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Sommario del 27/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: seminare divisioni non è cristiano, Chiesa è comunione

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La divisione all’interno della Chiesa “è uno dei peccati più gravi”, perché rovina i rapporti e spezza la comunione con Dio. Lo ha affermato Papa Francesco nella catechesi dell’udienza generale tenuta in Piazza San Pietro di fronte a oltre 10 mila persone. Il Papa ha esortato ogni comunità a riconvertirsi nel segno della concordia. Il servizio di Alessandro De Carolis

La Chiesa è la casa per eccellenza degli “operatori di pace”, abitata da gente unita perché si ama e si perdona in Dio, e mai uno spazio per seminatori di chiacchiere o per arrampicatori che inseguono proprie mire dividendo e rovinando l’unità. Papa Francesco ricorda che nel momento culminante dell’Ultima Cena, Gesù prega espressamente per questo: “Padre, che siano uno”. La riflessione che segue sulla Chiesa “una e santa” snida allora dall’ombra tutto ciò che attenta alla compattezza del corpo ecclesiale. “Sono tanti – afferma Papa Francesco – i peccati contro l’unità” e per non rimanere sul vago conia una categoria, quella dei “peccati parrocchiali”:

“A volte, infatti, le nostre parrocchie, chiamate ad essere luoghi di condivisione e di comunione, sono tristemente segnate da invidie, gelosie, antipatie… E le chiacchiere sono alla portata di tutti. Quanto si chiacchiera nelle parrocchie! Questo non è buono. Ad esempio quando uno viene eletto presidente di quella associazione, si chiacchiera contro di lui. E se quell’altra viene eletta presidente della catechesi, le altre chiacchierano contro di lei. Ma, questa non è la Chiesa. Questo non si deve fare, non dobbiamo farlo!”.

“Questo succede – prosegue – quando puntiamo ai primi posti”, giudichiamo gli altri, “quando guardiamo ai difetti dei fratelli, invece che alle loro doti”, o “quando diamo più peso a quello che ci divide, invece che a quello che ci accomuna”. Senza dimenticare, riconosce Papa Francesco, che questi stessi peccati che minano l’unità nei piccoli ambiti del quotidiano hanno causato, su scala più grande, violenze e rotture epocali:

“Se guardiamo alla storia della Chiesa, quante divisioni fra noi cristiani. Anche adesso siamo divisi. Anche nella storia noi cristiani abbiamo fatto la guerra fra di noi per divisioni teologiche. Pensiamo a quella dei Trent’anni. Ma, questo non è cristiano. Dobbiamo lavorare anche per l’unità di tutti i cristiani, andare sulla strada dell’unità che è quella che Gesù vuole e per cui ha pregato”.

Dunque, per evitare di cadere nella tentazione della disunità bisogna tenere sveglia la coscienza ed essere consapevoli, afferma Papa Francesco, che c’è un nemico che “per definizione” è “colui che separa, che rovina i rapporti, che insinua pregiudizi”:

“La divisione in una comunità cristiana, sia essa una scuola, una parrocchia,  o un’associazione, è un peccato gravissimo, perché è opera del Diavolo. Dio, invece, vuole che cresciamo nella capacità di accoglierci, di perdonarci e di volerci bene, per assomigliare sempre di più a Lui che è comunione e amore. In questo sta la santità della Chiesa: nel riconoscersi ad immagine di Dio, ricolmata della sua misericordia e della sua grazia”.

Durante le catechesi in sintesi, Papa Francesco, salutando in lingua spagnola un gruppo di vescovi cubani, ha annunciato che domattina verrà benedetta e collocata nei Giardini Vaticani la statua della “Virgen de la Caridad del Cobre”, Patrona dell’isola caraibica. Saluti particolari sono stati rivolti, fra gli altri, da Papa Francesco anche alle Suore di Sant’Anna, che celebrano il Capitolo generale, e ai ciclisti “pellegrini della pace” della Toscana, accompagnati dal vescovo di San Miniato, mons. Tardelli. L’ultimo pensiero è stato per la memoria liturgica odierna dedicata a Santa Monica, madre di Sant’Agostino.

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Bhatti incontra Francesco: cristiani perseguitati sentono sua vicinanza

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Toccante momento oggi a margine dell’udienza generale. Papa Francesco ha ricevuto l’ex ministro cristiano pakistano Paul Bhatti e sua madre. Subito dopo l’incontro, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di Paul Bhatti, che tre anni fa ha perso il fratello Shahbaz ucciso dagli integralisti islamici: 

R. – Per me è stata una grande emozione, non solo per aver visto il Santo Padre – che ho visto già altre volte – quanto per averlo visto insieme a mia madre. Era, infatti, un suo grande desiderio quello di incontrarlo e condividere alcuni suoi pensieri. Il suo primo pensiero è stato che lei vuole pregare per questo Papa, che sta facendo un buonissimo lavoro per tutti i cristiani del mondo, e in maniera particolare per i cristiani che sono perseguitati in questo momento, specialmente in Iraq e in Pakistan. Lei ha condiviso questo suo sentimento, chiedendo a me di tradurlo. Ed io ho detto al Santo Padre che mia madre prega per lui e che lo invita in Pakistan, nonostante la situazione dei cristiani lì sia difficile. Lei, però, ci tiene, per quanto sia complicato; è una sua richiesta. I cristiani sono suoi figli e penso che un padre, in un momento di difficoltà, deve ricordarsi di loro. Ho visto il Santo Padre commosso; ho visto che non aveva parole e ha abbracciato mia madre, le ha stretto la mano e mi ha detto che lui ci è vicino e pregherà per noi.

D. – Quali sono, se possibile, le parole che più vi hanno colpito di Papa Francesco, di vicinanza ai cristiani perseguitati, pensando anche a suo fratello?

R. – Più delle parole mi ha colpito la sua espressione. Quando gli ho detto così, ad un certo punto lui ha chiuso gli occhi, ha stretto la mano di mia madre e l’ha abbracciata. Questo ha significato tutto. Poi, le ha detto: “Sono con voi! Dio vi benedica!”. E ho visto che anche lui era commosso. Questo è stato un momento per me molto forte. Conosco il Papa e quello che ha trasmesso, in silenzio, è stato un sentimento di grande amore. Poi chiaramente ha detto: “Io prego per voi, sono con voi e, per tutto quello che posso fare, sono disponibile”.

D. – Per i cristiani perseguitati, lei ovviamente conosce bene la situazione in Pakistan, ma non solo ovviamente - lei ha anche citato l’Iraq - quanto è importante questa vicinanza di Papa Francesco ai cristiani perseguitati, in tanti modi, innanzitutto con la preghiera, come diceva lei?

