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Sommario del 10/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Messaggio Papa per la pace: fraternità sconfigga schiavitù

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“Globalizzare la fraternità” per sconfiggere “l’abominevole fenomeno” della schiavitù: questo il cuore del Messaggio del Papa per la 48.ma Giornata mondiale della pace, che ricorre il prossimo primo gennaio. Il documento - intitolato “Non più schiavi, ma fratelli” – descrive le cause profonde della tratta, tra cui “le reti criminali che ne gestiscono il traffico” ed esorta gli Stati ad applicare “meccanismi efficaci di controllo” per non lasciare spazio a “corruzione ed impunità”. Il servizio di Isabella Piro: 

“Abominevole fenomeno”, “reato di lesa umanità” che colpisce “milioni di persone”: non usa mezzi termini Papa Francesco per descrivere la schiavitù nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace che nel titolo – “Non più schiavi, ma fratelli” – richiama la Lettera di San Paolo a Filemone (Fm 1, 15-16). Due le parti costitutive del Messaggio: nella prima, il Pontefice descrive i tanti volti della schiavitù e ricorda le vittime del lavoro-schiavo, i migranti privati della libertà, abusati, detenuti in modo disumano, ricattati dal datore di lavoro; gli schiavi sessuali, i bambini-soldato, vittime dell’espianto di organi o di forme mascherate di adozione, prigionieri di terroristi.

Ma se tanti sono i volti della schiavitù, altrettante sono le sue cause profonde. La prima, sottolinea il Papa, è ontologica, provocata dal “peccato che corrompe il cuore dell’uomo”: è “il rifiuto dell’umanità dell’altro”, il trattarlo come un oggetto, un mezzo e non un fine. Ci sono poi altre cause: povertà, mancato accesso all’educazione ed al lavoro, “reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani”, conflitti armati, terrorismo, l’uso criminale di Internet per adescare i più giovani. E poi la corruzione che – sottolinea il Pontefice – passa attraverso componenti delle forze dell’ordine e dello Stato.

La seconda parte del Messaggio esorta a sconfiggere la schiavitù con un’azione “comune e globale”, attraverso la “globalizzazione della fraternità” che sappia contrastare la “globalizzazione dell’indifferenza” così diffusa nel mondo contemporaneo. Tre i modi in cui le istituzioni devono agire: prevenire il crimine della schiavitù, proteggere le vittime e perseguire i responsabili. Occorrono, dunque, “leggi giuste” su migrazione, lavoro, adozione e delocalizzazione delle imprese per tutelare i diritti fondamentali dell’uomo e rispettarne la dignità. E servono anche – scrive il Pontefice – “meccanismi efficaci di controllo” che non lascino spazio a “corruzione e impunità”. Papa Francesco chiama poi in causa tutti gli attori della società, chiede il riconoscimento del ruolo sociale delle donne, lavoro dignitoso e stipendi adeguati per i dipendenti d’impresa, catene di distribuzione esenti dal fenomeno della tratta, cooperazione intergovernativa per combattere “le reti transnazionali del crimine organizzato che gestiscono il traffico illegale dei migranti”.

Il Pontefice si rivolge anche ai consumatori e richiama la loro “responsabilità sociale”, perché siano consapevoli che, come scritto da Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, “acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico” (n. 66). Di fronte al traffico di essere umani o a prodotti realizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone, tutti siamo interpellati, ribadisce il Papa: sia chi chiude un occhio per indifferenza o convenienza, sia chi sceglie di impegnarsi civilmente o di compiere un piccolo gesto, come rivolgere un saluto, un sorriso a chi è vittima della schiavitù.

Globalizzare la fraternità, non la schiavitù, né l’indifferenza: questa dunque l’esortazione di Papa Francesco perché tutti gli uomini e le donne di buona volontà non si rendano complici di questo male e riescano a ridare speranza alle vittime della tratta. 

Infine, il Pontefice ricorda Santa Giuseppina Bakhita e le tante congregazioni religiose, specialmente femminili, che – seguendo il suo esempio - operano in favore delle vittime della tratta. Il Papa guarda anche alla comunità cristiana, “luogo della comunione vissuta tra i fratelli”, la cui diversità di origine e stato sociale “non ne sminuisce la dignità, né li esclude dall’appartenenza al popolo di Dio”, poiché tutti sono accomunati dal “vincolo di fraternità in Cristo”. Siano rispettate, dunque, “dignità, libertà e autonomia dell’uomo”, improntando i rapporti interpersonali a “rispetto, giustizia e carità”, in nome della fraternità, “vincolo fondante” della famiglia e della società.

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Santa Sede: 8 febbraio sia Giornata contro nuove schiavitù

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Nel disegno di Dio per l’umanità non c’è posto per la schiavizzazione degli altri. Così il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, in Sala Stampa vaticana per la presentazione del Messaggio di Papa Francesco per la 48.ma Giornata Mondiale della Pace. Ribadito anche l’impegno della Santa Sede affinché l’8 febbraio, giorno della morte di Santa Bakhita, sia una giornata per la lotta contro le nuove schiavitù. Massimiliano Menichetti: 

Risposte sinergiche e globali, senza indugi, con consapevolezza e coraggio contro qualunque forma di schiavitù. E’ la sfida tracciata in Sala Stampa vaticana durante la presentazione del Messaggio. Rispondendo alle domande dei giornalisti mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha ribadito che “condizione per la globalizzazione della fraternità” è lo “stato di diritto”, la “salvaguardia” del “diritto alla libertà religiosa per tutti”. “E questo, ha spiegato, in contesto in cui oggi “cresce un terrorismo” che nega tutto ciò e “si ammanta di fanatismo religioso”:

“C’è bisogno, dunque, di uno stato di diritto che, non come avviene oggi, sia fondato su un individualismo libertario che, in sostanza, pone la persona singola come colei che stabilisce che cosa è verità, che cosa è diritto, senza alcun parametro di riferimento. Perché si possa avere anche uno stato di diritto solido è fondamentale il diritto alla libertà religiosa, fondato sulla dignità umana, dignità intesa come capacità di ricercare il vero e il bene e Dio”.

Parlando della tratta nel suo intervento, mons. Toso, ha fugato ogni strumentalizzazione ribadendo che la Chiesa segue una matrice pastorale e non logiche partitiche:

“La Chiesa si muove con una preoccupazione di tipo pastorale, non è mossa da idee di politica partitica, per cui non si può classificare, ogni volta che il Papa parla, il suo pensiero nella destra o nella sinistra o nella socialdemocrazia o altro ancora”.

Il fenomeno della tratta di esseri umani nasconde tante corresponsabilità, è tornato a ribadire il cardinale Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e “in questo contesto”, “centrale è tutelare la famiglia”:

“In questo anno dedicato alla famiglia, un’attenzione particolare va rivolta all’istituzione familiare in quanto prima scuola della vita e luogo primario della fraternità. Non si può permettere che la famiglia, da luogo di accoglienza e di promozione della vita, si trasformi in luogo in cui la vita è tradita, disprezzata, negata, manipolata o venduta come se si potesse disporre di questo dono secondo i propri interessi”.

Radiosa e concreta la testimonianza contro la schiavitù di suor Gabriella Bottani, missionaria comboniana per anni in prima linea in Brasile:

“Queste grida per noi hanno dei volti concreti. Provate a mettere una mano davanti alla bocca e a gridare: il grido rimane soffocato, muto e nessuno ci ascolta. Con questa dinamica, noi lavoriamo in Brasile, per poter parlare della tratta di persone. La mano? Rappresenta un sistema socioeconomico che cerca di nascondere la sofferenza che provoca, rendendo silenzioso il grido delle vittime”.

Presentata anche la rete Talitha Kum realtà attiva in 81 Paesi, dei cinque continenti. Un progetto, straordinario, dell’Unione Internazionale delle Superiore generali, contro la tratta. Una realtà che va incontro alle persone ed è punto di riferimento per chi è bisognoso e vittima di questo crimine. Toccanti le parole riportate, proprio da suor Gabriella, di una giovane donna sopravvissuta alla tratta con finalità di adozione illegale e vittima, poi, di abuso da parte della famiglia adottiva:

“In voi la Chiesa mi sta venendo incontro, questo sta curando le mie ferite profonde, e mi ha aperto un nuovo cammino di libertà”.

