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Sommario del 03/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco ai giovani: non rinunciate a sognare un mondo più giusto

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“Cari giovani, non rinunciate a sognare un mondo più giusto!”. E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account in 9 lingue @Pontifex, seguito da oltre 14 milioni di follower. Ancora una volta, dunque, il Papa si rivolge ai giovani con parole di incoraggiamento e fiducia nel futuro. Alessandro Gisotti ha chiesto un commento a Gianluca Mannella, giovane animatore della Comunità “Nuovi Orizzonti”, fondata da Chiara Amirante: 

R. – E’ una sollecitazione molto bella, perché nella situazione in cui viviamo, spesso le diverse circostanze ci portano a perdere la speranza, a perdere questo nostro credere, la fede nei nostri sogni. La Chiesa è una delle poche istituzioni che cerca con forza, veramente, di accendere sempre la speranza. La trovo davvero una cosa splendida, molto bella, perché mi dà proprio questa gioia, questa speranza di andare avanti. Le difficoltà non mancano, quando uno viene a contatto con il mondo reale, che in diversi modi cerca sempre di buttarti giù, di farti perdere la speranza. Questa continua sollecitazione, però, dona veramente un gran coraggio, una grande forza nell’andare avanti.

D. – Il Papa, in altre occasioni, ha anche parlato di utopia, dicendo che i giovani in fondo non possono che essere portati all’utopia, perfino alla rivoluzione, ovviamente intendendo – Papa Francesco – l’unica vera, grande rivoluzione, quella portata da Gesù...

R. – Questa è la cosa che veramente colpisce di più al cuore, perché il vero risultato è ottenibile solamente se, appunto, al centro una persona mette l’amore. Tante volte, però, è davvero complicato mettere al centro l’amore, cercare di vivere sempre con un amore vero, senza secondi fini, senza interessi di altro genere. Quindi, tutta questa attenzione, che il Papa riserva a noi giovani, mi dà proprio speranza, mi dà gioia. Alla fine, infatti, ci carica molto, ci carica positivamente, ci dona speranza, ci dona gioia. La trovo quindi una cosa davvero straordinaria.

D. – Tu sei molto giovane – hai 17 anni – come hai iniziato a vivere l’esperienza di “Nuovi orizzonti” e come hai abbracciato anche il motto di “Nuovi orizzonti”, cioè “Gioia sia”, quindi una vita di gioia?

R. – Beh, è cominciato tutto con un primo incontro: quello avuto con Dio. Io, infatti, ho avuto la fortuna di avere avuto un incontro forte con l’amore, con la gioia di Dio. Mi sono trovato, dunque, subito al centro di questo carisma. Penso che sia necessario far vedere fuori come Dio sia amore, come Dio sia gioia, un concentrato – diciamo – di passione, di gioia, di amore; l’unica cosa, veramente, per tenere viva la speranza.

D. – Ovviamente il Papa si rivolge a tutti i giovani, non solo ai giovani cattolici e ai giovani che hanno accolto e vivono il dono della fede. Tu ai tuoi coetanei, che magari non vivono un’esperienza bella, gioiosa di fede come la tua, cosa ti senti di dire quando il Papa chiede di sognare in un mondo più giusto?

R. – Io veramente mi sforzo in tutti i modi di far passare questo messaggio positivo, cercando sempre di vivere nella gioia, nell’amore, di far passare Dio anche nei piccoli gesti, magari anche in un sorriso al compagno che ti sta antipatico o nelle cose più banali, che poi alla fine possono far riflettere su chi siamo veramente noi cristiani e possono anche avvicinare quei ragazzi che non sono vicini alla fede.

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Il Papa in Molise. Il sindaco di Campobasso: è emergenza lavoro

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Le diocesi di Campobasso e Isernia vivono in queste ore l’attesa per l’arrivo del Papa, sabato prossimo. Oltre alle due città, il Pontefice sarà anche al Santuario di Castelpetroso, dove incontrerà i giovani di Abruzzo e Molise. Ma come si sta vivendo l’attesa nel capoluogo molisano? Il nostro inviato, Giancarlo La Vella, ha intervistato il sindaco di Campobasso, Antonio Battista

R. - Nella normalità più assoluta, c’è quell’attenzione di tutte le istituzioni che deve essere resa ad un Papa molto semplice, umile e molto vicino a tutta la gente.

