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Sommario del 18/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: siamo tutti contenti per avvicinamento Usa-Cuba

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Papa Francesco ha espresso il suo “vivo compiacimento per la storica decisione” di Stati Uniti e Cuba, annunciata ieri, di stabilire relazioni diplomatiche interrotte dal 1961. Nel corso degli ultimi mesi, il Pontefice ha scritto ai due presidenti Raúl Castro e Barack Obama, “per invitarli a risolvere questioni umanitarie d’interesse comune, tra le quali la situazione di alcuni detenuti, al fine di avviare una nuova fase nei rapporti tra le due Parti”. “La Santa Sede – rileva un comunicato della Segreteria di Stato - accogliendo in Vaticano, nello scorso mese di ottobre, le Delegazioni dei due Paesi, ha inteso offrire i suoi buoni offici per favorire un dialogo costruttivo su temi delicati, dal quale sono scaturite soluzioni soddisfacenti per entrambe le Parti. La Santa Sede continuerà ad assicurare il proprio appoggio alle iniziative che le due Nazioni intraprenderanno per incrementare le relazioni bilaterali e favorire il benessere dei rispettivi cittadini".

Di questa svolta diplomatica Papa Francesco ha parlato stamattina a un gruppo di ambasciatori presso la Santa Sede. Il Pontefice si è riferito proprio al lavoro della diplomazia. Queste le sue parole: 

“Il lavoro dell’ambasciatore è un lavoro di piccoli passi, di piccole cose, ma che finiscono sempre per fare la pace, avvicinare i cuori dei popoli, seminare fratellanza fra i popoli. E questo è il vostro lavoro, ma con piccole cose, piccoline. E oggi tutti siamo contenti, perché abbiamo visto come due popoli, che erano allontanati da tanti anni, ieri hanno fatto un passo di avvicinamento. Ecco, questo è stato portato avanti da ambasciatori, dalla diplomazia. E’ un lavoro nobile il vostro, tanto nobile”.

Il discorso era rivolto agli ambasciatori di Mongolia, Bahamas, Dominica, Tanzania, Danimarca, Malaysia, Rwanda, Finlandia, Nuova Zelanda, Mali, Togo, Bangladesh e Qatar. Il Papa li ha salutati con un “caldo benvenuto”, augurando a tutti “un lavoro fruttuoso, un lavoro fecondo”.

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Parolin: ruolo di Papa Francesco determinante nel dialogo Cuba-Usa

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L’impegno del Vaticano per il dialogo tra Cuba e Stati Uniti è di lunga data, dal messaggio di Giovanni XXIII ai viaggi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, all’impegno anche dei nunzi del Paese. Ma qual è stato, più recentemente, il ruolo specifico di Papa Francesco? Conta il fatto che sia il primo Papa che viene dal continente americano? Roberto Piermarini lo ha chiesto al cardinale segretario di Stato Pietro Parolin in un'intervista inb esclusiva alla Radio Vaticana: 

R. – Sì, mi piace che si ricordi tutto il lavoro che è stato compiuto in tanti anni. Perché evidentemente ogni decisione e soprattutto ogni decisione di questo tipo, di questa portata, di questa importanza, ha tutto un retroterra fatto di lavoro, fatto di sforzi, fatto di pazienza, fatto di piccoli passi. Lei ha ricordato, appunto, le persone che hanno contributo e ce ne sono tante altre, che naturalmente hanno dato il loro apporto per arrivare a questa conclusione. Certamente il ruolo del Papa Francesco è stato determinante, proprio perché lui ha preso anche questa iniziativa di scrivere ai due Presidenti per invitarli, appunto, a superare le difficoltà esistenti fra i due Paesi e trovare un punto di accordo, un punto di incontro. Certamente questo è dovuto anche al fatto che viene da quella regione e quindi conosce effettivamente la problematica ed ha trovato anche la maniera giusta – diciamo – per favorire un po’ il superamento della distanza e il riavvicinamento tra le due parti.

D. – Cardinale Parolin, si può dire che la “cultura dell’incontro”, di cui Papa Francesco parla spesso, trova qui una sua applicazione e un suo risultato particolarmente importante?

R. – Mi pare di sì, mi pare di sì. La risposta è in un certo senso scontata. Il Papa lo ha detto tante volte e a me piace sempre ripeterlo: quando ci sono problemi, allora lì si deve applicare il metodo del dialogo e più ci sono problemi e più ci sono difficoltà, più ci deve essere il dialogo. E questo dialogo se è sincero ha sempre come finalità, come obiettivo, quello di fare incontrare le persone, anche nelle rispettive differenze e farle collaborare. Quindi mi pare che questa sia proprio un’esemplificazione molto, molto significativa di questa “cultura dell’incontro”, cui il Papa continuamente invita le persone, i gruppi e i Paesi del mondo di oggi.

D. – Come si caratterizza oggi l’impegno diplomatico della Santa Sede? Con quali attenzioni particolari viene esercitato ed è stato esercitato in questa trattativa?

R. – L’impegno della Santa Sede è quello che il Papa ha definito ancora nel primo discorso che fece al Corpo Diplomatico dopo la sua elezione. Lì ricordava tre punti: il punto della pace, che è sempre stata una caratteristica fondamentale dell’azione della Santa Sede e della diplomazia della Santa Sede nelle varie epoche della storia; oggi, la lotta contro la povertà; e poi diceva “costruire ponti”. Ecco, questo è l’impegno della diplomazia ecclesiastica. In questo caso, questo ‘costruire ponti’ si è espresso attraverso una facilitazione del dialogo tra le due parti, quindi la Santa Sede – come si è ricordato nel comunicato stampa – ha offerto i suoi buoni uffici, perché le due parti potessero incontrarsi e potessero giungere anche ad una conclusione felice di questo impegno da parte di entrambe. Quindi è stata una funzione che è tipica anche della diplomazia, quella di offrire i buoni uffici perché qualche questione possa trovare una soluzione felice.

D. – Lei conosce molto bene l’area, essendo stato fino a poco tempo fa nunzio in Venezuela. Come questa novità dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba potrà influire positivamente in tutta la regione latinoamericana?

R. – Io lo credo e lo spero. Lo credo perché evidentemente un passo di questa natura avrà sicuramente dei riflessi positivi anche in tutta l’area latinoamericana e lo spero perché credo che ci siano situazioni che hanno bisogno di trovare un miglioramento e di trovare una soluzione. Quindi il fatto anche che ci sia anche una specie di modello, perché due nazioni che hanno avuto tanti problemi, tante difficoltà nelle loro relazioni, che abbiano potuto, grazie alla buona volontà e al coraggio anche dei loro leader - vorrei mettere in rilievo anche questo, perché mi pare importante rilevare e sottolineare anche questo, che ci è voluta una grande dosa di coraggio anche per arrivare a questa conclusione - forse potrà ispirare altri leader ad avere altrettanto coraggio e cercare la strada del dialogo e dell’incontro.