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Papa: Sinodo non ha toccato le verità del matrimonio cristiano

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Nessuna censura, massima libertà di espressione e trasparenza, rispetto assoluto per le “verità fondamentali del Sacramento del matrimonio”. Questo – e non le varie ricostruzioni giornalistiche che lo hanno accompagnato – è stato il Sinodo sulla famiglia celebrato in ottobre. Papa Francesco lo ha affermato con chiarezza all’udienza generale in Piazza San Pietro, che ha inaugurato un nuovo ciclo di catechesi dedicato proprio ai temi della vita familiare. Il servizio di Alessandro De Carolis

Tv, web e giornali lo hanno raccontato con attenzione, certo, ma a modo loro. Come una cronaca sportiva, enfatizzando scontri tra squadre avversarie. O parlando di fazioni, di “conservatori e progressisti”, riducendo il confronto a una serie di manovre politiche. Ma quello non è stato il Sinodo sulla famiglia. Papa Francesco parte da qui – dall’abbondanza di informazione e dai limiti culturali e di linguaggio riscontrati nei media rispetto all’evento di cui dovevano riferire – per raccontare in prima persona “com’è andata e che cosa ha prodotto” la riunione episcopale dello scorso ottobre.

Tutta la catechesi è uno sgombrare il campo da distorsioni e pregiudizi e un ribadire la verità ed essenza di tutto quanto è stato detto dai vescovi in quelle due settimane, a partire dal “come” è stato detto, cioè con la massima libertà di espressione:

“Anzitutto io ho chiesto ai Padri sinodali di parlare con franchezza e coraggio e di ascoltare con umiltà, dire con coraggio tutto quello che avevano nel cuore. Nel Sinodo non c’è stata censura previa, ma ognuno poteva - di più, doveva - dire quello che aveva nel cuore, quello che pensava sinceramente (...) Sempre, quando si cerca la volontà di Dio, in un’assemblea sinodale, ci sono diversi punti di vista e c’è la discussione e questo non è una cosa brutta! Sempre che si faccia con umiltà e con animo di servizio all’assemblea dei fratelli”.

Niente censura, dunque, e tanto ascolto, definito “edificante” dal Papa per il modo in cui è stato espresso. Francesco ha parole di ringraziamento per tutti, specie per i Padri sinodali – “davvero sono stati bravissimi”, dice – prima di toccare l’altro punto sensibile, oggetto nei giorni del Sinodo di infinite letture, spesso dubbiose o polemiche:

“Nessun intervento ha messo in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio, cioè: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e l’apertura alla vita. Questo non è stato toccato”.

Il Papa descrive con precisione le varie fasi seguite al confronto in Aula: la Relazione post-discussione del cardinale Erdö, le valutazioni della stessa nei quattro gruppi linguistici, la Relazione finale aperta al contributo dei gruppi, la redazione del Messaggio finale. Francesco tira le somme e afferma che “Messaggio finale”, “Relazione finale” e “discorso finale del Papa” sono i soli “documenti ufficiali” del Sinodo e che “non ce ne sono altri”:

“Alcuni di voi possono chiedermi: ‘Hanno litigato i Padri?’. Ma, non so se hanno litigato, ma che hanno parlato forte, sì, davvero. E questa è la libertà, è proprio la libertà che c’è nella Chiesa. Tutto è avvenuto ‘cum Petro et sub Petro’, cioè con la presenza del Papa, che è garanzia per tutti di libertà e di fiducia, e garanzia dell’ortodossia”.

L’ultima considerazione – prima di affidare alla Madonna lo spazio tra i due Sinodi e pregare perché ci sia luce per maturare “ciò che dobbiamo dire a tutte le Chiese – Papa Francesco la riserva a un’ulteriore spiegazione al mondo di cosa sia un Sinodo e cosa invece non sia. Per esempio, “una struttura parlamentare”:

“Il Sinodo è uno spazio protetto affinché lo Spirito Santo possa operare; non c’è stato scontro tra fazioni, come in parlamento dove questo è lecito, ma un confronto tra i Vescovi, che è venuto dopo un lungo lavoro di preparazione e che ora proseguirà in un altro lavoro, per il bene delle famiglie, della Chiesa e della società. E’ un processo, è il normale cammino sinodale”.

Ai saluti seguiti alle catechesi in sintesi, Papa Francesco ne ha rivolto uno particolare all’Associazione “Gran Sasso Acqua”, “a cinque anni dal terremoto dell’Aquila”. Il tempo liturgico dell’Avvento – ha concluso –  favorisca in tutti una rinnovata adesione al Vangelo, una sincera solidarietà verso i fratelli e una riscoperta della speranza cristiana”. Quindi, ha affidato i giovani, ammalati e nuovi sposi alla Beata Vergine di Loreto, di cui si celebra oggi la memoria liturgica.

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Francesco: non mettere in discussione verità essenziali famiglia

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Le verità essenziali della famiglia non possono essere messe in discussione: è quanto scrive Papa Francesco nella Lettera a mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, per l'Incontro mondiale delle Famiglie che si terrà a Filadelfia, negli Stati Uniti, dal 22 al 27 settembre 2015 sul tema “L’amore è la nostra missione. La famiglia pienamente viva”. All’evento sarà presente anche il Pontefice. Il servizio di Sergio Centofanti

“Non possiamo qualificare una famiglia con concetti ideologici – ribadisce il Papa nella lettera - non possiamo parlare di famiglia conservatrice e di famiglia progressista. La famiglia è famiglia!”.

“I valori e le virtù della famiglia, le sue verità essenziali – scrive Francesco - sono i punti di forza su cui poggia il nucleo familiare e non possono essere messi in discussione. Siamo chiamati, invece, a rivedere il nostro stile di vita che è sempre esposto al rischio di venire ‘contagiato’ da un mentalità mondana – individualista, consumista, edonista – e ritrovare sempre di nuovo la strada maestra, per vivere e proporre la grandezza e la bellezza del matrimonio e la gioia di essere e fare famiglia”.

“La missione della famiglia cristiana, oggi come ieri – afferma il Pontefice - è quella di annunciare al mondo, con la forza del Sacramento nuziale, l’amore di Dio. A partire da questo stesso annuncio nasce e si costruisce una famiglia viva, che pone il focolare dell’amore al centro di tutto il suo dinamismo umano e spirituale. Se, come diceva sant’Ireneo: «Gloria Dei vivens homo» (Adv. Haer., IV, 20, 7), anche una famiglia che, con la grazia del Signore, vive in pienezza la propria vocazione e missione gli rende gloria”.

“Le indicazioni della Relazione finale del recente Sinodo e quelle che guidano il cammino verso la prossima Assemblea Ordinaria dell’ottobre 2015 – sottolinea il Papa - invitano a proseguire nell’impegno di annunciare il Vangelo del matrimonio e della famiglia e di sperimentare le proposte pastorali nel contesto sociale e culturale in cui viviamo. Le sfide di tale contesto ci stimolano ad allargare gli spazi dell’amore fedele aperto alla vita, alla comunione, alla misericordia, alla condivisione e alla solidarietà”. Francesco esorta pertanto “i coniugi, i sacerdoti e le comunità parrocchiali, come pure i movimenti e le associazioni a lasciarsi guidare dalla Parola di Dio, su cui poggiano le fondamenta del santo edificio della famiglia Chiesa domestica e famiglia di Dio (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium,  6; 11)”.

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Nomine episcopali in Brasile

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In Brasile, il Papa ha nominato ausiliari dell’arcidiocesi di São Paulo i sacerdoti Eduardo Vieira dos Santos, del clero della medesima arcidiocesi, finora cancelliere arcidiocesano e parroco della Cattedrale, e Devair Araújo da Fonseca, del clero della diocesi di Franca, finora parroco della parrocchia São José in Orlândia e coordinatore diocesano per la Pastorale, assegnandogli la sede titolare vescovile di Uzali.

