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Sommario del 05/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: teologi, il cuore è la prima intelligenza. Spazio alle donne

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L’ascolto della Parola di Dio prima dello studio deve essere una delle principali attitudini di un teologo. Lo ha affermato Papa Francesco ricevendo i membri della Commissione Teologica Internazionale, all’inizio di un nuovo quinquennio di lavori. Il Papa ha invitato a dare attenzione agli apporti delle donne in questo ambito e ha sollecitato tutti a preservare l’unità nel pluralismo dei punti di vista. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

A poco serviranno gli studi di un teologo, se la sua mente non è collegata al suo cuore e il suo cuore in ascolto costante di Dio. Questo è ciò che importa nello sviluppo della teologia, assieme al rispetto dei diversi punti di vista, e l’incontro con i membri della Commissione teologica internazionale stimola in Papa Francesco una nuova riflessione su un argomento spesso affrontato.

La missione della Commissione è quella, recita lo statuto, di “studiare i problemi dottrinali di grande importanza” così da aiutare il “Magistero della Chiesa”. Per questo, osserva il Papa, servono indubbie “competenze intellettuali”, ma anche, sottolinea, “disposizioni spirituali”. E la prima, afferma, si chiama “ascolto”:

“Il teologo è innanzitutto un credente che ascolta la Parola del Dio vivente e l’accoglie nel cuore e nella mente. Ma il teologo deve mettersi anche umilmente in ascolto di ‘ciò che lo Spirito dice alle Chiese’, attraverso le diverse manifestazioni della fede vissuta del popolo di Dio. Lo ha ricordato il recente documento della Commissione su ‘Il sensus fidei nella vita della Chiesa’. È bello, mi è piaciuto tanto quel documento, complimenti! Infatti, insieme a tutto il popolo cristiano, il teologo apre gli occhi e gli orecchi ai ‘segni dei tempi’”.

E un segno dei tempi che cambiano anche a livello accademico è dato dalla crescente presenza di donne specializzate in studi teologici. Papa Francesco le definisce con simpatia e intenzione “fragole” di una “torta” sulla quale devono però esservene “di più”. Le loro peculiari doti di “sensibilità” e “intuizione”, osserva ancora, rendono “indispensabile” il loro apporto intellettuale:

“In virtù del loro genio femminile, le teologhe possono rilevare, per il beneficio di tutti, certi aspetti inesplorati dell’insondabile mistero di Cristo ‘nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza’. Vi invito dunque a trarre il migliore profitto da questo apporto specifico delle donne all’intelligenza della fede”.

L’ultima indicazione di Papa Francesco alla Commissione Teologica – giunta al 45.mo anno di attività, nata dopo il Concilio – è quella di conservare l’“unità” pur nella naturale differenza delle culture:

“A partire da questo fondamento e in un sano pluralismo, vari approcci teologici, sviluppatisi in contesti culturali differenti e con diversi metodi utilizzati, non possono ignorarsi a vicenda, ma nel dialogo teologico dovrebbero arricchirsi e correggersi reciprocamente. Il lavoro della vostra Commissione può essere una testimonianza di tale crescita., e anche una testimonianza dello Spirito Santo, perché è Lui a seminare queste varietà carismatiche nella Chiesa, diversi punti di vista, e sarà Lui a fare l’unità. Lui è il protagonista, sempre”.

Papa Francesco si congeda indicando un modello, Maria. È lei, afferma, la “maestra dell’autentica teologia”, Donna “dell’ascolto, donna della contemplazione, donna della vicinanza ai problemi della Chiesa e della gente”.

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Papa: rilancio economico da attuazione diritti famiglia

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Il rilancio economico della società inizia dalla famiglia, occorre sostenerla con coraggiose strategie: è quanto scrive Papa Francesco in un Messaggio inviato al Festival della famiglia, che si tiene oggi a Riva del Garda, in provincia di Trento sul tema “L’ecosistema vita e lavoro. Occupazione femminile e natalità, benessere e crescita economica”. Il servizio di Sergio Centofanti

La famiglia ha una “posizione insostituibile e fondamentale” sia “nella società civile sia nella comunità ecclesiale” – scrive il Papa – ma oggi non basta più ribadire quanto sia importante: è necessaria “una straordinaria e coraggiosa strategia” in suo favore,  per “iniziare anche un rilancio economico per il Paese”, visto “il “preoccupante andamento demografico”.

Per il Papa è tempo di attuare nel concreto i diritti della famiglia, perché è il futuro stesso della società che dipende dall’istituto familiare, che “ha bisogno di sostegni e garanzie”. 

“Proprio per l’impegno e la responsabilità che richiedono la messa al mondo e l’educazione dei figli, le famiglie necessitano di un aiuto appropriato da parte delle agenzie pubbliche e delle aziende”. Occorre “una sinergia tra pubblico e privato, tra imprese e famiglie”.

“Va riconsiderato e risolto anche il dramma della disoccupazione soprattutto giovanile”. Il Papa pensa “all’elaborazione delle politiche familiari, a tutto ciò che concerne lo statuto giuridico e sociale delle famiglie in generale e l’aiuto che dev’essere offerto a quelle che sono svantaggiate sul piano materiale e morale”.

Papa Francesco invita a “porre attenzione all’occupazione femminile. Molte donne avvertono il bisogno di essere meglio riconosciute nei loro diritti, nel valore dei compiti che esse svolgono abitualmente nei diversi settori della vita sociale e professionale, nelle loro aspirazioni in seno alla famiglia e alla società. Alcune di loro sono affaticate e quasi schiacciate dalla mole degli impegni e dei compiti, senza trovare sufficiente comprensione e aiuto. Bisogna fare in modo – sottolinea - che la donna non sia, per esigenze economiche, costretta a un lavoro troppo duro e a un orario troppo pesante, che si aggiungono a tutte le sue responsabilità di conduttrice della casa e di educatrice dei figli. Ma soprattutto bisogna considerare che gli impegni della donna, a tutti i livelli della vita familiare, costituiscono anche un contributo impareggiabile alla vita e all’avvenire della società”.

Infine, Papa Francesco ribadisce che l’istituto familiare “è sempre stato e rimane la cellula vitale della società”.

La manifestazione, promossa dalla Provincia autonoma di Trento con il Dipartimento per le politiche della famiglia, vede la partecipazione e il confronto di istituzioni, imprese e movimenti famigliari nazionali. Il servizio di Marina Tomarro: 

Conciliare vita lavorativa e familiare, capire quali sono le scelte migliori per aiutare le famiglie a diventare parte attiva della crescita economica dell’Italia, ma senza trascurare il benessere dei nuclei. E’ questo l’obiettivo centrale del Festival della Famiglia. Ascoltiamo Ugo Rossi, presidente della Provincia autonoma di Trento:

R. – Prima di tutto, noi dobbiamo sapere riconoscere i bisogni delle famiglie, valorizzarle come opportunità positiva di crescita dell’individuo e della società e cercare di creare una cultura diffusa. ‘Ecosistema’ vuol dire avere una cultura diffusa che considera che la famiglia sia un valore per la società. E attorno a questo, bisogna costruire anche un po’ di azioni positive, con politiche pubbliche ma anche con una partecipazione del mondo delle imprese e soprattutto del mondo delle famiglie stesse. L’associazionismo familiare è una componente straordinaria di questo ecosistema.

D. – Il Trentino è un po’ una regione-modello: allora, perché non si riesce ad applicare anche alle altre regioni italiane quello che voi state facendo qui?

R. – Ci sono esperienze interessanti nel nostro Paese anche a diverse latitudini: non è sempre vero che sia il Nord a portare avanti esperienze positive. Noi godiamo di una particolarità: abbiamo la possibilità di poter legiferare e quindi di prendere delle decisioni. Il nostro Paese dovrebbe riflettere sul fatto che si sta invece incamminando verso un ritrovato centralismo che, secondo me, invece non fa bene a questo tipo di decisioni.

Le famiglie non devono essere lasciate sole nel loro percorso. Importantissimo diventa allora un lavoro di sinergia tra le istituzioni, le imprese e il sociale. Anche la Chiesa ha un ruolo fondamentale. Quale? Ascoltiamo l’arcivescovo di Trento, mons. Luigi Bressan:

R. - Anzitutto, di accompagnare e valorizzare la famiglia stessa: la coppia non vista come oggetto di pastorale ma anzitutto soggetto. Obiettivo della società non è il pil, ciò che noi produciamo, ma lo scopo è che le famiglie, le persone, possano vivere in qualità di vita.

D. - Anche le parole di Papa Francesco sono state un’esortazione a lavorare tutti insieme…

R. – La famiglia ne è alla base, e certamente nella famiglia ci si abitua alla corresponsabilità, ci si abitua ad apprezzare quanto riceviamo. Il Papa dice: abituati a dire ‘grazie, scusa, prego’, e ci si abitua anche a dare.