D. – Eminenza, vi saranno frutti positivi per la Chiesa a Cuba?

R. – Ho sentito che hanno suonato le campane a Cuba per questo, quindi vuol dire che anche la Chiesa ha partecipato in maniera gioiosa a questo avvenimento. Credo che questo sarà un ulteriore passo che aiuterà la Chiesa a svolgere sempre meglio la sua funzione all’interno della società cubana per la costruzione di una realtà sempre più solidale e che aiuterà la Chiesa a portare il suo contributo anche all’intera società cubana. Vorrei dire che alla fine ci sono state tante e tante collaborazioni, però dobbiamo veramente ringraziare Dio per questo passo. E’ un buon segno, una buona notizia in mezzo a tante notizie del mondo di oggi che sono piuttosto di segno contrario. Ci dice che è possibile quello che i Papi in generale e il Papa Francesco in particolare hanno sempre detto e su cui hanno insistito: è possibile arrivare a capirsi; è possibile arrivare a comprendersi; è possibile arrivare a collaborare e a trovare anche delle strade di uscita dalle difficoltà che ci separano.

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Usa-Cuba, quando i Papi costruiscono ponti

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La storica svolta nelle relazioni tra Usa e Cuba, favorita dal ruolo di Papa Francesco e della Santa Sede, raccoglie i frutti di un lavoro lungo decenni, che ha avuto i Pontefici - in particolare Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - tra i protagonisti accanto alla Chiesa locale e alla diplomazia vaticana. Nel suo servizio, Alessandro Gisotti si sofferma su alcuni momenti salienti di questo lungo cammino di riconciliazione: 

Pontefice, costruttore di ponti. Se c’è una vicenda della storia contemporanea che sottolinea il significato di questa parola viene naturale, all’indomani della storica svolta tra Washington e L’Avana, pensare proprio al confronto tra Stati Uniti e Cuba. Se infatti per 55 anni, il braccio di mare che separa l’isola caraibica dalle coste della Florida è sembrato largo come un Oceano, i Pontefici non hanno mai creduto che la distanza fosse incolmabile. Anzi, in fedeltà alla missione iscritta nel loro nome, hanno posato pazientemente un mattone dopo l’altro per costruire quel ponte idealmente inaugurato dal primo Papa latinoamericano.

Roncalli e la crisi dei missili
Dopo la rivoluzione castrista, nel pieno della Guerra Fredda, Cuba – per la sua posizione strategica – diventò molto più di Cuba. Un destino a tratti drammatico come si colse in tutta la sua evidenza durante la “Crisi dei missili” dell’ottobre del 1962. Proprio in quell’occasione quando, concordano gli storici, l’umanità fu a un passo dall’annientamento nucleare, Giovanni XXIII offrì un àncora ai contendenti con il Messaggio trasmesso dalla Radio Vaticana. Un richiamo a tutti gli uomini di buona volontà e, in particolare, ai leader di Usa e Urss, Kennedy (primo Presidente cattolico statunitense) e Krusciov. Con la voce rotta dalla commozione, Papa Roncalli leva una supplica accorata per la pace:

“Nous supplions tous les Gouvernants de ne pas rester  sourds…
“Noi – afferma San Giovanni XXIII dai microfoni della nostra emittente – supplichiamo tutti i Governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze” (25 ottobre 1962).

L’impressione generata da quell’intervento è enorme. E’ come se la coscienza del mondo avesse alzato la voce per ribellarsi ai rumori sinistri della macchina bellica messasi di nuovo in moto. Una voce che si traduce, un anno dopo, nella Pacem in Terris, l’Enciclica sulla pace di Giovanni XXIII che ancora oggi rappresenta uno dei documenti più vibranti sull’insensatezza della guerra.

Papa Wojtyla vola a Cuba
Se dunque nel 1962 un Papa pone le fondamenta del ponte tra Cuba e Stati Uniti, 36 anni dopo un altro Papa, Giovanni Paolo II, edifica l’arcata inimmaginabile fino a pochi anni prima. E’ il 21 gennaio del 1998 quando il Pontefice che ha contribuito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica arriva nella terra della Revolucion guevarista. In segno di rispetto per l’ospite d’eccezione, Fidel Castro non indossa la tradizionale uniforme militare ma un doppiopetto blu. Fanno il giro del mondo le immagini del Lider maximo che sorregge Karol Wojtyla, già provato dalla malattia. Nei suoi discorsi, come nelle sue omelie, in terra cubana, il Pontefice ribadisce che i cristiani di Cuba hanno diritto a vivere liberamente la propria fede, un diritto che nessuna ideologia può pretendere di eliminare. Quindi, parlando a una folla immensa di cubani, nella Piazza “José Martí” dell’Avana, pronuncia quell’esortazione storica che oggi appare profetica:

“Llamada a vencer el aislamiento, ha de abrirse al mundo y el mundo…”
“Chiamata a vincere l’isolamento – sottolinea San Giovanni Paolo II – Cuba deve aprirsi al mondo e il mondo deve avvicinarsi a Cuba, al suo popolo ai suoi figli, che ne rappresentano senza dubbio la maggiore ricchezza. E’ giunta l’ora di intraprendere i nuovi cammini che i tempi di rinnovamento in cui viviamo esigono, all’approssimarsi del Terzo Millennio dell’era cristiana”! (25 gennaio 1998)

Benedetto XVI e il “no” all’embargo
Se quindi Papa Wojtyla chiede a Cuba di aprirsi, al tempo stesso esorta più volte gli Stati Uniti a porre fine all’embargo che attanaglia l’isola. Un “no” convinto all’embargo ripreso anche da Benedetto XVI che, ricevendo nel 2009 l’ambasciatore cubano presso la Santa Sede, denuncia che questa misura unilaterale “colpisce in modo particolare le persone e le famiglie più povere”. Tre anni dopo, sulle orme del suo predecessore, Papa Benedetto è a Cuba dove incontra il presidente Raul Castro ma anche, privatamente, il fratello Fidel. Ancora una volta, il Papa chiede che “si eliminino posizioni inamovibili” che “tendono a rendere più ardua l’intesa ed inefficace lo sforzo di collaborazione”.

“Concluyo aquí mi peregrinación, pero continuaré rezando…
“Concludo qui il mio pellegrinaggio – afferma il 28 marzo all’aeroporto dell’Avana – ma continuerò a pregare ardentemente affinché continuiate il vostro cammino e Cuba sia la casa di tutti e per tutti i cubani, dove convivano la giustizia e la libertà, in un clima di serena fraternità”. Quella libertà e quella fraternità fra i popoli statunitense e cubano che oggi, anche grazie ai Pontefici, non sembra più un’utopia.

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Il Papa ai luterani: non dividiamoci su tematiche vita e famiglia

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Non siano “taciute o tralasciate” questioni relative alla dignità dell’uomo “per non mettere a repentaglio il consenso ecumenico finora raggiunto”. E’ quanto ha sottolineato Papa Francesco ricevendo stamani, in Vaticano, una delegazione della Chiesa evangelica luterana tedesca. Il Santo Padre, ricordando i progressi nel dialogo tra luterani e cattolici, ha anche espresso l’auspicio che siano compiuti “ulteriori passi verso l’unità”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il Papa ricorda la “responsabilità ecumenica” della Chiesa cattolica, il “notevole progresso” nel dialogo tra luterani e cattolici e la “convivenza fraterna” nonostante permangano “differenze teologiche”. Non deve subentrare la rassegnazione - aggiunge il Santo Padre - quando sembra allontanarsi, a causa di diverse interpretazioni, “l’obiettivo comune dell’unità piena e visibile dei cristiani”. Proseguire con fiducia sulla strada intrapresa lungo il “cammino di amicizia” significa anche interrogarsi insieme su temi cruciali, come “Dio e la dignità dell’uomo” al centro del lavoro, quasi terminato, a cura della Conferenza episcopale tedesca e della Chiesa evangelica luterana della Germania:

“Di grandissima attualità sono le questioni relative alla dignità della persona umana all’inizio e alla fine della sua vita, così come quelle attinenti alla famiglia, al matrimonio e alla sessualità, che non possono essere taciute o tralasciate solo perché non si vuole mettere a repentaglio il consenso ecumenico finora raggiunto. Sarebbe un peccato se, su tali importanti questioni legate all’esistenza umana, si verificassero nuove differenze confessionali”.