Mons. Vieira dos Santos è nato il 18 marzo 1965 a Bom Sucesso, diocesi di Maringá, Stato del Paraná. Ha frequentato il Corso di Filosofia presso la Pontificia Università Cattolica di São Paulo (1994) e quello di Teologia presso l’Instituto Pio XI a São Paulo (1996). Ha ottenuto la Licenza in Diritto Canonico all’Instituto de Direito Canonico P. Giuseppe Benito Pegoraro, nell’arcidiocesi di São Paulo, affiliato all’Università Lateranense. Ordinato diacono per la Congregazione della Santa Croce, Provincia del Canada, si è poi incardinato nell’arcidiocesi di São Paulo, dove ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 15 dicembre 2000. Ha ricoperto i seguenti incarichi: Assistente pastorale della Comunità Santa Luzia (2000); Parroco della Parrocchia São João Gualberto (2001-2007); Cappellano del Cimitero Parque Gethsêmani (2001); Coordinatore dei Ministri Straordinari della Comunione dell’arcidiocesi di São Paulo (2003); Vice-Rettore del Seminario di Teologia (2007-2013); Vicario Parrocchiale della Parrocchia Nossa Senhora Auxiliadora (2007-2013); Responsabile dell’accompagnamento dei Diaconi Permanenti dell’arcidiocesi (dal 2007). Attualmente è Cancelliere arcidiocesano e Parroco della Cattedrale dell’arcidiocesi di São Paulo.

Mons. Araújo da Fonseca è nato il 1° febbraio 1968 a Franca, Stato di São Paulo. Dopo aver frequentato il Corso Superiore di Tecnologia in “Processamento de Dados”, presso l’Università di Franca (1987-1991), ha svolto gli studi di Filosofia presso l’Instituto Agostiniano de Filosofia a Franca (1992-1994) e quelli di Teologia presso la Pontificia Facoltà di Teologia Nossa Senhora da Assunção, a São Paulo (1995-1998). Ha poi ottenuto la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana (2000-2002). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 20 dicembre 1998 per la diocesi di Franca, nella quale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della Parrocchia São Benedito (1999-2000 e 2003); Parroco della Parrocchia di São Crispim (2000); Rettore del Seminario Diocesano Nossa Senhora do Patrocínio (2003 e 2007-2011); Vice Rettore del Seminario Diocesano Nossa Senhora do Carmo (2004-2006); Vicario Parrocchiale della Parrocchia Menino Jesus (2004-2007); Vicario parrocchiale della Parrocchia Santana (2008-2010); Vicario Foraneo della Forania Santa Gianna (2010-2011); Cappellano del Carmelo di Santa Teresa (2011). Inoltre, è stato Professore dell’Istituto di Teologia João XXIII (2003); dell’Istituto di Filosofia e Teologia Nossa Senhora do Carmo della diocesi di Jaboticabal (2004-2006) e del Centro di Studi dell’arcidocesi di Ribeirão Preto (dal 2008); Segretario dell’OSIB – Organização dos Seminários e Institutos do Brasil – Sul 1 (2005-2008) e Presidente dell’OSIB Sul 1 (2009-2012). Attualmente è Parroco della parrocchia São José a Orlândia e Coordinatore diocesano di Pastorale.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Fenomeno abominevole: in prima pagina, un editoriale del direttore sul messaggio per la prossima giornata mondiale della pace, che richiama l'attenzione internazionale sullo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, che arriva fino alla schiavitù.

Vi racconto il sinodo: all'udienza generale il Papa inizia una serie di riflessioni sulla famiglia.

Un articolo di Silvia Gusmano dal titolo "Disabile è diverso da incapace": Jean-Pierre Crépieux riceve la Legione d'Onore.

Rotte mortali nel Mediterraneo: nel 2014 vi hanno perso la vita 3.419 migranti.

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Oggi in Primo Piano



Grecia, rischio default. Vescovo di Atene: economia sotto zero

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Sono sotto pressione i titoli in Grecia, tanto da far pensare a un rischio "default". Il tasso del rendimento triennale è volato oltre il 9% superando quello del decennale in rialzo all'8,2%. Ieri, in Europa le Borse hanno risentito dell'ipotesi di una vittoria del leader della sinistra radicale, Tsipras, proprio in Grecia. Dopo l'annuncio a sorpresa del premier conservatore, Samaras, di avviare il 17 dicembre l'iter parlamentare per l'elezione del nuovo presidente della Repubblica in sostituzione di Papoulias, si apre la strada a elezioni politiche anticipate. Dopo sei anni di crisi, la situazione è difficile, come conferma, nell’intervista di Fausta Speranza, al nuovo arcivescovo di Atene, mons. Sevastianos Rossolatos: 

R. – La popolazione purtroppo è molto stanca, perché la crisi continua da anni. Non solo non hanno tutti un lavoro, ma le tasse sono molto pesanti, anche sulla casa in cui abitano, e una famiglia, anche se disoccupata, deve pagare le tasse. Così anche le parrocchie e le diocesi. Siamo sotto zero dal punto di vista economico. E’ una situazione davvero brutta.

D. – Che cosa aspettarsi da queste elezioni? Come guardare a queste elezioni?

R. – Dipende dal punto di vista di ognuno. Qualcuno vede le elezioni molto probabili, anche se non è sicuro che se viene eletto il presidente della Repubblica si arriverà all’elezione di un nuovo governo. Alcuni aspettano un cambiamento di partito, sperando che le cose vadano meglio e altri hanno paura di un cambiamento che peggiori la situazione e faccia arrivare ad una situazione di insicurezza.

D. – Ci sono rischi di estremismi?

R. – Estremismi ci sono, soprattutto qui ad Atene, al centro di Atene, dove c'è anche la cattedrale cattolica. Ogni settimana abbiamo delle manifestazioni. Io sono un nuovo vescovo, ordinato un mese e mezzo fa, e vedo continuamente delle manifestazioni. Alcune sono molto estremiste, di anarchici, dove bruciano e distruggono i negozi. Una persona non può nemmeno circolare in centro. Quindi c’è pericolo di estremismi, ma non in tutta la Grecia, solo al centro da parte degli anarchici. Non è una cosa allargata a tutto il Paese.

D. – Come incanalare al meglio le forze del Paese, perché a livello sociale ci possa essere un riscatto non solo economico ma di sviluppo pieno?

R. – Il Paese da solo non lo può fare. Ci vorrebbe che l’Unione Europea vedesse la cosa dal punto di vista umano e non dal punto di vista monetario, per risollevare lo Stato, le persone, la gente, per poter dirigersi verso uno sviluppo. Non sono la persona adatta per dire come fare, ma tutti vedono che non c’è sviluppo, che non c’è possibilità, dal momento che il governo, dovendo pagare i debiti all’estero, deve succhiare le risorse delle famiglie già impoverite.

D. – Le Borse risentono negativamente della prospettiva della vincita della sinistra radicale di Tsipras, che dire di questo?

R. – Non è sicuro: la popolazione potrebbe indirizzarsi verso la sinistra, come anche potrebbe indirizzarsi ancora di più verso la destra, il centrodestra. Ancora non è chiaro come andrà a finire.

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Ucraina: in corso tregua Kiev-separatisti, giallo su tenuta

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È giallo sulla tenuta della tregua dichiarata martedì scorso nelle regioni orientali dell’Ucraina, teatro di un conflitto che da aprile ha già provocato oltre quattromila morti tra combattenti fedeli a Kiev, miliziani filo russi e civili. Il comando militare ucraino ha denunciato violazioni al cessate-il-fuoco da parte separatista. I miliziani invece parlano di tregua globalmente rispettata. In queste ore, dovrebbe iniziare inoltre il ritiro delle armi pesanti dal fronte, per creare una zona cuscinetto larga 30 chilometri. Quella delle ultime ore è la seconda tregua siglata per la crisi in Ucraina, dopo quella concordata il 5 settembre scorso nella capitale bielorussa, Minsk. Giada Aquilino ne ha parlato con Danilo Elia, giornalista dell’Osservatorio Balcani e Caucaso: 

R. – Questa tregua è stata siglata a un livello diverso da quella degli accordi di Minsk: è un accordo fra comandanti militari delle due parti che si combattono. Quindi, c’è da capire che piega prenderà.