D. – Nel messaggio si dà anche grande importanza al ruolo della donna, in famiglia; si chiede un sostegno, un aiuto alle madri di famiglia …

R. – Sì: è chiarissimo che abbiano una grandissima importanza per la via naturale. Il Papa ricorda l’importanza anche nella società stessa e quindi l’importanza di armonizzare queste due esigenze a beneficio – certo – della donna, a beneficio dell’uomo e a beneficio dei figli, ma a beneficio anche della società nel suo insieme.

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Francesco: mai dimenticare sofferenza schiavi moderni

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Papa Francesco ha inviato un breve Messaggio alla seconda Conferenza internazionale del Gruppo Santa Marta per la lotta contro la tratta, che si tiene a Londra oggi e domani. Il Pontefice esprime profonda gratitudine a tutti i presenti per la “determinazione nella lotta contro questo male” e per “l’impegno a portare avanti il lavoro iniziato in occasione della Conferenza tenutasi in Vaticano nel mese di aprile di quest'anno”.

“I vostri sforzi – scrive il Papa - per promuovere il dialogo in corso sui rimedi legali al traffico di esseri umani e sull’assistenza essenziale di coloro che subiscono questa schiavitù sono particolarmente importanti per la natura nascosta di questo crimine. Non dobbiamo mai dimenticare, né possiamo ignorare la sofferenza di tanti uomini, donne e bambini la cui dignità umana viene violata attraverso questo sfruttamento”.

Il Pontefice, ringraziando il ministro degli Interni del governo britannico, il commissario della polizia metropolitana e la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles per l'organizzazione di questo evento, ribadisce che “la Chiesa rimane ferma nel suo impegno di combattere il traffico di esseri umani e per il sostegno delle vittime di questa piaga”.

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P. Cantalamessa: la prima pace è quella tra Dio e l'umanità

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“Pace in terra agli uomini che Dio ama”. E’ il versetto del Vangelo di Luca e l’annuncio del Natale, il tema delle tre prediche di Avvento iniziate questa mattina, da Padre Raniero Cantalamessa, nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo apostolico, alla presenza del Papa e della Curia. La prima meditazione del predicatore della Casa Pontificia è stata dedicata alla pace come dono di Dio in Gesù Cristoè la pace più importante, che ci rivela il volto di un Padre misericordioso, e non solo del Dio della giustizia e della legge come lo interpreta l’uomo moderno che vive oggi un cristianesimo senza slancio e gioia. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

E’ la dolorosa attualità del tema della pace, spiega padre Raniero Cantalamessa, unita alla necessità di ridare a questa parola la ricchezza di significato che essa riveste nella Bibbia, il motivo che ne fa l’argomento delle meditazioni di preparazione al Natale. La prima ed essenziale pace - da cui dipendono quella interiore e quella tra i popoli - come ci insegna la Parola di Dio, è quella verticale, tra cielo e terra, tra Dio e l’umanità. Ed è un Dono di Dio, parte di quel piano di redenzione con cui ha risposto al peccato originale:

“Di fronte alla ribellione dell’uomo – il peccato originale – Dio non abbandona l’umanità al suo destino, ma decide un nuovo piano per riconciliarlo con sé. Un esempio banale, ma utile per capire, è quello che avviene oggi con i cosiddetti navigatori satellitari installati sulle auto. Se a un certo punto l’autista non segue l’indicazione datagli dall’alto dal navigatore; svolta, per esempio, a sinistra, anziché a destra, il navigatore in pochi istanti gli traccia un nuovo itinerario, a partire dalla posizione in cui si trova, per giungere alla destinazione desiderata. Così ha fatto Dio con l’uomo, decidendo, dopo il peccato, il suo piano di redenzione”.

Compimento di tutte le promesse di pace è la nascita di Gesù, il suo farsi uomo, ma, spiega padre Cantalamessa, è soprattutto la sua morte di Croce che permette  la riconciliazione tra Dio e gli uomini, tra cielo e terra. “Bisognava che ci fosse qualcuno”, dice, “che riunisse in se stesso colui che doveva combattere e colui che poteva vincere, e questo è ciò che è avvenuto con Cristo, Dio e uomo”:

“La morte di Gesú in croce è il momento in cui il Redentore compie l’opera della redenzione, distruggendo il peccato e riportando vittoria su Satana. Come uomo, quello che compie ci appartiene: 'Cristo Gesù, è stato fatto da Dio, per noi, sapienza, giustizia, santificazione e redenzione' (1Cor 1,30), per noi! D’altra parte, in quanto Dio, ciò che opera ha un valore infinito e può salvare 'tutti coloro che si accostano a lui' (Ebr 7,25)”.

Nel sacrificio di Cristo la prospettiva è rovesciata:

"Cristo, diceva già la Lettera agli Ebrei (Ebr 9, 11-14), non è venuto con sangue altrui, ma con il proprio. Non ha fatto vittime, ma si è fatto vittima. Non ha messo i propri peccati sulle spalle degli altri – uomini o animali -; ha messo i peccati degli altri sulle proprie spalle: 'Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce' (1 Pt 2, 24)".

Lo stesso sacrificio assume nuovo significato:

“Di solito il sacrificio di espiazione serviva a placare un Dio irato per il peccato. L’uomo, offrendo a Dio un sacrificio, chiede alla divinità la riconciliazione e il perdono. Nel sacrificio di Cristo la prospettiva è rovesciata. Non è l’uomo a esercitare una influenza su Dio perché si plachi. Piuttosto è Dio ad agire affinché l’uomo desista dalla propria inimicizia contro di lui. 'La salvezza non inizia con la richiesta di riconciliazione da parte dell’uomo, bensì con la richiesta di Dio di riconciliarsi con lui'” .

Dunque questo dono della pace, così inteso, ricevuto per mezzo di Gesù Cristo e meritato con la sua morte di croce, deve cambiare a poco a poco il nostro rapporto con Dio e restaurare l’immagine stessa che di Dio Padre c’è nel cuore degli uomini, compresi noi credenti. Padre Raniero parla di un “cristianesimo spento”, “senza slancio e gioia”, “vissuto come dovere e non come dono” di un Dio inteso, in genere, come Onnipotente, Essere supremo “imposto dall’esterno all’individuo”:

“Inconsciamente, si collega la volontà di Dio a tutto ciò che è spiacevole, doloroso, a ciò che, in un modo o nell’altro, può essere visto come mutilante la libertà e lo sviluppo individuali. È un po’ come se Dio fosse nemico di ogni festa, gioia, piacere. Non si pensa che la volontà di Dio è chiamata nel Nuovo Testamento eudokia (Ef 1,9; Lc 2, 14), cioè volontà buona, benevolenza, per cui dire 'sia fatta la tua volontà' è come dire 'si compia in me, o Padre, il tuo disegno d’amore'”.

Certo la misericordia di Dio non si è mai è ignorata, continua Padre Cantalamessa ma è stata intesa prevalentemente come correttivo alla giustizia divina:

​“È venuto fuori con Dio un rapporto di mercanteggiamento. Non si dice che bisogna accumulare meriti per guadagnare il Paradiso? E non si attribuisce grande rilevanza agli sforzi da fare, alle Messe da far celebrare, alle candele da accendere, alle novene da fare? Tutto questo, avendo permesso a tanta gente in passato di dimostrare a Dio il proprio amore, non può essere gettato alle ortiche. Ma non si può negare che c’è il rischio di cadere in una religione utilitaria, del 'do ut des'”.

Aprendoci invece all’azione dello Spirito Santo, che rende operante in noi il dono della pace, sottolinea il predicatore della Casa pontificia, “Egli ci insegna a guardare a Dio con un occhio nuovo”: come il Dio della legge certo, ma prima ancora come il Dio dell’amore e della grazia, misericordioso e pietoso:

“Ce lo fa scoprire come alleato, amico, come colui che 'non si è risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi' (è così va inteso Rom 8, 32). In una parola, lo Spirito Santo ci comunica il sentimento che aveva Gesú del Padre suo. Sboccia allora il sentimento filiale che si traduce spontaneamente nel grido: Abbà, Padre!”.

E’ da qui dunque, conclude padre Cantalamessa, che inizia la nostra preparazione al Natale:

“Partiamo per il nostro lavoro quotidiano con una domanda: Quale idea di Dio Padre c’è nel mio cuore: quella del mondo o quella di Gesù?”.

