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Sommario del 02/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Consiglio Cardinali: da C8 a C9. Ior in momento di transizione

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Sono proseguiti stamani gli incontri della quinta riunione di Papa Francesco con il Consiglio di Cardinali, voluto dal Santo Padre per aiutarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana. Nella Sala Stampa della Santa Sede, il direttore, padre Federico Lombardi, ne ha parlato con i giornalisti. Ce ne riferisce Giada Aquilino

Il Consiglio di Cardinali passa da C8 a C9; la situazione dello Ior è di transizione. Questo quanto emerso fin qui nella nuova riunione in corso fino a venerdì in Vaticano, alla presenza del Papa, come ad esempio stamani, visto che al momento il Pontefice non è impegnato con le udienze generali del mercoledì. Il “Consiglio degli 8” dunque diventa “dei 9”, perché il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, partecipa ai lavori “a pieno diritto”, ha detto padre Lombardi, riferendo direttamente le parole del Papa.

Tra ieri e stamani sono stati affrontati temi relativi al Governatorato, alla Segreteria di Stato e allo Ior. Dell’Istituto per le Opere di Religione e del suo presidente, ha aggiunto padre Federico Lombardi in una dichiarazione, si è parlato - alla presenza di 4 porporati della Commissione cardinalizia di vigilanza, perché assente il cardinale Christoph Schoenborn, arcivescovo di Vienna, in questi giorni non a Roma - approfondendo la situazione attuale:

“Lo Ior si trova in un tempo di transizione e di sviluppo, naturale e sereno. Il contributo di Ernst von Freyberg continua ad essere profondamente apprezzato e valutato molto positivamente. Ulteriori chiarificazioni sono possibili, anzi verosimili, la settimana prossima dopo l’incontro del Consiglio per l’Economia, che ha luogo sabato”.

Probabilmente mercoledì ci sarà un aggiornamento al riguardo. Alla riunione del Consiglio per l’Economia, ha spiegato padre Lombardi, si discuterà anche di Statuti, programma della attività e bilanci dell’anno.

Nel pomeriggio, il Consiglio di Cardinali si soffermerà su argomenti già trattati in precedenza, come le Congregazioni e i Pontifici Consigli, ma - ha proseguito padre Lombardi - “non si può ancora parlare di una bozza” di nuova Costituzione sulla riforma della Curia. Rispondendo ai giornalisti a proposito dei ragazzi israeliani uccisi in Cisgiordania, ha inoltre confermato che il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, aveva pensato ad un incontro delle famiglie col Papa, ma la situazione è purtroppo cambiata. Infine confermata pure la riunione di domenica della Pontificia Commissione per la tutela dei minori.

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Il vescovo di Isernia: grande entusiasmo per il Papa in Molise

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In Molise ultimi preparativi per la visita, sabato prossimo, di Papa Francesco dal motto “Dio non si stanca di perdonare”. Il Pontefice sarà a Campobasso, Castelpetroso e Isernia. Nel corso della permanenza nelle due diocesi, il Santo Padre incontrerà il mondo del lavoro, gli ammalati, i giovani, i detenuti. In particolare a Isernia, che nel 1215, dette i natali a Papa Celestino V, l’incontro con la cittadinanza e l’indizione dell’Anno Giubilare Celestiniano. Quale l’attesa per l’incontro con Papa Francesco? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a mons. Camillo Cibotti, vescovo di Isernia-Venafro:  

R. – Certamente si può immaginare l’entusiasmo. La realtà è piccola, e quindi c’è un maggiore fervore che si traduce in fermento, in energia, per mettersi tutti a disposizione perché al meglio si possa accogliere Papa Francesco. E nel nostro piccolo ci aspettiamo veramente che ci dia questo coraggio ulteriore di andare avanti, ravvivi in noi la speranza, la fiducia che si può cambiare, ci si può adoperare.

D. – Due dei momenti più importanti della tappa di Isernia sono rappresentati dall’incontro con i detenuti e con gli ammalati…

R. - Certamente è un indirizzo che il Papa sta dando anche a tutte le forze, anche quelle politiche, locali. Questo essere attenti ai bisogni specialmente degli ultimi e chi più ultimo del malato, del carcerato? E’ un mondo che vive questa esigenza di essere sempre più stimolato a rivalutare la persona umana, rivalutare anche la sua dignità, fare in modo che tutto l’uomo possa essere al centro di ogni discussione, non solo di carattere sociale o sanitario, ma anche politico.

D. – Un altro dei momenti importanti della visita del Papa a Isernia, è l’incontro con la cittadinanza e l’indizione dell’anno giubilare celestiniano…

R. – E’ stato provvidenziale, forse non ci saremmo riusciti. E il Papa attraverso questa sua visita ci ha confortati di questa iniziativa che aveva già avuto dei precedenti a livello di preparazione. E la cosa bellissima, che solo la Provvidenza poteva darci, è che Papa Francesco viene a Isernia il 5 luglio, quando nel 1294 Papa Celestino è stato eletto Papa. Quindi la città non può che esultare, come esultò nel 1294, sapendo che un suo figlio carissimo era diventato Papa.

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Il Papa nomina mons. Auza nuovo osservatore vaticano all’Onu

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Il Papa ha nominato osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York, mons. Bernardito C. Auza, finora nunzio apostolico in Haiti.

Mons. Bernardito è nato a Talibon, nelle Filippine, il 10 giugno 1959 e succede a mons. Francis Chullikatt, entrato in carica il 15 settembre 2010.

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Tauran: dialogo interreligioso per sconfiggere povertà e ingiustizia

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Verità, amore e compassione sono valori fondamentali per tutti le religioni e possono trasformare ogni persona in operatore di pace: così, in sintesi, il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, si è rivolto stamani a Roma ad una rappresentanza indù, guidata da Morari Bapu, noto predicatore dell’induismo. Gli esponenti indù sono nella capitale per partecipare ad un incontro sul tema “Raggiungere la pace nel mondo attraverso gli insegnamenti di Gesù Cristo e comprendere l'influenza positiva della Chiesa cattolica", organizzato dall’organismo caritativo britannico Lord Dolar Popat Foundation.

Nel suo intervento, il porporato ha sottolineato l’importanza della “spiritualità interiore” dei credenti che porta “naturalmente” al rispetto dell’altro, considerato con pari dignità umana e visto non come un nemico od un rivale, bensì come un fratello da abbracciare. Quindi, il card. Tauran ha ricordato la necessità di “costruire ponti che mettano in contatto le persone e creino rapporti basati sul rispetto”, nella “comprensione reciproca dell’eredità spirituale di ciascuno”, apprezzando “gli aspetti in comune e rispettando le differenze”. “Il dialogo interreligioso – ha continuato il porporato – è un potente mezzo da coltivare e promuovere”.