R. – Ma, io credo che sia una delle cose più importanti, perché sono perseguitati a causa della loro fede. E la fede è una cosa che ci lega tutti quanti, ci unisce tutti. La Madre Chiesa è una sola e Papa Francesco è – diciamo – la forza suprema! Quindi la sua vicinanza, il suo amore e la sua preghiera chiaramente sono di grande incoraggiamento per tutti quanti. Noi, infatti, viviamo per la nostra fede e per questo tantissimi di noi sono disposti a vivere e morire per la nostra fede. Avere, quindi, questa vicinanza e sentire questa sicurezza è chiaramente un momento di grande conforto.

D. – Cosa può dirci in particolare dei tanti che soffrono in Pakistan - e il pensiero va ad Asia Bibi - a quelli che sono in carcere, anche per motivi di fede, in Pakistan?

R. – Noi non possiamo dimenticare chi sta soffrendo a causa della sua fede, sia Asia Bibi che tanti altri. Allo stesso momento, desideriamo che Dio ci aiuti a portare la pace e la convivenza pacifica tra le altre religioni. Non possiamo dimenticare anche le figure di un’altra fede (musulmana, ndr), tipo Salmaan Taseer, che si è battuto per i cristiani, sapendo di essere minacciato di morte per la difesa di Asia Bibi, ma l’ha accettato. Ci sono anche quelle figure che vanno ricordate. E la speranza è che un domani, mantenendo le diverse fedi, si possa portare pace e una convivenza pacifica nel mondo.

D. – Anche per sottolineare che non è una guerra tra cristiani e musulmani, una “guerra di religione”. Ricordiamo anche come Giovanni Paolo II, durante la prima e seconda II Guerra del Golfo, mise in guardia che non si corresse questo pericolo, questa tentazione...

R. – Sì, esatto e noi crediamo in questo e abbiamo una buona speranza che ci siano persone sensibili, anche di fede musulmana, che credono nella dignità dell’uomo, nella pace e nell’amore. Questo lascia la speranza che un domani si possano superare quegli ostacoli, che sono creati dalla discriminazione, dalla divisione e, come il Papa oggi ha detto, che sono opposti al dialogo, che dividono, che si traducono in odio tra le varie religioni e tra gli uomini, anche tra gli stessi cristiani.

D. – Ovviamente da questo incontro lei trova anche nuova forza e nuovo incoraggiamento per il suo impegno per i cristiani, ma anche per le altre minoranze...

R. – Sicuramente. Io direi che prima di tutto trovo la forza per me stesso, perché questa forza è anche della gente che è attorno. E mi ricordo anche quella volta, due anni fa, quando mi sono espresso davanti al Santo Padre nella Giornata dei movimenti e ho sentito la vicinanza di tutto il popolo italiano, che l’ha dimostrato con i suoi applausi e i suoi sentimenti, quando ho dato la mia testimonianza e ho parlato di mio fratello in Pakistan. E’ stato un grande momento e oggi l’ho rivissuto di nuovo. 

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Nomine episcopali in India e Brasile

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Papa Francesco riceve nel pomeriggio il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong.

In India, il Papa ha accolto la rinuncia al governo pastorale dell'Eparchia di Satna dei Siro-Malabaresi, presentata da mons. Mathew Vaniakizhakkel, in conformità al canone 210 - paragrafi 1-2 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Mons. Vaniakizhakkel è nato il 23 dicembre 1945 a Kaithappara nella parrocchia di Vandmattam, eparchia di Kothamangalam (oggi eparchia di Idukki), nello Stato di Kerala. Dopo gli studi filosofici e teologici nel Seminario Pontificio St. Joseph ad Alwaye, fu ordinato sacerdote il 18 dicembre 1972. In seguito ha ricoperto i seguenti incarichi: cura pastorale nelle stazioni missionarie dell'Eparchia di Satna; segretaria del Vescovo Eparchiale di Satna; studi a Roma alla Pontificia Università Gregoriana (1980-1986); direzione del "Pastoral Centre" (1986-1990); Maestro dei novizi (1990-1993): Provinciale del ''St. Thomas Vice-Province" dei Vincenziani a Rewa (1993-1997); Rettore del filosofato dei Vincenziani a Bangalore (1997-2000). Il 18 dicembre 1999 fu nominato Vescovo Eparchiale di Satna.

In Brasile, il Pontefice ha nominato coadiutore della diocesi di Alto Solimões padre Adolfo Zon Pereira, della Pia Società di San Francesco Saverio, finora parroco della Parrocchia “Santa Rosa de Lima” ad Abaetetuba ed Economo Regionale dei Saveriani del Nord del Brasile. Mons. Zon Pereira, è nato il 23 gennaio 1956, a Orense, (Spagna). Ha emesso i voti religiosi il 2 ottobre 1982 nella Pia Società di San Francesco Saverio per le Missioni Estere (Saveriani) ed è stato ordinato sacerdote il 21 giugno 1986. Ha frequentato il Corso di Filosofia presso il Seminario di Orense (1974-1977) e quello di Teologia a Orense ed a Madrid (1977-1983). Inoltre, ha ottenuto la Licenza in Catechesi e in Dottrina Sociale in Spagna. Dal 1993 lavora come missionario in Brasile. Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperti i seguenti incarichi: Animatore missionario, vocazionale e giovanile a Pamplona (1985-1992); Economo locale a Pamplona (1989-1992); Parroco nella diocesi di Abaetetuba – Brasile (1994); Vice-Superiore Regionale dei Saveriani in Brasile (2005-2007; 2008-2011); Economo Regionale dei Saveriani; Parroco della Parrocchia “Santa Rosa de Lima” ad Abaetetuba; Professore di Dottrina Sociale della Chiesa all’IRFP (Istituto Regionale di Formazione Presbiterale) di Belém do Pará.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Meno chiacchiere in parrocchia: all'udienza generale il Papa parla dell'unità della Chiesa.

Tacciono le armi a Gaza.

Un articolo di Alessandro Bausi dal titolo "Orizzonte ampio": dopo undici anni completata in Germania la pubblicazione della "Encyclopaedia Aethiopica".

Il gatto pio e le sue sorelle coraggiose: Anna Foa sugli otto racconti yiddish di Itskhok Leybush Peretz.

Confini sfumati: Carlo Petrini per un ritorno dell'etica clinica.

Clarck Kent in catacomba: Fabrizio Bisconti riguardo a superuomini nell'antichità.

