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Sommario del 20/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Comunità don Benzi: fede sposta montagne dell'indifferenza

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Contro la schiavitù del male, che sfrutta il prossimo, continuate sempre come il vostro fondatore, don Oreste Benzi, a servire gli ultimi. È l’invito di Papa Francesco alle migliaia di appartenenti all’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, ricevuti in udienza in Aula Paolo VI. Il servizio di Alessandro De Carolis

Un aiuto disinteressato che permette di scappare dal marciapiede con una bimbetta in braccio e ridiventare donna dopo essere stata una schiava brutalizzata. O una vita da cocainomane che fa terra bruciata attorno a sé per anni, finché la scelta di farsi aiutare ne fa ritrovare il senso nell’amore verso una figlia e nell’abbraccio a un padre e una madre frettolosamente abbandonati.

Storie di ordinaria redenzione nelle case-famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, fiorite grazie a quella che Francesco chiama “la libertà del bene”, un valore sposato senza riserve dai figli di don Oreste Benzi per donare una nuova possibilità a chi si è perso fra i mille vicoli del male.

Una miseria cieca
Il Papa si lascia avvolgere dall’affetto delle migliaia di persone che lo accolgono in Aula Paolo VI e più ancora dall’intensità dei loro racconti che ascolta prima di prendere la parola e affrontare il tema della lotta contro ogni forma di schiavitù:

"Sono esperienze che mettono in luce le tante forme di povertà da cui purtroppo è ferito il nostro mondo; e rivelano la miseria più pericolosa, causa di tutte le altre: la lontananza da Dio, la presunzione di poter fare a meno di Lui. Questa è la miseria cieca di considerare scopo della propria esistenza la ricchezza materiale, la ricerca del potere e del piacere e di asservire la vita del prossimo al conseguimento di questi obiettivi".

La fede sposta le montagne
“È la presenza del Signore che segna – afferma Papa Francesco – la differenza tra la libertà del bene e la schiavitù del male, che può metterci in grado di compiere opere buone e di trarne una gioia intima, capace di irradiarsi anche su quelli che ci stanno vicino”:

“La presenza del Signore allarga gli orizzonti, risana i pensieri e le emozioni, ci dà la forza necessaria per superare difficoltà e prove. Là dove c’è il Signore Gesù, c’è risurrezione, c’è vita, perché Lui è la risurrezione e la vita. La fede sposta davvero le montagne dell’indifferenza e dell’apatia, del disinteresse e dello sterile ripiegamento su sé stessi”.

Don Oreste, uomo degli esclusi
Sulle parole di Papa Francesco, e sul suo cuore in costante sintonia con i poveri, aleggia il sorriso bonario e la tonaca consunta di don Oreste Benzi, fondatore dell’Associazione:

“Il suo amore per i piccoli e i poveri, per gli esclusi e gli abbandonati, era radicato nell’amore a Gesù crocifisso, che si è fatto povero e ultimo per noi. La sua coraggiosa determinazione nel dare vita a tante iniziative di condivisione in diversi Paesi sgorgava dal fiducioso abbandono alla Provvidenza di Dio; scaturiva dalla fede in Cristo risorto, vivo e operante, capace di moltiplicare le poche forze e le risorse disponibili, come un tempo moltiplicò i pani e i pesci per sfamare le folle”.

E ricordatevi sempre, conclude Francesco, quello che don Oreste vi ha insegnato: “Per stare in piedi, bisogna stare in ginocchio”.

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Comunità Papa Giovanni XXIII, testimoni di un amore che salva

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Laici, in maggioranza coppie di sposi, sacerdoti, consacrati presenti in 34 Paesi, persino in Cina, che hanno messo la propria vita a servizio degli ultimi. A presentare a Papa Francesco l’Associazione Papa Giovanni XXIII e le sue iniziative è il responsabile generale,  Giovanni Paolo Ramonda, ma sono soprattutto le storie raccontate da tanti a dare testimonianza della forza trasformante dell’amore ricevuto dalla Comunità. Il servizio di Adriana Masotti

In attesa del Papa e alla sua presenza un susseguirsi di musiche, canzoni, contributi video, coreografie, testimonianze. Poi, il saluto di Ramonda che dipinge così la sua Comunità:

“Il parroco nostro amico, direttore di una Caritas diocesana, ci ha detto: ‘Voi siete un po’ come un’isola ecologica della Chiesa, dove arrivano tutti gli scarti. Però, cercate di recuperarli… Il Signore ci vuole bene, ci ama nonostante la nostra piccolezza, la nostra povertà, anche i nostri peccati. Ma ci ha affidato i suoi piccoli, i poveri. Nelle nostre case famiglia si diventa padre e madre di chi non ha nessuno, di coloro ai quali nessuno pensa, dimessi dal carcere, da ospedali psichiatrici, persone in stato di abbandono, profughi “

Come "piccolo" era Gianmaria che per 15 anni ha vissuto di droga e che con l’aiuto della Papa Giovanni è riuscito a ricomporre con tanta fatica tutti i pezzi del puzzle di una vita disperata e ora guarda al futuro con positività.

O come Daniele e sua moglie Mira che sono rom e raccontano una storia di degrado, ma anche della possibilità di ricominciare sempre:

“Al campo facevano spesso gli sgomberi a causa del fango quando pioveva. Siamo andati a vivere in un parcheggio, in macchina. Eravamo in cinque, con Marcella che aveva un mese. Poi, è passato un fratello della Comunità: non lo conoscevo. La prima volta mi sono spaventato un po’, sai? Ma mi sono fatto coraggio e sono andato con lui. La Comunità Papa Giovanni ci ha accolto: siamo stati per quattro anni alla Capanna di Betlemme: era una vita bella. Poi siamo andati via, perché ho avuto problemi con un ragazzo. Siamo andati di nuovo in un campo nomadi davanti alla discarica che era il regno dei topi. La Comunità però non ci ha abbandonato e ha fatto di tutto per aiutarci ancora. Da un mese ora siamo al Villaggio della Gioia a Forlì. Grazie alla Comunità che ci ha accolto e che ci vuole bene”.

E ancora come Joy, una giovane che viene dalla Nigeria:

“La mia famiglia era troppo povera. Allora, un amico di mio papà mi ha detto di venire in Italia: ‘C’è un lavoro per te’. Allora sono venuta qua. Poi, la fine: mi ha mandato sulla strada con altre ragazze e mi ha detto: ‘Ok, devi pagare 50 mila euro per poter andare via’. E io ho iniziato a pagare questi soldi. Grazie a Dio, ho trovato una persona della Papa Giovanni, che è venuto da me, abbiamo pregato insieme, abbiamo parlato insieme… Dopo, a seguito di un abuso, sono rimasta incinta e lui mi ha detto: ‘Guarda che quella vita non fa per te' e io ho detto: ‘E’ vero". Poi sono scappata. Adesso io sto bene con mia figlia. Io devo ringraziare tanto la “Papa Giovanni XXIII' per tutto quello che ha fatto per me e anche per la mia famiglia. Grazie".