“Credenti di religioni diverse – ha concluso infine il card. Tauran – possono contribuire insieme al bene comune, alla costruzione di una società giusta e di una pace solida e duratura nel mondo”, promuovendo “la cultura dell’incontro e dalle solidarietà” e spazzando via “le scandalose situazioni di disuguaglianza, povertà ed ingiustizia”. (A cura di Isabella Piro

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Proseguono i lavori del Consiglio di cardinali alla presenza di Papa Francesco.

I migliori anni della mia vita: in un'intervista con  Nicola Gori, il cardinale Jozef Tomko racconta il suo servizio alla Chiesa.

La famiglia non deve essere divisa o marginalizzata: intervento della Santa Sede a Ginevra.

Due ragioni e due follie: Marco Vannini su pensiero occidentale e modernità di Agostino.

Gaetano Vallini sulle donne senza voce nelle fotografie di Sheila McKinnon.

La suora che gabbò i nazisti: Giovanni Preziosi racconta come Giuseppina De Muro salvò a Torino numerosi perseguitati durante l'occupazione nazifascista.

Un articolo di Damiano Tommasi dal titolo "Quanto sono stanche le prime della classe?". È la Costa Rica l'unica vera sorpresa dei mondiali di calcio giunti ai quarti di finale.

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Oggi in Primo Piano



Ucciso giovane palestinese. Netanyahu: “Crimine abominevole”

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Non si ferma l’escalation di violenze in Medio Oriente: il cadavere di un giovane palestinese è stato trovato questa notte a Gerusalemme dopo che la famiglia aveva denunciato il suo rapimento. Le stesse autorità israeliane non escludono che il delitto sia stato compiuto da ultrà ebrei in ritorsione per l’uccisione dei tre ragazzi israeliani in Cisgiordania. Sdegno e rabbia da parte palestinese, ferma la condanna anche del premier israeliano Netanyahu che ha parlato di “crimine abominevole”. Il servizio di Marco Guerra: 

Il rapimento e l’uccisione di un giovane palestinese di 17 anni va letta verosimilmente nell’ottica di un ''azione di vendetta'' a seguito dell'assassinio dei tre studenti israeliani in Cisgiordania. Questa è la pista più accreditata e l’interpretazione dei fatti che viene fornita anche dalla radio militare israeliana, secondo cui il giovane è stato visto mentre veniva fatto salire con la forza su un'auto a Gerusalemme Est, il settore a maggioranza araba, per poi essere ritrovato nei pressi di un quartiere ebreo. Appena diffusa la notizia, nei quartieri palestinesi sono scoppiati disordini con le forze di sicurezza israeliane, tre i feriti. Per timore di nuovi disordini la polizia ha chiuso la spianata delle moschee. La tensione è altissima. Nella notte a Gerusalemme la polizia ha arrestato 50 giovani israeliani per attacchi anti arabi. Il portavoce dell’Anp, Nabil Abu Rudeina, ritiene lo Stato ebraico responsabile e il presidente palestinese Abu Mazen ha chiesto una chiara condanna alle autorità israeliane. A stretto giro la risposta da parte del premier Netanyahu, che ha parlato di “crimine abominevole” e ha esortato ''un'immediata inchiesta” sulla vicenda. Nel frattempo prosegue la caccia agli assassini dei tre ragazzi israeliani: La notte scorsa le forze israeliane hanno arrestato 42 palestinesi in Cisgiordania.

Sugli sviluppi politici di questa escalation di violenze, sentiamo il commento di Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università di Firenze: 

R– Il governo d’Israele ha una forte componente di destra estrema, che vuole approfittare di questa bruttissima crisi, per continuare sulla strada degli insediamenti - addirittura, si parla di un’annessione anche parziale - e soprattutto fare in modo che il governo unitario di Hamas e Olp fallisca e quindi sia possibile punire Hamas per un gesto che le viene attribuito.

D. – Questo tragico delitto, quindi, fa il gioco della linea dei falchi di entrambi gli schieramenti…

R. – Certo. In questo modo vincono i falchi. Non so quanto vincano i falchi di Hamas. Avendo accettato di andare al governo con l’Olp, infatti, i falchi di Hamas avevano capito che la loro politica era negativa, non portava a risultati; avevano avuto quindi una misura di moderazione. Ma dentro Israele, i cosiddetti falchi, a questo punto, hanno obiettivi e metodi precisi.

D. - L’omicidio dei tre giovani è la pietra tombale su ogni speranza di dialogo con alcune fasce radicali della politica palestinese e, più in generale, proprio con il fronte palestinese?

R. - Israele ha sempre rifiutato ogni forma di dialogo con Hamas, anche se poi ci ha parlato, perché la trattativa per la liberazione di Shalit è stata fatta con Hamas, non con altri. Che Israele non voglia il governo unitario è chiaro; quanto questo sia fattibile dipenderà non solo dai palestinesi tutti, ma anche soprattutto dalla comunità internazionale, che sa bene che solo un governo unitario può provare a riportare i palestinesi in una corsia politica di dialogo, di negoziato.

D. - Aprire in questo momento un altro fronte di guerra a Gaza o in Cisgiordania, quali rischia comporta per una regione già infiammata dai conflitti in Siria, in Iraq e dalle tensioni in Egitto?

R. - Il conflitto con Gaza non è mai cessato: da Gaza arrivavano razzi e Israele ha sempre risposto con qualcosa. Può semmai aumentare e - come minaccia Hamas - “se ci bombardano troppo, noi possiamo arrivare addirittura a Tel Aviv”. Non vedo grandi connessioni con gli altri conflitti, in particolare con quello che sta facendo l’Isis, in Iraq e in Siria, perché sono realtà completamente diverse. E’ chiaro che in un’ottica israeliana, che si vede al centro di tutti questi avvenimenti, ci può essere la tentazione di unificarli, ma in realtà sono problemi e questioni totalmente diverse.

D. - Cosa potrebbe facilitare un ritorno alla via del dialogo, tanto auspicata e sostenuta anche dal Papa?

R. - L’unico modo per riprendere davvero il negoziato tra israeliani, governo Nethanyau, e palestinesi, che comprende ora anche Hamas, è letteralmente quella di costringere le parti a parlarsi, mettendo in campo, da parte della comunità internazionale, tutta una serie di misure costrittive, che facciano capire agli uni e agli altri, che non si può perdere più tempo. La politica del tempo perso giova a Israele perché mantiene l’occupazione, mentre ai palestinesi giova poco. In questo caso è il partner più forte - cioè Israele - che deve essere veramente portato, non solo al tavolo dei negoziati, come hanno fatto gli americani, ma ad un tavolo di negoziati fattivo.