D. - Quali sono le emergenze che la regione Molise, in particolare la città di Campobasso, presenta al Pontefice? Un Pontefice da sempre molto attento alle difficoltà sociali…

R. - E’ il lavoro la vera emergenza, il vero bisogno per la nostra popolazione, per la nostra regione e la città. Ci sarà bisogno di sforzi per uscire da questa crisi che, so benissimo, non è soltanto locale - non è quindi regionale - ma è una crisi nazionale, mondiale. Tuttavia, noi piccole realtà territoriali possiamo fare molto se riusciamo a trovare intese istituzionali e se riusciamo ad uscire fuori da un’idea piccola di territorio.

D. - A Campobasso l’incontro con gli ammalati, persone che - oltre ai problemi di cui lei sta parlando - soffrono purtroppo anche il problema della salute, questo arricchisce ancor di più il significato di questa visita…

R. - Certo. C’è un momento in Cattedrale di maggior vicinanza, oserei dire quasi intimo, privato, proprio con gli ammalati. Saranno presenti persone con invalidità, con problemi di salute anche all’interno del nostro stadio, il vecchio stadio Romagnoli, che abbiamo provveduto a risistemare, abbiamo tolto tutte le barriere che c’erano, le  piccole recinzioni che ovviamente erano presenti per consentire la realizzazione di attività sportive. Anche lì ci saranno persone con disabilità, con problemi. Quello che vogliamo esprimere è la felicità, la bellezza di avere Papa Francesco a Campobasso. Quella vicinanza ci soddisfa pienamente.

D. - Poi ci sono anche i poveri in una regione piccola, ma molto efficiente come il Molise, ci sono anche sacche di indigenza che immagino stiate facendo di tutto per eliminare…

R. - Sì, ovviamente, quella è un’azione sociale che viene realizzata. Il fenomeno non è pesantissimo, la realtà è piccola è c’è molta solidarietà sociale. Tuttavia, noi avevamo bisogno della realizzazione di una mensa per i poveri, ma più che altro di un luogo all’interno del quale comprendere una serie di attività per finalità sociali, in attuazione del piano sociale cittadino, in attuazione della legge regionale. Quindi, il Comune di Campobasso ha messo a disposizione un ex nido comunale - oramai non più utilizzato - per la realizzazione della mensa dei poveri. Ultimati tutti i lavori, sarà un servizio che vedrà la presenza di più attività e più servizi sia per l’ambito cittadino, ma anche per l’ambito sociale regionale. Quindi, in qualche modo, lì andiamo a realizzare con il coordinamento della Caritas una serie di servizi che, obiettivamente, mancavano in città.

D. - Un Pontefice di nazionalità argentina nel Molise; cioè, un Pontefice di un Paese dove nei decenni scorsi molti, anche molisani, si sono recati come immigrati…

R. - C’è un asse che si ricongiunge. Però, io voglio sollevare anche la questione che la crisi che noi stiamo attraversando ha fatto riprendere anche un flusso di emigrazione fuori dal Molise e spesso anche fuori dall’Italia. Questo può essere da sprone per predisporsi bene all’accoglienza delle persone che arrivano a Campobasso, che arrivano nel Molise: faccio riferimento ai flussi migratori dal Nord Africa, rispetto i quali non siamo mai completamente pronti ad accogliere le persone più deboli. Però, questo è anche un grido di allarme, di dolore, per le persone e per i giovani che vanno fuori dal Molise a realizzare la propria fortuna, i propri sogni. Quindi, un’attenzione reciproca che dobbiamo dare ma che chiediamo anche agli altri Paesi.

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Presentati a Cracovia logo e preghiera ufficiali della Gmg 2016

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Sono stati presentati oggi a Cracovia dal cardinale Stanislao Dziwisz il logo e la preghiera ufficiali della 31.ma Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà nella città polacca nel 2016. Ce ne parla Sergio Centofanti

Il simbolismo del logo unisce in modo suggestivo più elementi di questa Gmg il cui tema è tratto dal Vangelo di Matteo: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”. Al centro c'è una croce, cioè Cristo, che è il fulcro delle Giornate Mondiali della Gioventù. Dalla croce partono due scintille, di colore rosso e blu-azzurro, a rappresentare i raggi della Divina Misericordia, il sangue e l’acqua usciti dal costato di Gesù, come si vedono nell'immagine fatta dipingere da Santa Faustina Kowalska. I raggi si confondono con le braccia di un giovane che abbraccia la croce. Il logo è inserito in uno stemma a forma di Polonia, il capo del giovane indica anche la posizione geografica di Cracovia mentre i colori usati, blu, rosso e giallo, si riferiscono ai colori ufficiali della città.