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Il Papa nomina Tauran nuovo camerlengo, il vice è Gloder

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Papa Francesco ha nominato camerlengo di Santa Romana Chiesa il cardinale Jean‑Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e vice camerlengo mons. Giampiero Gloder, arcivescovo tit. di Telde, nunzio apostolico, presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Succedono rispettivamente al cardinale Tarcisio Bertone e a mons. Pier Luigi Celata.

Il camerlengo ha il compito di curare e amministrare i beni e i diritti temporali della Santa Sede nel tempo in cui questa è vacante.

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Nuova illuminazione a led per la Basilica di San Pietro

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Da ieri sera la Basilica di San Pietro ha una nuova veste, un’illuminazione a led che coniuga una tecnologia avanzata, risparmio di spesa e rispetto per l’ambiente. In serata sono stati inaugurati anche il presepio e l’albero che campeggiano nella piazza. Alessandro Guarasci: 

La Cupola di San Pietro è tornata a splendere grazie alla tecnologia a led. E per l’occasione ieri sera un migliaio di persone si sono ritrovate nella piazza per la cerimonia di inaugurazione: 340 lampade di dimensioni ridotte e ad alta efficienza, impiegate anche per il Tamburo, la Lanterna, le Cupole minori, la facciata, le finestre dell’Aula della Benedizioni, la Gloria dell’Altare Maggiore e il Baldacchino di San Pietro all’interno della Basilica. Queste le parole del presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, il cardinale Giuseppe Bertello:

“Che il messaggio di amore e di pace, che siamo invitati a meditare, contemplando Gesù che viene in mezzo a noi, illumini il nostro cuore, affinché possiamo anche noi irradiarlo come le luci di questa piazza ogni giorno, con la testimonianza della nostra vita”.

Ma gli altri due protagonisti della serata sono stati il presepe e l’albero. L’abete bianco arriva dalla Calabria, è alto più di 25 metri. Con la sua maestosità sembra auspicare un futuro migliore per questa difficile terra. Il presidente della Regione Calabria, Mario Olivero, ricorda il messaggio lanciato da Francesco durante la sua visita nel giugno scorso a Cassano all'Jonio:

“Un messaggio forte di contrasto a fenomeni negativi, ma anche di grande fiducia alla nostra terra”.

Il presepe viene da Verona, città della lirica, e offre la scenografia dell’opera Elisir d’amore di Donizetti. A rappresentare il comune l’assessore Luigi Pisa che mette in risalto il significato del presepe per tutte le famiglie.

“Siamo quindi lieti che un pezzo dell’anima di Verona sia soprattutto a Roma, con l’intento di comprendere il significato che il presepe riveste ancora oggi a livello valoriale”.

Innovazione e tradizione, quindi, rafforzano il messaggio del Natale 2014.

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Nomina episcopale in Messico

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In Messico, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ciudad Juárez, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Renato Ascencio León. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. José Guadalupe Torres Campos, finora vescovo di Gómez Palacio. Il presule è nato il 19 gennaio 1960. Ha studiato filosofia e teologia nel Seminario di León. Ha ottenuto la Licenza in Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana. Il 2 luglio 1984 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Ha svolto i seguenti incarichi pastorali: Prefetto nel Seminario minore di León, Segretario Particolare del Vescovo, Notaio del Tribunale Ecclesiastico, Vicario parrocchiale, Cancelliere della Curia diocesana, Parroco, Vicario Episcopale e Vicario Generale della diocesi di Irapueto, nella quale è stato incardinato nel 2004. Il 10 dicembre 2005 è stato eletto Vescovo Ausiliare di Ciudad Juárez e ricevette l’Ordinazione episcopale il 22 febbraio 2006. Il 25 novembre 2008 è stato nominato primo vescovo della diocesi di Gómez Palacio.

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Papa, tweet: stiamo con Gesù davanti al Tabernacolo

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Perché Gesù diventi il centro della nostra vita, è necessario stare alla sua presenza, davanti al Tabernacolo”.

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Palombella: Mozart nella Messa di Natale, fra modernità e tradizione

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In occasione della Messa della Notte di Natale, presieduta da Papa Francesco la sera del 24 dicembre alle 21.30 nella Basilica di San Pietro, sarà eseguito l’Et Incarnatus est della Messa in Do minore di Mozart. Il brano – che si inserisce tra i canti liturgici gregoriani previsti nella celebrazione - fa riferimento al prologo del Vangelo di San Giovanni: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Ad eseguirlo sarà l’Orchestra Sinfonica di Pittsburgh guidata dal direttore austriaco, Manfred Honeck. La solista è Chen Reiss, soprano di origini israeliane.

Mozart compose la Messa in Do minore tra il 1781 e il 1782, a Vienna, come voto per la guarigione della futura sposa Constanze, che si era ammalata. L'opera è rimasta incompiuta. Sulla scelta di inserire questo brano nella Messa della Notte di Natale, Sergio Centofanti ha intervistato il direttore della Cappella musicale pontificia “Sistina”, mons. Massimo Palombella: 

R. – Il significato di questa scelta si pone in una comprensione della riforma liturgica del Concilio Vaticano II che cerca di coglierne la sfida e il senso. Generalmente e ecclesialmente ci sono state e continuano a permanere due visioni sulla logica della riforma liturgica del Concilio in relazione alla musica. C’è chi sostiene che con la riforma liturgica è tutto finito: tutto il patrimonio grande della Chiesa è tutto finito. Dall’altra parte, coloro che sostengono che con la riforma liturgica bisogna buttare via tutto ciò che ci ha preceduto, perché è tutto nuovo: bisogna rifare tutto nuovo. Ecco, io penso che ecclesialmente e teologicamente noi dobbiamo comprendere che ogni riforma della Chiesa è sempre inclusiva delle precedenti. Allora, la riforma liturgica del Concilio Vaticano II che prima di ogni altra cosa, dal punto di vista liturgico-musicale, è una grande sfida di cultura, perché ci obbliga imprescindibilmente a dialogare con la cultura contemporanea – abbiamo appena beatificato Paolo VI che sigla e sigilla questo grande anelito del Concilio: il dialogo con la cultura contemporanea – ma insieme io posso dialogare se ho delle radici, quindi la conoscenza di ciò che ci ha preceduti. Posta questa premessa, questa scelta si colloca così: è un’intelligente collocazione all’interno della liturgia rinnovata dal Concilio Vaticano II, di un segmento del patrimonio – del grande patrimonio ecclesiale – in questo caso, un segmento della Messa di Mozart K427 in Do minore, e precisamente l’Et incarnatus est, collocato con una pertinenza liturgica all’interno della celebrazione. Per cui, al canto del “Credo” della schola, alternato all’assemblea, al posto della schola, con un cimento musicale, si farà l’Et incarnatus est dalla Messa K427. Questo risponde a ciò che il Concilio profondamente ci chiede. Ecco, il senso è questo: la collocazione di un segmento della grande tradizione ecclesiale musicale, all’interno della liturgia rinnovata, ma che questo segmento si possa fare con una pertinenza liturgica, che è la grande sfida che il Concilio pone alla musica: la pertinenza liturgica.

