Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 25/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Lettera del Papa alla Messa per Foley: basta violenza insensata

◊  

“Preghiamo per la fine della violenza insensata e per un’alba di pace e riconciliazione tra tutti i membri della famiglia umana”. E’ quanto scrive Papa Francesco in un messaggio inviato ai partecipanti alla Messa che si è tenuta, ieri, in New Hampshire per ricordare James Foley, il giornalista americano ucciso brutalmente in Iraq dai jihadisti dello Stato Islamico. Nel suo messaggio, letto alla fine della Messa, Francesco si unisce al dolore dei familiari, amici e colleghi del reporter Usa, assicurando la sua preghiera e vicinanza spirituale.

Alla celebrazione, che si è tenuta in una chiesa di Rochester, frequentata dalla famiglia Foley, hanno preso parte centinaia di persone. A presiedere il rito, il vescovo locale Peter Libasci che ha messo l’accento sulla forza che James, come la sua famiglia, hanno sempre attinto dalla fede cattolica. Il presule ha inoltre pregato per il giornalista americano, Steven Sotloff, e per gli altri ostaggi ancora in mano ai jhadisti in Iraq. (A.G.)

inizio pagina

Messaggio del Papa al Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi

◊  

Papa Francesco ha inviato il suo “saluto fraterno” al Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi che si è aperto ieri a Torre Pellice, in provincia di Torino. In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, inviato a mons. Piergiorgio Debernardi, vescovo Di Pinerolo, e letto nella sessione preliminare del Sinodo dal moderatore della Tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini, il Papa assicura a quanti partecipano all’evento la sua “vicinanza spirituale” e prega il Signore “di concedere a tutti i cristiani di progredire nel cammino verso la piena comunione, per testimoniare il Signore Gesù Cristo ed offrire la luce e la forza del suo Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo”.

Il Sinodo, che si concluderà il 29 agosto, affronta in particolare il tema della missione e della testimonianza delle Chiese metodiste e valdesi nell’Italia e nell’Europa caratterizzate dalla crisi e da processi di secolarizzazione e di trasformazione culturale. In occasione dell’apertura dell’assemblea, il pastore Claudio Pasquet ha ricordato che Gesù indica ai suoi discepoli la strada di una libertà cristiana che si esprime prima di tutto nel servizio, nella critica alle logiche di questo mondo e alla brama di potere che opprime i deboli: “ai mali del mondo, come le guerre che anche oggi ci minacciano e sono le terribili metastasi di tumori chiamati potere, prestigio e denaro – ha osserva toto - vi è la sola cura del servizio e della solidarietà”.

inizio pagina

Iraq. Mons. Tomasi: appelli del Papa a comunità internazionale sono chiari

◊  

Al Meeting di Rimini è intervenuto oggi l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra. Ha parlato di immigrazione, ha ricordato il nunzio apostolico Pietro Sambi, scomparso nel 2011, ma soprattutto ha lanciato un accorato appello alla comunità internazionale perché faccia qualcosa per fermare le violenze dei jihadisti in Iraq e in altre aree, dove le minoranze religiose vengono perseguitate o eliminate. Sul ruolo della Chiesa in questa regione, ascoltiamo lo stesso mons. Tomasi intervistato dalla nostra inviata Debora Donnini

R. – In questo contesto di violenza e di tragedia, il compito della Chiesa è difficile ma continuo. La testimonianza del Santo Padre è chiara: continua a fare appelli alla comunità internazionale e a tutti noi credenti di pregare per trovare la via della pace, invitando al negoziato e invitando i Paesi che ne hanno la capacità, attraverso i meccanismi delle Nazioni Unite, di fermare l’aggressore. Poi, i vescovi locali, i Patriarchi sia ortodossi che cattolici dei vari riti – il rito siriaco, caldeo, melkita – si sono riuniti alcuni giorni fa e hanno chiaramente formulato delle piste di azione importante. Primo, richiedere l’aiuto della comunità internazionale per fermare la violenza e l’uccisione non solo dei cristiani, ma anche degli yazidi e anche di altri gruppi. Pensiamo che vengono decapitati cristiani e dalle foto si vede che le teste vengono messe su degli uncini come decorazioni di muri o cancelli: sono cose inaudite, veramente inaccettabili! Secondo, chiedono che ci sia una presenza internazionale che garantisca il ritorno dei cristiani nei loro villaggi e nelle loro case. Non è giusto che da parte della comunità internazionale si accetti che automaticamente i cristiani siano condannati all’esilio. Hanno il diritto di vivere a casa loro, dove da 1.700 anni sono presenti, da prima dell’arrivo dell’islam, e che possano continuare non solo perché è il loro diritto naturale, ma anche perché sono una presenza che è di beneficio alla comunità islamica che aiuta a diversificare il contesto sociale che lentamente può favorire una democrazia che rispetti l’identità di ogni persona e di ogni gruppo.

D. – Tra l’altro, arrivano notizie inquietanti anche dalla Nigeria, perché il gruppo Boko Haram, che in questi ultimi anni ha compiuto tanti attentati anche contro chiese, ha proclamato il califfato islamico nella città di Gwoza: questa notizia è preoccupante?

R. – E’ preoccupante la violenza usata da Boko Haram. Il fatto che come mezzo di conquista di potere venga usata sistematicamente la violenza contro civili innocenti, in particolare contro cristiani, pone una domanda alla comunità internazionale di come reagire. La Nigeria sta facendo il suo meglio per cercare una soluzione a questa setta fondamentalista che ricerca potere coprendolo con un vocabolario religioso, ma in realtà è il dominio e il controllo del territorio che è alla radice di questo movimento. Quindi da parte della comunità internazionale è necessario condannare e mettere in chiaro che i metodi usati da queste persone sono completamente inaccettabili e sostenere nelle maniere che la comunità internazionale crederà utili il governo nigeriano a completare il suo lavoro di rigetto di questo gruppo.