Il Papa ricorda inoltre che “nel 2017 cristiani luterani e cattolici commemoreranno congiuntamente il quinto centenario della Riforma. Un’occasione per la “professione della fede comune nel Dio Uno e Trino”:

“Al centro di questo evento ci saranno dunque la preghiera comune e l’intima richiesta di perdono rivolte al nostro Signore Gesù Cristo per le reciproche colpe, insieme alla gioia di percorrere un cammino ecumenico condiviso”.

L’auspicio – conclude il Pontefice - è che questa commemorazione della Riforma sia un incoraggiamento a compiere, con l’aiuto di Dio, “ulteriori passi verso l’unità”.

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Francesco a bambini Azione Cattolica: con Gesù tutto è possibile

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Con Gesù accanto nella vita “tutto è possibile”. Soprattutto, è possibile condividere tempo, energie e qualità per servire le proprie comunità e amare i più poveri. Lo ha ricordato Papa Francesco ricevendo in udienza una cinquantina di bambini dell’Azione Cattolica Ragazzi, che hanno portato al Papa gli auguri di Natale. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

La vita in cinque “tutto” e un “eccomi”. “Tutto da scoprire” è lo slogan che gli educatori dei bambini dell’Azione cattolica hanno scelto per la formazione di quest’anno. Ma Papa Francesco scruta dentro quel “tutto” come in uno scrigno trovandovi altri tesori di saggezza fondamentali per un ragazzino che voglia sì scoprire la sua vita, ma soprattutto scoprire cosa Dio abbia pensato di bello per lui.

Costruire, amare, condividere
Il primo “tutto” è “non arrendersi mai” perché qualsiasi cosa Gesù ha pensato ­– dice il Papa – “è tutto da costruire insieme” a genitori, fratelli, amici, compagni di scuola, Azione cattolica:

“Secondo, interessarsi alle necessità dei più poveri, dei più sofferenti e dei più soli, perché chi ha scelto di voler bene a Gesù non può non amare il prossimo. E così il vostro cammino nell’A.C.R. diventerà tutto amore (...) Terzo, amare la Chiesa, volere bene ai sacerdoti, mettersi al servizio della comunità (…), donare tempo, energie, qualità e capacità personali alle vostre parrocchie, e così testimoniare che la ricchezza di ognuno è un dono di Dio tutto da condividere”.

Tutto è possibile con Gesù
Quarto punto da tenere a mente, indica Papa Francesco ai bambini, è l’“essere apostoli di pace e di serenità, a partire dalle vostre famiglie”. A loro e ai vostri amici, suggerisce, ricordate “che è bello volersi bene, e che le incomprensioni si possono superare, perché stando uniti a Gesù tutto è possibile: 

“Quello è importante: tutto è possibile. Ma questa parola non è un’invenzione nuova: questa parola l’ha detta Gesù, quando scendeva dal Monte della Trasfigurazione. A quel papà che chiedeva di guarirgli il figlio, Gesù cosa ha detto? ‘Tutto è possibile a coloro che hanno fede’. Con la fede in Gesù si può tutto, tutto è possibile”.  

“Eccomi”
L’ultimo punto riguarda la preghiera, anzi – sottolinea il Papa – il “parlare con Gesù, l’amico più grande che non abbandona mai”, il “correre da Lui ogni volta che sbagliate e fate qualcosa di male, nella certezza che Lui vi perdona” perché l’amicizia con Gesù, è un evento tutto da raccontare”:

“Io penso che voi già vivete parecchie di queste cose. Adesso, con la grazia del suo Natale, Gesù vuole aiutarvi a fare un passo ancora più deciso, più convinto, e più gioioso per  diventare suoi discepoli. Basta una piccola parola: ‘Eccomi’. Ce la insegna la nostra Madre, la Madonna, che ha risposto così alla chiamata del Signore: ‘Eccomi’, ‘Eccomi’".

All’inizio dell’incontro, Matteo, 11 anni, aveva ringraziato Francesco a nome di tutti i bambini:

“Essere qui oggi è come realizzare per noi un bellissimo sogno, un sogno diventato realtà perché a voce, guardandoti negli occhi, possiamo esprimerti la sensazione di tranquillità e serenità che trasmetti quando con le tue semplici parole ci parli dell’immenso amore che Dio continua ad avere per l’umanità, anche quando ci dimentichiamo dei nostri fratelli meno fortunati”.

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Il Papa: Dio fa la storia con noi e la corregge quando sbagliamo

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Affidarsi a Dio anche nei momenti bui, anche se non capiamo a volte la storia che fa con noi: ma è sempre storia di salvezza. E’ quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

“Dio ha voluto salvarci nella storia” – ha affermato il Papa - la nostra salvezza “non è una salvezza asettica, di laboratorio. No! E’ storica. Lui ha fatto un cammino nella storia col suo popolo”. Dunque, “non c’è una salvezza senza storia. E per arrivare al punto di oggi c’è stata una lunga storia, una lunghissima storia”:

“E così, passo a passo, si fa la storia. Dio fa la storia, anche noi facciamo la storia; e quando noi sbagliamo, Dio corregge la storia e ci porta avanti, avanti, sempre camminando con noi. Se noi non abbiamo questo chiaro, mai capiremo il Natale! Mai capiremo l’Incarnazione del Verbo! Mai! E’ tutta una storia che cammina. ‘Padre, è finita questa storia col Natale?’; ‘No! Adesso ancora il Signore ci salva nella storia. E cammina col suo popolo’”.

In questa storia – ha proseguito Papa Francesco - ci sono gli eletti di Dio, quelle persone che Lui sceglie “per aiutare il suo popolo ad andare avanti”, come Abramo, Mosè, Elia. Per loro “ci sono alcuni momenti brutti”, “momenti bui, momenti scomodi, momenti che danno fastidio”. Persone che magari vogliono vivere tranquille, ma che “il Signore scomoda. Il Signore ci scomoda per far la storia! Ci fa andare tante volte su strade che noi non vogliamo”. Tanto che Mosè ed Elia a un certo punto vorrebbero anche morire, ma poi confidano nel Signore.

Il Vangelo del giorno parla di “un altro momento brutto nella storia di salvezza”, quello di Giuseppe che scopre che la sua promessa sposa, Maria, è incinta: “Lui soffre, vede le donne del villaggio che chiacchieravano nel mercato; ma lui soffre. ‘Ma questa è buona, io la conosco! E’ una donna di Dio. Ma cosa mi ha fatto? Non è possibile!”. Se l’accusa, la lapideranno. Ma non vuole, anche se non capisce. Sa che Maria “è incapace di infedeltà”. “In questi momenti brutti” – ha sottolineato il Papa – “questi eletti di Dio, per fare la storia devono prendere il problema sulle spalle, senza capire”. Così, “il Signore fa la storia”.

