacco israeliano nel 48/mo giorno di guerra. Altre cinque persone sono rimaste ferite. Intanto, localita' del Neghev occidentale, nel sud d'Israele, sono state nuovamente sotto attacco dei miliziani palestinesi di Gaza mentre in un cimitero della zona si svolgevano i funerali di un bambino di quasi cinque anni ucciso venerdi' da un colpo di mortaio. Una ventina di razzi e di colpi sono esplosi nella zona, senza provocare vittime. Sirene di allarme risuonano anche ad Ashdod e ad Ashqelon, a sud di Tel Aviv. Un altro è esploso proprio in una zona isolata di quest'ultima città, memntre 3 palestinesi sono rimasti vittime di un nuova raid israeliano sulla Striscia. E non c’è giorno che la violenza tra israeliani e palestinesi non racconti l’orrore della conta dei bimbi tra i morti, o dei traumi dei minori che sopravvivono, ma con negli occhi i bombardamenti, il lancio dei razzi, la morte dei propri cari, la violenza che li circonda. E spesso ci si dimentica che i bambini non hanno passaporto, non hanno nazionalità, sono bambini e basta, da tutelare, come ci ricorda la Convenzione sui diritti dell’infanzia, e come invece ogni guerra dell’epoca contemporanea ha tristemente dimenticato. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. David Maria Jaeger, francescano di Terra Santa: 

R. – Da sempre, la morte dei bambini nei conflitti violenti ha suscitato negli animi una particolare tristezza, uno speciale senso di orrore, perché tutti riconoscono comunque che il bambino non possa essere incolpato: il bambino è innocente! La morte dei bambini non è solo una strage che colpisce profondamente le famiglie, è anche un deficit che si apre all’interno del popolo e all’interno dell’umanità, perché vengono eliminate delle potenzialità. La morte dei bambini nei conflitti armati non è solo il destino cruento e crudele delle vittime, ma è anche una ferita che si apre nell’animo degli altri bambini: quelli che sopravvivono. Immaginiamoci come possono crescere i bambini che a tre-quattro anni hanno già come parte integrante e forse principale, per certi periodi della loro formazione, questa scelta di come trovare riparo dalle armi del nemico! E’ difficile … io non posso nemmeno immaginare come si cresca con questa esperienza e quali ferite poi questa esperienza possa iscrivere nelle coscienze! Perché a questa esperienza troppo spesso corrisponde una consapevolezza alimentata – anche maliziosamente – dagli adulti e quindi il bambino cresce pensando che ci sia per sempre un nemico con un nome, un nemico che è il popolo vicino, questo o l’altro, a seconda dei casi.

D. – Ci si preoccupa di fornire a questi bambini un sostegno psicologico, di aiutarli a superare le loro paure, i loro traumi quando in realtà, poi, la soluzione, l’unica, vera soluzione è quella che conosciamo tutti, e che però è anche quella più lontana …

R. – La risposta, l’unica soddisfacente, è di contrastare questa esperienza con l’esperienza della pace. Un trattato di pace, una pace pattuita tra le due nazioni, che in tanti modi, da tanti decenni si trovano in un conflitto che prende tante forme diverse. Soltanto una pace equa, pattuita, duratura tra le due nazioni può veramente aiutare alla ricostruzione delle città, delle case ma anche degli animi e soprattutto di quelli dei giovanissimi. Le tregue servono, certo, non si devono disprezzare le tregue perché salvano tante vite, permettono tanto aiuto ai bisognosi, però una tregua non è un punto di arrivo: dalla tregua bisogna arrivare alla pace.