D. – Qual è la particolarità dell’Et incarnatus est di Mozart? Cosa ha voluto esprimere Mozart?

R. – C’è tutta la vicenda di questa Messa, del matrimonio di Mozart, ma è interessante perché lo ha scritto in maniera così alta e profonda che non è riuscito più ad andare avanti. Allora, ha questa particolarità che il “Credo” si ferma con l’Et incarnatus est.

D. – Lo stesso Papa Francesco ha detto che l’Et incarnatus “è insuperabile, ti porta a Dio”…

R. – Infatti questo è anche il motivo per cui si è fatta questa scelta, quest’anno, di fare questa inserzione all’interno della celebrazione. E questo è il lavoro che il Concilio ci chiede: non ci chiede una visione chiusa o esclusiva della realtà; ci chiede una visione che includa la realtà, quindi include la tradizione ma dialoga con la modernità. Rifugiarsi in un sicuro passato o percorrere solo ed esclusivamente strade di sperimentazione, doverose ma sempre all’interno di un contesto ecclesiale. Quindi, il grande equilibrio che ci chiede il Concilio è proprio questo: il dialogo con la modernità, con le nostre radici.

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Mons. Krajewski, Messa a Rebibbia a nome di Francesco

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Una Messa con i detenuti di Rebibbia. È quella che l’arcivescovo Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, celebrerà al carcere romano di Rebibbia su incarico di Papa Francesco, a nome del quale il presule – informa una nota di padre Federico Lombardi – porterà in dono il libretto di preghiere distribuito domenica scorsa all’Angelus in Piazza San Pietro, aperto dalla frase di Papa Francesco: “Quando prego, Dio respira in me”.

A Rebibbia, spiega la nota del direttore della Sala Stampa Vaticana, vi sono 2.500 detenuti, di cui 2.100 uomini e 350 donne (con 20 bambini fra 0 e 3 anni). Il 38% di essi sono non italiani. Molti sono assai poveri, diversi malati, molti non hanno una famiglia che li assista. Prestano servizio sei cappellani, coadiuvati da 150 volontari. Nel giorno di Natale non possono essere visitati da familiari o esterni. Perciò questa messa anticipata domenica con gli auguri del Papa.

Anche in occasione della Pasqua, Mons. Krajewski si era recato al carcere di Regina Caeli, portando in dono da parte del Papa un piccolo Vangelo tascabile.

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Mai più omelie noiose: Culto Divino pubblica Direttorio

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Con il benestare di Papa Francesco, è stato redatto dalla Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti un “direttorio omiletico”. Costituito da due parti – una dedicata all’omelia in ambito liturgico e l’altra focalizzata sull’arte della predicazione – il documento ambisce a fornire a sacerdoti e seminaristi le coordinate metodologiche e contenutistiche da tener conto nel preparare e pronunciare un'omelia. Federico Piana ne ha parlato con Sergio Tapia-Velasco, docente alla Facoltà di Comunicazione sociale della Pontificia Università della Santa Croce e coordinatore del corso “Ars praedicandi”: 

R. – In realtà, tutto inizia con Giovanni Paolo II quando nel 1990 convoca un Sinodo per studiare come si possa migliorare la formazione dei sacerdoti, dei seminaristi. Già in quel momento è venuta fuori  l’idea di fare qualcosa per aiutare i sacerdoti a predicare meglio. Poi, Papa Benedetto in due momenti importanti – sempre a conclusione di un Sinodo, quello dell’Eucaristia, che ha portato poi all’uscita dell’Esortazione “Sacramentum Caritatis” nel 2007 – parlò di queste omelie che risultavano noiose, perché in realtà erano troppo generiche o astratte e non parlavano ai fedeli. E’ stato lo stesso Benedetto che ha chiesto - dopo il Sinodo sulla Parola di Dio nel 2010, scrivendo questa Esortazione Apostolica “Verbum Domini”, al numero 60 – ai responsabili della Congregazione del Culto Divino l’opportunità di redigere un Direttorio Omiletico. Il Direttorio è un tipo di documento, diciamo così, speciale che viene non soltanto a studiare un argomento dal punto di vista teorico, ma cerca di dare una direzione.

D. – In concreto di cosa si tratta?

R. – Si tratta di linee guida che possono ispirare sia il sacerdote che già si trova a esercitare il ministero della Parola, e richiamano soprattutto la responsabilità dei rettori dei seminari nel preparare in questa bella ma anche difficile arte della predicazione i loro seminaristi. Senz’altro tutti possiamo migliorare, ma chi si sta preparando al sacerdozio deve prendersi sul serio nella preparazione in questo ambito.

D. – Come deve essere fatta una omelia “doc”?

R. – Porsi le domande giuste per strutturare l’omelia: che cosa interessa veramente i fedeli? Che cosa dice veramente il testo? Che cosa ha detto questa lettura al mio cuore? Come dice Papa Francesco, è importante non rispondere a domande che nessuno si pone: l’inter-lectio ha proprio lo scopo di "inter-leggere" e capire che cosa dice il testo, cosa hanno bisogno di ascoltare i fedeli e cosa ha detto il testo a me stesso? Altrimenti l’omelia risulta non autentica. L’importante è avere una domanda di partenza e poi si può strutturare il discorso seguendo la retorica classica, ma sempre attenti alle forme di comunicazione contemporanea.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Schiavitù e liberazione: don Oreste Benzi ricordato dal Papa nell'udienza alla comunità fondata dal sacerdote romagnolo.

L'abbraccio degli ultimi: la comunità Giovanni XXIII incontra Papa Francesco.

