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Sommario del 01/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa a Conferenza su mine antipersona: ricorso alle armi è sconfitta per tutti

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Nessun bambino deve “vivere nella paura delle mine”. E’ quanto si legge in un messaggio inviato dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, a nome di Papa Francesco alla Conferenza di revisione della Convenzione sul divieto d’impiego delle mine antipersona, svoltasi in questi giorni a Maputo, in Mozambico. Il messaggio sottolinea con forza che il ricorso alle armi è una sconfitta per tutti. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Il ricorso alle armi in generale e alle mine in particolare rappresenta una sconfitta di tutti”. E’ la forte denuncia levata da Papa Francesco in un messaggio a firma del cardinale Parolin alla Conferenza sulle mine antipersona svoltasi a Maputo. Il messaggio sottolinea che le mine sono “un’arma irresponsabile”, da “vigliacchi” che “prolungano la guerra e alimentano la paura anche dopo la fine dei conflitti”. Queste armi, viene evidenziato, aggiungono “al fallimento umano provocato dalla guerra un sentimento di paura che prevale nello stile di vita e altera la costruzione della pace”.

Se veramente vogliamo “la sicurezza, la stabilità e la pace”, prosegue il documento, “allora riduciamo i nostri stoccaggi di armi” e “bandiamo le armi che non hanno ragion d’essere in una società umana" e piuttosto "investiamo nell’educazione, nella salute, nella salvaguardia del nostro pianeta”. Papa Francesco esorta dunque i Paesi ad impegnarsi nell’ambito della Convenzione, “affinché non ci siano più vittime di mine” e “nessun bambino debba vivere nella paura” di questi ordigni. Le Convenzioni, come quella sulle mine, si legge ancora nel messaggio, non sono “freddi quadri giuridici”, ma “una sfida per tutti coloro che cercano di salvaguardare e di costruire la pace” e di “tutelare i più deboli”.

Questa Convenzione, auspica dunque il Papa, possa essere “un modello per altri processi, in particolare per le armi nucleari e per altre armi che non dovrebbero esistere”. Poniamo la persona umana, esorta infine il messaggio, “al centro dei nostri sforzi per il disarmo”.

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P. Lombardi: il Papa unito a dolore famiglie dei tre giovani israeliani uccisi

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La notizia dell'uccisione dei tre giovani israeliani ha colpito profondamente Papa Francesco. “Una notizia terribile e drammatica, un crimine esecrabile e inaccettabile", ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, riferendo che il Pontefice si unisce al dolore "inenarrabile delle famiglie colpite da questa violenza omicida". Si tratta, ha proseguito padre Lombardi, di un "gravissimo ostacolo sul cammino verso quella pace per la quale dobbiamo instancabilmente continuare a impegnarci e a pregare". La violenza, ha soggiunto, "chiama altra violenza e alimenta il circolo mortale dell'odio". Il Papa, ha concluso, "chiede a Dio di ispirare a tutti pensieri di compassione e di pace". (GLV)

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Quinta riunione di Papa Francesco con il Consiglio di cardinali

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Ha avuto inizio questa mattina la quinta riunione di Papa Francesco con il "Consiglio di Cardinali", voluto dal Santo Padre per aiutarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana. I lavori, informa la Sala Stampa vaticana, proseguiranno fino a venerdì 4 luglio.

I precedenti incontri del Consiglio hanno avuto luogo nei giorni: 1-3 ottobre 2013, 3-5 dicembre 2013, 17-19 febbraio 2014 e 28-30 aprile 2014.

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Mons. Bregantini: i fedeli del Molise attendono con gioia il Papa

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In Molise ultimi preparativi per la visita, sabato prossimo, di Papa Francesco dal motto “Dio non si stanca di perdonare”. Il Pontefice sarà a Campobasso, Castelpetroso e Isernia. Nel corso della permanenza nelle due diocesi, il Santo Padre incontrerà il mondo del lavoro, gli ammalati, i giovani, i detenuti. Sull’attesa nel capoluogo Giancarlo La Vella ha intervistato mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano: 

R. – Gli aspetti particolari sono la realtà di tutti e sette i siti dove il Papa si fermerà: il mondo del lavoro, la città, gli ammalati, i poveri, i giovani, i carcerati e poi il saluto alla Regione. Sono sette siti molto ben connessi, molto belli.

D. – Quando arriva il Papa c’è anche una forte emozione nella popolazione, in tutti i fedeli. Ecco: come si sta gestendo questa gioiosa attesa?

R. – A Campobasso non si parla di altro che di questa visita: è una città piccola, di 50 mila abitanti; il campo, dove sarà celebrata la Messa, sta per essere completato, proprio nel cuore della città; la gente lo vede, lo vede crescere. Il palco è molto bello, è a forma di capanna che ricorda i grandi passaggi dei pastori lungo tutto il millennio, con la transumanza, i "tratturi" … E’ molto bello anche come immagine biblica. Poi, è molto bella l’esperienza della città: sta preparandosi, sta facendosi bella… E’ veramente una grande attesa.

D. – Come lei ha sottolineato, l’incontro di Papa Francesco con le realtà più disagiate della realtà molisana dà un significato particolare a questa visita – un po’ nello stile a cui Papa Francesco ci ha abituato …

R. – Noi abbiamo chiesto al Signore tre doni per questa visita. Abbiamo chiesto di essere confermati nella fede della sua Divina Misericordia – una parola, misericordia, che il Papa usa immensamente. Poi, la cultura dell’incontro, perché cresca la speranza di questo intreccio; e infine, l’accrescimento della carità, per non scartare nessuno. Questi tre obiettivi sono inseriti nella preghiera che diciamo tutti i giorni e sono inseriti soprattutto nello stile che noi vogliamo dare a questa presenza.

D. – Il motto di questa visita – “Dio non si stanca di perdonare” – forse è la chiave di volta per far cambiare le cose in una società in difficoltà come la nostra, oggi?