“Così fa Giuseppe, l’uomo che nel momento più brutto della sua vita, il momento più oscuro, prende su di sé il problema. E lui accusa se stesso agli occhi degli altri per coprire la sua sposa. Forse qualche psicanalista dirà che questo sonno è il condensato dell’angoscia, che cerca una uscita… ma dicano quello che vogliono. Ma cosa ha fatto Giuseppe? Dopo il sonno, prese con sé la sua sposa. ‘Non capisco niente, ma il Signore mi ha detto questo e questo apparirà come mio figlio!’”.

“Fare storia con il suo popolo – ha osservato il Papa - significa per Dio camminare e mettere alla prova i suoi eletti”. Ma alla fine li salva: “Ricordiamo sempre, con fiducia, anche nei momenti più brutti, anche nei momenti della malattia, quando noi ci accorgeremo che dobbiamo chiedere l’estrema unzione, perché non c’è uscita, di dire: ‘Ma, Signore, la storia non è incominciata con me né finirà con me! Tu vai avanti, io sono disposto’. E metterci nelle mani del Signore”. Cosa ci insegnano, dunque, gli eletti di Dio?

“Che Dio cammina con noi, che Dio fa storia, che Dio ci mette alla prova e che Dio ci salva nei momenti più brutti, perché è nostro Padre. E secondo Paolo è il nostro Papà. Che il Signore ci faccia capire questo mistero del suo camminare col suo popolo nella storia, del suo mettere alla prova i suoi eletti e la grandezza di cuore dei suoi eletti, che prendono su di loro i dolori, i problemi, anche l’apparenza di peccatori – pensiamo a Gesù – per portare avanti la storia”.

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Il Papa riceve il card. Ryłko e il nunzio Girelli

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina il card. Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici e mons. Leopoldo Girelli, arcivescovo tit. di Capri, nunzio apostolico in Singapore; rappresentante Pontificio per il Viêt Nam; nunzio apostolico presso l’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico.

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Papa, tweet: o servite Dio o le ricchezze

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Il Signore ha detto chiaramente: non potete servire due padroni. O Dio o le ricchezze”.

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Francesco dona sacchi a pelo ai poveri di Roma

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Quattrocento sacchi a pelo donati ai clochard di Roma. E’ l’iniziativa di carità voluta da Papa Francesco nel giorno del suo compleanno. Ieri, un gruppo di volontari e di Guardie Svizzere, guidati dall’Elemosiniere pontificio mons. Konrad Krajewski, hanno girato per diverse ore le strade di Roma per regalare ai senzatetto un sacco a pelo con cappuccio. La missione caritativa si è conclusa dopo le 23. Sempre ieri, dalla Spagna, è arrivato un carico di polli che il Papa ha donato alle mense per i poveri della città di Roma.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, Il successo dei piccoli passi; compiacimento del Pontefice per la storica decisione dei Governi statunitense e cubano di stabilire relazioni diplomatiche. La Santa Sede continuerà ad assicurare il proprio appoggio alle iniziative di dialogo tra le due Nazioni.

Di spalla, Buona notizia, il commento del cardinale segretario di Stato.

Sotto, Tutti siamo americani. Obama e Castro annunciano la svolta e ringraziano Papa Francesco per la sua mediazione.

Nella pagina della cultura, Mettersi in scena, Scrivere e leggere di Oddone Camerana. Accanto, La rivoluzione della carità. Quell’ampia strada lunga venti secoli e un'anticipazione dalla rivista La Civiltà Cattolica, La benedizione del popolo di Dio nel pensiero di Joseph Ratzinger su Israele, e un ricordo dell'attrice italiana Virna Lisi.

A pagina 6, i profili dei 13 nuovi ambasciatori che la mattina di giovedì 18 dicembre hanno presentato a Papa Francesco le lettere con cui vengono accreditati presso la Santa Sede.

Durante l’udienza, svoltasi nella Sala Clementina, il Pontefice ha ricevuto le credenziali da ciascuno. Al termine, gli ambasciatori hanno anche salutato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato e mons. José Avelino Bettencourt, capo del Protocollo.

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Oggi in Primo Piano



Cuba-Usa: nuova stagione per tutto il continente americano

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E’ l’intero continente americano a vedere aprirsi una nuova stagione, in conseguenza della svolta nei rapporti tra Usa e Cuba, decisa dopo più di 50 anni di relazioni tese. Per capire le possibili implicazioni sul piano geopolitico, Fausta Speranza ha intervistato Giuseppe Dentice, esperto dell’Ispi, Istituto per gli Studi di politica internazionale: 

R. – Questa mossa, che di per sé ha una portata storica, rivoluzionerà non solo le relazioni bilaterali ma anche gli equilibri regionali. Chi è il grande sconfitto di questa azione? Sicuramente il Venezuela, che per tanti anni è stato il principale sponsor politico economico di Cuba, per tanti anni ha finanziato l’economia cubana. Basta ricordare che l’accordo che stipulò Chávez con Fidel Castro - che all’epoca era il presidente di Cuba - riguardava lo scambio di petrolio in cambio di medici e di insegnanti. Un accordo che prevedeva praticamente l’invio di aiuti economici, energetici - si parla di 80-100 mila barili giornalieri di petrolio a Cuba. Questo tipo di accordo, in pratica, ha foraggiato per circa il 20% il Pil dell’economia cubana, quindi un accordo veramente importante. Oltre al Venezuela, possiamo parlare anche di Brasile, Argentina, Colombia, Ecuador, Bolivia… Tutti Paesi che – chi più chi meno – avevano rapporti complicati, per così dire, con gli Stati Uniti e che attraverso questa soluzione, questo nuovo avvio delle relazioni con Cuba, potrebbero anche conoscere una nuova fase nelle relazioni tra Stati Uniti e continente latinoamericano. In questo senso, è importante, anche dal punto di vista simbolico, la presenza di Raul Castro al prossimo summit dei Paesi latinoamericani all’interno dell’Ose, l'Organizzazione degli Stati americani, che ci sarà il 10 e 11 aprile prossimo a Panama. Per la prima volta, dopo 50 anni, parteciperanno sia il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, che il presidente di Cuba, Raul Castro.

D. – Parliamo anche del piano economico: non solo sigari e rum liberi negli Stati Uniti…

R. – I riflessi di un accordo del genere sono vari e l’accordo è di più ampio respiro. Riguarda diversi settori: sicuramente, quelli maggiormente interessati potrebbero essere in futuro quelli delle telecomunicazioni, del turismo, oltre a quello dello zuccherificio e dell’agroalimentare. Al momento, nonostante Obama abbia promesso di toglierlo nei prossimi due anni, l’embargo ancora c’è ma ci saranno delle facilitazioni sui visti e su alcune restrizioni economiche relative all’embargo: quindi sigari, agroalimentare e turismo. E poi c’è il fronte delle rimesse, un fattore economico molto importante. Si parla di un volume annuo generale pari a due miliardi di dollari di rimesse che i cubani americani ora potranno fare in maniera massiccia rispetto al passato. Prima potevano inviare ogni tre mesi non più di cinquecento dollari. Adesso, grazie a questo accordo che è stato “firmato” almeno verbalmente, tra i due leader, potranno inviare duemila dollari ogni tre mesi. Già questo cambia ed è un potenziale non da poco. Di sicuro, si può dire che l’embargo ha provocato degli effetti sull’economia cubana che ha perso mille miliardi in 650 anni, ma anche sull’economia americana. Si stima – fonti della Camera di commercio americana – che ogni anno gli Stati uniti perdano 1,2 miliardi di dollari, una cifra non da poco.

