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Sommario del 13/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: chi aiuta un povero annuncia la gioia del Vangelo

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Dio riconosce la dignità e la nobiltà di un “figlio amato” in chi il mondo rigetta “come inutile”. Papa Francesco ha ribadito un pensiero a lui caro nel ricevere in udienza, nel Palazzo apostolico, un gruppo appartenente all’opera “Notre-Dame des Sans-Abri”, che si occupa di dare accoglienza ai senzatetto. Il servizio di Alessandro De Carolis

Forse a Colei che la venerazione e l’amore hanno ricoperto di titoli spiritualmente alti e profondissimi sarà particolarmente caro questo così concreto, intriso di umanità e pietà genuina, che caro lo è certamente per Papa Francesco: “Nostra Signora dei senzatetto”. Perché questo fu il nome che un professore francese di letteratura vissuto nel Novecento, Gabriel Rosset, scelse per denominare l’opera di assistenza da lui fondata e cui si dedicò per la vita accanto alla professione di insegnante.

Un’opera che apre la braccia a chi spesso il resto del mondo le chiude e che Papa Francesco accoglie con calore speciale nel riceverne una delegazione nella Sala del Concistoro. “Vorrei che sappiate quanto apprezzo – così inizia subito il discorso – il vostro impegno nei confronti dei più poveri, delle persone che la società rifiuta, che non hanno un tetto, né qualcosa per sfamarsi, sono senza lavoro e perciò senza dignità”

“Il mondo attuale ha urgente bisogno di tale testimonianza di misericordia divina. Nel momento in cui oggi la persona umana è spesso rigettata come inutile perché non rende più, Dio, al contrario, riconosce sempre in essa la dignità e la nobiltà di un figlio amato; essa ha un posto privilegiato nel suo cuore. Il povero è il preferito del Signore, è al il centro del Vangelo”.

Gabriel Rosset “aveva ascoltato il grido dei poveri; era rimasto sconvolto di fronte alla sofferenza degli altri, e ha risposto con generosità”, ricorda il Papa, che evidenzia come l’appello di chi non ha nulla è lo stesso appello di Gesù sofferente e “nelle persone che voi servite – ripete Francesco – voi toccate le sue ferite e le curate”. I poveri permettono di incontrare Gesù, direttamente, “ci evangelizzano, ci evangelizzano sempre”, afferma il Papa:

“Vi ringrazio per questa testimonianza di misericordia che date con tante azioni concrete, gesti semplici e calorosi mediante i quali alleviate la miseria delle persone, dando loro anche una speranza nuova e restituendo loro dignità. Non c’è un mezzo più bello per annunciare oggi al mondo la gioia del Vangelo. L’opzione per gli ultimi, per quelli che la società rigetta e mette da parte è un segno che possiamo dare sempre, un segno che rende efficacemente testimonianza a Cristo morto e risorto. E’ un segno sacramentale”.

L’ultimo pensiero di Papa Francesco è per quel “Nostra Signora dei senzatetto”, oasi di accoglienza tra le sabbie della cultura dello scarto:

“Che bel nome! La Madre di Gesù che dà un tetto ai suoi figli! La dimensione mariana del vostro impegno per gli altri mi sembra essenziale. Il Cuore di Maria è pieno di compassione per tutti gli uomini, soprattutto per i più poveri e svantaggiati, quelli che ne hanno più bisogno; ed è la sua tenerezza materna – insieme a quella della Chiesa – che si manifesta attraverso di voi”.

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Papa ai ciechi: fare comunità nel tempo dei diritti individualisti

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Avere il coraggio di non chiudersi nelle prove della vita e invece aprirsi agli altri e fare comunità anche in un tempo in cui si punta molto sui diritti individualistici: è l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ai membri del Consiglio Nazionale dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, ricevuti in occasione  della festa di Santa Lucia, patrona delle persone prive della vista. Il servizio di Sergio Centofanti

Santa Lucia, martire a Siracusa nel quarto secolo durante l’Impero di Diocleziano, morta tra le torture – ricorda il Papa – insegna alcuni valori umani “condivisibili da tutti”, credenti e non credenti. E in questo senso, Francesco apprezza il riferimento alla Santa da parte di un’associazione non confessionale che continua a considerare il valore della tradizione: “questo – ha detto - non è scontato”.

Innanzitutto c’è il coraggio di questa giovane donna, “che le veniva da Cristo risorto”. “Tutti – ha sottolineato il Pontefice - abbiamo bisogno di coraggio per affrontare le prove della vita”:

“In particolare le persone cieche e ipovedenti ne hanno bisogno per non chiudersi, per non assumere un atteggiamento vittimistico, ma al contrario aprirsi alla realtà, agli altri, alla società; per imparare a conoscere e valorizzare le capacità che il Signore ha posto in ciascuno, veramente in ciascuno, nessuno escluso! Ma per questo ci vuole coraggio, forza d’animo”.

Un altro valore suggerito da Santa Lucia è “il fatto che lei non era sola, ma faceva parte di una comunità”. “Anche questo aspetto – osserva - trova riscontro sul piano umano”.  Un’associazione, infatti “è un valore”, non è “una somma di individui, è molto di più”. E oggi – ha affermato il Papa “c’è molto bisogno di vivere con gioia e impegno la dimensione associativa, perché in questo momento storico è ‘in ribasso’, non è fortemente sentita. Fare gruppo, essere solidali, incontrarsi, condividere le esperienze, mettere in comune le risorse… tutto questo fa parte del patrimonio civile di un popolo”:

“E spesso le persone che convivono con degli svantaggi o delle disabilità possono dire a tutti, con la loro esperienza, che non siamo ‘monadi’, non siamo fatti per essere isolati, ma per relazionarci, per completarci, aiutarci, accompagnarci, sostenerci a vicenda. La presenza delle persone disabili provoca tutti a fare comunità, anzi, ad essere comunità, ad accoglierci a vicenda con i nostri limiti. Perché tutti abbiamo capacità, ma tutti abbiamo anche limiti!”.

Infine, “Lucia ci dice che la vita è fatta per essere donata” e “il valore del dono di sé è universale: è il segreto della vera felicità. L’uomo non si realizza pienamente nell’avere e neppure nel fare; si realizza nell’amare, cioè nel donarsi”:

“Vivere secondo questi valori può comportare anche oggi delle incomprensioni, la fatica di andare a volte controcorrente; ma questo non stupisce: la testimonianza richiede sempre di pagare di persona. Le odierne società che puntano molto sui diritti ‘individualisti’ rischiano di dimenticare la dimensioni della comunità e quella del dono gratuito di sé per gli altri”.

Perciò – ha concluso il Papa – “c’è ancora bisogno di lottare”, con “coraggio e con la gioia di farlo insieme”.