R. – Sì, specialmente attorno ad un tema che sarà scottante, che sarà probabilmente il tema più articolato, più atteso ed è il tema del lavoro. Se in Calabria, il Papa ha preso posizione contro certe cose, qui dovrà essere molto chiaro attorno al tema del lavoro, perché la mancanza di lavoro schiavizza e rende il nostro futuro incerto, non ci dà dignità, essere privi di lavoro. Per cui, questo è ciò per cui noi stiamo pregando: che il Signore ci aiuti a capire quali siano le strade da seguire, per tutti i giovani della terra del Molise, ma anche per tutti i giovani di ogni angolo della Terra.

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Tweet del Papa: vivere come veri figli di Dio significa amare il prossimo

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“Vivere come veri figli di Dio significa amare il prossimo e avvicinarsi a chi è solo e in difficoltà”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex seguito da oltre 14 milioni di follower.

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Nomine di consultori al dicastero della Cultura

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Papa Francesco ha nominato Consultori del Pontificio Consiglio della Cultura i Reverendi Padri: Paul BÉRÉ, S.I., Professore di Sacra Scrittura presso l'Istituto Teologico della Compagnia di Gesù in Abidjan (Costa d'Avorio); Pablo D'ORS, C.M.F., Direttore del Laboratorio di Scrittura Teatrale dell'Università di Madrid (Spagna); Kevin FITZGERALD, S.I., Docente di Bioetica presso l'Università di Georgetown (Stati Uniti d'America); il Reverendo Fernando ORTEGA, Decano della Facoltà di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Buenos Aires (Argentina); gli Illustrissimi Signori: Prof. Edward ALAM (Stati Uniti d'America), Docente di Filosofia e Teologia presso la Notre Dame University in Louaïze (Libano); Prof. Ralf van BÜHREN (Rep. Federale di Germania), Docente di Arte cristiana e Architettura sacra presso la Facoltà di Comunicazione Sociale Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce in Roma;

E ancora il Prof. Glenn CHATELIER, Direttore dell'Ufficio per gli Affari Internazionali presso la Assumption University in Bangkok (Thailandia); Edio COSTANTINI, Direttore del Centro Studi Nazionale "Luigi Gedda" del Centro Sportivo Italiano ‑ CSI (Italia); Prof. Ivano DIONIGI, Magnifico Rettore dell'Università di Bologna e Presidente della Pontificia Accademia Latinitatis (Italia); Dott. Joachim HAKE, Direttore della Katholische Akademie di Berlino (Rep. Federale di Germania); Dott.ssa Choe HYONDOK (Corea), Coordinatrice della Cátedra de Estudios de Corea y del Este Asiático presso l'Università del Costa Rica; Dott.ssa Marguerite LÉNA, Docente di Filosofia presso il Collège des Bernardins di Parigi (Francia); Prof. Piotr PASTERCZYK, Docente di Storia della Cultura presso l'Università Cattolica di Lublino (Polonia).

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il ricorso alle armi una sconfitta per tutti: messaggio del Papa alla conferenza sulle mine antipersona.

La quinta riunione del Papa con il Consiglio di cardinali.

Un articolo di Luca M. Possati dal titolo "L'Italia e le sfide dell'Europa": al via il semestre di presidenza.

Per comprendere un gesuita: anticipazione in esclusiva di stralci dal volume di Vittorio V. Alberti su libertà e laicità in Papa Francesco.

Benvenuti nella casa di Anna: Cristian Martini Grimaldi in Corea a colloquio con padre Vincenzo Bordo che vive con senza tetto e ragazzi di strada.

Il sorriso della Volpe: Silvia Guidi ricorda la poetessa Maria Luisa Spaziani scomparsa ieri.

Chissà se la bellezza esiste: Alessandro Scafi a proposito di una provocazione che viene da una mostra alla National Gallery.

Il mensile "donna chiesa mondo" sulla scelta della solitudine.

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Oggi in Primo Piano



Dolore e sdegno per i ragazzi uccisi in Cisgiordania: oggi i funerali

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Si svolgeranno oggi pomeriggio nel cimitero di Modin, non lontano da Tel Aviv, i funerali dei tre ragazzi israeliani rapiti e poi uccisi in Cisgiordania. A precederli, le cerimonie nelle comunità di origine dei giovani. Il ritrovamento dei corpi è avvenuto ieri nei pressi di Hebron. Sdegno e condanna nella comunità internazionale. Il servizio di Giada Aquilino

È durata 18 giorni la speranza di riabbracciare Eyal, Gilad e Naftali, i tre giovani israeliani scomparsi il 12 giugno, dopo che avevano lasciato la scuola religiosa che frequentavano per far ritorno a casa in autostop. Poi, ieri sera, il ritrovamento dei corpi senza vita. Di fronte alla notizia, Israele ha confermato le accuse dei giorni scorsi: Hamas, ha detto il premier Benyamin Netanyahu ,"la pagherà".

Il Gabinetto di sicurezza riunito d’urgenza ha rafforzato le ricerche dei due presunti responsabili del sequestro, Marwan Kawasmeh e Amar Abu Ayash, entrambi miliziani della fazione islamica ad Hebron, decidendo la demolizioni delle loro case. Immediata anche la reazione di Hamas: "ogni offensiva di Israele aprirà le porte dell'inferno", ha dichiarato il portavoce del movimento a Gaza, mettendo in dubbio la versione israeliana del rapimento. Secondo fonti palestinesi, l'Anp avrebbe fatto un appello a Stati Uniti e Unione Europea per evitare "un'operazione militare di vendetta" da parte dello Stato ebraico.

Nella comunità internazionale, sdegno e preoccupazione: il presidente statunitense Barack Obama ha reagito definendo l'uccisione dei ragazzi "un insensato atto di terrore" da condannare "nel modo più forte possibile". Cordoglio è stato espresso dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, dalle autorità francesi, britanniche, italiane, tedesche. Intanto le prime indagini sui corpi dei ragazzi hanno rivelato che i tre sono stati uccisi subito dopo il sequestro, forse poco dopo la telefonata con la quale uno di loro aveva avvisato la polizia del rapimento. L’esercito israeliano, che già aveva avviato l’operazione ‘Brother's keeper’ alla ricerca dei giovani e che nella notte ha effettuato raid aerei sulla Striscia di Gaza, nelle ultime ore ha ucciso un adolescente palestinese in Cisgiordania.

