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Sommario del 04/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa alla Focsiv: i poveri non siano occasione di guadagno

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Bisogna “lottare contro le cause strutturali della povertà”. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco nell’udienza, in Aula Paolo VI, alla Focsiv, la Federazione degli Organismi di Volontariato di ispirazione cristiana. Il Pontefice ha quindi avvertito che “i poveri non possono diventare un’occasione di guadagno” ed ha chiesto un maggiore impegno per la pace, i profughi e i migranti. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Siate “una Chiesa che si cinge il grembiule e si china a servire i fratelli in difficoltà”. Muove da un’immagine cara a Don Tonino Bello il discorso di Papa Francesco che, alla Focsiv, chiede di essere al servizio dei poveri “sullo stile del Buon Samaritano e in coerenza con i valori evangelici” a partire dalla “identità cristiana”. Il Papa ha quindi esortato a proseguire sulla “strada dell’impegno volontario e disinteressato”:

“C’è tanto bisogno di testimoniare il valore della gratuità: i poveri non possono diventare un’occasione di guadagno! Le povertà oggi cambiano volto - ci sono le nuove povertà! - ed anche alcuni tra i poveri maturano aspettative diverse: aspirano ad essere protagonisti, si organizzano, e soprattutto praticano quella solidarietà che esiste tra quanti soffrono, tra gli ultimi”.

Voi, ha soggiunto, “siete chiamati a cogliere questi segni dei tempi e a diventare uno strumento al servizio del protagonismo dei poveri”. Solidarietà con i poveri, ha precisato, “è pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni”:

“È anche lottare contro le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro e di una casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. La solidarietà è un modo di fare la storia con i poveri, rifuggendo da presunte opere altruistiche che riducono l’altro alla passività”.

Tra le cause principali della povertà, ha ribadito, “c’è un sistema economico che saccheggia la natura”. Ed ha ammonito che “il creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere, e ancor meno è una proprietà solo di pochi”. Il creato, ha affermato, “è un dono meraviglioso che Dio ci ha dato perché ce ne prendiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, con rispetto”. Ha chiesto dunque di impegnarsi affinché “il creato rimanga un patrimonio di tutti, da consegnare in tutta la sua bellezza alle generazioni future”. Francesco ha quindi denunciato lo scandalo della guerra. Quindi, ha evidenziato che la fede aiuta a costruire ponti “dove la spirale della violenza sembra non lasciare spazio alla ragionevolezza”. Ancora, ha rivolto un pensiero alla gente costretta a vivere nei campi profughi:

“Quanta gente nel mondo fugge dagli orrori della guerra! Quante persone sono perseguitate a motivo della loro fede, costrette ad abbandonare le loro case, i loro luoghi di culto, le loro terre, i loro affetti! Quante vite spezzate! Quanta sofferenza, quanta distruzione! Di fronte a tutto ciò, il discepolo di Cristo non si tira indietro, non volta la faccia dall’altra parte, ma cerca di farsi carico di questa umanità dolorante, con prossimità e accoglienza evangelica”.

Francesco ha avuto parole di vicinanza per i “migranti" e i "rifugiati, i quali cercano di lasciarsi alle spalle dure condizioni di vita e pericoli di ogni sorta”. È necessaria, ha detto, “la collaborazione di tutti, istituzioni, ONG e comunità ecclesiali, per promuovere percorsi di convivenza armonica tra persone e culture diverse”:

“I movimenti migratori sollecitano adeguate modalità di accoglienza che non lascino i migranti in balia del mare e di bande di trafficanti senza scrupoli. Al tempo stesso, è necessaria una fattiva collaborazione fra gli Stati, per regolare e gestire efficacemente tali fenomeni”.

Siate “testimoni di carità, operatori di pace, artefici di giustizia e di solidarietà”, ha esortato Francesco che ha concluso il suo discorso alla Focsiv incoraggiando i volontari “a proseguire con gioia su questa strada di fedeltà all’uomo e a Dio, ponendo sempre più al centro la persona di Gesù”.

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Papa: i santi nascosti di tutti i giorni danno speranza

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Ci sono tanti santi nascosti, uomini, donne, padri e madri di famiglia, malati, preti che mettono in pratica tutti i giorni l'amore di Gesù e questo dà speranza: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

E’ davvero cristiano chi mette in pratica la Parola di Dio, non basta dire di avere fede: commentando il Vangelo sulla casa costruita sulla roccia o sulla sabbia, Papa Francesco invita a non essere “cristiani di apparenza”, cristiani truccati, perché appena arriva un po’ di pioggia il trucco va via. Non basta – ha detto - appartenere a una famiglia molto cattolica o a un’associazione o essere un benefattore, se non si segue poi la volontà di Dio. “Tanti cristiani delle apparenze” – ha osservato – “crollano alle prime tentazioni”, perché “non c’è sostanza lì”, hanno costruito sulla sabbia. Invece, ci sono tanti santi “nel popolo di Dio - non necessariamente canonizzati, ma santi – tanti uomini e donne” che “mettono in pratica l’amore di Gesù. Tanti”. Hanno costruito la casa sulla roccia, che è Cristo:

“Pensiamo ai più piccoli, eh? Agli ammalati che offrono le loro sofferenze per la Chiesa, per gli altri. Pensiamo a tanti anziani soli, che pregano e offrono. Pensiamo a tante mamme e padri di famiglia che portano avanti con tanta fatica la loro famiglia, l’educazione dei figli, il lavoro quotidiano, i problemi, ma sempre con la speranza in Gesù, che non si pavoneggiano, ma fanno quello che possono”.

Sono i “santi della vita quotidiana!”, ha esclamato il Papa:

“Pensiamo a tanti preti che non si fanno vedere ma che lavorano nelle loro parrocchie con tanto amore: la catechesi ai bambini, la cura degli anziani, degli ammalati, la preparazione ai novelli sposi… E tutti giorni lo stesso, lo stesso, lo stesso. Non si annoiano perché nel loro fondamento c’è la roccia. E’ Gesù, è questo che dà santità alla Chiesa, è questo che dà speranza!”.

“Dobbiamo pensarci tanto alla santità nascosta che c’è nella Chiesa” – ha affermato Francesco – “cristiani che rimangono in Gesù. Peccatori, eh? Tutti lo siamo. E anche alcune volte qualcuno di questi cristiani fa qualche peccato grave, ma si pentono, chiedono perdono, e questo è grande: la capacità di chiedere perdono, di non confondere peccato con virtù, di sapere bene dove è la virtù e dove è il peccato. Questi sono fondati sulla roccia e la roccia è Cristo. Seguono il cammino di Gesù, seguono Lui”.

“I superbi, i vanitosi, i cristiani di apparenza” – ha sottolineato Francesco – “saranno abbattuti, umiliati”, mentre “i poveri saranno quelli che trionferanno, i poveri di spirito, quelli che davanti a Dio si sentono niente, gli umili, e portano avanti la salvezza mettendo in pratica la Parola del Signore”. “Oggi ci siamo, domani non ci saremo” – ha detto poi citando San Bernardo: “Pensa, uomo, cosa sarà di te: pasto dei vermi”. “Ci mangeranno i vermi, a tutti” – ricorda il Papa – “Se non abbiamo questa roccia, finiremo calpestati”:

“In questo tempo di preparazione al Natale chiediamo al Signore di essere fondati saldi nella roccia che è Lui, la nostra speranza è Lui. Noi siamo tutti peccatori, siamo deboli ma se mettiamo la speranza in Lui potremo andare avanti. E questa è la gioia di un cristiano: sapere che in Lui c’è la speranza, c’è il perdono, c’è la pace, c’è la gioia. E non mettere la nostra speranza in cose che oggi sono e domani non saranno”.

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Papa e presidente Mozambico parlano di lotta a povertà

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Papa Francesco ha ricevuto nel Palazzo Apostolico Vaticano il presidente della Repubblica di Mozambico, Armando Emílio Guebuza, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Durante i cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - sono state evidenziate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica di Mozambico. In tale contesto, non si è mancato di fare riferimento al fondamentale contributo della Chiesa cattolica allo sviluppo del Paese attraverso le sue istituzioni di carattere educativo e sanitario, e al suo importante ruolo nella promozione della pace e della riconciliazione nazionale. Infine, ci si è soffermati su alcune sfide regionali, quali il disarmo e la lotta alla povertà e alle disuguaglianze sociali”.

