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Sommario del 15/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa a Tv2000: la persona al centro della comunicazione, non le mode

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Una comunicazione autentica guarda alla vita reale senza correre dietro a mode o allarmismi. E’ quanto sottolineato da Francesco nell’udienza in Aula Paolo VI alla comunità di lavoro di Tv2000, definita dal Papa la “televisione della Chiesa italiana”, e di Radio InBlu. Il Pontefice ha esortato i media cattolici a “risvegliare le parole”, ad aprirsi e non chiudersi e, ancora, a parlare alla persona tutta intera. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto da mons. Piero Coccia, presidente della Fondazione “Comunicazione e Cultura” che sovrintende all’emittente, e dal direttore Paolo Ruffini che ha portato i saluti del direttore delle news di Tv2000, Lucio Brunelli, ricoverato in ospedale, a cui è andato il pensiero affettuoso del Papa. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Cosa serve per fare buona informazione? Papa Francesco ha colto l’occasione dell’udienza a Tv2000 e Radio InBlu per tracciare una sorta di “palinsesto” per il ruolo del comunicatore. Un vademecum declinato in tre punti, secondo l’incedere ignaziano a cui ormai Francesco ci ha abituati. La riflessione muove innanzitutto dalla constatazione che i “media cattolici” hanno la missione “molto impegnativa” di preservare la comunicazione sociale “da tutto ciò che la stravolge e la piega ad altri fini”.

Comunicare con parresía
“Spesso – ha constatato – la comunicazione è stata sottomessa alla propaganda, alle ideologie, a fini politici o di controllo dell’economia e della tecnica”. Un male a cui, come antidoto, Francesco ha indicato quella parresìa, “cioè il coraggio di parlare con franchezza e libertà” che aveva già invocato all’inizio dei lavori del Sinodo sulla famiglia. Se siamo preoccupati di “aspetti tattici”, ha commentato, “il nostro parlare sarà artefatto, poco comunicativo, insipido, un parlare di laboratorio”:

“La libertà è anche quella rispetto alle mode, ai luoghi comuni, alle formule preconfezionate, che alla fine annullano la capacità di comunicare. Risvegliare le parole: risvegliare le parole. Ma, ogni parola ha dentro di sé una scintilla di fuoco, di vita. Risvegliare quella scintilla, perché venga. Risvegliare le parole: ecco il primo compito del comunicatore”.

Comunicare senza chiusure
La comunicazione, ha proseguito, “evita sia di riempire che di chiudere”. Si “riempie”, ha avvertito, “quando si tende a saturare la nostra percezione con un eccesso di slogan che, invece di mettere in moto il pensiero, lo annullano”. Si “chiude”, ha soggiunto, “quando, invece di percorrere la via lunga della comprensione, si preferisce quella breve di presentare singole persone come se fossero in grado di risolvere tutti i problemi, o al contrario come capri espiatori, su cui scaricare ogni responsabilità”:

“Correre subito alla soluzione, senza concedersi la fatica di rappresentare la complessità della vita reale, è un errore frequente dentro una comunicazione sempre più veloce e poco riflessiva. Aprire e non chiudere: ecco il secondo compito del comunicatore, che sarà tanto più fecondo quanto più si lascerà condurre dall’azione dello Spirito Santo, il solo capace di costruire unità e armonia”.

Comunicare alla persona
“Parlare alla persona tutta intera”: questo, ha detto Francesco, è “il terzo compito del comunicatore”. E questo, ha precisato, evitando quelli che, come evidenziato in altre occasioni, “sono i peccati dei media: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione”. La disinformazione in particolare, ha ammonito il Papa, è la “più grave” nel mondo della comunicazione, perché “spinge a dire la metà delle cose, e questo porta a non potersi fare un giudizio preciso sulla realtà”, porta “a credere soltanto una parte della verità”:

“Una comunicazione autentica non è preoccupata di colpire: l’alternanza tra allarmismo catastrofico e disimpegno consolatorio, due estremi che continuamente vediamo riproposti nella comunicazione odierna, non è un buon servizio che i media possono offrire alle persone. Occorre parlare alle persone intere: alla loro mente e al loro cuore, perché sappiano vedere oltre l’immediato, oltre un presente che rischia di essere smemorato e timoroso”.

A servizio della Chiesa
“Risvegliare le parole, aprire e non chiudere, parlare a tutta la persona”, ha ribadito  Papa Francesco “rende concreta quella cultura dell’incontro, oggi così necessaria in un contesto sempre più plurale”. Aggiungendo che “con gli scontri” non si va da “nessuna parte”. Per questo, ha detto, bisogna “essere disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri”. Il Pontefice ha infine incoraggiato Tv2000 a proseguire nella fase di “ripensamento e riorganizzazione” al “servizio della Chiesa”, mettendo l’accento sul “rapporto stabile” con il Centro Televisivo Vaticano che permette alla Tv di “raccontare all’Italia il magistero e l’attività del Papa”.

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Francesco: il cristiano è misericordioso, rigidità è segno di cuore debole

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Gesù ci rende misericordiosi verso la gente, mentre chi ha il cuore debole perché non fondato su Cristo rischia di essere rigido nella disciplina esteriore, ma ipocrita e opportunista dentro: è quanto ha detto il Papa nell’omelia mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Al centro dell’omelia del Papa il Vangelo del giorno, in cui i capi dei sacerdoti chiedono a Gesù con quale autorità compia le sue opere. E’ una domanda – spiega – che dimostra il “cuore ipocrita” di questa gente: “a loro non interessava la verità”, cercavano solo i loro interessi e andavano “secondo il vento: ‘Conviene andare di qua, conviene andare di là…’ erano banderuole, eh, tutti! Tutti. Senza consistenza. Un cuore senza consistenza. E così negoziavano tutto: negoziavano la libertà interiore, negoziavano la fede, negoziavano la patria, tutto, meno le apparenze. A loro importava uscire bene dalle situazioni”. Erano opportunisti: “approfittavano delle situazioni”.

Eppure – ha proseguito il Papa – “qualcuno di voi potrà dirmi: ‘Ma padre, questa gente era osservante della legge: il sabato non camminavano più di cento metri - o non so quanto si poteva fare – mai, mai andavano a tavola senza lavarsi le mani e fare le abluzioni; ma era gente molto osservante, molto sicura nelle sue abitudini’. Sì, è vero, ma nelle apparenze. Erano forti, ma al di fuori. Erano ingessati. Il cuore era molto debole, non sapevano in cosa credevano. E per questo la loro vita era, la parte di fuori, tutta regolata, ma il cuore andava da una parte all’altra: un cuore debole e una pelle ingessata, forte, dura. Gesù al contrario, ci insegna che il cristiano deve avere il cuore forte, il cuore saldo, il cuore che cresce sulla roccia, che è Cristo, e poi nel modo di andare, andare con prudenza: “In questo caso faccio questo, ma…” E’ il modo di andare, ma non si negozia il cuore, non si negozia la roccia. La roccia è Cristo, non si negozia!”:

“Questo è il dramma dell’ipocrisia di questa gente. E Gesù non negoziava mai il suo cuore di Figlio del Padre, ma era tanto aperto alla gente, cercando strade per aiutare. ‘Ma questo non si può fare; la nostra disciplina, la nostra dottrina dice che non si può fare!’ dicevano loro. ‘Perché i tuoi discepoli mangiano il grano in campagna, quando camminano, il giorno del sabato? Non si può fare!’. Erano tanto rigidi nelle loro discipline: ‘No, la disciplina non si tocca, è sacra’”.