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Nuova veglia di preghiera per la pace a Roma per la Siria e l'Iraq

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Nuova veglia di preghiera a Roma per la pace in Siria ed Iraq. L’appuntamento è per stasera alle 19.00 nella Basilica dei Santi 12 Apostoli. Presiede l’evento il cardinale Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Partecipa anche il vescovo ausiliare di Roma Matteo Zuppi. Federico Piana gli ha chiesto quale sia la motivazione di questa iniziativa: 

R. - E’ quella di continuare a far nostra l’invocazione di pace che viene dalla Siria e dall’Iraq, situazioni sulle quali concentreremo le nostre preghiere: per quei Paesi, per la presenza cristiana, per una sofferenza inaccettabile a cui non possiamo mai abituarci. L’intercessione è far nostro questo dolore, rompere quella bolla di sapone nella quale qualche volta continuiamo ad essere spettatori, come Papa Francesco ha così ben descritto parlando di Lampedusa. Per questo ci ritroviamo a pregare con la presenza delle varie comunità cristiane, sia in Siria che in Iraq, che sono anche qui a Roma e sono tante; è una ricchezza, anche per la diocesi di Roma, unirci a loro nell’invocazione al Dio della pace.

D. - Perché è così importante la preghiera per la pace?

R. - Perché siamo credenti, perché pensiamo che niente è impossibile a chi ha fede. Un esempio così evidente ce lo ha dato Papa Francesco, invitando a pregare il presidente palestinese ed il presidente di Israele. È un gesto che ha un valore in sé, nella preghiera stessa, nel trovarsi insieme per pregare l’unico Dio della pace. Crediamo che possa avere anche riflessi in quel dialogo che qualche volta un iperrealismo non riesce più a smuovere e non riesce a far crescere. C’è una dimensione spirituale che è la vera dimensione dalla quale possiamo ottenere la pace e che certamente può smuovere anche energie ed intelligenze affinché il dialogo diventi una via possibile per risolvere i problemi.

D. - Lei ha parlato delle comunità irachena e siriana di Roma. Come stanno vivendo questa situazione di guerra?

R. - Con grandissima sofferenza, con composta sofferenza, con tanta preoccupazione per il futuro perché si sta lacerando un tessuto di convivenza secolare. Penso soprattutto alla Siria, ma anche all’Iraq, dove da secoli i cristiani convivevano con i musulmani. Con molta sofferenza anche diretta; faccio un esempio: uno dei primi preti rapiti in Siria e dei quali non si sa più nulla - dopo di loro i due vescovi Yohanna Ibrahim e Bulos Yazigi, siro-ortodosso e greco-ortodosso di Aleppo e ultimo padre Paolo Dall’Oglio gesuita romano - è stato un prete armeno cattolico che aveva studiato qui a Roma. Ecco, vogliamo sentire vicine queste situazioni e farne veramente un motivo di preghiera della Chiesa di Roma. 

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Migrantes: aprire canali umanitari per sconfiggere criminalità

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Dramma dell’immigrazione in Italia: sono 45 i morti rinvenuti all’interno del peschereccio rimorchiato ieri sera dalla nave Grecale a Pozzallo, in Sicilia. Intanto prosperano nel mondo le agenzie di viaggio criminali rivolte a chi fugge dal proprio Paese per fame, povertà, guerre, persecuzioni. Ieri in Italia la Polizia ha assicurato alla giustizia cinque su nove capi di un’organizzazione dedicata al trasporto clandestino di migranti, gestita da eritrei, etiopi e sudanesi, ritenuti responsabili del naufragio del 3 ottobre scorso a Lampedusa, costato la vita ad almeno 386 persone. Roberta Gisotti ha intervistato Mario Affronti, medico a Palermo, direttore regionale della Fondazione Migrantes in Sicilia: 

Un solo barcone con 300 persone fruttava a questa organizzazione quasi un milione di euro. Gli immigrati infatti spendevano circa 3 mila euro per un viaggio senza garanzie di sopravvivere. Ma non è certo una novità che gli immigrati giungano nelle terre promesse attraverso reti di trafficanti di esseri umani. Forse si fa ancora poco per sconfiggere questa criminalità, che sfrutta la disperazione e il dolore di chi cerca una vita migliore? Dott. Affronti:

R. – Certamente, non si fa quasi nulla da questo punto di vista. E, tra l’altro, le condizioni di viaggio diventano sempre più precarie, perché non esiste più lo scafista – come dire - ‘professionista’. Le organizzazioni assoldano estemporaneamente nei luoghi d’imbarco delle persone, che scappano anch’esse da situazioni di guerra e di persecuzione, che bene o male sanno tenere in mano un timone, e affidano tutto a loro, proprio per evitare che gli scafisti vengano arrestati nei Paesi di approdo. Quindi, c’è sempre più precarietà. Noi, da sempre, pensiamo che si debbano aprire dei canali umanitari - dall’Egitto, dalla Libia... - in modo da consentire un ingresso protetto, nei diversi Paesi europei, in condizioni legali, a questi potenziali richiedenti asilo, intrappolati nei Paesi di transito. Questo, secondo noi, sarebbe l’unico strumento per contrastare effettivamente le organizzazioni criminali. Inoltre andrebbero rivisti gli accordi bilaterali, le intese che le forze di Polizia italiane hanno con quelle egiziane, nigeriane, tunisine, per esempio, perché questi accordi consentono il rimpatrio immediato, anche prima che possa essere depositata un’istanza di protezione internazionale. Sulle istanze di protezione internazionale, infatti, deve decidere la commissione territoriale, non certamente l’autorità di Polizia. Qualcosa, quindi, si potrebbe fare, ma ahimè non è stato fatto mai nulla. Peraltro, dobbiamo dire che queste persone sono costrette a fuggire, perché scappano da guerre, da persecuzioni, e sanno che rischiano la vita.

D. – Ora c’è la proposta di un commissario europeo per l’immigrazione. Questo servirà a migliorare la situazione, specie per le persone che sbarcano in Italia e trovano situazioni ‘infernali’ anche qui?

R. – Beh, il sistema di protezione sicuramente in Italia deve migliorare. Ci vuole maggiore organizzazione e soprattutto maggiore coinvolgimento degli enti, anche non governativi, che in questi anni hanno cercato di risolvere i problemi. Certamente il sistema di accoglienza non è ben rodato, ma bene o male queste persone vengono accolte, anche se si deve fare molto per i loro diritti. Poi, per quanto riguarda il commissario, è tutto un problema politico. Fino a quando rimarrà il concetto di Europa come ‘fortezza’ da difendere dall’arrivo di queste persone, è chiaro che il commissario potrà fare poco. Non so se ci sia la volontà politica da parte dell’Europa di risolvere, una volta per tutte, questa situazione, ma fino adesso, ahimè, i segnali non sono stati mai confortanti. Anche il fatto che l’Italia sia rimasta da sola a gestire queste questioni la dice lunga. La speranza è che possa cambiare qualcosa, ma se non cambia l’atteggiamento politico... restiamo a guardare, vediamo quello che succede. Siamo sicuri, però, che così non si possa continuare, evidentemente.  