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Martinez (Rns) e Kiko (Cnc) in udienza dal Papa

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Papa Francesco ha ricevuto in successive udienze questa mattina in Vaticano, i responsabili di due realtà ecclesiali: Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo e Kiko Arguello, iniziatore del Cammino neocatecumenale. Il servizio di Roberto Piermarini

Nell’incontro con il presidente Salvatore Martinez è stata ricordata la Convocazione del Rinnovamento nello Spirito Santo, realizzata nel giugno scorso allo Stadio Olimpico di Roma alla presenza del Papa:

R. Il Santo Padre è fortemente focalizzato su questa dimensione kerygmatica e carismatica della Chiesa, come richiesto nella “Evangelii Gaudium”. Altro tema al centro del nostro incontro è stata la fondazione vaticana Centro internazionale Famiglia di Nazareth, voluta da Giovanni Paolo II per la realizzazione di un centro per tutte le famiglie del mondo a Nazareth. Il Papa è fortemente convinto che questa sia una grande opportunità di dialogo, una via di pace per le famiglie di tutto il mondo e di incontro, soprattutto per le tre religioni monoteiste, in una regione – quella mediorientale – che continua ad essere segnata da episodi di violenza, di scontro e certamente di non-dialogo. Ho trovato il Santo Padre profondamente attento anche alle questioni che riguardano il nostro tempo, in special modo la collaborazione tra l’episcopato, quindi il principio gerarchico e istituzionale della Chiesa, e i laici, i movimenti. Mi pare di poter dire che la dimensione spirituale e quindi la risposta alla madre di tutte le crisi, che è per l’appunto spirituale, è profondamente presente, primaria della valutazione nel discernimento del Sommo Pontefice. Quindi, bisogna segnalare questa attenzione particolare e prioritaria che il Santo Padre dedica al ruolo, al protagonismo dello Spirito Santo, dei carismi e della nuova evangelizzazione che avviene, come ci ha ricordato, proprio nella potenza e nell’unzione dello Spirito Santo.

Kiko Argüello  ha illustrato al Papa il progetto di un incontro nell’Aula Paolo VI per l’invio di centinaia di famiglie, pronte ad andare in missione nelle zone più scristianizzate del mondo e di altre iniziative del Cammino Neocatecumenale:

R. - Gli ho parlato e spiegato cosa sia il Cammino. Dice che lo conosceva e che facciamo moltissimo bene alla Chiesa, alle vocazioni, a tutto. Gli ho parlato delle Comunità in missione e di questo incontro che faremo per l’invio delle missione delle famiglie, del Cammino e così via. Abbiamo circa 40 comunità, che hanno finito già il percorso neocatecumenale e che si offrono alla Chiesa per essere inviate nelle periferie, nelle parrocchie che hanno bisogno di un aiuto. Queste ‘comunità in missione’ hanno il compito di andare a cercare la gente lontana dalla Chiesa: vanno a predicare per le strade, per le case… Gli ho spiegato che le prime 15 comunità adesso in missione a Roma, sono state inviate alcuni anni fa da Benedetto XVI in Vaticano.

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Nomina episcopale in Kenya

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra.

In Kenya, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Kakamega, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Philip Sulumeti. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il sacerdote Joseph Obanyi Sagwe, parroco della cattedrale e vicario generale della diocesi di Kisii. Il neo presule è nato nel 1967 a Kebiro, Diocesi di Kisii. Dopo gli studi primari e secondari, ha svolto i corsi di Filosofia presso il Seminario Maggiore di St. Augustine a Mbaga (1990-1991), e quelli di Teologia presso il Seminario Maggiore di St. Thomas Aquinas a Nairobi (1992-1995). È stato ordinato sacerdote per la Diocesi di Kisii il 25 ottobre 1996. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: (1996-1999) vicario parrocchiale e coordinatore diocesano per la pastorale, (1999-2004) studi alla Pontificia Università Lateranense, dal 2004 parroco della cattedrale, dal 2005 vicario generale della diocesi di Kisii.

La Diocesi di Kakamega è suffraganea dell'arcidiocesi di Kisumu, ha una superficie di 3.517 kmq e una popolazione di 2.744.000 abitanti, di cui 696.138  sono cattolici. Ci sono 40 parrocchie, servite da 92 sacerdoti diocesani, 13 fratelli religiosi, 397 suore e 25 seminaristi.

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Summit cristiano-musulmano, Tauran: dialogo contro la guerra

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Prevenire i conflitti educando al dialogo interreligioso, costruire una rete di cooperazione istituzionale tra cristiani e musulmani e condannare l’uso della religione per legittimare azioni ingiuste. Questo l’impegno del terzo Summit cristiano-musulmano che si è chiuso ieri a Roma, alla presenza di numerosi leader religiosi e studiosi cattolici, anglicani, sunniti e sciiti. Sull’importanza di questa iniziativa, Elvira Ragosta ha raccolto il commento del cardinale Jean-Luois Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso: 

R. – On est passé de la rencontre au dialogue, nous avons dialogué par des années. Maintenant, il faut...
Siamo passati dall’incontro al dialogo: abbiamo coltivato il dialogo per anni. Ora bisogna camminare insieme e realizzare qualcosa insieme. In questa occasione specifica, abbiamo proposto iniziative molto concrete.

D. – Si è discusso su molti punti e si è posto l’accento sull’importanza delle donne e dell’educazione nel dialogo interreligioso…

R. – Oui, les femmes, évidemment, déjà ont leur place dans le dialogue interreligieux: il y a beaucoup …
Sì: le donne, chiaramente, già hanno il loro posto nel dialogo interreligioso: ci sono molte donne che sono pastori protestanti e ci sono donne religiose, anche nella Chiesa cattolica … Quello che è importante è l’educazione: è fondamentale perché comporta la trasmissione dei valori. Quello che continuo a ripetere è che nel mondo nel quale viviamo c’è una crisi della cultura che comporta la rottura della trasmissione dei valori. E così oggi i giovani sono eredi senza eredità e costruttori senza modelli …

D. – Il prossimo appuntamento sarà a Teheran, nel 2016. Cosa ci si può aspettare nell’immediato futuro?

R. – Il faut voir comme la situation internationale aura évolué. L’Iran est un grand pays …
Bisognerà vedere come si sarà evoluta la situazione internazionale. L’Iran è un grande Paese, e non si potrà fare la pace in Medio Oriente senza l’Iran. Sono stato in Iran la settimana scorsa, e ho visto un Paese che se avesse la possibilità di svilupparsi, se non ci fosse più l’embargo, certamente sarebbe un Paese particolarmente attivo, dal punto di vista economico. Credo quindi che sia necessario aspettare, perché è difficile fare delle previsioni …

D. – Questo summit prende una strada importante anche in considerazione del viaggio del Papa in Turchia; lo stesso messaggio che il Papa ha mandato a voi, in occasione di questo vertice, continua a parlare di pace, perché egli afferma che il dialogo è la via per la pace …

R. – Plus la situation est difficile, plus le dialogue s’impose. Il n’y a pas une troisième voix : …
Più la situazione è difficile, più il dialogo s’impone. Non c’è una terza via: la guerra o la pace. Quindi, è necessario imparare a vivere insieme.

Tra gli studiosi presenti al summit anche Sharzad Houshmand Zadeh, docente di Studi Islamici all’Università Gregoriana di Roma. Elvira Ragosta l’ha intervistata: 

R. -  E' stata una grande testimonianza che la collaborazione piena e reale è possibile. Eravamo quattro gruppi ed avevamo quattro tavoli distinti, ma vicini. Si è sperimentata un’armonia ed una reale collaborazione sia all’interno dei gruppi che tra i diversi gruppi.

D. - Due accenti sono stati posti: uno sull’educazione e uno sulla funzione delle donne …

R. - Insistere su una buona educazione, far amare l’altro non come il diverso da temere ma come il diverso da conoscere, da condividere per ricostruire insieme una nuova società basata sulla fratellanza e sull’umanità. Per quanto riguarda il secondo accento, anche qui abbiamo rimesso in evidenza come le vittime della violenza siano le donne ed i bambini. Abbiamo alzato la voce contro ogni forma di violenza in nome della religione, dell’egoismo, del denaro per dare più voce alle donne anche all’interno delle conferenze religiose. Come ha detto il cardinale Tauran: “La donna ha un carisma dell’accoglienza”. Quindi più presenza alle donne per dare più accoglienza a questo messaggio di fratellanza e pace nel mondo.

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P. Lombardi: card. Pell non ha mai parlato di fondi illeciti

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“Il Card. Pell non ha parlato di fondi illegali, illeciti o male amministrati, ma di fondi che non risultavano nei bilanci ufficiali della Santa Sede o dello Stato della Città del Vaticano, e di cui la Segreteria dell’Economia ha appreso l’esistenza nel corso del processo in corso di studio e revisione delle amministrazioni vaticane, al fine di averne una conoscenza complessiva più adeguata in vista della razionalizzazione della gestione. E ciò è appunto segno e frutto della cooperazione costruttiva fra le diverse istituzioni vaticane”. È quanto il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha chiarito ai giornalisti circa le affermazioni del segretario del dicastero per gli Affari Economici, riportate in un articolo del “Catholic Herald”.