Papa Francesco ricorda quando “Pio XII ci liberò da quella croce tanto pesante che era il digiuno eucaristico”:

“Ma alcuni di voi forse ricordano. Non si poteva neppure bere un goccio d’acqua. Neppure! E per lavarsi i denti, si doveva fare in modo che l’acqua non venisse ingoiata. Ma io stesso da ragazzo sono andato a confessarmi di aver fatto la comunione, perché credevo che un goccio d’acqua fosse andato dentro. E’ vero o no? E’ vero. Quando Pio XII ha cambiato la disciplina – ‘Ah, eresia! No! Ha toccato la disciplina della Chiesa!’ - tanti farisei si sono scandalizzati. Tanti. Perché Pio XII aveva fatto come Gesù: ha visto il bisogno della gente. ‘Ma povera gente, con tanto caldo!’. Questi preti che dicevano tre Messe, l’ultima all’una, dopo mezzogiorno, in digiuno. La disciplina della Chiesa. E questi farisei erano così – ‘la nostra disciplina’ - rigidi nella pelle, ma, come Gesù gli dice, ‘putrefatti nel cuore’, deboli, deboli fino alla putredine. Tenebrosi nel cuore”.

“Questo è il dramma di questa gente” e Gesù denuncia ipocrisia e opportunismo: 

“Anche la nostra vita può diventare così, anche la nostra vita. E alcune volte, vi confesso una cosa, quando io ho visto un cristiano, una cristiana così, col cuore debole, non fermo, non saldo sulla roccia – Gesù – e con tanta rigidità fuori, ho chiesto al Signore: ‘Ma Signore buttagli una buccia di banana davanti, perché faccia una bella scivolata, si vergogni di essere peccatore e così incontri Te, che Tu sei il Salvatore’. Eh, tante volte un peccato ci fa vergognare tanto e incontrare il Signore, che ci perdona, come questi ammalati che erano qui e andavano dal Signore per guarire”.

“Ma la gente semplice” - osserva il Papa - “non sbagliava”, nonostante le parole di questi dottori della legge, “perché la gente sapeva, aveva quel fiuto della fede”.

Il Papa conclude con questa preghiera la sua omelia: “Chiedo al Signore la grazia che il nostro cuore sia semplice, luminoso con la verità che Lui ci dà, e così possiamo essere amabili, perdonatori, comprensivi con gli altri, di cuore ampio con la gente, misericordiosi. Mai condannare, mai condannare. Se tu hai voglia di condannare, condanna te stesso, che qualche motivo avrai, eh?”. “Chiediamo al Signore la grazia che ci dia questa luce interiore, che ci convinca che la roccia è soltanto Lui e non tante storie che noi facciamo come cose importanti; e che Lui ci dica – Lui ci dica! – la strada, Lui ci accompagni nella strada, Lui ci allarghi il cuore, perché possano entrare i problemi di tanta gente e Lui ci dia una grazia che questa gente non aveva: la grazia di sentirci peccatori”.

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Il Papa riceve membro croato presidenza Bosnia ed Erzegovina

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Papa Francesco ha ricevuto nel Palazzo Apostolico, Dragan Čović, membro croato della Presidenza Collegiale della Bosnia ed Erzegovina, il quale ha successivamente incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

I cordiali colloqui, informa una nota della Sala Stampa vaticana, “hanno permesso di soffermarsi sulla situazione nel Paese, con particolare riferimento al contributo dei cattolici all’edificazione della società e specialmente al loro impegno nell’ambito della ricostruzione dopo le devastazioni provocate dalle alluvioni della primavera scorsa”. Nell’esprimere soddisfazione per le buone relazioni bilaterali, prosegue il comunicato, “sono stati poi affrontati alcuni temi relativi all’applicazione dell’Accordo di Base del 2006, che disciplina i rapporti e la collaborazione fra la Chiesa e lo Stato per il bene comune”. Infine, “ci si è intrattenuti su alcune problematiche dell’attualità regionale e internazionale”.

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Papa in parrocchia: gioia del Natale non consumismo, ma dono del Signore

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Preghiera, rendimento di grazie per i doni ricevuti e aiuto al prossimo che è nel bisogno. Sono le tre vie per vivere la gioia del Natale che sta arrivando. Questo in sintesi il messaggio che il Papa ha lasciato alla parrocchia romana di San Giuseppe all’Aurelio visitata domenica pomeriggio. Prima della Messa una serie di incontri con diversi gruppi della comunità con i quali il Pontefice ha condiviso anche i ricordi della sua infanzia. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

E’ la grande parrocchia di San Giuseppe all’Aurelio, con le realtà che segnano il quartiere popolare di Primavalle dove sorge, ad ospitare il Papa nella terza domenica di Avvento. Una presenza che significa vicinanza. Francesco infatti, come consuetudine, prima della Messa, si intrattiene con vari gruppi. Parla con i ragazzi del catechismo, di quando incontrò Gesù 70 anni fa nella Prima Comunione:

"Voi che farete la Prima Comunione, ricordate sempre, per tutta la vita, quella giornata: il primo giorno che Gesù è venuto in noi. Lui viene, si fa uno con noi, si fa nostro cibo, nostro nutrimento per darci forza. E anche non dimenticate le catechiste. Sapete che io non ho le mai dimenticate nella mia vita; e quando la suora che mi ha preparato è morta, il 17 ottobre dell’anno ’87, io sono andato lì e sono stato con la sua salma e ho pregato tanto, perché quella suora mi ha avvicinato a Gesù".

Poi la preghiera con i rappresentanti della comunità rom e delle famiglie disagiate, seguite dalla parrocchia, che incoraggia a non perdere la “speranza che”dice” è il Signore, che non delude mai”:

"Vi auguro ogni bene. Che sempre ci sia pace nelle vostre famiglie; e ci sia lavoro, ci sia gioia. La gioia di Gesù, la pace di Gesù, e così andare avanti. Non perdere la speranza nei momenti difficili, perché la speranza non delude: la dà il Signore. E il Signore presto o tardi ci aspetta sempre, sempre. E’ vicino a noi. Forse noi non lo vediamo, ma Lui è vicino e ci vuole tanto bene".

Quindi Francesco incontra gli ammalati ribadendo che sono la “forza della Chiesa”:

"La Chiesa senza i malati non andrebbe avanti. Voi siete forza nella Chiesa, voi siete vera forza. Il Signore ha voluto che vi visitasse questa malattia, ma andate avanti: andate avanti, con pazienza, anche con gioia".

Ultimo incontro del Papa è con i bimbi battezzati nell’ultimo anno, quindi la confessione di 5 fedeli. Infine, nell’omelia della Messa, interamente a braccio, Francesco si rivolge alla comunità raccolta in Chiesa, ricordando il senso profondo della gioia del Natale cristiano, anticipata in questa domenica:

"E la gioia del Natale è una gioia speciale; ma è una gioia che non è solo per il giorno di Natale, è per tutta la vita del cristiano. E’ una gioia serena, tranquilla, una gioia che sempre accompagna il cristiano. Anche nei momenti difficili, nei momenti di difficoltà, questa gioia diventa pace". 

La gioia cristiana non è quella del consumismo, ma è un dono del Signore, spiega  Francesco, ed è la Chiesa, con San Paolo innanzitutto, ad insegnarci da dove deriva:

"L’Apostolo san Paolo ai Tessalonicesi dice: 'Fratelli, siate sempre lieti'. E come posso essere lieto? Lui dice: 'Pregate, ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie'. La gioia cristiana la troviamo nella preghiera, viene dalla preghiera e anche dal rendere grazie a Dio: 'Grazie, Signore, per tante cose belle!'. Ma ci sono persone che non sanno ringraziare Dio: cercano sempre qualcosa per lamentarsi". 

Non è del cristiano, come dimostrano i Santi, vivere lamentandosi, con “la faccia amareggiata” che dice l’assenza della pace, aggiunge Francesco:

"Mai, mai un santo o una santa ha avuto la faccia funebre, mai! I santi hanno sempre la faccia della gioia. O almeno, nelle sofferenze, la faccia della pace. La sofferenza massima, il martirio di Gesù: Lui aveva quel volto di pace e si preoccupava degli altri: della mamma, di Giovanni, del ladrone… si preoccupava degli altri".