D. – Tutto questo però potrà significare anche una messa in moto di meccanismi economici nell’area?

R. – Questo è tutto da vedere. Sicuramente, è un processo che va calibrato, che bisogna rodare nel lungo periodo. Tendenzialmente, ci sono le prospettive anche per un maggior coinvolgimento in organismi nelle regioni di carattere finanziario, nonché a un cambiamento nella struttura economica di Cuba. Quindi, è un processo molto vasto che abbraccia più aree e più settori nello stesso momento. È chiaro che sono riflessi soprattutto interni, ma poi anche di politica estera e regionale per i vari Paesi. Però, in questo momento i riflessi sono soprattutto su due realtà, anzi tre includendo anche il Venezuela.

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Terra Santa: Twal, con tante guerre non si è ottenuto niente

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Un bilancio e una riflessione sull’anno appena trascorso. È il messaggio di Natale del patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, presentato stamani dal suo vicario, mons. William Shomali, in una conferenza stampa al Terra Santa College, in occasione anche dell’inaugurazione del nuovo Christian Media Center a Gerusalemme. Il messaggio è occasione per uno sguardo al contesto difficile del Medio Oriente, sconvolto da guerre e violenze: “condanniamo – scrive il patriarca - la guerra a Gaza e deploriamo le sue drammatiche conseguenze: morte, distruzione; e allo stesso tempo - prosegue - condanniamo ogni forma di violenza o di vendetta contro persone innocenti, come l’uccisione di persone che pregano in una sinagoga e gli attacchi contro le moschee”. Nel testo, il patriarca Twal sottolinea però anche gli aspetti positivi del 2014, come la visita a maggio di Papa Francesco in Terra Santa. Ricorda infine che la nascita di Gesù rimane “una promessa di misericordia, di amore e di pace” per tante persone che vivono sofferenze e tribolazioni e “per coloro che vedono le loro vite spezzate e i loro sforzi ostacolati dalla lotta e dall’odio tumultuoso”. Tracey McClure lo ha intervistato: 

R. – Noi a dicembre facciamo un resoconto di tutto l’anno appena trascorso, per ringraziare il Signore per gli aspetti positivi che ci sono stati e anche per chiedere perdono per tutti quelli negativi. Tra gli eventi belli, grandiosi, che rimangono nel cuore e nella memoria c’è la bella visita del Santo Padre in Giordania, Palestina e Israele, durante la quale ha incontrato i nostri fedeli. Per noi ha significato consolidare la nostra presenza come cristiani, come comunità cristiana. Sappiamo che il Santo Padre nei suoi discorsi ha toccato tanti argomenti, sia per la pace, sia per la giustizia nei riguardi di migliaia e migliaia di rifugiati siriani e iracheni che hanno trovato riparo in Giordania. Il Santo Padre ha sottolineato l'opera davvero bella della Chiesa cattolica nei confronti di questi rifugiati: ha aperto le chiese, le aule, le scuole per accogliere questi bambini, questi giovani e dare loro, per quanto possibile, una protezione. Poi, non dimentichiamo il Sinodo sulla famiglia svoltosi a Roma. Qui, in Terra Santa, abbiamo le nostre sfide, che non coincidono sempre con quelle dell’Europa o dell’America. Ci sono la sfida politica, l’occupazione, i muri che dividono le famiglie, che dividono i giovani, dividono i cristiani, dividono le parrocchie dal Patriarcato. Viviamo situazioni francamente di calvario e di difficoltà.

D. - Quali altri momenti del 2014 ha voluto ricordare nel messaggio di Natale?

R. - Un’altra occasione di gioia è stata sapere che il Santo Padre ha recentemente firmato un decreto per la canonizzazione delle due nostre Sante arabe, palestinesi: Marie Alphonsine, fondatrice delle Suore del Rosario e Mariam Bawardi, fondatrice del Carmelo di Betlemme e dell’India e anche di tutti i Carmeli di Terra Santa, che sono quattro. Questa bella terra dove viviamo, dunque, può dare alla Chiesa, al mondo, anche Santi e Sante, non solamente violenza, terrorismo e occupazione. Aspettiamo adesso che il Santo Padre che ci dica il giorno di questa celebrazione a Roma, l’anno prossimo, e saremo in tanti a ‘invadere’ Roma per festeggiare due sante, due palestinesi, due arabe. Però non dimentichiamo nemmeno alcuni eventi tristi, come la guerra a Gaza, con le migliaia e migliaia di morti e feriti. La situazione è sempre la stessa, non è cambiato niente. I palestinesi chiedono sempre uno Stato indipendente, la loro indipendenza. Israele chiede sempre la sua sicurezza. Con tante guerre, non abbiamo ottenuto niente: questo per dire che forse è meglio cambiare sistema, non usare solo violenza, violenza, violenza. Che sia un bel Natale per tutti, per noi, per il Medio Oriente, e speriamo che il Signore ci dia una bella sorpresa, ci dia la pace. Buon Natale!

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Fatebenefratelli: giovani disabili mentali, poche cure in Ue

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C’è un “buco” generalizzato in Europa nei programmi di assistenza sanitaria per i giovani affetti disturbi mentali: tra i 14 e i 25-30 anni sovente mancano specifici protocolli di intervento, per cui migliaia di giovani questa fascia d’età rimangono in pratica senza cure, garantite invece dai Sistemi sanitari durante l’infanzia e nell’età adulta. Su questo aspetto, l’Unione Europea ha organizzato la Conferenza internazionale conclusasi a oggi a Venezia, alla quale hanno partecipato psichiatri, ricercatori e politici sul tema “La salute mentale dei giovani, dalla continuità della psicopatologia alla continuità dell’assistenza”. Il perché di questo deficit lo spiega, al microfono di Alessandro De Carolis, uno dei partecipanti all’incontro, fra Marco Fabello, dell’Ordine dei Fatebenefratelli: 

R. – C’è una disorganizzazione nel sistema, per cui quando uno passa dall’adolescenza all’età adulta c’è quasi una frattura e i servizi territoriali fanno fatica a prendersi cura delle persone che raggiungono la maggiore età. E avviene anche il grande problema per cui abbandonando, oppure avendo meno la cura di queste persone in questa età così critica, la possibilità di recrudescenza e di cronicità della malattia diventa molto forte.

D. – Lo psichiatra dei Fatebenefratellli, Giovanni De Girolamo, che ha la responsabilità scientifica della Conferenza di Venezia, parla di “colossale sottovalutazione” del problema. Di che cifre parliamo?