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Oggi in Primo Piano



Regge il cessate-il-fuoco a Gaza. In migliaia rientrano nelle case

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Regge il cessate-il-fuoco permanente a Gaza, tra israeliani e palestinesi, grazie alla mediazione dell’Egitto. Da ieri, dopo cinquanta giorni di combattimenti, non ci sono né raid né lanci di missili. E mentre le diplomazie lavorano per definire i colloqui tra i rappresentanti di Hamas e del governo israeliano, a Gaza City in migliaia stanno rientrando nelle proprie case. Il servizio di Massimiliano Menichetti: 

E’ la speranza a prevalere in queste ore in cui tacciono le armi di israeliani e palestinesi. Regge il cessate-il-fuoco mediato dall’Egitto ed entrato in vigore da ieri pomeriggio. In 50 giorni di conflitto, sono morti 2.143 palestinesi, in gran parte civili, un quarto di questi, bambini. Sessantanove le persone che hanno perso la vita in campo israeliano, di cui 64 soldati. Gaza City sta tornando, tra paura e timori, alla normalità. Migliaia di persone stanno lasciando i rifugi in cui per settimane hanno trovato riparo. Cibo, medicinali e altri generi di prima necessità sono attesi nella Striscia per aiutare la popolazione palestinese stremata. Gli aiuti passeranno dai valichi israeliani e da quello egiziano di Rafah che resterà d’ora in poi aperto sotto il controllo dell’Autorità palestinese. Le Nazioni Unite hanno ufficializzato la richiesta di valutazione dell’impatto umanitario del conflitto e mentre la diplomazia lavora alla definizione dell’incontro, previsto tra circa un mese sempre con la mediazione egiziana, tra rappresentati di Hamas e del governo israeliano. Sul tappeto ci sono le richieste palestinesi della fine del blocco israeliano, con la riapertura del porto di Gaza e dell’aeroporto internazionale, l’estensione del limite marittimo di pesca, un corridoio terrestre tra Gaza e la Cisgiordania. Gli israeliani chiedono invece il disarmo di Hamas e degli altri gruppi di miliziani, e lo smantellamento della rete di tunnel che giunge fin dentro il confine. In questo quadro, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, auspicando il rispetto del cessate-il-fuoco, ha affermato che eventuali violazioni sarebbero irresponsabili.

Sulla tenuta del cessate-il-fuoco permanente abbiamo chiesto un commento a Gabriele Iacovino responsabile analisti del Centro studi internazionali: 

R. – Sicuramente non è il migliore degli accordi possibili, ma in questo momento fa tacere le armi e pone delle basi per la riapertura di un negoziato tra le parti.

D. – Questo cessate-il-fuoco reggerà? Cosa c’è di diverso rispetto a tutti quelli precedenti che sono stati violati?

R. – E’ difficile immaginare quanto possa reggere ancora il cessate-il-fuoco perché purtroppo, per quanto riguarda la Striscia di Gaza, ciclicamente le posizioni troppo distanti tra le parti non sono riuscite a portare a un negoziato duraturo. Sicuramente i segnali, anche da parte israeliana, sono buoni perché entrambe le parti - sia quella del governo Netanyahu, che dall’altra parte Hamas - al momento non sono politicamente più in grado di portare avanti una lotta reciproca. C’è di diverso il ruolo dell’Egitto - quindi, un attore regionale che prende la leadership nel negoziato - non più utilizzato dagli Stati Uniti come “up” diplomatico, ma primo attore nella questione israelo-palestinese.

D. – Sulla tenuta pesa anche l’insostenibilità dello scontro bellico tra le due parti?

R. - Sì, perché Hamas ha bisogno di portare risultati alla popolazione di Gaza, non solo politici ma risultati economici, perché ormai la popolazione è allo stremo: sia a causa della chiusura dei confini, sia a causa del mal governo di Hamas, che non è riuscito a sfruttare i fondi della comunità internazionale per portare uno sviluppo economico, o almeno un miglioramento. Dall’altra parte c’è la frammentarietà del governo e il premier Netanyahu che non si vuole schiacciare troppo sulle posizioni oltranziste dell’area più radicale del suo esecutivo, anche perché per quanto il supporto della popolazione israeliana all’ultima operazione militare nella Striscia di Gaza sia stato alto, comunque adesso anche la popolazione israeliana vuole una soluzione mediata della questione.

D. - Fra un mese, in realtà, partiranno i negoziati diretti tra le parti. Un mese sarà sufficiente per trovare la distensione necessaria?

R. - Francamente, è difficile prevedere che tra un mese partano negoziati diretti. Probabilmente, ci sarà un nuovo inizio di negoziati indiretti in cui i rappresentanti delle due parti si incontreranno – non reciprocamente, ma con i mediatori egiziani – e da questa prima fase si potrà arrivare a negoziati diretti che sarebbero un risultato enorme, se pensiamo che Israele ed Hamas non si sono assolutamente mai parlati e che non vi è un riconoscimento reciproco. La soluzione è sicuramente lontana, ma in questa fase un negoziato, anche indiretto, è comunque un segnale molto positivo.

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Siria. Onu denuncia ferocia di jihadisti e regime. P. Hilal: guerra dimenticata

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La Commissione Onu di inchiesta sulla Siria ha pubblicato oggi a Ginevra un rapporto choc sulle violazioni dei diritti umani in questo Paese a tre anni e mezzo dall’inizio della guerra. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

Esecuzioni pubbliche, decapitazioni, amputazioni e fustigazioni: è quanto accade ogni venerdì nelle regioni siriane controllate dai jihadisti dello Stato Islamico (Is). I civili, compresi i bambini, sono invitati ad assistere a queste feroci condanne. I corpi delle persone uccise vengono lasciati in mostra per giorni, per terrorizzare la popolazione. Nelle 45 pagine del rapporto, sono descritte le decapitazioni di ragazzi di appena 15 anni, la fustigazione di uomini colpevoli di aver fumato o accompagnato una familiare vestita in modo "inappropriato", o donne frustate per non aver coperto il volto. Gli estremisti stanno inoltre reclutando e addestrando bambini di appena 10 anni da utilizzare per combattere o da trasformare in kamikaze.

Ma l’Onu accusa anche le autorità siriane per aver fatto uso di armi chimiche nell’aprile scorso. Del cloro sarebbe stato sganciato sulla popolazione civile con "barili bomba da elicotteri del governo" in otto occasioni in tre villaggi nel Nord. Il rapporto delle Nazioni Unite esorta con forza la comunità internazionale a imporre un embargo sulle armi che arrivano, da Stati o gruppi, sia ai governativi sia ai ribelli, e "sono utilizzate nella perpetrazione di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e violazioni dei diritti umani".