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La gioia oltre la crisi: presentato ad Assisi il Festival Francescano

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E’ stato presentata oggi, al Sacro Convento di Assisi, la sesta edizione del Festival Francescano sul tema “La Gioia oltre la crisi”. La manifestazione, in programma a Rimini a settembre, è organizzata dal Movimento Francescano dell’Emilia-Romagna. Sul tema e lo spirito dell’evento, Alessandro Gisotti ha intervistato fra Alessandro Caspoli, presidente del Festival: 

R. – E’ un tema prettamente francescano perché parte proprio da una tematica di Francesco, che è quella della vera e perfetta letizia. Quindi ci sembrava opportuno, in un luogo come Rimini, in una situazione come quella dei nostri tempi in Italia, raccontare come la gioia può essere un seme di speranza per cercare di affrontare le situazioni del mondo di oggi. Ed è un tema prettamente francescano perché fin dalle sue origini Francesco d’Assisi ha segnato questo come uno degli argomenti, delle sollecitudini più forti, che si facevano ai cristiani del suo tempo, ma anche oggi.

D. – Può dirci quali sono gli eventi principali in programma, e anche le personalità che parteciperanno?

R. – Naturalmente il Festival è fatto di momenti di riflessione, ma anche di momenti ludici. Fra gli eventi, nelle piazze di Rimini, c’è una conferenza di suor Elena Bosetti, biblista e volto noto del programma di Raiuno A sua immagine, ma soprattutto aspettiamo con trepidazione il cardinale Tagle, arcivescovo metropolita di Manila, che parla delle Beatitudini nelle periferie del mondo. Abbiamo alcuni filosofi come Salvatore Natoli e Giuseppe Laras; tutte persone che fanno parte della cultura del nostro tempo, che in qualche maniera possono raccontare bene questo tema, che noi speriamo sia all’ordine del giorno: il poeta Davide Ronzoni, padre Enzo Fortunato, Leonardo Becchetti. Il programma è molto vario e si svolge nelle tre giornate riminesi, cercando di affrontare il tema della gioia e della letizia dalle angolazioni più diverse.

D. – Come Papa Francesco, un Papa che porta fin dal nome questo spirito di gioia francescano, ispira e rinnova anche l’impegno del Festival, giunto ormai alla VI edizione?

R. – Le parole e l’atteggiamento di Papa Francesco per noi sono un grande stimolo, perché lui è veramente un uomo che incarna, oltre allo spirito del suo ministero, lo spirito di Francesco, attualizzandolo alla vita di oggi, proprio nello stile di fare le cose, che forse è proprio quello che ci contraddistingue come francescani. Ed è un segno, un segnale che il messaggio di Francesco è ancora attuale. Per questo noi abbiamo voluto negli ultimi sei anni ritornare nelle piazze e raccontare quella gioia e quella letizia, che è sempre stata in qualche maniera identificativa del mondo francescano.

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Meeting delle famiglie del Lazio: ancora carenti le politiche familiari

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Promuovere e sviluppare una cultura della famiglia, raccontando tutta la sua  bellezza e portando alla luce le sue risorse e il patrimonio di umanità, di relazioni e di vita che esse nascono. E’ questo l’obiettivo del meeting “E..state in famiglia” promosso dal Forum delle Associazioni familiari del Lazio al via oggi a Roma. L’incontro, che si concluderà domenica prossima ha come filo conduttore dei vari incontri il tema: “Famiglia una ricchezza da condividere”. Marina Tomarro ha intervistato il presidente del Forum Emma Ciccarelli: 

R. - Abbiamo maturato la consapevolezza che in realtà mancava un luogo dove le famiglie potessero riconoscersi e conoscersi in una cultura del familiare. È un Meeting che nasce dal basso, nasce dalla mobilitazione di famiglie che appartengono al Forum delle associazioni familiari, ma anche di altre famiglie cattoliche e non. C’era bisogno di trovare un luogo in cui conoscersi, perché la famiglia è bella e porta felicità alla persona; la famiglia in qualsiasi modo, anche quella fragile e debole, è comunque una risorsa per la società.

D. - Spesso la famiglia è stata usata come ammortizzatore sociale. Allora, in che modo dovrebbe essere valutata, anche dalle stesse istituzioni, secondo lei?

R. - Noi siamo stanchi del fatto che la famiglia viene relegata come il tocca sana dei problemi economici dello Stato. La famiglia ha tante altre risorse da mettere in gioco che non vengono valorizzate, soprattutto dallo Stato italiano: mancano vere e proprie politiche familiari ed alcuni articoli della Costituzione non sono stati applicati e realizzati completamente; basti pensare al tema dell’equità fiscale. Chi mette su famiglia è penalizzato economicamente, perché paga oneri maggiori rispetto a chi sceglie la convivenza. Le famiglie sono stanche di questo, sono stanche di non essere riconosciute per il valore che apportano alla società. Noi vogliamo portare proprio questo modello: dove la famiglia funziona, dove la famiglia viene aiutata c’è coesione e ci sono conseguenze che si ripercuotono su tutto il  tessuto sociale, a beneficio di questo.

D. - Meeting come questo, servono anche a sviluppare una rete di solidarietà tra le famiglie?

R. - Sì, uno degli effetti indiretti è proprio questo. Spesso la famiglia è sola; conoscere le opportunità fornite dal territorio e dalle reti formali ed informali - quindi, questo sistema sussidiario di intervenire e sorreggere la famiglia - spesso non viene percepito perché comunque  non c’è una sufficiente comunicazione. Il Meeting vuole essere anche quello, vuole mettere in risalto anche le belle risorse di volontariato delle nostre associazioni che ogni giorno, con molta passione, ciascuna con la sua missione, si spendono per la famiglia.  

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Meeting di Rimini sulle periferie del mondo e l'esistenza

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“Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo” è il tema della 35^ edizione del Meeting di Rimini presentata a Roma.  In programma, dal 24 al 30 agosto, oltre 100 convegni, 14 mostre, spettacoli e manifestazioni sportive. La sfida di quest’anno è mantenere vive le domande dell’uomo alla ricerca di giustizia, amore e bellezza, tipiche della storia cristiana. Al microfono di Luca Collodi, la presidente della Fondazione Meeting per l’Amicizia tra i Popoli, Emilia Guarnieri

R. – Un viaggio che andrà in direzione geografica: sicuramente testimonianze provenienti dall’America, dal Sud America, storie di nuovi inizi, storie di identità ritrovate in Africa; ragazzi di strada che porteremo in uno spettacolo acrobatico; storie raccontate in una mostra dell’Ecuador, del Kenya, del Brasile; personalità dell’America sul tema dell’educazione, quindi anche sul tema della sanità e della malattia. Uno spettro di testimonianze, dunque, in questo senso. E poi pure nelle periferie del bisogno, nelle periferie delle domande grandi, anche culturali, cui la situazione nella quale viviamo oggi ci mette davanti; il tema dei nuovi diritti, del rovescio del diritto. E avremo grandi incontri, che vorranno proprio documentare come la presenza cristiana rappresenti una novità. Vogliamo prendere fino in fondo, sul serio, la sfida della Evangelii Gaudium e abbiamo invitato proprio su questo il cardinale Bassetti e Guzmán Carriquiry sul tema delle sfide: le sfide nell’Italia, le sfide nell’America Latina, la cristianità di fronte a queste grandi sfide. Come dire: sentiamo una sfida innanzitutto per noi, perché noi vogliamo confrontarci con le periferie cui Papa Francesco ci sta portando.