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Disoccupazione giovanile e educazione nel colloquio tra il Papa e Renzi

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Papa Francesco ha ricevuto in visita ufficiale il premier italiano Matteo Renzi, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“I colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - si sono svolti in un clima sereno e cordiale. L’attenzione si è soffermata, tra l’altro, sull’attuale contesto segnato da persistenti difficoltà di natura economica e sociale, con conseguenze negative soprattutto per l’occupazione dei giovani. Inoltre, si è convenuto sull’importanza dell’educazione per promuovere il futuro delle nuove generazioni”.

“Sono stati considerati, poi, alcuni temi di politica internazionale e si è condivisa la grave preoccupazione specialmente per il progressivo peggioramento dei conflitti nell’area mediorientale. Con riferimento al semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea, si è ribadita l’importanza dei temi affrontati dal Santo Padre in occasione del suo recente intervento al Parlamento Europeo di Strasburgo. Essi risultano fondamentali per l’armonico sviluppo dei popoli europei. Infine, si è rinnovato l’impegno delle Parti a proseguire nella mutua cooperazione per risolvere alcune problematiche di natura bilaterale”.

Il premier era accompagnato dalla moglie Agnese, e dai tre figli. Con lui anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio e il ministro degli Esteri Paolo Gentilioni accompagnati dalle rispettive consorti. Matteo Renzi ha regalato al Papa una cassa di vin santo dalla valle del Chianti, mentre Francesco ha donato la sua Esortazione apostolica Evangelii Gaudium e la consueta medaglia dell'Angelo della pace.

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45.mo ordinazione Francesco, gli auguri di un sacerdote di Buenos Aires

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"Oggi è l’anniversario della mia ordinazione sacerdotale. Vi chiedo di pregare per me e per tutti i sacerdoti”. Così, con un tweet, Papa Francesco ha ricordato che il 13 dicembre del 1969 veniva ordinato prete. Nell’occasione, Alessandro Gisotti ha intervistato José María Zivano, ordinato sacerdote proprio dal cardinale Bergoglio 8 anni fa a Buenos Aires, e che vive ora al Collegio argentino a Roma: 

R. – Per me, e anche per tutti i sacerdoti, specialmente quelli di Buenos Aires, è una gioia grande: quando il Papa era il cardinale Bergoglio, diceva già quello che dice anche ora: “Pregate per me”. Il Papa questo lo chiede sempre, e da cardinale diceva lo stesso e noi pregavamo sempre per lui e lui per tutti noi. Era un padre, per tutti noi …

D. – Fin dai suoi primi passi come sacerdote, e diremmo anche nella vocazione di Jorge Mario Bergoglio, c’è la misericordia: “Miserando atque eligendo” è il suo motto, da vescovo e da Papa …

R. – Sì, sì: sempre. Sempre, perché il cardinale diceva questo: che dobbiamo essere misericordiosi perché Dio è misericordioso con tutti noi. Il cardinale Bergoglio, a Buenos Aires, diceva che la misericordia è la cosa principale per un prete, perché Dio è misericordioso con tutti noi e noi dobbiamo fare lo stesso con la gente.

D. – Quali sono i ricordi più forti degli anni in cui lei era sacerdote e Bergoglio era il suo vescovo, a Buenos Aires?

R. – Per esempio, se lo chiamavo per chiedere un appuntamento, dopo dieci minuti mi richiamava il cardinale. Lui si occupava di noi tutti, sempre. Un uomo di Dio, veramente.

D. – In qualche modo, questa sua testimonianza conferma quello che Francesco dice ai vescovi: “Fatevi trovare sempre dai vostri sacerdoti” …

R. – Sì, sì: sempre, sempre, sempre! Dall’anno 1998, quando era diventato arcivescovo a Buenos Aires, al 2013, è sempre stato disponibile. Lo chiamava qualche prete, il cardinale era disponibile sempre. Per me è un esempio, un esempio in tutto; però, per quanto riguarda la disponibilità, è una cosa impressionante.

D. – Ultimamente, vi siete visti con l’ormai Papa Francesco – non più il cardinale Bergoglio – anche a casa Santa Marta. Può dirci qualcosa?

R. – Eh sì: per l’anniversario della mia ordinazione, che ricorreva il 18 novembre scorso; lui mi ha ordinato a Buenos Aires. Sono stato a Casa Santa Marta per celebrare la Messa e il Papa mi ha detto: “Otto anni? Otto anni da quando ti ho ordinato prete?!”. Una gioia immensa, perché era il Papa che lo diceva. Prima era stato il vescovo, però che il Papa ti dica questa cosa, a un prete comune, è una cosa bellissima!

D. – Quale augurio si sente di fare a Papa Francesco, il suo Vescovo, prima a Buenos Aires e poi a Roma, nel giorno del suo sacerdozio?

R. – Una gioia immensa di pregare con tutto il cuore, e la gioia di sapere questo: che il Papa guida tutta la Chiesa con la coerenza di vita del Papa, quando era nostro vescovo, con quella di ora, che è Papa di tutto il mondo, di tutta la Chiesa!

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Il Papa: per l'America Latina sviluppo, giustizia ed equità

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Atmosfera di festa ieri sera nella Basilica di San Pietro. Papa Francesco ha presieduto la Messa nella ricorrenza della Beata Vergine Maria di Guadalupe, Patrona delle Americhe. Nella sua omelia il Papa ha chiesto che il futuro di questa terra sia forgiato per i poveri e per quelli che soffrono. Il servizio di Alessandro Guarasci: 

La devozione a Nostra Signora di Guadalupe è alle origini del cattolicesimo latino-americano. Patrona dell’America Latina, lo è anche delle Filippine. E a lei tanti credenti si rivolgono soprattutto nei momenti di difficoltà. Una celebrazione particolarmente colorita a San Pietro, accompagnata dai canti della “Misa Criolla” del compositore argentino Ariel Ramírez

Nella sua omelia, il Papa ricorda le tante disparità di questo continente: 

“Ci sentiamo spinti a chiedere che il futuro dell’America Latina sia forgiato per i poveri e per quelli che soffrono, per gli umili, per quelli che hanno fame e sete di giustizia, per i compassionevoli, per i puri di cuore, per quelli che lavorano per la pace, per i perseguitati a causa del nome di Cristo, “perché di loro sarà il Regno dei cieli”.

Il Papa torna a notare come sia presente un "sistema ideolatrico della cultura dello scarto" che "relega nella categoria di schiavi, di oggetti di cui approfittarsi o semplicemente di rifiuto".

E Francesco aggiunge che “l’America Latina è il ‘continente della speranza’”:

“Per essa si sperano nuovi modelli di sviluppo che coniughino tradizione cristiana e progresso civile, giustizia e equità con riconciliazione, sviluppo scientifico e tecnologico con saggezza umana”. 