In questo drammatico contesto la Chiesa continua ad operare per i civili, ormai allo stremo. Ne ha dato testimonianza al Meeting di Rimini il padre gesuita Zihad Hilal, coordinatore dei centri per i bambini del Jesuit Refugee Service ad Homs, che ha denunciato anche il silenzio dei media sulla Siria. Debora Donnini lo ha intervistato: 

R. – I think the international community...
Penso che la comunità internazionale oggi stia dimenticando la Siria. Non si parla della Siria in questo momento nei media – in Tv, sui giornali – e invece penso che oggi sia molto importante parlarne, per la Siria, per la pace e la riconciliazione, per arrivare ad una risoluzione dei nostri problemi. E’ molto, molto pericoloso lasciare che i siriani vivano questa guerra l’uno contro l’altro. In Siria, si sa, ci sono molte religioni, molte etnie ed è importante avere un dialogo, perché il nostro obiettivo alla fine è avere la pace per il nostro popolo e per la nostra civiltà, perché si distruggerà tutto in questa guerra che continua ogni giorno.

D. – Qual è il vostro impegno ad Homs?

R. – We have 3 humanitarian centres…
Abbiamo tre centri umanitari: uno per distribuire cibo e altro, uno per l’istruzione e uno che dà aiuto sociale e psicologico ai bambini. Abbiamo circa 3500 bambini. Un altro centro è per le persone disabili. I centri ad Homs sono 4 con circa 80 bambini disabili e molti volontari. Lavoriamo per tutte queste persone, in questi tempi così difficili.

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Ebola. Un missionario: "In Nigeria contagi limitati"

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Ancora allarme per l’epidemia di Ebola che ha colpito quattro Paesi dell’Africa occidentale e parte della Repubblica Democratica del Congo con, in totale, quasi 1.500 morti accertati. Il contagio però sembra essere relativamente limitato in Nigeria, dove autorità, organizzazioni non governative e leader religiosi lavorano insieme per contrastare il virus. Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente ad Akure, nel sud del Paese, padre Italo Spagnolo, missionario Salesiano: 

R. – Noi siamo a circa 250 chilometri da Lagos, dove casi letali sono giunti dalla Sierra Leone. La zona più controllata è quella di Lagos e dintorni. I nostri vescovi di questa zona si sono immediatamente incontrati e hanno anche dato disposizioni in ambito liturgico: evitare il segno della pace con la stretta di mano, hanno chiesto di togliere l’acquasantiera all’entrata della chiesa, hanno consigliato la comunione presentata nelle mani, cosa che qui finora non era permessa… Cioè, c’è una sensibilizzazione molto sostenuta a livello di informazione per prevenire la diffusione dell’Ebola.

D. – Quindi, qual è stata la reazione della popolazione a questi casi che si sono registrati a Lagos?

R. – Panico tra quelli che sono un po’ più sensibili, un po’ di superficialità nel dire “non ci tocca ancora da vicino” in altre persone che sono meno sensibili. Certo che le informazioni di prima pagina a caratteri cubitali di questi giorni hanno riportato i casi e tutta la situazione, anche nei dettagli, connessi al fenomeno Ebola.

D. – Quindi, ci sono stati provvedimenti concreti da parte del governo per contrastare una possibile diffusione del virus?

R. – Le prevenzioni per evitare il contatto personale e soprattutto per isolare immediatamente le persone che sembrino avere i sintomi e di avere avuto il contagio. In questo – e anche nell’evitare il trasferimento delle salme da uno Stato all’altro con il rischio che ci sia comunicazione – c’è tutto lo sforzo del governo, della Chiesa, di sensibilizzare la gente in modo tale da prevenire gli effetti. Per adesso, ripeto, i casi qui in Nigeria sono relativamente pochi.

D. – Si può parlare allora per la Nigeria di epidemia sotto controllo, o è troppo presto?

R. – E’ troppo presto. Quello che conta sono anche gli apparati scientifici che possono permettere un’indagine seria. Io parlavo con un dottore che mi diceva: “Ci mancano adesso i materiali per difendere noi stessi, per agire nel caso di contagio”. E’ da tenere presente anche che il personale chiamato negli ospedali o nei campi di isolamento a fare questo servizio ci va per dovere, però ci sono medici e personale molto generosi e ci sono quelli che all’occasione si tirano indietro.

D. – Da parte della Chiesa, in che modo state cercando di collaborare con le autorità in questo periodo di emergenza?

R. – Quello che ci hanno chiesto – ed è molto importante – è l’informazione, è la collaborazione, perché nelle nostre chiese la gente viene: parliamo la loro lingua, ci ascoltano… L’informazione, la sensibilizzazione: questo, secondo me, è il grosso servizio che la Chiesa aiuta a fare per il bene della gente. 

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Libia nel caos. Mons. Magro: Onu aiuti a trovare intesa

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In Libia si continua a combattere: il Paese rimane diviso in tre zone: i filo-islamici a Tripoli, le milizie più integraliste a Bengasi e il parlamento eletto a Tobruk. Drammatica la condizione dei profughi che sono intrappolati dai belligeranti in conflitto, mentre è sempre più rovente la polemica sui raid segreti contro le milizie islamiche che gli Stati Uniti attribuiscono a Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Il servizio di Marco Guerra: 

In Libia la situazione è sempre più fuori controllo sul piano politico, militare e istituzionale. I guerriglieri filo-islamici di Misurata, che de facto hanno preso il potere a Tripoli, hanno smentito  alcune interpretazioni occidentali che li volevano uniti agli integralisti di Ansar al Sharia, gruppo vicino ad al Qaida e protagonista di un auto-proclamato Califfato di Bengasi. "Non abbiamo nessun rapporto con le organizzazioni estremiste, siamo contro il terrorismo e a favore della Costituzione", dice un comunicato che riunisce le milizie che non riconoscono il parlamento eletto. Quest’ultimo  nel frattempo è stato costretto a trasferirsi a Tobruk, incassando il pieno sostegno dell'Egitto. Sono quindi due le assemblee nazionali, considerando che a Tripoli si è intanto riunito il vecchio Congresso generale nazionale dominato dai partiti di ispirazione islamica, il quale ha eletto anche un premier ad interim. Ma nelle strade della capitale resta il caos: stamane è stato saccheggiato il Ministero dell'elettricità. Al momento però è stata scongiurata la saldatura del fronte islamico con gli estremisti di Ansar al Sharia che controllano Bengasi. Infine, i raid aerei su Tripoli generano polemiche dopo la smentita del governo egiziano sul coinvolgimento della sua aviazione, come affermato da fonti americane. Per una testimonianza dal Paese sentiamo il vicario apostolico di Bengasi, mons. Sylvester Magro:

R. – Da tre giorni, grazie a Dio, qui non si sentono più spari, perché i conflitti e le battaglie si svolgono nelle periferie della città. Adesso sembra non ci siano più, perché prima il boato arrivava fino a noi. Speriamo, quindi, continuando a pregare, che ci sia una svolta, un ritorno alla normalità.