La preghiera ufficiale della Gmg è composta da tre parti: la prima è l'affidamento di ogni essere umano, soprattutto dei giovani, alla Divina Misericordia. Nella seconda si chiede al Signore la grazia di un cuore misericordioso; nella terza l'intercessione della Vergine Maria e di San Giovanni Paolo II, patrono delle Gmg.

Il logo è stato creato da Monika Rybczynska, una giovane polacca di 28 anni, laureata in Scienze della comunicazione all'Università di Varsavia: ha disegnato il logo in Vaticano subito dopo la canonizzazione di Giovanni Paolo II, come forma di ringraziamento per l’intercessione nella sua vita professionale. Un'altra giovane grafica polacca, Emilia Pyza, di 26 anni, ha collaborato alla fase di perfezionamento del logo.

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Nomine episcopali di Papa Francesco

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Negli Usa, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Fall River, presentata da mons. George William Coleman, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Fall River mons. Edgar M. da Cunha, S.D.V., finora vescovo titolare di Ucres ed Ausiliare dell’arcidiocesi di Newark.

In Francia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Verdun, presentata da mons. François Maupu, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Verdun mons. Jean-Paul Gusching, finora vicario generale della diocesi di Amiens.

In Malaysia, il Papa ha nominato Arcivescovo di Kuala Lumpur il rev.do Julian Leow Beng Kim, del clero di Kuala Lumpur, attualmente decano degli Studi e Formatore nel Seminario Maggiore di Penang.

In Ghana, Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di Sekondi-Takoradi il rev.do P. John Bonaventure Kwofie, C.S.Sp., già Superiore Provinciale dei Padri Spiritani per il West Africa.

In Honduras, il Santo Padre ha nominato vescovo di Yoro il rev.do Héctor David García Osorio, del clero della diocesi di Choluteca, finora vice rettore del Seminario maggiore Nuestra Señora de Suyapa di Tegucigalpa e segretario aggiunto della Conferenza episcopale di Honduras.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il dono della libertà: in prima pagina Lucetta Scaraffia su famiglia e annuncio del Vangelo.

Per non dimenticare: intervista di Nicola Gori al cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, che domenica sarà a Lampedusa nell'anniversario della visita del Papa.

Il consumismo incontrollato deve essere abbandonato: intervento della Santa Sede a Nairobi.

Pressing tedesco su Roma e Parigi: scontro nel Ppe dopo il discorso di Matteo Renzi al Parlamento europeo.

E la violenza non risparmiò la pace: Giovanni Cerro sulla brutalizzazione della politica in Europa dopo la prima guerra mondiale.

Silenzio misterioso: Luigi F. Pizzolato su Ambrogio e il suo ingombrante padre.

Agostino, Bergoglio e la verità senza sconti: Diego Fares a proposito di una lezione di venticinque anni fa sul compito dei pastori.

Tutti sul Golgota: Cristina Acidini illustra il nuovo restauro per la Crocifissione dipinta dal Beato Angelico per la Sala Capitolare del convento di San Marco.

Arcobaleno di virtù: Krzysztof Olaf Charamsa su un cammino mariano della vocazione cristiana.

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Oggi in Primo Piano



Israele schiera truppe in prossimità della Striscia di Gaza

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Rischia di precipitare la situazione in Medio Oriente. Secondo fonti di stampa israeliane, l’esercito avrebbe iniziato a schierare uomini e mezzi al Sud, in prossimità della Striscia di Gaza. Si tratterebbe di una risposta al continuo lancio di razzi verso Israele. Intanto il patriarca di Gerusalemme, mons. Twal ha fatto appello alle parti perché non fomentino la vendetta. Ce ne parla Benedetta Capelli: 