Dunque, “sofferenza feconda e gioia speranzosa", dice il Papa:

"E’ possibile custodire questa speranza solo con grandi dosi di verità e di amore, fondamenti di tutta la realtà, motori rivoluzionari di un’autentica vita nuova”.

L’impronta della Santa Madre di Dio è salda nei popoli dell’America Latina: “Per la sua intercessione, la fede cristiana è iniziata a diventare il più ricco tesoro dell’anima dei popoli americani, la cui perla preziosa è Gesù Cristo”.

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Altre udienze e nomine

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e l’arcivescovo George Kocherry, nunzio apostolico in Bangladesh.

In Polonia, il Papapa ha nominato ausiliari dell’arcidiocesi di Katowice il mons. Marek Szkudło, finora vicario episcopale per la formazione permanente del Clero, assegnandogli la sede titolare di Wigry, e il sacerdote Adam Wodarczyk, finora moderatore generale del Movimento “Luce-Vita”, assegnandogli la sede titolare di Pomezania.

Mons. Szkudło è nato il 28 febbraio 1952 a Tychy (arcidiocesi di Katowice). È entrato nel Seminario maggiore, allora situato in Cracovia ed è stato ordinato sacerdote, per l’arcidiocesi di Katowice, il 23 marzo 1978. Negli anni 1978-1981 è stato Viceparroco nella parrocchia di S. Margherita Lyski e poi dal 1981 al 1987 Viceparroco nella parrocchia di S. Michele Arcangelo in Katowice. Negli anni 1987-1994 è stato Visitatore diocesano nei centri di catechesi; Cappellano degli scout e Membro della Commissione liturgica diocesana. Dal 1994 al 2012 è stato Parroco di Nostra Signora Madre della Chiesa in Jastrz?bie Zdrój e Decano di Jastrz?bie Górne, Cappellano dei lavoratori e dei minatori, Moderatore dei sacerdoti giovani e Membro del Consiglio dei Consultori. Nel 2003 è stato annoverato tra i Cappellani di Sua Santità. Attualmente, dal 2012 è Vicario episcopale per la formazione permanente dei sacerdoti, Membro del Collegio dei consultori, del Consiglio presbiterale e Presidente della Commissione diocesana per il Clero.

Mons. Wodarczyk è nato il 3 gennaio 1968 a Tarnowskie Góry (diocesi di Gliwice). Nel 1988 è entrato nel Seminario maggiore di Katowice e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 14 maggio 1994. Nel 1992 la sua parrocchia di nascita è passata alla diocesi confinante di Gliwice, ma egli scelse di incardinarsi nell’arcidiocesi di Katowice. Fin da ragazzo fa parte del Movimento “Luce-Vita” dove ha percorso tutti i gradi della formazione. Negli anni 1994-1998 è stato Vicecurato nella Parrocchia di S. Edvige della Slesia in Chorzów. Dal 1994 al 2007 è stato Moderatore regionale del Movimento “Luce-Vita” e Moderatore diocesano della diaconia evangelizzatrice del medesimo movimento. Nel 1999-2000 ha frequentato l’Istituto di formazione pastorale-liturgica presso l’Università Cattolica di Lublino, conseguendo la Licenza. Nel 2000-2001 ha frequentato lo Studio per i Postulatori presso la Congregazione delle Cause dei Santi. È Postulatore nella causa di beatificazione del Servo di Dio Franciszek Blachnicki fondatore del Movimento “Luce-Vita”. Nel 2007 ha conseguito il Dottorato in Teologia pastorale presso la Facoltà teologica dell’Università statale di Slesia. Attualmente, dal 2007 è Moderatore Generale del Movimento Luce-Vita su nomina della Conferenza Episcopale Polacca, e a livello nazionale, consultore del Consiglio della pastorale giovanile, del Comitato per la nuova evangelizzazione e della Radio missionaria.

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Forte: riduzione mediatica Sinodo, mai messa in discussione dottrina

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Continua a suscitare riflessioni l’ultima udienza generale, in cui il Papa ha voluto raccontare in prima persona come è andato il Sinodo sulla famiglia, al di là delle descrizioni dei media che – ha detto – hanno talvolta parlato “nello stile delle cronache sportive o politiche”, immaginando “due squadre, pro e contro, conservatori e progressisti”. Il Pontefice ha iniziato un nuovo ciclo di catechesi sul tema della famiglia in vista del Sinodo dell’ottobre 2015. Fabio Colagrande ha sentito a questo proposito l'arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, confermato segretario speciale anche per il prossimo Sinodo: 

R. – Ciò che stiamo vivendo come Chiesa, sotto la guida del Successore di Pietro, non è un cammino di maggioranza-minoranza da definire, ma è un più profondo comune ascolto di quello che lo Spirito dice alla Chiesa e il cui discernimento ultimo spetta, appunto, ai pastori e al Successore di Pietro che è il punto di riferimento dell’unità di tutta la Chiesa. Dunque, non si tratta di operare per far prevalere l’una o l’altra posizione; si tratta di essere tutti in ascolto dell’azione di Dio, discernendo qual è il bene maggiore per la Chiesa, per l’umanità, in modo speciale per la famiglia che è questa cellula vitale tanto della Chiesa quanto dell’umanità. E’, in altre parole, una visione profondamente teologica e spirituale del cammino che va fatto e che dunque si distanzia da ogni lettura che voglia ridurre questo cammino ad una concezione – potremmo dire – soltanto “mondana” di parti più o meno in tensione tra loro, più o meno capaci di prevalere le une sulle altre.

D. – Il Papa ha precisato: “Nessun intervento al Sinodo ha messo in discussione le verità fondamentali del Sacramento del matrimonio”. C’erano dei timori, in questo senso? Perché il Papa ha dovuto fare questa precisazione?

R. – Guardi, se i timori c’erano, non erano certo da parte dei pastori, perché il Sinodo è fatto da vescovi di tutto il mondo intorno al Papa, e certamente i vescovi hanno chiara la dottrina della Chiesa, la fede che abbiamo riguardo al Sacramento del matrimonio, la sua indissolubilità, la necessità della sua apertura alla procreazione. Dunque i problemi potevano venire piuttosto dall’esterno, dalla riduzione mediatica di questo dibattito e dal voler dunque vedere che anche i fondamentali potessero essere messi in discussione, cosa che naturalmente al Sinodo non è stata assolutamente presente.

D. – Nessuno ha litigato, ma certo, i Padri sinodali hanno parlato forte: questo è anche la prova della libertà che c’è nella Chiesa, ha detto Papa Francesco. Lei ce lo conferma: nessuno ha litigato?