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Migliaia di profughi intrappolati in Libia: la denuncia di don Zerai

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Ancora forte tensione in Libia a causa degli scontri tra milizie rivali soprattutto attorno allo scalo di Tripoli. Drammatica la situazione dei profughi: migliaia sono costretti a combattere una guerra che non è la loro, cadono vittime dei trafficanti, di abusi e violenze. A lanciare un appello all’Europa e alla Comunità internazionale perché intervenga in modo concreto per proteggerli è don Mussie Zerai presidente dell’Agenzia Habeshia. L'ha intervistato Cecilia Seppia: 

R. – Purtroppo, sono migliaia i profughi dell’Africa subsahariana che si trovano incastrati nella guerra; i maschi spesso costretti a fare da portantini, da facchini per le munizioni: abbiamo molti feriti, molti che hanno perso la vita, donne e bambini che stanno letteralmente morendo di fame. Ce ne sono circa 350 solo a Tripoli, chiusi in un campo sportivo, all’aperto, senza protezione, e sono quattro giorni che non ricevono cibo, nulla …

D. – Lei ha detto che ogni giorni ricevete, con l’agenzia Habeshia, telefonate di gente disperata, impaurita … che cosa vi raccontano?

R. – Sono molto spaventati soprattutto a causa delle bombe, dei proiettili che vengono sparati per la strada… Ci sono stati anche morti in casa: mentre erano in casa, piombava una bomba … la gente è terrorizzata! Poi, le varie aggressioni che ci sono state anche casa per casa: sono stati derubati, aggrediti, hanno subito abusi di ogni genere … Questo è quello che ci raccontano.

D. – Lanciando questo appello, ha usato un’espressione molto forte: ha detto che questi profughi, questi rifugiati sono “figli di nessuno”, perché a differenza degli occidentali che sono stati fatti evacuare con la ripresa della guerra in Libia, loro non hanno avuto nessuna tutela. Quindi, che cosa fare?

R. – E' così tutti gli altri sono stati evacuati tranne loro: per questo, la comunità internazionale deve progettare un piano di evacuazione per proteggere queste persone, anche nei Paesi confinanti. Per esempio, quelli che sono a Tripoli spesso si dirigono verso la Tunisia, però vengono bloccati al confine, non possono andare nemmeno là, sono prigionieri.

D. - L’Unione Africana è incapace di proteggere queste persone. C’è un’Europa che arranca anche su questo: più volte dall’Italia è arrivata la richiesta all’Europa di intervenire perché – ricordiamolo – molti di questi profughi sono diretti in Italia …

R. - L’Unione Europea deve intervenire per prevenire tutti questi morti, sia nel deserto che nel Mediterraneo: tutti sono diretti verso l’Europa, non solo verso l’Italia. Anzi, molti vorrebbero andare nell’Europa del Nord. Questo significa che l’Italia è solo l’ingresso, la porta dell’Europa e quindi il problema non è solo italiano, ma anche europeo. E la richiesta del ministro dell’Interno Alfano affinchè  “Mare Nostrum”  possa essere rilevato, assorbito da Frontex è giusta. E' vero che Frontex non è nata per accogliere, ma per respingere: quando è stata ideata era nata per respingere gli arrivi e proteggere i confini dell’Europa; è ovvio che oggi si rifiuta a subentrare. Però, per questo bisogna rivedere i regolamenti e anche il progetto per cui è nata Frontex: che diventi un’agenzia che protegge e accoglie questi rifugiati. Però, dev’esserci un accordo tra tutta la comunità europea secondo il quale queste persone, poi, dovranno essere ridistribuite su tutto il territorio europeo.

D. – Profughi ammassati a Tripoli, a Misurata, a Sebha ci sono gli ospedali al collasso, nel senso che il sistema sanitario non riesce a prendersi cura di queste persone, anche perché mancano le medicine …

R. – Non ci sono gli strumenti per intervenire; non c’è un medico chirurgo che possa intervenire e quindi si trovano in condizione di totale abbandono. E in alcuni casi, le ferite sono andate in cancrena al punto di richiedere, nel caso di un ragazzo giovanissimo, l’amputazione di un piede che sognava tutt’altra vita; un’altra ragazza è costretta a letto perché ha la schiena spezzata: ha bisogno di un urgente intervento chirurgico ma non sono in grado di farlo, non sono in grado di spostarli a Tripoli perché lungo il percorso ci sono i pericoli dovuti dai continui conflitti … Questa è la situazione che stanno vivendo!