Dunque, ribadisce il Papa più volte, la via della gioia consiste nel pregare, nel rendere grazia per i doni ricevuti a partire dalla fede e poi nel pensare a come poter portare sollievo e pace ai bisognosi, essenza stessa del cristianesimo, spiega in conclusione Francesco:

"Noi siamo cristiani. 'Cristiani' viene da 'Cristo', e 'Cristo' significa 'unto'. E noi siamo 'unti': lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione. Noi siamo unti: cristiani vuol dire 'unti'. E perché siamo unti? Per fare che cosa? 'Mi ha mandato a portare il lieto annuncio' a chi? 'Ai miseri', 'a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore' (cfr Is 61,1-2). Questa è la vocazione di Cristo e anche la vocazione dei cristiani. Andare agli altri, a quelli che hanno bisogno, sia bisogni materiali, sia spirituali… Tanta gente che soffre angoscia per problemi familiari… Portare la pace lì, portare l’unzione di Gesù, quell’olio di Gesù che fa tanto bene e consola le anime".

San Giuseppe all’Aurelio ha vissuto con grande gioia questa visita di Papa Francesco come testimoniano le parole di alcuni dei parrocchiani presenti, raccolte da Benedetta Capelli:

R. – E’ un padre. Un padre buono. Un Papa umile, e sono contentissima, felicissima di aver potuto partecipare, oggi, di averlo potuto vedere …

D. – Per lei, è una presenza che resta forte …

R. – Resta perché dà gioia, dà serenità nel cuore. Io ho vissuto anche gli altri Papi, da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo I, che ha avuto nella mia vita una presenza abbastanza piena. Ma Papa Francesco è una cosa spettacolare: dà un colore alla vita!

R. – Un grande Papa, un Papa d’esempio per tutti.

D. – Lei è di questa zona?

R. – Sì, abito a un chilometro da qui, a Monte Spaccato.

D. – Quali sono le problematiche che vivete in questa realtà?

R. – Qui, di problematiche ce ne sono tante. Sono problematiche di carattere sociale, soprattutto. Credo che il Papa porti una parola di speranza.

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Medio Oriente e Guantanamo nel colloquio tra Kerry e Parolin

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Questa mattina si è svolto in Vaticano un incontro fra il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin e il segretario di Stato americano John Kerry. Hanno partecipato, da parte americana, anche l’ambasciatore presso la Santa Sede e due membri dello staff del segretario di Stato, e per parte vaticana tre officiali della Curia competenti per gli argomenti trattati.

“I temi principali – ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - sono stati la situazione in Medio Oriente, e l’impegno degli Stati Uniti per evitare l’aggravarsi delle tensioni e l’esplosione della violenza; inoltre l’impegno per favorire una ripresa dei negoziati fra Israele e i Palestinesi. E’ stato anche illustrato l’impegno degli Stati Uniti per la chiusura del carcere di Guantanamo e il desiderio di una favorevole attenzione della Santa Sede alla ricerca delle soluzioni umanitarie adeguate per gli attuali detenuti”.

“La brevità del tempo a disposizione – ha concluso padre Lombardi - ha impedito di approfondire altri temi, che sono stati quindi solo toccati, in particolare la situazione in Ucraina e le sue prospettive e l’emergenza per la epidemia di Ebola”.

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Altre udienze

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Il Papa ha ricevuto questa mattina anche: Mons. Aldo Cavalli, Arcivescovo tit. di Vibo Valentia, Nunzio Apostolico in Malta e in Libia; Mons. Edgar Peña Parra, Arcivescovo tit. di Telepte, Nunzio Apostolico in Pakistan; S.E. il Signor Dennis Anthony Savoie, Ambasciatore del Canada presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; Em.mo Card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; Don Pier Giorgio Perini, Fondatore delle Cellule Parrocchiali di Evangelizzazione.

Il Santo Padre ha ricevuto in udienza nel pomeriggio di sabato 13 dicembre: l’Em.mo Card. Sean Patrick O’Malley, O.F.M. Cap., Arcivescovo di Boston (Stati Uniti d’America); il Signor George Weigel.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Come si comunica: udienza di Papa Francesco a Tv2000.

Ricetta per Natale: il Papa nella parrocchia romana di San Giuseppe all’Aurelio.

Una terra spaccata in due: Gianpaolo Romanato sullo smembramento dell’Impero austro-ungarico dopo la prima guerra mondiale.

Emilio Ranzato e Sabino Caronia offrono due diverse letture (contro e pro) del film di Ermanno Olmi “Torneranno i prati”.

Nel forum a Dakar, l’Africa a confronto sulla sicurezza.

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Oggi in Primo Piano



Sydney: decine di ostaggi, sequestratore ha bandiera islamica

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Continua l'assedio alla cioccolateria Lindt a Martin Place, nel cuore di Sydney, dove un uomo armato tiene in ostaggio dalle 9 ora locale – le nostre  23 di ieri – tra le 40 e le 50 persone. Cinque di loro sono finora corse fuori dal bar, ma le autorità australiane non hanno chiarito se siano state rilasciate o siano riuscite a fuggire. Il servizio di Giada Aquilino

Un drappo nero con la scritta in arabo “Non c'è altro Dio al di fuori di Allah”. È l’immagine che scorre sulle televisioni australiane e rimbalza sui social network di tutto il mondo. L’uomo armato - la cui identità sarebbe stata individuata ma non viene al momento resa pubblica per motivi di sicurezza - tiene in ostaggio dipendenti del caffè e clienti, proprio a pochi metri dalla redazione di Channel Seven, la tv locale che ha dato l’allarme e ha cominciato a trasmettere l’assedio in diretta. Il sequestratore pare abbia detto di avere quattro bombe e abbia chiesto di parlare con il primo ministro Tony Abbott. La vice comandante della polizia, Catherine Burn, ha riferito che gli agenti - che hanno circondato e interdetto l’area ai non autorizzati - sono in contatto con l'uomo, ma i suoi moventi non sono chiari e non si sa se ci siano collegamenti con l’estremismo dello Stato Islamico d’Iraq e Siria. Il Gran Mufti d'Australia, Ibrahim Abu Mohamed, ha duramente condannato la presa d’ostaggi, mentre ciò che sta avvenendo assume l'aspetto di un attacco annunciato, visto che già il 12 settembre scorso il premier Abbott aveva portato ad “alta” la minaccia di un attentato terroristico ed erano scattati arresti in tutto il Paese.

In questo quadro, quanto incide dal punto di vista mediatico l’esposizione della bandiera nera che rimanda al sedicente Stato Islamico (Is)? Risponde Dario Fabbri, consigliere redazionale della rivista di geopolitica Limes: 

R. - Evidentemente incide molto. Il fatto stesso che la bandiera sia divenuta oggetto di dibattitto e che sia stata rilanciata da tutti i media internazionali ci dà un po’ il metro di quanto, in questo momento, il terrorismo islamico o sedicente tale sia destinato ad avere una risonanza globale. Del resto non può essere altrimenti, specie nelle società occidentali, quindi anche la nostra, dove un po’ tutto si aspettano - e speriamo che non sia così - il ritorno di guerriglieri che hanno combattuto al fronte in Siria o che sono stati radicalizzati sul territorio, per poi agire nelle nostre società in maniera terroristica. Nel caso specifico di Sydney, è impossibile ovviamente stabilire se si tratti - come sembrerebbe per altro - di un lupo solitario locale piuttosto che di un ex miliziano. In ogni caso, l’impatto che questa vicenda sta avendo a livello internazionale ci dà la sensazione di come tutte le nostre società occidentali siano in questo momento ipersensibili alla minaccia terroristica di stampo islamico.

D. - Che legami ci possono essere tra l’Australia e l’estremismo del sedicente Stato Islamico di Iraq e Siria?

R. – Sappiamo, perché ce lo dicono le autorità australiane, che ci sono tra i cento e i duecento cittadini australiani di origine mediorientale che hanno partecipato o stanno partecipando alla costruzione, alle battaglie dello Stato Islamico. È interessante rilevare a riguardo che gli ultimi mesi le autorità australiane hanno ritirato più di 50 passaporti, cioè li hanno annullati proprio per impedire a chi è andato all’estero a commettere questo tipo di azioni di ritornare in patria. Un altro dato interessante è che nelle ultime ore c’è stata un’azione antiterrorismo molto ampia a Sydney, che ha portato all’arresto di diverse persone. Sempre negli ultimi giorni, i vertici dello Stato Islamico in alcuni videomessaggi hanno invitato proprio i loro adepti in Australia ad effettuare azioni terroristiche.