D. – Perché la prima tregua, quella firmata a Minsk in settembre, non ha di fatto messo fine alle ostilità?

R. – La tregua degli accordi Minsk, che ha un livello politico e quindi un livello diverso da quello attuale, in realtà ha tenuto per un certo tempo e anche per una certa misura. La linea di confine tra le due forze in campo non è cambiata dall’entrata in vigore degli accordi di Minsk. Si è continuato a combattere lungo questa linea, ma senza variazioni dei due territori, del territorio occupato dai separatisti e di quello riconquistato dal governo ucraino. Non tiene purtroppo sul fronte dei combattimenti puri e delle vittime.

D. – Nelle prossime ore, dovrebbero tenersi i negoziati tra Kiev e i separatisti filorussi per discutere una tregua più duratura. Da dove partire?

R. – Ci sono dei fattori che stanno entrando in campo. Uno, preesistente, è quello letteralmente economico per Kiev: questa guerra sta diventando sempre più insostenibile. C’è anche un altro fatto, che è quello dell’inverno, in realtà già arrivato in quelle regioni: le temperature scendono, ci sono forti nevicate, le truppe ucraine non sono equipaggiate a dovere per affrontare queste temperature così basse. Tali fattori rendono molto critica la situazione di chi combatte sul campo. E’ probabile che la volontà da parte del governo di Kiev sia più forte, più determinata nel cedere magari qualcosa alle autorità separatiste.

D. – A proposito di inverno: dopo una prima "tranche" di pagamenti ucraini per il gas, la Gazprom ha ripreso le forniture a Kiev. Che segnali sono?

R. – Nonostante il gas, lungo tutto lo svolgimento di questa crisi, sia il grande spauracchio anche per noi europei, quello che abbiamo visto finora è che, nonostante la battaglia dei prezzi e la guerra che si combatte sul campo, il flusso non si è mai interrotto. Forse, da questo punto di vista, il business è più forte degli interessi in campo, degli interessi dei belligeranti. Quando noi abbiamo ricevuto notizie del riscaldamento che non funzionava in alcune regioni dell’Ucraina, era dovuto non al grande flusso in transito sul territorio ucraino del gas dalla Russia verso l’Ucraina e verso l’Europa, ma a problemi locali, legati ai gasdotti locali, legati alla fornitura che diventa difficile per le infrastrutture danneggiate, per la guerra in corso… Da questo punto di vista si può, vorrei dire, ben sperare per il futuro.

D. – Il premier russo, Medvedev, parlando della crisi ucraina ha detto che le sanzioni danneggiano non solo la Russia, ma anche i Paesi che le impongono. Che messaggio è?

R. – Questa è la linea che la Russia sta tenendo sin dall’inizio dell’entrata in vigore delle prime sanzioni. Queste sanzioni stanno danneggiando l’economia russa, non c’è dubbio, anche in concomitanza con i fattori economici del crollo del prezzo del petrolio e della caduta del rublo. Indubbiamente, danneggiano in parte anche i Paesi partner commerciali della Russia.

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Unhcr: oltre 3.400 i migranti morti nel 2014 nel Mediterraneo

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“Attenzione a non distogliere l’attenzione dall’impegno di salvare vite umane”. E’ l’avvertimento dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati che oggi ha denunciato il bilancio dei migranti morti nel Mar Mediterraneo nel 2014, anno in cui oltre 348mila persone in tutto il mondo hanno affrontato traversate dei mari in cerca di asilo e migliori opportunità. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

È stata definita la strada più mortale del mondo: il Mediterraneo, dove il 2014 ha visto morire 3.419 persone tra coloro che prendevano il mare in cerca di salvezza, dalla povertà o dalle guerre. L’Unhcr rileva che, dall’inizio dell’anno, i migranti che hanno tentato di attraversarlo sono stati 207mila, tre volte di più del 2011, anno record, quando a fuggire dai Paesi in piena primavera araba furono in circa 70mila, essenzialmente dalla Libia. Stretta da conflitti al sud, quello della Libia, a est, dell’Ucraina e a sud-est, di Siria e Iraq, l’Europa si confronta con il più alto numero di arrivi via mare, con i richiedenti asilo che ne rappresentano il 50% circa, provenienti soprattutto da Siria ed Eritrea, dal primo in fuga per la guerra che è in corso, dal secondo per scappare da una dittatura sanguinaria, dal servizio militare obbligatorio che dura anche una vita, da minacce, arresti arbitrari e tortura. Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa:

"E’ importante mettere a punto un’azione concertata, un’azione comune, perché purtroppo le cause che spingono così tante persone a lasciare i loro Paesi non hanno finora trovato una soluzione. Ricordiamoci che la Siria è il Paese che vede il più grande numero di rifugiati al mondo in questo momento: sei milioni e mezzo circa, più sei milioni e mezzo di persone che stanno fuggendo dalle loro case all’interno della Siria".

LOnu critica aspramente le politiche migratorie degli Stati europei, stigmatizzando l’atteggiamento teso più a mantenere gli stranieri fuori dai propri confini che al rispetto del diritto d’asilo. E’ la peggior reazione da avere, è la denuncia dell’Alto Commissario Antonio Guterres, in un periodo in cui un numero record di persone fugge dalla guerra.  “Le politiche – spiega – devono essere progettate in modo che le vite umane non finiscano col diventare danni collaterali”. Ancora Carlotta Sami:

"In questo momento, siccome le cause non hanno trovato una soluzione, è importante continuare a mantenere alta la priorità del salvataggio di vite umane in mare. Nel 2014 l’Italia, con Mare nostrum, ha fatto moltissimo. Mare nostrum è terminata e c’è ora un’operazione di tipo diverso (Triton, affidata all’agenzia Frontex ndr), che innanzitutto pattuglia le frontiere. E’ importante invece che vengano messi a disposizione mezzi, tecniche e organizzazione, tali da poter pattugliare un’ampia area del Mediterraneo, perché purtroppo, ripeto, i rifugiati, in particolar modo dalla Siria, continueranno a fuggire, la guerra non finisce, e questo mette a rischio moltissimo le persone. Quindi, l’altro messaggio che noi mandiamo all’Europa, e abbiamo fatto un appello molto chiaro, è di dare la possibilità a questi rifugiati di arrivare in Europa in modo sicuro. Al momento non esiste un modo sicuro e legale per un rifugiato di entrare in Europa se non attraverso quei pochi posti che vengono messi a disposizione con i programmi di reinsediamento e abbiamo chiesto che questi numeri aumentino".

I governi - è quindi la conclusione dell’Unhcr - “non si stanno dimostrando né in grado di arginare il fenomeno, né di porre fine alla tragica morte di numerose persone lungo il percorso”. Vanno quindi guardati e affrontati i motivi che producono questi flussi, e soprattutto va capito come intervenire per bloccare le reti criminali che prosperano con questo turpe commercio.

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Papisca: se tutto diventa diritto prevale legge del più forte

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Oggi è la Giornata mondiale dei diritti umani che ricorda l’approvazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il 10 dicembre del 1948. Da allora tanti cambiamenti sono avvenuti. Lo stesso Papa Francesco nel recente discorso al Parlamento europeo ha messo in evidenza che “vi è la tendenza ad una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali” spiegando che al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto complementare di dovere e di bene comune. Su questo cambiamento, Debora Donnini ha intervistato Antonio Papisca, professore di tutela internazionale dei diritti umani all’Università di Padova: 

R. – Sicuramente si manifestano tendenze a esagerare nella rivendicazione dei diritti. Tutto diventa un diritto, in un’ottica di egoismo. Bisogna rimanere al testo della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. I diritti umani sono necessariamente individuali perché sono della persona, però della persona che è inserita nella comunità, quindi al diritto corrisponde la responsabilità di condividere i diritti con gli altri.

D.  – Perché altrimenti si rischia che prevalga la legge del più forte?

R. – Certo. C’è questo rischio. Ripeto, il senso dei diritti umani come diritti fondamentali, cioè diritti innati, è quello della condivisione, della fraternità, del rispetto degli uni per gli altri. Ora, bisogna stare molto attenti a distinguere quelli che sono i diritti fondamentali della persona da quelli che sono i diritti soggettivi, diritti che il legislatore crea, diversamente dai diritti fondamentali che sono innati alla persona.

D.  – L’aborto, l’eutanasia ma anche il non poter avere diritto ad avere un padre e una madre, opzione sancita nei fatti da alcune legislazioni, sono una forma di passaggio da una concezione dei diritti umani a una concezione di diritto sempre più individuale, sempre più soggettivo?