Del resto, prosegue padre Lombardi, “era noto ed era stato spiegato in precedenza anche pubblicamente dalla Prefettura degli Affari Economici, che i bilanci consolidati di Santa Sede e Stato della Città del Vaticano di cui si rendeva conto ogni anno al Consiglio dei 15 Cardinali, non abbracciavano in alcun modo l’insieme di tutte le numerose amministrazioni che fanno capo al Vaticano, ma solo le istituzioni principali della Curia e dello Stato”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Donne al centro: Papa Francesco sottolinea l'importanza dell'apporto femminile nel mondo del lavoro e nella ricerca teologica.

Sulla strada della pace: il cardinale segretario di Stato nel ventesimo anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Stato d'Israele.

Tutela dei diritti per ripristinare la fiducia: intervento dell'arcivescovo Dominique Mamberti al ventunesimo Consiglio ministeriale dell'Osce.

Messaggere del Vangelo: Anne-Marie Pelletier su Gesù e le donne.

Libri sempre e ovunque: sull'accordo fra le biblioteche serba e vaticana, intervista di Nicola Gori all'arcivescovo firmatario Jean-Louis Bruguès.

Sto in ansia, dunque sono: Carlo Verdone illustra la lezione del medico di famiglia.

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Oggi in Primo Piano



Pakistan: Asia Bibi accusata di blasfemia in carcere malata

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Asia Bibi è molto malata. La donna pakistana cattolica, madre di cinque figli, condannata a morte per blasfemia, è da cinque anni in carcere. Da diverso tempo accusa febbre alta e forti emicranie. Per una revisione della sentenza, si stanno moltiplicando le iniziative internazionali, che chiedono anche una modifica della legge sulla blasfemia, diventata in Pakistan un’arma di persecuzione delle minoranze. Tuttavia, le difficoltà in un Paese al 95% islamico sembrano insormontabili. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Mobeen Shahid, docente di Pensiero e religione islamica alla Pontificia Università Lateranense e fondatore dell’Associazione internazionale “Pakistani cristiani in Italia”: 

R. – Asia Bibi non sta male solo da ora, ma già da qualche anno, non avendo avuto grandi possibilità di vedere la sua famiglia. Non solo non riesce a vedere i suoi familiari, ha anche paura di essere uccisa da una delle sue compagne di cella. Per questo, fisicamente la donna è molto debole e su di lei influisce negativamente anche il suo isolamento.

D. – E’ importante che il movimento internazionale per la salvezza di Asia Bibi continui a chiedere la scarcerazione della donna?

R. – Sì, ma il fatto triste è che un’Alta Corte confermi una condanna a morte basata su false accuse. Purtroppo, la situazione della persecuzione dei cristiani è un fatto quotidiano.

D. – In Pakistan, c’è molto timore di difendere Asia Bibi anche da parte di chi è convinto della sua innocenza. C’è qualche speranza che la sentenza di condanna a morte venga annullata?

R. – Devo dire che le possibilità che possa essere cancellata sono maggiori. Però, nello stesso momento, non è detto che sia così semplice per i giudici stessi, in quanto la Corte suprema è a Islamabad e proprio a Islamabad si trova il parlamento dove sono presenti i gruppi fondamentalisti religiosi e sono proprio loro che cercano di mantenere l’atteggiamento fanatico a livello popolare. Sarà quindi difficile per il giudice che dovrà trattare il caso guardarsi da questa aggressione dei gruppi religiosi e anche lasciare libera Asia Bibi e farla rimanere in Pakistan, in condizioni di sicurezza. Infatti, è sufficiente l’accusa rivoltale perché qualcuno si senta in diritto di ucciderla. Nessuno andrà a cercare le prove. Uno dei politici e religiosi di Peshawar aveva anche promesso un premio per chi riuscisse a uccidere Asia Bibi, per cui lei ha anche una "fatwa" dichiarata contro di sé nel momento in cui dovesse essere liberata, nel caso in cui ciò dovesse accadere. Non è semplice proteggerla in Pakistan.

D. – In questa situazione, a rischiare la vita non è solo Asia Bibi ma anche quei pochi che la appoggiano, tra cui l’avvocato difensore che ha ricevuto molte minacce. Che clima si respira da questo punto di vista nel Paese?

R. – Tutti i cristiani, ogni giorno, vivono con la paura che qualsiasi amico o qualsiasi vicino li possano accusare di blasfemia e in questa ottica anche il cittadino musulmano del Pakistan più equilibrato, che potesse anche provare a difendere il vicino accusato falsamente di blasfemia, ha paura, in quanto l’atteggiamento generale è quello di non ascoltare nessuno, nel senso che la promozione dell’educazione al rispetto altrui è sostanzialmente ferma. Viceversa, l’educazione al fondamentalismo ha prodotto i mujaheddin e i taleban e l’attuale condizione fanatica sociale. E’ quindi sempre l’educazione che potrà produrre questo cambiamento, scardinando la legge stessa, perché il potere della legge sta nel suo abuso.

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Usa: ancora proteste per gli afroamericani uccisi dalla polizia

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Almeno 50 persone sono state fermate per la seconda notte consecutiva di proteste a New York, e in altre città statunitensi, contro l'impunità di agenti bianchi che hanno ucciso afroamericani disarmati. L’ultimo caso, reso noto solo ieri, è avvenuto martedì scorso a Phoenix, dove un poliziotto ha ucciso un cittadino nero durante una colluttazione. Monta anche la polemica politica dopo le parole del presidente Obama, secondo il quale resta un problema di uguaglianza davanti la legge. Marco Guerra ha raccolto l'analisi di Dennis Redmont, responsabile della comunicazione del Comitato Italia-Usa: 

R. – Si diceva che il presidente Barak Obama sarebbe stato il primo presidente post-razziale, “post-racial”. In verità, il problema razziale negli Stati Uniti è un cancro che continua a rodere le budella dell’America, non si è mai fermato dalla guerra civile. Basta andare nei Paesi del sud per capire questa eredità pesante. Naturalmente, ci sono stati i grandi movimenti dei diritti civili negli anni Sessanta, con Martin Luther King, con Kennedy, Robert Kennedy... E poi, con un presidente del sud, Lyndon Jhonson, che 50 anni fa con la "Great Society" e le varie misure per l’integrazione ha portato a termine questa eguaglianza dei diritti per i bianchi e per i neri, andando anche a integrare le università. Si pensava che l'uguaglianza razziale fosse una cosa fatta, soprattutto con l’elezione di Barak Obama. Invece, per vari fattori questo non si è verificato. Uno dei fattori è proprio questa serie di decessi: più di 400 persone all’anno muoiono per mano delle Forze dell’ordine americane e molte di queste sono di razza nera. Ci è resi conto adesso che c’è un problema riguardo proprio alla cultura poliziesca dell’impunità e, in secondo luogo, un problema serio riguardo alla giustizia.

D. – Obama è intervenuto dicendo che “c’è un problema da risolvere”, mentre il sindaco di New York, De Blasio, ha scatenato polemiche raccontando di aver detto al figlio di stare attento alla Polizia… C’è una spaccatura anche nella politica americana anche su questi fatti? Ci si divide sul comportamento della Polizia?

R. – Non vi è dubbio che la fiducia nella Polizia locale non sia molto alta, né tra i bianchi né tra gli afroamericani. Anche la cosiddetta integrazione degli agenti di sicurezza neri non è proporzionata alla popolazione, come a Ferguson. Un altro problema è che molte delle armi antisommossa che gli Stati Uniti avevano in Iraq e in Afghanistan sono tornate e sono state date in dotazione ad alcune polizie locali: la quantità di forza e di violenza che si usa per fermare delle proteste è sproporzionata rispetto al delitto. Ci deve essere quella che si chiama “national conversation” e cioè un dibattito aperto su questo tema. E questo è quello che ha proposto Obama e anche de Blasio. Vedremo nei prossimi giorni, perché si parla di una marcia su Washington… Vedremo se a Natale ci sarà una spirale di violenza, oppure sarà una stagione religiosa più serena.