D. - Su certi siti arabi si sono letti commenti di solidarietà con il sequestro di Sydney. È uno degli effetti della strategia comunicativa dell’Is?

D. - Senza dubbio. Abbiamo scoperto in questi mesi quanto gli esponenti dello Stato Islamico siano abili, capaci ad utilizzare i social network e in generale a muoversi nella rete telematica. Non può quindi rappresentare una sorpresa immaginare che moltissime persone, o comunque un numero rilevante di queste, stia esprimendo solidarietà se non addirittura ammirazione per quanto sta accadendo a Sydney.

D. - Invece una dura condanna al sequestro è arrivata dal Gran Mufti di Australia. Quanto servono queste prese di posizione del mondo islamico?

R. - È difficile dirlo, perché comunque il Gran Mufti ha evidentemente una presa soprattutto sugli islamici moderati, sulle persone che guardano all’Islam semplicemente come un fenomeno spirituale, molto meno fondamentalista e politico di come invece lo interpretano i leader dello Stato Islamico, che si rivolgono ad una massa radicalizzabile o già radicalizzata da questo punto vista. Però è evidente che questi due ‘campi’ si incontrano nel momento in cui il sedicente Califfo e il sedicente Stato Islamico si propongono come leader indiscussi dell’umma, dell’ecumene islamica. Questa è dunque un’offensiva del tutto ideologica che pone lo Stato Islamico in contrasto con tutti i principali Stati arabi e musulmani, ma anche con tutte le autorità religiose islamiche. Tutto ciò evidentemente è una ragione in più per condannare azioni che sono già di per sé criminose.

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Turkson, in Sierra Leone e Liberia. Ebola, costi umani altissimi

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“Curare le persone e non solo i corpi”, il messaggio che il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace porterà in Sierra Leone e in Liberia, i due Paesi africani più colpiti - insieme alla Guinea - dall’epidemia di Ebola, che finora ha causato oltre 6.500 vittime e contagiato più di 18 mila persone.  Il porporato, latore della solidarietà del Papa e di tutta la Chiesa, arriverà domani nella capitale della Sierra Leone accompagnato da mons. Robert J. Vitillo, consulente speciale per la salute della Caritas Internationalis. Il servizio di Roberta Gisotti: 

“L’impatto di questa epidemia va ben oltre il settore sanitario”, ne è convito il card. Turkson, che alla vigilia della sua partenza, evidenzia il caos in cui è precipitata l’“economia già fragile” della Sierra Leone, e i bisogni materiali e spirituali delle persone colpite e la necessità di sostenere anche gli operatori umanitari i sacerdoti impegnati sul campo. Tra questi è don Maurizio Boa, Giuseppino del Murialdo, da 20 anni missionario a Freetown, dove opera insieme ad altri quattro sacerdoti, a favore di ragazzi disabili e orfani, accolti nella “Murialdo Home” di Kissi, alla periferia della capitale.

R. – La situazione è un po’ strana, perché le cifre che il governo presenta sono in diminuzione, ma lo stesso governo ha decretato una mezza quarantena per tutta la Nazione, vietando le celebrazioni di Natale e di Capodanno. Quindi, sarà un Natale silenzioso: andare in chiesa e tornare a casa. Niente festa per le strade, niente preparazioni con Veglie notturne, come si usava fare, con canti,  balli, preghiere. Niente, niente di tutto questo. Vuol dire che c’è ancora paura di contagio. E infatti, c’è. L’urlo delle sirene ci parla ancora di morte, ci parla ancora di problema presente in Sierra Leone. Anche perché abbiamo raggiunto il triste primato di essere il Paese più colpito dall’Ebola, in questo periodo. Ma. certo ora la situazione è migliore: il contagio è circoscritto. Si sta affrontando l’Ebola ad armi pari, se si può dire così: con medici preparati, con gente preparata ed anche ben disposta a lavorare nei Centri ospedalieri. Dieci medici sierraleonesi sono morti: è un grande sacrificio. Sono martiri ed eroi, perché hanno esposto la loro vita per il bene dei fratelli.

D. – Quali sono le zone del Paese più colpite?

R. – Ci troviamo in una situazione a macchia di leopardo. Alcune zone sono dichiarate libere, altre sono dichiarate ancora infette. Tutto Bombali District, Waterloo Camp e altre zone sono ancora zone infette e bisogna stare attenti. Però, c’è molta più speranza: grazie anche ad Emergency a cui è stata affidata la responsabilità della cura di Ebola in Sierra Leone, devo dire che c’è più ottimismo.

D. – Riguardo agli aiuti: quindi, stanno arrivando, ma riescono ad essere distribuiti? Perché sappiamo che la Sierra Leone a causa di questa epidemia di Ebola sta soffrendo gravissimi problemi economici …

R. – Ci sono stati scandali di carattere di corruzione, ma ce ne sono dappertutto e non mi meraviglia: non mi meraviglia! I problemi sono due, e anche dopo Ebola saranno questi da affrontare: gli orfani che sono numerosissimi, e a volte non hanno proprio chi provveda a loro, chi li assista. Noi nel campo di Waterloo come Chiesa cattolica siamo molto presenti, in questo ambito. Poi ci sono le vedove con bambini. Aiuti, ne stanno arrivando, soprattutto di carattere medico. Nuovi Centri sono stati aperti e adesso non c’è più nessuno che muore per le strade o che aspetta un letto mentre è ammalato: no, no, queste cose non accadono più. Nessuno muore in casa o se muore in casa viene portato via subito. Quindi, gli aiuti ci sono di carattere umanitario e di personale qualificato. Si vede che c’è molta più attenzione.

D. – Lei diceva, sarà questo un Natale nel silenzio. Sarà importante quindi per la Sierra Leone sentire anche la solidarietà della Chiesa in tutto il mondo?

R. – La sentiamo già! Certamente posso dire che la preghiera ha smosso tantissimi, tantissimi cuori; mai mi sarei immaginato la solidarietà che mi ha accompagnato in questo periodo. Credo che il mondo ci stia guardando e che stia anche soffrendo con noi, in questo momento. Il Natale è una festa di gioia, di grazia e mi auguro proprio che possa portare, anche per noi, quella ventata di ottimismo che ci permetterà a breve di poter dichiarare la Sierra Leone “Ebola-free”, anche se Emergency parla di sei mesi.

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Turchia: blitz in 13 città, in manette giornalisti e politici

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La polizia turca ha effettuato una serie di arresti nell'ambito di un'operazione lanciata contro esponenti politici e giornalisti legati a Fethullah Gulen, strenuo oppositore del premier Recep Tayyp Erdogan. Sdegno e condanna da parte di Stati Uniti e Unione Europea che chiedono ad Ankara di rispettare gli standard democratici. Sentiamo il servizio di Marco Guerra

Il nuovo giro di vite contro l’opposizione in Turchia colpisce alcuni settori dell’impero di Fethullah Gulen, predicatore e politologo auto-esiliatosi negli Stati Uniti e uno dei principali rivali del presidente turco Erdogan. Il blitz in 13 città turche ha condotto in carcere almeno 27 persone, compresi politici e giornalisti. Nel mirino sono finiti in particolare il quotidiano più letto del Paese, Zaman – in manette il direttore Ekrem Dumanli - e una serie di dirigenti  di altre testate, fra cui un canale televisivo sempre vicino a Gulen. Decine i manifestanti radunati davanti la redazione di Zaman durante la perquisizione degli agenti. Dure le critiche espresse da Usa e Ue. Per l'Alto rappresentante della politica estera dell'Unione, Federica Mogherini, gli arresti “vanno contro gli standard a cui la Turchia aspira di fare parte”. Mentre il Dipartimento di Stato americano ha ricordato che “la libertà di stampa e un sistema giudiziario indipendente sono elementi chiave in ogni democrazia”. Gli arresti segnano una nuova escalation nella repressione del dissenso in Turchia. Gulen è infatti da tempo accusato dal presidente Erdogan di ordire un golpe utilizzando la propria influenza su magistrati, poliziotti e giornalisti.