R. – Totalmente. Io confermo anzitutto il fatto che grazie anche all’invito di Papa Francesco a parlare con grande libertà, egli ha esplicitamente detto: “Non c’è nulla di cui qualcuno debba pensare: ‘Di questo non si può parlare’”. Grazie a questo invito, c’è stato un dibattito molto vivo, con accenti diversi, e questo è un bene, perché dice che la Chiesa è viva e che i pastori sono accanto alle problematiche dei fedeli e anche alle varietà delle situazioni che sono nella comunione cattolica. Ma tutto, però, proteso alla ricerca di un più profondo consenso che non fosse frutto di un equilibrio tra le parti ma di un – come dicevo – più profondo ascolto dello spirito e dell’obbedienza a lui dovuta da tutti noi, naturalmente sotto la guida e con l’aiuto e il discernimento del vescovo di Roma.

D. – Il Papa ha anche ribadito: “I documenti ufficiali del Sinodo dell’ottobre scorso sono il messaggio finale, la relazione finale e il discorso finale” che lo stesso Pontefice ha pronunciato. Una precisazione, questa, importante …

R. – La precisazione è importante perché da una parte si valorizza l’apporto di tutto il cammino sinodale, quindi la relatio diventa la base fondamentale dei Lineamenta. Dall’altra, l’importantissimo discorso conclusivo di Papa Francesco, che ha anche messo bene in luce il ruolo del Vescovo di Roma, la sua responsabilità, che è decisiva nella vita e nella comunione della Chiesa, e naturalmente poi ci sono le domande che come Consiglio del Sinodo sono state preparate, onde facilitare la recezione, onde stimolare anche le risposte da parte di tutte le Chiese del mondo. E grazie a queste risposte sarà poi elaborato l’Instrumentum Laboris del Sinodo dell’ottobre 2015. Dunque è un cammino in corso, un “work in progress”, come mi piace dire, nel quale tutti siamo coinvolti. E il desiderio di Papa Francesco, che crede profondamente nel valore della collegialità, è che tutti effettivamente portino il loro contributo a compiere il discernimento necessario per il bene della Chiesa e di tutta la famiglia umana.

D. – Un articolo su “Avvenire”, giorni fa, notava come domenica scorsa in due diverse interviste a due quotidiani – uno argentino e uno tedesco – Papa Francesco e il Papa emerito si siano pronunciati sulla discussa questione che riguarda i divorziati risposati, il Sacramento dell’Eucaristia, eccetera … come entrambi abbiano parlato di una necessità di maggiore integrazione nella Chiesa: “Aprire di più le porte”, ha detto Papa Francesco. Questo è stato sicuramente un argomento importante al Sinodo dell’ottobre scorso e lo sarà al prossimo …

R. – E’ anche un tema molto caro a Papa Benedetto. Chi volesse contrapporre i magisteri dei due Papi, in realtà non li conosce in profondità, perché i temi sollevati al Sinodo erano temi che Papa Benedetto aveva più volte trattato – addirittura già da cardinale – e aveva dichiarato quanto fosse necessario trovare delle vie di maggiore accoglienza e integrazione per persone in situazioni difficili, come appunto quelle dei divorziati risposati, nella Chiesa. Su questa linea si muove anche Papa Francesco ed è suo desiderio che quello sguardo di misericordia, che Dio posa certamente sulle persone che si trovano in situazioni di famiglie ferite, persone separate, divorziate, divorziate e risposate, questo sguardo di misericordia possa anche trovare espressione nello stile di approccio della Chiesa a queste situazioni e nella disciplina che naturalmente deve regolare questo approccio.

D. – Infine, nell’intervista a “La Nación”, Papa Francesco ha precisato: “Al Sinodo, nessuno ha parlato mai di matrimonio omosessuale”. Ha dovuto fare chiarezza anche su questa questione …

R. – Su questa questione bastava – per chi non ha pregiudizi – leggere il testo della relatio finale. Papa Francesco ha detto semplicemente la verità, e cioè che il Sinodo si è occupato della questione degli omosessuali unicamente in quanto ci sono famiglie che hanno figli che sono in questa situazione e, naturalmente, parlando della famiglia, anche questo è un tema importante. E il Sinodo ha richiamato soprattutto l’esigenza di vivere il rispetto per la dignità della persona e quindi anche, ovviamente, della persona omosessuale, e anche il discernimento e l’attenzione perché questo rispetto e questo atteggiamento di accoglienza e di misericordia si traduca nella vita pastorale della Chiesa.

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Oggi su "l'Osservatore Romano"

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Davanti al grido dei poveri: appello di Papa Francesco a non dimenticare gli ultimi della società.

Con lo stile di Dio: durante la messa per la festa della Madonna di Guadalupe il Papa ripropone il messaggio del Magnificat.

Jean Mercier sulla controcultura del celibato che sfida la mentalità contemporanea.

L'immigrazione come fonte di sviluppo: i risultati del vertice del Consiglio europeo.

Percorso dinamico: il ministro degli Affari esteri, José Antonio Meade Kuribrena, sulle relazioni tra Messico e Santa Sede.

Tempo di attesa e dunque di solidarietà: le iniziative per l'Avvento nelle diocesi del Vecchio continente.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina: Mosca minaccia ritorsioni alle sanzioni Usa

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La Russia ha minacciato ritorsioni se gli Stati Uniti dovessero imporre le nuove sanzioni per la crisi in Ucraina, votate ieri dal congresso americano. E tra domani e lunedì è previsto a Roma un’incontro tra il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, e il segretario di Stato Usa, John Kerry. Intanto, sul terreno sporadici attacchi dei ribelli non sembrano mettere a repentaglio la tregua firmata martedì. Il servizio di Marco Guerra: 

Il tema delle nuove sanzioni a Mosca e degli aiuti militari Kiev votati dal Congresso americano, sarà al centro dei colloqui a Roma tra il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, e il segretario di Stato Usa, John Kerry. Sulla data dell’incontro resta incertezza. Il viceministro degli esteri russo, Riabkov, ha detto che l'incontro si terrà domani e non lunedì, come invece ha annunciato il dipartimento di Stato Usa. Ancora in piedi tuttavia l’ipotesi che Obama non firmi il provvedimento. Intanto, si registra un aumento delle spese militari e dei soldati chiamati alle armi  da parte di Kiev per il 2015. In questo clima sembra comunqe reggere la tregua siglata martedì scorso con i separatisti filorussi, sebbene l’esercito di Kiev ha riferito di essere stato obbietto di 11 attacchi, nelle ultime 24 ore. Ma per un commento sigli ultimi sviluppi sentiamo Danilo Elia dell’osservatorio Caucaso e Balcani:

R. – Quello che stiamo vedendo in questi ultimi giorni, settimane, è un intenso lavoro delle diplomazie. E’ interessante notare che questa tregua che c’è in atto in questo momento nell’est del Paese sembra tenere. E’ stata siglata a livello militare tra due generali delle forze che stanno combattendo e soltanto in un secondo tempo sta avendo una notifica a livello politico. E’ un modo di muoversi diverso rispetto a quello che abbiamo visto nel gruppo di contatto informale di Minsk, degli accordi di settembre. Questo lascerebbe ben sperare. E’ possibile che una volontà di placare il conflitto sia condivisa a tutti i livelli: a livello militare, anche da parte dei separatisti, e a livello politico più elevato.