inizio pagina

Partita di calcio, in onore del Papa. Zanetti: forte messaggio di pace

◊  

Una partita interreligiosa per la pace, per l’integrazione religiosa e razziale in onore di Papa Francesco. E’ l’iniziativa presentata questa mattina nella sede della nostra emittente. Alla conferenza stampa, hanno partecipato, tra gli altri, mons. Guillermo Karcher, officiale della Segreteria di Stato e cerimoniere pontificio, l’ex calciatore Javier Zanetti, i giocatori della Lazio, Cristian Ledesma, e della Roma Juan Iturbe. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Primo settembre 20.45. Stadio Olimpico di Roma. A scendere in campo saranno due squadre ricche di campioni, non una contro l’altra, ma insieme per la pace. All’iniziativa aderiscono noti giocatori di varie nazionalità. Il ricavato verrà destinato al progetto “Un’alternativa di vita”, promosso da “Scholas Occurentes”, ente educativo fortemente voluto da Papa Francesco e dalla associazione “Pupi” fondata dall’ex calciatore argentino Javier Zanetti e da sua moglie Paula. Per sostenere l’iniziativa “Un’alternativa di vita” si può inviare un sms solidale al numero 45593. Durante la conferenza stampa, mons. Guillermo Javier Karcher, officiale e della Segreteria di Stato e cerimoniere pontificio, ha portato il saluto di Papa Francesco:

“Stamani, mentre parlavo con il Santo Padre di questo incontro con voi mi ha chiesto di ringraziarvi per aver voluto aderire a questa sua iniziativa che vuol essere un’ulteriore scommessa per la pace. Come si sa, è stato lo stesso Papa Francesco a lanciare questa proposta: organizzare una partita interreligiosa, una partita amichevole tra giocatori di ogni squadra e di ogni religione e confessione cristiana. "Scholas" (Scholas Ocurrentes) mira alla costruzione di una rete di interscambio di progetti educativi e di valori per favorire la cultura dell’incontro e la cultura della pace. Ecco perché il Papa ha voluto che prima di ogni partita si piantasse, anche in modo simbolico, un ulivo; come quello che lui - quando era arcivescovo di Buenos Aires nell’Anno Santo, nell’anno 2000 - piantò in Plaza de Mayo insieme a sette mila alunni di diverse scuole - statali e non - e alla presenza dei rappresentati di altre religioni”.

Ezequiel Lavezzi, Andrea Pirlo, Lionel Messi… Sono solo alcuni dei calciatori che il primo settembre scenderanno in campo in occasione della partita per la pace, ispirata dal Santo Padre ed organizzata dal suo connazionale Javier Zanetti. Ma come è nata questa idea? Ascoltiamo proprio il giocatore argentino:

R. - Ho avuto la possibilità di incontrare Papa Francesco insieme con la mia famiglia in maniera privata. Abbiamo parlato di tante cose, di tanti argomenti ed è nata questa idea: poter organizzare questa partita soprattutto per dare un messaggio forte di pace. Credo che la cosa che conta di più sia che questa partita è proprio per la pace nel mondo.

D. - La pace è un valore fondamentale in un mondo spesso scosso oggi da varie guerre come in Ucraina, in Medio Oriente, in Siria… Dove può arrivare un’iniziativa di questo tipo? Molto più lontano di quanto si possa credere, forse…

R. - Speriamo di sì. E’ la prima partita interreligiosa. Speriamo che sia il punto di partenza per poter diffondere attraverso lo sport il messaggio che Papa Francesco ci ha incaricato di poter esprimere.

D. - Lo sport sicuramente è uno strumento forse ideale per parlare di pace. Però, c’è bisogno forse anche di pace nello sport: il calcio, in particolare, vive forse momenti di tensione che si dovrebbero superare…

R. - Sì, perché si cerca sempre la polemica prima di godersi una partita di calcio o qualsiasi tipo di sport. Allora, bisogna lasciare le polemiche da parte, che non portano a niente e dedicarsi soltanto a godere di quello che lo sport ti può dare e che è magnifico.

D. - Quanto è stata importante la fede nella tua carriera?

R. - Moltissimo. La fede mi accompagna da quando ho l’uso della “ragione”. Fa parte della mia vita e la porto avanti con la mia famiglia.

D. - Come vedi adesso il calcio italiano?

R. - Il calcio italiano deve superare questa crisi avuta nell’ultimo periodo. Però, credo che procede a momenti: magari prima le difficoltà erano in altri campionati, adesso tocca a noi. Io però ho grande fiducia che si possa risalire.

D. - Un saluto per gli ascoltatori della Radio Vaticana…

R. - Un grande saluto a tutti, un forte a braccio e grazie per appoggiare questa iniziativa molto importante per tutti.

inizio pagina

Card. Vallini: pellegrini a Lourdes per pregare per la pace

◊  

Sono oltre 1000 le persone che, con l’Opera Romana Pellegrinaggi, partecipano da questo lunedì al pellegrinaggio diocesano e nazionale a Lourdes, presieduto dal Cardinale Vicario, Agostino Vallini. Un pellegrinaggio che quest’anno non può che avere un unico scopo: pregare per la pace in particolare in Medioriente, tenendo conto anche del tema pastorale scelto per il 2014 dal Santuario: “La gioia della conversione”.  L’Opera Romana Pellegrinaggi non è nuova all’attenzione solidale e concreta alle zone “calde” del mondo dove si soffre a causa dei conflitti. Ma sentiamo lo stesso card. Vallini intervistato da Adriana Masotti

R. – Ogni anno questo pellegrinaggio diocesano a Lourdes, vissuto in comunione con il Santo Padre, è un’esperienza spirituale forte, offerta ai pellegrini - devo dire con buoni frutti - proprio perché è una sorta di esercizio spirituale in itinere, visitando i luoghi delle apparizioni della Madonna a Bernadette e insieme anche ripercorrendo le tappe della Via Crucis. Quest’anno avremo una motivazione ancora più forte, che però è un po’ nella tradizione dell’Opera Romana Pellegrinaggi, perché il tema della pace è un tema che è sempre stato molto presente nella nostra organizzazione; è un tema spirituale, prima che di ordine culturale, sociale e politico, perché la pace si radica nei cuori riconciliati con Dio e con i fratelli, e l’Opera Romana Pellegrinaggi, fin dal 1991, ha voluto compiere dei gesti profetici, sempre orientati alla pace. Così fece nel ’91, a Gerusalemme, con il cero della pace; nel ’92 a Beirut, al Santuario di Harissa; nel ’95 a Sarajevo, quando fu portata la lampada della pace, dopo quella terribile guerra; e nel dicembre scorso, ci siamo avventurati proprio in Iraq, in un pellegrinaggio ad Ur, la terra di Abramo.

D. – Ci sarà un gesto particolare quest'anno, appunto, per sottolineare questo desiderio, questa richiesta di pace?

R. – Sì, lo faremo, soprattutto recitando il Rosario la sera - che poi viene trasmesso in Italia tutti i giorni da TV 2000 - proprio per allargare il popolo della preghiera per la pace.