R. – Il volume che noi vediamo anche attraverso la nostra piccola esperienza è molto grande. Noi stiamo quasi cambiando totalmente la popolazione che assistiamo: da piuttosto anziani a molto giovani. Il nostro piccolo osservatorio ci dice che la percentuale di giovani che stanno andando rapidamente verso la cronicità della loro situazione di malattia è molto alta.

D. – E’ possibile fare un esempio concreto che illustri questa difficoltà?

R. – Basta che un ragazzo di 14 anni durante l’età scolare non sia seguito attentamente quando ha i primi sintomi di una malattia mentale, psichiatrica, che lo stesso arriva rapidamente a un’età sui 18-20 anni, con i genitori o la famiglia che hanno paura ad avvicinare lo psichiatra – perché ancora esiste lo stigma che divide le famiglie e la società dal terapeuta, dal medico, dal clinico – e questo rapidamente dai 14 ai 18-20 anni ha sei anni di malattia non curata e quindi già questa è una situazione gravissima.

D. – Che cosa si sta facendo a livello europeo per garantire la continuità dell’assistenza?

R. – Da quello che sto sentendo, le diversità sono molto acute. Nel mondo anglosassone la situazione è certamente migliore che da noi, però ci sono situazioni, come nei Paesi africani, dove la psichiatria è ancora la “cenerentola” di tutta la medicina.

D.  – C’è un programma di aiuti da parte dell’Occidente verso questi Paesi in via di sviluppo?

R. – In questo momento, che io sappia, non direttamente. Ci sono studi, possibilità di ricerca e di sperimentazione che toccano anche i Paesi meno sviluppati. Da qui a dire che ci sia un’assistenza territoriale non sufficiente ma appena visibile, questo è da dimostrare.

D. – Nel settore qual è il contributo che portano i Fatebenefratelli?

R. – Il nostro contributo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dal punto di vista psichiatrico, è iniziato non moltissimi anni fa. Però, stiamo lavorando abbastanza bene in alcune strutture come in Togo e in altri Paesi, soprattutto in attività diurne, cercando di evitare quel problema che è l’istituzionalizzazione che tanto male ha fatto anche a tanti malati nel nostro Paese. Diciamo che superiamo la Legge 180 passando direttamente al territorio senza utilizzare il ricovero continuo, se non in rarissimi casi.

D. – Dal suo punto di vista di esperto che cosa si dovrebbe fare?

R. – Intanto, si dovrebbe avere più coscienza che queste persone meritano la stessa attenzione di tutti gli altri malati e questo ancora non c’è. La dignità di queste persone non è del tutto compresa e io credo che fino a quando non riusciremo a fare in modo di vedere queste persone non come diversi ma come uguali a noi, il percorso sarà duro e difficile. Io mi auguro e spero che con la scienza e con la coscienza si possa riuscire a dare alle persone malate di mente, ai giovani soprattutto, un avvenire migliore di oggi.

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Il card. Bagnasco alla politica: servire il Paese con onestà

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Il cardinale Angelo Bagnasco chiede alla politica di servire il Paese con competenza, onestà, disciplina e sacrificio. Il presidente della Cei lo ha detto ieri sera ai parlamentari riuniti nella Basilica romana di Santa Maria sopra Minerva, in occasione della consueta Messa in vista del Natale. Un pensiero particolare alle tante persone che cercano lavoro. Il servizio di Alessandro Guarasci

Andare oltre le ideologie vecchie e nuove, e ricordarsi che servire la nazione è motivo di onere. Il cardinale Angelo Bagnasco ricorda il valore alto della politica che si mette al servizio del Paese. Davanti a lui decine di parlamentari, tra cui la presidente della Camera Boldrini e i ministri Alfano e Lorenzin. La politica deve guadare avanti dice il cardinale:

“L’incarnazione del Figlio di Dio ci insegna a stare in mezzo alla gente non per fare dei populismi inutili e dannosi, ma per conoscere la vita: non basta vivere la propria vita per conoscere la vita, è necessario stare in mezzo alla vita che nasce dalla nostra storia e dal nostro oggi. Conoscere non solo per registrare ma per discernere la verità, il bene, il meglio, e così costruire e far crescere la giustizia, che è lo scopo della politica”.

Il presidente della Cei ricorda poi il valore del lavoro, un bene prezioso, che quando non c’è fa deperire l’uomo. Ma il suo è anche un invito ad avere fiducia nel futuro:

“Il messaggio che vogliamo raccogliere e che ci auguriamo a vicenda, è che il bene, l’onestà, la dedizione, lo spirito di sacrificio che attraversa il nostro Paese, vince e vincerà sempre ogni forma di male”.

La presidente della Camera, Laura Bodrini, accoglie l’appello del cardinale sui populismi, ma mette in luce che c’è tanta gente che agisce con onestà:

“Ognuno deve fare la propria parte. Nessuno è esente da questo: i politici sicuramente, la stampa, i giornalisti e così anche le persone, l’opinione pubblica. L’intendimento deve essere di ciascuno.”

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Cinema. "Big Hero 6", Disney e Marvel divertono e commuovono

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Esce oggi nelle sale italiane “Big Hero 6”, il cartone animato Disney di Natale dai creatori di “Ralph Spaccatutto” e “Frozen – Il regno di ghiaccio”. Nel cast italiano anche il conduttore Flavio Insinna, l’imitatrice Virginia Raffaele e il rapper Moreno. Il servizio è di Corinna Spirito. 

"Big Hero 6" è un cartone animato innovativo e coinvolgente. Tanto nell’animazione quanto nel soggetto, il 54.mo classico Disney propone qualcosa di mai visto prima. "Big Hero 6" segna la prima collaborazione con la Marvel e un momento storico di svolta che Walt Disney in persona avrebbe approvato in toto. Lui, amante della tecnologia e della sperimentazione, sarebbe impazzito di gioia alla vista delle affascinanti invenzioni del piccolo Hiro, già un genio della scienza a soli quattordici anni, e dei suoi amici della scuola dei nerd. Sono loro cinque, insieme al robot Baymax, i "Big Hero 6" che tenteranno di salvare San Fransokyo da un malvagio uomo mascherato. Una città a metà tra Tokyo e San Francisco a cui gli animatori danno vita abbandonando lo stile realistico degli ultimi anni invece di un tratto più stilizzato, vicino a quello utilizzato nei fumetti. Ma, come vuole la tradizione Disney, "Big Hero 6" non è certo soltanto effetti speciali e scene d’azione, ma la storia commovente di un ragazzino che affronta un lutto imparando che la vendetta porta solo odio e per salvarsi e ricominciare si può scegliere soltanto la via dell’amore. Una storia di rinascita, condita con tante risate e la giusta dose di intrattenimento per far innamorare adulti e bambini.

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Nella Chiesa e nel mondo



Usa-Cuba: soddisfazione dei due episcopati

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Le conferenze episcopali di Stati Uniti e Cuba hanno espresso il loro compiacimento - riferisce l'agenzia Fides - per l’annuncio della normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, grazie alla mediazione di Papa Francesco e per la liberazione dello statunitense Alan Gross e degli altri prigionieri accusati di spionaggio.