Sulla vicenda, ascoltiamo il collega Giorgio Bernardelli della rivista del Pontificio Istituto Missioni Estere ‘Mondo e Missione’ e di ‘MissioOnLine’, intervistato da Fabio Colagrande:

R. - E’ una vicenda molto complessa. Dalle ricostruzioni e dalle indagini sta emergendo come questi ragazzi siano stati uccisi appena rapiti. Quello che viene fuori è che i responsabili di questo rapimento dovrebbero essere legati ad un clan locale, che vive nella zona di Hebron. Bisogna anche ricordare cos’è Hebron: è forse l’epicentro, il luogo più doloroso di questo conflitto, il luogo dove l’odio è più profondo tra arabi ed ebrei, il luogo segnato da episodi gravi di violenza a partire dalla prima strage - quella del 1929 - che è un po’ l’atto di inizio del conflitto israelo-palestinese. Per cui, anche questo puntare il dito solamente su Hamas credo che oggi sia un obiettivo "squisitamente politico", da un certo punto di vista anche legato al bisogno di indicare un colpevole. E forse è il tipo di risposta che non aiuta davvero ad andare in profondità di quell’odio che poi sta alla radice di atti davvero efferati ed inumani come questo.

D. - Molti analisti e commentatori pensano che dietro questo fatto di sangue ci sia l’intenzione di distruggere l’accordo tra Hamas ed Al Fatah, tra Hamas ed Abu Mazen, nel quale invece molti riponevano speranze di pace…

R. - Chi ha agito in questo modo non metteva in atto certamente un gesto che potesse incoraggiare questo tipo di evoluzione della situazione in Palestina. Però ho qualche riserva a livello personale sul fatto che si sia trattato di un atto studiato a tavolino. Molte notizie sono state tenute coperte durante queste settimane, perché non si voleva pregiudicare le indagini; ma adesso sta venendo fuori che in quella telefonata fatta (da uno dei giovani, ndr) alla polizia israeliana si sentono colpi di arma da fuoco. 

D. - Padre Lombardi, portavoce vaticano, ha ricordato che il Papa si è unito al dolore inenarrabile delle famiglie colpite da questa violenza omicida. E poi ha detto ancora: è “un gravissimo ostacolo sul cammino verso quella pace per la quale dobbiamo instancabilmente continuare ad impegnarci e pregare”; “la violenza - ha aggiunto - chiama altra violenza e alimenta il circolo mortale dell’odio”…

R. - C’è purtroppo un vento che soffia… quello di una risposta militare molto forte. Ma, soprattutto, ancora di più inquieta il contesto più generale della regione in cui tutto questo si inserisce, perché - dall’Iraq alla Siria ed anche per certi versi all’Egitto - tutto il Medio Oriente è scosso da questa violenza. Aprire un altro fronte oggi potrebbe avere conseguenze devastanti, potrebbe non fare altro che aggiungere violenza ed ancora violenza, appunto. In qualsiasi tipo di risposta deve esserci, comunque, uno sguardo prospettico, che non può essere solo quello della vendetta. Non c’è altra via che quella di una capacità, di un incontro, di un dialogo inclusivo, in qualche modo responsabile, che porti ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità di fronte alla violenza, certamente, ma che provi a dare anche risposte, fino alle radici di quell’odio che si esprime in maniera così brutale. Credo che non ci sia un’altra strada, altrimenti il Medio Oriente non potrà che continuare a scivolare in questo piano inclinato che davvero lo porterà a raggiungere abissi, fino ad ora mai visti. 

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Il vescovo di Erbil: non lasciate i cristiani iracheni al loro destino

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In Iraq è stallo sul fronte politico. A Baghdad il parlamento ha chiuso la sua prima sessione dopo le elezioni senza eleggere un presidente dell’aula. Sul terreno intanto proseguono i combattimenti a Tikrit, dove la controffensiva dell’esercito governativo non riesce a spezzare la resistenza degli jihadisti che hanno conquistato la città nei giorni scorsi.  Il servizio di Marco Guerra: 

Nonostante gli appelli all’unità, oggi nella prima seduta del parlamento iracheno, dopo le elezioni dello scorso aprile, si sono riproposte le divisioni tra i blocchi sciita, sunnita e curdo. I parlamentari erano chiamati ad eleggere il presidente del’Aula, ma mancando un accordo sul nome e il quorum per la votazione, la sessione è stata chiusa. L’assemblea tornerà a riunirsi martedì prossimo e sarà chiamata nelle prossime settimane ad eleggere anche Presidente e premier, malgrado le resistenze di al Maliki che vuole mantenere il ruolo di primo ministro. Spaccature che portano il presidente della regione autonoma Kurda Barzani ad annunciare un referendum per l’indipendenza “nel giro di qualche mese”. Intanto gli jihadisti dello 'Stato islamico dell'Iraq e del Levante' mantegono il controllo dei territori conquistati nelle scorse settimane. A Tikrit proseguono i violenti combattimenti tra le truppe regolari e i ribelli mentre l'aviazione irachena ha effettuato nuovi raid su Mosul. Sulla situazione umanitaria nel nord dell'Irqa Cristiano Tinazzi ha sentito il vescovo di Erbil mons. Bashar  Warda: 

R. – Well, what we are asking to the international community is …
Ciò che chiediamo alla comunità internazionale è di mettere pressione sui politici iracheni. Fondamentalmente, infatti, non esiste un governo al momento. Chiediamo di accelerare il processo di riunificazione della comunità, per formare un governo il prima possibile, perché come lei ha detto, la situazione è caotica, davvero caotica, e questo sta causando molti problemi e depressione. Le persone non sono solo preoccupate e impaurite, ma sono davvero depresse per quello che sarà il loro futuro, se ci sarà un futuro per il Paese. E noi, in qualità di leader della Chiesa, abbiamo detto: “Per favore, se volete dividere il Paese, fatelo in pace, senza la violenza cui stiamo assistendo”..