Su questo giro di vite anti-dissenso Marco Guerra ha raccolto il commento di Valeria Talbot, responsabile del programma per il Mediterraneo e il Medio Oriente dell’Ispi: 

R. - Fethullah Gülen e Erdogan sono stati stretti alleati nel corso dello scorso decennio per marginalizzare dalla vita politica della Turchia l’establishment militare e kemalista. Nel corso degli ultimi anni si è avuto un allentamento dei rapporti fino a giungere ad una rottura tra i due ex alleati, rottura che si è consumata lo scorso anno, quando il governo di Erdogan ha deciso di chiudere le scuole gestite dal movimento di Fetullah Gülen. Questo è un movimento che nel corso dei decenni ha avuto un’importante ruolo nel sistema dell’Istruzione. Grazie a questo sistema di istruzione il movimento Gülenista è riuscito anche ad assicurarsi una presenza capillare nelle importanti istituzioni dello Stato ma anche nella magistratura, nelle forze di polizia è in altri uffici chiave. Rottura che si è consumata lo scorso anno e che sta provocando innumerevoli tensioni tra le due anime dell’islam. Ricordiamo lo scorso anno, proprio a metà dicembre, scoppiava in Turchia lo scandalo di corruzione che ha investito il governo. Dietro a questa indagine, secondo le parole dello stesso Erdogan c’è il movimento di Fetullah Gülen.

R. – Rispetto alla repressione delle rivolte del Gezi Park del 2013 quale elemento di novità presenta questa nuova stretta?

R. - Si inserisce in una più ampia ondata di arresti che è nata lo scorso anno con l’avvio dell’indagine di corruzione cui facevo accenno prima. Un’ondata che ha portato a una stretta della libertà di espressione, ad un blocco anche dei social media per alcune settimane, lo scorso anno, anche ad una progressiva erosione di quel processo democratico che l’Akp aveva consolidato nel corso del primo mandato tra il 2002 e il 2005.

D. – Colpisce degli arresti di ieri le manette a diversi giornalisti. Qual è lo stato di salute della libertà di stampa in Turchia al momento?

R. – Nell’ultimo anno si sono fatti passi indietro nella libertà di stampa perché il governo di Erdogan ha attuato una stretta molto forte, un controllo molto forte. Nel rapporto dello scorso Anno dei Giornalisti senza frontiere la Turchia risultava insieme all’Iran e alla Cina il Paese con il più alto numero di giornalisti in prigione. Quindi un controllo capillare e anche, in alcuni casi, c’è un’autocensura da parte degli stessi giornalisti.

D. – Prima  lo scontro frontale con i militari, adesso anche quello con parte dell’islam moderato: la leadership di Erdogan sta avvitando su se stessa, sebbene goda ancora di una grande popolarità, soprattutto nelle fasce più basse…

R. – Erdogan gode di un ampio sostegno nel Paese e lo hanno dimostrato i risultati delle elezioni amministrative di marzo ma soprattutto le elezioni presidenziali di agosto del 2014. Un consenso che si basa su diversi fattori: innanzitutto, la crescita economica che ha conosciuto la Turchia dal 2002 a oggi, crescita economica che ha consentito lo sviluppo del Paese, e che si è manifestata anche nel settore infrastrutturale in un miglioramento delle condizioni delle attività della popolazione ma che si basa anche sul fatto che Erdogan è riuscito a dare voce a quegli ampi strati di popolazione conservatrice attaccata ai valori religiosi, che prima non avevano la possibilità di esprimersi in pubblico.

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Camisasca: contestazioni a Sentinelle in Piedi, debolezza democrazia

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“Le persone non sono categorie, i bambini hanno diritto ad un papà e ad una mamma”: Così le Sentinelle in Piedi in un comunicato rispondono agli insulti subiti sabato in varie città italiane  durante le veglie silenziose aconfessionali e apartitiche da loro organizzate a favore della libertà di pensiero ed educazione e contro l’ideologia gender. Particolare tensione a Roma e La Spezia dove attivisti gay hanno rotto il silenzio dei veglianti. Al microfono di Paolo Ondarza il commento del vescovo di Reggio Emilia Guastalla, mons, Massimo Camisasca: 

R. – E’ un fenomeno, questo, che mi fa molto pensare, e cioè quanto il silenzio sia oggi sentito come una provocazione, soprattutto quando dietro a questo silenzio c’è l’affermazione dei diritti di libertà delle persone. E questo è ciò che mi preoccupa soprattutto, in questo momento, e cioè la debolezza della nostra democrazia in cui sembrano messe in crisi la libertà di pensiero e la libertà di espressione. Penso che il valore di questa testimonianza che danno le Sentinelle, sia quello di affermare semplicemente qualcosa in cui si crede, un credo laico. Si crede che fondamento della società sia la famiglia e si crede, perché è radicato nella storia e nella natura dell’uomo, che la famiglia sia formata da un uomo e da una donna e si crede che sia un bene per i figli avere un padre e una madre. Non vedo che cosa ci sia di intollerante o di omofobo in tutto ciò. All’opposto: vedo in tutto ciò l’affermazione di un bene per tutti, e quindi di qualcosa che viene offerto al bene comune, al bene della città e della società.

D. – L’iniziativa delle “Sentinelle in piedi” è laica, aconfessionale, apolitica, apartitica, tant’è che chi vi partecipa proviene dalle più diverse realtà, identità religiose e orientamenti sessuali …

R. – Infatti, il mio parlare di vescovo non vuole appropriare a sé nessuna realtà. Questa realtà è una realtà laica e quindi ha diritto di esprimere la sua voce, come hanno diritto di esprimere la loro voce anche tutte le altre posizioni. Purché questa espressione non diventi lesiva della dignità dell’altro, e quindi non diventi insulto, non diventi sputo, non diventi aggressione. Penso che dobbiamo ricominciare – Dio voglia sia possibile – a testimoniare che nella nostra società democratica ci si ascolti, anche su posizioni diverse, e si cerchi di cogliere ciò che di positivo c’è nella posizione dell’altro.

D. – In ballo c’è anche il concetto di “diritto”: anche Papa Francesco, recentemente, ha messo in guardia dal rischio di leggere i diritti in una chiave individualista …

R. – C’è uno stravolgimento della parola “diritto”, per cui la tragedia dell’aborto adesso, in alcuni Paesi, viene riconosciuta come “diritto delle donne”. Allora, c’è una mutazione del linguaggio che già avevamo visto nelle dittature. La famosa “lingua di legno” delle dittature, di cui parlava Ionesco: quella capacità di manipolare il linguaggio per cui le parole che dovrebbero esprimere una cosa finiscono per esprimerne un’altra. In realtà, non ci sono diritti sganciati dalla verità dell’uomo, non ci sono diritti sganciati dai suoi doveri.

D. – “Siamo in piazza per il bene di tutti, soprattutto di chi ha la coscienza addormentata”, scrivono in un comunicato le “Sentinelle in piedi”. Ravvisa questa coscienza addormentata, oggi?

R. – Molto. Purtroppo. Viviamo in un momento in cui, comprensibilmente, le persone, le famiglie portano su di sé un carico enorme di problemi; viene meno per taluni il lavoro, vengono meno gli stipendi o si riducono; ci si impoverisce … Poi, c’è molta violenza, nel nostro tempo, e quindi comprensibilmente si cerca, o si è vinti dalla tentazione di una chiusura nel privato: “ci pensino gli altri, sono problemi loro, io vado avanti così, con la mia coscienza”. Non ci si rende conto, in realtà, che “i problemi loro” non esistono: i problemi dell’uomo sono di tutti assieme e di tutti assieme sono le sconfitte o le vittorie.

