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Sommario del 19/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa al Coni: lo sport, di casa nella Chiesa, apre vie di pace

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Un variegato mosaico rende possibile un’armonia delle diversità. E’ lo sport, che da sempre “ha favorito un universalismo caratterizzato da fraternità e amicizia tra i popoli”. Così Papa Francesco nel discorso rivolto ai dirigenti e agli atleti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (Coni), che quest’anno festeggia il centenario. Ogni evento sportivo - ha aggiunto il Papa – può aprire vie nuove, a volte insperate, nel superamento di conflitti. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

“La centralità della persona, lo sviluppo armonico dell’uomo, la difesa della dignità umana”, il contributo alla costruzione di un mondo migliore, senza conflitti, sono i principali scopi indicati nella Carta Olimpica e ricordati da Papa Francesco. “Lo sport è di casa nella Chiesa”. Una sfida – ha aggiunto il Santo Padre - accomuna tutti, non solo gli atleti:

“Quella di assumere la fatica, il sacrificio, per raggiungere le mete importanti della vita, accettando i propri limiti senza lasciarsi bloccare da essi ma cercando di superarsi. Vi invito a continuare su questa strada”.

Dal Papa anche l’incoraggiamento, rivolto agli atleti e ai dirigenti del Coni, a proseguire nel lavoro educativo realizzato “nelle scuole, nel mondo del lavoro e della solidarietà”, per favorire “uno sport accessibile a tutti”:

“Uno sport inclusivo delle persone con diverse disabilità, degli stranieri, di chi vive nelle periferie e ha bisogno di spazi di incontro, socialità, condivisione e gioco; uno sport non finalizzato all’utile, ma allo sviluppo della persona umana, con stile di gratuità”.

Il Santo Padre ha anche sottolineato che il Coni per primo – imitato sempre più da altri Comitati nazionali – “ha accolto la figura del cappellano olimpico”:

“È una presenza amica che vuole manifestare la vicinanza della Chiesa anche nello stimolare negli sportivi un forte senso di agonismo spirituale”.

Il Pontefice, ricordando la recente candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024, ha infine rivolto i propri auguri per il Santo Natale:

“Auguri anche per la candidatura di Roma ad ospitare i Giochi Olimpici del 2024. Io non ci sarò! Il Signore benedica tutti voi e le vostre famiglie. Per favore, non dimenticate di pregare per me, Buon Natale!”.

Prima del discorso di Papa Francesco, atleti e dirigenti del Coni hanno partecipato, nella Basilica di San Pietro, alla Santa Messa presieduta dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente Pontificio Consiglio Cultura. Lo sport – ha detto il porporato - conservi la sua purezza e innocenza senza subire trasformazioni affidate a elementi fisici, chimici o materiali.

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Papa: presepio e albero messaggeri di luce, speranza e amore

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Nel giorno in cui in Piazza San Pietro saranno inaugurati il presepio e l’albero di Natale, il Papa ha ricevuto in udienza le istituzioni responsabili di questi “ bellissimi doni natalizi”, come Lui stesso li ha definiti, “che saranno ammirati dai pellegrini di ogni parte del mondo”. Si tratta della Fondazione Arena di Verona e dell’Amministrazione Provinciale di Catanzaro. Francesco ha ribadito quanto presepio e albero siano segni cristiani che richiamano il Mistero dell’Incarnazione, ma tocchino anche il cuore di tutti, perché messaggeri di un invito all' unità, alla concordia e alla pace. Il servizio di Gabriella Ceraso

Il grande abete bianco di 25 metri arriva dal cuore di Vibo Valentia e la scenografia del ”presepe in Opera”, dal mondo della lirica scaligera con una ventina di statue di terracotta a grandezza naturale per un totale di 24 metri di lunghezza e 12 di larghezza. Essi” esprimono le tradizioni e la spiritualità delle vostre Regioni” ha detto il Papa parlando ai vescovi e alle delegazioni istituzionali di Veneto e Calabria:

“I valori del cristianesimo, infatti, hanno fecondato la cultura, la letteratura, la musica e l’arte delle vostre terre; e ancora oggi tali valori costituiscono un prezioso patrimonio da conservare e trasmettere alla future generazioni.

Simboli per credenti e non credenti
Nel presepio e nell’albero, ha spiegato il Pontefice, ritroviamo segni cari e suggestivi per i cristiani , ma anche un messaggio valido per tutti:

“Essi richiamano il Mistero dell’incarnazione, il Figlio unigenito di Dio fattosi uomo per salvarci, e la luce che Gesù ha portato al mondo con la sua nascita. Ma il presepe e l’albero toccano il cuore di tutti, anche di coloro che non credono, perché parlano di fraternità, di intimità e di amicizia, chiamando gli uomini del nostro tempo a riscoprire la bellezza della semplicità, della condivisione e della solidarietà”

Messaggi di luce e esperanza
Dunque un invito all’unità, alla concordia e alla pace e a fare posto a Dio nella nostra vita

“Il quale non viene con arroganza ad imporre la sua potenza, ma ci offre il suo amore onnipotente attraverso la fragile figura di un Bimbo. Il presepe e l’albero portano quindi un messaggio di luce, di speranza e di amore”

“Seguiamo Lui, Luce vera” è l’augurio che il Papa lascia alle delegazioni del Veneto e della Calabria,”per non smarrirci e per riflettere a nostra volta luce e calore su quanti attraversano momenti di difficoltà e di buio interiore”.

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Il Papa: Chiesa sia madre non imprenditrice, potere ci fa sterili

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La Chiesa sia madre, non imprenditrice. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, l’ultima del 2014 alla presenza di un gruppo di fedeli con omelia. Il Pontefice ha messo l’accento sulla “nuova Creazione”, rappresentata dalla nascita di Gesù, che rifà nuove tutte le cose. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Due donne che da sterili diventano feconde. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dalle Letture del giorno che narrano le nascite miracolose di Sansone e Giovanni Battista. Nel Popolo di Israele, ha affermato, era “quasi una maledizione non avere figli” ed ha rammentato che nella Bibbia incontriamo tante donne sterili e lì “il Signore fa il miracolo”. La Chiesa, ha rilevato il Pontefice, mostra "questo simbolo di sterilità proprio prima della nascita di Gesù", anche per mezzo di una "donna incapace di avere un figlio per la sua decisione di rimanere in verginità”. Questo, ha commentato, è “il segno dell’umanità incapace di dare un passo in più”. Dunque, la Chiesa “vuol farci riflettere sull’umanità sterile”:

Sterilità e nuova Creazione
“Dalla sterilità, il Signore è capace di ricominciare una nuova discendenza, una nuova vita. E questo è il messaggio di oggi. Quando l’umanità è esaurita, non può andare più, viene la grazia e viene il Figlio, e viene la Salvezza. E quella Creazione esaurita lascia posto alla nuova creazione…”

“Questa ‘seconda’ Creazione quando la Terra è esaurita – ha proseguito – è il messaggio di oggi”. Noi, ha detto, aspettiamo Colui che è “capace di ricreare tutte le cose, di fare nuove le cose. Aspettiamo la novità di Dio”. Questo, ha ribadito, è Natale: “La novità di Dio che rifà, in un modo più meraviglioso della Creazione, tutte le cose”. Francesco ha evidenziato dunque che sia la moglie di Manoach, madre di Sansone, che Elisabetta avranno figli grazie all’azione dello Spirito del Signore. Qual è dunque il messaggio di queste letture, si chiede il Papa? “Apriamoci allo Spirito di Dio – è la risposta – Noi, da soli, non ce la facciamo. E’ lui che può fare le cose”:

Apertura alle novità di Dio
“Anche, questo mi fa pensare, alla nostra madre Chiesa; anche a tante sterilità che ha la nostra madre Chiesa: quando, per il peso della speranza nei Comandamenti, quel pelagianismo che tutti noi portiamo nelle ossa, diventa sterile. Si crede capace di partorire … no, non può! La Chiesa è madre, e diventa madre soltanto quando si apre alla novità di Dio, alla forza dello Spirito. Quando dice a se stessa: ‘Io faccio tutto, ma, ho finito, non posso andare in più!’, viene lo Spirito”.