D. – La situazione sul terreno vede i filo-islamici a Tripoli, il Califfato a Bengasi e il Parlamento eletto a Tobruk. Si va verso una Libia divisa...

R. – Noi non abbiamo sentito nulla del Califfato in Libia. La situazione, infatti, è ancora fresca. Devono vedere... Sono due, infatti, i governi, ma del Califfato non abbiamo sentito niente. Noi siamo sempre chiusi, specialmente le filippine che lavorano come infermiere. Si rimane dentro per prudenza, per proteggerci e quindi fuori, sul terreno, non conosciamo la situazione. Manteniamo una presenza discreta.

D. – Che cosa succede tra la gente comune? Si percepisce questa guerra?

R. – La gente comune ha il desiderio della pace: vanno a lavoro, infatti, normalmente, i negozi aprono come se nulla fosse, c’è questo desiderio di farla finita e di vivere una vita normale: vogliono stare al sicuro dagli attacchi delle milizie e vorrebbero mandare i figli a scuola, perché le scuole ora sono chiuse. La gente aspira alla normalità.

D. – Voi auspicate, eventualmente, un intervento della comunità internazionale?

R. – Grazie a Dio la situazione non è così terrificante come in Iraq, perché non si sono sentite quelle storie di orrore e di massacri. Si pensa, allora, che grazie all’intervento, agli incontri delle Nazioni Unite si spinga per tornare ad un’intesa, per riportare il Paese alla normalità.

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Povero tra i poveri: 15 anni fa la morte di dom Hélder Camara

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Il 27 agosto di 15 anni fa moriva Hélder Camara, uno dei vescovi latinoamericani più amati, che mise i poveri al centro della sua vita e della sua azione pastorale. Per ricordare questa figura, la rivisita dei Gesuiti Popoli ha pubblicato un articolo di Gerolamo Fazzini che pone l’accento sulle analogie tra il vescovo brasiliano e Jorge Mario Bergoglio. Alessandro Gisotti ha chiesto a Fazzini di spiegare perché la figura di Camara sia ancora così attuale: 

R. - L’ho anche verificato direttamente, andando in Brasile: c’è una memoria molto viva di Camara, direttamente collegata proprio alla sua predilezione per i più poveri, per gli ultimi. Non fu così fin dall’inizio perché Camara - giovane sacerdote - aveva avuto una formazione di altro tipo: era meno attento a questo aspetto, un po’ come Romero che poi è cambiato nel corso della sua vita e della sua esperienza episcopale. Questo, però, sicuramente è un tratto fondamentale della sua personalità.

 D. - Papa Francesco si è presentato con questo binomio che ormai tutti conosciamo: pastore e popolo. In qualche modo, anche qui vediamo una similitudine…

 R. – Sicuramente, sì. C’è questa dimensione del suo essere pastore come una persona però non irraggiungibile; una guida ma non uno che comanda, non uno che sta in cattedra, dall’alto. Già il termine dom - che viene normalmente usato in Brasile anche per i vescovi - dice questa vicinanza e nel caso di Camara questo era ancora più esplicito.

 D. - In un articolo su “Popoli”, parli quasi di un’anticipazione in alcuni tratti; comunque, c’è un richiamo, anche, a volte in affermazioni, parole e anche in gesti che si rifanno, che anticipano in qualche modo Bergoglio…

 R. - Direi che questo un po’ l’ho visto e capito anche andando a Recife, stando nei luoghi di Camara: nella sua chiesa, Igreja das Fronteiras; vedendo la sua camera; il suo studio. Questo elemento della povertà, dell’essenzialità, della semplicità che Papa Francesco vive giorno per giorno e che ha colpito tutti, è qualcosa che già Camara aveva vissuto, inaugurato in prima persona. Una stanzetta molto semplice gli faceva da studio, una camera altrettanto semplice con un’amaca dove lui ha dormito gli ultimissimi tempi … qualcosa che oggi potremmo paragonare alla residenza di Santa Marta di Papa Francesco. Ma, non è solo questo: un altro elemento che accomuna i due personaggi è il tratto umano. L’attenzione concreta alle persone, la tenerezza, il chinarsi sull’altro come se in quel momento fosse la persona più importante. Questo aspetto me l’hanno raccontato più persone. Anch’io ho avuto la fortuna di conoscere Camara durante uno dei suoi viaggi in Italia e mi ha colpito molto il suo sorriso, la capacità di fermarsi, parlare e interloquire con le persone anche se poi c’era la barriera linguistica. Questi sono tutti elementi che, nel vissuto di Camara, richiamano un po’ Papa Francesco.

 D. - Per la sua attenzione ai poveri, Camara è stato accusato da alcuni ambienti di essere un comunista e vediamo che, tutto sommato, qualcuno oggi accusa anche Papa Francesco di essere un marxista. Le risposte dei due, di Bergoglio e di Camara, sono incredibilmente simili: il povero non è una bandiera comunista, è la bandiera del Vangelo…

 R. - Esatto. Camara, anche nei suoi discorsi, andava molto alla radice delle disuguaglianze, cioè si interessava del povero concreto ma chiedeva anche di farsi carico delle ragioni delle disuguaglianze, delle povertà, e lo stesso fa Papa Francesco. È chiaro che questo atteggiamento può infastidire chi, invece, vorrebbe mantenere lo status quo, quindi, un’attenzione al povero ma solo e semplicemente in chiave assistenziale e non una messa in discussione di un sistema più globale di alcune regole non scritte che poi però – lo sappiamo – creano le ingiustizie. Anche in questo chinarsi sul povero “concreto” ma allo stesso tempo chiedere a ciascuno di fare il proprio dovere per lottare contro le ingiustizie - causa della povertà e della miseria - ci vedo parentele “spirituali” tra Camara e Papa Francesco.