D. – Quindi, non c’è solo il problema razziale: andrebbero riviste le regole di ingaggio della Polizia…

R. – Si parla molto di dotare la Polizia di piccole videocamere, per arrestare le persone con trasparenza. Ma questo è solo un piccolo passo… Il presidente ha tentato di riformare le leggi sul porto d’armi, ma con pochi risultati. Ci sono stati delle morti drammatiche! E’ di oggi un’iniziativa in Texas sul porto d’armi, che va completamente in direzione opposta. Probabilmente, c’è bisogno di una cultura diversa, forse più britannica o più canadese, riguardo alla Polizia e di un sistema di revisione della giustizia: molto spesso nei tribunali si passa oltre e si dà ragione alla Polizia, piuttosto che alla vittima.

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Hong Kong: la protesta cerca forme alternative

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Cambia volto la protesta a Hong Kong, dopo due mesi di manifestazioni. Uno dei fondatori del movimento pro-democrazia, Benny Tai, ha dichiarato al New York Times che proseguire i sit in nelle strade è diventato "ad alto rischio" e ha invitato i manifestanti a trovare forme alternative di disobbedienza civile. L’obiettivo è assicurare meccanismi veramente democratici per l’elezione del capo di governo nel 2017. La Cina ha accettato il principio del suffragio universale ma pretende che i candidati ricevano l'avallo preventivo di Pechino. Fausta Speranza ha parlato delle possibili evoluzioni della protesta, che va avanti da due mesi, con l’analista di Limes Dario Fabbri: 

R. - La protesta ad Hong Kong ha raggiunto una sorta di punto di non ritorno ed è un punto di non ritorno probabilmente verso l’irrilevanza, perché ormai da settimane – e lo dicono a questo punto anche gli organizzatori e gli stessi fondatori – la protesta sembra aver raggiunto un vicolo cieco: da una parte c’è la popolazione locale, quindi gli abitanti di Hong Kong, che in grande maggioranza – almeno questo dicono i sondaggi, oltre il 60 per cento – vogliono il ritorno alla normalità e quindi il ritorno alla tranquillità e le strade libere dai manifestanti; dall’altra c’è il governo di Pechino che vuole metter fine alle manifestazioni; ed ancora – in un altro senso – l’ultimo interlocutore è il governo locale di Hong Kong, che sebbene indebolito da quanto accaduto, è rimasto fermo sulle proprie posizioni in questa fase, anche in seguito ad alcune ingiunzioni emesse da corti giudiziarie locali, e si dimostra pronto a sgomberare quelli che sono gli ultimi focolai di protesta.

D. - Finora abbiamo avuto un esempio impeccabile di protesta democratica: c’è il rischio di degenerazioni, perché nei giorni scorsi si sono registrati i primi scontri con la Polizia, che ha fermato violentemente il tentativo di alcuni giovani di penetrare nelle sedi del potere istituzionale?

R. – Ci potrebbero essere… Nel momento in cui una manifestazione di qualsiasi tipo raggiunge una fase di disperazione, a volte gli stessi organizzatori non riescono più a controllare tutte le frange che la compongono. Quindi ci potrebbero essere delle iniziative, anche unilaterali piuttosto che indipendenti dall’organizzazione stessa, che poi porterebbero a degli scontri ulteriori di tipo violento. Oserei dire che in questa fase – se ci saranno – non rappresenteranno una drammatizzazione ulteriore della protesta, quanto invece dei focolai di disperazione.

D. – La  Cina ha accettato il principio di suffragio universale, ma continua a gestire la protesta dietro le quinte…

R. – Pechino – quindi il governo centrale – è il grande vincitore di tutta questa storia, perché ha mantenuto una straordinaria lucidità in tutte queste settimane: il governo centrale non si è lasciato andare, per esempio, alla repressione totale dei manifestanti che – come dicevamo – sono stati molto composti, soprattutto nella fase iniziale delle manifestazioni. Il governo di Pechino è rimasto lucido e ha lasciato almeno come facciata, almeno come immagine, lo spazio e l’iniziativa al governo di Hong Kong: quindi nel caso in cui la situazione fosse degenerata, le colpe sarebbero ricadute soprattutto su Hong Kong. Si è limitata invece a gestire la situazione dietro le quinte. Non solo: l’atteggiamento che il governo di Pechino ha avuto sull’opinione pubblica generale della Repubblica Popolare - quindi non solo di Hong Kong, ma soprattutto del resto del Paese – è stato straordinario come efficacia. Se all’inizio su tutti i social network, sul web venivano censurate le immagini e le notizie riguardanti la protesta, ormai da più di un mese la protesta ha invece grande spazio sui siti di informazione cinese. Perché? Perché viene dipinta in maniera estremamente negativa ad una popolazione, come quella cinese, che è abituata all’ordine, è abituata alla normalità e la considera comunque un valore: vengono invece presentati manifestanti scalmanati, molto più di quanto in realtà non siano, ma questo è secondario; vengono presentati come una specie di delinquenti, che stanno distruggendo l’ordine ad Hong Kong. Un piccolo particolare per concludere: quando ieri i tre fondatori del movimento si sono presentati al commissariato di Polizia per consegnarsi alle autorità, fuori ad attenderli c’era un gruppo di manifestanti a loro favore che chiedevano la democrazia, ma ce ne era uno altrettanto cospicuo che invece chiedeva alla Polizia di arrestarli.

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Conferenza al Cairo: autorità islamiche contro terrorismo

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Si è conclusa ieri pomeriggio con una dichiarazione ufficiale in 10 punti, la conferenza su islam e terrorismo che ha riunito presso l’università di al-Azhar, il più importante centro studi dell’Islam sunnita, i capi dei movimenti islamici insieme ad alcuni rappresentanti delle altre religioni. Forti le affermazioni contro la persecuzione dei cristiani. Dal Cairo il servizio di Davide Pagnanelli: 

La lotta al terrorismo è responsabilità  di tutti noi, si chiude cos' il documento scritto dopo i due giorni di conferenza ad al-Azhar, 10 affermazioni in cui si richiamano i leader del mondo islamico ad impegnarsi per sradicare le derive estremiste che offrono una immagine distorta dell'Islam. Le azioni dei terroristi sono definite crimini contro l'umanità  condannati dall'Islam, mentre al centro della discussione c'è proprio il rapporto con i cristiani. Il secondo punto afferma: che i musulmani e i cristiani in oriente sono fratelli e hanno vissuto insieme per molti secoli, e prosegue poi nel terzo punto, che vede, nella fuga dei cristiani dai paesi islamici, il segno dei crimini dei terroristi e lancia un appello per aiutare i fedeli cristiani. Forti le parole contro il settarismo e contro la propaganda estremista: il documento di al-Azhar parla di lavaggio del cervello  dei giovani e propone di formare esperti in gradi di rispondere alle loro domande. Alla conferenza hanno partecipato anche personalità cristiane di spicco, il vescovo copto cattolico di Giza, intervistato da Fides, ha parlato di evento epocale riferendosi alla conferenza e ha aggiunto che per la prima volta un'istituzione islamica così influente dice chiaramente che le teorie usate dai terroristi rappresentano una perversione dell'autentico Islam e ha riportato le parole dell'intervento dell'arcivescovo maronita di Beirut che ha chiesto per i cristiani  almeno il rispetto manifestato nei loro confronti dallo stesso profeta Mohammad. Il documento presentato ieri ad al-Azhar rimarrà  un precedente importante nella lotta al terrorismo e all'estremismo islamista.

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Il Sudafrica ricorda Mandela ad un anno dalla scomparsa

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In Sudafrica sono in corso le commemorazioni del primo anniversario della morte di Nelson Mandela. La ricorrenza cade in un momento in cui il Paese vive numerose contraddizioni politiche ed economiche. A Johannesburg, Davide Maggiore ha chiesto a padre John Maneschg, missionario comboniano per quarant’anni in Sudafrica, come la cittadinanza e le forze politiche stanno vivendo questo momento: 

R. – E’ un momento atteso. Ricordiamo che un anno fa tutto il Paese è stato unanime nel lutto. Tuttora il Sudafrica guarda a Mandela come un personaggio “ideale” per tutti. E’ stato davvero un grande esempio di statista, che si è impegnato per il bene comune.

D. – In effetti, negli scorsi mesi, l’immagine di Mandela è stata molto usata dai partiti politici…

R. – Direi che i partiti politici non siano stati fedeli a quell’eredità che ci è stata lasciata da Mandela. Quasi tutti i partiti hanno sfruttato un poco quell’immagine di Mandela, usata anche per i loro programmi politici. La grande dimensione dell’ideale di Mandela era l’unità nella diversità e non dico che sia stata dimenticata, però, quest’ultimo anno, dopo la sua morte, invece di portare ad un più grande accordo, anche nella politica, si è vista una mancanza di tolleranza, fino al punto di avere delle vere e proprie battaglie in Parlamento, tutto il contrario di quello che Mandela ci ha mostrato.