Forze e mezzi militari sono schierati in queste ore da Israele nel Sud del Paese, al confine con la Striscia di Gaza. Una mobilitazione che fa pensare ad una nuova escalation di violenza anche se fonti militari israeliane, citate dal quotidiano Haaretz, affermano che lo Stato ebraico non ha alcuna intenzione di alzare il tiro. Sarebbe comunque una risposta al lancio di razzi di stamani verso Sderot che hanno colpito due edifici ma che fortunatamente non hanno provocato vittime. E’ un botta e risposta continuo dopo il ritrovamento dei 3 ragazzi ebrei uccisi e dopo la morte di un giovane palestinese di 17 anni. Israele ha arrestato 13 persone in relazione all’assassinio dei tre mentre si potrebbero tenere oggi, in un clima di tensione, i funerali di Mohammad Abu Khdeir. I suoi famigliari si dicono convinti che sia stato rapito mentre si stava recando a pregare e poi ucciso per vendetta dai coloni ebrei. Ieri intanto è giunta la condanna dell’Onu, il segretario generale Ban Ki-moon ha fatto appello alle parti perché le tensioni non degenerino. Ad intervenire anche mons. Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme per il quale “la vendetta chiama vendetta ma solo il perdono chiama perdono”.

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Guerra in Iraq. Sako: scandalizzato da egoismo Occidente

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L’Arabia Saudita ha rafforzato il controllo dei suoi confini con l’Iraq dispiegando altri 30mila soldati, mentre continua l’avanzata del movimento integralista dell’Isis, lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante. La decisione è giunta dopo le notizie di un ritiro delle truppe irachene nelle aree dove i miliziani qaedisti stanno conquistando posizioni. Di ieri l’appello del leader dell’Isis ai musulmani di tutto il mondo, auspicando la nascita di una sorta di nuovo 'impero' islamico. Sempre più preoccupate le comunità cristiane irachene, come afferma al microfono di Hélène Destombes, il patriarca caldeo Louis Raphaël I Sako

"Le Pays vit aujourd’hui une situation…"
"Il Paese vive oggi una situazione caotica e va verso la divisione. Il Kurdistan è già autonomo e le province sunnite non sono controllate dal governo centrale. Il Sud è più stabile perché è quasi interamente controllato dagli sciiti. E noi cristiani che fine faremo? Comunque sia i cristiani che i musulmani hanno paura, perché tutto il sistema è fragile … Non sappiamo quando la situazione esploderà ... C’è un grande pericolo di una guerra civile tra sunniti e sciiti e altri e questo per indebolire ogni gruppo e dire alla fine che non c’è altra soluzione che la divisione del Paese in tre parti. Per quanto mi riguarda, sono veramente scioccato e scandalizzato dall’egoismo e l’individualismo dell’Occidente. Faccio appello a tutti, a tutte le Chiese, alle Conferenze episcopali, ai cristiani, alle comunità religiose, perché facciano qualcosa, perché alzino la loro voce per condannare tutto questo. Perché aver paura di dire la verità?".

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Egitto: primo anniversario della destituzione di Morsi. Tensioni al Cairo

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In Egitto misure di sicurezza rafforzate e massima allerta in occasione del primo anniversario dalla destituzione da parte dei militari del presidente, Mohamed Morsi, espressione dei Fratelli  Musulmani. I sostenitori del movimento hanno annunciato per oggi la "giornata della collera" e indetto manifestazioni in tutto il Paese. Tre bombe sono state lanciate contro una stazione di polizia a Giza, senza provocare feriti, e al Cairo un sostenitore della Fratellanza è morto nell'esplosione di un ordigno che stava maneggiando. Bloccato fin dalla mattina l’accesso a Piazza Tahrir, dove è impedita ogni forma di protesta. Per un’analisi della situazione politica egiziana ad un anno dalla caduta di Morsi. Marco Guerra ha sentito Gennaro Gervasio, docente di politica e storia del Medio Oriente all’Università britannica del Cairo: 

R. – E’ successo che un progetto neoautoritario con i fratelli e musulmani è stato fermato molto in nuce. Invece, un altro progetto neoautoritario, di matrice controrivoluzionaria, che ha raccolto un fronte ampio dai militari alle forze del regime di Mubarak, è in pieno svolgimento e con estrema forza e una veemenza superiore a quella dei Fratelli musulmani.