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Rinnovamento: giovani in formazione e missione a Policoro

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Fino a sabato prossimo. la città di Policoro, in provincia di Matera, ospiterà l’annuale raduno estivo per i ragazzi del Rinnovamento nello Spirito Santo. Sono attesi quasi 500 giovani tra i 16 e i 30 anni per vivere un’esperienza interessante già dal titolo “E-state Evangelizzando?”. Sarà, infatti, l’occasione per riflettere sul tema delle Beatitudini, ma anche per metterle in pratica evangelizzando per le strade della città. Un modo di rendere concreto il messaggio dato da Papa Francesco in occasione della 37.ma Convocazione del Rinnovamento di inizio giugno: «Sarebbe triste che un giovane custodisse la sua gioventù in cassaforte […]. La gioventù è per rischiarla: rischiarla bene, rischiarla con speranza». Per approfondire il programma dell’iniziativa, Paolo Giacosa ha intervistato don Fulvio Bresciani, consigliere nazionale per l’Ambito Giovani del Movimento: 

R. – I ragazzi che sono arrivati per questi giorni sono oltre 450. Lo slogan iniziale di questo incontro, “E-state Evangelizzando?” è dato dalla spinta che dà il Papa all’uscire. Sarebbe divisibile in tre: “E-state-evangelizzando; oppure: “Estate evangelizzando” che vuol dire scegliere – come sanno fare tanti giovani che credono – di vivere diversamente le vacanze. Noi, tutti gli anni, come Rinnovamento proponiamo un’esperienza per i giovani a livello nazionale, fuorché quando c’è la Giornata Mondiale con il Papa alla quale aderiamo sempre. Dato che volevamo dare un taglio missionario, pensavamo di mandarli a fare un’esperienza di missione in mezzo alla gente: era ovvio che, chiamando a raccolta i giovani, non tutti avevano già un’esperienza alle spalle. Allora, abbiamo pensato di fare i primi due giorni di formazione dividendo i giovani tra quelli che hanno già un percorso dentro il Rinnovamento nello Spirito e coloro che invece sono nuovi, che sono circa 150. Dopo questi primi due giorni di formazione, avremo l’esperienza di evangelizzazione in sei luoghi diversi, qui nella zona di Policoro: abbiamo quattro punti sulla spiaggia, poi andremo in un ospedale e in un centro commerciale. Il compito dei ragazzi è annunciare Gesù, ovviamente con delle indicazioni che sono quelle del Vangelo, di non andare da soli ma andare a due a due e di avere il coraggio di dire quello che si è sperimentato incontrando il Signore.

D. – Papa Francesco ha detto che la gioventù va messa in gioco, va “rischiata con speranza”. Quanto sarà importante questo messaggio nell’incontro intitolato “Il coraggio di essere felici”?

R. – Questo è fondamentale, perché la felicità non è una cosa che si compra in giro, la felicità bisogna anche imparare a sceglierla. Se il nostro valore è tutto quello che abbiamo attorno, rischiamo di dimenticare che il primo grande valore siamo noi stessi. Il Papa dice: uno che non è contento di quello che è, come può andar fuori con gioia ad annunciare? Noi abbiamo puntato sul coraggio della fede, che non è solamente dire “io credo”: è dirlo agli altri.

D. – Si possono considerare le Beatitudini come una sorta di manuale per i giovani per affrontare la vita?

R. – Non c’è dubbio. Credo che sia un po’ una "magna charta", perché dobbiamo stare attenti: le otto Beatitudini, è vero, sono otto caratteristiche, ma prima c’è questo “Beato, Beato, Beato” che sono affermazioni su di noi e tante volte noi non ce ne accorgiamo, come non ci accorgiamo di essere dei Beati. Uno che ha incontrato il Signore è già Beato, perché lo ha incontrato. Il rischio è che i giovani vedono quello che accade e sono tristi o felici in base proprio a ciò che avviene. L’importante è capire cosa accade dentro. Lì nasce la felicità.

D. – Quali iniziative avete preparato per questa Chiesa giovane che uscirà per le strade ad evangelizzare?

R. – Gli strumenti non sono fuori di noi, ma dentro di noi. Ce l’ha detto il Papa, ma l’aveva già detto Paolo VI a suo tempo: il cristiano è l’uomo della gioia. Bisogna imparare davvero ad avere una gioia profonda dentro, che non vuol dire che tutto vada bene. Questo credo sia una grande arma di fronte a un mondo che invece si spaventa con niente. Io vedo tanti cristiani che sono abitudinari e sono anche tristi nel vivere la loro fede. Dal di fuori è chiaro che la gente non si fa venir voglia di rifare questo percorso. I giovani, invece, hanno quest’arma straordinaria: l’entusiasmo, la gioia... bisogna incanalarla. Lo vediamo già adesso, quando i giovani si incontrano e si incontrano come cristiani: sono già lì, più gioiosi che non quando sono a casa da soli.

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Cinema. Al Festival di Venezia un'umanità impaurita e lacerata

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Si inaugura questa sera la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: nell’anno delle crisi internazionali e delle preoccupazioni globali molti dei film scelti aprono inaspettate denunce e descrizioni di un’umanità impaurita, preoccupata e spesso lacerata. Come alcuni dei titoli italiani in concorso e molte opere provenienti da aree culturali e geografiche lontane. Presentate però sotto il segno di una grande vitalità artistica e di una ricerca che riserverà molte sorprese. Il servizio di Luca Pellegrini

Orgogliosi a Venezia per la rinnovata Sala Darsena, un restyling portato a termine con grande soddisfazione del Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, che ieri sera l’ha presentata al pubblico veneziano nel corso di una preapertura della Mostra del Cinema, anche con qualche esempio degli effetti sonori dovuti all’impianto all’avanguardia. Ma, come ha detto a tutti gli spettatori presenti, per un piccolo vezzo snobistico, è stato scelto di proiettare un film muto italiano restaurato grazie all’impegno del Museo del Cinema di Torino, Maciste alpino, un rarissimo e imperdibile film di propaganda del 1916 accompagnato da improvvisazione jazz dal vivo. E’ il segno della Mostra del Cinema 2014 che si inaugura, invece, ufficialmente questa sera in Sala Grande: una vocazione alla ricerca come identità, recuperando la missione originaria del festival, come ha più volte sottolineato il Direttore Alberto Barbera, ossia scoprire il nuovo cinema affiancandolo ai grandi titoli internazionali. E così sarà, nell’attesa di sorprese inaspettate provenienti da cinematografie lontane e sconosciute. Come film di apertura è stato scelto “Birdman - L’inaspettata virtù dell’ignoranza” di Alejandro González Iñárritu, una presuntuosa e affabulatoria piece nel corso della quale si discute molto di celebrità passata e interpretazione illuminata, il tutto durante le prove di uno spettacolo teatrale che diviene l’ultima chance per uno stanco e depresso attore in crisi, interpretato da Michael Keaton. Dovrebbe suscitare molto più interesse il film che apre la sezione Orizzonti, del regista iraniano Mohsen Makhmalbaf: “The President”. Una fiaba moderna sul potere, sulla pace, la riconciliazione e la speranza.

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Nella Chiesa e nel mondo



Australia: solidarietà dei vescovi per i cristiani iracheni

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Profonda preoccupazione per la crisi umanitaria che continua a peggiorare nel nord dell'Iraq e aperta condanna dell'uso del terrorismo in nome della religione: è quanto esprimono, in un comunicato inviato all’agenzia Fides, i vescovi australiani, intervenendo sulla crisi in Medio Oriente.