Reazione vescovi Usa
La Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America (Usccb), attraverso un comunicato firmato da mons. Oscar Cantù, vescovo di Las Cruces e presidente della Commissione episcopale “Giustizia e Pace”, afferma che "ci incoraggia l'annuncio da parte dell'amministrazione (Obama) di azioni importanti che favoriscono il dialogo, la riconciliazione, il commercio, la cooperazione e il contatto tra le nostre rispettive nazioni e cittadini". "Crediamo sia giunto il momento per gli Stati Uniti di stabilire piene relazioni diplomatiche con Cuba" ha affermato Mons. Cantù. Tra le azioni auspicabili ha indicato la rimozione di tutte le restrizioni sui viaggi a Cuba, l’abbandono del termine “terrorista” con cui si indicano tutte le realtà di Cuba, la promozione degli scambi commerciali e la revoca delle restrizioni su affari e finanze.

I vescovi propongono inoltre di agevolare la cooperazione nei settori della tutela ambientale, del controllo del traffico di droga e di esseri umani e nel campo scientifico. “La partecipazione è il modo per sostenere il cambiamento a Cuba e sostenere il popolo cubano nella sua ricerca per la democrazia, i diritti umani e la libertà religiosa" ha concluso Mons. Cantù.

Reazione vescovi Cuba
Dal canto suo, in un loro comunicato, la Conferenza episcopale di Cuba (Cooc) afferma che "le importanti dichiarazioni del Presidente di Cuba, Raul Castro, e del Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, segnano una nuova tappa nelle relazioni tra i nostri due paesi. Ringraziamo il Signore, alla vigilia di Natale, in quanto nuovi orizzonti di speranza illuminano la vita del popolo cubano, perché le buone relazioni senza tensioni tra i popoli così vicini sono il fondamento di un futuro promettente”. 

“Esprimiamo una gratitudine speciale a Papa Francesco, che entrambi i Capi di stato hanno riconosciuto come un importante mediatore di un desiderio che ora si avvera. Ci auguriamo - scrivono i vescovi cubani - che la volontà espressa dai Presidenti contribuisca al benessere materiale e spirituale del nostro popolo. Apprezziamo moltissimo il ritorno dei tre cubani liberati nella loro patria e nelle loro famiglie, così come il gesto umanitario nei confronti del prigioniero americano che ha potuto rincontrarsi con la sua famiglia". (R.P.)

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Vescovi del Pakistan: a Natale una preghiera per la pace

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Le scuole cattoliche in tutto il Pakistan osservano oggi un minuto di silenzio e di raccoglimento durante la preghiera del mattino, ricordando le vittime dell’attacco dei talebani nella scuola militare di Peshawar: è l’iniziativa lanciata dai vescovi pakistani che, in un comunicato inviato all'agenzia Fides, condannano “la violenza brutale” ed esprimono “piena solidarietà alle famiglie delle vittime”. La nota ufficiale, firmata dall’arcivescovo di Karachi, mons. Joseph Coutts, presidente della Conferenza episcopale cattolica, chiede inoltre a tutte le comunità cristiane del Pakistan di “celebrare il Natale in modo sobrio, per rispetto al dolore delle famiglie e dell’intera nazione”.

Preghiera a Natale per le vittime
Il Natale, si afferma, sarà occasione per “rivolgere a Dio una speciale preghiera per le vittime di Peshawar”, ma anche per i due coniugi cristiani Shahzad e Shama Masih, arsi vivi da una folla di musulmani in Punjab all’inizio di novembre. “Nel giorno della nascita di Gesù Cristo, Principe della pace – esorta il testo dei vescovi – tutti i cristiani preghino in modo fervente per la pace in Pakistan. E’ dovere di ogni cristiano promuovere pace, riconciliazione, armonia, unità. I cristiani si uniscano a tutti i cittadini pakistani, di ogni religione, per sconfiggere la violenza e il terrorismo”.

La Chiesa chiede protezione delle scuole
I vescovi chiedono al governo, ai partiti politici e ai leader religiosi di “restare uniti di fronte al tragico attacco di Peshawar” e invitano le istituzioni a prendere adeguati provvedimenti per assicurare protezione alle scuole in tutto il Paese. (R.P.)

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Siria: 230 cadaveri in una fossa comune massacrati dall'Is

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Le milizie dello Stato islamico (Is) hanno ucciso e gettato in una fossa comune nel villaggio di Kashkiya, nell'est della Siria, i corpi di oltre 230 persone "la maggior parte dei quali civili". È quanto riferiscono gli attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, gruppo con base in Gran Bretagna, secondo cui le vittime sarebbero membri di una tribù che ha combattuto la scorsa estate contro il movimento jihadista nella provincia di Deir al-Zour. La fossa comune - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stata scoperta dopo che i vertici del sedicente Stato Islamico hanno concesso ai membri rimanenti della tribù Sheitat di fare rientro nelle loro case. Una concessione annunciata dal leader Abu Bakr al-Baghdadi, a condizione di una resa totale e con la minaccia di uccidere eventuali "traditori".

La carneficina in una zona strategica
Il mese scorso le Nazioni Unite avevano rilanciato alcuni rapporti provenienti da fonti interne al Paese, che parlavano di massacri avvenuti lo scorso mese di agosto nella zona. Per gli esperti la carneficina è frutto della rappresaglia messa in atto dai jihadisti contro quanti opponevano resistenza nella zona; l'area per i terroristi riveste un'importanza strategica, per il controllo delle fonti petrolifere attorno alla cittadina di Mohassan.

Un sopravvissuto ha raccontato gli orrori perpetrati dalle milizie islamiste, che hanno "appeso numerosi cadaveri ai muri, mentre io e la mia famiglia cercavamo con tutti i mezzi di scappare". A riprova delle violenze jihadiste vi sono anche diversi video pubblicati in rete, in cui emergono le decapitazioni di massa compiute ai danni dei membri della tribù Sheitat.

Video raccapriccianti
Nelle immagini si vedono alcuni combattenti deridere le vittime, prima di ucciderle nel contesto di esecuzioni sommarie; in alcuni casi i terroristi avrebbero prelevato persone ferite dai letti di ospedale, per poi decapitarle. Le uccisioni di massa sarebbero una risposta all'interruzione dei negoziati fra i due fronti, per il rifiuto opposto dai capi e dagli anziani della tribù di fornire il loro sostegno ai miliziani. Il ritrovamento di ieri porta a 900 il numero dei membri della tribù Sheitat uccisi nel corso dell'estate.

Almeno 200mila le vittime del conflitto
Dall'inizio della rivolta contro il Presidente siriano Bashar al Assad, nel 2011, oltre 3,2 milioni di persone hanno abbandonato la Siria e altri 7,6 milioni sono sfollati interni. Almeno 200mila le vittime del conflitto, molte delle quali civili. Proprio nel contesto del conflitto siriano è emerso per la prima volta, nella primavera del 2013, in tutta la sua violenza e brutalità il sedicente Stato islamico; da quel momento ha iniziato una rapida avanzata nei territori della regione, strappando ampie porzioni di territorio a Damasco e Baghdad e imponendo un vero e proprio regno del terrore. (R.P.)