La sfida etica del disarmo nucleare: intervento della Santa Sede a Vienna.

Quando si viaggiava per biblioteche: Paolo Vian sulla storia architettonica di un'istituzione universale.

Un articolo di Angelo Paoluzi dal titolo "Il muro nella testa": venticinque anni dopo la riunificazione tedesca.

Il Visitatore: Cristian Martini Grimaldi su André Palmeiro e i gesuiti in Asia nel XVI secolo.

Allegria e bravura: Antonio Paolucci recensisce una monografia che contribuisce al recupero critico di Tiepolo.

I raggi infrarossi dell'arte: Silvia Guidi sul valore terapeutico di cinema, letteratura e pittura.

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Oggi in Primo Piano



Mosca sfida le nuove sanzioni: aiuti ai separatisi ucraini

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Mosca torna a sfidare le sanzioni Usa ed Ue. Domani, un nuovo convoglio di aiuti umanitari russi, il decimo dall'inizio della crisi, raggiungerà le regioni orientali e separatiste ucraine, violando nuovamente l'integrità territoriale di Kiev. Lo ha annunciato oggi il ministro per le Emergenze, Vladimir Puchkov, all’indomani del divieto emanato dal presidente americano, Barack Obama, di commerciare con la Crimea e delle nuove sanzioni alla Russia varate dal Canada. Per un commento sulle nuove misure restrittive, Marco Guerra ha intervistato Danilo Elia, giornalista dell'Osservatorio Balcani e Caucaso: 

R. – Sembra che le diplomazie occidentali si stiano muovendo con un certo sincronismo, perché – lo ricordiamo – queste sanzioni, queste mosse del Canada e quelle annunciate degli Stati Uniti, seguono quelle dell’Unione Europea rivolte espressamente alla Crimea – alla Crimea russa naturalmente – e possono essere lette a mio parere in un’unica maniera: in questi mesi la Russia, nonostante le pressioni dell’Occidente, non ha fatto alcun passo indietro riguardo alla propria politica di gestione della crisi ucraina, e questo – secondo l’orientamento dominante nei partner occidentali – non può essere lasciato andare “gratis”. Non c’è dubbio quindi che l’intento delle nuove sanzioni, delle nuove ondate di sanzione, sia quello di colpire ancora più profondamente la Russa che, lo ricordiamo, incomincia a subire l’effetto delle prime ondate e, appunto, in particolar modo non a caso colpiscono la Crimea, dando un chiaro segnale di quale sia l’obiettivo che si intende colpire.

D. – Però, anche la stessa Europa subisce forti ritorsioni dopo queste sanzioni…

R. – Sì, è vero. E’ anche vero che l’Europa probabilmente è il partner della Russia che maggiormente subisce gli effetti collaterali, gli effetti di ritorno delle sanzioni stesse. Questa è una delle critiche che più spesso viene mossa all’Unione Europea, alle decisioni europee di inasprire le sanzioni. Cioè, si dice sostanzialmente che gli Stati Uniti hanno gioco più facile, e anche il Canada, perché non starebbero pagando alcun prezzo. Sono le diverse anime di questa Unione Europea: l’Italia sta cercando di mediare, non soltanto l’Italia, anche la Francia, perché sono molto stretti i rapporti commerciali con la Russia… C’è un’altra Europa, ci sono Paesi come i Baltici – la Lituania capofila e anche la Polonia – che continuano a sostenere una linea molto dura. Quindi, chiaramente la posizione dell’Unione Europea non può che essere la sintesi di tutte queste anime.

D. – Quali sono i prodotti principalmente colpiti, i settori che stanno soffrendo di più?

R. – Le contro-sanzioni, chiamiamole così, della Russia, cioè le ritorsioni, la messa al bando dell’importazione di alcuni prodotti sta colpendo in maniera settoriale le attività di vari Paesi. C’è un bando generalizzato soprattutto sui prodotti alimentari: chiaramente, l’Italia da questo punto di vista è un grande esportatore e i russi apprezzano molto la cucina italiana. Così, ad esempio, sono stati posti bandi sull’importazione della frutta, delle mele dalla Polonia… Sono veramente misure molto, molto mirate per colpire i singoli mercati.

D. – Putin, finora, non ha quasi mai prestato il fianco con segni di cedimento. Nella conferenza di fine anno, ha detto però che la crisi valutaria e le conseguenze della crisi economica di questi mesi sono provocate da elementi esterni. Anche la Russia, quindi, inizia a mostrare logoramento da questa crisi ucraina?

R. – Le parole di Putin in conferenza non dovrebbero stupire più di tanto. La sindrome dell’accerchiamento è un aspetto del modo di vedere russo molto, molto radicato. La leadership russa, il Cremlino, Putin utilizzano questa sindrome di Paese sempre sotto attacco da parte dell’Occidente e quindi funziona anche in questo ambito. Quindi, provare a dare una spiegazione, una versione per cui la svalutazione del rublo sia effetto di una manovra orchestrata dai partner occidentali per indebolire la Russia, ha chiaramente i suoi effetti. Ora, difficile dirlo naturalmente se sia vero o meno. Bisogna comunque ricordare che c’è un altro prezzo, un altro bene che sta crollando: il petrolio. E il bilancio statale russo si basa prevalentemente sul prezzo del petrolio. Quindi, tutto sommato, gli effetti del crollo del prezzo del petrolio potrebbe farsi sentire anche sull’economia e quindi riflettersi sul valore della moneta. Quindi, riesce un po’ difficile credere che sia soltanto effetto di manovre speculative o di manovre per indebolire l’economia russa.

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Monito di Obama alla Nord Corea dopo cyber-attacco alla Sony

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Secca risposta degli Stati Uniti all’attacco informatico della Corea del Nord contro la Sony come ritorsione all’uscita del film “The Interview” che vede al centro della pellicola il dittatore nordcoreano Kim Jong-un. “Nessuno ci imporrà la censura” ha dichiarato il presidente americano, Obama, che annuncia: “L’attacco non resterà impunito”. I particolari da Paola Simonetti

La mossa della Sony non è piaciuta al presidente degli Stati Uniti Obama: l’eliminazione dal mercato del film satirico “The Interview” che racconta di un complotto organizzato dalla Cia per eliminare il dittatore nordcoreano Kim Jong-un è stato un errore secondo Obama. Una mossa quella della Sony Pictures giunta dopo aver subito un attacco informatico sul proprio database per mano della Corea del Nord, secondo quanto rivela un’inchiesta dell’Fbi. Da Pyongyang sebbene si dicano soddisfatti dell’accaduto, continuano però a negare qualsiasi coinvolgimento diretto. "Nessun dittatore imporrà la censura agli Stati Uniti", ha dichiarato Obama, che aggiunge: "Se dalla major mi avessero chiamato avrei detto di non ritirare il film e di non lasciarsi intimidire". Poi l'annuncio: “Risponderemo in modo proporzionale, nei tempi e nei modi che stabiliremo", ha affermato il presidente degli Stati Uniti, indicando l'urgenza di un'architettura complessiva contro i cyber-attacchi che mettono a rischio la sicurezza nazionale. 