D. – Nelle periferie, oggi, si può ancora sperimentare quel desiderio, questa ricerca di giustizia, di valori, di verità oppure le periferie sono luoghi in cui l’uomo si perde e basta?

R. – Ma, io credo - e noi abbiamo proprio una mostra che documenterà questo - che laddove un incontro umano, significativo, fa rinascere il desiderio, fa rinascere la molla del proprio cuore, della propria umanità, il cambiamento sia possibile.

D. – Altro tema centrale dell’edizione di quest’anno del Meeting di Rimini sarà la violenza sulle comunità cristiane nel mondo...

R. – E’ una tragedia grande, una tragedia su cui il Meeting intenderà proprio chiudere. Tra l’altro il Meeting ha lanciato lo scorso anno l’appello per i cristiani perseguitati e quest’anno chiuderemo su questo tema. Abbiamo invitato Paul Bhatti e il cardinale Kaigama, perché la Nigeria è veramente, tragicamente al centro di tutto questo. La cosa interessante, però, che vorrei dire e che ci viene continuamente ridetta da questi testimoni, è che comunque noi qui riusciamo in ogni caso a vivere, perché siamo cristiani e la speranza non ci è tolta neanche dalla violenza. Su questo vorremmo concludere il Meeting.

D. – Una curiosità: il Meeting di quest’anno valorizzerà alcune figure periferiche della Bibbia e dedicherete molto spazio al tema dell’archeologia...

R. – Sì, certo, avremo cose bellissime su questo tema. Abbiamo le figure periferiche della Bibbia di Weiler; abbiamo quest’incontro con don Carrascosa e il prof. Buccellati proprio sul percorso della religiosità, dal mondo ebraico fino al mondo greco. E avremo sempre il prof. Buccellati e Marilyn Buccellati con questa grande mostra sull’antichità georgiana e sull’antichità siriana. La cosa interessante, però, è che proprio con questa mostra, l’attività di Buccellati e degli altri archeologi che parteciperanno – tra l’altro avremo il direttore generale delle antichità siriane – documenteranno come l’archeologia non sia solo uno sguardo rivolto al passato, ma che possa essere anche una speranza per il futuro, e che la difesa del proprio patrimonio culturale artistico e archeologico sia una spinta, una molla per il futuro. E’ una grande scommessa. Ce la siamo trovata davanti come un lavoro che i Buccellati stanno facendo e la riproporremo in questo modo al Meeting.

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Argentina-Svizzera vista in Vaticano, intervista con il capitano Bachmann

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Giornata particolare ieri per le Guardie Svizzere Pontificie, in occasione della partita dei Mondiali di Calcio tra la loro nazionale e l’Argentina. Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ha pubblicato su Twitter una vignetta con Papa Francesco con la sciarpa argentina dietro due Guardie Svizzere davanti alla Tv. La partita è stata vinta ai supplementari dalla squadra latinoamericana. Ma le Guardie del Papa hanno potuto assistere al match? Sergio Centofanti lo ha chiesto al capitano Frowin Bachmann:  

R. – Certo, quelli che non erano in servizio hanno assistito nella nostra “zona dei fans”, all’interno della caserma, dove possono seguire i mondiali.

D. – C’è stato parecchio tifo …

R. – Certamente! Per noi è già stato un grande successo andare un po’ avanti, e quindi c’era tanto tifo per andare ancora avanti.

D. – C’è stata un po’ di delusione, alla fine…

R. – Certamente; anche se abbiamo visto che l’Argentina sicuramente ha creato un po’ più occasioni, ma noi speravamo tanto di risolvere la partita con i rigori …

D. – C’è stato poi, alla fine, quel palo di Dzemaili …

R. – Sì, pure quello … fortuna e sfortuna sono molto vicine, a volte, no?, e questa volta è andata bene per gli argentini …

D. – Che effetto faceva fare il tifo per la Svizzera … con il Papa argentino?

R. – … sì la Svizzera ha perso ma d’altra parte la comunità argentina ora è più numerosa all’interno del Vaticano … e quindi, naturalmente, siamo anche contenti per loro: è una bella cosa …

D. – Che cosa pensa di questo campionato mondiale?

R. – Eh … il calcio potrebbe fare tante cose, ma purtroppo ogni tanto vediamo anche tutti i problemi che sono collegati con il calcio: la corruzione e tante altre cose … Forse si investe tanto ma poi, dall’altro lato, si lasciano andare molte cose … Speriamo che in futuro anche le grandi istituzioni come la Fifa facciano di più …

D. – Le Guardie Svizzere, ora, per chi faranno il tifo?

R. – Ognuno, naturalmente, ha le sue squadre preferite … qualcuno, magari i francofoni, per il Belgio o per la Francia, naturalmente; qualcuno tiferà per la Germania … Diversi tifano anche per il Brasile …

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Nella Chiesa e nel mondo



Terra Santa: appello al perdono del patriarca Twal

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“Non è degno di capi politici e religiosi appoggiare, alimentare, fomentare la vendetta. La vendetta chiama vendetta, il sangue chiama sangue. E i ragazzi innocenti uccisi, tutti i ragazzi uccisi, sono come vittime sacrificate sugli altari diabolici dell'odio. Preghiamo per i genitori e i familiari di tutti questi giovani sacrificati, rapiti e uccisi”. Con queste parole il patriarca di Gerusalemme dei latini, Fouad Twal, esprime il proprio sconcerto davanti alla notizia del sedicenne palestinese Mohammad Abu Khdeir, del campo profughi di Shuffat, il cui cadavere bruciato e con segni di violenza è stato trovato questa mattina dalla polizia israeliana in una zona boscosa di Gerusalemme, dopo che la famiglia aveva denunciato il suo rapimento.

Un omicidio mirato che fa pensare a una vendetta, dopo il sequestro e l'uccisione dei tre ragazzi ebrei scomparsi il 12 giugno in Cisgiordania e trovati uccisi il 30 giugno nei pressi di Hebron. “La visita di Papa Francesco in Terra Santa e poi l'incontro di preghiera svoltosi in Vaticano”, sottolinea il patriarca, “avevano alimentato tante felici speranze di pace. Adesso, con il sacrificio dei giovani innocenti, il ciclo della violenza in cui viviamo sembra riaffermare il suo dominio con ferocia ancora maggiore. Sembra quasi una reazione per soffocare sul nascere le speranze che si erano destate. Per questo occorre continuare a pregare, per chiedere il miracolo della pace. Riconoscendo che l'odio e il rancore fanno male a tutti. Mentre la pace e il perdono fanno bene a tutti”.