Madre non imprenditrice
Una constatazione, questa, che ha suscitato al Papa una riflessione sulle sterilità nella Chiesa e l’apertura alla fecondità nella fede:

“E anche, oggi è un giorno per pregare per la nostra madre Chiesa, per tante sterilità nel popolo di Dio. Sterilità di egoismi, di potere … quando la Chiesa crede di potere tutto, di impadronirsi delle coscienze della gente, di andare sulla strada dei Farisei, dei Sadducei, sulla strada dell’ipocrisia, eh, la Chiesa è sterile. Pregare. Questo Natale anche faccia la nostra Chiesa aperta al dono di Dio, che si lasci sorprendere dallo Spirito Santo e sia una Chiesa che faccia figli, una Chiesa madre. Madre. Tante volte io penso che la Chiesa in alcuni posti, più che madre è una imprenditrice”

“Guardando questa storia di sterilità del popolo di Dio e tante storie nella Storia della Chiesa che hanno fatto la Chiesa sterile – ha concluso il Papa – chiediamo al Signore, oggi, guardando il Presepe”, la grazia “della fecondità della Chiesa. Che prima di tutto, la Chiesa sia madre, come Maria”.

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P. Cantalamessa: Dio ci ama, questa è la pace del cuore

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Per conservare la pace il “mezzo più efficace” sta nella “certezza di essere amati da Dio”. Lo ha affermato padre Raniero Cantalamessa nella terza predica di Avvento, temuta davanti al Papa e alla Curia Romana, dedicata al tema “la pace, frutto dello Spirito”. Il servizio di Alessandro De Carolis

Intuizioni mistiche folgoranti, dure pratiche ascetiche. Percorsi diversi con un unico obiettivo: arrivare a ottenere la pace interiore. Due millenni di storia cristiana hanno visto Santi e pensatori cimentarsi in questa scalata alla vetta della pace dello spirito e padre Raniero Cantalamessa ha ricordato alcune delle figure che più hanno inciso in questo ambito nella tradizione spirituale della Chiesa.

Al terzo posto
San Paolo – ha detto anzitutto il predicatore pontificio – quando parla dei “frutti dello Spirito” colloca la pace “al terzo posto”, dopo l’amore e la gioia e prima della benevolenza e della bontà fino al dominio di sé. E mentre i carismi, ha distinto, sono diversi e “opera esclusiva dello Spirito” – che li concede a chi e quando vuole – i frutti dello Spirito sono invece “identici per tutti”. In altre parole, non tutti nella Chiesa possono essere apostoli e profeti, ma tutti “possono e debbono essere caritatevoli, pazienti, umili, pacifici” e così via. Dunque, la pace frutto dello Spirito – ha messo in chiaro padre Cantalamessa – indica la condizione, lo stato d’animo e lo stile di vita di chi, “mediante sforzo e vigilanza, ha raggiunto una certa pacificazione interiore”.

Riposo è nella volontà di Dio
Sant’Agostino è colui che ha cominciato nella Chiesa ha indicare una delle vie accessibili alla pace interiore, tanto ai contemplativi quanto ai cristiani di vita attiva. E mentre sulla terra – scriveva il santo d'Ippona – “il luogo del nostro riposo è la volontà di Dio – in cielo questo luogo sarà “Dio stesso”:

“In quella pace non è necessario che la ragione domini gli impulsi perché non ci saranno, ma Dio dominerà l’uomo, l’anima spirituale il corpo e sarà così grande la serenità e la disponibilità alla sottomissione, quanto è grande la delizia del vivere e dominare. E allora in tutti e singoli questa condizione sarà eterna e si avrà la certezza che è eterna e perciò la pace di tale felicità ossia la felicità di tale pace sarà il sommo bene”.

Indifferenti e mai curiosi
Celebre, per percorrere la via della pace, fu anche la “dottrina della santa indifferenza” di Ignazio di Loyola – dove le preferenze personali si mettono da parte per cui ciò che dà pace al cuore, dopo lungo discernimento, è ciò che è conforme al volere di Dio. Oppure, nell’“Imitazione di Cristo”, un mezzo suggerito è quello di evitare “la vana curiosità” perché ciò che conta è seguire Gesù senza dare peso a ciò che fanno gli altri. In tutti questi e altri modi, ha spiegato padre Cantalamessa, ciò che viene in evidenza è “lotta della carne contro lo spirito”:

“Lo Spirito Santo non è la ricompensa ai nostri sforzi di mortificazione, ma ciò che li rende possibili e fruttuosi; non è solo alla fine ma anche all’inizio del processo (...) In questo senso si dice che la pace è frutto dello Spirito; essa è il risultato del nostro sforzo, reso possibile dallo Spirito di Cristo. Una mortificazione volontaristica e troppo fiduciosa di se stessa può diventare – e lo è diventata spesso – anch’essa un’opera della carne”.

Pace è certezza che Dio ci ama
Per padre Cantalamessa, “il mezzo più efficace per conservare la pace del cuore” riposa soprattutto in una certezza, quella “di essere amati da Dio”, così come gli angeli affermano la notte della Natività: “Pace in terra agli uomini che Dio ama”. E qui il predicatore francescano fa risaltare la profonda diversità tra il significato che il Vangelo attribuisce a quel “divino beneplacito” annunciato dagli angeli, rispetto a quello datogli ad esempio dalla setta degli Esseni di Qumran, per i quali gli uomini amati da Dio sono solo un gruppo di eletti:

“Presso gli esseni di Qumran 'il divino beneplacito' discrimina; sono soltanto gli adepti della setta. Nel vangelo “gli uomini della divina benevolenza” sono tutti gli uomini, senza eccezione (...). Se la pace fosse accordata agli uomini per la loro “buona volontà”, allora sì che essa sarebbe limitata a pochi, a quelli che la meritano; ma siccome è accordata per la buona volontà di Dio, per grazia, essa è offerta a tutti”.

Solo Dio basta
Santa Teresa d’Avila, conclude padre Cantalamessa, “ci ha lasciato una specie di testamento, che è utile ripeterci ogni volta che abbiamo bisogno di ritrovare la pace del cuore”:

“Nulla ti turbi, nulla ti spaventi; tutto passa, Dio non cambia; la pazienza ottiene tutto; a chi ha Dio nulla gli manca. Solo Dio basta”.