R.  – Sicuramente significa dare sfogo ad una laicità che non tiene conto del fatto che i diritti umani, quelli autentici, ineriscono naturalmente all’essere umano e che il principale diritto, che è la radice di tutti, è il diritto alla vita.

D. – Con l’affermarsi di questo diritto dell’individuo sempre più soggettivo non si rischia anche di isolare la persona spingendola in un certo senso a consumare sempre di più? Quindi dietro a questo proliferare di diritti non potrebbero esserci anche interessi economici?

R. – Ci sono sicuramente interessi economici ma ci sono anche mode e c’è anche una visione in fondo molto relativistica della dignità umana e di quello che significa la vita della persona umana. Quindi, è importante il tema dell’educazione. Se guardiamo al diritto internazionale dei diritti umani, alle fonti generali di questo diritto, noi vediamo che è data molta importanza al tema dell’educazione, al tema della famiglia, al tema della vita. E quindi è bene insistere su questo riferimento alle fonti generali del diritto internazionale dei diritti umani. Certamente, poi ci sono macro-diritti che sono allo stesso tempo individuali e collettivi come il diritto alla pace. Alle Nazioni Unite si sta discutendo su una dichiarazione, sul riconoscimento del diritto alla pace come diritto fondamentale. Ma anche qui ci sono relativismi. Ci sono Stati che si oppongono dicendo apertamente che se si riconosce la pace come diritto fondamentale della persona e dei popoli, allora gli Stati non possono più fare la guerra e queste sono aberrazioni come la moda di inflazionare i diritti.

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Italia, Atlante infanzia: meno spazi e opportunità

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E’ un’infanzia con meno spazi e opportunità di crescita quella descritta da "Save the Children" nel quinto "Atlante dell’Infanzia (a rischio)" in Italia. L’Organizzazione impegnata nella difesa dei diritti dei più piccoli denuncia gravi carenze nei servizi urbani e scolastici e una povertà assoluta che ha raggiunto ormai 1,4 milioni di minori, specie nel Meridione. Ma tra le pagine si ritrovano anche speranze e percorsi virtuosi insieme alla rchiesta al govreno e alle istituzioni di accelerare l'attuazione dei progetti già previsti a favore dell'infanzia. Il servizio di Gabriella Ceraso

Orizzonti sempre più ridotti quelli dei bambini e degli adolescenti italiani. Il 37% vive in città, matrigne più che materne, le definisce l’Atlante, perché invase da 37 milioni di macchine e senza spazi gioco - solo il 6% dei minori usa a questo scopo la strada e il 25% in cortile. Resistono i parchi pubblici per il 38,4% dei più piccoli, che diventano però il 12% al Sud. E difficile è la vita anche in famiglia. Quasi un minore su 4 vive in appartamenti inadeguati - perché poco luminosi, sovraffollati, umidi o con carenze strutturali - o in nuclei sotto sfratto, sono più di 65 mila nel 2013. Il resto lo fa la crisi economica: 1 milione e 434 mila gli under 18 in povertà assoluta, specie nel Mezzogiorno, con punte tra il 29 e il 19% in Calabria, Sicilia, Puglia e Sardegna. Raffaela Milano direttore programmi Save The Children Italia- Europa:

“Un ragazzo di cui riportiamo una testimonianza nell’Atlante, di Brindisi, parla del suo quartiere come un circuito chiuso, dal quale non si può quindi ad accedere a possibilità educative che sono indispensabili. Poi, purtroppo, le conseguenze di questa cecità nei confronti dell’infanzia si vedono nella povertà educativa. La metà dei bambini e degli adolescenti italiani che non ha letto un libro, se non quelli scolastici nel corso del 2013, la dice lunga su questa povertà educativa, che appunto è povertà anche di accesso a opportunità culturali ed di accesso allo sport”.

Infatti, la deprivazione materiale va di pari passo a quella culturale, visto che le famiglie tagliano la spesa alimentare ma anche sport, viaggi, cultura e svago. Il 60,8% dei ragazzi non ha visitato una mostra o un museo; non viaggia né si apre a nuovi mondi il 51,6% e lo sport è il grande assente nei pomeriggi del 53,7% degli adolescenti. Pomeriggi non occupati neanche da attività scolastiche, dato che il tempo pieno c’è solo nel 50% delle scuole elementari e medie di alcune regioni e bassi risultano i livelli di formazione e valutazione del corpo docente. Inadeguatezza del sistema scolastico denuncia dunque Save the Children:

“Quella funzione riequilibrante della scuola non viene più svolta e quindi il destino, in qualche modo, appare già segnato per quei bambini che vivono in quartieri più deprivati di risorse educative, magari con famiglie che faticano proprio a causa della crisi e che quindi mettono nel cassetto sin da molto piccoli tutte le loro prospettive di futuro. Questo è naturalmente gravissimo".

Ma c’è chi reagisce a questa povertà educativa perché un cambiamento è possibile. E l’Atlante dà voce a una molteplicità di interventi e pratiche coraggiose in questo senso: dimostrano che riaprire gli orizzonti dei minori e delle loro famiglie è già a portata di mano. Ancora Raffaela Milano:

“Penso appunto a chi apre le scuole il pomeriggio, riqualifica spazi per il verde, anche ai tanti ragazzi che sono direttamente impegnati nel riprendere i propri spazi sul territorio: dallo sport alla possibilità di creare accademie del cinema nei quartieri più svantaggiati. Che cosa succede però oggi in Italia? Queste realtà sono molto isolate. La cosa che noi chiediamo alle istituzioni è invece di prendere sul serio queste esperienze e di fare in modo che possano dettare anche un cambiamento di carattere più generale”.

Ma al governo e alle istituzioni questo Atlante chiede anche maggiore velocità nell’attuazione di quanto già previsto per i minori:

“La nuova social card può aiutare, però con troppa lentezza si sta diffondendo nel Paese. Gli asili nido: qui ci sono ancora milioni di euro che non sono spesi della vecchia programmazione europea. Quello che noi chiediamo al governo è di rendere veloce, di rendere effettivi degli interventi che di fatto già sono stati in qualche modo programmati. I tempi della crescita dei bambini non sono i tempi della burocrazia attuale”.

Dal canto suo, cresce l’intervento anche di Save the Children sul territorio. La rete dei punti luce sparsi ad alta densità educativa in zone prive di servizi aumenta: 11 sono stati aperti nel solo 2014. Inoltre, i minori in condizioni accertate di povertà vengono sostenuti da una dote educativa, un piano formativo personalizzato per dare nuove opportunità a migliaia di loro nell’ambito della campagna “Illuminiamo il futuro”.

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Procuratore antimafia: ricostruire etica pubblica e valori

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Polizia e Carabinieri hanno compiuto tra ieri e oggi due grosse operazioni antimafia nel Paese: in Umbria sono state arrestate 61 persone per infiltrazioni di cosche calabresi nel tessuto economico locale. In Calabria sono 21 i fermi legati ad attività criminose della ‘ndrangheta. Intanto a Roma, proseguono gli interrogatori per l’inchiesta su Mafia Capitale. Antonella Palermo ha chiesto a Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, se la vicenda di Roma abbia caratteristiche specifiche: 

R. – Non credo che ci siano fattori specifici. La corruzione politica, purtroppo, è un male grave del nostro Paese, al quale bisognerebbe porre rimedio urgentemente, attraverso interventi preventivi, ma anche più efficaci sul piano repressivo. Bisogna ricostruire anche un tessuto etico, di etica pubblica, di responsabilità in questo Paese, dove – purtroppo – sembra che se ne sia persa la traccia! Dunque non è che a Roma ci sia caratteristiche particolari, se non le caratteristiche dell’essere Roma la capitale di Italia e quindi la sede del potere centrale, la sede delle direzioni dei partiti; il Comune di Roma è, tra l’altro, una macchina amministrativa molto grande, complessa, costosa e oggetto di grandi attenzioni da parte della criminalità organizzata. “Tangentopoli” è stata una storia di malaffare, di criminalità dei colletti bianchi, di corruzione diffusa, di corruzione del sistema e non nel sistema. Questo è un altro fenomeno criminale, in cui c’è la corruzione, ma c’è anche la mafia, c’è la capacità di violenza e di intimidazione; c’è purtroppo la permeabilità delle istituzioni, che viene fuori in modo sempre più evidente.