D. – Quindi, risvegliare la coscienza su questi temi, oggi, è importante?

R. – E’ fondamentale da parte di tutti: della Chiesa e anche della società civile.

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Vicariato promuove Preghiera per Roma il 22 dicembre

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Una “Preghiera per Roma”: l’hanno voluta il cardinale vicario Agostino Vallini e il Consiglio episcopale della Diocesi e si svolgerà il 22 dicembre, alle 19.00, nella Basilica di Santa Maria Maggiore. “In questi giorni la nostra città vive pagine amare della sua storia per le gravi vicende di corruzione”, scrive il cardinale Vallini nella lettera che invita i fedeli a ritrovarsi davanti all’icona della Salus Populi Romani. Di fronte al “clima di sfiducia e di pessimismo, già presente a motivo della grave crisi economica”, aggiunge il porporato, “la nostra Chiesa diocesana … sente più che mai l’urgenza della conversione dei cuori e di annunciare la speranza per una nuova stagione di legalità e di serenità”. Con questa iniziativa, la Chiesa di Roma vuole chiedere alla Vergine Maria una speciale intercessione perché ciascuno si impegni nella costruzione di “una città dal volto umano, dove la dignità inviolabile di ogni persona, la giustizia e la solidarietà siano valori condivisi e praticati”. Al microfono di Tiziana Campisi, mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas romana, spiega il senso di questa Preghiera per Roma: 

R. – Il cardinale vicario, insieme con il Consiglio episcopale, hanno ritenuto opportuno dare una risposta di fede e preghiera alla città di Roma, perché ci sembra che in questo momento ci sia uno smarrimento di valori, di prospettive … E quindi, vogliamo chiedere al Signore che questa peste del malcostume, dell’intreccio del malaffare, dei disvalori, dello sciacallaggio sulle spalle dei poveri, dell’utilizzo della povertà perché alcuni si arricchiscano, che il Signore abbia misericordia e perdono, che ci perdoni … Quindi, far sentire che la Chiesa veramente confida nel Signore perché noi uomini non siamo capaci e siamo peccatori. Allora, chiedere al Signore che converta il nostro cuore, che converta coloro che hanno il dovere di stare accanto agli ultimi, ai poveri perché questo non è compito solamente umano ma soprattutto e fondamentalmente cristiano.

D. – La Chiesa di Roma invita i fedeli a pregare davanti all’icona della Salus Populi Romani. Ma in che modo può sensibilizzare e cosa può dire?

R. – Quello che la Chiesa può fare è sottolineare la positività che c’è. Nonostante quello che emerge, nonostante le difficoltà noi sappiamo che c’è tanto di positivo nella città. La Caritas in quanto tale può fare i suoi servizi, può aiutare i poveri, soprattutto perché ci sono migliaia di persone volontarie che si mettono a disposizione proprio degli ultimi, dei poveri.

D. – Come porsi di fronte al male o di fronte a ciò che ferisce, che colpisce le nostre coscienze?

R. – Io credo che dovremmo saper riflettere, vedere e saper rispondere a queste difficoltà. Una carenza di giustizia: ecco, sì, la giustizia innanzitutto. E la non-verità deve scomparire, perché innanzitutto la verità, e poi soprattutto lo sciacallaggio da parte delle persone che pensano di poter risolvere i loro problemi sulle spalle dei poveri: questo è veramente ignobile, questo non ci appartiene. Non è di Roma. E’ una realtà che noi non vorremmo aver visto, ma vorremmo che non ci fosse mai più per il futuro.

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Roma candidata a Olimpiadi 2024. Lusek: occasione rilancio etico

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L’Italia si candida alle Olimpiadi del 2024. Lo ha annunciato il premier Matteo Renzi spiegando che il progetto è incentrato su Roma. “Poi spetterà al Coni – ha aggiunto Renzi indicando Firenze, Napoli e la Sardegna - allargare la proposta ad altre città, come stabilito dal Comitato olimpico internazionale”. Su questa candidatura, Amedeo Lomonaco ha intervistato don Mario Lusek, responsabile dell'Ufficio per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Conferenza episcopale italiana: 

R. – Sicuramente creerà di nuovo qualche polemica, ma cerchiamo di guardare oltre. Questa candidatura potrebbe essere l’occasione anche di un modo diverso di proporre e poi di gestire l’evento olimpico che, eventualmente, verrà assegnato. In tempo di crisi, in tempo anche di ristrettezze economiche, bisogna valorizzare già l’esistente, che è già molto e di cui l’Italia è ricca, e soprattutto bisogna proporre un modello diverso di accoglienza olimpica e di gestione anche dell’evento olimpico. Quindi, potrebbe essere anche una risorsa di entusiasmo, di passione, di impegno, anche per rimettere in moto una situazione di lavoro che è molto precaria. E potrebbe essere anche questa l’occasione di stimolarci a fare di più e ad impegnarci di più. E’ una sfida. Come l’evento olimpico è una sfida sportiva, può essere anche paradigma e metafora della sfida che tutti noi siamo chiamati a compiere ogni giorno per dare il meglio e per raggiungere obiettivi che, in questo momento, sembrano irraggiungibili.

D. – Dunque una sfida che richiede grande impegno, grande lavoro, in una città al centro, in questi giorni, però, di notizie davvero inquietanti che riguardano proprio un sodalizio criminale che si è radicato nella capitale …

R.  – Siccome lo sport può diventare anche un motore di sviluppo anche a livello etico, anche a livello di scelte politiche e di comportamenti sia da parte dell’amministrazione pubblica sia da parte dei cittadini, potrebbe essere - e sicuramente lo sarà - un’occasione per riconsiderare e ripensare uno sport dal volto umano. Uno sport che metta al centro la persona e non il mercato e non gli interessi di parte e tantomeno gli interessi di alcune lobby.

D. – Come la Chiesa guarda a questo evento che può ripetere un’altra pagina storica, quella dell’Olimpiadi del 1960…

R. - Noi guardiamo con simpatia a questo perché già il Comitato olimpico nazionale ha molta attenzione per il mondo della Chiesa. Io, come direttore dell’Ufficio Cei, ho la fortuna di fare anche il cappellano olimpico e di aver vissuto già diverse esperienze olimpiche. Vedo che c’è un’attenzione verso il mondo della Chiesa e lo sport è di casa dentro la Chiesa. Quindi noi potremo dire molto e fare molto dal punto di vista etico, dal punto di vista di una presenza che non è invadenza, che non è invasione di campo. Ma è vicinanza, prossimità, attenzione e soprattutto anche aiuto a dare questo volto umano allo sport.

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Papa Francesco, strumento di pace nel libro di Paolo Loriga

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E’ stato presentato a Roma il libro “Francesco e Gerusalemme. Sfida religiosa e politica”, appena pubblicato dalla casa editrice “Città Nuova”. Autore del volume è il giornalista Paolo Loriga che mette a disposizione del lettore ciò che ha visto e provato seguendo da vicino la visita del Papa in Israele e in Giordania lo scorso maggio. Da quel viaggio, sostiene l’autore, è emersa l’idea stessa di Chiesa secondo il Papa, una Chiesa che si mette in cammino verso la pace a fianco degli uomini, condividendo le loro esistenze, in spirito di servizio. Ma ascoltiamo Paolo Loriga, nell’intervista di Adriana Masotti

R. – Io ho avuto una condizione privilegiata, quella di poter arrivare prima e dunque parlare con tante persone e cogliere dal vivo le attese che c’erano nei confronti di questa visita. Tutto questo mi ha aiutato a comprendere ancora di più il significato e la portata di questo viaggio internazionale di Papa Francesco, lì dove sembra che non ci possa essere pace, non ci possa essere speranza, non ci possa essere futuro. Ovviamente, il momento più emozionante per me, anche perché apriva uno scenario inaspettato, è stato quando, nella piazza della Mangiatoia a Betlemme, ha annunciato che avrebbe invitato a casa sua i due presidenti, quello israeliano e quello palestinese. Il Papa parlava in italiano e quando è stato detto in lingua araba c’è stata l’esultanza, l’emozione, la commozione di tutta la piazza, ed è stato un momento indimenticabile.