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Luci nuove a San Pietro. Acea: arte e risparmio insieme

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Uno sguardo nuovo su Piazza San Pietro: da stasera sarà accesa la nuova illuminazione della Cupola della Basilica. A permetterla, una tecnologia tra le più avanzate che coniuga risparmio di spesa e rispetto per l’ambiente. Il Gruppo Acea, che la cura, ha impiegato 340 lampade a "led" di dimensioni ridotte e ad alta efficienza, per la Cupola, il Tamburo, la Lanterna, le Cupole minori, la facciata, le finestre dell’Aula della Benedizioni, la Gloria dell’Altare Maggiore e il Baldacchino di San Pietro all’interno della Basilica. il gruppo di lavoro, tutto 'made in Italy', si è avvalso della professionalità di esperti rocciatori d'alta quota per posizionare le luci nei punti più difficili dell'impianto. Entro il 2015, le nuove luci saranno estese anche ad altre Basiliche, monumenti romani e, gradualmente, a tutta la città di Roma. Luca Collodi ne ha parlato con Catia Tomasetti, presidente del Gruppo di servizi energetici Acea SpA: 

R. – La cupola è stata illuminata, sempre da Acea, già nel 2000. In 14 anni, però, la tecnologia cambia. Questo progetto di nuova illuminazione riguarda soprattutto la cupola maggiore, interna ed esterna, ma anche le cupole minori, la facciata di San Pietro, e quindi la Gloria dell’Altare maggiore, i baldacchini, il baldacchino di San Pietro, che prima non era coperto, e poi successivamente anche la chiesa, la facciata e la cupola della Basilica di Santa Maria Maggiore… Insomma, il progetto, oltre a essere ampio – perché arriveremo ad illuminare anche il baldacchino e la Gloria dell’Altare maggiore di San Pietro che prima non erano illuminati – ha due valenze. La prima è che utilizzando la nuova tecnologia a “led” abbiamo una luce più duttile, più morbida, che dovrebbe avere un effetto migliore rispetto a quello precedente. La seconda è che essendo a “led”, questo comporta un risparmio in termini energetici notevole. In particolare, in questo progetto viene usata una tecnologia particolarmente all’avanguardia, per cui il risparmio stimato è il 70%. Oltre ad avere una valenza economica ha soprattutto una valenza di tutela ambientale.

D. – Non è stato un intervento facile. Avete utilizzato anche dei rocciatori per posizionare al meglio le luci nei punti più difficili di Cupola e Basilica…

R. – Praticamente non c’è stato modo migliore per arrivarci, se non utilizzando esperti, operatori su fune, quindi rocciatori, che sono saliti a notevole altezza, con la capacità di lavorare appesi ad una fune.

D.- Presidente Tomasetti, Acea porterà ora l'illuminazione a led dal Vaticano alla città di Roma? 

R.- Il team che conta architetti della luce, ingegneri, esperti, tecnici a tutti i livelli, sta studiando globalmente di cambiare l’intera illuminazione della città di Roma, quindi non solo in ambito artistico. Infatti, successivamente, nell’arco del 2015 verranno illuminate 200 cupole ulteriori della città, basandosi sullo stesso principio e quindi su questa unione di arte e luce. Ma stanno anche studiando il cambio di tutta l’illuminazione, delle strade, degli edifici pubblici o privati. Tutto quello che adesso è illuminazione tradizionale passerà al “led”.

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Il Papa riceve il card. Ouellet e la presidenza dei vescovi francesi

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi; mons. Georges Pontier, arcivescovo di Marseille (Francia), presidente della Conferenza dei Vescovi di Francia, con: mons. Pascal Delannoy, Vescovo di Saint-Denis, Vice Presidente; mons. Pierre-Marie Carré, Arcivescovo di Montpellier, Vice Presidente; mons. Olivier Ribadeau, segretario generale.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Oltre le divisioni tra i popoli: il Papa ai dirigenti e agli atleti del Comitato olimpico nazionale italiano.

Segni che parlano a tutti: a fedeli di Verona e Catanzaro per il dono del presepe e dell'albero.

Civiltà mortificata: in prima pagina, Lucetta Scaraffia sulla sentenza della Corte europea che consente di brevettare una parte del corpo umano come se fosse un manufatto.

Rispetto dei diritti umani base di una buona economia: intervento della Santa Sede a Ginevra.

Un samaritano moderno: Christian Manuel sull'essere un medico oggi.

In missione su più fronti: Giancarlo Rocca su religiosi e religiose nella Prima Guerra Mondiale.

Sette metri di storia: Gaetano Vallini recensisce "La Grande Guerra" di Joe Sacco, un fumetto per raccontare l'inizio della tragica battaglia della Somme.

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Oggi in Primo Piano



Iraq, attentati. Mons. Lingua: è il governo del terrore

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La violenza continua ad insanguinare l’Iraq. Stamani, una serie di esplosioni ha ucciso almeno 11 persone e ne ha ferite 24 in luoghi pubblici e commerciali della capitale Baghdad. Gli episodi seguono l’agghiacciante notizia di ieri della strage a Falluja di oltre 150 donne, anche in stato di gravidanza, colpevoli di aver rifiutato il matrimonio con i jihadisti del sedicente Stato islamico. Intanto, i peshmerga curdi avanzano nel nord del Paese. Sulle violenze e i soprusi senza fine di questa terra martoriata, Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza del nunzio apostolico in Iraq e Giordania, mons. Giorgio Lingua

R. – Per quanto riguarda le violenze è difficile verificare, perché non è possibile andare sul luogo dove avvengono questi episodi. Certo, sono preoccupanti e soprattutto è un metodo di governare attraverso il terrore: non è soltanto un episodio, ma è una strategia del terrore che infierisce su tutti quelli che la pensano in modo diverso.

D. – E’ vero che donne e bambini stanno pagando un prezzo altissimo per quanto sta accadendo per la guerra, in termini di violenze?

R. – Senz’altro. Sia dal punto di vista materiale, ma soprattutto dal punto di vista psicologico, perché mentre un uomo ha la possibilità di girare, di andare, di cercare, mentre le donne e i bambini spesso devono rimanere lì dove vengono assegnati, in situazioni difficili.

D. – La gente vi chiede aiuto?

R. – Sono domande di aiuto soprattutto da parte dei cristiani. Chiedono aiuto per poter uscire, per poter trovare una situazione migliore. La mia impressione è che molti si illudono. Io attualmente sono in Giordania: quelli che sono arrivati qui adesso non trovano sbocchi. Pensavano fosse facile raggiungere l’Occidente… Altri aiuti si chiedono per affrontare l’inverno: riscaldamento, vestiti, soprattutto case…

D. – Sentendo le testimonianze delle violenze, dei soprusi e pensando a quello che il Papa dice, quando dice che la Chiesa non è una Ong, che bisogna uscire e testimoniare: qual è la reazione vostra, in questo senso?

R. – La Chiesa è molto impegnata in questa “uscita”; sono diversi sacerdoti, religiosi soprattutto, che vanno a visitare i campi. Dire “campi profughi” non è la parola più appropriata, perché sono piccoli centri, spesso accolti nelle strutture delle parrocchie, delle chiese. C’è tanta attenzione in questo senso, di non abbandonarli. Io stesso ho visitato vari centri: ho l’impressione che la gente sia contenta, anche quando uno arriva sia pure per un semplice saluto, per non sentirsi abbandonata, questo senz’altro. Adesso, anche per Natale ci sono tante organizzazioni che stanno aiutando, soprattutto nei confronti dei bambini: inviano regali… Anche questo permette di andare vicino, di sentirsi vicino alle famiglie che sono nella sofferenza.