“C'è un popolo che vive da anni nel lutto” dichiara all'agenzia Fides il patriarca Twal, “e occorre liberarsi dalla logica perversa di chi fa discriminazioni tra le vittime innocenti di una parte e dell'altra, e crede che il proprio dolore possa essere alleviato dal dolore altrui. Solo il perdono chiama il perdono”. (R.P.) 

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Iraq: il patriarca Sako teme una guerra civile nel Paese

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"È con dolore profondo" che "mi accingo ad illustrare la situazione" in Iraq, con l'obiettivo di accrescere la consapevolezza "sulla situazione attuale" e favorire un'atmosfera di "solidarietà consapevole". Con queste parole Mar Louis Raphael I Sako, patriarca caldeo, racconta il dramma che l'Iraq sta attraversando nelle ultime settimane, nel periodo forse più buio e difficile della sua storia recente.

I leader del movimento qaedista Isis - che sta seminando terrore non solo fra i cristiani, ma anche all'interno della stessa comunità musulmana - hanno lanciato un appello a tutti i fedeli, in cui chiedono di combattere in Siria e Iraq per contribuire alla "costruzione di uno Stato islamico". Le battaglie infuriano in molte aree del Paese, mentre nella prima riunione del nuovo Parlamento ieri a Baghdad si è consumata l'ennesima spaccatura e l'incontro si è concluso con un nulla di fatto, compresa la mancata nomina del presidente della Camera.

In questo quadro generale di guerra e devastazione, interviene con un messaggio inviato all'agenzia AsiaNews il patriarca caldeo Mar Sako che, la scorsa settimana ha guidato il Sinodo dei vescovi caldei nel nord del Paese, nel quale parla di milioni di rifugiati, che non c'è nessuna notizia certa sulla sorte delle suore e dei tre giovani rapiti a Mosul mentre appare sempre più concreta, l’ipotesi di una guerra civile che finirebbe per segnare la spartizione della nazione. Il patriarca sottolinea che non c'è nessuna risposta dalla politica, interessata solo al petrolio. Mons. Sako ricorda che "la situazione è molto fragile" e "nessuno è al sicuro" ed invita i cristiani a "non disperare", rinnovando la richiesta di preghiere in "questi tempi di particolare difficoltà". (R.P.)

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Vertice a Berlino dopo la sospensione della tregua in Ucraina

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Si torna a combattere e a morire nell'Ucraina dell'est: Kiev ha rilanciato la sua offensiva dopo che il presidente Poroshenko, ignorando le forti pressioni russe ed europee, ha deciso di non prorogare la fragile tregua, prevista da 10 giorni, accusando i separatisti filorussi di averla ripetutamente violata. Ieri, almeno 4 i morti a Kramatorsk, dove sono stati colpiti passanti e passeggeri di un minibus. E per discutere sugli ultimi sviluppi nella crisi ucraina, oggi a Berlino il ministro degli Esteri tedesco riceve i colleghi di Francia, Russia e Ucraina.

Inoltre sembra confermato a Minsk il terzo round dei negoziati di pace tra Kiev, Mosca e l’Osce, mentre a Bruxelles sarebbero allo studio nuove sanzioni contro la Russia. Il presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy, alla plenaria del Parlamento europeo in corso a Strasburgo, ha affermato che i leader hanno definito “i passi da compiere” in Ucraina e hanno stabilito che “se necessario” prenderanno “ulteriori, significative, misure restrittive”.

Da parte sua, la Russia si dice determinata a promuovere una riunione urgente del "gruppo di contatto" Kiev-Mosca-Osce-separatisti e si dice pronta a attuare gli accordi raggiunti che – secondo Mosca – “non hanno avuto effetto a causa della posizione di Kiev". (F.S.)  

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Hong Kong: 500 arresti dopo la grande Marcia per la democrazia

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La grande Marcia del 1° luglio per la democrazia e il suffragio universale a Hong Kong, cui hanno preso parte più di 500mila persone, si è conclusa questa mattina con oltre 500 arresti. Lo conferma la polizia del Territorio, che ha compiuto i raid nella notte: nel mirino un gruppo ristretto di manifestanti che aveva deciso di portare avanti un sit-in di protesta davanti agli uffici del governo locale. Fra gli arrestati vi sono anche esponenti di spicco di Hong Kong come Lee Cheuk-yan, Albert Ho Chun-yan e Leung Yiu-chung: sono tutti membri del Consiglio legislativo, il piccolo "Parlamento" del Territorio.

Anche se la maggior parte dei fermati è stata rilasciata nel corso della giornata, per lo più con un'ammonizione e sulla parola - riferisce l'agenzia AsiaNews - in serata un portavoce della polizia ha confermato che sono ancora 129 le persone detenute per "colloqui" con i funzionari locali.

La marcia del primo luglio parte dal Victoria Park per arrivare all'Ufficio del governo cinese di Hong Kong a Central. Iniziata nel 1997, come contrappunto al ritorno del Territorio alla Cina, è oggi un evento annuale in cui si esprime il malcontento locale sulle questioni sociali e politiche. Nel 2003 più di 500mila persone si sono unite alla marcia per fermare una legge sulla sicurezza (Art. 23) e chiedere le dimissioni di alcuni alti dirigenti pubblici. Con gli anni la partecipazione si è affievolita ma non è mai scesa sotto i 150mila partecipanti. Il governo centrale di Pechino teme questo appuntamento perché esso - a differenza della marcia che commemora la strage di Tiananmen - porta avanti le richieste democratiche del Territorio per il futuro.

A organizzare la marcia è il Fronte per i diritti umani e civili, una coalizione di gruppi di cui fanno parte anche organizzazioni cattoliche, che chiedono il suffragio universale per l'elezione del capo dell'esecutivo e dei deputati del Territorio; la fine dell'egemonia delle corporazioni commerciali, che ha causato un aumento crescente della disparità fra ricchi e poveri e una maggiore indipendenza dalle politiche imposte dalla Cina continentale.

La marcia di quest'anno arriva due giorni dopo la chiusura dei seggi non ufficiali con cui la popolazione di Hong Kong è stata invitata a esprimersi sul suffragio universale. Quasi 800mila persone hanno votato la consultazione che - secondo gli stessi organizzatori - ha solo valore dimostrativo, per conoscere il pensiero della popolazione. Il referendum si doveva tenere solo per due giorni (20-22 giugno), ma un attacco di hacker al server di Occupy Central - definito dalle stesse autorità "il più sofisticato e potente mai avvenuto sul territorio" - ha reso necessario prolungare il voto fino al 29. (R.P.)