“Decine di migliaia di cristiani sono stati costretti a fuggire da Mosul, Qaraqosh e da altre zone del nord dell'Iraq, mentre i militanti dello Stato islamico (Is) intimano loro di convertirsi all'islam, pena la morte”, ricorda il testo, notando le gravi condizioni di yazidi, musulmani sciiti, le minoranze etniche e religiose in Iraq. Constatando la brutalità dell’Is, il testo nota che “il governo iracheno si è dimostrata incapace di difendere i propri cittadini da questi attacchi”.

“Di fronte a tale orrore – proseguono i vescovi – i nostri cuori vanno a coloro che sono perseguitati e che stanno soffrendo a causa delle loro convinzioni. Noi siamo accanto ai nostri fratelli cristiani del Medio Oriente e invitiamo la comunità internazionale a garantire la sicurezza delle popolazioni del nord dell'Iraq, fermando la pulizia religiosa”.

I vescovi ringraziano il governo australiano per la decisione di offrire aiuti umanitari in Iraq e affermano che “l’Australia ha un ruolo importante da svolgere come membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per garantire il futuro del popolo iracheno”.

In solidarietà con il popolo iracheno, conclude l’appello dei vescovi, “chiediamo ai fedeli cattolici di tutta l'Australia di rivolgere a Dio una speciale preghiera per il popolo iracheno in questo fine settimana, ringraziando per la grande fede che dimostra e chiedendo a Dio di proteggere e vegliare su tutti gli sfollati e su quanti soffrono”. (R.P.)

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Boko Haram bersaglia il confine del Camerun

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Senza nemmeno combattere, gli insorti di Boko Haram sono riusciti a prendere il controllo di Ashigashiya, località del nord-est della Nigeria sul confine con il Camerun. Lo riferiscono fonti di stampa nigeriana ed internazionale precisando che nell’attacco notturno, compiuto nella notte tra lunedì e martedì, almeno tre civili sono stati uccisi.

Inoltre gli insorti - riferisce l'agenzia Misna - hanno cercato, senza successo, di far esplodere il ponte di Fotokol che collega la Nigeria con l’Estremo Nord del Camerun, causando la fuga della popolazione. Uomini del battaglione dei blindati dell’esercito camerunese sono riusciti a respingere elementi di Boko Haram – uccidendone una ventina – che cercavano di superare la frontiera per dare la caccia a soldati nigeriani.

Abitanti di Ashigashiya hanno testimoniato della “grande facilità con la quale Boko Haram è entrato nella località”, dopo la fuga dei soldati e gendarmi nigeriani che vi erano dispiegati. Il racconto è in linea con le informazioni rilanciate anche dal quotidiano locale Vanguard, in base alle quali lo scorso fine settimana circa 500 militari regolari hanno trovato rifugio nel confinante Camerun, dopo la conquista da parte di Boko Haram della città di Gamboru Ngala e di Gwoza. In questa ultima località dello Stato di Borno la guida del movimento estremista, Abubakar Shekau, ha istituito un “califfato islamico”.

Sulla ‘fuga’ dei soldati nigeriani, successivamente costretti dall’esercito del Camerun a rientrare in patria, sono circolate versioni discordanti. Fonti militari nigeriane hanno spiegato che si è trattato di un “ripiego strategico”, assicurando che le truppe “fanno tutto il possibile per combattere Boko Haram”. Altre fonti ufficiali hanno riconosciuto che le truppe sono state costrette alla ritirata “in mancanza di armi e munizioni”. Testimoni locali nelle ultime località conquistate dagli insorti hanno invece denunciata una vera e propria “fuga” dei militari che “sulla carta dovrebbero garantire la sicurezza”, ma in realtà “sono sempre più in difficoltà” nella lotta a Boko Haram.

Nel vicino Stato di Adamawa gli insorti hanno preso il controllo della località di Madagali e di diversi villaggi circostanti, abbandonati dalla popolazione, ma anche a cacciare le truppe regolari che a Gulak avevano stabilito un quartier generale.

Il presidente Paul Biya ha dato l’ordine ai soldati camerunesi di “sostenere i militari nigeriani” e di “intensificare la lotta a Boko Haram”. (R.P.)

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Inghilterra, rapporto choc su abuso bambini

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Almeno 1.400 bambini sarebbero stati vittime di sfruttamento sessuale a Rotherham, città di 117.000 abitanti nel nord dell'Inghilterra, tra il 1997 e il 2013. Lo rivela un rapporto del Rotherham Borough Council, secondo cui i bambini, tra cui bimbe di 11 anni, sarebbero stati violentati, rapiti, picchiati, intimiditi o portati in altre città dell'Inghilterra.

In seguito alla diffusione del rapporto sugli abusi ai danni di 1400 bambini – riferisce il quotidiano Avvenire - il presidente del consiglio municipale Roger Stone, in carica dal 2003, ha dichiarato di volersi dimettere con effetto immediato. "Credo che come leader io mi debba assumere la responsabilità per il fallimento storico descritto così chiaramente". L'autrice del rapporto, la professoressa Alexis Jay, ha sottolineato i "plateali" fallimenti collettivi dei membri del consiglio comunale, "le autorità coinvolte hanno molto di cui rispondere".

Alcuni dirigenti avevano infatti "sottovalutato" la portata del problema e la polizia del South Yorkshire ha mancato di dare priorità alla questione. Nel documento si denuncia come il consiglio comunale di Rotherham e la polizia fossero a conoscenza del livello di abusi nella città ma non abbiano mai fatto nulla. E si sottolinea come molti temessero di essere considerati "razzisti", dal momento che la maggior parte degli aggressori erano asiatici, di origine pakistana. Nel 2010, cinque abitanti di Rotherham erano finiti in carcere per reati sessuali contro alcune ragazze. Ma questo non ha fermato gli abusi che sono andati comunque avanti.

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Mons. Galantino: nelle Messe tutti devono sentirsi a casa

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L’assemblea eucaristica dovrebbe essere “un luogo dove tutti si sentano a casa”: migranti, fedeli in situazione matrimoniale irregolare, persone disabili, malati, poveri, anziani, bambini. È la raccomandazione, espressa in un lungo intervento di 18 pagine da mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio e segretario generale della Cei, parlando oggi a Orvieto ai partecipanti alla 65ª Settimana liturgica nazionale organizzata dal Cal (Centro Azione Liturgica).

Mons. Galantino - riporta l'agenzia Sir - ha evidenziato prima di tutto la necessità di adottare l’atteggiamento suggerito da Papa Francesco di una Chiesa “in uscita”, che “prende l’iniziativa” per essere “accogliente” e “accorciare le distanze”. In ambito liturgico, ha raccomandato di non organizzare celebrazioni eucaristiche “settoriali”.