D. – Qualora passasse l’invio di aiuti militari da parte di Washington sarebbe un ulteriore scatto, pericoloso, in avanti in questa spirale del conflitto. Insomma, come va letta questa decisione americana che inizialmente era stata esclusa perché Kiev non fa parte della Nato?

R. – Sì è vero. C’è da dire che nonostante l’Ucraina non faccia parte della Nato, rimane un partner privilegiato come se fosse un livello intermedio tra l’essere membro Nato e non. Quindi, in quest’ottica probabilmente devono essere viste le mosse di dare supporto militare al Paese. Bisogna vedere bene cosa succederà proprio sul campo all’atto pratico, come sarà messo in atto questo aiuto militare, perché fino ad oggi si è parlato sempre di aiuti, di forniture non letali all’esercito ucraino, materiale come razioni alimentari, giubbotti antiproiettile... Ora, il tipo di aiuto sembra essere invece di tipo militare. Sicuramente, non è una mossa che tende a raffreddare il conflitto, ma la reale applicazione secondo me è tutta da vedere sul campo.

D. – Kiev nel frattempo si è impegnata a raddoppiare le spese militari e a chiamare alle armi 40 mila nuovi soldati. Dobbiamo aspettarci che sul terreno prosegua una guerra a bassa intensità, una recrudescenza o che la tregua possa reggere?

R.  – Che sia un conflitto che non si spegnerà subito purtroppo possiamo ritenerlo possibile come scenario. E’ molto probabile che la guerra in Donbass continui come conflitto congelato, come conflitto latente, come si è visto fino ad oggi, perché in realtà la prima tregua siglata dal gruppo di contatto a Minsk a settembre in una certa misura ha tenuto. Fino ad oggi, infatti, abbiamo visto scontri dovuti alla frizione lungo la linea di confine, ma non conquiste territoriali da una parte e dall’altra. Resta il fatto che Kiev ha sostanzialmente paura che il conflitto possa allargarsi, che il territorio contestato, rivendicato dai separatisti, possa ampliarsi e inglobare anche altre province come la provincia di Charkiv, Odessa stessa. Le condizioni attuali dell’esercito ucraino sono piuttosto scarse, è male equipaggiato, ha scarsità di fondi. Quindi, in quest’ottica può essere vista la mossa di Kiev di aumentare il budget militare. Non è detto che sia necessariamente da vedere come una tendenza alla militarizzazione, ma magari semplicemente un adeguamento delle forze militari per renderle capaci di affrontare la situazione futura. Credo che Kiev abbia ben chiaro che è molto difficile tornare indietro da questo punto, cioè riconquistare, riprendere il controllo di quei territori. Io, personalmente, ho la sensazione che il governo di Kiev cercherà di limitare il conflitto, di non lasciarlo espandere. Quindi, da questo punto di vista frizioni lungo la linea di confine potranno continuare.

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Elezioni in Giappone, favorito il premier Abe

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Domani in Giappone si terranno le elezioni anticipate per eleggere i rappresentanti della Camera Bassa, in un quadro economico tutt’altro che roseo: il Pil è calato ulteriormente e i consumi si sono contratti dopo l’aumento dell’Iva, facendo sprofondare il Paese nella recessione. Favorita, comunque, sembra essere la conferma del premier Shinzo Abe, il cui partito liberaldemocratico potrebbe arrivare a guadagnare i due terzi dei seggi. Roberta Barbi ha chiesto all’esperto di Asia orientale, Fernando Mezzetti, cosa comporterebbe un tale risultato:   

R. - Comporterebbe che Abe sarebbe libero di applicare più apertamente le sue teorie, quindi immissione di liquidità nel sistema economico e aumento della spesa pubblica. Queste immissioni di liquidità in Giappone hanno funzionato per un certo periodo, poi il Paese è tornato su posizioni di recessione che hanno spinto Abe a sciogliere la Camera Bassa della Dieta per avere un mandato più deciso.

D. - Stando ai sondaggi dell’ultim’ora, il 51 per cento dei giapponesi boccia la politica economica di Abe ribattezzata, appunto, “Abenomics”. Qual è oggi la reale situazione del Paese?

R. - È un Paese stanco, molto seduto. Ha un debito pubblico del 241 per cento rispetto al Pil. La loro economia perde competitività, come potenza economica sono stati superati dalla Cina, sentono il peso politico militare e strategico della Cina, e Abe è riuscito a far approvare una certa interpretazione delle norme che derivano dai limiti costituzionali per una carta costituzionale imposta dagli americani - e cioè la rinuncia perpetua all’azione di forza, o all’uso di minacce di azioni di forza - nelle controversie internazionali.

D. - Oltre all’economia, quali sfide dovrà affrontare il Giappone nell’immediato futuro postelettorale?

R. - L’incidente nucleare seguito al terremoto e allo tsunami, ha segnato la sconfitta del Partito democratico che era l’unica formazione di opposizione di una certa consistenza. I democratici in quella situazione d’emergenza hanno dimostrato di non essere all’altezza di governare. Sul piano internazionale, Abe per ora ha abbassato i toni, ma comunque ha imposto una certa interpretazione, per cui le forze di autodifesa giapponesi - che fino all’anno scorso avevano l’unico compito di autodifesa - potranno agire all’estero in collaborazione con gli alleati, ai fini della sicurezza internazionale, e gli alleati sono gli americani. Il mondo si è molto modernizzato, ma la potenza navale e marittima rimane uno dei grandi fattori nei rapporti internazionali.

D. - Sempre secondo i sondaggi, il 60 per cento degli elettori non ha capito esattamente per cosa andrà a votare, e si profila quindi anche un record dell’astensionismo…

R. - È probabile. Però va detto che il partito liberaldemocratico è molto presente nelle campagne. La società giapponese è molto urbana, vive nei grandi agglomerati urbani. Però nella struttura della composizione parlamentare le campagne sono più rappresentate delle città e il clientelismo del partito liberaldemocratico probabilmente riuscirà a contenere le astensioni.