D. – C’è la possibilità, come lei ha detto, che il Paese venga diviso?

R. – Hopefully not, because everyone...
Se tutto va bene no, perché anche le divisioni non sono il vero problema e certo non lo risolvono, anzi ne causano di più. Qualcuno, però, trova tutto questo l’unica soluzione. Non è l’unica, però. E’ dovuta ad alcune questioni complicate, storie non chiuse del passato, e per questo le persone pensano alla divisione. Ma nel profondo tutti vorrebbero vedere l’Iraq com’era: Iraq.

D. – Negli ultimi giorni molte persone, migliaia di persone, sono scappate da Qaraqosh ed altri paesi cristiani a causa della guerra. Com’è, dunque, la situazione al momento?

R. – It was very difficult…
E’ stato davvero difficile ricevere più di 20 mila persone in tre giorni. In Ankawa è stata davvero dura per noi. Siamo stati in grado, in un certo modo, di far fronte alla situazione, perché si sa che le risorse della Chiesa sono limitate, e l’esperienza che abbiamo non è l’esperienza con cui poter far fronte al grande numero di persone. Fortunatamente il 90% delle famiglie in centro se ne sono andate, poche sono quelle rimaste in casa con i loro amici e parenti, e alcune persone di Ankawa le hanno accolte. La parte triste della storia è che le persone si stanno preparando a lasciare il Paese – da Qaraqosh, da Ankawa - molte delle nostre comunità cristiane stanno pensando seriamente di lasciare il Paese. Sono stufi, esattamente stufi, impauriti, terrorizzati.

D. – Vogliono semplicemente andarsene e scegliere un altro Paese forse per cominciare una nuova vita?

R. – They know it would not be...
Sanno che potrebbe non essere una saggia decisione, una buona decisione; sanno che è una decisione dura, sanno che non è facile emigrare, sanno che i Paesi europei, l’America, il Canada e l’Australia forse non saranno disposti ad accettarli. Ma dicono che è comunque meglio che restare, aspettando invano, e forse aspettando un’umiliazione maggiore, in un certo modo. Non è certo una decisione facile, ma non ci sono alternative.

D. – E per quanto riguarda i cristiani di Mosul? Se ne sono andati? Sono scappati?

R. – Yes, a few families...
Sì, alcune famiglie si contano. Da quello che sentiamo, se ne stanno andando, perché l’Isis ha cominciato ad promulgare le sue leggi, la Costituzione, l’attuazione della sharia. Quindi, adesso è tutto sempre più chiaro ...

D. – Ma lei non ha sentito nessun tipo di attacco contro le persone, uccisioni...

R. – Two churches were looted...
Due chiese sono state razziate. Hanno anche stabilito che le donne non devono guidare la macchina. Hanno portato via tutte le statue e anche l’antica statua di Nostra Signora di Al Tahira … Almeno adesso sappiamo cosa ci aspetta!

D. – La comunità cristiana è una delle minoranze qui in Iraq. Se tutte queste persone lasceranno il Paese, cosa succederà?

R. – We need the international community to interfere...
Bisogna che la comunità internazionale interferisca, perché le minoranze sono una risorsa per la ricchezza del Paese. Non si possono abbandonare al loro destino. Se i loro diritti saranno tutelati, per farli rimanere nel Paese, questo rappresenterà una vera ricchezza per l'Iraq. Quindi, non si tratta di essere “cristiano”, si tratta di essere un essere umano, di essere una minoranza. Noi abbiamo tante minoranze all’interno dell’Iraq, e per questa ragione noi diciamo: “Per favore, fate qualcosa!... Fate qualcosa!”

D. – Se dovesse mandare un messaggio al resto del mondo, cosa direbbe?

R. – The first message...
Il primo messaggio è che abbiamo bisogno di formare un governo, che si prenda cura di tutti gli iracheni, dal Nord al Sud: sunniti, sciiti, curdi, cristiani, shabak ... Tutti sono iracheni ed hanno bisogno di un governo che si prenda cura di loro. Altrimenti, non ci sarà futuro per i cristiani e probabilmente neanche per il Paese.

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Ucraina: scontri nell'Est del Paese, non tiene il cessate il fuoco

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Riprendono le violenze in Ucraina il giorno dopo la revoca unilaterale del cessate il fuoco voluta dal presidente Poroshenko, che ha anche annunciato una ripresa delle operazioni militari nell’Est del Paese: questa mattina si sono registrate già 9 vittime tra i civili. Avrà luogo, invece, a Minsk il terzo round dei negoziati di pace tra Kiev, Mosca e l’Osce, che dovrebbero andare avanti comunque, mentre a Bruxelles sarebbero allo studio nuove sanzioni contro la Russia. Della rottura di un equilibrio già precario e dei possibili scenari che si configureranno in futuro, Roberta Barbi ha parlato con il prof. Adriano Roccucci, docente di Storia contemporanea presso l’università RomaTre: 

R. – Credo che sicuramente la prima conseguenza sia sul campo di queste due regioni orientali dell’Ucraina, quella di Donetsk e di Lugansk, e il Donbass, dove si avrà una recrudescenza di scontri che non si sono mai fermati.

D. – La violenza torna già a riaffacciarsi: stanotte, all’aeroporto di Donetsk i ribelli separatisti russi hanno sparato contro gli aerei delle forze armate ucraine, e pare che ci siano anche diversi civili morti a Kramatorsk …

R. – Purtroppo la violenza non si è mai arrestata, nemmeno nei giorni in cui la tregua era quantomeno dichiarata. Questa è una costatazione di fatto purtroppo triste, drammatica: gli scontri nei vari focolai accesi nel Donbass sono continuati; purtroppo riprenderanno in vigore e intensità.

D. – Mosca, inizialmente critica sul cessate il fuoco, ha espresso profondo rammarico per la decisione del presidente ucraino e ha accusato Kiev di ostacolare la pace. Come si prevede che si muoverà, ora, Putin?

R. – Io credo che l’interesse di Putin e della Russia sia riuscire a trovare una ricomposizione del conflitto, chiaramente, che tenga presenti gli interessi di cui la Russia si fa portavoce e che in qualche modo anche accolga le richieste di una maggiore autonomia, di federalizzazione. Quindi, riterrei che Mosca voglia ancora spingere per una ulteriore prosecuzione delle trattative, e credo anche che i rappresentanti di queste regioni siano considerati interlocutori di queste trattative.