D. – Sì, il Papa sottolinea più volte la forza della preghiera. C’è da dire, però, che ci vuole una fede più grande in questo momento per rimanere fiduciosi...

R. – Sono sicuro, sono certo, con lei, che dobbiamo far crescere la coscienza profetica della forza di Dio. Il mondo di oggi è un mondo distratto, è un mondo globalizzato, è un mondo anche disorientato. Io ho partecipato, nei giorni scorsi, ad incontri con dei giovani, che si interrogano su “che mondo ci lasciate?”, “quale società si apre davanti a noi?”. Allora andiamo alle radici: le radici sono i cuori divisi, che anelano comunque a qualcosa di nuovo e il nuovo è quello cui il Santo Padre sempre ci richiama: il nuovo della pace, la ricerca della presenza di Dio nel cuore di ognuno, perché poi nascano da questi cuori riconciliati rapporti, relazioni di pace, di giustizia, di solidarietà. Il nostro pellegrinaggio, quindi, vuole essere proprio un’esperienza forte, spirituale, di fede e di intercessione insieme, perché dove non arrivano gli uomini, le relazioni, i rapporti diplomatici, arrivi il Signore, toccando i cuori.

D. – Preghiera, quindi, ma anche comportamenti coerenti, conversione, che appare urgente sia per il mondo cristiano che per quello islamico, parlando appunto di questo momento difficile...

R. – Certamente, da parte di tutti. Nessuno può invocare il nome di Dio e generare violenza. Il Dio è sempre il Dio della pace, della riconciliazione, pur nella diversità delle esperienze religiose. Nessuna fede può legittimare la guerra, la violenza e il sangue. Questo lo dobbiamo dire, ma vorrei aggiungere che questo dobbiamo pregare, perché entri misteriosamente in tanti di quei cuori che oggi pensano di rivoltare il mondo attraverso la violenza e la guerra.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Pace per l'Ucraina: all'Angelus l'appello di Papa Francesco nel giorno in cui si celebra la festa nazionale.

Ospedale da campo: Andrea Possieri a proposito delle "Villas miserias" di Buenos Aires.

Anche senza il consenso della donna: Lucetta Scaraffia sul microcip contraccettivo voluto da Bill Gates.

Non restiamo mai senza domande: Lucio Coco su Norberto Bobbio e l'asimmetria tra filosofia e scienza.

Il ruggito di Apedemak: Rossella Fabiani riguardo a nuove scoperte archeologiche in Sudan.

Settant'anni fa la libertà di stampa in Francia.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Siria, avanzano jihadisti. Mons. Audo invoca forza internazionale

◊  

In Siria e Iraq non si ferma l’offensiva dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico (Is). In territorio iracheno gli islamisti stringono d’assedio migliaia di turcomanni, mentre è di almeno 500 morti il bilancio degli scontri a Raqqa tra esercito siriano e gli integralisti che hanno conquistato una importante base militare. Secondo una Ong siriana, oltre 300 ribelli nelle ultime ore si sono arruolati tra le file dell’Is. Intanto il ministro degli Esteri di Damasco, Walid al Muallim, ha detto che il governo è pronto a collaborare alla lotta contro il terrorismo e a dare il via libera a raid Usa e britannici sotto il suo coordinamento. Per una testimonianza della situazione sul terreno Marco Guerra ha intervistato il vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, mons. Antoine  Audo: 

R. – Siamo un po’ confusi. Non si sa esattamente cosa stia accadendo. Come cristiani, come siriani, speriamo di avere una soluzione di riconciliazione, di pace, con l’aiuto delle Nazioni Unite. C’è bisogno di una forza internazionale per la pace. La situazione ad Aleppo è piuttosto difficile, con problemi di elettricità, di acqua; non c’è sicurezza: non si sa quando arrivano le bombe. E, malgrado tutto, come cristiani, cerchiamo di essere vivaci, presenti, di fare attività. Per esempio, questa settimana faremo alcuni giorni di riflessione con tutta la gente che lavora con noi alla Caritas. Si cerca di sopravvivere, di essere attivi, presenti. Non possiamo fare altre cose.

D. – Ma si percepisce l’arrivo dei combattenti dello Stato islamico? Qual è la situazione sul terreno?

R. – In città, nel centro di Aleppo, dove vivono la maggioranza dei cristiani e ci sono anche altri, non c’è una presenza diretta violenta. Siamo sotto la protezione del governo. Intorno alla città ci sono tanti gruppi che attaccano e lanciano bombe. Questa è la situazione.

D. – Avete sentito racconti, testimonianze sulle aree finite sotto il califfato?

R. – Sì, abbiamo sentito le notizie che arrivano da Mosul e da Raqqa. Abbiamo notizie che parlano di legge, di comportamenti da tenere, di violenze. Sì, sì, e questo generalmente fa paura alla gente.

D. - Quindi, c’è una reazione da parte della popolazione? Ha paura dell’arrivo dell’Isis?

R. – Sì, sì: è normale. Speriamo, però, che non sia una realtà. La domanda è: “Chi sostiene questi gruppi?”. Questa è la domanda che rivolgiamo alla coscienza internazionale. Chi vende armi? Chi ricava interessi da queste violenze?

inizio pagina

Libia: scontri e anarchia. Varvelli: Ue lavori per riconciliazione

◊  

La grave crisi libica al centro di un incontro oggi al Cairo, tra il ministro degli esteri di Tripoli con i capi delle diplomazie dei Paesi della regione, oltre ad Egitto, Algeria, Tunisia, Sudan, Ciad e Niger, fortemente preoccupati dall’instabilità politica e dal clima di violenze diffuse e di scontri tra bande armate, miliziani, ribelli jihadisti, esercito regolare. “Imploro tutti di pregare per la Libia”, l’accorato appello rivolto stamane da mons. Giovanni Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, dove da settimane infuria la battaglia per il controllo dell’aeroporto internazionale. Roberta Gisotti ha intervistato  Arturo Varvelli, esperto dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale: 

D. - Prof. Varvelli, anzitutto quali sono le forze in campo da riportare nell’ordine democratico, nella situazione di anarchia politica che regna in Libia nonostante il 25 giugno scorso sia stato eletto un nuovo Parlamento, insediatosi poi il 2 agosto a Tobruk nell’Est del Paese?  