D. – Dopo un anno della restituzione di Morsi a che punto è il percorso di cambiamento dell’Egitto?

R. – Dal punto di vista della vita quotidiana, parlando da residente in Egitto, i cambiamenti sono stati finora pochi. Non è stato ancora presentato alcun piano per il risanamento dell’economia e non è stata data alcuna risposta ad altre istanze che erano alla base dei moti rivoluzionari … quindi da questo punto di vista poco. Quello che invece sta continuando a spron battuto è il meccanismo repressivo, perché in questo momento ci sono stati altri arresti, tra cui alcuni eccellenti nelle fila  degli attivisti di matrice laica, ma soprattutto continua il repulisti di persone accusate a torto o ragione di essere vicine alla Fratellanza. Io ne so qualcosa perché ogni tanto vengono arrestati studenti con l’accusa di essere Fratelli musulmani o di avere partecipato a manifestazioni dei Fratelli musulmani.

D. – I fratelli musulmani sono stati dichiarati “formazione terroristica”, quindi adesso possono considerarsi completamente esclusi dalla vita politica del Paese oppure hanno ancora una certa presa sulla popolazione?

R. – Nell’immediato hanno perso parecchio. Molto l’hanno perso nell’anno di governo in cui si erano alienati anche alcuni dei loro supporters. Non è che quelli che erano scesi in piazza contro Morsi il 30 giugno dell’anno scorso erano tutti anti islamisti o super laici o membri del vecchio regime, come poi i Fratelli musulmani e i loro simpatizzanti ci hanno raccontato nel corso di  quest’anno. C’è stata una grande mancanza di autocritica da parte loro. Io vedo tuttavia quello che è avvenuto nei campus, dove in realtà da agosto fino a giugno c’è stata una continua attività  non solo di matrice islamica … Sarebbe dunque miope non riconoscere che la leadership del movimento studentesco è stata assunta dai giovani islamisti. Quindi questo dimostra che i Fratelli musulmani sono estinti dalla vita del Paese.

D. – Ma nonostante i proclami delle formazioni ancora vicine alla Fratellanza non dobbiamo attenderci una nuova estate di sangue?

R. – I segnali sembrerebbero contrari all’ipotesi di una nuova stagione di violenze. D’altra parte, non è facile dirlo, perché i membri della Fratellanza, quelli non imprigionati, tendono a nascondersi e anche all’estero sono molto attenti: la retorica non corrisponde alla realtà dei fatti. Negli ultimi sei mesi, il centro del loro attivismo è stato nei campus e adesso che siamo nella pausa estiva è scemato. Ci sono stati focolai al di fuori delle grandi città, però questi focolai non hanno al momento attecchito all’interno. Mi sembra improbabile che possa esserci una svolta come l’anno scorso ma bisogna prendere con le molle queste previsioni.

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Nord Corea: Cina e Sud Corea, no a sviluppo armi nucleari

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Corea del Sud e Cina si oppongono “fermamente” allo sviluppo di armi nucleari nella penisola coreana: è il messaggio, in una nota congiunta, della presidente Park Geun-hye e dell’omologo cinese Xi Jinping, in visita a Seul. I due leader esprimono inoltre contrarietà “risoluta” all'ipotesi di un nuovo test da parte della Corea del Nord, dopo quelli del 2006, del 2009 e del febbraio 2013. Per il presidente cinese Xi Jinping, che ha sollecitato una ripresa dei negoziati a sei per il disarmo di Pyongyang, si tratta della prima visita in Corea del Sud dal suo insediamento, nel marzo dello scorso anno. Ma si può parlare di un allentamento dei rapporti di Pechino con il tradizionale alleato e partner commerciale nordcoreano? Risponde Rosella Ideo, esperta di Storia politica e diplomatica dell’Asia orientale, intervistata da Giada Aquilino

R. – Non c’è tanto un allentamento, perché non rientra nell’interesse nazionale della Cina avere rapporti non buoni con la Corea del Nord. Ma è semplicemente un avvertimento: ‘guardate che il vostro comportamento non è piaciuto; però, se continuiamo ad avere rapporti con voi, è semplicemente perché, appunto, rientra nel nostro interesse nazionale’… Nelle ultime ore Pyongyang ha lanciato due missili a corto raggio, forse per dimostrare il suo dispiacere per questa visita di Xi Jinping prima a Seul che a Pyongyang. La Cina, tra l’altro, aveva tentato di evitare il lancio di un missile a lungo raggio, a lunga gittata, e il test nucleare che poi invece la Corea del giovane Kim Jong-un ha assolutamente effettuato lo stesso. Tra l’altro, questo terzo Kim non è ancora mai stato invitato a Pechino.