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Afghanistan: prosegue l'impegno delle forze di pace italiane

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In Afghanistan la situazione resta difficile e periodicamente tornano attentati. Ma ad Herat, la zona controllata dalle forze di pace italiane, la Brigata Sassari lascia il comando alla Brigata Garibaldi registrando progressi nella vita sociale della popolazione. Ce ne parla, nell'intervista di Luca Collodi, l’ammiraglio di Squadra, Donato Marzano, Capo Ufficio Generale del Capo di Stato Maggiore della Difesa, che si sofferma sui progressi nella vita sociale della popolazione afghana: 

R. - Diciamo che le :prospettive sono decisamente incoraggianti, nel senso che il processo è lungo. Se pensiamo al Libano, a una missione di stabilizzazione che è iniziata 30 anni fa e che è ancora in corso, oppure a quello che sta avvenendo in Kosovo, dove è ancora presente una forza Nato di stabilizzazione, è chiaro che il processo è molto lungo. Una volta, infatti, che sono state addestrate le forze di sicurezza - ed è il caso che è successo in Afghanistan sia per le forze armate che per le forze di polizia, sono quasi 340 mila uomini e donne che sono state addestrate dalle forze della coalizione - è chiaro che poi, oltre alle condizioni di sicurezza classiche, vanno curate tutta una serie di attività - il cosiddetto “comprehensive approach” - per tutti gli aspetti del sistema Paese: ovvero sia l’istruzione, una stabilizzazione politica, una partenza strutturale, l’economia… Si tratta di un processo completo che non può vedere solo i militari in prima linea ma è tutto il sistema Paese che deve essere curato. Questo è un processo molto lungo che non si concluderà sicuramente il 31 dicembre.

D. - Nell’ambito della missione internazionale di pace, quale è stato il ruolo della forza di pace italiana?

R. - L’Italia è stata presente già dall’inizio, da quando è partita l’operazione, sia a Kabul e poi a Herat. Siamo a Herat, quindi tutta la regione ovest, e dal 2005 si alterna un generale italiano ogni sei mesi, proprio per il controllo di tutta l’area. La regione Ovest è una regione che, tra l’altro, è tra le più sicure nell’ambito dell’intero Afghanistan. Faccio un esempio per dire il livello di stabilità e di sicurezza, perché nessuna attività può essere condotta se non c’è sicurezza: il mercato rispetto al 2006, 2007, le attività di mercato, quindi anche le attività industriali, sono cresciute enormemente. Quindi già questo dà un indice sul fatto che si stia stabilizzando la situazione. Volevo dare qualche esempio: l’istruzione è più che raddoppiata in termini di bambini che si avviano al processo educativo arrivando al diploma. Oltre 175 mila insegnanti sono stati formati. Gli analfabeti si sono ridotti più della metà: oltre 250 mila persone adulte sono state alfabetizzate in questo periodo. Per quanto riguarda la Sanità si è passati dal 9 per cento di personale assistito a oltre il 60-70 per cento attuale. Quindi, è un processo lungo ma che sta andando nella giusta direzione. Faccio un esempio per riportare la cosa alle attività concrete: il 71 per cento della popolazione possiede un cellulare, oltre il 60 per cento degli afghani ha un televisore. Ci sono più di 75 canali televisivi e sappiamo che l’informazione è fondamentale per un processo democratico di stabilizzazione del Paese.