R. – Bisogna distinguere le due regioni: la Cirenaica e la Tripolitania. In Cirenaica abbiamo delle forze legate allo jihadismo, ossia i gruppi vicini alle formazioni di Ansar al-Sharìa, contro le forze militari e paragovernative del generale rinnegato Haftar. Dall’altra parte, invece, in Tripolitania abbiamo essenzialmente lo schieramento che vede islamisti contro anti-islamisti: da una parte, tra gli anti-islamisti, abbiamo le milizie di Zintan che detenevano il controllo dell’aeroporto e l’hanno perso in favore delle forze islamiste, che sono coalizzate principalmente attorno alle milizie di Misurata. Quindi, una situazione molto complessa nella quale vediamo un Paese frammentato, diviso a macchia di leopardo per il controllo delle milizie, dal punto di vista territoriale, e una crescente polarizzazione tra forze islamiste e anti-islamiste.

D. – Che cosa si può fare in questa situazione, da parte dei Paesi occidentali, oltre che stare a guardare?

R. – Io penso che sia necessario più di ogni altra cosa un lavoro politico e diplomatico che includa gli attori internazionali e regionali. Gli attori regionali hanno avuto e stanno avendo un ruolo molto importante, in questa crisi: anzitutto l’Egitto, che l’anno scorso, con il rovesciamento di Mohamed Morsi, ha dato dei segnali molto contrastanti alla Libia e alle forze della Fratellanza musulmana libica. Ha detto loro, in sostanza, che per continuare ad essere attori politici credibili all’interno del nuovo panorama, devono essere armati, devono avere un potere di dissuasione. E, se non hanno questo, possono essere in qualche modo rovesciati. Questo è il messaggio che loro hanno percepito dalla crisi egiziana. E così è stato, perché c’è stata una sorta di alleanza con le milizie di Misurata. A questo punto, la cosa che può essere fatta non è certamente appoggiare una parte o l’altra, anche se la tentazione è quella di sostenere gli anti-islamisti in funzione di deterrenza e di controllo e di contenimento delle forze islamiche più radicali, soprattutto in Cirenaica, ma è quella di favorire una progressiva riconciliazione nazionale. Bisogna assolutamente cercare, costringere, anche, magari anche con forti pressioni diplomatiche e anche ipotizzando un intervento militare, seppur non conducendolo … ma bisogna avere la possibilità di dare un segnale forte di tutta la comunità internazionale insieme. La comunità deve parlare con una voce unica e deve parlare a tutta la comunità libica e a tutte le milizie e alle forze in campo. Solo a quel punto si potrà arrivare ad un cessate il fuoco e ad una discussione e ad un rilancio di una convivenza pacifica in Libia. Certamente è una strada tortuosa e molto difficile …

D. – Di fronte a queste situazioni così complicate sul territorio, ci vuole forse da parte della comunità internazionale una progettualità di respiro lungo, nel tempo …

R. – Certamente, l’ipotesi di stabilizzare la Libia in breve tempo, ormai è svanita. Il nuovo parlamento in qualche misura non è stato accolto come legittimo da tutte le forze, in particolare dalla Fratellanza musulmana e dalle forze di Misurata, perché hanno visto queste forze in netta minoranza. Quindi, bisogna assolutamente essere maggiormente inclusivi e recuperare le forze che non credono in questo processo di transizione. Ci vuole un dialogo nazionale e un nuovo patto sociale. Questo richiede tempi molto lunghi: l’Europa ha perso tantissimo tempo. Di fatto si è messa a lavorare seriamente sulla Libia solo nell’ultimo anno: ma è stato troppo tardi. L’Europa ha molte responsabilità e dovrebbe continuare ad avere molte responsabilità, sia per la situazione politica sia per la situazione militare, sia per la situazione umanitaria legata all’immigrazione.

inizio pagina

Ucraina: scontri con blindati russi che violano confine

◊  

Ancora tensioni in Ucraina, il giorno dopo la preghiera di Papa Francesco per la popolazione stremata da un “conflitto che non accenna a placarsi”. Una trentina di blindati arrivati dalla Russia ha oltrepassato nelle ultime ore il confine nei pressi di Mariupol, nel sudest del Paese. Subito si sono riaccesi gli scontri. A denunciarlo fonti di Kiev, secondo cui sui mezzi campeggiano i simboli dell'autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk. Soltanto ieri, nell’anniversario dell’indipendenza ucraina del 1991, si sono tenute parate e contro-parate: a Kiev, quella voluta dal presidente Poroshenko, con i militari pronti a partire per il fronte; a Donetsk i filorussi hanno fatto sfilare circa cento prigionieri ucraini, umiliati dalla folla che lanciava sassi, petardi, bottiglie di plastica. In questo clima, si prepara il vertice di domani a Minsk tra Unione doganale (Russia, Bielorussia, Kazakhstan), Unione Europea e rappresentanti di Kiev. Il Cremlino non esclude un faccia a faccia tra il presidente russo Putin e Poroshenko. Un incontro che "sicuramente non porterà ad una svolta", ha avvertito la cancelliera tedesca Angela Merkel, tuttavia "fermamente convinta che c'è solo una soluzione politica" al conflitto. Giada Aquilino ne ha parlato con Angela Di Gregorio, docente all’Università Statale di Milano e specialista dei Paesi dell’Europa centro orientale: 

R. – Le dimostrazione retoriche opposte dei giorni scorsi, in occasione soprattutto dell’anniversario dell’indipendenza, testimoniano che i toni sono ancora molto alti. Il nazionalismo è piuttosto acceso, sia nella parte occidentale sia orientale del Paese. Sicuramente il vertice di domani non produrrà alcuna soluzione definitiva, nonostante le dichiarazioni ufficiali di voler risolvere il problema. Certamente ci sono scadenze importanti da tenere in considerazione. Innanzi tutto l’autunno e poi l’inverno, quindi l’arrivo del freddo: rimane il problema energetico e se Mosca dovesse chiudere i rubinetti sarebbe disastroso, per la stessa Ucraina ma anche per i rifornimenti del resto d’Europa. Poi vi è un altro evento politico importante da considerare: cioè che a giorni vi sarà lo scioglimento della Rada ucraina, con la probabile indizione di nuove elezioni politiche, forse per il mese di ottobre; ciò a seguito della crisi di governo che si è aperta un mese fa. E’ chiaro che le elezioni politiche sono molto importanti, forse addirittura più importanti di quelle presidenziali che hanno visto l’elezione di Poroshensko, dal momento che l’attuale versione del testo costituzionale - che ha riportato in vigore la versione post rivoluzione arancione del 2004 - depotenzia il ruolo del capo dello Stato, spostando i poteri decisionali più nell’asse maggioranza parlamentare-governo.