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Mons. Zenari: mamme e bimbi, in Siria è strage di innocenti

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Entro il 2015, secondo l’Unicef, saranno più di 8 milioni e 600 mila i minori siriani vittime del terrorismo dell’Is e della guerra civile che in quasi quattro ha causato oltre 200 mila morti. Il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari, ha paragonato questo scenario alla strage degli innocenti del Vangelo. Corinna Spirito lo ha raggiunto telefonicamente a Damasco, per commentare la difficile situazione dei bambini siriani: 

R. – Sono quelli che soffrono di più. Generalmente, assieme anche alle loro mamme, sono la parte più debole di questo conflitto. Nei prossimi giorni sentiremo il Vangelo della strage degli innocenti e veramente qua si ha sotto gli occhi questa pagina del Vangelo: ecco la strage degli innocenti e direi di tantissimi civili e soprattutto di questi bambini innocenti. Mi sembra ancora sia attuale quel lamento di cui riferisce il Vangelo di Matteo, citando il profeta Geremia: questo lamento grande di Rachele che piange i suoi figli e che non vuole essere consolata… Ecco, potremmo mettere al posto di Rachele la Siria, che piange i suoi figli, che non sono più quelli che sono morti, soprattutto i bambini, e quelli che non sono più perché quei milioni, 3-4 milioni, hanno dovuto prendere la via dei Paesi vicini… Questa strade degli innocenti è una pagina del Vangelo che la Siria sta vivendo.

D. – Ricordiamo che c’è una doppia minaccia per i siriani: da una parte il terrorismo dell’Is, ma anche la guerra civile...

R. – Io non mi stanco di dirlo: il terrorismo, questo Is, è venuto ad aggiungersi e potremmo dire quasi che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una goccia terribile! Sappiamo delle atrocità… Però, è già ormai da quasi quattro anni che questo vaso di distruzione, di morte, di terribili sofferenze è pieno. Quindi, colpisce il terrorismo, ma continua a colpire anche questo conflitto civile di cui si stenta a vedere la fine.

D. – Tempo fa ci aveva detto che era necessario trovare una soluzione globale che fosse coraggiosa e non palliativa. Ci sono state evoluzioni in questo senso?

R. – Direi che questo conflitto evolve continuamente. Se penso ai primi giorni… Purtroppo, quando si arrivava a dei crocevia, si è presa la strada sbagliata. Direi che anche se è stato alle volte, forse sarà una impressione, confinato di più in alcune zone del Paese, però io quello che vedo è che c’è una bomba che sta scoppiando e che colpisce tutta la popolazione e questa bomba è la conseguenza della guerra, è la bomba della povertà. Una povertà crescente e una povertà che si fa sentire soprattutto in questi giorni, in cui è cominciato l’inverno. Una insidia quest’anno, non solo la fame e altre privazioni, ma direi anche il freddo che sta colpendo tantissima gente. Un freddo da cui non ci si può difendere, perché manca il combustibile o se lo si riesce a trovare, lo si trova a prezzi esorbitanti che la gente non può permettersi. Tante case sono distrutte, le porte e le finestre non chiudono e quindi tantissima gente in questi mesi, oltre alle privazioni del cibo e dei medicinali, ha anche questa bomba del freddo che colpisce tutti quanti. C’è della gente che è ancora sotto la pioggia di bombe, di mortaio o di cannonate, quelli stanno ancora peggio… Però, tutti sono sotto questa esplosione di questa bomba, ripeto, che è una generale povertà che va crescendo.

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Ue: ok a piano Juncker per investimenti strategici

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Nella tarda serata di ieri è arrivato il via libera da parte dei capi di Stato dell’Ue, riuniti a Bruxelles, al piano Juncker che istituisce un nuovo fondo per gli investimenti strategici (Efsi) allo scopo di mobilitare 315 miliardi di Euro nel 2015-2017. I contributi destinati al fondo, che sarà attivo da giugno, non saranno conteggiati nel calcolo sullo sforamento del patto di stabilità. Soddisfazione è stata espressa dalla presidenza di turno italiana e dal presidente della Bce, Mario Draghi. Il servizio di Marco Guerra

Incassato il via libera dei capi di Stato e di governo dell’Ue ora il Fondo Europeo per gli investimenti strategici (Efsi), fortemente voluto dal presidente della Commissione europea Juncker, dovrà trovare le cancellerie disposte nutrirlo con ingenti risorse. Lo strumento, che sarà attivo da giugno, mira a mobilitare 315 miliardi di Euro in tre anni. Al momento nessun governo si è già impegnato perché tutti vogliono prima vedere i dettagli del piano e i progetti che saranno finanziati e che la Commissione presenterà a gennaio. Soddisfatti la presidenza di turno italiana, con Renzi che parla di un semestre che “lascia in eredità la crescita”, e il presidente della Bce, Mario Draghi, secondo il quale con il piano Juncker sale la fiducia nell’Eurozona. Per un commento sentiamo l’economista Tito Boeri:

R. – Purtroppo, mi sembra che, per il momento, siamo ancora ad una fase di annunci. In ogni caso, il piano stesso è un piano che è molto più debole di quanto si voglia far credere, perché l’ipotesi di poter attivare addirittura 315 miliardi è qualcosa che si basa su delle ipotesi del tutto irrealistiche, sul moltiplicatore degli investimenti che non ha alcuna base, alcun fondamento concreto.

D. – Ogni Paese sarà libero di partecipare a questo fondo con un suo contributo. Questo non verrà conteggiato nel patto di stabilità, o almeno così pare che sia stato concordato. E’ il frutto di un compromesso questo piano?

R. – Mi sembra che sia davvero ancora un piano molto modesto, perché in realtà le risorse che sono state sin qui messe a disposizione sono inferiori a quelle di cui si parla: si parla di 21 miliardi, ma 12 di questi vengono sottratti ad altri progetti di investimento. Ed è anche discutibile il fatto che il contributo che la Banca europea degli investimenti dovrebbe dare sia davvero un contributo aggiuntivo, rispetto invece al rischio che spiazzi altri investimenti. Mi chiedo anche in che misura i Paesi che sono oggi in maggiore difficoltà utilizzeranno la possibilità offerta – eventualmente – di portare queste risorse fuori dal vincolo di stabilità e crescita nel momento in cui gli investimenti avranno, comunque, tempi di attuazione relativamente lunghi, perché le procedure sono piuttosto lunghe e complesse. Quindi, certo, aggraveranno le finanze dei singoli Paesi pur non incorrendo in sanzioni europee, ma comunque peggiorando il loro debito e avendo dei benefici che potranno esserci soltanto nel corso del tempo. Quindi, il vero scoglio e la vera cosa che potrebbe far cambiare la situazione, sarebbe un contributo rilevante da parte della Germania. Ma non mi sembra che su questo ci siano state delle aperture.

D. – Infatti, al momento nessuna cancelleria si è impegnata a versare su questo fondo, perché aspettano di vedere i dettagli del piano. Cosa dobbiamo aspettarci che avvenga, da qui al prossimo giugno?

R. – I dettagli del piano, in realtà, ci sono già, perché Juncker ha messo su carta quello che vuole fare – ripeto – con ipotesi, a mio giudizio del tutto irrealistiche. Però, i meccanismi e la struttura finanziaria del piano sono già stati chiariti; quindi, mi sembra semplicemente un modo per prendere tempo. Qui vanno fatte delle scelte politiche: credo che vadano fatte soprattutto da parte di Paesi come la Germania. Se vuole davvero prendersi carico della ripresa a livello europeo – cosa che farebbe molto bene anche alla Germania, in questo momento. Gli ultimi dati che sono usciti nei giorni scorsi dicono di un parziale miglioramento del clima di fiducia in Germania, e quindi questo forse può ridurre un po’ la pressione nei confronti di Angela Merkel perché prenda delle iniziative per rilanciare la crescita a livello europeo.