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Tweet del Papa: l'Avvento ci infonde speranza, non delude mai

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“Il tempo di Avvento ci infonde speranza, una speranza che non delude. Il Signore non delude mai”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, seguito da oltre 16 milioni di follower.

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Diritti individuali e bene comune nei discorsi di Francesco

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Nell’ultimo mese Papa Francesco ha pronunciato importanti discorsi. Tra le tante tematiche affrontate una in particolare ritorna in 5 interventi tenuti in meno di 10 giorni: la questione dei diritti individuali. Ripercorriamo alcune riflessioni in questo servizio di Sergio Centofanti:

Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013), Papa Francesco sottolinea con forza che “deplorevolmente persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali” che si trasformano in legge del più forte laddove sono calpestati i diritti dei più deboli, siano essi persone, famiglie, popoli o Stati. La Chiesa fa propria “l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via”.

Sull’argomento, il Papa è tornato alcuni giorni fa più volte: il 25 novembre scorso, intervenendo al Parlamento europeo, ha invitato a “non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti  - ha affermato - la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali, sono tentato di dire individualistici” – ha aggiunto a braccio – che sono staccati dai doveri e dal bene comune. Infatti – spiega – “al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa”. Così – conclude - “se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze”.

Intervenendo lo stesso giorno al Consiglio d’Europa, Papa Francesco ha ricordato che quando “ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire”, slegato dagli altri, apre “la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo”. “Un tale individualismo rende umanamente poveri e culturalmente sterili”. “Dall'individualismo indifferente nasce il culto dell'opulenza, cui corrisponde la cultura dello scarto nella quale siamo immersi”.

E infatti, parlando alla Fao il 20 novembre, ha affermato: “Oggi si parla molto di diritti, dimenticando spesso i doveri; forse ci siamo preoccupati troppo poco di quanti soffrono la fame”. E così, “mentre si parla di nuovi diritti, l’affamato è lì, all’angolo della strada, e chiede diritto di cittadinanza, chiede di essere considerato nella sua condizione, di ricevere una sana alimentazione di base. Ci chiede dignità, non elemosina”.

Nei Paesi occidentali, la rivendicazione dei diritti individuali rischia di attaccare il diritto all’obiezione di coscienza sui temi etici fondamentali. E Papa Francesco, ampliando il discorso nell’incontro con i Medici cattolici, il 15 novembre, ha ricordato che “il pensiero dominante propone a volte una ‘falsa compassione’: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica ‘produrre’ un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre”.  Ed esorta i medici a “scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza”.

I diritti individuali mettono in pericolo i diritti dei bambini, di quanti non hanno voce perché sono piccoli: di questo si è parlato il 17 novembre scorso in Vaticano durante l’importante Convegno sulla complementarietà uomo-donna. Francesco ha sottolineato che la “rivoluzione nei costumi e nella morale ha spesso sventolato la bandiera della libertà – fra virgolette – ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili”. In particolare, ha ribadito che “i bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva”. “La famiglia – spiega - è un fatto antropologico … non possiamo qualificarla con concetti di natura ideologica che soltanto hanno forza in un momento della storia, e poi cadono. Non si può parlare oggi di famiglia conservatrice o famiglia progressista: la famiglia è famiglia”.

Al di là di questi 5 discorsi tenuti in poco più di una settimana, di famiglia Francesco aveva parlato in modo molto intenso anche al movimento di Schoenstatt, il 25 ottobre: la famiglia e il matrimonio – aveva detto – non sono stati mai “tanto attaccati” come al giorno d’oggi. La famiglia non è una forma di “associazione”. “C’è una crisi della famiglia, crisi perché la bastonano da tutte le parti e la lasciano molto ferita!".

Di fronte ai diritti individuali, a rischio sono anche i diritti dei genitori, in particolare nel settore delicatissimo dell’educazione. Uno dei discorsi più forti su questo argomento, Papa Francesco lo ha rivolto l’11 aprile scorso al Bice, l’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia: occorre “sostenere – ha detto - il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del ‘pensiero unico’. Mi diceva, poco più di una settimana fa, un grande educatore: ‘A volte, non si sa se con questi progetti - riferendosi a progetti concreti di educazione - si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione’”.

Infine, di diritti e “dittatura del relativismo” Francesco aveva parlato al Corpo Diplomatico il 22 marzo 2013, sottolineando come oggi possa essere messa “in pericolo la convivenza tra gli uomini”. “Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti”.

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La pace al centro delle prediche di Avvento in Vaticano

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Sarà la pace il tema centrale delle prediche di Avvento che da domani il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, terrà per il Papa e la Curia Romana nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, in Vaticano. Nei tre venerdì che precedono il Natale le meditazioni di padre Cantalamessa aiuteranno a riflettere sulla pace come dono di Dio in Gesù Cristo, come compito per cui lavorare e come frutto dello Spirito. “Pace in terra agli uomini che Dio ama”: così il predicatore della Casa Pontificia ha voluto chiamare questo ciclo di prediche d’Avvento; lo spiega al microfono di Tiziana Campisi

R. – Spieghiamo il titolo: è l’annuncio dei pastori nella Notte di Natale e come risulta pure dall’annuncio natalizio, la pace è anzitutto qualcosa che scende dal Cielo, è un dono di Dio, è il filo dall’alto che regge tutta la trama delle paci umane, senza la quale le paci umane sono sempre fragili. Certamente, però, questo dono di Dio diventa anche dovere e compito da svolgere. E infatti, nella seconda predica penso proprio di parlare della pace come compito.

D. – Lei affronterà anche il tema della pace come frutto dello Spirito …

R. – … quella che tutti desideriamo, perché quando parliamo di pace, quando la gente parla di pace, pensa alla pace del cuore, alla pace della famiglia, a questa pace che – secondo la Bibbia – è una virtù, è frutto anche di sforzo personale, è un dono di Dio però accolto e sviluppato anche attraverso la libertà della risposta umana. Ed è questa pace che poi diventa condizione di vita, anche, e di santità, perché tutti i santi hanno parlato di questa pace interiore del cuore che viene dal fare la volontà di Dio. Il nostro poeta, Dante Alighieri, ha fatto un verso su questo che dice tutto: “E’ la sua voluntate nostra pace”, cioè la pace del cuore dipende dall’adesione alla volontà di Dio.

D. – Su quali testi ci invita a meditare per questo Avvento?

R. – I testi principali che io utilizzo sono sempre quelli della Scrittura, che è ricchissima di riferimenti alla pace: grazia e pace è un binomio quasi indissociabile nella Bibbia. La ricchezza di questa parola nella Bibbia è veramente inesauribile. E poi, dopo, nei testi della Bibbia, specialmente nella seconda predica, mi sono stati molto, molto utili i testi di Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”. Mi dispiace di costringerlo a sentire quello che lui sa bene, che ha scritto lui, ma credo che faccia bene a noi risentire alcune parole di quella Lettera.

D. – Come si costruisce concretamente la pace? Quali sono gli ingredienti per la pace?

R. – Lo si ripete spesso, ne ha scritto San Giovanni Paolo II e anche Papa Francesco ne parla spesso: il dialogo. Il dialogo a un certo livello, soprattutto politico. Ma il dialogo è l’unica alternativa alle armi. Quindi, per noi cristiani accanto al dialogo c’è anche la preghiera, e di fatti la Chiesa prega continuamente: a ogni Messa prega per la pace, quella invocazione prima della Comunione: da pacem, Domine – concedi la pace ai nostri giorni. Quindi, direi, il dialogo, la preghiera, la comprensione, anche, il conoscere perché spesso il conoscere gli altri trasforma i nemici in amici: quelli che si credevano dei nemici, quando uno poi conosce bene la fragilità, i limiti, il contesto in cui una persona agisce, molto spesso questo facilita la pace.