D. – Su cosa si potrebbe trattare, ora? Su una soluzione federale per l’Ucraina?

R. – Sicuramente, potrebbe essere importante. Il federalismo rimane come una soluzione in campo, purché non sia un federalismo di tipo fittizio, come lo è di fatto quello russo, che è un federalismo sulla carta ma ha una visione molto centralista e nazionalista nella prassi politica quotidiana.

D. – In questa visione federalista, alle regioni dell’Est quali poteri potrebbero andare?

R. – Di certo va considerato il fattore linguistico, che è un fattore cruciale e che è stato uno dei motivi che ha poi favorito l’escalation della contrapposizione tra le regioni.

D. – In generale, a livello internazionale ed europeo, cosa è mancato fino adesso dal punto di vista della mediazione?

R. – Tradizionalmente la debolezza dell’Unione Europea è la mancanza di una politica estera veramente comune e coesa. E’ chiaro che anche la vacanza degli organi dell’Unione attualmente in corso non aiuta il proporsi su un piano di intermediazione, da parte dell’Unione stessa. Tra l’altro, ad una visione politica ufficiale, corrispondono poi diverse visioni economiche parziali, dei singoli Stati membri dell’Unione. E’ chiaro che ad esempio né alla Germania, né all’Italia, conviene inimicarsi la Russia da un punto di vista delle relazioni commerciali.

inizio pagina

Mozambico: governo e opposizione firmano cessate il fuoco

◊  

È entrato in vigore nella tarda serata di ieri il cessate il fuoco in Mozambico tra il partito di governo Frelimo e l’opposizione della Renamo, dopo che sono stati perfezionati gli accordi raggiunti nelle scorse settimane tra i due movimenti. Si apre dunque la via ad uno svolgimento pacifico delle elezioni generali che sui terranno il 15 ottobre prossimo. Per un commento, Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente nella capitale Maputo padre Luis de Albuquerque, missionario comboniano: 

R. – Molta gente voleva questo accordo, perché la vita della popolazione era sempre più difficile: i trasporti, l’economia, un po’ tutto. C’è un fiume che divide il Nord dal Sud, e in quel punto, per 100 km, si svolgevano gli attacchi della Renamo, dicevano. Alcuni lo erano, ma altri non si sa. La gente, quindi, voleva la pace. Nessuno voleva la guerra. Adesso deve venire il capo della Renamo, il partito dell’opposizione, a firmare con il presidente della Repubblica. Non si sa se questo sarà possibile, perché c’è una grande diffidenza per la polizia, per le forze armate, perché fanno parte del partito che sta al potere.

D. – In questo accordo, appunto, che è stato appena firmato, è anche previsto che gli uomini della Renamo dovrebbero entrare a far parte dell’esercito e della polizia...

R. – Il partito Frelimo ha fatto tutto il possibile per arrivare a questo accordo; ha ceduto su molte cose e un po’ alla volta sono riusciti ad intendersi, almeno oralmente, ma non so in pratica come andrà.

D. – A questo punto, con questo accordo, ci dovrebbe essere la possibilità anche di svolgere in maniera pacifica le elezioni del 15 ottobre. Voi sperate che si possa veramente arrivare ad un voto pacifico?

R. – Noi speriamo, perché tutta la gente vuole le elezioni in pace. Pensiamo che sarà possibile. I mozambicani sono abbastanza pacifici e aiutano anche in questo.

D. – La popolazione, quindi, in questo momento è unita, ma qual è la causa di questa divisione militare che dura, nonostante la guerra civile in Mozambico sia finita da più di 20 anni?

R. – L’opposizione ha sempre rivendicato che gli accordi non siano stati messi in pratica, riguardo al fatto che i miliziani dovessero entrare nell’esercito e alla divisione dell’economia, delle entrate.

D. – Cosa vorrebbe la popolazione dopo queste elezioni che ci saranno tra un mese e mezzo? Quali saranno i temi principali su cui la popolazione deciderà come votare?

R. – Una parte della popolazione si sente stanca, soprattutto per la corruzione. E questo è un punto. La gente, poi, chiede sempre che vengano distribuite le ricchezze, che entrano grazie alle miniere ed altro. Il governo adesso dice di no, però è già entrato molto: milioni e milioni.

D. – Quindi, una popolazione che nonostante comincino ad esserci dei profitti importanti dalle risorse, resta ancora in maggioranza molto povera…

R. – Sì, sì. Noi vediamo soprattutto nell’educazione, nelle scuole, come i ragazzi e le ragazze arrivino alla 10.ma classe e non sappiano ancora scrivere né leggere, qui a Maputo, nella capitale. Fuori sarà anche peggio. Per quanto riguarda la sanità, non ci sono medicine; l’attenzione negli ospedali non è molto buona. Stanno facendo anche uno sforzo, ma la gente si lamenta molto.

inizio pagina

Orissa, Giornata della memoria per le vittime dei pogrom contro i cristiani

◊  

Si celebra oggi nello Stato dell’Orissa, in India, una speciale Giornata della memoria per ricordare le centinaia di vittime delle persecuzioni anticristiane avvenute nel 2007 e nel 2008. Diverse le iniziative in programma, tra cui veglie di preghiera e manifestazioni pubbliche. Non dimenticare quell’orrore significa anche invocare giustizia. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews: 

R. - È molto importante ricordarlo perché tante vittime non hanno ancora ricevuto giustizia e perché tanta gente, che invece si è resa colpevole di questi crimini, non è stata nemmeno perseguita.

D. - Ricordare quanto avvenuto in Orissa significa, dunque, non dimenticare una storia di profonda sofferenza, di profonda ingiustizia ….

R. - Quanto è avvenuto in Orissa è una cosa terribile, perché ci sono state centinaia di morti, centinaia di chiese distrutte, migliaia di villaggi azzerati, decine di migliaia di profughi cristiani, cattolici e protestanti. E questo perché? Perché hanno attributo a dei cristiani l’uccisione di Swami Lakshmanananda. Si scoprì in seguito che ad ucciderlo erano stati dei maoisti. Però questo ha portato ad un pogrom terribile contro i cristiani ed anche contro le istituzioni dei cristiani: ospedali, lebbrosari, centri sociali, cooperative etc … Tutto questo per azzerare il contributo dei cristiani allo sviluppo dell’India.

D. - Nonostante questo il contributo dei cristiani in India continua ad essere importante …

R. - Il contributo è forte. Questo perché i cristiani hanno una grande capacità culturale, di dialogo, di incontro. E quindi soprattutto per i fuori casta, è una possibilità, una rivoluzione molto importante per la loro vita, perché diventano dei “soggetti” del loro sviluppo. Invece, nel mondo delle caste, questi sono condannati a rimanere schiacciati per tutta la vita ed anche per le vite seguenti.