D.  – Tu dici che in questo viaggio si è mostrata la visione della Chiesa di Papa Francesco e si è capito ancora di più il carattere del suo papato…

R. – Io oso dire che c’è stato un cambio di passo del pontificato di Papa Francesco, soprattutto perché in questo viaggio lui ha fatto vedere il ruolo che la religione cattolica e le religioni possono svolgere a servizio dell’uomo in questo momento storico così disorientante. Lì si è visto come Lui abbia impostato tantissimo del suo impegno riguardo al rapporto con il Patriarca Bartolomeo e con le altre Chiese cristiane proprio per dare una testimonianza di unità in cammino, che è la condizione perché la cristianità possa tornare ad essere autorevole e quindi anche poter dialogare con l’ebraismo e con l’islam sui temi del servizio all’uomo e della pace. Il fatto poi  che lui non abbia partecipato a un convegno interreligioso ma, come pellegrino, sia andato a trovare sia il Gran Muftì, sia i due Gran Rabbini di Israele, ha dato una valenza particolare all’atteggiamento e anche alla logica di Papa Francesco: quello di privilegiare in questa fase l’incontro, l’apertura, i rapporti interpersonali, perché lui ha capito che prima di tutto bisogna partire da un rapporto di fiducia perché ciò che domina il Medio Oriente è la paura dell’altro, è la mancanza di sicurezza. E allora solo i rapporti interpersonali, così autorevoli, possono impostare un futuro di pace.

D. – E' possibile parlare di un cammino già cominciato nel segno del dialogo, della reciproca accettazione, almeno a livello di gruppi di persone, tra israeliani e palestinesi?

R. – Certo, sì, è un cammino già avviato da tanto tempo perché ci sono persone di buona volontà, operatori di pace, tessitori di dialogo sia tra gli israeliani che tra i palestinesi, tra i cristiani, tra i musulmani, tra gli ebrei, perché avvertono che la logica militare non può portare assolutamente a nessuna soluzione. Ed ecco che questa collaborazione tra piccoli gruppi - ma sono sempre più numerosi - e che adesso si stanno ponendo anche in rete è una grande garanzia per il futuro. La presenza, le parole e i gesti di Papa Francesco in quei giorni sono stati un grande nutrimento per la speranza dei singoli e di questi gruppi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Congo. Naufragio sul lago Tanganyika: 130 vittime

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Sono almeno 130 le persone che hanno perso la vita nel naufragio di un battello sovraccarico in viaggio sul lago Tanganyika, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, avvenuto giovedì scorso.

In base al bilancio diffuso nel fine-settimana dal ministro dei Trasporti della provincia del Katanga, Laurent Kahozi Sumba - riferisce l'agenzia Misna - i passeggeri tratti in salvo sarebbero oltre 230: si tratta di persone che si erano riuscite ad aggrappare ad oggetti galleggianti dopo il disastro.

I soccorritori continuano le ricerche di altri eventuali sopravvissuti. L’incidente è occorso nella serata di giovedì scorso al largo di Tembwe, fra le località di Moba e Kalemie, dove il traghetto transita prima di dirigersi verso Uvira, più a nord. Stando alle informazioni ufficiali, il M/V Mutambala, che trasportava passeggeri e merci, si è capovolto perché sovraccarico e a causa di forti venti.

I naufragi sono frequenti sui laghi e i fiumi congolesi e si concludono spesso con gravi bilancio a causa del sovraffollamento e della imbarcazioni fatiscenti, spesso prive delle misure di sicurezza di base, dai giubbotti salvagente alle scialuppe. Una gran parte della popolazione peraltro non sa nuotare.

A fine marzo sul Lago Albert, fra Rdc e Uganda, un altro naufragio aveva provocato 210 vittime fra un gruppo di congolesi rifugiati nel vicino Paese che avevano deciso di rimpatriare con i loro poveri mezzi. (R.P.)

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A Hong Kong via le ultime barricate. I cattolici: continua la lotta

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La polizia ha liberato questa mattina l'ultima zona occupata dai manifestanti di Occupy Central. Il distretto commerciale e finanziario di Causeway Bay è stato "ripulito" dopo 79 giorni: dal 28 settembre, infatti, la zona era costellata da barricate che impedivano il traffico. Gli agenti di Hong Kong - riporta l'agenzia AsiaNews - hanno arrestato 10 persone, che si erano rifiutate di abbandonare l'area prima della scadenza dell'ultimatum delle autorità. Fra loro anche il deputato cattolico Kenneth Chan Ka-lok (del Civic Party), un dimostrante di Pechino e un anziano di 90 anni.

Prima dell'azione della polizia, Chan ha spiegato alla stampa che ha condiviso l'occupazione di Causeway Bay con gli altri "per alcune settimane" e che quindi si sente "responsabile anche per loro": di conseguenza, ha voluto accompagnarli fino allo sgombero e agli arresti. Alcuni fra i presenti hanno urlato "Torneremo" e hanno chiesto di nuovo le dimissioni del Capo dell'Esecutivo, CY Leung.

Nonostante la scadenza dell'ultimatum, ieri notte migliaia di persone e di turisti dalla Cina continentale hanno voluto visitare l'area di Causeway Bay. Molti hanno fotografato la zona, addobbata di lavori artistici e cartelli, fatti per il movimento di Occupy Central. I dimostranti hanno usato l'ultima notte per un forum in cui "parlare liberamente di democrazia".

Ieri, i cattolici della zona hanno celebrato una Messa nell'area: è stata la prima a essere celebrata a Causeway Bay, ma l'ultima delle funzioni nei siti occupati. Dal 28 settembre, data di inizio delle barricate, ogni domenica è stata celebrata una Messa ad Admiralty prima e a Mongkok dopo. Entrambe le aree sono state sgombrate nei giorni scorsi dalle autorità.

La Messa di ieri è stata presieduta da padre Franco Mella, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime). Ai fedeli presenti, padre Mella ha chiesto di non essere irati o delusi: "Dobbiamo ancora avere speranza, come Giovanni Battista che ha preparato la strada per Gesù Cristo". Alla celebrazione hanno preso parte oltre 120 persone. (V.M.)

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Kirkuk: 25 dicembre giorno festivo in solidarietà con i cristiani

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Il governatore della provincia di Kirkuk, il curdo Necmettin Karim, ha dichiarato il prossimo 25 dicembre giorno festivo, per esprimere in maniera pubblica la solidarietà delle istituzioni e di tutta la società verso i cristiani, in occasione della festività del Natale del Signore.

Quel giorno tutte le istituzioni pubbliche della provincia, comprese le scuole – si legge nel comunicato diffuso dall'ufficio del governatore e ripreso dall'agenzia Fides – osserveranno un giorno di riposo. La decisione è stata resa nota ieri, in occasione della visita tributata al governatore Necmettin dal patriarca caldeo Louis Raphael Sako, che era accompagnato da una delegazione che comprendeva anche mons.Yousif Thoma Mirkis, arcivescovo caldeo di Kirkuk.

Nel loro colloquio, il patriarca e il governatore hanno avuto una scambio di idee e di considerazioni sulla travagliata fase politica vissuta dal Paese, soffermandosi sui problemi della sicurezza e soprattutto sull'emergenza-profughi, provocata dalla conquista di Mosul e della Piana di Ninive da parte dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is).

Nel corso dell'incontro, il governatore Necmettin ha elogiato l'impegno profuso dal patriarca Sako e dalla Chiesa caldea nel tentativo di custodire e rafforzare la convivenza tra le diverse componenti etniche e religiose presenti nel Paese. (R.P.)

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Kurdistan: apre prima scuola donata da Aiuto alla Chiesa che Soffre

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"L’educazione dei bambini è tra le priorità della nostra fondazione. Non dobbiamo permettere che si ripeta in Iraq quanto già accaduto in Siria, dove a causa della guerra tanti bambini e ragazzi non frequentano la scuola da anni, con danni gravissimi alle generazioni future". Con queste parole il presidente esecutivo internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), Johannes Heereman, ha inaugurato lo scorso 11 dicembre la prima scuola prefabbricata donata da Acs ai piccoli rifugiati nel Kurdistan iracheno.