D. – Quindi un successo anche per la struttura democratica del Paese?

R. – Sì, assolutamente. È chiaro che la sola attività militare non è più assolutamente sufficiente, anzi forse non lo è mai stata. Quindi, è un approccio onnicomprensivo interagenzie, interministeriale, che deve essere portato avanti. Le istituzioni afghane si devono rafforzare a livello centrale e a livello locale e deve ripartire l’economia. Ci sono ottimi risultati ma non si può dire che non sia conclusa la nostra partecipazione: intendo la partecipazione dei Paesi della coalizione in generale, non solo per gli aspetti militari.

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In Italia crescono gli orti urbani

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In Italia sono triplicate nelle città le aree verdi destinate ad orti pubblici. Nel 2013 sono ben 3,3 milioni i metri quadri di terreno comunale destinati alla coltivazione ad uso domestico; primato delle città del nord. Sulle ragioni, economiche e non solo, della crescente diffusione degli orti urbani Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Stefano Masini, responsabile ambiente e consumi di Coldiretti: 

R. – Le ragioni sono molteplici. Sicuramente c’è un rinnovato interesse al verde, alla natura e, avvicinandosi al cibo, a conoscere i cicli di produzione, le stagioni… Mangiar meglio significa anche conoscere, quindi documentarsi e quindi fare anche esperienza. Si torna a scoprire una tradizione, chiaramente legandola agli spazi oggi di vita, con maggiore soddisfazione anche per la tavola, per condividere con amici nuove ricette. L’attenzione che oggi c’è alla cucina, al cucinare, al condividere, è alimentata anche da queste forme di piccole coltivazioni. Poi, ci sono anche gli orti che servono per integrare il reddito: in pochi metri si possono ricavare ortaggi che soddisfano il fabbisogno famigliare. Quindi, gli “orti della crisi”, come un tempo durante la guerra venivano assegnate alle famiglie dei piccoli appezzamenti...

D. - Chi sono oggi gli “hobby farmers”?

R. – Categorie molteplici, giovani che si riavvicinano con slancio culturale alle pratiche rurali ma leggono, si informano, sperimentano… Poi, ci sono anche agricoltori più professionali, che si cimentano in piccoli appezzamenti per far quadrare il bilancio famigliare. Anche in città si torna a guardare con interesse alle forme più tradizionali, tipiche degli orti che un tempo erano una dipendenza funzionale delle case coloniche.

D. – La Coldiretti interviene tramite la fondazione "Campagna amica" per aiutare i tanti neofiti. Quali strumenti mette loro a disposizione?

R. – Innanzitutto guide per poter organizzare meglio, con conoscenze adeguate, anche piccole micro-coltivazioni, e poi il proprio sito, i propri esperti, mettendo in rete gli orti, facendo condividere esperienze e saperi. Far bene l’orto non è semplice, non si può improvvisare pena tanti errori. Da questo punto di vista, la comunità di "Campagna amica", gli orti in rete, ha come obiettivo quello di accrescere la consapevolezza e di mettere in contatto persone che hanno la stessa passione e possano scambiarsi conoscenze.

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Nella Chiesa e nel mondo



In Ucraina nuovi scontri e Poroshenko parla di riarmo

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Continuano i combattimenti nell’est dell’Ucraina, dove resta sotto assedio la roccaforte separatista di Donetsk. Ieri si sono contati 6 morti tra i civili, compreso un bambino. Oggi una cannonata ha colpito un ospedale nel centro della città, senza fare vittime: secondo le prime informazioni, però, ci sarebbero alcun feriti. Intanto, parlando in occasione della parata che ricorda la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il presidente Petro Poroshenko ha previsto che il Paese resterà anche nel prossimo futuro sottoposto a “una minaccia militare”. Per contrastarla ha promesso forti investimenti nel riarmo tra 2015 e 2017, pari a 40 miliardi di grivnie – la valuta locale - circa 2,2 di euro. (D.M.)