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Ovuli brevettati. Carrasco de Paula: manca etica comune in Ue

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Un pronunciamento della Corte di giustizia europea ha stabilito ieri che un ovulo umano manipolato, ma non fecondato, può essere brevettato a fini industriali e commerciali, sulla base del fatto che non è qualificabile come “embrione”. Per la Corte, un ovulo attivato per partenogenesi - che consiste nell'attivazione di un ovocita, in assenza di spermatozoi, attraverso un insieme di tecniche di laboratorio - che abbia iniziato un processo di sviluppo non va considerato come un embrione. Esso potrà dunque essere utilizzato con scopi commerciali, al fine di sperimentazioni e ricerche, potrà essere comprato e venduto e sarà possibile richiedere il brevetto per i prodotti di ricerca ottenuti usando tale materiale biologico.

Con l’ultima sentenza, la Corte Ue ha in parte ribaltato un pronunciamento del 2011, quando i giudici comunitari avevano stabilito che la nozione di embrione umano comprendeva “gli ovuli umani non fecondati”. La nuova sentenza parte da un ricorso presentato da una multinazionale inglese, sul quale è intervenuta anche l'Alta Corte di giustizia del Regno Unito, che ha chiesto ai giudici Ue di stabilire se tutti gli ovuli siano in grado di evolversi in essere umano. Col pronunciamento, sul quale comunque dovranno pronunciarsi i singoli Stati membri, la Corte Ue ha chiarito che tale evoluzione non è automatica. Spaccata la comunità scientifica. Ascoltiamo mons. Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia accademia pro vita, intervistato da Giada Aquilino

R. – Questa sentenza mi sembra una notevole semplificazione, perché non è semplicemente il fatto che non si tratti di un embrione e, per questo, possa essere tout court brevettabile e oggetto di vendita. Basta pensare, per esempio, alla donazione dei reni o di altri organi per i trapianti: ovviamente non sono embrioni, eppure non è assolutamente consentito - almeno che io sappia - in alcuna etica seria e in medicina la vendita di questi organi. Ciò si può rivelare un po’ pericoloso, perché successivamente questa valutazione potrebbe essere estesa ad altri campi che sono estremamente sensibili in modo particolare nella nostra epoca, in questi momenti. Della questione, quello che a me colpisce è l’esempio concreto di questa possibilità - perché è possibile farlo - che con un ovulo, con determinati stimoli, effettivamente si inizi apparentemente un cammino di produzione di un essere umano. La parola “manipolato” mi sembra abbastanza opportuna, perché vuol dire che non si prendono ovuli allo stato naturale, sui quali si sta facendo ricerca o una cosa simile. Ovviamente tutto questo risponde ad un’etica che è fondamentalmente di profitto ed è veramente molto pericoloso.

D – C’è il rischio che, in teoria, si incrementi il commercio illegale di ovociti?

R. – Questo mi pare evidente. Speriamo di no, però senz’altro è uno stimolo molto forte. A me sinceramente preoccupa che una sentenza di questo tipo arrivi così, senza che ci sia stato neanche un dibattito: non dico in ambito parlamentare, ma almeno in ambito pubblico, perché sull’argomento sono interessate tutte le persone e, in primo luogo, la classe medica.

D. – Nel 2011 la Corte di giustizia europea aveva dichiarato che l’uso di cellule staminali ed embrionali per la ricerca scientifica non può essere brevettato per motivi di dignità umana. Questa sentenza cosa implica?

R. – Esattamente implica che non c’è, che manca in Europa una linea etica di fondo! E si vive così: ogni problema viene trattato a sé. Questa è una cosa veramente preoccupante! Se c’è una politica economica comune, ci dovrebbe essere un’etica almeno sui punti essenziali, quelli che toccano proprio l’intimità e la dignità dell’essere umano.

D. – Papa Francesco a Strasburgo ha parlato dell’impegno dell’Unione Europea nel favorire il rispetto della dignità della persona, poiché - ha detto - ci sono situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti. Potrebbe essere questo il caso?

R. – È diventato il caso: d’ora in poi ovuli che siano stati manipolati per qualche motivo diventano un oggetto, si possono comprare e si possono vendere. Pertanto si è imboccata una via che non sappiamo dove finirà. Il nostro impegno principale rimane la difesa della vita umana e della sua dignità. E dignità significa fondamentalmente questo: una cosa è degna, perché non è un oggetto, non ha un prezzo, non può essere venduta o comprata. E questa è una cosa molto, molto seria. Il Santo Padre si è riferito - anche se in un altro contesto, ma sono problemi un po’ simili - alla schiavitù: effettivamente e disgraziatamente i nostri fratelli e sorelle che sono schiavi hanno un prezzo, hanno un costo e quindi la loro dignità è stata offesa, assolutamente cancellata. Comunque queste cose vanno guardate credo non solo con buonsenso, ma anche con speranza perché abbiamo tutte le possibilità: se una norma è stata cambiata tre anni dopo, questa possiamo cambiarla forse anche due anni dopo… E non è questione di 2, 3, 4 o 5 anni: dipende da noi che si prenda o si riprenda la strada giusta in argomenti così delicati, come il corpo umano. 

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Carta di Roma: più notizie su immigrati ma ritratto pietistico

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Nel 2013, è quasi raddoppiata sui giornali la presenza di notizie che riguardano l’immigrazione. E’ uno dei risultati del secondo Rapporto sulla Carta di Roma, che dà indicazioni ai mass media su come parlare di stranieri e flussi migratori. Una narrazione però sempre pietistica, dice Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma, intervistato da Alessandro Guarasci

R. – Non se ne parla male. Il 76% degli articoli usciti nel 2013, dei servizi, anche televisivi, dà in generale una visione positiva. Il problema è che tipo di visione positiva si dà: si dà una visione positiva sempre nell’ambito di un atteggiamento pietistico e compassionevole sostanzialmente. E questo è confermato dal fatto che se parla sempre in seguito a grandi eventi. Gli immigrati non vengono visti, se non raramente, come dei soggetti anche attivi, cioè come se risentissimo nell’informazione dell’idea che si tratta sempre di un’emergenza.

D. – Il dibattito sullo "ius soli" in qualche modo è scomparso dai giornali?

R. – Credo sia scomparso esattamente per questa dinamica: per il fatto che si sta appresso all’evento, che si impone come grande notizia di cronaca, e a partire da quello si tratta il tema. Sono abbastanza certo che qualche evento di cronaca, che potrebbe essere in questo caso anche banalmente il problema della naturalizzazione di un atleta famoso, sarebbe la via per tornare a parlare di questo argomento.

D. – Qual è invece la situazione degli altri Paesi europei?

R. – Questo problema esiste in tutta l’Europa, tanto che il commissario europeo proprio ieri ha detto che in Europa è necessaria una nuova narrazione intorno all’immigrazione a partire da un dato, cioè che si avverte una sproporzione tra i dati economici che oggettivamente dicono “immenso peso positivo” sull’economia europea, che è l’immigrazione da una parte, e una percezione negativa che è accentuata proprio dalla crisi economica.