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Don Ciotti sulla corruzione: il governo doveva fare di più

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"Siamo solo all'antipasto". Così il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati Rodolfo Maria Sabelli, commenta il pacchetto anti-corruzione varato dal Consiglio dei Ministri. Per la corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, le pene minime e massime passano dagli attuali 4-8 anni a 6-10 anni. Aumenta anche il termine in cui cade in prescrizione il reato di corruzione, che passa a 12 anni e mezzo. E poi è prevista la restituzione del maltolto. “Il punto centrale - spiega Renzi - è che chi viene condannato deve pagare tutto, fino all’ultimo giorno, fino all’ultimo centesimo”. Infine, l’accesso al patteggiamento viene condizionato, pena l’inammissibilità, alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato, che sono oggetto di confisca obbligatoria, e all’integrale risarcimento del danno. Alessandro Guarasci ha sentito il presidente di Libera, don Luigi Ciotti

R. – In ogni caso è un passo avanti, ma certamente ci si aspettava molto, molto di più. Ci sono dei compromessi. Non sono sufficienti gli aumenti di pena, sia nel minimo che nel massimo, per la corruzione, ma ci si aspettava anche quelli correlati: ad esempio, la concussione, la corruzione negli atti giudiziari … Non ci sono gli sconti per esempio per chi collabora, gli incentivi, che diventano importanti: ne prevede anche l’Europa con le sue norme, già del 1999. Manca la tutela di chi denuncia, un altro fatto importante richiesto dall’Europa per incentivare, ma anche per tutelare chi nella pubblica amministrazione ha il coraggio di denunciare tutto questo.

D. – Ma che cosa ha frenato, secondo lei?

R. – Ci sono delle forze che devono tutelare i loro giochi, i loro interessi; invece per il contrasto all’illegalità, alla mafia, alla corruzione, all’autoriciclaggio sarebbe veramente necessaria una radicalità, un impegno non solo nelle parole, ma nei fatti, di tutte le forze politiche nella stessa direzione. Qui sempre sul tema della giustizia, dei percorsi della giustizia penale e tutti i loro allegati, siamo sempre al punto di partenza.

D. - Ma come si fa, come dice Renzi, ad avviare invece una vera sfida culturale? Perché non si riesce a risolvere tutto con le leggi …

R. - Consapevolezza e responsabilità sono indivisibili. Ora c’è un ruolo di attenzione educativo che passa anche nel mondo della scuola, che deve dare gli strumenti di conoscenza; ma ci vuole soprattutto un grande risveglio delle coscienze del nostro Paese. La prima grande riforma da fare è un’autoriforma: la riforma delle nostre coscienze! Non posso dimenticare quando il Papa, incontrando i familiari delle vittime innocenti di mafia, il 21 marzo dell'anno scorso a Roma, ha parlato della corruzione. Voglio citare quando ha detto: “Il desiderio che sento è di condividere con voi una speranza, ed è questa: che il senso di responsabilità piano piano vinca sulla corruzione”.

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Mondiale scacchi sacerdoti. Vince p. Gennaro Cicchese

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Un saio francescano contro un clergyman, l’uno seduto di fronte all’altro, in mezzo una scacchiera e il silenzio della più intensa concentrazione. È l’“icona” della seconda edizione della “Clericus Chess World Championship”, il mondiale di scacchi per sacerdoti e religiosi svoltosi ieri e oggi a Roma presso l’Istituto dei Marianisti di Viale Manzoni, organizzato da giuseppe Sgrò, piscologo e docente della Scuola dello sport del Coni, che ha moderato le conferenze sul tema a margine del campionato. A laurearsi campione mondiale e italiano è stato padre Gennaro Cicchese, missionario Oblato di Maria Immacolata, che al microfono di Alessandro De Carolis parla della nuova edizione e del rapporto che lega gli scacchi al mondo ecclesiale: 

R. – E’ una competizione aperta a giocatori di vario livello, che vengono da tutto il mondo: italiani, croati, filippini e un gruppo di polacchi, venuto apposta da Varsavia per partecipare a questa edizione.

D. – Al Campionato è legata una Conferenza che tratta di un aspetto forse ancora poco sperimentato, ma di grande valenza pedagogica, e cioè gli scacchi a scuola. Quali sono gli stimoli che un bambino può trarre dal gioco degli scacchi?

R. – Lo stimolo più grande lo ricordo con una citazione di un filoso, di Pascal: "Gli scacchi sono la palestra della mente". Quindi, un bambino può evidentemente esercitarsi con la mente, ma non solo con la mente, perché i bambini vanno attratti anche con il movimento, con il gioco. Una delle cose più importanti che si è scoperta attualmente è proprio farli lavorare sulla psicomotricità - su scacchiera gigante, per esempio - e l’interdisciplinarietà, che sono degli aspetti preziosi di questo gioco. E poi sulla possibilità, appunto, di aprire un nuovo rapporto tra insegnante e alunno, perché gli scacchi da questo punto di vista riescono a tradurre e polverizzare le difese, le rigidità che si possono creare a questo livello.

D. – In che rapporto sono la Chiesa e gli scacchi?

R. – E’ un rapporto abbastanza complesso. All’inizio anche di contrarietà, di difficoltà di rapporto, perché molti giocatori si dedicavano troppo al gioco degli scacchi, essendo anche sacerdoti, cardinali, e questo li allontanava dai loro impegni. Allo stesso tempo, sono stati proprio questi giocatori i primi teorici, quelli che hanno scritto i primi libri sul gioco degli scacchi e che lo hanno in qualche modo propagandato. Ultimamente, la "scomunica" nei confronti degli scacchi è venuta meno: si è trovato un nuovo equilibrio e ci sono molti sacerdoti e religiosi che si dedicano appunto a questa attività, e io credo con un grande beneficio personale e anche con una grande possibilità di relazioni con altre persone.

D. – Lei parlava di beneficio personale: lei è un sacerdote, un maestro scacchista, che unisce, per così dire, "missione" e "passione". Che legame esiste questi due aspetti all’apparenza così lontani?

R. – Non sono proprio così lontani, perché in fondo gli scacchi sono un po’ l’esperienza stessa della vita. Yuri Kasparov, uno degli ultimi campioni del mondo di scacchi, diceva che la vita in qualche modo imita gli scacchi, perché ci sono tanti aspetti nei quali gli scacchi in effetti ci insegnano tante cose: la strategia, la tattica e quindi la possibilità di affrontare i problemi in maniera nuova, in maniera diversa. Io personalmente ho riscoperto gli scacchi in un momento anche di aridità spirituale, perché gli scacchi sono bellezza, sono arte, sono logica, sono impegno e sono anche divertimento. E questo aspetto del gioco mi ha ridato anche la voglia di affrontare in maniera nuova la vita, con un nuovo slancio, anche perché come diceva Lasker – un grande campione – la vita è lotta e quindi bisogna lottare fino alla fine.