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Yemen: fallito il negoziato tra governo e ribelli sciiti

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In Yemen è fallito il negoziato tra il governo e i ribelli sciiti attivi nel nord del Paese, che è a maggioranza sunnita. Secondo un portavoce governativo, le autorità avevano offerto la formazione di un governo tecnico in cambio della fine delle proteste che questa settimana avevano raggiunto anche la capitale Sanaa. I ribelli – che chiedono anche la revoca di alcune recenti decisioni in materia di politica economica – avrebbero però “rifiutato tutte le proposte” e, sempre secondo fonti governative “sembra abbiano intenzioni bellicose”. La protesta degli sciiti non è l’unica difficoltà che le autorità yemenite devono affrontare. Ieri tre soldati sono rimasti uccisi dopo che l’esplosione di una bomba ha colpito il convoglio su cui viaggiavano, nell’est del paese. Nell’area è attivo il gruppo noto come “al-Qaeda nella penisola arabica”. (D.M.)

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Congresso bioetica organizzato da Chiesa in Svizzera

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“La gioia di accogliere la vita-la Chiesa cattolica: un discorso positivo sulla procreazione”: s’intitola così il colloquio scientifico organizzato dalla Commissione di bioetica della Conferenza episcopale Svizzera, insieme al Dipartimento di teologia morale ed etica dell’Università di Friburgo, che avrà luogo il 12 e il 13 settembre, presso l’Università di Friburgo. Al centro dei lavori, in particolare, la legge sulla procreazione medicalmente assistita, al centro del dibattito elvetico tra politici e scienziati che mirano ad una sua revisione per ampliarne le modalità di applicazione.

In vista del prossimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia, dove non mancherà il tema della procreazione, l’episcopato svizzero vuole dunque esaminare gli aspetti giuridici, piscologici, etici e teologici che riguardano il dono della vita ed  approfondire i fondamenti della posizione della Chiesa cattolica sulla procreazione. All’incontro parteciperanno ricercatori universitari, scientifici e rappresentanti della Chiesa guidati da mons. Charles Morerod, vescovo di Lausanne, Ginevra e Friburgo. (A.T.)

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“Famiglia, un progetto”: tema Giornate Missionarie in Portogallo

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Sarà “Famiglia, un progetto” il tema portante dell’edizione 2014 delle Giornate missionarie del Portogallo. In programma a Fatima il 20 e 21 settembre, l’evento coinciderà con la terza edizione delle Giornate nazionali di Pastorale giovanile. “Questi incontri – spiega padre Antonio Lopes, direttore delle Pontificie opere missionarie portoghesi, organizzatore dell’evento – affrontano la questione della famiglia in tutte le sue diverse componenti e fanno scoprire il modo giusto di guardare ad essa, così da sostenere il suo desiderio di vivere meglio, di essere una comunità di fede, di partecipazione, di rispetto, attenzione, crescita e solidarietà”.

Diventa, quindi, quanto mai “necessario”, sottolinea ancora padre Lopes, “fare attenzione a tutto ciò che può indebolire il nucleo familiare, come ad esempio la violenza”, perché se “da una parte esiste la famiglia, riserva di valori, dall’altra c’è la cultura contemporanea che esalta l’individuo e conduce all’individualismo”. Numerose le sessioni di lavoro che animeranno la due-giorni: si va da “Famiglia oggi”, il 20 settembre, a “Vangelo e Missione” e “Famiglia e comunicazione” del giorno seguente. Il tutto guardando al prossimo ottobre, quando in Vaticano si terrà il Sinodo straordinario sulle sfide della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, indetto da Papa Francesco.

“La famiglia è un luogo di dialogo – conclude padre Lopes – perché in essa il bambino impara a dare un nome al mondo, ad esprimere i suoi sentimenti ed i suoi desideri, a porre domande”. Ed è qui che inizia a “conoscere il rapporto tra amore e verità, il perdono e la solidarietà, il legame tra ‘io’, ‘noi’ e gli ‘altri’“. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 236

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.