Francesca Manenti, responsabile del settore “Asia” del Centro Studi Internazionali, spiega il perché sia credibile che Pyongyang possa aver utilizzato hacker come mezzo di minaccia: 

R. – Il regime della Corea del Nord cerca di sfruttare quelle che sono le proprie potenzialità: all’interno, quindi, ha una grande disponibilità di massa popolare a disposizione di quelli che sono gli ordini del governo; la capacità, quindi, di implementare un forte apparato informatico da utilizzare come strumento di politica internazionale.

D. – Le immagini di un film, il contenuto di una pellicola cinematografica, possono essere davvero la sola ragione di una mossa come questa, per quanto riguarda la Corea del Nord?

R. – Bisogna considerare che il regime della Corea del Nord è un regime particolarmente autoritario e particolarmente repressivo, incentrato sulla figura di Kim Jong-un, l’attuale leader, che punta sul proprio carisma e sulla propria autorità come principale arma di controllo e quindi anche di sostentamento, nel lungo periodo, di quello che è un regime attualmente fuori da ogni parametro storico, se lo confrontiamo alle altre forme di governo della comunità internazionale. Quindi un film che possa minare, anche se in modo ironico, e quindi addirittura sbeffeggiare questo tipo di sistema, sicuramente viene visto come una minaccia per la sicurezza nazionale. Non bisogna neanche trascurare il fatto che per la Corea del Nord poter mettere  - mi passi il termine - il cappello sopra un attacco informatico agli Stati Uniti, sicuramente è un messaggio molto forte.

D. – Lo sottolineava lei poco fa ma è di dominio pubblico, anche con dei rapporti di Amnesty International, che ultimamente ci hanno dato la dimensione del tipo di repressione che c’è in Corea del Nord: è una repressione feroce, spesso attuata con mezzi che sono stati quasi accostati a quelli del nazismo e di Auschwitz. In un contesto del genere è possibile un’apertura della Corea del Nord? Con quali eventuali strumenti, secondo lei, anche da parte della comunità internazionale?

R. – La comunità internazionale ha già messo in atto pesanti sanzioni nei confronti della Corea del Nord, per cercare delle aperture sul tema dei diritti umani. Come giustamente mi ricordava, i campi di prigionia attualmente aperti in Corea del Nord e appunto in programma di nuove aperture, sono uno dei grandi punti dolenti del regime nord coreano per la comunità internazionale. Il dibattito è sicuramente molto acceso al riguardo. Purtroppo, al momento, non c’è un tavolo negoziale in grado di garantire che il regime di Pyongyang possa portare avanti delle misure di riduzione della repressione al proprio interno. Anche la liberazione dei prigionieri statunitensi, che è avvenuta nelle scorse settimane, aveva lasciato prospettare una maggior distensione sotto questo punto di vista da parte di Pyongyang. Quello che, però, appunto, si può leggere da questi ultimi fatti è che se da una parte il governo di Kim Jong-un cerca di rabbonire la comunità internazionale, magari per avere una maggiore sponda internazionale, in un momento in cui anche regionalmente la Corea del Nord si trova sempre maggiormente isolata, d’altra parte le contraddizioni che lo stesso Kim Jong-un si trova a dover portare avanti, per  poter garantire la propria sopravvivenza interna, riducono le possibilità di dialogo davvero ai minimi termini.

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Rivoluzione romena: 25 anni fa l'appello di Giovanni Paolo II

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Il 1989 segna i 25 anni dalla caduta dei regimi totalitari dei Paesi del Patto di Varsavia. Fu quello ‘L’Autunno delle nazioni”, da Varsavia a Berlino, con la caduta del Muro il 9 novembre. Rivoluzioni che si svolsero perlopiù in modo pacifico, tranne in un caso, quello della Romania, dove le proteste terminarono con l’esecuzione del capo di Stato. Francesca Sabatinelli: 

Il Mercoledì 20 dicembre del 1989, 25 anni fa, durante l’udienza a pochi giorni dal Santo Natale, Giovanni Paolo II lanciava un doloroso appello: era rivolto alla Romania, Paese che in quei giorni veniva insanguinato dalla violenza di un regime agonizzante, prossimo a cadere:

“Con profondo dolore abbiamo tutti appreso la notizia di morti e di feriti in alcune città della Romania. Mentre lamento e condanno ogni violenza perpetrata contro inermi cittadini, elevo la mia supplice preghiera al Signore: voglia egli accogliere nella sua pace le anime di queste vittime che hanno perduto la vita quando il mondo cristiano si accinge a celebrare il Natale di colui che invochiamo Principe della pace. Esprimo, poi, parole di conforto per i feriti e per tutte quelle famiglie che sono in angoscia per questo tragico avvenimento e voglio augurare a tutti i cittadini della diletta nazione Romena un’armoniosa convivenza tra le sue componenti etniche, che favorisca la pacifica fruizione dei diritti umani, civili e religiosi di tutto il popolo e garantisca le sue fondamentali libertà Dio benedica la Romania!”. 

La Romania fu l’unico Paese del blocco orientale a vivere in modo violento la rivoluzione contro il regime. I morti sulle strade di Timisoara e di Bucarest furono in totale 1104. Le proteste iniziarono il 16 dicembre, il 25 il dittatore Nicolae Ceausescu e la moglie Elena furono processati e immediatamente fucilati. Le immagini dell’esecuzione fecero subito il giro del mondo. Sin dall’inizio partecipò alle manifestazioni padre Guglielmo Danca, allora parroco a Bucarest, oggi decano della Facoltà di Teologia nella capitale romena:

R. – Mi ricordo che, di notte, tutte le luci erano accese sulle strade principali, cosa che non avveniva ormai da molto tempo. C’era una atmosfera imbevuta di paura, di sfiducia nei confronti degli altri, fin quando non abbiamo sentito i rumori dei fucili, dei carriarmati. La gente si è radunata sulle strade principali e ha cominciato a protestare. Da parte delle autorità c’era una certa paura nei confronti del popolo, cercavano con tutti i mezzi di far sì che la gente ritornasse nelle proprie case, ma le persone risposero a queste misure in modo contrario: si radunavano sempre di più, protestando e gridando contro il regime. Questo avveniva nel centro della capitale, nel cuore di Bucarest. Nei giorni del 22 e del 23 dicembre, Ceausescu cercò di rassicurare la gente, che era già radunata di fronte alla sede del Comitato centrale del partito comunista, dicendo che avrebbe cambiato le condizioni di vita. Quella mattina, e lo ricordo molto bene, perché ero anche io lì, si erano radunate migliaia e migliaia di persone. Avevo tra le mani un abete di Natale che avevo promesso di portare ad un sacerdote anziano della città. Mentre ero in cammino per andare da lui, una folla si radunò dietro di me, io ero con il cappellano e il vice-parroco, eravamo in tre, sembrava fossimo i capi di un gruppo di protesta, ma era una situazione accidentale. Siamo arrivati davanti alla sede del Partito comunista, abbiamo sentito le ultime promesse di Ceausescu, lo abbiamo visto a 100 metri, di fronte a noi, subito dopo lui è sparito, è salito sul tetto del palazzo, ha preso l’elicottero ed è andato via. Siamo rimasti lì per tutta la giornata a gridare: “Giù il regime comunista! Giù il dittatore Ceausescu!”. Era una atmosfera mescolata di attesa, di speranza, però non era una speranza forte, non avevamo il coraggio di sperare, avevamo molta paura.

D. – Lei l’ha vissuta questa sensazione di paura, di terrore?

R. – Eccome no! Nei mesi precedenti io notavo sempre sulle strade di Bucarest, le strade principali del centro della città, numerosi giovani poliziotti. Se ne vedevano tanti dall’inizio di novembre, fine ottobre-inizio di novembre. Quell’immagine di tanti poliziotti nel centro della città, a me faceva paura e confesso anche adesso che non credevo che sarebbe stato possibile cambiare qualcosa in quelle circostanze.

D. – Nella memoria di chiunque abbia, anche da lontano, vissuto gli avvenimenti nella Romania del 1989, c’è l’immagine indelebile dei coniugi Ceausescu processati e immediatamente uccisi…

R. – E’ vero! Però devo dire che la gente, nonostante le atrocità commesse nei confronti del suo popolo, non ho condiviso il modo in cui Ceausescu ha finito la sua vita. Ricordo quando sono state pubblicate e trasmesse le prime immagini con la loro fucilazione, molti dicevano: “Non siamo stati noi a fare questo: non condividiamo questa misura radicale nei suoi confronti. Doveva pagare, certo! Ma non in quel modo, no!".

D. – Il 20 di dicembre Giovanni Paolo II, durante un’udienza usò delle parole drammatiche: parlò della Romania e del Natale di sangue nel Paese. Quelle parole quanto arrivarono a voi?

R. – Io ho sentito quelle parole molto più tardi. In quel periodo non avevamo alcun collegamento con il mondo libero. Potevo ascoltare la Radio Vaticana di nascosto, ma soltanto in alcuni momenti, quando si poteva. Quei giorni erano così convulsi che proprio non pensavo ad ascoltare i mezzi di comunicazione. Ero sempre presente lì in strada, con la gente della mia parrocchia. Però le parole del Santo Padre, più tardi, hanno avuto una eco molto, molto forte e hanno confermato che la Chiesa, e non soltanto la Chiesa cattolica, ma anche quelle ortodosse, protestanti, hanno avuto un ruolo importante nella resistenza al regime comunista dittatoriale. La Chiesa è riuscita a sostenere una forma di resistenza spirituale, in cui il regime non è stato capace di entrare e di controllare quindi quello che succedeva nelle anime delle persone.

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Euroma2 inaugura Cappella. Andreatta celebra la prima Messa

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Questa domenica si celebra la Messa d’inaugurazione della Cappella allestita a Euroma2, nella capitale: si tratta di una delle prime Cappelle d'Europa all'interno di un centro commerciale. A presiedere la celebrazione, mons. Liberio Andreatta, vicepresidente e amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi. Giovanni Di Stefano lo ha intervistato sull’iniziativa: 

R. – Io ho pensato che dopo gli inviti continui di Papa Francesco, che dice continuamente “Uscite, andate nella strada, andate dove la gente si raccoglie”, poteva essere una iniziativa molto forte in un luogo dove – lei pensi – ogni sabato passano 45 mila persone e alla domenica circa 50 mila persone, con una presenza di circa 2.400 lavoratori all’interno. Ci sembrava quindi giusto e soprattutto importante che non mancasse un annuncio di evangelizzazione, una testimonianza di un luogo e di uno spazio non solo del consumismo di una società del benessere, ma soprattutto di un luogo e di uno spazio di preghiera e di incontro con la Parola di Dio. Questo è un luogo dentro il quale e nel quale c’è una grande distrazione, forse dovuta tante volte proprio alla tipologia di questi luoghi, che sono per molti solo luoghi di consumismo, ma per altri invece – e questo lo dobbiamo dire – rappresentano dei luoghi di aggregazione sociale, perché d’inverno ci sono molte persone povere che non hanno il riscaldamento e lì vanno a riscaldarsi con i loro figli e con tutta la famiglia e d’estate, soffrendo il caldo eccessivo, lì vanno a rinfrescarsi… Quindi c’è già oggi una funzione di supplemento e di supplenza ad una serie di servizi che mancano nei quartieri e che aiutano a rispettare la dignità della persona. A queste 45-50 mila persone, che ogni sabato e ogni domenica vanno lì e passano magari tutta la giornata nel tempio del consumismo, dove nessuno ricorda loro che quel giorno è il giorno di Dio, è un giorno di festa, noi – fuori, sul piazzale in questa struttura che è stata realizzata - vogliamo ricordare alla gente che arriva: “Oggi è il giorno di Signore”.

D. – In Italia è un inedito assoluto. Chi ha reso possibile tutto questo?

R. – Innanzitutto non solo in Italia, ma soprattutto in Europa, questa è una iniziativa che sarà contagiosa anche per una serie di altre strutture di centri commerciali in Europa, ed è stata voluta da Robert de Balcany,  che ne è il proprietario, il quale ha voluto fortemente che noi iniziassimo in una sua struttura una attività pastorale e soprattutto un annuncio di evangelizzazione. Anche perché in un altro centro commerciale in Francia ha costruito, al fianco di un centro, proprio una chiesa, che serve anche per gli abitanti: lui volle donare al territorio una chiesa, perché diventasse anche luogo di incontro, di preghiera e di catechesi per gli abitanti della zona.