D. – Sulla decisione di Poroshenko, la Russia punta il dito contro gli Stati Uniti e chiede ai partner occidentali di smettere di "usare" l’Ucraina come merce di scambio di giochi geopolitici. Cosa farà ora la comunità internazionale?

R. – Questo scambio di accuse fa parte della schermaglia diplomatica, retorica, di questa crisi ucraina fin dall’inizio. Credo che la comunità internazionale debba trovare la via per un dialogo serio, per una ricomposizione seria di un conflitto attorno al quale è molto rischioso giocare, perché rappresenta un rischio nel cuore dell’Europa.... e credo che gli europei, ma anche la comunità internazionale nel suo complesso - visti gli attori che sono coinvolti in questa crisi - non si possono permettere di correre; quindi, credo che la comunità internazionale debba trovare la via per una ricerca seria ed efficace della soluzione del conflitto.

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Usa: sentenza della Corte Suprema in difesa della libertà religiosa

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Negli Usa, la catena di negozi "Hobby Lobby" non dovrà fornire ai suoi dipendenti contraccettivi gratuiti o la pillola del giorno dopo, come previsto dall'Obamacare, la riforma sanitaria voluta dalla Casa Bianca. Lo ha stabilito la Corte Suprema Usa accogliendo il ricorso presentato dal gruppo che aveva invocato l'obiezione di coscienza per motivi religiosi. La Corte ha deciso con cinque voti contro quattro. Il verdetto si applica solo a datori di lavoro come "Hobby Lobby", società controllata da una sola famiglia le cui convinzioni religiose sono profonde. Debora Donnini ha chiesto un commento a Paolo Mastrolilli, corrispondente da New York de "La Stampa": 

R. – La riforma sanitaria di Obama prevedeva che tutti quanti i datori di lavoro dovevano pagare ai loro dipendenti la contraccezione attraverso le assicurazioni sanitarie. Su questo provvedimento si sono sollevate critiche, in particolare, naturalmente, da parte delle organizzazioni e delle istituzioni religiose, che accusavano questo provvedimento di violare i loro principi e quindi la loro libertà di religione. L’amministrazione Obama aveva risposto a queste critiche offrendo un’eccezione: cioè, le istituzioni religiose potevano non pagare questi contraccettivi e anche le organizzazioni non profit legate alle organizzazioni religiose. Questa è un’eccezione che ha offerto la Casa Bianca che non risponde necessariamente alle aspettative delle organizzazioni incluse. Ma ora si è aperto un altro fronte, cioè quello delle aziende private: aziende private che sostengono di essere gestite sulla base di principi cristiani e che quindi ritengono che questo mandato che le obbliga a pagare i contraccettivi ai loro dipendenti viola la loro libertà di religione. La Corte Suprema ha riconosciuto che anche le aziende private hanno quindi il diritto di essere protette rispetto a questo problema e hanno il diritto di non pagare i contraccettivi perché farlo violerebbe i loro principi religiosi e quindi la loro libertà di religione.

D. - Quindi, questa decisione della Corte Suprema in un certo senso va in direzione di una vittoria delle organizzazioni in difesa della vita?

R. – E’ certamente un riconoscimento da parte della Corte Suprema che le aziende private hanno il diritto di evocare i principi cristiani, sulla base dei quali sono gestite, per evitare di applicare questo aspetto della riforma. Significa, in sostanza, che la Corte Suprema ha riconosciuto le loro ragioni e ha detto che devono essere protette. Naturalmente questo caso riguarda nello specifico due aziende private e quindi toccherà questo genere di realtà: le compagnie private che sostengono di essere gestite sulla base di principi cristiani. Però, chiaramente, riconoscendo che la loro obiezione era valida, la Corte Suprema ha riconosciuto la validità di un argomento che era stato sollevato dalle organizzazioni, dalle aziende, dalle istituzioni, che si sono mobilitate in difesa della vita per evitare che questo aspetto della riforma sanitaria entrasse in vigore.

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Appello dell'Aibi: guardare ai bimbi migranti come ai nostri figli

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Due miliardi di dollari è la cifra che il presidente americano Obama ha chiesto al Congresso per fronteggiare l’emergenza immigrazione dal Messico. A preoccupare sono i circa 60 mila minori non accompagnati che passano il confine statunitense ogni anno, spinti dalla disperazione e nella speranza di un futuro migliore. Un fenomeno che interessa la Siria, sconvolta dalle violenze, con 740 mila bambini che fuggono verso il Libano e la Giordania, la Repubblica Centrafricana con 23 mila piccoli diretti in Camerun ma anche l’Italia come sottolinea, al microfono di Benedetta Capelli, il presidente di Aibi, Amici dei Bambini, Marco Griffini

R. – Dal gennaio 2014, ormai, sulle coste italiane sono arrivati ben 6 mila minori stranieri non accompagnati. Quindi, senza neanche andare fino nel continente americano, questo è un problema che riguarda noi: ormai siamo entrati in piena crisi, in questo ambito. Pensate che solo nei primi quattro mesi di quest’anno abbiamo raggiunto il numero totale dell’anno scorso … Quindi, è un problema che va affrontato, secondo me, con due strumenti. Uno, prepararsi – qui in Italia – all’accoglienza: questi sono minori e purtroppo noi in Italia non abbiamo ancora una cabina di regia capace di mettere insieme tutte le forze della società civile, delle associazioni per dare a questi minori un’accoglienza che sia giusta, che sia a misura di ragazzo, a misura di bambino. Noi, all’indomani del grande naufragio di ottobre 2013, proprio seguendo le parole di Papa Francesco, abbiamo lanciato un appello, e pensate: 1.300 famiglie hanno risposto aprendo la loro casa, ma mancando questa cabina di regia, solamente dieci famiglie hanno avuto questi minori, gli altri sono ancora tutti nei campi. L’altro discorso, invece, va fatto all’estero: questi minori sono minori che purtroppo devono emigrare per problemi di guerra o perché non hanno una speranza nel futuro; però, se ci fosse uno strumento come – per esempio – l’affido internazionale, e avendo noi – come tutte le diverse organizzazioni non governative – basi in questi Paesi, come in Siria, in Tunisia, in Marocco, in Libia, nei Paesi centroafricani, si potrebbero fare viaggiare questi minori in tutta sicurezza da famiglia a famiglia e, una volta inseriti nella famiglia affidataria italiana, avviare con loro un programma di formazione. Una volta che abbiano studiato e si siano formati, possono anche rientrare nel loro Paese …