D. – Forse questa minore attenzione a Mandela dipende anche dal fatto che il Paese ha problemi di ordine concreto, problemi ad esempio con l’economia, con la povertà…

R. – Questi problemi sono aumentati in questi ultimi mesi. C’è tanta povertà in questo Paese, che ha dato tanti voti ai gruppi più estremi e ha causato una perdita di voti da parte del partito dominante dell’Anc. C’è grande scontentezza nei confronti dei politici, del partito che è al governo: non sono riusciti ad arginare la grande disparità tra ricchi e poveri.

D. – Ma cosa è rimasto oggi del Sudafrica di Mandela, di quegli ideali di Mandela? Dove possiamo ancora vederli?

R. – Abbiamo gruppi non necessariamente politici, che tengono su questo modello, questo esempio di Mandela. Penso che la stampa possa fare tanto per questo ideale, perché non cada nell’oblio.

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Mafia a Roma, Caritas: politica abbandonata ai marpioni

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"Ci sono tutti i presupposti per l'aggregazione mafiosa". Lo ha detto il presidente del Senato Piero Grasso riferendosi alla maxi inchiesta di Roma. Per il ministro dell’Interno Angelino Alfano "il commissariamento del Comune di Roma è un procedimento molto complesso … E comunque il sindaco Marino non è coinvolto”. Sul malaffare nella capitale Alessandro Guarasci ha sentito il direttore della Caritas romana, mons. Enrico Feroci: 

R. – A me sembra che dietro a queste realtà ci sia una specie di consorzio del malaffare, a destra e a sinistra; ma qui mi sembra che quello che è carente è il discorso etico, il discorso umano. Io mi riferisco alle parole di Papa Francesco: quando Papa Francesco ci dice che dobbiamo toglierci la mentalità dello scarto. Fondamentalmente, chi è che scarta? E’ colui che guarda una realtà, la valuta, la pesa e dice: “Mi serve: la prendo. Non mi serve: la butto via!”.

D. – Però, il forte coinvolgimento della politica in questa vicenda, secondo lei che cosa riflette? Anche una scarsa selezione del personale politico?

R. – No … io direi, più che una scarsa selezione, è una fuga da parte di un certo mondo che nella politica e dalla politica ha visto cose negative. E allora, la responsabilità è anche nostra perché abbiamo abbandonato la politica in mano ai marpioni, in mano a coloro che l’hanno utilizzata e la utilizzano solamente per fini personali.

D. – Serve una rivisitazione del meccanismo con cui le cooperative operano anche nel settore-immigrazione?

R. – Qui ci vogliono persone sagge e intelligenti che si mettano intorno a un tavolo e abbiano la capacità di programmare. Il grande handicap che abbiamo oggi è che noi viviamo sulle emergenze. Possibile che non siamo capaci di allargare gli orizzonti, di approfondirli, di vedere davanti a questi fatti che cosa poter fare? Altrimenti, è ovvio che nelle maglie dell’emergenza ci si annidano solamente quelli che queste emergenze le strumentalizzano: sono gli sciacalli, quelli che sulla pelle dei poveri poi vanno a farci i soldi …

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Sicilia, morti 17 migranti. Centro Astalli: più mezzi

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"Piangiamo queste vittime e al tempo stesso ribadiamo che il contrasto ai mercanti di morte è la cosa più importante". Così il ministro dell'Interno Angelino Alfano sui 17 migranti morti su un gommone raggiunto 150 chilometri a sud di Lampedusa. Ad intervenire sono state la motovedette della Guardia costiera che, con l’intervento anche della nave “Etna” della Marina militare, hanno soccorso altri 76 profughi che viaggiavano sull’imbarcazione. Un migrante è stato trasportato con l’elicottero in ospedale perché in gravi condizioni. Non si tratta di un naufragio: i migranti sono deceduti presumibilmente per ipotermia e disidratazione. Intanto nelle ultime ore la Marina militare ha soccorso circa altre 200 persone. Un drammatico episodio che avviene a circa un mese da quando è iniziata l’operazione europea “Triton” ed è finita l’italiana Mare Nostrum. Su quest’aspetto si sofferma Bernardino Guarino, direttore dei Progetti del Centro Astalli al microfono di Debora Donnini: 

R. – Certamente non possiamo affermare con certezza che questo sia colpa di Triton rispetto all’operazione Mare Nostrum. Un fatto è, però, inconfutabile: con Mare Nostrum erano in campo molti più mezzi, molte più risorse ed anche navi più attrezzate, per quanto riguarda il contingente presente per i soccorsi di tipo umanitario. E’ chiaro, quindi, che avendo dismesso Mare Nostrum, questo pericolo rimanga e siamo fortemente preoccupati.

D. – Anche se Triton vede la partecipazione di tutta l’Unione Europea, mentre Mare Nostrum era una iniziativa italiana…

R. – Sì, però il problema è che Triton mette in campo una forza quantitativamente e qualitativamente inferiore di quella che metteva in campo Mare Nostrum. Non a caso è stata presentata come un’operazione che fa risparmiare dei soldi, perché appunto vengono coinvolte meno unità e soprattutto su un raggio di costa molto più limitato. Questo è il pericolo principale e il problema principale: se i soccorsi si limitano a pattugliare le acque territoriali europee, probabilmente arrivano quando si sono già verificate le tragedie. 

D. – L’Europa dovrebbe fare di più, secondo le associazioni che aiutano gli immigrati?

R. – Sì, in fondo, il tratto di mare che loro percorrono non è un tratto amplissimo, per cui sapendo che ci sono questi pericoli, continuare a mettere in campo una forza corrispondente a quella di Mare Nostrum forse poteva avere qualche costo in più, ma in termini di vite umane sarebbe stato certamente molto più utile. Ci sembra un campo dove le motivazioni economiche, forse, lasciano il tempo che trovano. Parliamo poi di cifre sempre assolutamente compatibili con i bilanci europei.

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Roma: viaggio in 3D nel ghetto ebraico di fine '800

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Camminare nel Ghetto ebraico di Roma come era 150 anni fa grazie a una dettagliata ricostruzione tridimensionale. Un “tavolo interattivo” unico al mondo, inaugurato ieri al Museo Ebraico della capitale. L’opera è stata realizzata con avanzate tecniche informatiche e permetterà di rivivere in prima persona uno dei quartieri storici della “Roma sparita”. Il servizio di Michele Raviart

Il Ghetto ebraico fu istituto a Roma nel 1555 ed è uno dei più antichi del mondo. Un’area a ridosso del Tevere che arrivò ad ospitare fino a settemila persone in poco più di tre ettari. Con l’Unità d’Italia i Savoia decisero di demolirlo, negli anni ’80 dell’Ottocento, seguendo le direttive del nuovo piano regolatore. Bisognava costruire i nuovi argini del fiume e il Ghetto era in gran parte malsano, privo di servizi igienici e soggetto ad ogni inondazione. Prima della demolizione furono scattate delle fotografie, conservate nel “Fondo fotografico Piano Regolatore 1883”. Materiale d’archivio alla base del progetto presentato ieri. Un lavoro durato circa un anno, che ha impiegato otto persone della società “Katatexilux” e visto collaborare architetti, storici dell’arte, urbanisti e archeologi. Le immagini sono state geolocalizzate informaticamente, ricostruendo i dettagli più minimi, dai numeri civici alla ruggine delle ringhiere. Tra le altre fonti utilizzate, gli acquarelli della “Roma sparita” di Ettore Roesler Franz, ma anche documenti tecnici, come le piante catastali. Il risultato è una ricostruzione tridimensionale, una sorta di “Street view” della Roma di fine ottocento. Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica capitolina:

"I cittadini hanno modo di camminare in una ricostruzione fedele di una porzione molto importante di come era il quartiere della città di Roma. Non c’è un’opera simile nella città, anzi, speriamo che possa essere allargato ad altre zone. Siamo una delle poche comunità che si può permettere non solo di raccontare come era, da dove veniamo: siamo la comunità più antica della diaspora, siamo qui da 2.200 anni, ma a differenza di tante altre, specialmente quelle dell’Europa dell’est, possiamo raccontare chi siamo oggi".

I palazzi, alcuni fatiscenti, raggiungevano anche gli otto piani, perché non potendo occupare altri spazi, la comunità si espandeva in altezza. Alcune aree sono state più facili da ricostruire, come piazza delle Cinque delle Scole - che ospitava i templi ebraici prima della costruzione dell’attuale sinagoga, inaugurata nel 1904 - o il Portico d’Ottavia. Altre aree sono state più difficili da recuperare, come ci spiega l’architetto Raffaele Carlani, responsabile del progetto:

"Paradossalmente, le parti meno rappresentate sono quelle più ricche del Ghetto. Ad esempio, Via della Rua, perché l’interesse di Ettore Roesler Franz e di chi con spirito romantico indagava il Ghetto non prevedeva invece un quartiere, una zona che era più votata alla modernità. Non è rimasto nulla, è stato demolito tutto. È rimasta solo una parte che in realtà era stata aggiunta al Ghetto nel 1824 e che si è salvata. In realtà, il nucleo storico del Ghetto è stato completamente demolito".