D. – Alla base di questo viaggio, quali altre ragioni ci sono?

R. – Adesso c’è una situazione veramente molto complicata in Asia orientale, che potrebbe sfociare in qualcosa di pericoloso. Pechino e Xi Jinping tendono la mano a Seul perché, tra l’altro, Seul è sempre – facendo parte della penisola coreana – un vicino. E c’è anche il fatto che la Cina, dall’inizio degli anni Novanta in poi, cioè da quando i due Paesi hanno costruito stretti rapporti, ha sempre avuto una politica del ‘doppio forno’, cioè a dire ha sempre mantenuto ottimi rapporti con al Corea del Sud e ottimi rapporti con Pyongyang.

D. – Ci sono poi anche interessi commerciali?

R. – Le ragioni sono sicuramente commerciali: per la Corea del Sud, la Cina è il primo partner commerciale, cosa che è molto importante. Inoltre, ci sono anche accordi per rafforzare gli scambi e le comunicazioni di carattere strategico e poi per facilitare i colloqui commerciali e lanciare un mercato unico monetario – nelle monete nazionali dei due Paesi, della Cina e della Corea del Sud – in modo che si riduca il peso del dollaro nelle transazioni commerciali a due.

D. – Rimane il fatto che gli Stati Uniti sono tra i tradizionali alleati sudcoreani…

R. – Certamente. In Asia nord-orientale, gli alleati degli Stati Uniti sono proprio due: la Corea del Sud e il Giappone. Quello che però ha irritato sia la Cina, sia la Corea del Sud è un rafforzamento, in un certo senso, del trattato di sicurezza nippo-americano e il cambio della Costituzione pacifista, avvenuto proprio questa settimana, che permette al Giappone per la prima volta, sotto il nome di “difesa collettiva”, di intervenire su altri fronti bellici in aiuto degli Stati Uniti non più con un supporto logistico, ma con i suoi militari. Ci sono infine questioni territoriali che contrappongono la Cina e la Corea del Sud al Giappone, per degli isolotti che sono contestati dai tre Paesi.

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Renzi a Strasburgo: "Senza crescita l'Europa non ha futuro"

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Matteo Renzi inaugura il semestre italiano al Parlamento europeo con un discorso incentrato su crescita, riforme e cambiamento. A prendere la parola dopo di lui il presidente della Commissione Barroso che assicura: serve un Italia forte per un' Europa forte. Polemiche invece per la decisione del premier di non tenere la tradizionale conferenza stampa al termine della sessione plenaria. Cecilia Seppia: 

Orgoglio e Coraggio: ruota su questo asse il semestre a guida italiana secondo le parole di Matteo Renzi che al centro del suo discorso mette i temi economici, chiede flessibilità ma non manca di ribadire il bisogno di recuperare vecchi valori, declinandoli al nuovo. “Se l’Europa facesse un selfie - dice in apertura il premier-  vedremmo l’immagine della rassegnazione e della noia mentre la vera sfida è ritrovare l’anima”, il senso del nostro stare insieme, ma anche il ruolo di avanguardia, raccogliendo l’eredità dei padri: perché noi – assicura – siamo la generazione Telemaco. Poi insiste sulla crescita senza la quale non c’è futuro per nessuno e ribadisce: non si vive di sola stabilità. Chiede istituzioni semplici, veloci e dice "no" a quella burocrazia che ha fatto fin troppo male anche all’Italia. Quindi gli impegni: il rispetto delle regole, la lotta alla disoccupazione, la volontà di cambiamento: “non siamo in Europa per chiedere ma per dare” assicura. Infine solleva aperture e azioni concrete sull’immigrazione e le crisi internazionali come Ucraina e Medio Oriente. Positivo il commento del premier britannico Cameron che si dice proto a lavorare con Renzi alle riforme; duro invece l’affondo del capogruppo del Ppe che boccia la flessibilità auspicata dal premier, e invoca il rigore.

 

Per un commento sull'intervento di Renzi, abbiamo intervistato la professoressa Federiga Bindi, docente di Politica europea al centro "Jean Monnet" dell'Università di Tor Vergata: 

R. – Devo dire che ho molto apprezzato il discorso di Renzi, che in realtà non ha parlato di priorità, ma ha ricordato perché c’è l’Europa, da dove veniamo, perché è importante. E credo che oggi sia veramente fondamentale ricordarci questo.