D. – E qual è il contributo che ogni singolo può dare?

R. – Io dico, di solito, che come miliardi di gocce d’acqua sporca non faranno mai un mare pulito, così miliardi di cuori senza pace non faranno mai un’umanità in pace. Quindi, come diceva il messaggio per la Giornata mondiale della pace di Giovanni Paolo II, “la pace nasce dal cuore”. Quindi, coltivare la pace a livello personale, ma non essere turbati, non essere ansiosi. E poi, diffondere intorno questa pace nella comunità, nell’ambiente in cui si lavora è un contributo personale alla pace.

D. – Con quali parole può accompagnare questo Avvento?

R. – La parola migliore è quella che Gesù ci ha lasciato: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. E la sera di Pasqua era quasi respirabile, palpabile la pace donata da Gesù …

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In Piazza San Pietro l'albero di Natale, dono della Calabria

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E’ arrivato stamani, in Piazza San Pietro, l’albero di Natale: quest’anno è stato donato dalla Calabria, dalla provincia di Catanzaro. Si tratta di un abete bianco di 25 metri del peso di 80 quintali, tagliato “senza arrecare danno” in un bosco nel comune di Fabrizia, in provincia di Vibo Valentia. Il legno, come ogni anno, verrà poi utilizzato per scopi di beneficenza. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Per la Calabria, e non solo, il dono dell’albero che illuminerà Piazza San Pietro è una luce di speranza. Così l’arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, mons. Vincenzo Bertolone:

R. – Questo albero proviene dalla zona di Passo dell’Abate, nel comune di Fabrizia, in provincia di Vibo Valentia, ma diocesi di Catanzaro-Squillace. L’abete bianco, donato dall’amministrazione provinciale di Catanzaro, è segno di luce e di speranza per l’intera cristianità. La prima Enciclica di Papa Francesco chiarisce il genuino senso della luce della fede, simboleggiata anche da quest’albero. Con questa espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù: la luce nata in mezzo a noi a Betlemme viene ben simboleggiata da questa bella forma vivente che è l’albero. La fede che si irradia dall’albero è simbolo di un bene per tutti, di un bene comune.

D. – La luce di Gesù ha illuminato Betlemme, una cittadina povera. Nell’ultimo rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno si ricorda, tra l’altro, che la Calabria è la regione più povera d’Italia. Proprio da questa bellissima terra, ferita da varie forme di povertà, arriva l’albero di Natale per il Papa…

R. – Il tronco principale di questo albero calabrese ha un tronco gemello e si tratta di fatto di due tronchi uniti, quasi a simboleggiare che nessun uomo è solo. Un’immagine proprio bella. Così come nessuna regione dovrebbe essere sola, neppure la Calabria dovrebbe essere lasciata sola. Lo stato disastroso di crisi economica che attanaglia le persone della Calabria oggi non richiede soltanto compassione e commiserazione, né soltanto sollecitazione di politiche economiche dei vari governi che si alternano; piuttosto ricorda che l’indigenza non è mai solo di qualcuno ma appesantisce tutto il corpo sociale. Così non si crescerà, se non insieme. I cristiani di Calabria, pur nella loro libertà attestata dalle statistiche, anche attraverso questo dono intendono piantare un seme comunque fecondo; hanno voluto offrire un segno di generosità che si augurano possa diventare un grande albero, capace di riempire il Paese e il mondo di frutti di prossimità, di solidarietà di vero amore, illuminati e rafforzati da quella fede che ci viene dalla grotta di Betlemme.

Il dono dell’albero al Papa – sottolinea Vincenzo Bruno, presidente della Provincia di Catanzaro – è un auspicio per una rinascita della Calabria:

R. – Sia la Provincia di Catanzaro sia la Calabria hanno bisogno di credere nella speranza di una rinascita di questa terra e, soprattutto, di avere per il futuro grande attenzione da parte di tutti quelli che hanno una responsabilità.

D. – Lei incontrerà il Papa in Vaticano il prossimo 19 dicembre insieme con altri rappresentanti del suo territorio. In quell’occasione, donerete al Santo Padre prodotti tipici calabresi…

R. – Porteremo con noi la Calabria che produce, le eccellenze. Faremo dono al Pontefice anche di prodotti da offrire alla cena di Natale dei poveri. Inoltre, gli omaggi saranno delle nostre eccellenze artigianali.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto stamani in udienza il card. Severino Poletto, arcivescovo emerito di Torino; mons. Michael W. Banach, arcivescovo tit. di Memfi, nunzio apostolico in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone, mons. Giovanni d’Aniello, arcivescovo tit. di Paestum, Nunzio Apostolico in Brasile; il signor Juan Pablo Cafiero, ambasciatore di Argentina, in visita di congedo.

In Australia, Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Sale il rev.dp Patrick Michael O’Regan, del clero di Bathurst, finora vicario generale e decano della Cattedrale.

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Oggi in Primo Piano



Conferenza di al-Azhar contro terrorismo di matrice islamica

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“La Conferenza organizzata al Cairo dall'Università di al-Azhar per condannare il terrorismo e l'estremismo di matrice islamista è un fatto di grande portata storica. E non so se in Occidente qualcuno se ne è accorto”: è quanto afferma mons. Anba Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh. All'Università al-Azhar, il più importante centro teologico dell’islam sunnita, sono presenti le più grandi personalità del panorama islamico internazionale allo scopo di confutare le teorie degli islamisti. Davide Pagnanelli ne ha parlato con padre Giuseppe Scattolin, ospite alla conferenza e membro dell’Accademia della lingua araba d’Egitto: 

R. – Al-Azhar per dissociarsi dall’interpretazione estremista del islam vuole presentare la sua posizione come moderata. Molti degli interventi hanno lo scopo, come dice chiaramente il titolo, di dare un’interpretazione giusta di alcuni concetti fondamentali, usati da questi terroristi, come per esempio il Jihad. Specificano, infatti, che ci sono vari tipi di Jihad e quello inteso come lo intendono loro, non è quello inteso dall’islam moderata, come pure l’idea di Stato islamico. Molti musulmani, infatti, evidentemente sentendo questi che ripetono versi del Corano, detti del Profeta, con questi termini, pensano che bisogna applicarli alla lettera, come dicono loro.

D. – Il Patriarca Tawadros e il Grande Imam di al-Azhar hanno parlato di un islam di amore e tolleranza e di punti di comunione tra islam e cristianesimo. In cosa l’islam dimostra meglio questa sua natura?

R. – Questa della moderazione e della tolleranza non è una cosa nuova. L’islam si è presentato sempre, si è giustificato in qualche modo, dando come esempio concreto il fatto che i cristiani e gli ebrei hanno un loro posto giuridico riconosciuto all’interno della società islamica e non sono, quindi, perseguitati ed eliminati in linea di principio. Naturalmente altri gruppi, come pagani, atei, non credenti e così via, ufficialmente, in una società islamica, non hanno il diritto di esistere. Qui c’è anche un aspetto diplomatico, nel senso che si cerca di proporre un certo ideale di convivenza pacifica tra musulmani e cristiani. E’ chiaro, quindi, che le parole dello Sheikh del al-Azhar e del Papa dei copti, Tawadros, hanno cercato di far vedere che ci sono delle convergenze.

D. – Quali frutti aspettarsi da esperienze come questa?

R. – In linea di principio, vanno bene. Ci sarà qualcosa di positivo, come si vede dai nomi delle grandi autorità islamiche a livello mondiale – erano infatti presenti i rappresentanti di tutti i continenti. Evidentemente la presa di posizione ufficiale, condannando questo tipo di islam, dovrebbe incoraggiare una moderazione, una tolleranza e una convivenza pacifica tra cristiani e musulmani e, in generale, tutti gli altri gruppi.   

D. – Da dove nascono queste derive dell’islam e perché hanno tanto successo?

R. – Qui è la vecchia questione, che si propone e ripropone. Se c’è questa violenza, si fonda sul messaggio stesso dell’islam oppure è un elemento che è entrato nell’islam lungo la storia, per circostanze storiche, per cui l’islam potrebbe anche rifiutarlo, come del resto il cristianesimo? Penso che un’autocritica storica sia inevitabile ad un certo punto. Come ha fatto Papa Giovanni Paolo II, durante il Giubileo, quando ha confessato le violenze fatte dai cristiani, occorrerebbe che anche da parte dell’islam ci fosse una presa di posizione del genere. Sul tema violenza, io ripeto sempre, nessuno è innocente nella storia e l’unica vera posizione è quella di un riconoscimento, di una confessione e di un rifiuto della violenza in modo esplicito.