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Chiese europee: secolarizzazione e calo delle vocazioni

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I vescovi europei sono preoccupati per il calo di vocazioni in Europa per il contestuale calo anche del numero dei fedeli cristiani nel continente. Per questo emerge con sempre più lucida consapevolezza la necessità di un nuovo annuncio di Cristo rivolto soprattutto ai giovani. “Come si può parlare di vocazione a qualcuno che non conosce Cristo? Solo dopo aver annunciato Cristo, si può proporre di seguire un cammino”. Così don Michel Remery, vice-segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), presenta all'agenzia Sir il tema dell’incontro dei vescovi e responsabili per la pastorale vocazione delle Conferenze episcopali e delle Congregazioni religiose che comincerà domani a Varsavia (fino al 6 luglio).

“L’educazione cristocentrica a servizio delle vocazioni oggi” è il titolo della riunione durante la quale si metteranno a confronto diversi cammini di educazione e formazione intrapresi in Paesi europei come la Polonia, la Francia, il Portogallo e l’Inghilterra. Si parlerà anche della “chiamata di Dio nel mondo di oggi” di fronte alle “sfide di una società secolarizzata”. “L’essenza della secolarizzazione - spiega don Remery - altro non è che la perdita del senso dell’importanza di Dio per la propria vita e la perdita della vicinanza di Dio”. Per questo, il Ccee quest’anno ha scelto di puntare sul tema della “educazione cristocentrica”. 

“Ogni educazione in vista vocazionale - prosegue il rappresentante del Ccee - deve essere centrata su Cristo stesso. Non ha senso parlare di vocazione senza fare riferimento a Cristo. Perché non siamo noi a chiamare. È sempre Cristo che chiama. È Gesù che dice: vieni e seguimi”. Sta di fatto che le statistiche sulle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa in Europa sono da anni e un po’ dappertutto in calo. Sono preoccupati i vescovi europei? “Sì, lo sono - risponde don Remery -. Perché si vede a livello di numeri un calo importante. Ma non c’è solo un calo nelle vocazioni. C’è anche un calo grande in genere anche nel numero dei fedeli. Se vogliamo quindi favorire la vocazione dobbiamo lavorare per promuovere il messaggio della vita cristiana all’Europa”.

L’effetto-Francesco su questo trend è ancora difficile da quantificare. “Questi calcoli - osserva Remery - hanno bisogno di molto tempo per essere fondati. Quello che sicuramente oggi possiamo vedere è che l’insistenza di Papa Francesco sulla vita di preghiera, sull’amicizia personale con Gesù, sull’attenzione per l’altro, ha sicuramente un influsso sulle persone e sul modo di vedere la vocazione. Ho parlato con giovani recentemente e mi confermavano come le parole del Papa hanno un impatto sulla vita di questi ragazzi, entrano nel loro cuore”. 

Ma con il Papa, aggiunge Remery, “rimane un contributo molto importante anche l’esempio di persone - preti, vescovi, religiosi, suore e famiglie - che seguono la propria vocazione con autenticità e, facendolo, invitano a seguire l’esempio che danno, se lo fanno con tutto il cuore. Danno una testimonianza se sono quello che dicono di essere. Se vivono quello che Gesù ha chiesto e che loro hanno promesso di fare. Diventano quindi una fonte molto importante per la vocazione, se sono capaci di vivere la vita e la loro vocazione con autenticità e gioia”. (R.P.)

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Meriam: ogni giorno un problema che mi impedisce di partire

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"Ogni giorno mi creano un problema che mi impedisce di partire". E' quanto afferma Meriam Yehya Ibrahim durante un'intervista telefonica rilasciata alla Cnn e ripresa dall'agenzia AsiaNews. La donna e suo marito Daniel Wani, sono stati liberati giovedì, dopo essere stati arrestati per la seconda volta al loro arrivo all'aeroporto di Khartoum, mentre cercavano di raggiungere gli Stati Uniti con il loro bambino. Ora, i due sono in attesa di vedere cosa succederà alla luce delle ultime accuse contro la donna, che è accusata di aver viaggiato con documenti falsificati e di aver dato false informazioni.

Difatti, le autorità sudanesi hanno accusato Meriam di aver tentato di lasciare il Paese senza la documentazione corretta. La National Intelligence del Sudan afferma che la donna possiede documenti di viaggio del Sud Sudan, pur non essendo un cittadino del Sud Sudan, e si stava dirigendo verso l'America con dei permessi falsi.

La donna si difende: "Non ho mai falsificato alcun documento. Come possono essere sbagliati? Sono legali al 100%, sono stati approvati dall'ambasciatore del Sud Sudan e dall'ambasciatore americano. E' l'ambasciata del Sud Sudan che si è presa la responsabilità di rilasciare le carte. È nel mio diritto utilizzare questi documenti e avere un passaporto sudanese del sud, perché mio marito è un cittadino del Sud Sudan. Ha un passaporto americano e il passaporto sud sudanese".

Meriam ha descritto come "terrorizzante" il modo in cui gli agenti di polizia sudanesi hanno fermato lei e suo marito, nella sala partenze mentre aspettavano il check-in per il volo: "Eravamo spaventati e ci chiedevamo cosa fosse sbagliato. Ci hanno chiuso in quella stanza per 4-5 ore e per tutto il tempo abbiamo cercato di capire quale fosse il problema".

Inoltre, la donna sostiene che le accuse contro di loro sono state depositate in tribunale prima che la polizia potesse verificarne la veridicità. Quando finalmente sono riusciti a capire il presunto reato da loro commesso, è rimasta scioccata: "Non riesco nemmeno a decidere cosa devo fare adesso. Voglio viaggiare, ma allo stesso tempo non lo voglio. Lo stato in cui mi trovo in questo momento mi costringe a farlo per forza. C'è un problema nuovo ogni giorno che mi impedisce di partire".

"Sono attualmente in un luogo sicuro, ma non confortevole" conferma Meriam durante l'intervista telefonica, nella quale ha anche raccontato del suo parto avvenuto in carcere: "Mi è stato negato l'accesso ad un ospedale e l'unica cosa a cui pensavo era al figlio che stavo per partorire, ero spaventata di doverlo fare in carcere. Ho dato alla luce il mio bambino incatenata, non avevo le manette, ma avevo le catene alle gambe. Non potevo aprire le gambe, quindi le donne che mi assistevano dovevano sollevarmi dal tavolo". I medici temono che le circostanze della nascita del bambino possa avere conseguenze durature. "Non so in futuro se avrà bisogno di un sostegno per camminare o no". (R.P.)

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Filippine. I vescovi: no al ripristino della pena di morte

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Contrarietà assoluta, espressa con voce piena, sul ripristino della pena di morte: è quanto esprime la Conferenza episcopale delle Filippine in un messaggio diramato oggi, di fronte al tentativo di alcune lobby di ripristinare la pena di morte nel Paese. Nella nota inviata all'agenzia Fides, i vescovi ricordano il brano evangelico in cui Gesù dice “Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) e affermano: “La nostra posizione non può essere diversa: predichiamo il Vangelo della vita”. Tuttavia, spiegano, è una posizione condivisibile anche con motivazioni non religiose.