D. – Voi come organizzatori avete voluto anche informare Papa Francesco di questa vostra iniziativa…

R. – Sì, certamente, gli abbiamo dato una lettera, abbiamo documentato di questo mondiale per i religiosi e sacerdoti e in tutta risposta il Papa ci ha invitato all’udienza generale. Nella lettera gli abbiamo chiesto di poter benedire questa iniziativa e di fare anche lui la prima "mossa".

D. – E che tipo di benedizione pensate possa giungere attraverso questa mossa?

R. – Può incoraggiare noi sacerdoti, anche il mondo dei giovani, il mondo dei ragazzi legato a noi, in qualche modo a favorire questo sport della mente, ma anche di tutta la persona. E per vivere anche quello che è il motto del gioco e della Federazione internazionale degli scacchi, che dice “Gens una sumus”, siamo una gente, un popolo solo. E in questo clima di cultura dell’incontro e del dialogo, penso che un motto più bello di questo non ci possa essere.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella terza domenica di Avvento, il Vangelo ci ripropone la figura di Giovanni il Battista. A quanti gli chiedono chi sia, risponde:

«Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».    

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

L’ardente attesa del Messia, così viva al tempo di Giovanni Battista, mette in cammino sacerdoti e leviti di Gerusalemme verso le acque del Giordano, dove è comparsa la figura carismatica del battezzatore. “Tu, chi sei?”, chiedono. Sei forse tu colui che stiamo aspettando? Giovanni rende testimonianza, senza tentennamento alcuno: “Io non sono il Cristo, né Elia, né il profeta”. Io non sono la Parola che il Padre ha preparato per voi: sono soltanto la sua voce: “Voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore”. Non sono io lo sposo che voi cercate, sono solo l’amico, l’annunciatore. “Io battezzo nell’acqua. Ma già sta in mezzo a voi Colui che battezza nello Spirito Santo, Colui che voi non conoscete”. Testimonianza di una bellezza grande, specie in un tempo in cui siamo tutti malati di protagonismo, di presenzialismo. Anche noi cristiani, nelle nostre Parrocchie e nelle nostre associazioni. Ci sentiamo tutti dei “piccoli déi”, con la nostra parola da dire, con la pretesa che tutti ci ascoltino; con la nostra poltroncina da occupare e da tenere ben stretta. Con il nostro “blog” in internet dove far sentire la nostra parola. Chiediamo ascolto, ma non sappiamo più ascoltare nessuno. Giovanni ha chiara la sua missione: essere “la voce” che annuncia il “Verbo”, che prepara ad accogliere la “Parola” che viene a farsi carne, ad abitare in mezzo a noi. Svestiamoci di tutta la nostra “vuota apparenza”, convertiamoci alla “santa umiltà di Cristo” e potremo accogliere “il piccolo che viene a noi” e ne diventeremo la “voce” per gli uomini d’oggi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Messico: 400 pellegrini al minuto nel santuario di Guadalupe

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Tra l’11 ed il 12 dicembre, sono stati circa 400 i fedeli che entrano, ogni minuto, nel corridoio elettromeccanico collocato ai piedi della immagine di Nostra Signora di Guadalupe, nel Santuario a lei dedicato in Messico, per ringraziarla per le grazie e i doni ricevuti durante l’anno. Con lacrime agli occhi e dopo aver pellegrinato per chilometri fino al Santuario, migliaia di persone provenienti da tutte le regioni del Paese pregano la loro Patrona. Quest’anno, su richiesta dei vescovi messicani, i fedeli sono stati invitati a indossare vestiti bianchi e pregare per un Messico in pace. “Nel giorno della Vergine, tutti quanti in bianco per la pace, come segnale del nostro  impegno a pregare e lavorare per la giustizia e la pace” si legge nella locandina diffusa dalla Conferenza episcopale messicana che ha chiesto di celebrare la Messa per questa intenzione.

Allo scoccare della mezzanotte di ieri, dopo il tradizionale canto de “Las Mañanitas - la  tradizionale serenata alla Vergine - il rettore della Basilica, mons. Enrique Glennie Graue, ha implorato l’intercessione della Vergine di Guadalupe perché il Signore conceda la pace ai messicani. Durante l‘omelia, il rettore del Santuario mariano ha evidenziato che “a tutti piace sentirsi guadalupani”, ma che tutti continuano a “vivere da pagani” e per questo ha esortato i presenti a far sì che l’allegria di questa festa non sia effimera, compiendo atti di bontà e di servizio per gli altri, senza diffidenza, senza invidia e senza rancore. Ore prima, durante i Vespri della vigilia, mons. Glennie aveva invitato i fedeli a “raccogliere la sfida di essere migliori, lavorare meglio, vivere con onestà e con più coerenza la vita cristiana”

Con la celebrazione della Festa di Guadalupe, l’episcopato ha avviato una campagna permanente per la pace per dare risposta all’emergenza umanitaria causata dalla crisi politica e sociale che vive il Paese. Inoltre, all’Assemblea plenaria dello scorso novembre, i vescovi hanno stabilito di rafforzare il piano pastorale delle diocesi nella dimensione della giustizia, della pace e della riconciliazione partendo da cinque aspetti: la preghiera per la pace, poiché essa è un dono di Dio che s’implora e si accoglie, una forte ed efficace campagna attraverso i mezzi di comunicazione, l’avvicinamento della Chiesa ai giovani nei luoghi e nelle condizioni in cui si trovano - accompagnando i loro sogni e spronandoli a partecipare all’edificazione della società - l’impegno delle diocesi nell’assistere le vittime della violenza e l’organizzazione di dibattiti nei diversi settori social, per raccogliere proposte e progetti capaci di rafforzare la ricostruzione sociale sulla verità e la riconciliazione. (A cura di Alina Tufani)

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Vescovi del Ghana: promuovere la famiglia

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Mentre la Chiesa universale comincia a prepararsi alla 14.ma Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, che si riunirà dal 4 al 25 ottobre 2015, continuano gli incontri e le riflessioni degli episcopati nel mondo sulla famiglia. E al tema del recente Sinodo straordinario a Roma, riporta l’agenzia Cisa, è stato dedicato un incontro dei vescovi del Ghana ad Accra, in cui sono state avanzate diverse proposte pastorali per sostenere la famiglia nel Paese alla luce delle conclusioni dell’assise sinodale.

Tra le principali decisioni emerse dall’incontro, riferisce il comunicato finale, quella di incaricare la Commissione catechetica nazionale di preparare un programma di formazione permanente per le coppie che si preparano al matrimonio e per le coppie già sposate. I vescovi del Ghana hanno poi auspicato la costituzione di movimenti per la famiglia per promuovere in Ghana il matrimonio cristiano e hanno proposto di organizzare ogni anno una “Settimana nazionale per la famiglia”. L’incontro ha inoltre ricordato le responsabilità pastorali dei sacerdoti e dei religiosi in questo campo. Le diocesi e le parrocchie sono state esortate a organizzare ritiri, seminari e altri incontri rivolti alle persone non sposate, e in particolare ai giovani, per prepararli alle loro vocazioni.