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Coalizione anti-Is ferma avanzata jihadisti in Siria e Iraq

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L’avanzata del cosiddetto Stato islamico in Iraq e Siria è stata fermata. E’ quanto si legge nel comunicato diffuso al termine della riunione ministeriale dei 60 Paesi che fanno parte della coalizione anti-Is che si è svolta ieri a Bruxelles. “Le azioni militari - si legge - cominciano a dare risultati”: l’espansione del califfato è stata interrotta. Ma non significa che non ci siano ancora attacchi da contrastare, come quello di queste ore verso l'aeroporto militare di Dayr az Zor, nell'est della Siria. Il servizio di Fausta Speranza: 

Doveroso cercare di capire cosa stia succedendo nei due punti di crisi più nevralgici che da quest’estate seguiamo nelle cronache: in Siria, la città di Kobane, al confine con la Turchia e in Iraq, la provincia occidentale di al-Anbar. A Kobane dopo settimane di assedio e l’immagine della bandiera nera dell’Is che sventolava vittoriosa, la situazione – secondo il rapporto fatto a Bruxelles – si è ribaltata, grazie all’intervento delle forze peshmerga e i continui raid aerei della coalizione occidentale. Sul fronte Iraq, a ben guardare l’ottimismo è in prospettiva: le violenze dovrebbero diminuire. Al momento è storia di continui attentati anche ai sobborghi e al centro della capitale Baghdad. Significativo che il premier iracheno fa sapere che il suo governo si appresta a chiedere aiuto alla Nato seppure in termini di consulenza. Inoltre, tra tanto ottimismo, c'è un allarme da non trascurare: l'Is - emerge - sta potenziando le sue basi in Libia. Come dire: non mancano altri fronti. E non è di poco conto il fatto che il Presidente Usa Obama parli di 500 milioni di euro da stanziare per potenziare l’impegno, che tutti peraltro sottolineano non si possa non abbandonare. Da parte sua, il Segretario di Stato Usa, Kerry, raccomanda: per "distruggere" l'Is non bastano le armi, "va colpita l'ideologia, il loro messaggio di odio e' messo in discussione nelle moschee di tutto il mondo".  Sul fronte Siria, ci sono da riferire poi le indiscrezioni del Washington Post, secondo il quale i ribelli dell’Esercito Siriano Libero riceveranno addestramento dalle forze militari statunitensi dopo essere stati sottoposti a test psicologici.  

A sostegno della coalizione, contro l’Is, risulta impegnato anche l’Iran. Fausta Speranza ne ha parlato con Claudio Lo Jacono, direttore della rivista Oriente moderno: 

R. – Per quanto la cosa ancora non sia confermata, è ritenuta verosimile, probabile dal Pentagono. L’intervento dell’Iran si spiega in base proprio agli schieramenti politici o ideologici che contrappongono i sunniti estremisti dell’Is agli sciiti, non solo nell’Iraq settentrionale, dove ci sono delle minoranze sciite, ma addirittura poi nel Sud dell’Iraq, dove gli sciiti sono decisamente in maggioranza. L’Iran, da questo punto di vista, è il protettore degli sciiti e dello sciismo e, dunque, può intervenire anche in funzione della repressione di un movimento, che colpisce esattamente tutti quelli che non sono in linea con il pensiero dell’Is.  Dunque, anche musulmani, se non estremisti, dunque anche sunniti, oltre che sciiti, dunque anche cristiani, yazidi e tutti coloro che non sono graditi al cosiddetto califfo.

D. – In qualche modo, dunque, questa coalizione, che è nata contro il cosiddetto Stato islamico, sta ridisegnando delle alleanze nell’area o è solo tutto temporaneo, secondo lei?

R. – Questo dipenderà dal fatto se ci sarà un’alleanza o comunque un riavvicinamento sensibile tra Stati Uniti e Iran - perché gli altri, diciamo, non contano – a livello di colloqui sul nucleare, che per il momento sono ancora in una fase tutto sommato di stallo. Nel caso si risolvesse la questione, bisognerà correre anche, perché Obama ha poco tempo davanti a sé ed è presumibile che il nuovo Presidente sarà di tutt’altro avviso, rispetto ad un possibile riavvicinamento tra gli ayatollah e gli Stati Uniti. Se andranno bene quei colloqui, rapidamente allora ci potrebbe essere anche un’azione comune contro il nemico Is.

D. – C’è poi l’allarme su nuove posizioni dello Stato islamico in Libia…

R. – Lo Stato islamico sta diventando un poco come al Qaeda, cioè un’etichetta che può radunare parti ben diverse e lontane tra loro geograficamente. In Libia c’è una componente, da tempo, estremista, legata al fondamentalismo islamico.

D. – In ogni caso la battaglia non si può dare per vinta. C’è stato questo rapporto di Bruxelles sugli ottimi risultati che la coalizione sta avendo, però rimane il bisogno di stare in guardia…

R. – Ma certo, d’altra parte l’Is non è che si comporti sempre esattamente come un esercito regolare. E’ il nemico, in qualche modo, asimmetrico rispetto agli eserciti formali, come noi li conosciamo; ha dunque la possibilità di agire anche in modo terroristico con singole azioni. Sappiamo la paura che esiste della ‘testa matta’ isolata, che può compiere un attentato anche nel cuore dell’Occidente. Quello non è un esercito: è un movimento veramente  complesso, non numeroso ma che può attingere da quelle sacche di odio, che derivano da un’insipiente prolungata politica dell’Occidente nei confronti del vicino Medio Oriente, ma anche da tutta una serie di sconvolgimenti sociali e politici che il mondo arabo, più ancora che quello islamico, ha conosciuto negli ultimi anni.

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Putin, "Crimea sacra". Rublo: azioni contro speculatori

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Ucraina, rapporti con gli Usa e agevolazioni per i capitali che rientrano in Russia. Sono alcuni dei grandi temi toccati oggi a Mosca dal presidente russo Vladimir Putin, nel suo discorso di fine anno, davanti alle Camere riunite del Parlamento. Il servizio di Giada Aquilino

Nel suo undicesimo messaggio alla nazione, Vladimir Putin parla di Ucraina, secondo quella che è stata in questi mesi la linea del Cremlino. Mosca “rispetterà sempre il popolo fratello dell’Ucraina e la sua sovranità”, ma la Crimea ha un significato “civile e sacro” per la Russia. D’altra parte, secondo il Presidente, Kiev è solo un pretesto dell’Occidente per imporre sanzioni a Mosca. Ad ascoltarlo, col premier Dmitri Medvedev, il Patriarca di Mosca, Kirill, il leader ceceno Kadyrov - alle prese con scontri a Grozny tra forze antiterrorismo e gruppi filoceceni - anche i rappresentanti dell’annessa Crimea.

Poi il capitolo Stati Uniti: pur definendoli “amici”, Putin ha detto che “influenzano sempre le relazioni con i nostri vicini”. La Russia, ha inoltre assicurato, “non intende essere coinvolta in una corsa al riarmo”, ma continuare a lavorare alla creazione dello scudo anti-missile statunitense anche in Europa rappresenta “una minaccia” per Mosca e per il mondo intero.

Quindi, l’economia: in un momento di forte crisi con la svalutazione del rublo, il capo del Cremlino ha esortato la Banca Centrale russa ad agire contro “gli speculatori che giocano sulle fluttuazioni” della moneta. Infine ha proposto una “amnistia totale” per i capitali che rientrano in Russia dall'estero e più libertà per il business.