D. – Il presidente Obama chiederà al Congresso due miliardi di dollari per attuare nuove misure nell’accoglienza dei bambini. Il leader americano, infatti, è abbastanza preciso: appena si arriva al confine, c’è la possibilità di portare questi bimbi nei centri oppure vengono affidati a famiglie americane che tendenzialmente li adottino, oppure c’è un ricongiungimento parentale. Però, questo sistema è messo in discussione. Secondo lei, questo iter che è stato applicato dagli Stati Uniti può essere un buon punto di partenza?

R. – Sì. Noi, tra l’altro, l’abbiamo anche studiato con attenzione, tant’è vero che abbiamo avviato questo progetto che si chiama “Da famiglia a famiglia”: è proprio l’accoglienza in una famiglia italiana. Poi, bisogna vedere se magari questi minori hanno parenti in qualche parte dell’Europa, allora si accompagna il minore proprio dalla famiglia alla famiglia di arrivo. La soluzione familiare non è la migliore: è l’unica soluzione che è adatta e che rispetta il supremo interesse del minore. Io ho avuto modo di parlare con alcuni ragazzi eritrei: mi hanno parlato come da figlio a padre, esponendo la situazione di questi ragazzi di 15-16 anni la cui unica alternativa è la fuga. Mi dicono: “Lei cosa avrebbe fatto per suo figlio?”, sapendo che qua comunque si va a morire in guerra, e questi padri e queste madri raccolgono i soldi e fanno rischiare la vita a questi minori pur di garantire loro un futuro. Ecco che allora l’affido internazionale potrebbe essere uno strumento proprio per evitare rischi di morte a questi minori e trattarli come se fossero i nostri figli.

D. – In questi anni, secondo lei è cambiata la cultura dell’accoglienza? Proprio dall’Italia, da Lampedusa in particolare, sono giunti molti esempi di grande maturità in tal senso …

R. – Lampedusa è il simbolo di questa accoglienza … faccio solo un esempio molto significativo. Il primo affido familiare di un minore straniero non accompagnato è stato una famiglia di Lampedusa. Questo è molto significativo. Questa famiglia ha messo a disposizione la propria casa, e questo esempio è stato seguito da altre famiglie per cui noi a Lampedusa abbiamo una ventina di famiglie pronte ad accogliere eventuali minori stranieri che sbarcassero nell’Isola.

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Mons. Morosini: basta padrini, nessun compromesso con la mafia

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Dopo la forte presa di posizione di Papa Francesco che a Cassano all'Ionio ha parlato di scomunica per i mafiosi, dalla Calabria arriva una proposta che ha come obiettivo quello di evitare nella Chiesa compromessi e sottomissione alla cultura della ’ndrangheta. A farla è l’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, mons. Giuseppe Fiorini Morosini che chiede di sospendere, per un certo tempo, nella sua diocesi la pratica dei padrini durante la celebrazione dei Sacramenti. Al microfono di Federico Piana, mons. Morosini riferisce di una lettera scritta a questo proposito e di un incontro successivo con il Papa: 

R. - Sì, avevo consegnato la lettera alla Segreteria di Stato, che mi rispose dicendo che non riteneva la richiesta attuabile perché in questo modo sarebbero un po’ penalizzate le persone buone, quelle che credono ai Sacramenti. Comunque, lasciavano una porta aperta, nel senso che avrebbero preferito fossero stati tutti i vescovi calabresi a fare una richiesta di questo genere perché si tratta di sospendere una legge generale della Chiesa, ed un vescovo nella sua diocesi non ha questo potere. Dietro richiesta di tutti i vescovi, la Santa Sede avrebbe poi valutato la cosa; quindi, siamo rimasti in una situazione di attesa. Il Papa, quando mi ha salutato nella sagrestia prima dell’inizio della Santa Messa, si è ricordato di questa lettera e mi ha chiesto cosa avessimo fatto. Mi ha chiesto se avevamo fatto l’incontro tra i vescovi calabresi. Io ho risposto di no ed il Papa ha detto: “Fatelo. Andate avanti”; perché, dopo che lui aveva usato quelle parole così forti durante la Messa a Cassano all’Ionio probabilmente la cosa, dietro richiesta di  tutti i vescovi, sarebbe potuta andare in porto.

D. - Perché è importante che la 'ndrangheta, la mafia in generale, non strumentalizzi i Sacramenti e la Chiesa: c’è una “stortura” da parte della mafia e della 'ndrangheta che prendono a pretesto i simboli religiosi e li fanno propri…

R. - Sono due i problemi: c’è quello dell’utilizzo dei simboli religiosi, o anche di una pratica sacramentale, quasi per darsi un volto pulito dinanzi alla società; ma c’è il fattore concreto dell’essere padrino al Sacramento del Battesimo e della Cresima che serve per realizzare una unione tra le famiglie. La ‘ndrangheta è basata fondamentalmente sulla collaborazione ed il legame stretto tra le famiglie e questo avviene con il legame di sangue. Fare da “compare” a Sacramenti come il Battesimo, o la Cresima significa creare un rapporto come se fosse di famiglia; quindi, allargare sempre più il raggio del legame della famiglia per dominare sempre più e sempre meglio sul territorio. Per questo, abolire per alcuni anni questa pratica, per poi riprendere in altre forme - come ha suggerito l’ultimo documento della Cei - per esempio: che siano i catechisti, o chi effettivamente ha accompagnato il ragazzo, il giovane, o lo accompagnerà, nel cammino di fede a fare da padrino. Si tratta, per il momento, di spezzare una continuità e poi, dopo un periodo, riprenderne l’uso ma con una mentalità nuova.