D. – Ma chi la deve fare questa pulizia?

R. – Naturalmente tocca anzitutto alla classe politica, ma poi tocca anche a tutti gli esponenti delle istituzioni.

D. – Ma qui sembra che appena si entra in ruoli chiave delle istituzioni, ci si contamina…

R. – Purtroppo l’impressione è forte, anche se magari non rispecchia completamente la realtà perché poi ci sono anche politici per bene, ci sono imprenditori onesti che buttano il sangue dalla mattina alla sera per portare avanti le loro attività economiche. L’impressione, però, qual è? E’ che oggi la politica sia – parafrasando von Clausewitz – una prosecuzione degli affari con altri mezzi. E questo non va bene!

D . – “Non dovevo fidarmi dei miei collaboratori” è la frase ricorrente da parte di politici indagati per mafia… Non ci si può fidare davvero più di nessuno quando si varca quella soglia?

R. – No! Quando si scelgono i collaboratori bisogna stare molto attenti e fare tutte le verifiche possibili per scegliere persone oneste. Mi rendo conto che purtroppo il rischio che poi si possa andare incontro a sconfitte o delusioni sia sempre presente, però con molta attenzione si può ridurre di molto questo rischio.

D. – Oggi più che mai sembra saltata ogni appartenenza ideologica, anche in chi usa questa logica di ricatto: contano solo i soldi!

R. – Le mafie non hanno mai avuto una copertura ideologica: le mafie hanno sempre avuto soltanto lo scopo di arricchimento, di depredazione del denaro pubblico e anche di prevaricazione sugli esseri umani e che purtroppo non sono sempre state efficacemente contrastate. Noi abbiamo una legislazione antimafia molto avanzata rispetto a tanti altri Paesi - anche europei, anche dell’Unione Europea - ed anche oramai una conoscenza del fenomeno che è molto forte, molto radicata, molto ampia. Quindi il contrasto è efficace, dovrebbe esserlo di più e potrebbe esserlo di più se funzionasse un po’ meglio da un lato la cooperazione internazionale, perché le mafie ormai sono transnazionali e quindi seguono i percorsi del denaro anche fuori dai loro territori di origine; dall’altro fare del contrasto della criminalità organizzata una priorità dell’azione politica.

D. – Qualcuno avanza come antidoto alla corruzione, la proposta di diminuire drasticamente – per esempio – la quota di risorse intermediate dallo Stato…

R. – Credo che l’antidoto alla corruzione sia la trasparenza e la riduzione dei centri di decisioni a quelli che sono essenziali.

D. – Siamo alla vecchia questione: il potere giudiziario che sopperisce al potere politico?

R. – Il potere giudiziario fa il suo lavoro, il potere politico dovrebbe fare il proprio. La magistratura dovrebbe avere più mezzi, altre istituzioni dovrebbero svolgere con altrettanta indipendenza il loro ruolo. Non sempre ciò avviene.

D. – Di cosa è più preoccupato in questo momento?

R. – Della situazione di crisi, che non è solo una crisi economica, ma è anche una crisi di valori e che sta provocando e rischia di provocare anche una disgregazione tra le classi sociali. Solo sull’unità del Paese si può costruire una vera democrazia e ciascun cittadino può, adempiendo ai proprio doveri, rivendicare i propri diritti costituzionali.

D. – Il Paese è sconfitto?

R. – No! Assolutamente no! Il Paese ha le risorse per reagire e per superare questo momento di crisi. Io ne sono certo!

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Nella Chiesa e nel mondo



Malala riceve ad Oslo il Nobel per la pace

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"Malala è diventata una fonte di ispirazione per le ragazze e i giovani in generale in Pakistan", in molte vogliono diventare "leader" come lei e "servire" il Paese "con lo stesso spirito", in particolare per l'impegno profuso "nel settore dell'educazione". È quanto riferisce all'agenzia AsiaNews Amjad Gulzar, direttore esecutivo di Caritas Pakistan, commentando la consegna ufficiale oggi ad Oslo - del Nobel per la pace a Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice nella storia dell'ambito riconoscimento.

La 17enne attivista pakistana, di religione musulmana, lo scorso ottobre è stata insignita del riconoscimento, assieme all'omologo indiano Kailash Satyarthi, induista, in prima linea nella difesa per i diritti dei bambini. Personalità del mondo della politica, della società civile, ma anche giovani e semplici cittadini, racconta il responsabile Caritas, riconoscono "il servizio" svolto dalla giovane per il Pakistan. Si tratta di un "onore" per una nazione che, spesso, è nota per gli attacchi dei miliziani, "islamizzazioni" forzate, attacchi suicidi e la guerra aperta contro l'istruzione femminile.

Malala Yousafzai - già vincitrice un anno fa del premio Sakharov - il 9 ottobre 2012 è rimasta vittima di un attentato talebano nella Swat Valley, area montagnosa della provincia di Khyber Pakhtunkhwa, al confine con l'Afghanistan, roccaforte degli estremisti. È stata colpita mentre si trovava a bordo dello scuolabus che l'avrebbe accompagnata a casa, dopo le lezioni del mattino.

La giovane, salvata grazie a una campagna di mobilitazione internazionale, era diventata famosa nel 2009 all'età di 11 anni, per aver tenuto un blog sul sito in lingua locale della Bbc in cui denunciava gli attacchi dei fondamentalisti islamici pakistani contro le ragazze e gli istituti scolastici femminili.

In una intervista rilasciata alla vigilia della consegna del Nobel , la giovane ha dichiarato di voler intraprendere una carriera in politica. Dopo aver completato gli studi in Gran Bretagna, Malala - che non ha mancato di sottolineare l'assenza dei premier di Pakistan e India alla cerimonia - afferma di aspirare alla carica di Primo Ministro "per servire il mio Paese" e trasformarlo "in una nazione sviluppata" in cui ogni bambino "gode del diritto allo studio". La sua fonte di ispirazione è Benazir Bhutto, due volte premier e assassinata da estremisti islamici nel dicembre 2007. (R.P.)

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Scontri con soldati israeliani, muore ministro Anp

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Un ministro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) è morto oggi dopo essere stato colpito nel corso di scontri tra dimostranti e soldati israeliani in un villaggio della Cisgiordania. La notizia - riporta l'agenzia Misna - è stata confermata dal Presidente Mohamoud Abbas, che ha parlato di “un crimine barbaro”.

Ziad Abu Ein, questo il nome del ministro, responsabile delle questioni legate all’Occupazione, sarebbe deceduto dopo essere stato colpito al petto e aver inalato gas lacrimogeni utilizzati dai soldati per disperdere un corteo nei pressi di Ramallah.

Nelle ultime settimane si sono intensificate le violenze legate al conflitto israelo-palestinese. A fine novembre il parlamento francese è divenuto l’ultima Assemblea in Europa a votare in favore del riconoscimento di uno Stato palestinese. (V.G.)

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Patriarca Youssif III al Sinodo della Chiesa siro-cattolica

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I cristiani siri hanno conosciuto esperienze di persecuzione e di martirio “fin dai tempi antichi”. E oggi, davanti alle convulsioni che sconvolgono il Medio Oriente e provocano sofferenze alle comunità cristiane locali, il primo compito dei pastori è quello di consolare il popolo e aiutare tutti a leggere i “segni dei tempi”, per non fermarsi al lamento e ai sentimenti di lutto, e riconoscere il disegno della provvidenza nei fatti che stanno accadendo.

E' questo il discernimento spirituale del tempo presente che il patriarca di Antiochia dei Siri, Ignace Youssif III, ha voluto suggerire nell'intervento con cui ha aperto il Sinodo annuale della Chiesa siro-cattolica, convocato a Roma dall'8 al 10 dicembre.

Nelle sessioni del Sinodo, presieduto dal patriarca - riporta l'agenzia Fides - 18 vescovi siro-cattolici, provenienti in gran parte dai Paesi del Medio Oriente, si stanno facendo carico dei problemi e delle urgenze vissute dai fedeli, sia in Medio Oriente che nei Paesi dove sono presenti le comunità della diaspora siro-cattolica.