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Impagliazzo: Roma chieda scusa ai suoi poveri e ai rom

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La "Michelin dei poveri" compie 25 anni. E’ stata presentata oggi l’edizione 2015 della guida della Comunità di Sant’Egidio “Dove mangiare, dormire, lavarsi” rivolta ai poveri di Roma, che raccoglie tutte le indicazioni necessarie a chi si trova in stato di difficoltà, italiani e stranieri. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Roma, i romani, ma soprattutto le istituzioni chiedano scusa per ciò che è accaduto a danno dei poveri. Marco Impagliazzo introduce la presentazione della guida aprendo sin dall’inizio il capitolo dell’inchiesta "Mafia Capitale":

"Il primo modo per curare questa ferita è chiedere scusa per ciò che non è ancora stato fatto. Chiedere scusa a tanti poveri e a tanti Rom che hanno subito in questi anni uno sfruttamento della loro condizione da parte di alcune persone. Già nel 2010 io stesso, con la comunità di Sant’Egidio, denunciavamo alcuni sgomberi di campi Rom attrezzati nella città di Roma e trasferiti in campi più grandi, con uno spreco di risorse allucinante. Perché sgombrare campi attrezzati? E’ una domanda che noi stiamo facendo da quattro anni a tante stanze istituzionali, ma senza risposta. Dunque, io credo che noi dobbiamo chiedere “scusa” a queste persone, perché i fondi per aiutarle, per sostenerle c’erano, ma sono stati sperperati. Non siamo mai usciti, questo è il caso dei Rom, dal tema dell’emergenza, e quando il tema è l’emergenza non si fanno bandi adeguati, si dà l’incarico al primo che si presenta… Dietro l’emergenza si prendono troppe scorciatoie che hanno portato poi ai problemi che sono stati evidenziati dall’inchiesta della Procura di Roma".

Impagliazzo invita il terzo settore ad una riflessione sulle vere motivazioni che spingono le persone a lavorare nel sociale, a capire quindi se esistano ancora o se piuttosto si parli ormai di un lavoro come un altro. E’ necessario inoltre  che la politica contrasti un pericoloso e dilagante pregiudizio:

"Purtroppo, si sta diffondendo un’idea: che la povertà porti con sé il degrado. Questa è una criminalizzazione dei poveri che non va fatta, che è ingiusta, perché al cuore dei nostri valori c’è il tema della solidarietà. Noi dobbiamo riprendere il discorso sulla difesa dei poveri. Oggi, invece una certa cultura politica ci parla di 'difenderci' dai poveri, che è esattamente l’opposto. Quello che va recuperata attraverso la gratuità, attraverso l’esempio di tante persone che fanno del bene, è l’idea che la povertà non è un degrado ma stimola, nella società, quei valori profondi – cito quello della solidarietà – che fanno il tessuto di una società e che è un tessuto che sta morendo, soprattutto nella nostra città di Roma e nelle sue periferie".

La povertà assoluta nel Paese nel 2013 è aumentata di quasi due punti percentuali, coinvolge più di sei milioni di persone, in particolare famiglie numerose e composte da due persone anziane. A Roma sono in aumento i senza fissa dimora  e il flusso dei rifugiati provenienti dal Mediterraneo. Si moltiplicano quindi le richieste di aiuto e di sostegno.

"Non c’è un’inversione di tendenza: questo è il fatto nuovo. Sono dati molto allarmanti sui quali è importante riflettere e di fronte ai quali io vedo una sempre maggiore mobilitazione da parte di forze generose qui, a Roma, mobilitart certamente dalla predicazione di Papa Francesco sul tema delle periferie e dei poveri, ma ormai anche da un lavoro capillare che la comunità di Sant’Egidio e altre associazioni stanno svolgendo sul terreno, per mobilitare energie umane e risorse sul tema dei poveri e della povertà".

La comunità di Sant’Egidio si fa quindi promotrice della richiesta di una costituente per Roma, che riunisca le forze politiche, economiche e sociali della città per aprire una riflessione sul futuro e sul ruolo della capitale.

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75° Programma ucraino della RV: ancora oggi voce di pace

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Il 14 dicembre scorso ha segnato i 75 anni delle trasmissioni del Programma Ucraino della Radio Vaticana. La Seconda Guerra Mondiale era appena scoppiata e la Radio, anche in quel caso, costituì un mezzo prezioso di libera informazione. Padre Taras Kotsur dal 2007 è responsabile della sezione ucraina, è dell‘Ordine basiliano di San Giosafat, ordine che si dall‘inizio delle trasmissioni è alla guida del Programa. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Fu l’inizio della Seconda Guerra Mondiale a dare il via alle trasmissioni in lingua ucraina. Quando il 1° settembre venne divisa la Polonia, la parte occidentale dell’Ucraina di adesso, dove c’era la Chiesa greco-cattolica ucraina, fu incorporata dall’Unione Sovietica. Allora già si sapeva che in Urss il regime ateo comunista perseguitava la Chiesa, per questo le gerarchie ecclesiastiche di quel tempo (il metropolita Andrey Sheptytsky era a capo della Chiesa ucraina greco-cattolica)  avevano capito che questa occupazione avrebbe messo a rischio i rapporti con la Sede Apostolica, per questo inviò un messaggero alla Santa Sede che chiese al Papa di avviare queste trasmissioni, proprio per lasciare la possibilità ai cattolici ucraini di avere un contatto, almeno via radio, con la Santa Sede.

D. – Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Programma ucraino ha subito delle interruzioni…

R. – L’interruzione dei programmi è cominciata quando Roma è stata occupata dai nazisti. In quel periodo non c’era la possibilità di preparare prima i programmi e di mandarli poi in onda, tutto veniva letto in diretta e con l’occupazione della città non era possibile svolgere un regolare servizio. Tuttavia la radio non restò del tutto muta e per le grandi feste liturgiche, come la Pasqua e il Natale, e in altre occasioni si tentò almeno di trasmettere la liturgia con l’omelia, per confortare questo popolo, che magari non poteva partecipare alle funzioni religiose nelle proprie chiese.

D. – Il Programma ucraino della Radio Vaticana si è rivolto ai suoi fedeli in momenti molto brutti. Il periodo più difficile è stato sicuramente quello dell’immediato dopoguerra…

R. – Nel 1946 la Chiesa greco-cattolica ucraina è stata messa fuorilegge nel Paese, ma nonostante questo ha continuato a funzionare clandestinamente. E proprio in questo periodo i programmi della Radio Vaticana hanno svolto un enorme servizio, non soltanto di informazione, ma anche di formazione sulla vita liturgica. Per esempio, nel periodo del Concilio Vaticano, grazie al lavoro dei redattori, che facevano anche traduzioni al volo dei documenti elaborati dal Concilio, i fedeli ucraini hanno potuto ascoltare i nuovi insegnamenti della Chiesa. Questo servizio, che Radio Vaticana ha reso durante il periodo della persecuzione della Chiesa, è stato molto importante ed è stato confermato dopo la caduta del muro di Berlino. La nostra redazione, infatti, all’inizio degli anni ’90, riceveva 40 mila lettere all’anno.

D. – Ricordiamo che il 1991 segna l’indipendenza dell’Ucraina…

R. – Sì, con il cambiamento del contesto, con la liberazione della Chiesa, sono cambiate anche le sfide per la redazione ucraina. C’è stato l’inizio di una nuova realtà. Prima, infatti, parlando dei cattolici ucraini si intendeva la Chiesa ucraina cattolica di rito bizantino, tutti gli altri cattolici di rito latino, che si trovavano in Ucraina, erano considerati minoranze: polacca, ungherese, tedesca. Con la formazione dello Stato indipendente è comparsa la realtà della Chiesa cattolica di rito latino in Ucraina. Da quel momento, anche i redattori della sezione ucraina della Radio Vaticana hanno cominciato a considerare questa realtà nuova che esigeva il bilanciamento dell’informazione, e chiedeva di capire i vari contesti a cui si rivolgeva, non trascurando inoltre l’esistenza di una vasta terminologia ecclesiale. Questo si è scoperto soprattutto quando la Radio Vaticana ha cominciato a commentare le trasmissioni delle liturgie papali per la Tv ucraina. In quel periodo non esistevano libri liturgici di rito latino in Ucraina, quindi, commentando le celebrazioni del Papa, occorreva quasi inventare, tradurre la terminologia liturgica in lingua ucraina, per farsi capire dai telespettatori che magari non avevano mai conosciuto quel contesto ecclesiale. C’erano poi altre nuove sfide, perché al posto dell’ateismo che perseguitava la Chiesa sono arrivati il secolarismo, il relativismo e la difficile situazione sociale. Bisognava, dunque, saper rispondere a queste nuove sfide. Noi rimaniamo anche dopo 25 anni dall’indipendenza l’unica radio cattolica a coprire tutto il territorio. Per tanta gente, per i malati, per gli anziani,  rimane quasi l’unica possibilità per partecipare alla liturgia domenicale.