Sul discorso del presidente russo ascoltiamo, da Mosca, Fabrizio Dragosei del Corriere della Sera: 

R. – I toni, direi, sono non solo quelli di questi ultimi mesi, da quando Putin ha deciso di imboccare la via del confronto molto duro con l’Occidente: sembrano un po’ i toni dell’epoca sovietica. Lui ha parlato di una continuità tra la Russia e l’Unione Sovietica, dicendo che la politica del ‘containment’, del contenimento, che era quella attuata dagli americani dopo la II Guerra Mondiale nei confronti dell’Unione Sovietica - ma, ricordiamo, perché quello era un regime repressivo e criminale - continua ancora oggi con la Russia. Le affermazioni sulla Crimea, sull’Ucraina hanno deluso molto anche i mercati, tant’è vero che subito dopo la fine del discorso il rublo, ha ripreso a scendere nuovamente.

D. – A proposito del rublo, ha detto: conseguenze per chi specula col rublo, amnistia per i capitali che rientrano in Russia e maggiori libertà per il business. Che minacce ci sono oggi per l’economia e le finanze russe?

R. – Putin apre a chi ha portato i soldi all’estero, ma non è che li ha portati così, per dispetto nei confronti della Russia: li ha portati perché non si fida di quello che succede in Russia, perché le leggi non sono sicure, la magistratura non è indipendente… Il Presidente propone un'amnistia per chi riporta i soldi, ma nello stesso tempo dice che la Banca Centrale e gli organismi di vigilanza devono punire chi specula contro il rublo. Queste appaiono come posizioni inefficaci nel mondo degli scambi commerciali liberi: chi specula contro il rublo è anzitutto chi fa affari con la finanza, ma è anche il povero pensionato che - ricevendo il suo stipendio in rubli - sa benissimo che il rublo perderà valore dopodomani e quindi immediatamente corre al primo cambio valute e cambia i suoi rubli in dollari o in euro. Il collasso del rublo è dovuto a ben altro: è dovuto alla situazione economica, che sappiamo come va.

D. – Sugli Stati Uniti, che pure ha definito “amici”, Putin ha detto che influenzano sempre, direttamente o indirettamente, i rapporti della Russia con i propri vicini. Poi, a proposito del progetto di scudo antimissile in Europa, ha detto: è “una minaccia”. A cosa si è riferito di fatto?

R. – Questo scudo, che era stato inventato da Bush e poi proseguito anche sotto la presidenza Obama, prevede l’installazione di missili in Polonia e di centrali radar in Repubblica Ceca, ufficialmente per proteggere l’Europa e gli Stati Uniti dal lancio di missili provenienti da Paesi cosiddetti “canaglia”: nel caso specifico non è nominato, ma chiaramente si parla di Iran. Ovviamente questi missili a ridosso, molto vicini alla Russia spostano l’equilibrio tra Occidente e Russia stessa. Qualche anno fa la cosa sarebbe sembrata irrilevante, visto che la Russia era considerata un partner dell’Occidente. Oggi, che le cose sono tornate nuovamente a livello di confronto piuttosto duro, chiaramente questa preoccupazione di Mosca va sicuramente presa in esame e va discusso con essa questo equilibrio.

D. – Ad ascoltare Putin, anche il leader ceceno Kadyrov, alle prese con scontri a Grozny tra forze antiterrorismo e filo ceceni. Putin gli ha rinnovato il sostegno. Di che violenze si tratta?

R. – Ci sono stati scontri molto, molto violenti e quindi la pace che Kadyrov aveva assicurato a Putin non è più così garantita. Io ho l’impressione che per la Russia e per Putin si stiano ripresentando gli incubi degli anni Novanta: situazione economica drammatica, calo del rublo e adesso sembra che ci sia il rischio che si riapra il fronte ceceno. Ancora non è chiaro di cosa si sia trattato, anche perché sappiamo che nel Caucaso esistono ancora bande di estremisti islamici che operano molto e che operano soprattutto in Daghestan e in Inguscezia, le Repubbliche islamiche vicine alla Cecenia. La Cecenia, sotto il pugno di ferro di Kadyrov, al quale Putin – ricordiamolo – ha offerto finanziamenti colossali, sembrava oramai pacificata e tranquilla. Questo risorgere della violenza e su questa scala così drammatica è veramente molto preoccupante.

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Convegno a Roma Tre su "Religioni e conflitti"

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“Religioni e conflitti: conoscere la divisione per progettare l’incontro in un mondo in guerra nel nome di Dio”, è il tema del Convegno nazionale  in corso fino a domani presso l’Università ‘Roma Tre’, organizzato, tra gli altri, dall’Accademia di Scienze Umane e Sociali di Roma. La riflessione è dedicata alle possibili soluzioni dei conflitti religiosi che insanguinano il pianeta e al contributo che le diverse religioni possono offrire al dialogo e alla pace. Vi partecipano docenti universitari ed esperti di teologia, scienze politiche, relazioni internazionali, filosofia della religione e antropologia filosofica, oltre alle testimonianze di esponenti di associazioni e movimenti espressione delle diverse fedi ma accomunati dall’impegno per la promozione del dialogo interreligioso. Luca Collodi ne ha parlato con il filosofo Gaspare Mura, presidente dell’Accademia di Scienze Umane e Sociali di Roma: 

R. – Vorrei subito precisare che questo convegno nasce dalla sofferenza di molte persone di cultura, credenti, sia cattoliche sia ebree e islamiche, le quali soffrono interiormente il fatto che non si possa dire con chiarezza che uccidere in nome di Dio è la più grande bestemmia. Cioè, le religioni non hanno niente a che vedere con la violenza, con il terrorismo.

D. – Di fatto, nel mondo, il fondamentalismo oggi è una realtà …

R. – E’ una delle tare, e si riflette – appunto – su come il fondamentalismo, anche cristiano, debba essere adesso rivisto: non soltanto il fondamentalismo islamico. Perché il fondamentalismo fa parte di un atteggiamento deviato dell’interpretazione della propria fede religiosa; in particolare, se c’è una religione non fondamentalista, quella dovrebbe essere proprio il cristianesimo. Il messaggio di Gesù – come ha detto più volte Papa Francesco – è il messaggio che va incontro all’altro perché parte dalla convinzione che l’altro sia in un certo senso me stesso.

D. – Come si può tutelare una identità, dei valori che compongono una religione?

R. – Il riconoscimento dell’altro non significa annacquare i miei valori, ma riconoscere i valori dell’altro mantenendo la propria identità. Un dialogo che non parta dall’etica del riconoscimento, è un dialogo che non ha senso. Può scadere o in un dialogo relativista, per cui si mettono da parte i valori per avere un incontro puramente relazionale, di tipo antropologico, oppure si rischia lo scontro perché si affermano in modo violento i valori. Ecco: la grande parola che in fondo dovrebbe accomunare le esperienze religiose è questa ricerca della Verità: quello che dice la Dignitatis Humanae del Concilio Vaticano II. E’ proprio perché la Chiesa riconosce che il bisogno di Verità – e di Verità religiosa – appartiene a tutti gli uomini, riconosce il diritto di tutti a camminare nella propria strada, verso la Verità. Ma la Verità è una.

D. – Il fondamentalismo è sempre riferito, poi, alla gestione politica di una realtà. La laicità, in questo caso, può recuperare valori positivi per sconfiggere il fondamentalismo religioso?

R. – Certamente. E abbiamo sempre sottolineato il fatto, molto approfondito da Papa Benedetto XVI, che anche per noi è necessario, per evitare il fondamentalismo, sia che la ragione moderna, laicista, secolarista, atea, non credente, prenda consapevolezza delle proprie patologie; ma che anche le religioni prendano consapevolezza delle proprie patologie. Cioè, il dialogo, oggi, oltre che sull’etica del riconoscimento, dev’essere fatto – come ha detto Ratzinger in quel bellissimo colloquio con Habermas, il grande filosofo tedesco – riconoscendo anche le patologie della religione. Tra queste c’è il fondamentalismo. Per questo, una delle vie è fare incontrare persone di fedi diverse, che siano credenti educandole, allo stesso tempo, al rispetto. Il fondamentalismo è legato anche al fatto che l’eccessivo squilibrio tra ricchi e poveri, prodotto dalla globalizzazione, produca – questa è la tesi di Papa Francesco, che ha espresso adesso in Turchia – la ribellione dei popoli che si appoggiano alla religione per riaffermare la propria […]. Moltissimi valori laici, portati oggi dalla globalizzazione, sarebbero preziosi se fossero assorbiti anche dal mondo islamico: la giustizia, il diritto della persona umana, i diritti della donna, la libertà religiosa – ecco la Dignitatis Humanae – la libertà della ricerca … Ci sono tanti valori che la globalizzazione diffonde e dissemina nel mondo, che sono preziosi.