Nel comunicato finale dei lavori, vengono anche elencate i numerosi problemi e sfide che minano la famiglia in Ghana: le pressioni lavorative, la mancanza di figli, le prevaricazioni di un coniuge sull’altro, la poligamia, la convivenza, il concubinato e le doti esose richieste per i matrimoni. (L.Z.)

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Malawi: appello di “Giustizia e Pace” ai donatori internazionali

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“Non abbandonate il Malawi nel momento di una situazione così grave di bisogno”. È l’appello lanciato dalla Commissione Eeiscopale “Giustizia e Pace” del Malawi ai partner internazionali del Paese, che hanno bloccato l’invio di aiuti economici a causa del noto scandalo “Cash Gate”, originato dalla malversazione dei fondi esteri da parte delle autorità locali.

L’appello è contenuto nella dichiarazione “Not yet the Malawi we need”. “Giustizia e Pace” – riferisce l’agenzia Fides – sottolinea che “il governo del Malawi necessita delle risorse finanziarie offerte dai partner bilaterali e multilaterali, per portare avanti la sua agenda di sviluppo, mentre sta ripulendo e rafforzando il suo sistema di gestione delle finanze”.

“Deve essere fatto di più e in un modo radicalmente differente ed efficace, per fare del Malawi un posto migliore per tutti”, afferma la dichiarazione, sottolineando che la qualità dei servizi quali educazione, sanità, forniture idriche è stata gravemente compromessa negli ultimi anni a detrimento dei poveri che non possono permettersi servizi privatizzati. “Giustizia e Pace” conclude con una nota di speranza, derivante dal fatto che i cittadini non sono più vittime passive del malgoverno, ma iniziano a chiedere conto agli amministratori di come gestiscono la cosa pubblica. (A.L.)

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A Madrid, arriva la Luce della Pace di Betlemme

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 “La chiamata dà la luce”: con questo tema – che in spagnolo si basa sull’assonanza linguistica tra "llamada" e "llama" – il Movimento scout cattolico si prepara ad accogliere a Madrid la “Luce della pace” proveniente da Betlemme. La cerimonia si terrà domani alle 17 nella Cattedrale dell’Almudena. A presiedere la celebrazione sarà il nuovo arcivescovo di Madrid, mons. Osoro Sierra, nominato da Papa Francesco lo scorso agosto. “La luce – informa una nota dell’arcidiocesi madrilena – viene accesa a Betlemme, nella Basilica della Natività; quindi verrà trasportata a Vienna e qui, il 13 dicembre, la prenderanno in consegna gli scout spagnoli”. Il giorno seguente, la fiaccola arriverà nella Cattedrale dell’Almudena, dove ad attenderla ci saranno circa tremila persone.

“Uno dei momenti più significativi della celebrazione – continua la nota – sarà quello in cui la fiamma di Betlemme accenderà numerose candele e lampade ad olio che poi il Movimento scout cattolico porterà nelle parrocchie, negli ospedali, nelle case per anziani, nelle abitazioni e in tanti altri luoghi”. L’iniziativa della “luce” ha origini lontane: nella Chiesa della Natività a Betlemme, infatti, c’è una lampada che arde perennemente da molti secoli, alimentata dall'olio donato a turno da tutte le nazioni cristiane del mondo.

Nel 1986, la televisione austriaca Örf propose per la prima volta al pubblico la trasmissione natalizia di beneficenza “Luce nel buio”. Qualche settimana prima di Natale un bambino austriaco venne accompagnato ad accendere un lume dalla lampada nella Grotta di Betlemme, che venne riportata a Linz per via aerea e quindi distribuita in tutto il Paese. Due anni dopo, nel 1988, gli Scout austriaci iniziarono a collaborare alla distribuzione della “luce” e organizzarono a Vienna una cerimonia ecumenica con le delegazioni scout delle varie nazioni. Ciascuna delegazione accese un proprio lume e così la “Luce della pace” da Betlemme si irradiò in tutta Europa. Da allora, l’iniziativa è continuata.

In Italia, la “Luce della pace” è arrivata per la prima volta nel 1992, nell’Alto Adige-Süd Tirol. Nel 1996, le Associazioni Scout decisero di organizzare la prima distribuzione della “luce” nel Paese, con l’ausilio del treno. E ancora oggi, partono da Trieste le staffette scout che attraversano tutte le regioni della Penisola, cercando di effettuare una distribuzione più capillarmente possibile. (I.P.)

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Frana in Indonesia, almeno 18 morti

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In Indonesia, almeno 18 persone sono morte e più di 100 risultano disperse, a causa di una frana ha sepolto l'intero villaggio di Jemblung, sull’isola di Java. I soccorritori continuano a scavare a mani nude nel fango per tentare di trovare persone in vita. Alle operazioni di soccorso stanno partecipando oltre 700 persone, in gran parte volontari. Nelle ultime ore, sono arrivati i mezzi pesanti in grado di rimuovere l'enorme quantità di fango.

Testimoni hanno raccontato di aver sentito le grida di aiuto degli abitanti rimasti sotto le macerie e di non essere riusciti a raggiungerli. "Preghiamo affinché ci siano ancora superstiti", ha riferito il responsabile delle operazioni di soccorso, Agus Haryono. Durante la stagione delle piogge, sono frequenti frane e inondazioni in Indonesia. Secondo le autorità locali, circa la metà dei 250 milioni di abitanti del Paese vive in zone a rischio. (A.L.)

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LuxLeaks, incriminata presunta "talpa"

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Il presunto autore della fuga di notizie che ha portato allo scandalo "LuxLeaks" è stato convocato in Procura e accusato di furto, violazione del segreto professionale e riciclaggio di denaro. Non è stata resa  nota la sua identità. L'inchiesta che ha portato all'incriminazione era stata aperta dalla Procura lussemburghese in seguito a una denuncia contro ignoti che la società di revisione "Pwc" del Lussemburgo aveva presentato nel giugno 2012.

Secondo fonti di stampa, l’uomo incriminato ha lavorato nell’ufficio di consulenza lussemburghese "Pricewaterhouse Coopers". Avrebbe rivelato ad alcuni quotidiani che gruppi come Apple o Verizon riuscirebbero a pagare meno tasse, in Lussemburgo, attraverso accordi speciali. Ne è seguita una tempesta mediatica che ha colpito recentemente anche il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, all’epoca dei fatti premier del Granducato. (A.L.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 347

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.