All'ordine del giorno del Sinodo figurano anche la messa a punto delle iniziative previste per la commemorazione del centesimo anniversario degli stermini contro i cristiani armeni e siriaci, consumati in Anatolia nel 1915. Nel dibattito sinodale verrà dedicata attenzione anche al rapporto tra i sacerdoti e i vescovi e al dialogo ecumenico con i fratelli cella Chiesa siro-ortodossa.

Nel suo intervento di apertura, il patriarca Ignace Youssif III ha espresso preoccupazione per la situazione di stallo istituzionale vissuta dal Libano, richiamando la classe politica libanese a assumersi le proprie responsabilità “davanti a Dio, al popolo e alla storia” e rendendo omaggio all'esercito e alle forze dell'ordine che proteggono il Paese dei Cedri dal contagio jihadista.

Il patriarca si è soffermato anche sulle sofferenze delle comunità cristiane che nell'Iraq settentrionale hanno dovuto abbandonare le proprie case davanti all'offensiva dei miliziani del sedicente Stato Islamico (Is). Attualmente – ha detto tra l'altro S. B. Ignace Youssif III – più di un terzo dei siro-cattolici iracheni vivono la condizione di rifugiati senzatetto, sottoposti alla tentazione di fuggire all'estero e abbandonare per sempre le proprie terre d'origine. (r.p.)

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Filippine: sopravvissuti di Haiyan in aiuto a vittime di Hagupit

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I profughi colpiti lo scorso anno dal terribile tifone Haiyan sono in prima linea dell’aiutare le nuove vittime del tifone Hagupit: è quanto riferisce un comunicato della Caritas delle Filippine ripreso dall’agenzia Fides. Dall’arcidiocesi di Palo, la più colpita da Haiyan, si sono infatti mosse squadre di soccorso di volontari per dare assistenza ai nuovi sfollati nella città di Catbalogan, sull’isola di Samar.

La nuova tempesta tropicale abbattutasi sull’isola ha fatto, in un bilancio provvisorio, 27 morti, ha distrutto o danneggiato circa 50mila case, ha costretto allo sfollamento oltre 1,6 milioni di persone.

Come riferito a Fides, il gruppo dei volontari cattolici è guidato da don Alcris Badana, e ha compiuto un viaggio di oltre quattro ore per raggiungere la parrocchia di San Bartolomeo a Catbalogan e consegnare aiuti umanitari a oltre mille famiglie colpite da Hagupit.

Don Badana ha rimarcato: “Tutte le 85 diocesi filippine stanno aiutando le vittime di Hagupit. Dall’area colpita lo scorso anno, c’è stata una risposta immediata: questo è anche il nostro modo di ripagare la bontà di quanti si sono impegnati senza riserve per assistere i profughi di Haiyan”.

L’unità di assistenza guidata da don Badana è impegnata nella riabilitazione nella provincia Leyte. Tra gli interventi avviati, la fornitura di tende, cibo, servizi igienico-sanitari ma anche sessioni di formazione per la prevenzione e per il recupero dell’ecosistema.

Il Centro di azione sociale della diocesi di Calbayog, a Samar, guidato da don Cezar Aculan, beneficiario dei nuovi interventi, ha espresso profonda gratitudine all'arcidiocesi di Palo. Finora la Chiesa cattolica, attraverso la Caritas Filippine, ha già inviato circa tre milioni di pesos alla Chiesa locale, mentre altri fondi sono stanziati da Caritas Internationalis.

Per gli aiuti la Chiesa filippina sta utilizzando i fondi raccolti attraverso il programma specifico “Alay Kapwa”, avviato in Quaresima, mirato ad aiutare le vittime di calamità e disastri naturali. (P.A.)

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Vescovi filippini: tolleranza zero contro la tratta

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“Contro il traffico di esser umani la tolleranza deve essere zero”. E’ il severo monito contenuto in una lettera pastorale diffusa lunedì dalla Conferenza episcopale filippina (Cbcp) e ripresa dall’agenzia Ucan, che evidenzia anche le responsabilità della Chiesa nella lotta contro questa piaga.

“Anche un solo filippino vittima del traffico di esseri umani è troppo per un Paese cristiano come il nostro”, sottolinea nel documento il presidente dei vescovi mons. Socrates Villegas. “Nelle nostre città è impiantata questa rete criminale, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta. Così non si può andare avanti. Dobbiamo dire basta”, denuncia la lettera citando la “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco.

Secondo l’ultimo rapporto annuale della “Walk Free Foundation”, una ong australiana che lotta contro le moderne forme di schiavitù, le Filippine risultano tra i Paesi più impegnati nella campagna contro la tratta, ma con mezzi insufficienti. Contro una piaga così pervasiva e la pervicacia dei trafficanti, mons. Villegas sottolinea la necessità di una più stretta collaborazione tra Chiesa e governo.

L’appello della Conferenza episcopale, segue l’allarme lanciato poco più di una settimana fa da mons. Broderick Pabillo, vescovo ausiliare di Manila, che aveva segnalato i pericoli incombenti sui sopravvissuti del tifone Haiyan del 2013. In particolare il presule aveva invitato a mantenere viva l’attenzione sulle categorie a rischio, donne e ragazze di giovane età, costrette a vendersi come "schiave del sesso", o assoldate nel mercato del "lavoro minorile".

Nella sua denuncia mons. Pabillo aveva parlato anche della sorte dei lavoratori filippini oltremare (Ofw), spesso vittime di abusi e costretti a lavorare in condizioni disumane. (A cura di Lisa Zengarini)

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India: vescovi chiedono rispetto per i diritti umani

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In occasione dell'odierna Giornata Internazionale dei Diritti Umani, “è necessario approfondire la situazione dei diritti umani in India e sollecitare lo Stato a porre urgente rimedio ad alcune situazioni. La più dolorosa è quella delle minoranze religiose: il loro diritto alla libertà religiosa è spietatamente e aspramente calpestato dai gruppi militanti che godono di massima impunità nel nuovo ambiente politico, dopo le elezioni generali di quest'anno”. E’ quanto afferma un messaggio diffuso dalla Commissione per la Giustizia, la Pace e lo Sviluppo, della Conferenza episcopale cattolica indiana.

Nel messaggio, firmato dal Segretario esecutivo, padre Charles Irudayam, e inviato all’agenzia Fides, si afferma: “Questi gruppi militanti non solo si fanno padroni della legge, assalgono e intimidiscono i gruppi religiosi minoritari, ma sfidano anche le amministrazioni locali che cercano onestamente di mantenere la stato di diritto”.

I recenti episodi di violenza registrati a Delhi, in Madhya Pradesh, Karnataka e Chhattisgarh “sono solo la punta di un iceberg”, si nota. Questi gruppi, che appartengono alla galassia estremista indù, “non hanno rispetto per le norme costituzionali e possono diventare una minaccia nazionale e un pericolo per i diritti umani” spiegano i vescovi.

“Altrettanto sconcertante è la situazione dei tribali” si afferma nel messaggio. I loro diritti “vengono calpestati in nome dello sviluppo, al fine di placare gli interessi di profitto delle grandi multinazionali”. Milioni di adiavsi (indigeni) sono costretti a lasciare le loro terre, e le loro proteste “vengono spietatamente represse”.

Il testo evidenzia anche “la condizione dei dalit, oggetto di violenza senza scrupoli”. Sebbene la Costituzione indiana abbia abolito l’intoccabilità, essa permane, e “i più discriminati sono i dalit cristiani e musulmani” Il messaggio ricorda altri gruppi vulnerabili in India come le donne e i bambini. Secondo l'India National Crime Bureau, ogni giorno 92 donne vengono violentate in India, mentre “non si fa abbastanza per proteggere i bambini dalla schiavitù”.

In occasione della Giornata internazionale per i diritti umani, i vescovi chiedono alle autorità governative di “onorare il loro obbligo di proteggere i diritti umani dei cittadini indiani”, associandosi alle parole di Papa Francesco: “La Chiesa rinnova oggi il suo forte appello per la tutela della dignità e della centralità di ogni persona, nel rispetto dei suoi diritti fondamentali, come sottolinea la sua dottrina sociale, diritti che chiede siano davvero estesi là dove non sono riconosciuti a milioni di uomini e donne in tutti i continenti”. (R.P.)