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Mafia a Roma, attenzione sull'emergenza immigrazione

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Incontro oggi tra il sindaco di Roma, Ignazio Marino, e il presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone. Una riunione sugli eventuali "appalti dubbi o opachi", dopo l'inchiesta “Mafia Capitale”. Il prefetto Pecoraro ha detto che sta " leggendo le 1.200 pagine dell'ordinanza in modo da valutare" la possibilità di sciogliere il Comune di Roma. Il servizio di Alessandro Guarasci: 

Il commissario anticorruzione Raffale Cantone parla di una metastasi che ha scavato a fondo nel corpo vivo della città di Roma. Al centro del malaffare la gestione degli immigrati, dei richiedenti asilo, dei rom, gestione affidata a cooperative, che avrebbero fatturato, secondo le intercettazioni, almeno 40 milioni di euro. In questo settore però mele marce sono poche, dice Giuseppe Guerini, portavoce dell’Alleanza Cooperative Sociali:

“Quando una cooperativa o un’impresa moltiplica i fatturati in maniera così rapida, quando supera certe dimensioni, bisogna cominciare a guardarla con un certo sospetto. Come fa, infatti, una cooperativa sociale, che dovrebbe rispondere ai bisogni della comunità, ad essere socialmente controllata, quando ha dimensioni mastodontiche?”

La gestione dell’emergenza immigrazione è stata più volte al centro di polemiche. L’assessore alle Politiche Sociali del Comune di Roma, Rita Cutini, nelle intercettazioni a carico da Salvatore Buzzi, braccio destro di Massimo Carminati al vertice dell’organizzazione criminale, era stata definita "innavvicinabile". Bisogna uscire dall’emergenza dice Cutini:

“Non è  stato il tema dell’immigrazione, è stato un approccio emergenziale a questo tema, che ha creato questi spazi. Bisogna passare da un approccio emergenziale ad un approccio ordinario, ad un approccio di sistema rispetto a questi temi. L’ho pensato spesso e l’ho portato avanti su un piano di regolarità amministrativa, di buona amministrazione. Questo percorso di buona amministrazione chiude anche, però, le porte, gli spazi, le possibilità per chi invece ha degli intenti criminosi”.

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L'Anno liturgico con le parole del Papa in un libro della Lev

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Spiegare l’anno liturgico attraverso le parole delle omelie del Papa. E’ quanto si propone il libro “Papa Francesco: una guida al tempo di Dio”, scritto dalla giornalista americana Cindy Wooden con le foto di Paul Haring. Il volume, edito dalla Libreria Editrice Vaticana con la collaborazione del Catholic News Service, è stato presentato ieri a Roma. Il servizio di Michele Raviart: 

“La liturgia è tempo di Dio e spazio di Dio”. Le parole di Francesco a  Casa Santa Marta spiegano la centralità che il Pontefice dà alla Messa e alla predicazione. Ogni giorno il Papa medita sulle Letture del giorno, scandendo con le sue riflessioni l’anno liturgico del cristiano. Parole profonde e semplici, che, come si legge nella Evangelii Gaudium servono a misurare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo. Nel volume sono state scelti i passi più significativi tratti dalle omelie, dai messaggi e dai discorsi del Papa, attraverso tutto l’anno liturgico, a partire dall’Avvento. Un lavoro di selezione portato avanti dalla giornalista Cindy Wooden, che da oltre 25 anni segue l’attività papale per Catholic News Service:

R. – Ho cercato la spiegazione delle metafore, frasi più vere, più umili, più immediate, sia una spiegazione della memoria o della festa che stava celebrando. Penso che per me e per tante persone nel mondo, sia cattolici sia non cattolici, quando il Papa parla della misericordia, tutti vogliamo sapere che ci sarà misericordia anche per noi.

In generale c’è un grande desiderio di capire Papa Francesco e di entrare in contatto con il cuore di quest’uomo, dice mons. Paul Tighe, segretario del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali:

R. – Qui troviamo anche delle foto, e ci sono delle foto dalle quali risulta chiaramente l’“incontro” tra Papa Francesco e la gente. Ma poi ci sono altre foto che ci aiutano a vedere e ad apprezzare il suo “incontro” con Cristo. C’è una foto in particolare, dove lui guarda verso il Cristo sulla Croce, e si riconosce [dal suo sguardo, dalla sua espressione] la vitalità del rapporto che c’è …

Una dimensione spirituale che si accompagna e prevale su quella prettamente mediatica, come spiega anche l’autore delle foto, Paul Haring, a Roma dal 2009:

R. – Well, this may be hard for the world to understand: …

Può essere difficile per la gente comprendere questo, perché è più frequente vedere il lato coinvolgente di Papa Francesco, quando incontra la gente in piazza … Ci sono tante foto di lui sorridente … Ma c’è anche un suo aspetto serio, perfino solenne, soprattutto durante le liturgie, e questo è quello che si vuole esprimere in questo libro che si chiama “Papa Francesco, una guida al tempo di Dio”, nel quale vediamo Francesco in atteggiamento di profonda reverenza di fronte al Signore. E questo, magari, è un aspetto che non incontriamo spesso nelle foto di Papa Francesco …

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Nella Chiesa e nel mondo



Padre Pizzaballa: pace lontana in Medio Oriente

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«Senza dubbio siamo lontani dalla pace e non vedo alcuna possibilità di cambiamenti in un prossimo futuro. Vi è troppa frustrazione e mancanza di fiducia». Così padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, commenta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre l’attuale stato delle relazioni tra Israele e Palestina.

Secondo il francescano occorrerà molto tempo per dimenticare anni di odio. «Dobbiamo cominciare nelle scuole e poi all’interno della società. I palestinesi hanno bisogno di qualcosa in più delle promesse, mentre gli israeliani devono sentire di avere un interlocutore».

Il clima a Gerusalemme è sempre più teso. Con il protrarsi degli scontri nella Spianata delle Moschee e la recente strage nella sinagoga di Har Nof, il Custode di Terra Santa teme che la religione possa incidere maggiormente sul conflitto israelo-palestinese. «La componente religiosa ha sempre avuto un ruolo importante – spiega – oggi però rischia di divenire il fattore predominante. Le rispettive autorità cercano di calmare le acque, ma ho paura che sia troppo tardi».

In un quadro tanto delicato non è difficile immaginare le ripercussioni sull’ormai decimata comunità cristiana. Se un tempo i cristiani potevano ambire ad un ruolo di mediatori, il loro numero è troppo esiguo per nutrire alcuna speranza di influenzare le parti in lotta. «Ormai siamo irrilevanti – afferma padre Pizzaballa – Siamo troppo pochi e per di più divisi al nostro interno. Non riusciamo a trovare un accordo neanche su chi debba pulire che cosa all’interno della Chiesa del Santo Sepolcro».

Intanto i fedeli continuano ad abbandonare la Terra Santa, anche a causa dell’impatto negativo che le tensioni stanno avendo sul turismo, uno dei pochi settori che offre loro possibilità di impiego. «Negli ultimi due o tre mesi, ben diciannove famiglie cristiane hanno lasciato Betlemme per l’Europa o l’America».

A favorire l’emigrazione è anche la tragedia che si sta consumando nel vicino Iraq per mano dello Stato Islamico. «Alla luce delle violenze subìte dai fratelli nella fede iracheni, nei cristiani di Terra Santa si rafforza la convinzione che in Medio Oriente non vi sia più posto per loro».

Padre Pizzaballa ritiene che il 2014 rappresenti uno spartiacque per la storia della cristianità mediorientale, specie a causa delle violenze commesse da Isis in Iraq e dell’esodo di centinaia di migliaia di fedeli ad abbandonare la Siria. «Quest’anno è stato per il Medio Oriente, ciò che la prima guerra mondiale è stata per l’Europa. Nulla sarà più come prima. In Siria, ad esempio, dovremo ricostruire la comunità cristiana ed anche i rapporti con la maggioranza musulmana. Si tratta di sfide enormi da affrontare». (M.P.)