D. - Il nuovo corso politico in India e l’ascesa del partito nazionalista indù destano preoccupazione…

R. - Bisogna fare attenzione perché sempre in più Stati dell’India ci sono gruppi di attivisti - fondamentalisti indù - che fanno violenza ad istituzioni cristiane, contro chiese, scuole etc … C’è la possibilità che con l’ascesa del governo Modi, quindi del Bharatiya Janata Party (Bjp), questi gruppi, che sono dei militanti armati indù, possano avere anche una copertura.

inizio pagina

Mons. Perego: su immigrazione, Ue non sia "cittadella murata"

◊  

Sono quasi 4.000 i migranti salvati e recuperati tra venerdì e domenica nell'ambito di "Mare Nostrum". Purtroppo vi sono anche diversi morti, 18 le salme giunte ieri sera a Pozzallo mentre continuano le operazioni di ricerca di eventuali superstiti dopo il naufragio di un peschereccio a Nord delle coste libiche. E continua intanto la forte polemica tra Italia e Unione Europea. Bruxelles oggi ha fatto sapere che non vi sarà una sostituzione di "Mare Nostrum" con "Frontex", mentre l’Italia chiede fortemente che se ne faccia carico. "L'Europa deve dirci con chiarezza se è pronta a subentrare a Mare Nostrum": aveva detto ieri sera il ministro dell’interno Alfano. Per domani è previsto un incontro, a Roma, tra esperti Ue, delle autorità italiane e di "Frontex" per discutere il possibile avvio di una missione rafforzata di "Frontex" nel Mediterraneo, una sorta di “Mare Nostrum ridotto". Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei: 

R. – E’ un momento di forte preoccupazione, perché “Mare Nostrum” è stata una grande operazione umanitaria e di pace, con strumenti militari. L’annuncio della sospensione potrebbe anzitutto intensificare l’arrivo di altri profughi e di altri rifugiati, e dall’altro lato potrebbe portare ancora indietro di un anno, a quel 3 ottobre, in cui oltre 350 persone hanno perso la vita e farci tornare a piangere su dei morti perché non siamo in grado di presidiare un mare che è nostro e che è il nostro confine, non solo come Italia: come Europa.

D. – In Italia ci sono forti spinte politiche affinché, appunto, “Mare Nostrum” abbia un termine, e questo sta andando avanti dall’inizio dell’operazione, c’è chi l’ha osteggiata. Mentre in Europa, nessuno sembra voglia effettivamente farsi carico della salvaguardia di queste persone …

R. – Io credo che di fronte alle due soluzioni che abbiamo visto per presidiare il Mediterraneo e per salvaguardare le persone in fuga che lo attraversano, di fronte a queste due soluzioni, che sono state “Frontex” e “Mare Nostrum”, quest’ultima ha dimostrato che si possono utilizzare strumenti della Marina militare non solo per presidiare i confini, ma anche per creare, di fatto, un corridoio umanitario. Credo che su questo occorrerebbe riflettere. E che poi si chiami “Mare Nostrum” o si chiami “Frontex”, ma trasformato in questa soluzione che è stata il corridoio umanitario di “Mare Nostrum”, poco importa. L’importante è non perdere questa grande possibilità che è stata dimostrata dall’Italia, di fare del Mediterraneo un canale umanitario per salvare e per accompagnare tantissime persone. E’ chiaro che da solo “Mare Nostrum” non basta, l’Europa non è assente soltanto in questa operazione, ma è assente anche in una politica internazionale che tante volte vede due grandi blocchi ancora decidere le soluzioni dei Paesi al confine con l’Europa. Certamente il secondo elemento importante che dovrebbe accompagnare “Mare Nostrum” è una riflessione diversa su come è presente l’Europa in quei Paesi del Nordafrica che hanno visto una rivoluzione: come è presente in Medio Oriente, in una guerra che è ripartita in maniera impressionante; come è presente, l’Europa, in Iran e in Iraq; come è presente l’Europa in Ucraina, perché non dimentichiamo che l’Ucraina è un altro confine importante che potrebbe creare un esodo di migliaia di persone. Questi aspetti chiedono assolutamente una politica. L’Europa non può essere assente da questa realtà!

D. – Come ha scritto lei, questo aumento di migrazioni forzate richiede un aumento degli strumenti di protezione internazionale. Ma questa necessità cede il passo alla sempre più forte chiusura che l’Europa sta manifestando nei confronti dei migranti…

R. – Il problema è qual è il tipo di governo che l’Europa sceglie e si è scelta. Se l’Europa sceglie la democrazia come governo, la democrazia chiede la tutela dei diritti dei richiedenti asilo, dei diritti dei rifugiati, dei diritti di chi è in fuga da situazioni di persecuzione religiosa e politica. In gioco di fronte all’emigrazione, oggi, non è semplicemente un discorso di accoglienza o di non accoglienza, in gioco è qual è il modello di democrazia che noi vogliamo scegliere, se vogliamo continuare, come abbiamo scelto dagli anni Cinquanta in poi, a ritenere che il diritto d’asilo è uno strumento importante di una Europa democratica. In gioco, di fronte a questa migrazione forzata che sta avvenendo, è: se l’Europa vuole diventare una "cittadella murata", chiusa o se vuole dimostrare la sua capacità democratica di rispondere a un diritto di persone che lo chiedono. E in questo caso è un diritto di asilo e di protezione umanitaria.

inizio pagina

La misericordia al centro della Settimana teologica di Camaldoli

◊  

Si è aperta ieri, presso il monastero di Camaldoli, in provincia di Arezzo, la “Settimana teologica” organizzata dal Meic, il Movimento ecclesiale di impegno culturale. Tema di quest’anno è la misericordia. Antonio Elia Migliozzi ha chiesto a Carlo Cirotto, presidente nazionale del Meic, perché sia stato scelto questo tema: 

R. – Il motivo è piuttosto semplice ed è lo stesso Papa Francesco che ce lo ha indicato: la misericordia come stile fondamentale di comportamento dei cristiani. Per questo motivo abbiamo ritenuto necessario fare un approfondimento su più livelli, come siamo soliti fare nel Meic, a livello teologico, ma anche a livello filosofico e a livello delle applicazioni pratiche. Certo, la misericordia pone tanti problemi, ma li affronteremo in maniera molto sistematica e molto regolare: sia con iniziative assolutamente spirituali, come la Lectio Divina, le liturgie monastiche, ma anche con dialoghi, approfondimenti tra noi. Ampio spazio, quindi, verrà dato al dibattito e all’approfondimento.