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Nicaragua: incontro Chiesa-Governo sul canale interoceanico

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Alla vigilia della marcia in programma per oggi, contro la costruzione del Canale interoceanico tra il Pacifico e l'Atlantico, che allontanerebbe dalla loro terra migliaia di contadini, arrecando anche gravi danni all’ambiente, rappresentanti della Chiesa locale e funzionari del governo si sono incontrati nella sede della Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen).

Il card. Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, presidente della Cen, ha commentato, secondo la nota inviata all’agenzia Fides da una fonte locale: "noi vescovi abbiamo solo ascoltato spiegazioni tecniche" e quindi "ci sarà un altro incontro per ulteriori informazioni" sul megaprogetto.

L'incontro, durato più di tre ore, è servito infatti per presentare ai vescovi il progetto del canale da parte del portavoce della Commissione del Canale, Telemaco Talavera, accompagnato dall'assessore per le politiche pubbliche del governo, Paul Oquist, e dal deputato del partito Frente sandinista (Fsln), Edwin Castro, attualmente al governo.

All'incontro era presente anche il nunzio apostolico, l'arcivescovo Fortunatus Nwachukwu, ed i rappresentanti della Hong Kong Nicaragua Development, che eseguiranno i lavori.

Il segretario generale della Cen, mons. Jorge Solorzano, vescovo di Granada, una delle diocesi coinvolte direttamente nei lavori per la costruzione del canale, ha ribadito la richiesta di trasparenza nei lavori, e alla fine della riunione ha affermato: "abbiamo chiesto che si ascolti il popolo". (R.P.)

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Messico: Chiesa vicina a famiglie degli studenti scomparsi

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I vescovi messicani hanno presentato le loro condoglianze ad Ezequiel Mora, padre di Alexander, uno dei 43 studenti scomparsi ad Ayotzinapa, i cui resti sono stati identificati dagli esperti.

La Conferenza episcopale messicana (Cem), ha reso noto che ieri pomeriggio, mons. Carlos Garfias Merlos, arcivescovo di Acapulco, e mons. Eugenio Lira Rugarcía, vescovo ausiliare di Puebla e segretario generale della Cem, hanno chiamato al telefono Ezequiel Mora, a nome di tutti i vescovi del Paese, per "esprimere - riporta l'agenzia Fides - le loro condoglianze per l'assassinio, crudele e riprovevole, di suo figlio Alexander".

Intanto la tensione nel Paese non accenna a diminuire. Il nunzio apostolico in Messico, l'arcivescovo Christophe Pierre, dopo aver presieduto l'ordinazione di 4 sacerdoti nella cattedrale di Culiacán, Sinaloa, l'8 dicembre, ha risposto alle domande dei giornalisti. La nota inviata a Fides riporta le sue dichiarazioni: "Il Paese vive momenti difficili, forse una crisi di fiducia nella società, nelle autorità, ci sono molti dubbi. Tuttavia ci sono sacerdoti e fedeli che stanno cercando le soluzioni per non cadere nel pessimismo".

Mons. Christophe Pierre ha menzionato la creazione di una nuova commissione di attenzione per la giustizia, la pace e la riconciliazione nel Paese, perché "protestare senza proporre niente è sterile". Quindi ha sottolineato: "Mi piace vedere che la Chiesa cattolica è parte della società, si sente solidale con coloro che soffrono, ma deve anche sentire la responsabilità di trovare soluzioni, di offrire una via di uscita". (R.P.)

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Germania: le Chiese condannano il commercio delle armi

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La Conferenza delle Chiese unite e dello sviluppo (Gkke) - assemblea ecumenica delle Chiese cattolica ed evangelica della Germania per il dialogo sul rapporto Nord-Sud - ha presentato per la diciottesima volta dal 1997 il rapporto annuale sull’esportazione delle armi.

Con questo rapporto - riferisce l'agenzia Sir - la Gkke riunisce le informazioni pubblicamente disponibili sulle esportazioni tedesche di armi da guerra e degli armamenti e valuta le politiche di esportazione delle stesse all’interno dei contesti di pace, sicurezza e sviluppo.

Il documento per il 2014 presenta una forte critica al governo tedesco, ma anche dei partner dell’Ue e della Nato, per la significativa espansione dell’offerta e della vendita di armamenti verso Paesi terzi: il presidente Gkke, il cattolico Karl Jüsten, ha evidenziato, durante la presentazione, ieri a Berlino, che nella prima metà del 2014, la quota di esportazione verso i Paesi al di fuori di Nato e Ue è salito a una quota record del 63,5%, affermando che “questo è inaccettabile”.

L’aumento riguarda soprattutto il commercio verso il Nord Africa e il Medio Oriente, ovvero le aree di maggiore tensione internazionale. Il numero di esportazioni effettive di armi da guerra ha avuto nel 2013 un valore pari a 933 milioni di euro. La Germania è uno dei cinque maggiori esportatori di armi in tutto il mondo. (R.P.)

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Sud Corea: ordinazione del primo diacono della Mongolia

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La Chiesa cattolica coreana e quella "sorella" della Mongolia sono in festa per l'ordinazione del primo diacono proveniente dalle steppe asiatiche. Dopo anni di studio nel seminario di Daejeon, infatti, domani il vescovo mons. Lazzaro You Heung-sik consacrerà Giuseppe Enkh-Baatar. Insieme a lui altri sette giovani sudcoreani avviati al sacerdozio. Concelebrante anche mons. Wenceslao Padilla, prefetto apostolico di Ulaan Baatar. Parlando all'agenzia AsiaNews durante la recente visita pastorale di papa Francesco in Corea, il nuovo diacono aveva definito questo giorno "un sogno che posso vivere giorno per giorno".

Prima di entrare in seminario, Giuseppe - parrocchiano della cattedrale dei santi Pietro e Paolo nella capitale mongola - si è laureato in biochimica all'Università internazionale della Mongolia, un istituto retto dai protestanti coreani. Il 28 agosto del 2012 ha lasciato il suo Paese per la Corea, dove prima ha imparato la lingua locale e poi si è dedicato agli studi teologici.

Secondo mons. Padilla, l'ingresso di Giuseppe nel clero cattolico "aiuterà ancora di più il piccolo gregge che vive nelle steppe della Mongolia. Anche se al momento insieme a lui vi è solo un altro giovane mongolo che ha ricevuto la vocazione (e che studia anche lui a Daejeon), molti altri ragazzi cattolici nel Paese vivono con grande serietà e con amore la fede".

Oltre all'importanza ecclesiale, missionaria e apostolica - riporta AsiaNews - questa ordinazione ha un grande rilievo anche dal punto di vista pratico. Secondo il diritto della Repubblica di Mongolia, infatti, soltanto i cittadini hanno il diritto di acquistare terreni da dedicare alla costruzione di luoghi di culto e soltanto loro possono guidare le organizzazioni religiose. Anche se abbastanza tolleranti con i cattolici, i funzionari mongoli hanno applicato con durezza queste regole ad altre denominazioni cristiane, che hanno dovuto limitare molto il proprio apostolato nel Paese.

Secondo le ultime stime, i cristiani - di tutte le confessioni - presenti in Mongolia rappresentano poco più del 2% della popolazione, a stragrande maggioranza di fede buddista mischiata con credenze sciamaniche della tradizione locale. Resta alta anche la quota degli atei, che sfiora il 40% del totale.

I cattolici sono un migliaio circa, ma hanno saputo far nascere e crescere col tempo centri di accoglienza per orfani, diseredati e anziani, cliniche mediche - in un Paese in cui le infrastrutture sanitarie scarseggiano - e diverse scuole e istituti tecnici.

Nel 1992, al momento dell'ingresso dei primi missionari stranieri (soprattutto filippini), tra i quali il futuro vescovo (della Congregazione del Cuore immacolato di Maria), non vi erano parrocchie. E solo lo scorso anno erano ancora quattro rispetto alle sei di oggi in tutto il Paese, a conferma del cammino di sviluppo.

Nella lettera pastorale diffusa per i 20 anni della Chiesa in Mongolia, il prefetto apostolico ha ricordato che oggi vi sono nel Paese 81 missionari di 22 nazionalità diverse. A Ulaan Baatar anche una "missio ad gentes" del Cammino neocatecumenale "inviata" da Papa Francesco. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 344

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.