L’installazione, visitabile al Museo Ebraico di Roma, è un “progetto aperto”. Nuovi dettagli potranno essere aggiunti in caso di nuovi ritrovamenti o scoperte.

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Nella Chiesa e nel mondo



Grégoire II: estremismo nuoce a cristiani e musulmani

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La conferenza tenutasi all''Università di al Azhar “rappresenta un evento fondamentale, perchè finora non c'era mai stato un pronunciamento di tale livello contro l'estremismo e il terrorismo di marca islamista espresso da una istituzione così autorevole del mondo islamico”. Così il patriarca di Antiochia dei greco-melchiti Grégoire III commenta l'esito della Conferenza internazionale sul terrorismo e l'estremismo organizzata il 3 e 4 dicembre dall'Università cairota, considerata la più autorevole istituzione teologica dell'islam sunnita.

Il primate della Chiesa melchita è stato l'unico patriarca non residente in Egitto che ha partecipato alla Conferenza, insieme a circa 700 convegnisti, in stragrande maggioranza musulmani, provenienti da 120 Paesi.

“L'intento della Conferenza” spiega il patriarca all'agenzia Fides “era quello di esprimere un rifiuto netto dell'ideologia dei gruppi jihadisti, e mostrare come questi gruppi manipolano le parole dell'islam per perseguire un progetto di potere che non ha nulla a che vedere con l'autentica fede islamica”.

Il patriarca sottolinea l'importanza dei tanti riferimenti ai cristiani presenti nel documento finale della Conferenza: “L'incontro del Cairo” spiega a Fides S. B. Grégoire “è andato oltre il semplice appello in favore del dialogo islamo-cristiano. Stavolta, l'accento è caduto sulla necessità di resistere insieme a un'ideologia che fa male a tutti, sia cristiani che musulmani”.

In questa cornice, tanti interventi e anche il documento di sintesi diffuso alla fine della Conferenza hanno ripetuto l'invito ai cristiani del Medio Oriente a resistere e a non abbandonare le terre dove sono nati.

A giudizio del patriarca Grégoire, per concretizzare la prospettiva emersa nella Conferenza di al Azhar sarà utile delineare una strategia comune, attraverso riunioni periodiche tra i capi delle comunità musulmane e cristiane. (R.P.)

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India: la Chiesa si mobilita per proteggere le chiese

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Hanno protestato nei giorni scorsi per chiedere alla polizia protezione delle chiese. Dopo il misterioso incendio che il 1° dicembre ha sventrato la chiesa cattolica di San Sebastiano, nella zona Est di Delhi, la speciale polizia criminale di Delhi ha istituito una squadra speciale per indagare. Oltre 5.000 credenti, di tutte le confessioni (cattolici, anglicani, battisti, metodisti, evangelici) hanno chiesto giustizia.

Anche le autorità cattoliche si sono mosse: l’arcivescovo di Delhi, mons. Anil Couto, ha scritto al Primo Ministro Narendra Modi e al Ministro degli Interni, Rajnath Singh, chiedendo trasparenza per una indagine che porti risultati.

Di fronte ai timori espressi dai cristiani, la polizia ha disposto la presenza di guardie davanti alle chiese principali della città. Dopo l’incendio, le chiese stanno valutando la necessità di dotarsi di personale di sicurezza privato.

Per rispondere all’intolleranza, i francescani in India hanno programmato una celebrazione nazionale, il 10 dicembre prossimo, in tutte le loro istituzioni educative e sociali, con un focus speciale sulla libertà religiosa e sull’armonia interreligiosa. La giornata sarò celebrata dalle 52 congregazioni francescane presenti in 65 province, su tutto il territorio dell'India, che raccolgono oltre 50mila fra religiosi e religiose.

Fra A.J. Mathew, presidente della Famiglia francescana in India, nota a Fides: “In questi giorni, assistiamo ad una crescente violenza contro i cristiani in India. È una grave violazione dei nostri diritti fondamentali, sanciti nella Costituzione. La distruzione di luoghi religiosi e la violenza sui cristiani deve essere condannata da ogni cittadino”.

Tra gli episodi citati, si ricordano, oltre al rogo della chiesa di Delhi, gli attacchi a due chiese in Madhya Pradesh, la persecuzione in 50 villaggi del distretto di Bastar, in Chhattisgarh, la violenza sulle famiglie cristiane in Orissa.

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Congo: quasi 90mila sfollati in fuga dalla guerriglia

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Sono 88.500 gli sfollati nel territorio di Beni e di Walikale, nella provincia del Nord Kivu, nell'est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), in fuga dalle violenze delle Forze Democratiche Alleate (Adf), un gruppo armato di origine ugandese ma attivo nell’est della Rdc. Lo afferma la stampa congolese citando fonti delle organizzazioni umanitarie impegnate nell’assistenza agli sfollati.

Secondo una nota inviata all’agenzia Fides dal Coordinamento della locale società civile, gli ultimi massacri di civili risalgono al 1° dicembre, quando tre persone sono state uccise a colpi di machete nella località di Eringeti: si tratta di due giovani ragazze e di un adolescente di 12 anni. Altre 3 persone sono state gravemente ferite.

“Questi attacchi contro i civili avvengono dopo una serie di massacri nella zona: l’ultimo il 20 novembre, in località Ngite, dove almeno 100 civili sono stati uccisi a colpi di machete” sottolinea la nota. “La società civile del Nord-Kivu non ha più parole per descrivere l’ampiezza dell’orrore e del dramma. Il nostro Coordinamento è sconvolto dalla spirale di rabbia fredda, di violenza armata che distrugge la città e il territorio di Beni nel momento in cui la Monusco (Missione Onu nella Rdc) celebra i suoi 15 anni di presenza nel nostro Paese” conclude la nota. (R.P.)

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Ebola: scuole chiuse per 5 milioni di bambini

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In Liberia, Guinea e Sierra Leone sono oltre 5 milioni i bambini che non vanno a scuola a causa della forte presenza del virus ebola. Secondo uno studio reso noto dal Gruppo Imprenditoriale Mondiale per l’Istruzione (Gbce), ripreso dall’Agenzia Fides, la sospensione delle lezioni per evitare il proliferare del virus colpirà almeno una intera generazione.

L’organismo ha denunciato che le conseguenze potrebbero essere devastanti, con un aumento di gravidanze precoci, lavoro minorile, matrimoni forzati, maltrattamenti e abusi. La chiusura delle scuole avrà un impatto molto più grave sulle bambine in quanto i genitori, per garantire loro un futuro, le costringeranno a sposarsi.

Il fenomeno già è in atto in Sierra Leone. Lo studio indica che per evitare questo rischio è necessario provvedere ad una istruzione di emergenza per bambini e insegnanti.

Il Gbce ha inoltre raccomandato alle autorità dei Paesi più colpiti dall’ebola di fare lezioni via radio o in televisione, e che i governi diano agli insegnanti una formazione adeguata in materia di prevenzione dal virus mortale. Liberia, Guinea e Sierra Leone presentavano indici di alfabetizzazione molto bassi già prima dell’epidemia. (R.P.)

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Irlanda: vescovi su famiglia, povertà, vocazioni, pace in Ulster

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Il recente Sinodo sulla famiglia e la difesa del matrimonio; la preparazione al Natale; l’Anno della vita consacrata; i cristiani in Medio Oriente; l’assistenza pastorale alle persone a rischio suicidio; l’emergenza povertà in Irlanda; il processo di pace in Irlanda del Nord; le celebrazioni del 1400° anniversario della morte di San Colombano. Sono stati numerosi e importanti i temi affrontati dai vescovi irlandesi durante la loro sessione invernale, svoltasi nei giorni scorsi a Maynooth.

In primo piano le conclusioni del recente Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia illustrate dall’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin, delegato della Chiesa irlandese all’assise, che ha richiamato in particolare l’attenzione dei presuli sul discorso conclusivo di Papa Francesco.

Sempre in tema di famiglia, al termine dei lavori i vescovi hanno pubblicato un importante documento pastorale in difesa dell'unione coniugale tra un uomo ed una donna contro la proposta di referendum presentata dal Governo di Dublino sulla legalizzazione dei matrimoni omosessuali nel Paese.