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Vescovi Irlanda: unico amore coniugale è tra uomo e donna

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La definizione del matrimonio “quale unica e complementare relazione tra un uomo e una donna, la sola attraverso la quale è possibile la procreazione e l’educazione della prole” è “profondamente radicata in tutte le culture” e limitarla a questa realtà “non significa escludere o penalizzare nessuno”. E’ quanto ribadiscono i vescovi irlandesi nel documento pastorale “Il significato del matrimonio” presentato ieri a Maynooth. La Chiesa irlandese interviene così sulla proposta di referendum presentata dal governo di Dublino sulla legalizzazione dei matrimoni omosessuali nel Paese. La consultazione è prevista nei prossimi mesi. 

“Ridefinire la natura del matrimonio significa distruggere la struttura portante della società”, sottolinea il documento, distribuito nelle oltre 1.300 parrocchie irlandesi e che in 16 pagine illustra le ragioni della Chiesa in difesa del matrimonio tradizionale  quale unione di vita e di amore tra un uomo e una donna aperta alla vita. Ragioni che – puntualizzano i vescovi - nulla hanno a che vedere con un atteggiamento discriminatorio della Chiesa verso le persone omosessuali.

Quello che è in gioco con la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso non è, infatti, “l’uguaglianza o la distinzione tra una visione religiosa e una visione civile del matrimonio”, ma la “sua stessa natura e l’importanza che la società attribuisce al ruolo delle madri e dei padri nell’educazione dei figli. Insieme ad altri, la Chiesa cattolica – afferma il documento - continuerà a sostenere che le differenze tra un uomo e una donna non sono caratteri accessori dell’istituto matrimoniale, ma fondamentali;  che i bambini hanno diritto ad avere un padre e una madre e che questo è per loro l’ambiente migliore in cui crescere ”. 

La complementarietà uomo-donna è dunque un elemento “intrinseco” del matrimonio, che – sottolineano i vescovi irlandesi “non è un’istituzione meramente privata”, ma il “mattone su cui è costruita la società”. In questo senso, equiparare legalmente il matrimonio alle unioni tra persone dello stesso sesso, che hanno una natura completamente diversa da esso, sarebbe un’ingiustizia perché oscurerebbe il suo “insostituibile ruolo sociale”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Myanmar: controversa legge su conversioni, matrimoni e famiglia

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Il Presidente Thein Sein ha approvato un controverso disegno di legge che impone restrizioni ai matrimoni interreligiosi, conversioni religiose e pianificazione familiare. I parlamentari - riferisce l'agenzia Misna - discuteranno la nuova normativa, sostenuta da una organizzazione buddista chiamata “ Associazione per la protezione della razza e della religione”, nella prossima sessione parlamentare, secondo le fonti dei media locali.

La legge, richiederebbe ai cittadini birmani che vogliono cambiare la loro religione di ottenere prima vari permessi burocratici, anche se le sanzioni per i trasgressori non sono indicate. La nuova normativa stabilisce inoltre che i matrimoni tra donne buddiste e uomini di altre fedi devono essere approvati dalle autorità locali . Le coppie che violano la legge potrebbero essere condannate a due anni di reclusione.

Dopo l’approvazione della proposta di legge da parte del Presidente si sono rinnovate le critiche già espresse dalle minoranze cristiane, musulmane e da molte organizzazioni e personalità dei diritti e della società civile che hanno definito la proposta un attacco all’armonia religiosa e alle donne in particolare. ” Questo disegno di legge è stato proposto perché il governo vuole discriminare una particolare nazionalità e religione ” ha detto ai giornalisti Khun Jar, della Rete Pace Kachin, un’organizzazione umanitaria con sede a Yangon, che assiste i civili sfollati dal conflitto nel nord del Myanmar.

“Questa legge è quella che il governo dovrebbe respingere se vuole che persone di diverse etnie e religioni vivano in pace in questo Paese. E ‘una vergogna per tutti i cittadini del Myanmar che questo tipo di proposta venga discussa in parlamento” ha affermato Ko Ni, consulente legale del partito di opposizione Lega nazionale per la democrazia (Nld).

“Questo tipo di legge dovrebbe essere per l’intero Paese, invece penalizza alcune regioni. Questa politica è stata progettata per le famiglie musulmane Rohingya che vivono nello stato Rakhine a cui è vietato di avere più di due figli “ ha specificato Ko Ni.

Nel mese scorso, la relazione della Commissione Usa sulla libertà religiosa internazionale ha condannato la proposta di legge, sostenendo che, se attuata, sarebbe una grave discriminazione contro i non-buddisti, i musulmani in particolare, in riferimento a conversioni religiose, matrimoni e nascite. (P.L.)

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Vescovi maroniti: trasformano il Libano in una oligarchia

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I giochi di potere e la miope attitudine delle forze politiche libanesi a perseguire solo i propri interessi partigiani stanno trasformando il Paese “in una oligarchia a spese della Costituzione, del popolo e delle istituzioni”. Così i vescovi maroniti sono tornati a stigmatizzare la sconsideratezza della classe dirigente libanese, che paralizza da mesi la vita politica e istituzionale del Paese dei Cedri. Lo hanno fatto in occasione della loro Assemblea mensile, tenutasi ieri presso la sede patriarcale di Bkerkè, sotto la presidenza del patriarca Bechara Boutros Rai.

Nella dichiarazione rilasciata al termine della riunione, i vescovi - riferisce l'agenzia Fides - hanno denunciato come incostituzionale la decisione unilaterale del Parlamento di prorogare di 31 mesi il proprio mandato, nello stesso momento in cui i veti incrociati tra i blocchi politici concorrenti stanno provocando un pericoloso vuoto di potere nella carica di Presidente della Repubblica, divenuta vacante dallo scorso 25 maggio.

I vescovi maroniti hanno ribadito l'urgenza di eleggere un Presidente senza ulteriori indugi, senza farsi condizionare dalle pressioni delle potenze geo-politiche globali e regionali, e senza usare come pretesto la necessità di trovare un consenso unanime tra i vari partiti e gruppi politici cristiani. Per statuto costituzionale, la Presidenza della Repubblica libanese è riservata a un cristiano maronita.

I presuli maroniti hanno anche reso omaggio al ruolo svolto dall'esercito nazionale e dalle forze di sicurezza nella loro lotta contro il terrorismo, e hanno deplorato la morte dei 6 soldati libanesi che martedì scorso sono stati uccisi dell'agguato compiuto da miliziani jihadisti a Ras Baalbeck, al confine con la Siria.

Venerdì scorso, 28 novembre, il Consiglio costituzionale libanese aveva respinto il ricorso presentato dai deputati del Movimento Patriottico Libero (la formazione politica maronita guidata dall'ex generale Michel Aoun) che chiedevano di invalidare le disposizioni con cui il Parlamento libanese ha prorogato il proprio mandato – che scadeva lo scorso 20 novembre – fino al 20 giugno 2017. (G.V.)

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Card. Tagle ai politici: non strumentalizzare visita papale

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La visita di Papa Francesco nelle Filippine non sia strumentalizzata a fini politici. E’ il monito del card. Luis Antonio Tagle, che martedì ha esortato i leader politici del Paese a rispettare il vero scopo del viaggio, previsto dal 15 al 19 gennaio prossimi.

“Accogliamo il Papa come pastore della Chiesa: dobbiamo rispettare il carattere di questa visita”, ha dichiarato l’arcivescovo di Manila. “Anche il Papa ha detto che il centro del viaggio non sarà lui, ma Gesù”.

L’appello del card. Tagle giunge mentre in Sri Lanka, prima tappa del viaggio asiatico del Pontefice dal 13 al 15 gennaio, sono in corso polemiche contro il Presidente Mahinda Rjapaksa, accusato dalle opposizioni di usare l’evento a scopi elettoralistici, in vista delle elezioni anticipate fissate proprio a gennaio.