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Iraq: l'Is trasforma in prigione il monastero di San Giorgio

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Nella città di Mosul, conquistata a giugno dai miliziani jihadisti dello Stato Islamico (IS), le chiese cristiane continuano a essere trasformate in carceri. Durante l'ultimo fine settimana i jihadisti dell'Is hanno trasferito almeno 150 prigionieri bendati e ammanettati nell'antico monastero di San Giorgio, appartenente all'Ordine antoniano di Sant'Ormisda dei caldei. Lo riferiscono fonti locali, entrate in contatto con il website iracheno ankawa.com. Tra i prigionieri, in precedenza detenuti presso la prigione di Badush – evacuata nella previsione di un possibile attacco da parte della coalizione anti-Califfato – ci sarebbero - riporta l'agenzia Fides - capi tribù sunniti oppositori dello Stato Islamico ed ex membri degli apparati di sicurezza smantellati dai jihadisti.

Le prove fotografiche
Le ultime foto del monastero circolanti via internet documentano che anche la croce della cupola di San Giorgio è stata divelta, seguendo il destino toccato anche alle altre chiese cristiane occupate dai jihadisti. In precedenza, fonti locali avevano riferito all'agenzia Fides che presso il medesimo monastero erano stati portati gruppi di donne.

“Le notizie e le foto delle chiese occupate dai jihadisti - commenta alla Fides Rebwar Audish Basa, Procuratore dell'Ordine antoniano di sant'Ormisda dei Caldei - rendono ancora più dolorose le ferite interiori dei cristiani fuggiti da Mosul e dalla Piana di Ninive, che si preparano a passare il primo Natale lontano da quei luoghi da loro tanto amati. Chiese e monasteri adesso subiscono profanazione da chi non mostra di avere alcuna pietà, per niente e per nessuno”. (R.P.)

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Fao: in Africa un milione di persone a rischio fame per Ebola

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L’epidemia di Ebola in Sierra Leone, Guinea e Liberia sta avendo pesanti ripercussioni sul tessuto economico e sociale di questi Paesi. Secondo l’Organizzazione dell’Onu dell’Agricoltura e dell’Alimentazione (Fao) un milione di persone nei 3 Paesi colpiti dall’epidemia sono a rischio alimentare per le conseguenze dell’epidemia. “La chiusura delle frontiere, le misure di quarantena, la proibizione della caccia e altre restrizione prese per bloccare la diffusione del virus, ostacolano l’accesso della popolazione al cibo” afferma un comunicato della Fao e del Pam (Programma Alimentare Mondiale) che lanciano un appello per un’azione urgente a favore dei Paesi colpiti. 

Appello dall'ospedale cattolico di Serabu
“La situazione creata dall’epidemia di Ebola è veramente orribile. I nostri operatori sanitari sono sottoposti a rischi molto seri e alcuni di loro hanno perso la vita” afferma padre Paul Sandi, Segretario generale della Conferenza episcopale di Sierra Leone e Gambia, nel lanciare un appello per sostenere l’ospedale cattolico di Serabu, che si trova a 225 km da Freetown, la capitale della Sierra Leone. La struttura sanitaria dispone di 80 posti letto e serve 3.000 pazienti all’anno provenienti da 6 villaggi circostanti. 

Secondo i vescovi locali l’ospedale ha bisogno urgente di medicine, guanti, mascherine di protezione e di altre attrezzature mediche per far fronte non solo ad Ebola, ma anche a colera, malaria e febbre tifoidea, infezioni che si stanno diffondendo a causa dell’instabilità sociale ed economica causata dalla pandemia di Ebola. (R.P.)

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Usa: apprezzamento unanime delle religiose a Rapporto S.Sede

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Le religiose degli Stati Uniti salutano positivamente il Rapporto finale della Visita apostolica agli Istituti femminili del Paese, presentato martedì in Vaticano. Unanime l’apprezzamento per il tono conciliante, ma anche per il riconoscimento da parte della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica del contributo delle religiose americane alla vita della Chiesa e della società.

Le dichiarazioni
“Il tono positivo e la chiarezza del documento ci dà un nuovo stimolo a continuare a svolgere il nostro ruolo critico nell’interesse della missione della Chiesa negli Stati Uniti”, ha dichiarato alla Cns la suora di Notre Dame di Namur Mary Johnson, docente di sociologia e di studi religiosi presso la Trinity University di Washungton. “E’ stata richiamata l’attenzione sul nostro modo di vivere nella Chiesa e speriamo possa aiutarci a rispondere alle aspirazioni delle donne che sono interessate alla vita consacrata”. Anche per suor Nancy Conway, presidente della Congregazione di San Giuseppe, il mutamento di tono che emerge dalle parole usate nel documento è “rincuorante”.

Positivo anche il giudizio della Lcwr
Sulla stessa linea le dichiarazioni delle due principali organizzazioni delle religiose americane. Per il Consiglio delle Superiori maggiori (Cmswr), la visita apostolica affidata alla direzione di Madre Mary Clare Millea, è stata “un’occasione tangibile per ‘sentirsi insieme’ nel cammino della Chiesa” e dà quindi “motivo di speranza”. La Leadership Conference of Leader Religious (Lcwr), in passato più critica e già oggetto di una valutazione dottrinale nel 2012 da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede - si dice anch’essa soddisfatta “dell’accuratezza del rapporto sulle benedizioni e le sfide con cui devono confrontarsi oggi le religiose degli Stati Uniti. Il documento – si legge nella dichiarazione dell’associazione che riunisce l’80% delle religiose americane - dà una buona idea dei cambiamenti avvenuti nella vita religiosa dal Concilio Vaticano II”.

Il contenuto del Rapporto
La visita apostolica – lo ricordiamo - era stata lanciata dalla Congregazione vaticana nel 2008, non senza qualche polemica, per meglio comprendere “il contributo delle religiose nella Chiesa e nella società”, ma anche "le difficoltà che minacciano la qualità della loro vita religiosa e, in alcuni casi, l'esistenza stessa degli istituti". Essa si è svolta in tre anni - dal 2009 al 2012 – e in quattro fasi. Il rapporto finale frutto dell’indagine che ha coinvolto 341 istituti religiosi femminili per un totale di più di 50mila religiose elogia il prezioso lavoro svolto dalle consacrate negli Stati Uniti, segnatamente nel campo dell’educazione, dell’assistenza ai poveri e agli emarginati e della cura agli ammalati, ma chiede anche agli istituti femminili americani di valutare le loro pratiche liturgiche e i loro programmi di formazione per fornire "una preparazione teologica umana, culturale, spirituale e pastorale solida”.

Il documento in sintesi
Nello specifico, il documento invita le congregazioni a rivedere attentamente le loro pratiche spirituali e di apostolato per garantire che siano "in armonia con l'insegnamento della Chiesa cattolica su Dio, il Creato, l'Incarnazione e la Redenzione”. Le religiose vengono altresì esortate a rafforzare “la dimensione comunitaria” e ad assicurare la correttezza dei rapporti gerarchici in seno alle congregazioni. Nel rapporto si parla anche del declino delle vocazioni dopo il boom registrato negli anni ‘60, del conseguente invecchiamento delle religiose Usa, la cui età media supera oggi i 75 anni, e delle difficoltà organizzative e anche finanziarie che esso comporta. La Congregazione vaticana chiude il documento con l’impegno ad aggiornare il documento “Mutuae Relationes” sulla collaborazione tra vescovi e religiosim in linea con la volontà della Chiesa di promuovere la comunione ecclesiale, e a valorizzare il “genio femminile” e il ruolo delle donne nella Chiesa come indicato da Papa Francesco. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 352

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.