La struttura - che si trova ad Ankawa, sobborgo a maggioranza cristiana di Erbil – è parte del piano di aiuti di quattro milioni di euro varato dalla fondazione pontificia in favore dei cristiani fuggiti dalla violenze dello Stato Islamico. 2 dei 4 milioni di euro serviranno all’acquisto e all’istallazione di otto scuole prefabbricate - quattro ad Ankawa e quattro nella città di Duhok - che accoglieranno oltre 7.200 piccoli rifugiati.

"Sono davvero felice – ha proseguito Heereman – perché inaugurando questa scuola diamo un piccolo ma essenziale contributo alla salvaguardia della presenza cristiana in Iraq". La realizzazione del piano di aiuti è coordinata da padre Andrzej Halemba, responsabile Acs per il Medio Oriente. "Le otto scuole non riusciranno a soddisfare tutte le necessità dei rifugiati, ma è un buon inizio", ha affermato padre Halemba, sottolineando che le strutture accoglieranno anche i bambini appartenenti alla minoranza yazida.

Con il massiccio afflusso di rifugiati nella regione semi-autonoma, la maggior parte delle strutture scolastiche sono state adibite all’accoglienza dei profughi. «Un’ulteriore fonte di tensione per le tante famiglie sfollate, preoccupate che i propri figli non possano più tornare a scuola», spiega padre Halemba.

L’opera di Acs è molto apprezzata dalla Chiesa irachena. "Questi progetti sono per noi dei segni di speranza", ha commentato il patriarca caldeo, Louis Raphael I Sako, dopo aver visitato la struttura. Anche l’arcivescovo caldeo di Erbil, mons. Bashar Matti Warda, presente all’inaugurazione della scuola, ha ringraziato la fondazione pontificia: «Queste scuole donano ai rifugiati una nuova prospettiva. E noi siamo davvero grati ai nostri benefattori».

Entro la fine di gennaio 2015 le otto scuole saranno operative. A causa dello spazio ridotto le lezioni saranno organizzate in due turni – mattina e pomeriggio - ciascuno dei quali sarà frequentato da circa 450 alunni. I corsi saranno tenuti da insegnanti cristiani che sono stati costretti a fuggire dalle proprie città e villaggi, ora occupati dal sedicente Stato Islamico. (T.C.)

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Sud Sudan: Messa di suffragio per le vittime e per la pace

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Una preghiera di suffragio per le vittime della guerra civile e per la pace nel Paese è stata celebrata oggi, nella cattedrale di Juba, capitale del Sud Sudan, ad un anno dalla scoppio della guerra civile che, secondo stime dell’International Crisis Group, ha provocato almeno 50.000 vittime, per lo più civili, un numero che secondo altri osservatori andrebbe raddoppiato.

La Messa è stata presieduta da mons. Paolino Lukudu Loro, arcivescovo di Juba, che in un messaggio pervenuto all’agenzia Fides, ha lanciato un nuovo appello alla pace e alla stabilità nel Paese, invocando l’aiuto di Dio.

La crisi sud-sudanese è esplosa esattamente un anno fa. Il 15 dicembre 2013 a Juba si sono infatti avuti i primi scontri tra reparti militari, rispettivamente fedeli al Presidente Salva Kiir e all’ex vice Presidente, Riek Machar.

Il conflitto si è poi esteso a diverse aree del Paese, assumendo una caratterizzazione etnica, coinvolgendo le due principali etnie del Paese, i Dinka (ai quali appartiene il Presidente Kiir) e i Nuer (l’etnia di Machar). Oltre alle vittime e ai feriti, la guerra ha provocato l’esodo di 2 milioni di persone e la paralisi economica del Paese, al punto che su 12 milioni di abitanti, circa la metà dipende per la propria sopravvivenza dagli aiuti internazionali.

Per dare un nome alle vittime, alcuni attivisti e gruppi religiosi hanno dato origine al progetto “Naming Those We Lost” che finora ha identificato 572 morti: i primi sono quelli di un bambino di 14 mesi e di una signora di 105 anni. L’Unicef ha denunciato infine il reclutamento, da parte delle varie fazioni, di 12mila bambini soldato. Nonostante diversi tentativi di pace, la crisi non è ancora risolta. (R.P.) 

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Capo Verde: appello card. Sarr per eruzione isola di Fogo

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Il cardinale senegalese Théodore Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, ha lanciato un appello alla solidarietà per la popolazione dell’isola di Fogo, nell’arcipelago di Capo Verde, colpita da una drammatica eruzione vulcanica.

“Invito i parroci e gli amministratori delle parrocchie dell’arcidiocesi di Dakar a sensibilizzare i fedeli sulla situazione delle popolazione dell’isola di Fogo durante le celebrazioni, e di organizzare, in ogni parrocchia, una colletta speciale destinata a queste popolazioni. Vista l’urgenza della situazione, raccomando che la colletta sia organizzata al più presto” chiede il card. Sarr in un comunicato inviato all’agenzia Fides.

L’appello del cardinale riprende quello lanciato dai vescovi della Conferenza episcopale Interterritoriale di Senegal, Mauritania, Capo Verde e Guinea Bissau, al termine della loro Assemblea tenutasi a Tambacounda (Senegal) dal 25 novembre al 2 dicembre.

Secondo le notizie inviate alla Fides, il vulcano Pico de Fogo è in eruzione dal 23 novembre, colpendo la popolazione di Cha das Caldeiras, località ai piedi del vulcano nell’isola di Fogo, che si trova nella parte meridionale dell’arcipelago capoverdiano. Gli 850 abitanti del quartiere sono stati evacuati e non si segnalano vittime. (R.P.)

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Filippine: cattolici contro legge sulla Salute riproduttiva

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In concomitanza con il secondo anniversario dell'approvazione della controversa legge sulla Salute riproduttiva (Rh Bill), contro la quale si è battuta con forza la Chiesa filippina, un gruppo di giovani cattolici lancia l'iniziativa "Love + Life Philippines" (Llp).

Ragazzi e ragazze in prima fila nella campagna "pro life" hanno presentato l'iniziativa il 13 dicembre scorso, in concomitanza con la festa di Nostra Signora di Guadalupe, patrona dei bambini non nati, nell'omonimo santuario a Makati, cittadina della regione di Metro Manila. Per garantire maggiore diffusione, i promotori hanno anche aperto una pagina su Facebook.

Padre Eric Cruz, parroco del santuario, sottolinea che "è un onore per i membri di Llp presentare l'iniziativa in una parrocchia pro-vita come la nostra"; il sacerdote ha concelebrato la Messa di presentazione assieme al direttore spirituale di Llp, padre Gerry Battad. Peter Pardo, presidente Llp, realtà che comprende associazioni e gruppi cattolici della capitale, spiega che l'obiettivo è "raccontare la verità" ai giovani, spiegare loro le ragioni "pro-vita" e "che la Rh non serve".

L'8 aprile scorso la Corte suprema delle Filippine ha confermato la costituzionalità della legge sulla salute riproduttiva (Responsible Parenthood and Reproductive Health Act 2012), abrogandone però alcuni articoli e ammettendo l'obiezione di coscienza.

Dalla sua ratifica nel dicembre 2012, gruppi e istituzioni cattolici avevano presentato 14 ricorsi contro la legge, giudicandola incostituzionale. In un primo momento la Corte suprema ha bloccato l'attuazione del provvedimento per quattro mesi (marzo 2013), per poi congelarla a tempo indeterminato (luglio 2013) fino alla decisione finale.

La legge sulla Salute riproduttiva proibisce l'aborto clinico ma invita le coppie a non avere più di due figli. Inoltre impone ai Centri sanitari statali di dare in modo gratuito preservativi e pillole anticoncezionali. Tale disegno ha il sostegno delle grandi Ong internazionali, dell'Onu e dell'Unicef, che vedono nell'alto tasso di natalità una delle principali cause di povertà.

La Chiesa filippina, fiancheggiata da numerose associazioni cattoliche attive nel Paese, sostiene invece il Natural Family Programme (Nfp), volto ad incentivare una cultura di responsabilità e amore basata sui valori naturali. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 349

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.