Nel suo appello il porporato ha anche chiesto alle autorità filippine di contenere i costi del viaggio papale, non solo perché è quanto auspica Papa Francesco, ma anche perché lo richiede questo periodo di grave difficoltà economica per il Paese, colpito poco più di un anno fa da un terremoto e soprattutto dal tifone Hayan. Più di 20 sopravvissuti alle due catastrofi naturali parteciperanno ad un pranzo con il Santo Padre il 17 gennaio a Palo, nell’isola di Leyte, la provincia più colpita dal tifone. (L.Z.)

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Colombia: processo di pace riprende il 10 dicembre

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Il governo e la guerriglia delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) si sono accordati per riprendere i colloqui di pace a partire dal 10 dicembre e fino al 17: lo hanno annunciato da Cuba, sede delle trattative, esponenti delle autorità locali e del governo norvegese in qualità di garanti del processo di pace, dando lettura di un comunicato congiunto.

Le parti - riferisce l'agenzia Misna - hanno ritenuto archiviata la crisi scaturita dal rapimento, il 16 novembre, del generale Rubén Darío Alzate da parte di un fronte delle Farc attivo nel nord-est, sebbene la vicenda presenti ancora molti aspetti oscuri. L’esecutivo aveva posto come condizione imprescindibile il suo rilascio insieme a quello di altre due persone, un avvocato e un ufficiale, sequestrate nelle stesse circostanze; la liberazione è avvenuta domenica scorsa.

Le parti hanno deciso di stabilire un meccanismo con la partecipazione dei paesi garanti per la risoluzione di altre eventuali crisi che possano scoppiare in futuro.

Le parti hanno anche annunciato che il 15 dicembre riceveranno la prima delegazione delle organizzazioni che parteciperanno al dibattito sulla questione di genere nell’ambito dell’agenda delle trattative che al momento mette al centro dei colloqui le vittime del conflitto.

Dopo la pausa per le festività di fine anno, i colloqui dovrebbero riprendere a pieno regime nella seconda metà del prossimo gennaio. (F.B.)

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Chiesa della Colombia: campagna per lotta all'Aids

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“Anche io sono parte della soluzione!”: con questo slogan, la Conferenza episcopale della Colombia ha lanciato, in questi giorni, una campagna di sensibilizzazione sul problema dell’Aids.

In particolare, l’iniziativa è stata proposta dal segretariato nazionale di Pastorale sociale, con l’obiettivo di promuovere, in senso etico, la prevenzione dal virus Hiv. “Questa campagna – si legge sul sito della Chiesa colombiana – mira a motivare la formazione degli agenti pastorali che accompagnano le persone sieropositive”. Allo stesso tempo, l’iniziativa vuole “dare visibilità all’impegno e all’accompagnamento portato avanti dalla Chiesa” nei confronti delle vittime del virus Hiv.

“Sin dal 1981, anno in cui l’Aids è divenuta di dominio pubblico – si legge ancora sul sito – la Chiesa cattolica ha dato e continua a dare risposte, guardando con attenzione a questa complessa realtà estremamente legata a povertà, disuguaglianza sociale, violazione dei diritti umani e della dignità umana”. Anzi: i presuli di Bogotà ricordano che “non poche volte la Chiesa ha levato la sua voce per denunciare questo fenomeno crescente e per lanciare un richiamo alla coscienza individuale e collettiva, in modo da affrontare la patologia in maniera etica e responsabile, soprattutto a partire dalla verità”.

Di qui, il richiamo che i vescovi fanno al Documento di Aparecida, in cui si sottolinea la necessità di “promuovere una pastorale per i malati di Aids, puntando sull’accompagnamento comprensivo e misericordioso, sulla difesa dei diritti dei malati, sulla promozione dell’informazione, dell’educazione e della prevenzione basata su criteri etici”.

Infine, la Conferenza episcopale colombiana ribadisce il proprio impegno nel “rafforzare la dignità delle persone affette dal virus Hiv”, che vanno “riconosciute, rispettate ed accompagnate”, poiché “una società giusta può essere realizzata soltanto nel rispetto della dignità trascendente della persona umana”. (I.P.)

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Centrafrica: Messa per la pace con 4.000 rifugiati

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Un anno fa, il 5 dicembre 2013, in seguito agli scontri scoppiati nei quartieri di Bangui, migliaia di profughi hanno trovato rifugio nel nostro convento. Molti di loro – circa 4.000 – si trovano ancora qui. Attualmente la situazione è un po’ più tranquilla, anche se sempre molto precaria.

Per questa ragione domani celebreremo alle 15.30 una S. Messa con tutti i nostri profughi” scrive all’agenzia Fides padre Federico Trinchero, missionario carmelitano scalzo che opera nel convento Notre Dame du Mont Carmel di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, dove da un anno sono accolti migliaia di sfollati in fuga dalla violenze e dai combattimenti tra gli ex ribelli Seleka e le milizie Antibalaka.

La creazione di un governo di unità nazionale e l’arrivo di forze di pace internazionali ha permesso di migliorare la situazione, ma la pace rimane ancora precaria. Per questo, scrive padre Federico, “in questa Messa vogliamo implorare da Dio il dono di una pace duratura e di una vera riconciliazione per tutta la Repubblica Centrafricana. Chiederemo a Dio il dono della conversione del cuore e della testa".

"Ricorderemo le migliaia di persone che sono morte in questi ormai due anni di guerra. Pregheremo per le vittime innocenti, per i cristiani e i musulmani, gli Antibalaka e i Seleka. Pregheremo per quanti tra i nostri profughi abbiamo conosciuto e amato e sono morti: anziani, ragazzi, bambini”.

“Pregheremo - prosegue il missionario - per i caduti dell’esercito francese, degli altri eserciti africani e quelli di altre parti del mondo, dei vari organismi umanitari che stanno contribuendo con il loro lavoro e il sacrificio della loro vita al ritorno della pace in Centrafrica. Pregheremo per quanti governano e governeranno questo Paese”.

“Pregheremo per tutte le persone che ci hanno aiutato e ci stanno aiutando con la loro preghiera, la loro amicizia e la loro generosità. E renderemo grazie a Dio per tutti i bambini che sono nati qui al Carmelo e per averci protetto da ogni pericolo” conclude padre Federico. (R.P.)

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Indonesia: messaggio natalizio di leader cattolici e protestanti

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La famiglia è luogo della presenza di Dio e riveste un ruolo importante nella storia della salvezza: è quanto affermano i vescovi cattolici e protestanti dell’Indonesia, che hanno pubblicato un messaggio congiunto in vista del Natale. Nel testo, pervenuto all’agenzia Fides, si ricorda che “il Figlio di Dio che divenne uomo è l'Emmanuele, il Dio con noi”.

Il messaggio, titolato “Incontrarsi con Dio in famiglia”, è firmato da mons. Ignatius Suharyo, arcivescovo di Jakarta, e mons. Johannes Pujasumarta, arcivescovo di Semarang, rispettivamente presidente e segretario generale della Conferenza episcopale cattolica dell'Indonesia; inoltre è siglato da Andreas Yewangoe e Gomar Gultom, presidente e segretario generale della Comunione delle Chiese in Indonesia, che include le comunità protestanti

I leader cristiani osservano il rapido cambiamento della vita familiare: “Ritroviamo molti problemi familiari da risolvere come la povertà, la salute, una casa adeguata, l’educazione dei ragazzi, la violenza domestica, la dipendenza da droghe e alcolici”. Fra le altre sfide che minano le famiglie ci sono “aborto, prostituzione e traffico di esseri umani, che causano conflitti”. La famiglia si trova immersa in una cultura sempre più individualista, nota il testo.

In tali circostanze, urge rinverdire “valori che esprimono il rapporto di amore, lealtà e responsabilità”. Proprio quando “la presenza di Dio è difficile da avvertire”, i momenti di preghiera e riflessione sulla Parola di Dio diventano essenziali”, esortano i vescovi. I leader cristiani sollecitano la comunità cattolica e protestante a presentare e a rendere le famiglie “un luogo adeguato per la nascita del Salvatore”: la famiglia è il luogo dove il Signore si fa presente, ricordano. Così “la famiglia diventa grazia e benedizione per tutti e lieta notizia per il mondo” conclude il testo. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 338

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