Il segretario generale della Cei ha sollecitato un’attenzione particolare dell’assemblea eucaristica, nei confronti dei poveri” e in proposito ha posto una serie di domande provocatorie sulle quali i cristiani sono chiamati ad interrogarsi: “siamo sicuri che i poveri partecipino volentieri alla messa domenicale perché si sentono accolti? Siamo sicuri che nelle nostre assemblee non si facciano davvero differenze tra ricchi e poveri? In che modo ci interroga la presenza di persone che chiedono l’elemosina alla porta della chiesa? Talvolta costoro sono cristiani, anche cattolici, ed entrano in chiesa per pregare o per partecipare alla Messa: quale accoglienza viene loro riservata?”. 

Allo stesso modo, ha proseguito, le celebrazioni devono dedicare particolari premure verso “malati, sofferenti, persone disabili”, ad esempio eliminando le barriere architettoniche e riservando dei posti che “si adattino alle condizioni fisiche e psicologiche dei malati, in particolare per le difficoltà motorie ed uditive”. 

Stesso atteggiamento va espresso nei confronti dei migranti, ha sottolineato il segretario generale della Cei: “Le comunità del luogo hanno il dovere dell’accoglienza, sono tenute ad accordare loro ospitalità, evitando di farli sentire ospiti, perché nella Chiesa ogni cristiano è a casa propria”.

Infine, mons. Galantino ha ricordato la situazione dei fedeli in situazione matrimoniale irregolare, che “vivono la loro condizione con grande sofferenza” e “percepiscono la disciplina della Chiesa come molto severa, non comprensiva se non addirittura punitiva”.

“Con sincerità - ha rimarcato - dovremmo però riconoscere che anche gli altri fedeli percepiscono la disciplina della Chiesa come un’esclusione di questi loro fratelli e sorelle, e, talora, li osservano con uno sguardo carico di pregiudizio”, imponendo loro “un ulteriore fio da pagare, una loro discriminazione di fatto”. Serve quindi “accoglienza, comprensione, accompagnamento, supporto”, e “percorsi di vita ecclesiale” sebbene “non possano ricevere la comunione eucaristica”. (R.P.)

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Card. Vallini a Lourdes: la via della Croce per essere creature nuove

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La via dell‘umiltà porta a trovare l‘essenza della vita. Questo l‘invito che il cardinale vicario Agostino Vallini ha rivolto ieri sera durante l‘omelia ai fedeli giunti a Lourdes - riferisce l'agenzia Sir - in occasione del pellegrinaggio diocesano nazionale organizzato dall‘Opera Romana Pellegrinaggi: “Il cammino che stiamo facendo - ha detto il porporato che guida questi cinque giorni di pellegrinaggio - deve guardare alla Croce che mostra la strada per essere creature nuove. Questo significa morire nei nostri peccati e risorgere come creature nuove. Non lasciamo scivolare nella nostra vita la grande proposta di Gesù”.

Ed ha aggiunto: “Non diamo per scontato ciò che scontato non è. Siamo cristiani, facciamo pellegrinaggi, veniamo in luoghi come Lourdes, torniamo a casa con tanti propositi. E poi? L‘ordinario ci risucchia, riprendiamo l‘abitudine alla vita e viviamo un Vangelo con degli adattamenti. Lo sforzo sta proprio qui: nella volontà a voler cambiare. Chiediamo al Signore che ci illumini nel prendere una decisione”. Un cambiamento che “avviene se si incontra la forza dello Spirito Santo con la libertà”.

“Il Vangelo delle beatitudini può essere il manifesto della vita cristiana. Ci indica nella concretezza cosa vuol dire essere creature nuove. Essere poveri in spirito - ha precisato - significa porre la propria fiducia nel Signore. È allora che le invidie, le gelosie, i rancori, l‘odio svaniscono ed emerge la grazia di Dio, che è grazia nel porsi e nel relazionarsi con gli altri. Questo ci fa diventare miti e pazienti. E giusti”.

E proprio riguardo al tema della giustizia ha puntualizzato che non si possono fare sconti: “Essere cristiani vuol dire fare scelte radicali. Significa dire no alla corruzione, all‘imbroglio, all‘arte di arrangiarsi, anche al costo di essere perseguitati per questo. Non si può essere cristiani a metà”. “La vita - ha aggiunto - è una cosa seria, non ci possiamo lasciare andare agli istinti. Quindi essere creatura nuova significa avere desiderio di aria fresca, riempire i polmoni della grazia di Dio. Ma Dio non ti salva se non lo vuoi. Siamo liberi di scegliere. E, nel nostro cammino, non dobbiamo dimenticare che Dio non ci abbandona, dobbiamo avere pazienza e aspettare. Dio è fedele, non si ritira mai, ma da parte nostra ci deve essere la risposta. Questa è conversione, questa è vita nuova”. (R.P.)

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Al via a Castelgandolfo l’Assemblea generale del Movimento dei Focolari

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E' il più importante organo di governo del Movimento dei Focolari e si riunisce ordinariamente ogni sei anni. Si tratta dell’Assemblea generale che si terrà  dal 1° al 28 settembre 2014, dopo quella del 2008 tenutasi in seguito alla morte della fondatrice Chiara Lubich. Il suo compito è quello di indirizzare la vita e lo sviluppo del Movimento nei prossimi anni.

Al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, vicino Roma, sono attesi 494 delegati dei Focolari in rappresentanza del Centro internazionale e delle diverse aree geografiche del mondo, espressione della pluralità che caratterizza il Movimento. Accompagneranno i lavori anche 49 invitati, di cui 15 persone di Chiese cristiane diverse da quella cattolica, di religioni non cristiane e di culture non religiose appartenenti ai Focolari.

Dal lavoro preparatorio, che ha visto un’ampia partecipazione delle comunità locali, sono emerse domande, sfide ed esigenze di un popolo vitale in cammino. In particolare la fedeltà all’identità carismatica, l’attenzione per i giovani, gli anziani e le famiglie, il bisogno di andare al di là del proprio Movimento muovendosi verso i dolori dell'umanità. Una spinta all’azione, dunque, con un’adeguata formazione spirituale e culturale, sulla linea della spiritualità di comunione tipica del carisma dei Focolari, affinché sia Gesù stesso, presente fra coloro che sono uniti nel Suo nome (cfr. Mt 18, 20), a camminare per le strade per incontrare gli uomini e le donne di oggi.

L'Assemblea procederà anche all’elezione della Presidente, del Copresidente, dei consiglieri e delle consigliere generali per i prossimi sei anni.

I partecipanti saranno ricevuti da papa Francesco venerdì 26 settembre in Vaticano. (A cura di Adriana Masotti)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 239

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.