Con l’inizio dell’Avvento l’assemblea ha sottolineato la necessità di ricordare ai fedeli l’importanza di prepararsi spiritualmente al Natale, in particolare con il sacramento delle riconciliazione. I vescovi hanno poi parlato dell’Anno per la Vita Consacrata appena iniziato, che coinciderà in Irlanda con le celebrazioni, nel 2015, del 1400° anniversario della morte di San Colombano, evangelizzatore dell’Isola.

Insieme alla Conferenza dei religiosi irlandesi, la Conferenza episcopale sta organizzando un anno di eventi per promuovere le vocazioni nel Paese. Intitolato “Intraprendi il viaggio. Sii la gioia del Vangelo”, l’Anno prenderà il via il prossimo 2 febbraio, Giornata della Vita Consacrata, per concludersi il 20 febbraio 2016.

Durante i lavori, l’Assemblea ha anche ascoltato la testimonianza di mons. Antoine Audo sulla guerra in Siria, entrata nel suo quarto anno e sulla drammatica situazione dei cristiani in Medio Oriente. Il vescovo caldeo ha espresso profonda gratitudine agli irlandesi per i generosi aiuti offerti tramite la colletta promossa l’anno scorso dall’organismo caritativo Trocaire.

Ampio spazio è stato dato durante i lavori ai problemi sociali del Paese, in particolare all’emergenza casa, diventata particolarmente drammatica in questi sei anni di recessione nell’Eire. I presuli hanno incoraggiato gli irlandesi a sostenere le campagne di solidarietà promosse in questo periodo natalizio dalle varie organizzazioni caritative cattoliche nel Paese.

Un altro problema all’attenzione dell’Assemblea l’assistenza pastorale alle persone con pulsioni suicide. A questo proposito è stata evidenziata la necessità di una specifica formazione per i sacerdoti ai quali spesso queste persone in difficoltà si rivolgono.

Durante l’Assemblea il presidente della Commissione nazionale per la protezione dell’infanzia nella Chiesa cattolica in Irlanda (Nbsccci), ha fatto il punto sull’aggiornamento delle linee guida adottate dalla Chiesa irlandese per contrastare la piaga della pedofilia. Infine, un altro tema all’attenzione della riunione è stato il processo di pace in Irlanda del Nord. I vescovi hanno espresso preoccupazioni per il recente riaccendersi delle tensioni tra le comunità cattolica e protestante nella provincia, confidando nella determinazione dei leader politici nord-irlandesi sostenuti dai Governi irlandese e inglese a continuare il dialogo. (A cura di Lisa Zengarini)

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India: aiuti Caritas per migliaia di alluvionati

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Acqua potabile per 200 famiglie, cure mediche per 8mila malati e aiuti non deperibili ad altre 2mila persone. Sono alcune delle iniziative dedicate dalla Caritas India alle vittime delle alluvioni che lo scorso settembre hanno colpito il Jammu e Kashmir. Tre mesi fa - riporta l'agenzia AsiaNews - più di 300 persone sono morte in India e in Pakistan per le frane e gli smottamenti causati dalle piogge torrenziali.

"Abbiamo costruito rifugi temporanei per 200 famiglie - racconta ad AsiaNews padre Frederick D'Souza, direttore esecutivo di Caritas India - con tende in tela speciale, per salvaguardare le persone sfollate da pioggia e cattivo tempo".

L'opera dell'associazione si è concentrata sui cinque distretti di Pulwana, Kugam, Srinagar, Rajauri e Poonch.

A Pulwana, Caritas India ha fornito acqua potabile a 600 famiglie, circa 30 litri a nucleo ogni giorno. Dal punto di vista sanitario, insieme al governo, all'Holy Family Hospital di New Delhi e alla Camellion Task Force sono stati allestiti Campi medici in cui sono stati curati circa 8mila pazienti.

Infine, gli abitanti di 14 villaggi del distretto di Pulwana hanno ricevuto 1.485 kit di generi non deperibili e 25mila pastiglie di cloro, per disinfettare l'acqua. (R.P.)

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Cina annuncia fine degli espianti di organi dai detenuti

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La Cina "metterà del tutto al bando l'espianto di organi dai detenuti giustiziati entro il 2015". Lo ha dichiarato Huang Jiefu, direttore della Commissione per la donazione e il trapianto di organi ed ex vice direttore del Ministero della Salute. Pechino - riferisce l'agenzia AsiaNews - è da almeno due decenni nel mirino della comunità internazionale, che chiede l'immediata sospensione della pratica.

Secondo Huang, che ha parlato al Southern Metropolis News, "i maggiori Centri di trapianto hanno già smesso di usare organi di questa provenienza". Tuttavia rimane lo sterminato mercato dei sanatori e dei Centri para-medici che si trovano in tutto il Paese. Secondo i dati ufficiali, ogni anno in Cina si effettuano 10mila trapianti: la lista d'attesa aggiornata conta 300mila pazienti.

Ma i numeri sulla donazione volontaria degli organi sono irrisori. Al momento, su un milione di persone solo 0,6 persone scelgono di donare: "Questo lento sviluppo si spiega con due fattori. Da una parte c'è una tradizionale mancanza di entusiasmo per il concetto in sé [comune a tutti i Paesi dell'Asia orientale ndr], ma dall'altra c'è il timore di vedere i propri organi finire in mercati sbagliati. La gente vorrebbe vedere la donazione gestita in maniera corretta, aperta e giusta".

Da qui la necessità di espiantare organi dai giustiziati. Come per tanti altri argomenti delicati, il governo centrale gioca a rimpallo sulla questione. In modo alterno, ha prima negato la pratica; poi ha ammesso di praticarli ma solo in casi eccezionali; infine ha dichiarato "guerra" al fenomeno "immorale e insostenibile".

Nel 2006 ha varato un nuovo regolamento - tuttora in vigore - per "eliminare il commercio d'organi"; nel marzo del 2012 ha ammesso di prelevare organi dai detenuti defunti, e ha annunciato che il fenomeno sarebbe stato sradicato "entro cinque anni"; nel novembre dello stesso anno, dopo nuove proteste internazionali, ha fissato il termine ultimo "entro e non oltre il 2013". (R.P.)

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Seminario futuro media: investire su giovani e social network

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Dove sta andando la comunicazione globale? Quanto e come influiranno i social network sull'informazione tradizionale? Sono alcune delle domande intorno a cui é ruotato il Seminario promosso dal Centro Studi Americani di Roma sul tema "Il futuro dei media" che ha visto la partecipazione di alcuni tra i più importanti giornalisti statunitensi. Tutti i relatori hanno concordato che la rivoluzione digitale farà sempre più sentire il suo peso sui media tradizionali. E questo soprattutto per la spinta che stanno dando su questo fronte le nuove generazioni. Il produttore di Cbs News, Jeff Fager, per esempio, ha evidenziato che negli Usa nessun media, piccolo o grande, può prescindere dai social network e tuttavia - anche in un ambiente mediatico radicalmente mutato rispetto a pochi anni fa - resta la "fame" di contenuti informativi. Dal canto suo, il caporedattore del Wall Street Journal, Gerard Baker, ha affermato che il successo dei social media, come Twitter, deriva anche dalla ricerca da parte della gente di una visione alternativa dei fatti, rispetto a quella proposta da giornali, radio e tv.

L'irruzione del digitale - ha poi commentato il direttore del Bloomberg Media Group, Justin Smith - ha cambiato anche il modo di raccogliere la pubblicità con conseguenze significative su come i media si finanziano. La strada seguita negli Usa, ha proseguito, é quella di investire soldi ed energie su più piattaforme con la difficoltà di seguire processi in continua e rapida evoluzione. I media tradizionali, ha quindi osservato, devono investire sui giovani talenti per "agganciare" il cambiamento radicale impresso da Internet e in particolare dalle Reti Sociali. Opinione condivisa dal vicepresidente della Cnn, Ed O'Keefe, secondo cui bisogna andare dove sta il pubblico altrimenti si diventa irrilevanti e oggi sempre più persone s'informano sui social network. Alla Cnn, ha rivelato, la sfida oggi non é tanto essere la prima azienda televisiva al mondo, ma la prima azienda digitale. Non a caso, ha affermato, nel lavoro della Cnn sempre più si parte dalla domanda se un video andrà bene per il web e successivamente per la tv.

La condivisione é sempre più importante, ne é convinto anche David Carr. L'editorialista del New York Times ha tuttavia avvertito che non si può scommettere tutto su Facebook o Twitter perché non sappiamo al momento cosa accadrà da qui ai prossimi anni. Di certo, ha sottolineato, i giornalisti sono chiamati ad essere sempre più preparati ad usare un linguaggio visuale perché questo é quello più congeniale ai social media come dimostra il successo di You Tube. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 339

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.