D. – Il Programma ucraino della Radio Vaticana inizia con una guerra alle porte. E la guerra è tornata in Europa, a causa di ciò che sta accadendo nel Paese ucraino. Voi come avete affrontato questa situazione?

R. – Come nel periodo della persecuzione della Chiesa, 50 anni fa, anche oggi, nel fare i nostri programmi, evitiamo il discorso politico. Quello che vogliamo portare sono gli appelli per la pace, la preghiera per la pace, l’insegnamento della Dottrina Sociale sulla pace e sulla costruzione della solidarietà, della giustizia nel Paese. C’è, però, la stessa situazione di 25 anni fa: purtroppo i sacerdoti cattolici sono costretti a lasciare le regioni in conflitto. Torna così il ruolo della Radio Vaticana come possibilità per partecipare alla preghiera ed unirsi alla Chiesa nella liturgia domenicale. Cerchiamo sempre nei nostri programmi di trasmettere anche la solidarietà del Papa, gli appelli per la pace, e sentiamo questo “grazie” del nostro popolo alla Santa Sede per questa attenzione.

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Nella Chiesa e nel mondo



Card. Turkson in Liberia e Sierra Leone: Chiesa contro Ebola

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“Abbiamo visitato tutte le diocesi e abbiamo incontrato i responsabili dei progetti di assistenza della Chiesa e delle organizzazioni internazionali per assistere le popolazioni colpite dal virus ebola” dice all’agenzia Fides da Monrovia in Liberia, padre Robert J. Vitillo, delegato presso le Nazioni Unite a Ginevra per la Caritas Internationalis, che ha accompagnato il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nella sua visita in Sierra Leone e Liberia, due dei Paesi, insieme alla Guinea, più colpiti da Ebola.

L'incontro con la Chiesa
“Abbiamo incontrato i vescovi dei due Paesi e i responsabili delle Caritas nazionali e diocesane, e abbiamo constatato come la Chiesa sia molto impegnata nel rispondere all’emergenza rappresentata da ebola, specialmente nel mobilitare le persone educandole alla prevenzione. Le parrocchie hanno un ruolo importante nell’insegnare come impedire la diffusione del virus” sottolinea padre Vitillo.

Il dramma degli orfani di ebola
“Uno dei drammi provocati da ebola sono gli orfani: nella sola Sierra Leone ci sono oltre 2.500 ragazzi resi orfani dal virus. Le famiglie di origine li respingono perché temono che possano essere fonte di contagio, cosa assolutamente falsa – evidenzia il sacerdote -. Ci sono alcuni progetti della Chiesa a loro favore, come quello dei Salesiani nei pressi di Freetown (Sierra Leone) che prevede una prima accoglienza di 120 ragazzi per poi cercare di farli riaccettare dalle famiglie. Ci vorrà tempo, ma stanno lavorando in questo senso”.

Famiglie in quarantena senza cibo
“Un altro problema sono le famiglie poste in quarantena sanitaria che non hanno i mezzi per comprare gli alimenti - prosegue il rappresentante di Caritas Internationalis -. Le parrocchie si sono organizzate per portare cibo a queste famiglie”. “Infine tutte le strutture sanitarie della Chiesa nei Paesi colpiti sono mobilitate per affrontare l’emergenza” afferma padre Vitillo, che conclude: “il lavoro più importante è sul lungo periodo, per combattere la stigmatizzazione sociale di coloro che sono sopravvissuti a ebola, circa il 50% degli infettati”. (R.P.)

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Libia: la situazione è ormai fuori controllo

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Lo scontro tra i due governi, quello insediato a Tripoli e quello di Tobruk, si accentua e coinvolge le diverse milizie presenti in tutte le aree della Libia. Ieri, fonti militari del governo di Tobruk hanno annunciato che 30 miliziani filo-islamici di Fajr Libya (Alba, vicini al governo di Tripoli) sono stati uccisi e 270 feriti negli scontri attorno alla zona petrolifera tra Sirte e Bengasi. Al centro degli scontri - riferisce l'agenzia Fides - ci sono i terminal e le altre installazioni petrolifere ma anche le basi militari, come quella di Brak al-Chata (640 km a sud di Tripoli in pieno deserto), attaccata dalle forze di Fajr Libya che si sono impossessate di diversi tipi di munizioni, armi pesanti e medie, missili anti-carro e aerei, con l’intenzione di trasferirli nelle aree costiere.

Gravi danni al sistema sanitario
Gli scontri a Bengasi, capitale della Cirenaica, tra le milizie islamiste e i militari fedeli al generale Khalifa Haftar, oltre alle vittime stanno provocando gravi danni al sistema sanitario locale. La stampa libica riferisce che l’ospedale di Hawari è stato abbandonato e le sue costose attrezzature mediche sono state rubate. Il governo indiano ha disposto il rimpatrio, via Tunisia, di 38 infermiere di nazionalità indiana che operavano negli ospedali di Bengasi. Nella capitale della Cirenaica gli unici ospedali ancora aperti sono il Benghazi Medical Centre e il Jalaa Hospital.

Minacce al personale sanitario cattolico
Tra il personale infermieristico, sia in Cirenaica che in Tripolitania, c’è una forte presenza di cattolici (in particolare filippini) e fino agli inizi del 2013 anche di religiose cattoliche. Come aveva denunciato a Fides mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, Vicario Apostolico di Tripoli, la maggior parte delle congregazioni religiose erano state costrette a lasciare la Cirenaica a causa delle forti pressioni e minacce ricevute. (R.P.)

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Egitto: minacce islamiste per Natale. Condanna dei musulmani

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In Egitto anche quest'anno, come in passato, in prossimità della celebrazione del Natale la rete internet diviene veicolo di attacchi e minacce nei confronti delle comunità cristiane locali. Siti islamisti richiamano i musulmani a esimersi da ogni forma di partecipazione, anche indiretta, alle feste cristiane, attaccando gli islamici che presentano felicitazioni e auguri ai propri vicini cristiani in occasione del Natale. Nella blogosfera islamista si trovano anche minacce di morte e istigazioni a organizzare attentati contro le chiese in occasione delle affollate celebrazioni liturgiche natalizie, con particolare riferimento alle comunità cristiane presenti nei governatorati di Minya, Alessandria e Fayyum, dove sono più forti i gruppi islamisti legati ai salafiti e alla Fratellanza Musulmana.

Esponenti musulmani in difesa dei cristiani
La gravità delle minacce ha spinto stavolta autorevoli e riconosciuti rappresentanti del mondo accademico islamico a scendere in campo per denunciare e condannare le minacce e i diktat contro i cristiani. Tra gli altri, anche Amna Nosseir, docente di religione e filosofia e già decana della facoltà di Studi Islamici presso l'Università di al-Azhar, ha ribadito con forza che gli slogan e le intimidazioni anticristiane rilanciate in vista del prossimo Natale rappresentano un tradimento dell'autentico islam, e ha invitato “cristiani e musulmani” a proteggere insieme le chiese da qualsiasi minaccia, affinché i cristiani egiziani possano celebrare in serenità le loro solennità liturgiche. 