D. - Lei ha detto che Papa Francesco, quando è venuto a Cassano, è rimasto molto colpito dalla realtà calabrese. Perché?

R. - L’ha detto lui stesso. È stato colpito per gli aspetti belli e positivi che la regione ha, ma anche per quelle informazioni che lui ha raccolto riguardo ai problemi sociali ed economici. Ha lodato molto il cammino della Chiesa, ed il lavoro che come Chiesa stiamo facendo a livello di formazione di coscienze, che è l’ambito all’interno del quale noi come vescovi dobbiamo lavorare per sconfiggere il problema mafioso e ‘ndranghetista. 

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Pubblicato un manuale per riconoscere le sette ed evitarle

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Riconoscere  il fenomeno delle sette, ma soprattutto comprendere in che modo evitare situazioni pericolose e come in qualche modo uscirne fuori. E' l’obiettivo del libro “Nella tela del ragno. Viaggio nel mondo delle Sette", scritto dalla giornalista Mara Macrì e presentato in questi giorni a Roma. Nel testo viene spiegato il perché del proliferare delle sette e le linee di adescamento che esse utilizzano per indurre, principalmente i fedeli cristiani, ad abbandonare la propria fede. Ascoltiamo l’autrice del volume al microfono di Marina Tomarro: 

R. - Generalmente la terminologia utilizzata per la descrizione delle varie aggregazioni religiose, o psico-sette sono svariate. Vengono definite: “religioni”, “chiesa”, “setta”, “movimento religioso”, “culto”, “fede”, “confessione”. Per una più ampia informazione, comunque, nella prima fase conoscitiva, è innanzitutto necessario comprendere come nascono e su chi fanno leva, come si muovono, che tipo di comunicazione adottano, come agiscono sulla psiche di chi vi incappa ma soprattutto come si può cadere nelle loro maglie e nel contempo evitarle.

D. - In che modo operano per fare entrare le persone al loro interno?

R. - Oggi, utilizzano vari metodi: i canali di informazione sono quelli principali, hanno televisioni e radio, ma si nascondono anche dietro cooperative agricole, dietro associazioni... Quelle più grandi - che, in realtà, la maggior parte della gente già conosce - come i movimenti di psico-sette o religiose, sono quelle alla fine "meno pericolose".

D. - La persona che entra all’interno di essa a quali pericoli va incontro?

R. - Intanto, ad una limitazione della libertà. Quindi, una chiusura con il mondo esterno, con tutto quello che non è all’interno di questo gruppo: difficilmente si può telefonare, sto parlando di nuclei abbastanza chiusi naturalmente. I metodi che utilizzano sono svariati: si mettono fuori dalle parrocchie, dalle chiese ed aiutano le persone a portare la spesa, aiutano gli anziani ad entrare in macchina; fuori dalle università, per esempio, offrono lavoro e quando poi le persone si presentano, scoprono che magari dietro a quel posto di lavoro c’è altro.

D. - C’è un modo per riconoscerle, per difendersi?

R. - Penso che la presenza capillare della Chiesa - proprio attraverso le parrocchie, i sacerdoti, le realtà dell’associazionismo cattolico - laddove vengono individuate situazioni di disagio devono essere anche quelle più protette. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: appello di mons. Sako per la liberazione di suore e orfani rapiti

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Il patriarca di Babilonia dei caldei, Louis Raphael I Sako, ha rivolto un appello pubblico a “coloro che detengono le suore e gli orfani rapiti a Mosul 3 giorni fa”. Secondo quanto appreso dall'agenzia Fides, nell'appello si esprime preoccupazione per la sorte delle due suore e dei tre giovani – due ragazze e un ragazzo –, chiedendo che siano liberati al più presto. In particolare il patriarca si rivolge ai capi religiosi musulmani e agli sheikh delle tribù sunnite di Mosul, chiedendo loro di fare “tutto il possibile” per ottenere il rilascio dei sequestrati.

Nell'appello, il patriarca caldeo cita i versetti del Corano che indicano a tutti i credenti di trattare bene i monaci e gli orfani, ricorda che i cristiani “furono i primi a ricevere i conquistatori musulmani 14 secoli fa” e che nell'Iraq di oggi i cristiani in quanto tali non si identificano con nessuno schieramento politico. “Questo - conclude il patriarca Sako - è il mese del Ramadan, mese di misericordia e di carità. Preghiamo tutti di far tornare in pace le suore e gli orfani rapiti”.

Dalla giornata di sabato 28 giugno si sono persi i contatti con suor Atur e di suor Miskinta, due religiose caldee della Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata che erano rientrate in auto a Mosul dalla città di Dohuk in compagnia di due ragazze e di un ragazzo cristiani. Le due suore curano e gestiscono una casa-famiglia per orfani di Mosul, nei pressi dell'arcivescovato caldeo.

Davanti all'offensiva islamista iniziata lo scorso 9 giugno, le suore e tutti gli ospiti della casa-famiglia avevano lasciato Mosul trovando rifugio nella città di Dohuk, nel Kurdistan iracheno. Da lì suor Atur aveva già effettuato rapide sortite a Mosul per verificare le condizioni della casa e recuperare oggetti e strumenti di lavoro e di studio per le ragazze costrette a abbandonare le proprie dimore. Solo nel comunicato diffuso oggi il patriarca Sako parla di “rapimento” e non di "fermo" - come era stato detto in un primo tempo - in merito alla scomparsa delle suore e dei tre ragazzi. (R.P.)

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Ucraina: bombardata la cattedrale di Slavyansk, nell'Est

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La cattedrale di Sant'Alessandro Nevsky a Slavyansk, nell'est dell'Ucraina, è stata colpita dai bombardamenti dell'esercito di Kiev il 29 giugno, poco prima della fine della tregua unilaterale voluta dal presidente Petro Poroshenko. Secondo quanto denunciato dalla diocesi locale, come riporta Interfax, i bombardamenti sono iniziati la mattina, mentre era in corso la liturgia domenicale. Al momento dell'attacco, durato 30 minuti - riferisce l'agenzia AsiaNews - erano presenti circa mille persone nella zona, dove in molti si erano radunati in attesa degli aiuti umanitari che vi vengono distribuiti di solito. Nessuno è stato ferito o ucciso.