D. – Papa Francesco ha dato molta rilevanza alla misericordia. Come possono convivere misericordia e verità?

R. – Certo, questo è un problema da approfondire e, credo di poter dire, soprattutto in questi ultimi tempi, con le notizie che ci bombardano da tutte le parti: notizie che vengono dall’Iraq, cose tremende, notizie che vengono dall’Europa, notizie che vengono dall’Italia, con genitori che ogni giorno ammazzano i figli. Come si può convivere in maniera misericordiosa con queste persone e come giudicare questi atteggiamenti in maniera misericordiosa? La sfida, quindi, è forte. Questo sarà uno dei temi specifici che porremo a un cappellano del carcere minorile, il quale deve ogni giorno, in pratica, ma anche in teoria, affrontare questi problemi: la giustizia, la giustizia sociale, quindi il carcere, e la misericordia cristiana, con i carcerati. Un approfondimento che non durerà soltanto il tempo della Settimana teologica, ma che continuerà poi per tutto l’anno che verrà.

D. – Come movimento, con quali modalità portate avanti, durante tutto l’anno, il dialogo sui temi etici e religiosi?

R. –C’è un vizio di fondo degli intellettuali - non solo cattolici, ma tutti gli intellettuali – di considerarsi dalla parte giusta e quindi di trattare gli interlocutori come delle persone ad un livello inferiore. Questo è quanto mai nocivo, quando si va a testimoniare la propria fede. Forse siamo stati abituati a testimoniare la fede a livello intellettuale, dimostrando le cose, e se la nostra dimostrazione è irreprensibile allora pensiamo che quella persona debba arrivare per forza alla fede. E’ un atteggiamento che serpeggia un po’ da tutte le parti. Questo, quindi, sarà un impegno specifico per noi, un impegno non solo di approfondimento teorico, ma di messa in pratica di queste cose. Non sarà facile.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Patriarca Sako: i cristiani iracheni continuano a morire

◊  

"Ho visitato i campi profughi nelle province di Erbil e Dohok e quello che è visto e quanto ho sentito vanno al di là di ogni più fervida immaginazione!"; i cristiani irakeni, e le altre minoranze del Paese, hanno ricevuto "un colpo terribile" al "cuore stesso della loro vita", privati di ogni bene, delle proprietà e persino dei documenti. È quanto afferma il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, in un appello - inviato all'agenzia AsiaNews - in cui ricorda che dal 6 agosto non si sono ancora trovate "soluzioni concrete" alla "crisi", mentre continua inarrestabile "il flusso di denaro, armi e combattenti" per lo Stato islamico. Sua Beatitudine avverte che "a fronte di una campagna mirata" per eliminare cristiani e minoranze dall'Iraq, il mondo "non ha ancora compreso la gravità della situazione". Egli avverte che "è iniziata la seconda fase della calamità", ovvero "la migrazione di queste famiglie" in molte parti del mondo, causando "il dissolvimento della storia, del patrimonio e dell'identità di questo popolo".

Il patriarca caldeo e presidente della Conferenza episcopale irakena spiega che il fenomeno migratorio ha un "grande impatto" tanto sui cristiani, quanto sui musulmani stessi, perché "l'Iraq sta perdendo una componente insostituibile" della propria società. Egli punta il dito contro la comunità internazionale, in testa gli Stati Uniti e l'Unione europea, i quali pur ammettendo la necessità di una soluzione rapida, non hanno preso provvedimenti concreti "per alleviare la sorte" di una popolazione martoriata.

Mar Sako non risparmia critiche anche alla comunità musulmana, le cui dichiarazioni in merito ai getti "barbari" delle milizie dello Stato islamico, perpetrate in nome della loro stessa religione, non hanno garantito il rispetto e la difesa della dignità dei cristiani. "Il fondamentalismo religioso - avverte il patriarca - continua a crescere in forza e potenza, dando luogo a tragedie, mentre noi [cristiani] ci chiediamo sorpresi se i leader islamici e gli intellettuali musulmani hanno colto la gravità del problema". In Iraq serve promuovere, aggiunge, una cultura dell'incontro e del rispetto, che consideri "tutti cittadini aventi gli stessi diritti".

Di fronte a eventi "terribili e orribili", egli auspica un intervento concreto di portata internazionale per salvare cristiani e yazidi, "componenti autentiche" della società irakena che rischiano di scomparire. Il silenzio e la passività "incoraggeranno i fondamentalisti dell'Is a commettere altre tragedie", avverte il patriarca caldeo, e la domanda è "chi sarà il prossimo".

Da ultimo, egli lancia un monito alla Chiesa mondiale perché di fronte a una testimonianza di fede forte dei cristiani irakeni, non servono "dichiarazioni continue" ma "una vera comunione", che abbiamo sperimentato con la visita dell'inviato personale di Papa Francesco e dei Patriarchi. "Rispettiamo le ragioni di quanti vogliono emigrare - conclude Mar Sako - ma a quanti desiderano restare, vogliamo ricordare le radici piantate in questa terra e la nostra lunga storia. Dio ha il suo piano per la nostra presenza in questa terra e ci invita a portare il messaggio di amore, fratellanza, dignità e coesistenza armoniosa".

La drammatica situazione dei cristiani è confermata da fonti del Patriarcato caldeo, che parlano di "persecuzione continua" dei miliziani contro civili cristiani inermi, fra cui bambini. A Baghdida, una dalle città della piana di Ninive, elementi dell'Is hanno sequestrato Khader Ebada, una bambina di soli tre anni, "strappandola letteralmente dalle braccia della famiglia". I miliziani hanno rapito la bambina e costretto la famiglia ad andarsene dalla propria casa, spingendola in direzione del posto di controllo di Khazar. Fonti cristiane della città di Bashiqa, una delle cittadine a nord di Mosul, raccontano invece di aver trovato i cadaveri di due uomini cristiani, morti di fame e malnutrizione all'interno della propria abitazione. Si tratta di Georgis David e di suo figlio Saad e, secondo testimonianze locali, si tratterebbe di due persone sordomute che non hanno voluto abbandonare la cittadina da tre settimane nelle mani dei jihadisiti. (R.P.)

inizio pagina

Onu: l'Is compie pulizia etnica e religiosa

◊  

Pulizia etnica e religiosa: è ciò che sta accadendo in Iraq per mano dei ribelli sunniti dello Stato Islamico e di gruppi armati a loro legati, ha detto oggi l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay parlando da Ginevra.