D. – Questa domenica, per la Messa inaugurale, cosa si aspetta?

R. – Io mi aspetto solo una cosa, che è la cosa fondamentale: coloro che passano, che vengono e che saranno presenti possano veramente capire che da questa domenica se loro pensano di dover sprecare una giornata intera senza pensare a Dio, questa Cappella è un segno forte e determinate perché Dio entri nel cuore e nella storia di ciascuno di noi.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella quarta domenica di Avvento, il Vangelo ci presenta l’angelo Gabriele che annuncia a Maria che concepirà il Figlio dell’Altissimo per opera dello Spirito Santo. Dopo un primo turbamento, Maria risponde:

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Non so se abbiamo la capacità di lasciarci sorprendere dalla grandiosa bellezza della parola di oggi: è giunta la pienezza dei tempi e l’angelo Gabriele viene mandato a Nazareth, da una vergine di nome Maria, con una parola che cambia la storia del mondo: “Gioisci, rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te!”. Il Signore, l’eterno, l’infinito, il trascendente, l’Invisibile, l’Indicibile… chiede di entrare nel piccolo spazio di questa terra, bussa al seno di una giovane donna per farsi uno di noi, uno con noi. Maria trepida davanti a questa parola, ma l’angelo la rassicura: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Il nome dice salvezza, porta la salvezza. Il Natale canta tutta la festa, tutta la gioia, per la nascita di questo bambino che viene ad illuminare il mondo con la sua luce divina, che viene a prendere su di sé la sofferenza e la morte dell’uomo, che viene a distruggere il potere del peccato, “a restituirci a noi stessi” (S. Giovanni Paolo II). Le icone bizantine illustrano visivamente questa dimensione pasquale del Natale: dipingono le fasce del bambino come le bende che avvolgono il corpo morto e la culla ha la forma della bara in cui questo corpo verrà posto in attesa della risurrezione. Uniamoci oggi gioiosamente a Maria, immagine della Chiesa, che accoglie la propria missione: “Ecco la serva del Signore”.  Che essa diventi la nostra missione, perché il Verbo di Dio possa oggi mettere la sua tenda, la sua dimora, tra gli uomini, e gioire con noi.

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Nella Chiesa e nel mondo



P. Pizzaballa: a Natale spalancare il cuore alla speranza

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“Il tempo di Natale ci richiama a lasciare il nostro cuore aperto, spalancato, alla speranza, alla giustizia, all’amore”: così scrive padre Pierbattista Pizzaballa nel suo messaggio ai fedeli per il Santo Natale. “Anche quest’anno, nel turbine dei drammi che ci circondano – sottolinea il Custode di Terra Santa – lasciamoci stupire. Lasciamoci ritrovare dal Dio-con-noi, che ci attende sulla soglia del nostro cuore”.

Non lasciarsi rubare la dignità
Padre Pizzaballa non nasconde poi le difficoltà che si vivono nella regione: “Siamo realisti. Non cambieremo le sorti del mondo. Non risolveremo i problemi di questi nostri popoli lacerati e divisi. Ma nessuno ci potrà impedire di amarli, di fare la giustizia nel nostro piccolo contesto”. “Nessuno può rubarci la dignità che ci è stata data – aggiunge -  Nessuno può toglierci l’amore e la speranza che sono stati riversati nei nostri cuori e che non ci deludono mai”. Quindi, il Custode di Terra Santa ricorda che Cristo “si lascia trovare anche nel nostro Medio Oriente assetato di giustizia e di dignità, di verità e di amore”.

Convertirsi alla speranza
Di qui, l’invito a “non guardare alla ricerca errate degli Erode di oggi, ma a quella di cui sono ricchi i Magi”, “allo stupore che rende pronti e capaci di accoglienza i pastori di Betlemme”. “Non ascoltiamo le paure del mondo, ma il coro degli angeli che ci annunciano la salvezza”, è l’esortazione di padre Pizzaballa, che invita anche a “lasciarsi convertire dal tempo dell’attesa”, “della speranza”, perché “il Cristo che nasce a Betlemme è la risposta di Dio” e “non c’è bisogno di grandi cose per stupirci di fronte a questa incredibile realtà”. “Di questa certezza – conclude il messaggio – dobbiamo ogni volta nutrire i nostri dubbi, risollevare le nostre stanchezze. Il tempo dell’attesa di cieli e terra nuovi è il tempo della nostra fede, anche quando siamo chiamati a sperare contro ogni speranza”, perché “alla sete del nostro cuore sappiamo che corrisponde la fedeltà di Dio”, che “attende di essere ritrovato nel cuore di ogni uomo”. (I.P.)

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Malta. Chiesa istituisce Commissione tutela per minori

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“Stiamo preparando una Commissione per tutelare i minori dagli abusi sessuali e costruire una comunità in cui si faccia tutto il possibile per prevenire” tale crimine. Lo scrive mons. Charles Scicluna, amministratore apostolico di Malta, nella Lettera pastorale per l’Avvento 2014. L’angoscia delle vittime di abusi, spiega il presule, “è anche l’angoscia della Chiesa”. Per questo, “bisogna impegnarsi non solo per combattere tale fenomeno che colpisce gli innocenti, ma anche per prevenire il verificarsi di simili situazioni”. Dunque, dopo “un processo lungo quattro anni, durante il quel sono state riviste le procedure che regolano i casi di abusi sessuali”, mons. Scicluna annuncia la decisione di istituire un’apposita Commissione.

Procedure più rapide
Grazie al nuovo organismo, sottolinea l’amministratore apostolico di Malta, “nel caso in cui si verifichino abusi, essi saranno esaminati e sottoposti a giudizio nel più breve tempo possibile, in accordo con la legislazione maltese e con la normativa della Chiesa”. Inoltre, le nuove procedure “consolideranno l’impegno ecclesiale nell’offrire ogni tipo di assistenza psicologica e spirituale alle vittime di abusi”. Essenziale, tuttavia, spiega ancora mons. Scicluna, “la cooperazione di tutti e di ciascuno, affinché gli abusi possano essere non solo segnalati e fermati, ma anche rilevati ed evitati”.