"Quando sono iniziati i colpi di artiglieria, tutti si sono precipitai verso la chiesa - ha raccontato l'arciprete Nikolay Fomenko - la cattedrale era piena e la gente ha pregato Dio tra le lacrime. L'onda d'urto delle esplosioni ha rotto diversi vetri delle finestre. E' stato bombardato anche il quartiere di Artyom e il mercato centrale, colpendo molti civili".

E' la settima volta che le chiese di Slavyansk vengono bombardate, ricorda Interfax. Il 26 maggio, una mina ha ucciso una donna nei pressi della chiesa dell'icona della madre di Dio "Derzhavnaya"; pezzi della mina hanno rotto le finestre e danneggiato la facciata. Il giorno della Santissima Trinità, l'8 giugno, la chiesa del Santo Spirito, nel centro cittadino, è finita sotto i colpi di artiglieria pesante. La notte del 16 giugno, è stata la volta della parrocchia di San Serafim a Cherevkovka, dove sono stati distrutti il deposito e la mensa. Lo stesso giorno è stata colpita anche la cattedrale di San Alessandro Nevsky. Il 19 giugno, nel mirino dei bombardamenti è finita la chiesa della Resurrezione, risalente al XVIII secolo. Il 21 giugno, è toccato di nuovo alla cattedrale.

Slavyansk è roccaforte della milizie filorusse, contro cui Kiev ha ingaggiato un'operazione militare, che è ripresa ufficialmente dopo che Poroshenko ha deciso di non prorogare il cessate il fuoco, dichiarato il 20 giugno ed esteso fino alle 22 (ora locale) del 30 giugno. (R.P.)

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Centrafrica: 12mila rifugiati nella cattedrale di Bambari

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“Abbiamo almeno 12.000 persone accolte nella cattedrale Saint Joseph che sono ancora totalmente prive di assistenza” dice all’agenzia Fides mons. Eduard Mathos, vescovo di Bambari, nella Repubblica Centrafricana, dove le violenze dei miliziani della Seleka hanno costretto alla fuga gran parte degli abitanti.

“Alcune Ong sono venute a constatare la situazione, ma finora nessun aiuto umanitario è arrivato. Manca tutto, non solo il cibo ma persino i teloni per far stendere le persone. Solo la Croce Rossa sta portando l’acqua mentre si stanno scavando delle latrine nel cortile” prosegue il vescovo. “Lancio un appello perché si intervenga subito per impedire un disastro umanitario” conclude accorato mons. Mathos. (R.P.)

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Sudafrica: l'aiuto della Chiesa per i minatori in sciopero

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“Abbiamo ricevuto una magnifica risposta all’appello lanciato a favore dei minatori in sciopero” scrive mons. Kevin Dowling, vescovo di Rustenburg, in Sudafrica. I lavoratori delle miniere di platino della regione di Rustenburg erano in sciopero da gennaio per chiedere un aumento salariale. Lo sciopero è finito il 25 giugno, dopo il raggiungimento di un accordo salariale.

Durante i lunghi mesi di inattività, -riferisce l'agenzia Fides - mons. Dowling si è prodigato per offrire sostegno economico ai minatori e alle loro famiglie, con un occhio di riguardo alle persone più bisognose: orfani, malati di tubercolosi e di Aids. Il vescovo aveva lanciato un appello alla comunità cristiana sudafricana perché lo aiutassero nell’opera caritatevole avviata dalla sua diocesi.

“Due parrocchie hanno donato alimenti, diverse comunità religiose, parrocchie e singole persone, hanno inviato denaro, la Società San Vincenzo de Paoli ha inviato una donazione consistente. Ringrazio di cuore per la generosità dimostrata” scrive mons. Dowling. Grazie alle donazioni ricevute, i volontari della diocesi “hanno potuto distribuire pacchi alimentari ai minatori e alle loro famiglie, agli orfani e ai bambini sieropositivi, e a tutti coloro che soffrivano la fame nelle nostre comunità”.

Il programma di aiuto gestito dalla diocesi di Rustenburg continuerà per tutto il mese di luglio, in attesa che la situazione torni alla normalità. (R.P.)

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Liberia: allarme ebola della presidente Sirleaf

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“Voglio informare pubblicamente i liberiani che la malattia è vera e sta mietendo vittime nel nostro Paese”: con tono grave la Presidente Ellen Johson Sirleaf si è ufficialmente pronunciata sull’epidemia dell’Ebola in atto da mesi in Liberia e nelle vicine Guinea e Sierra Leone. “Mentre vi sto parlando il virus sta portando via le vite dei nostri concittadini a Lofa, Montserrado e ora anche nella zona di Marigibi” ha aggiunto la Sirleaf, dicendosi “seriamente preoccupata” per la situazione sanitaria del paese e di tutta la regione.

Annunciando l’avvio di una “risposta transfrontaliera” per far fronte all’epidemia - riferisce l'agenzia Misna - nel suo intervento radiofonico la Presidente liberiana ha minacciato “pene severe a carico di chi nasconde in casa o in chiesa pazienti che potrebbero aver contratto la malattia”. La Sirleaf ha assicurato che “continueremo a fare di più, prendendo tutte le misure necessarie”, invitando la popolazione a “rivolgersi alle autorità sanitarie” per esami e cure.

In base al bilancio diffuso dal ministero della Sanità di Monrovia, finora la febbre emorragica da Ebola ha causato 49 vittime in Liberia, di cui 26 casi sono stati accertati con test di laboratorio. L’epidemia, manifestatasi a partire dallo scorso febbraio, continua a provocare morti in una zona geografica più estesa, con un totale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), di 367 decessi. La scorsa settimana le autorità della Sierra Leone hanno denunciato attacchi e reazioni aggressive ai danni degli operatori sanitari da parte di alcune popolazioni che nascondono i malati. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 182

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.