Infatti “scopo della giustizia non è imporre la pena di morte. Un maturo senso della giustizia porta il più lontano possibile dalla punizione”, verso “il ripristino delle relazioni spezzate e della coerenza sociale infranta dall’atto criminale”. “L’esecuzione di una persona – dicono – non contribuisce a nessuno degli obiettivi della giustizia”, anzi solo “un ordinamento giuridico debole e repressivo richiede l'esecuzione dei delinquenti come una vendetta”.

I vescovi definiscono la pena capitale “crudele e disumana”, soprattutto per la terribile ansia che assale chi attende l’esecuzione, un’attesa “più terribile di una tortura”. In secondo luogo, i membri della famiglia delle persone condannate, restano “stigmatizzati, portando con loro il prezzo di un crimine che non hanno mai commesso”. Il testo ricorda che ogni sistema giudiziario “è, come tutti i sistemi umani, suscettibile di errore, ma la pena di morte, una volta eseguita, è irreversibile e niente può compensare l'atto orribile di una persona ingiustamente giustiziata”.

Infine si ricorda che le Filippine hanno sottoscritto il Secondo protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti civili e politici, impegnandosi ad abolire la pena di morte. Pur dicendosi “giustamente sconvolti dalla natura atroce di alcuni reati commessi oggi”, i presuli rimarcano che “la risposta morale, cristiana e matura per questa sfida sociale è la prevenzione della criminalità”, avere la “certezza della pena” nello stato di diritto, e coltivare in modo costruttivo l’educazione al rispetto della vita e della dignità di ogni uomo. (R.P.)

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Perù: no dei vescovi alla normativa per l’aborto terapeutico

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“Solo Dio è padrone della vita; a noi spetta prendersene cura”: così afferma la nota della Conferenza episcopale del Perù, in risposta alla pubblicazione della Guida nazionale per l’interruzione di gravidanza per motivi terapeutici, approvata il 29 giugno scorso dal Ministero della Salute (Misna) locale.

In Perù, l’aborto terapeutico è legale dal 1924 – in base all’articolo 119 del Codice Penale - ma, ad oggi, mancava un protocollo medico per la sua applicazione negli ospedali. Ora, Midori Habich, ministro del Misna, ha previsto una serie di requisiti per accedere al trattamento che non contemplano i casi di violenza sessuale, ma il pericolo di vita per la madre a causa di patologie o malattie gravi (gravidanza ectopica, cancro maligno o cardiopatie). L’aborto terapeutico è ammesso anche quando la gestazione è inferiore ai 22 settimane e solo qualora ci sia l’autorizzazione della gestante o del suo rappresentante legale.

La Conferenza episcopale del Perù ha quindi risposto alla pubblicazione del protocollo con una nota indirizzata ai fedeli, ai cittadini e alle autorità del potere esecutivo ,ma anche alle madri e ai medici, per esprimere il suo rifiuto a una norma ministeriale “immorale, incostituzionale e illegale” in quanto contraria alla Costituzione peruviana che supporta la difesa della persona e della sua dignità (articolo 1) e il diritto alla vita (articolo 2). Quindi secondo l’ordinamento legale, in accordo con il diritto internazionale, “tanto la madre incinta quanto il bambino concepito hanno diritto alla vita, e anche ad essere difesi dallo Stato e rispettati nella loro dignità”.

La Chiesa cattolica del Perù si era già mostrata contraria al protocollo ministeriale l’aprile scorso quando aveva dichiarato che l’aborto terapeutico “non salva, ma uccide”. In seguito all’approvazione di tale documento, l’Assemblea dei vescovi denuncia la flagrante violazione dello stato di diritto per cui si provoca la morte di bambini indifesi fino alle 22 settimane di vita. Non è, infatti, necessario porre fine a una vita “quando gli specialisti in materia hanno dimostrato che anche in quei casi gravi per cui la madre o il bambino sono a rischio della vita, ci sono molteplici rimedi medici che possono salvarli entrambi”.

Inoltre, la Conferenza episcopale denuncia la sordità delle autorità governative peruviane nei confronti della volontà della maggioranza dei cittadini che hanno dimostrato pubblicamente, con manifestazioni e cortei, la necessità di tutelare la vita ed il rifiuto per la pratica dell’aborto terapeutico. “La guida all’aborto terapeutico ha aperto una ferita nella dignità della persona umana – scrivono ancora i presuli - considerata come scartabile e la cui esistenza è soggetta alla decisione della madre e di una équipe di medici”. I vescovi aggiungono che “con l’approvazione del protocollo si è scelta la violenza e la tortura contro un innocente sminuendo i valori su cui si fonda il Paese.”

Infine la Chiesa peruviana ricorda le parole pronunciate da Madre Teresa di Calcutta quando ricevette il Nobel per la Pace nel 1979: “Il Paese che accetta l’aborto non sta insegnando al suo popolo ad amare, ma ad usare la violenza per perseguire ciò che si desidera. Questo perché il maggior distruttore dell’amore e della pace è l’aborto”. (C.G.)

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Vescovi del Congo: difendere costituzione e democrazia

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Una nuova candidatura del Presidente Joseph Kabila, in violazione di norme costituzionali non modificabili, metterebbe a rischio la democrazia e la stabilità del Congo: è questa, nella sostanza, una delle preoccupazioni contenute in un messaggio della Conferenza episcopale dal titolo “Proteggiamo la nazione”.

Nel testo, diffuso a Kinshasa, si evidenziano “progressi realizzati nella lotta contro i gruppi armati” nell’est del Paese e si ricordano le sofferenze di migliaia di concittadini espulsi nei mesi scorsi da Brazzaville.

Nella parte centrale del messaggio, però, si sottolinea l’esigenza di elezioni “libere, credibili e trasparenti”. I vescovi ribadiscono l’opposizione a un sistema di voto indiretto per la scelta degli amministratori provinciali e locali. Poi affrontano il nodo del progetto di riforma della Costituzione approvato il mese scorso dal governo di Kabila. Nel messaggio si evidenzia che, ai sensi dell’articolo 220 della Carta fondamentale, le norme relative al numero e alla durata dei mandati del Presidente “non possono essere oggetto di alcuna modifica”.

La richiesta dei vescovi è allora che tutti gli “attori politici” si rendano conto che queste disposizioni, come quelle relative al suffragio universale, al pluralismo politico, alla forma rappresentativa del governo e all’indipendenza del potere giudiziario, sono “frutto di un ampio consenso teso ad assicurare la stabilità del Paese”.

Kabila ha assunto la guida dello Stato nel 2001, succedendo al padre Laurent. È stato eletto nel 2006 e poi ancora nel 2011, nonostante denunce di irregolarità mosse sia dall’opposizione congolese che da parte della comunità internazionale. La Costituzione prevede un massimo di due mandati alla guida dello Stato, di durata quinquennale. Le prossime elezioni presidenziali dovrebbero tenersi nel 2016.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 183

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.