Natale di solidarietà
Guardando, poi, al Natale imminente, l’amministratore apostolico di Malta esorta i fedeli a “vedere Gesù in tutti coloro che hanno bisogno di aiuto, affinché, attraverso la carità, ricevano la luce di Cristo”. “La più bella decorazione natalizia della nostra società – continua il presule – è un forte senso di solidarietà e compassione da offrire ai nostri fratelli e sorelle”. L’invito ai fedeli, allora, è a “non dimenticare i malati, gli anziani e tutti coloro che richiedono la nostra presenza ed il nostro tempo come il regalo più grande”. “Siate l’uno per l’altro – conclude mons. Scicluna – presenza di Dio, presenza di amore, perdono, misericordia, compassione e solidarietà”. (I.P.)

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Mons. Shevchuk: cattolici a rischio clandestinità in Crimea

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I cattolici ucraini di rito bizantino in Crimea - annessa alla Russia lo scorso marzo - e nell’Ucraina orientale occupata dai separatisti filorussi rischiano di tornare nella clandestinità. E’ l’allarme lanciato dall’Arcivescovo Maggiore di Kiev-Halyic, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, che invoca una maggiore sensibilità della comunità internazionale al problema. La Chiesa greco-cattolica non ha infatti uno status giuridico nell’ordinamento russo e non ha quindi i requisiti per essere registrata dopo il primo gennaio, quando entrerà in vigore anche in Crimea la Legge sui culti, che nella seconda metà degli anni Novanta ha reintrodotto in Russia l’obbligo della registrazione per le organizzazioni religiose straniere. Ancora più incerta e confusa la situazione nei territori occupati dai separatisti russi. In pratica, si sta tornando alla situazione dell’era sovietica.

La storia si ripete
“E’ paradossale che dopo avere appena celebrato il 25.mo anniversario della nostra legalizzazione nell’era post-sovietica, presto ci sarà negato il diritto di svolgere legalmente le nostre attività”, ha dichiarato mons. Shevchuk all’agenzia Kathpress. “Già adesso in Crimea e nei territori occupati non c’è libertà religiosa”. Preoccupazioni confermate dal portavoce della Chiesa greco-cattolica, padre Ihor Yatsiv: “Dopo due decenni di libertà, siamo destinati a riperderla”, ha detto all’agenzia americana Cns.

5 milioni di fedeli
Riunita a Roma nel 1596 (Unione di Brest), la Chiesa greco-cattolica, venne incorporata con la forza all'ortodossia da Stalin nel 1946. Sopravvissuta alle persecuzioni del regime sovietico, essa conta attualmente circa cinque milioni di fedeli concentrati nella parte occidentale del Paese, in Galizia e nella Transcarpazia. Numerosi anche gli ucraini bizantini della diaspora, presenti soprattutto in Canada. In Crimea è presente con cinque parrocchie.

La legge sui culti in Russia
La nuova Legge sulla libertà di coscienza e sulle associazioni religiose è stata introdotta in Russia alla fine degli anni ’90 tra molte resistenze delle minoranze religiose per il suo carattere restrittivo. Essa stabilisce infatti che solo la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca, l'islam, l'ebraismo e il uddismo siano considerati "tradizionali". Per tutte le altre confessioni, compresa la cattolica, sono previste una serie di limitazioni, tra cui l'obbligo della registrazione senza la quale le organizzazioni religiose non tradizionali non hanno personalità giuridica. (L.Z.)

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Vescovi dell’Angola: Anno vita consacrata, evento di grazia

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“Un anno di grazia”: così la Conferenza episcopale di Angola e São Tomé (Ceast) definisce l’Anno della Vita consacrata, indetto da Papa Francesco nel contesto del 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II, in particolare del decreto "Perfectae Caritatis" sul rinnovamento della vita religiosa. Inaugurato ufficialmente il 30 novembre scorso, l’Anno della Vita consacrata si concluderà il 2 febbraio 2016. “La vita consacrata – scrive la Ceast in una nota – non è una realtà isolata e marginale, bensì fa parte della vita e della santità della Chiesa”. Per questo, tutti i fedeli, e in particolare i consacrati, vengono esortati “a partecipare con gioia ed interesse agli eventi formativi e celebrativi che si terranno nei prossimi 12 mesi”.

Consacrati siano “persone di frontiera”
Tali appuntamenti, sottolineano i vescovi angolani, vogliono “fare memoria grata del percorso compiuto dal Concilio Vaticano II fino ai nostri giorni, così da vivere il presente con passione e guardare al futuro con speranza”. La Ceast, poi, riconosce “l’opera di evangelizzazione e di promozione umana che i consacrati compiono nella Chiesa” e per questo desiderano che “questo Anno sia anche un momento di lode e di ringraziamento a Dio per tutto ciò che le persone consacrate significano per la vita della Chiesa e della società”. “Vi esortiamo – conclude la nota – a continuare ad essere persone di frontiera, con un forte senso di presenza nelle periferie della nostra società, come chiede Papa Francesco”. (I.P.)

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Il 6 gennaio a Cracovia, prima ufficiale dell’Inno GMG 2016

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Si terrà il prossimo 6 gennaio, nella Solennità dell’Epifania, la prima ufficiale dell’Inno della Giornata mondiale della gioventù. L’evento avrà luogo alle ore 12 nella Piazza del Mercato principale di Cracovia, la città polacca che nel luglio 2016 ospiterà la Gmg. Lo rende noto il Comitato organizzatore dell’iniziativa. Intitolato “Beati i misericordiosi”, l’Inno è stato composto da Jakub Blycharz, avvocato con la passione per la musica, già autore di numerosi canti liturgici. “Ci auguriamo – sottolineano gli organizzatori – che la Gmg di Cracovia possa essere un'opportunità di diffusione del messaggio della Divina Misericordia tra tutti coloro che vi parteciperanno e che condivideranno la loro fede”.

Biglietto solidale per i giovani
Intanto, in segno di solidarietà con i giovani più bisognosi, è stato avviato il progetto “Un biglietto per il fratello”, che mira a raccogliere fondi da destinare ai ragazzi dell’Est Europa che desiderano recarsi a Cracovia nel 2016, ma si trovano in difficoltà economiche. “Il progetto, si legge sul sito ufficiale della Gmg, "www.krakow2016.com", è sorto in seguito all’ospitalità straordinaria con cui noi, pellegrini polacchi, siamo stati accolti in Brasile durante la Gmg 2013. Sorpresi dall’affetto dimostrato dalle famiglie brasiliane, desideriamo contraccambiare con tutto il cuore e aiutare chi, a causa di problemi economici, è impossibilitato a partecipare al prossimo incontro”.

Nell’iniziativa sono, quindi, inclusi i seguenti paesi: Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Kazakistan, Lituania, Moldavia, Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan. Si tratta di “un semplice gesto”, concludono gli organizzatori, grazie al quale si può diventare “co-creatori della Gmg 2016”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 354

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.