“Gravi e orribili violazioni dei diritti umani sono commesse ogni giorno” ha denunciato Pillay, che terminerà il suo mandato a fine mese. Ad essere presi di mira, ha aggiunto, “sono uomini, donne e bambini, in funzione della loro appartenenza etnica religiosa o settaria”.

Si tratta - riferisce l'agenzia Misna - di persecuzioni che potrebbero costituire crimini contro l’umanità, ha detto ancora la giurista sudafricana, sottolineando che “tutte le parti del conflitto in Iraq hanno la disponibilità di non mirare ai civili o ai beni di carattere civile, di prendere tutte le precauzioni possibili per proteggere i civili dalle conseguenze delle ostilità e rispettare, proteggere e soddisfare i bisogni umanitari della popolazione civile”.

Pillay ha citato inoltre casi di conversioni forzate, rapimenti, abusi sessuali, schiavitù, oltre alla distruzione di importanti siti religiosi o culturali, esortando la comunità internazionale “ad assicurarsi che gli autori di questi odiosi crimini non restino impuniti”. (R.P.)

inizio pagina

Czestochowa: preghiera per i cristiani del Medio Oriente

◊  

“I cristiani nel Medio Oriente hanno bisogno del nostro sostegno”: lo ricordano i vescovi polacchi alla vigilia della festa della Madonna Nera di Czestochowa di martedì 26 agosto. I presuli - riferisce l'agenzia Sir - chiedono di offrire la propria partecipazione alle funzioni religiose e ai sacramenti di quel giorno per porre fine alle persecuzioni dei cristiani nelle zone di guerra.

Auspicano che i fedeli “testimonino la solidarietà” verso i “cristiani sofferenti” anche con le pratiche di penitenza, la preghiere del rosario, la Via crucis, il digiuno e l’elemosina. “Desideriamo pregare per i cristiani in Iraq in Siria e in Palestina che ci chiedono di non lasciarli soli”, rileva il primate di Polonia, arcivescovo di Gniezno, Wojciech Polak, impartendo una speciale benedizione “a tutti gli uomini di buona volontà che con preghiera o offerte vorranno sostenere i fratelli e le sorelle perseguitati”.

La festa della Madonna Nera di Czestochowa è da secoli una delle più importanti ricorrenze per la Chiesa in Polonia, affidata alla protezione materna della Vergine. È preceduta da una novena di preghiere che vengono elevate anche per “la libertà della Chiesa in Polonia e nel mondo”. Al santuario di Jasna Gora, meta di numerosi pellegrinaggi da tutto il territorio nazionale, solo nel mese di agosto sono giunti oltre 75mila fedeli. (R.P.)

inizio pagina

Pakistan: Chiesa sollecita Consiglio diritti delle minoranze

◊  

Urge istituire in Pakistan il Consiglio nazionale per i diritti delle minoranze, realizzando quanto stabilito dalla Corte Suprema: è quanto afferma la Commissione Giustizia e la Pace in seno alla Conferenza episcopale del Pakistan. Come appreso dall'agenzia Fides, la Commissione ha tenuto nelle tre principali città pakistane, Karachi, Lahore e Islamabad consultazioni e meeting con esperti della società civile, intellettuali, associazioni, leader religiosi. Gli incontri intendevano esplorare le vie da seguire per migliorare la protezione dei diritti delle minoranze religiose.

Un passo fondamentale – è emerso – è dare seguito e applicare la recente sentenza della Corte Suprema del Pakistan: infatti, con un provvedimento “Suo motu” (di propria iniziativa), dopo la strage nella chiesa di Peshawar avvenuta settembre 2013, il presidente della Corte Suprema del Pakistan, Tassaduq Hussain Dilani, ha stabilito che il governo deve istituire un Consiglio nazionale per i diritti delle minoranze, deve formare gruppi speciali delle forze dell’ordine per proteggere i luoghi di culto non musulmani, e creare uno specifico Centro studi per combattere l’intolleranza religiosa.

I numerosi rappresentanti della società civile interpellati hanno rimarcato che questa sentenza è molto importante per la tutela dei diritti delle minoranze. La sentenza viene apprezzata “perché rappresenta uno strumento giuridico per salvaguardare la libertà religiosa in Pakistan: oggi lo Stato ha raccomandazioni vincolanti, ed è un passo notevole”, hanno concordato gli esperti.

I partecipanti hanno auspicato un'alleanza delle diverse organizzazioni che operano per la tutela delle minoranze, invitandole a continuare nella campagna e a tenere alta l’attenzione dei mass-media: occorre fare pressioni sul governo perchè, senza indugiare, provveda a istituire il Consiglio.

Tra i passi necessari per i gruppi della società civile, occorre maggiore coinvolgimento dei leader religiosi, accrescere la consapevolezza a livello di base, mettere in rete le competenze e collaborare a livello giuridico. (R.P.)

inizio pagina

India: violenze e abusi sui cristiani da parte dei militanti indù

◊  

Una vedova percossa da estremisti indù nello stato di Jharkhand; gruppi cristiani minacciati in Karnataka; un celebrazione di culto interrotta in Uttar Pradesh: come riferisce all'agenzia Fides l’Evangelical Fellowship of India, proseguono gli episodi di violenza, più o meno gravi, perpetrati da estremisti indù a danno dei cristiani. “I cristiani indiani intendono solo servire la nazione e condividere il Vangelo di Gesù Cristo che porta la riconciliazione con Dio e tra gli uomini”, afferma la nota di EFI inviata a Fides.

Tra gli episodi riferiti, quello in cui alcuni estremisti indù nello Stato di Jharkhand ostacolano e boicottano una donna indiana vedova che vuole seguire Cristo: per questo l’hanno percossa, impedendole di attingere l’acqua da un pozzo pubblico, solo a causa della sua fede.

In Karnataka, invece, gruppi estremisti indù del gruppo etnico yadav hanno più volte minacciato i cristiani della stessa etnia, intimando loro di convertirsi all'induismo e accusando ingiustamente un Pastore cristiano di conversioni forzate.

Le comunità cristiane in Uttar Pradesh, infine, continuano a subire abusi e violenze dal gruppo estremista Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss): nelle scorse settimane i militanti indù hanno fatto irruzione in una riunione di culto cristiano nei pressi di Agra, insultando e percuotendo i presenti. 

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 237

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.