Anche Fawzi al-Zafzaf, già presidente del Comitato permanente di al-Azhar per il dialogo con la Santa Sede, ha ripetuto che l'istigazione all'odio religioso proviene da “nemici della Patria” che rinnegano il vero islam, e ha invitato a prendere sul serio le minacce, assicurando adeguate misure di protezione e indagini serie per individuare gli autori di simili intimidazioni.

La Chiesa non si fa intimidire
“Le minacce e gli insulti ci sono da anni” spiega all'agenzia Fides Anba Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh, “ma noi cerchiamo di vivere con serenità i giorni che ci separano dal Natale. Non ci facciamo intimidire. Anche perchè le cattiverie e gli attacchi dei fanatici danno modo a tanti islamici sinceri di uscire dal silenzio e di reagire. Questo, paradossalmente, è un esito positivo delle minacce. Le correnti fanatiche per tanti anni hanno approfittato della passività e del silenzio degli altri. Adesso si vede una reazione e una resistenza diffusa. In tanti hanno preso coscienza che tali derive fanatiche fanno male a tutti, sia ai cristiani che ai musulmani”. (R.P.)

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India: Natale sofferente per le violenze contro le Chiese

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“In vista del Natale abbiamo il cuore pesante per gli episodi di violenza contro le nostre Chiese in varie parti del Paese, specialmente in Chhattisgarh, Madhya Pradesh, Odisha, Uttar Pradesh e ora nel territorio della capitale Delhi. L'incendio doloso che ha devastato la chiesa di San Sebastiano a Delhi, così come gli altri episodi di violenza mirata, rivelano il disprezzo non solo verso i sentimenti religiosi della nostra comunità, ma anche per le garanzie assicurate nella Costituzione indiana”. Lo affermano vescovi e leader cristiani di tutte le confessioni in una nota diffusa a Delhi. Il comunicato  - ripreso dall'agenzia Fides - è firmato, tra gli altri, da mons. Anil Couto, arcivescovo di Delhi, da altri vescovi cattolici, ortodossi, protestanti, e da leader della società civile.

Non solo incidenti isolati
“Questi atti di violenza – spiegano – non sono incidenti isolati. Fanno parte di una serie di azioni interconnesse da parte di vari attori non statali. Molti politici hanno chiesto leggi nazionali contro la conversione, provvedimenti che toccano la comunità cristiana e musulmana, anche se non citate”. Inoltre, prosegue il testo, “è una minaccia per la pace e l'armonia nazionale la campagna ben organizzata, anche da membri di alto livello del Parlamento e appartenenti al partito di governo, che mette in discussione l'identità e il patriottismo delle diverse minoranze religiose in India”, screditandole ed esponendole a ulteriori violenze.

Il pericolo dei gruppi radicali
Il comunicato spiega: “Mentre l’esecutivo ha vinto le elezioni presentando una piattaforma di ‘sviluppo e buon governo’, i gruppi radicali vedono approvato il loro programma di odio e nazionalismo religioso. Si tratta di un palese tentativo di sabotare la Costituzione indiana, che assicura la libertà di ogni cittadino indiano di professare, praticare e diffondere la propria religione”.

Leggi usate contro le minoranze
I leader notano che i provvedimenti, paradossalmente chiamati “Leggi per la libertà religiosa”, in vigore in diversi stati indiani, l’hanno di fatto limitata e “sono stati usati contro le minoranze, dando alla polizia il potere di disturbare, arrestare e punire sacerdoti, religiosi e operatori cristiani”. I vescovi hanno inviato al governo un Memorandum che elenca vari episodi “rappresentativi dell’ostilità e della discriminazione subita dai cristiani in tutta l'India”. Si narrano casi di “boicottaggio sociale” (ad alcuni missionari cristiani è vietato l’ingresso in oltre 50 villaggi della regione di Bastar, in Chhattisgarh; e ad alcune famiglie cristiane in Orissa è impedito di usare il pozzo pubblico del villaggio); aggressioni fisiche (in numerosi Stati); profanazione degli edifici di culto.

India ha sempre difeso le religioni
Il testo inviato a Fides conclude: “L'India è una terra in cui diverse fedi religiose convivono da sempre. I padri fondatori si sono impegnati a garantire che i diritti di tutti siano tutelati indipendentemente da religione, genere o casta. Speriamo e preghiamo che tale discriminazione e violenza mirata siano fermate grazie a una forte volontà politica delle istituzioni civili e politiche”. (R.P.)

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Argentina: i vescovi invocano un Paese più fraterno

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In un messaggio pubblicato in occasione del Natale, dal titolo "Pace in terra agli uomini", la Conferenza episcopale argentina esorta tutta la comunità nazionale a "costruire insieme un Paese più fraterno" e a rinnovare l'impegno per la pace, ricordando che questo dono è "sempre una sfida e un compito per tutti gli uomini e le donne di buona volontà".

Il peccato mette a rischio la pace
I vescovi richiamano quindi l’attenzione: "ciò che mette a rischio la pace è radicato nel cuore dell'uomo ferito dal peccato" e le sue conseguenze si vedono "negli squilibri economici e sociali che richiedono un ordine mondiale più giusto; nel disprezzo della vita, che è il diritto fondamentale dell'individuo; nel reato del traffico di droga e nella tratta delle persone" tra gli altri mali.

"Natale è il ‘sì’ di Dio all'uomo per accompagnarlo a creare un mondo più umano, più giusto e più fraterno" sottolineano. Il messaggio viene reso noto alla fine della 169.ma sessione della Commissione permanente dei vescovi. Nella nazione latinoamericana l’indifferenza sociale sta agevolando il diffondersi delle droghe, e la Chiesa si è da tempo impegnata a combattere questo flagello a cui si unisce quello della violenza. (R.P.)

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Papua N.G.: appello vescovo per effetti devastanti del ciclone

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“Lancio un appello di emergenza per il popolo del Sudest della mia diocesi, Alotau. In questo momento migliaia di queste persone soffrono una grave penuria di cibo e sono ridotte alla fame, a causa del ciclone Ita, che ha colpito la costa sud del Sudest nell’aprile scorso, che ha distrutto la maggior parte delle loro colture”: è il messaggio diffuso da mons. Rolando C. Santos, vescovo di Alotau, fortemente preoccupato per una porzione del popolo di Dio a lui affidato.

Gli aiuti della Chiesa locale
Il vescovo racconta all'agenzia Fides: “Padre Tony Young, parroco a Nimoa, in loco, si è impegnato molto nel chiedere aiuti e nel distribuire generi alimentari a circa 800 famiglie. Abbiamo chiesto l'aiuto del governo provinciale di Milne Bay. Stiamo anche facendo appello alla gente locale, chiedendo di portare aiuti alla Chiesa in questi giorni della novena di Natale” rimarca mons. Santos.

“La Caritas Papua Nuova Guinea ha fornito aiuti umanitari lo scorso maggio. Tuttavia è soprattutto in questo periodo che la gente di Nimoa sta vivendo una situazione di serio bisogno. Rinnoviamo l’appello alla rete Caritas ma anche a tutte le altre diocesi e istituzioni. Accoglieremo con favore qualsiasi forma di sostegno, sia in donazioni in denaro sia in aiuti umanitari”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 353

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.