D. – Poi, ovviamente, ha insistito sulla crescita, senza la quale non c’è futuro, né per l’Italia né per l’Europa, e ha insistito sulla flessibilità, incontrando subito le critiche del Ppe e il gelo del premier olandese...

R. – Le critiche, secondo me, vanno lette insieme all’intervista del ministro delle finanze tedesco Schäuble al Financial Times di pochi giorni fa. Il punto è che è vero che bisogna fare politiche di crescita - e questo credo che sia il punto centrale del semestre di Renzi – ma la domanda è: fino a che punto Renzi ha veramente già cominciato a lavorare su questo? Secondo punto di domanda: fino a che punto le speranze di Renzi, di rendere più flessibili le regole, si scontreranno con la volontà degli altri Paesi membri? Schäuble nella sua intervista dice chiaramente che nessuno ha sollevato il problema di rivedere le regole, in senso di maggiore flessibilità. Quindi, c’è un grosso gap fra quello che dice Renzi pubblicamente e quello che poi succede nelle stanze del potere.

D. – In effetti, flessibilità suona come una parola nuova, rispetto a rigore o a bilancio, pareggio di bilancio, che noi siamo abituati a sentire in questi anni...

R. – Se continuiamo con politiche di rigore strette, come quelle di adesso, non usciamo dalla crisi. Dobbiamo fare politiche di crescita. Come si fanno politiche di crescita, compatibilmente con i criteri di Maastricht? Evidentemente la cosa migliore è scorporare alcuni tipi di spese. In questo senso, il governo italiano parla di flessibilità, e dice: “Noi non vogliamo avere flessibilità nel senso di cambiare i parametri o non rispettare i parametri, ma vogliamo non includere certi tipi di spese”. Qual è il problema? Non essendo Renzi un tecnico dell’Europa, non si rende conto che la parola flessibilità richiama negli altri un mancato rispetto delle regole. Probabilmente, quindi, dovrebbe utilizzare una terminologia diversa, per dire le cose che ho appena detto.

D. – “Coraggio” ed “orgoglio” sono state le parole chiave del suo discorso, ma anche la semplicità. Renzi ha chiesto un’Europa più smart. Cosa vuol dire e come si fa?

R. – Un bel passaggio è stato quello sulla burocrazia: “Ne abbiamo già troppa in Italia”. Un’Europa più smart è sicuramente un’Europa che smette di occuparsi di dettagli piccolissimi, per avere una grande visione. Anche lì, però, un dettaglio piccolissimo, che è stato approvato negli ultimi giorni - il roaming dei telefoni – in realtà si trasmuta in un grande progetto per i cittadini. E’ evidente che Renzi ha la visione, non ha i dettagli, e questo a volte può diventare un handicap.

D. – Un’altra cosa che è saltata all’orecchio di chi ascoltava è l’uso di un linguaggio molto nuovo, tecnologico; ha usato il termine selfie, per dire appunto che l’Europa se si facesse un selfie risulterebbe l’immagine della rassegnazione, della noia. Poi ha detto che l’Europa non può essere un puntino su Google Maps. Anche questo linguaggio, quindi, sa di novità...

R. – Renzi chiaramente appartiene ad un’altra generazione rispetto a molti leader europei. Quindi da quel punto di vista forse è divisivo, nel senso che c’è tutta una generazione che lo capisce e lo sostiene, proprio per via di questo linguaggio, perché lo riconosce in quanto tale - può piacere o non piacere, ma lo riconosce in quanto tale, lo riconosce come segnale di cambiamento - ma c’è sicuramente una generazione diversa, che è abituata a tutt’altro linguaggio e che quindi, secondo me, reagisce negativamente, proprio con una reazione di chiusura. Forse, considera questo modo di parlare uno sminuire la politica, che invece non è: è un modo di essere ascoltato da chi normalmente non ascolta la politica.

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Migranti. Acnur: non abbiamo possibilità di accreditamento in Libia

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Le tragedie dell’immigrazione. Dopo i due di ieri, altri due presunti scafisti del "peschereccio della morte" di Pozzallo, nel quale hanno perso la vita 45 migranti, sono stati fermati dalla polizia giudiziaria. Si tratta di due senegalesi. L'equipaggio avrebbe ricevuto 15 mila euro dai trafficanti per il viaggio. Intanto nella notte è sbarcato in Calabria un gruppo di circa 40 migranti. Secondo le stime dell'Acnur, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sono circa 500 i migranti morti nel Mediterraneo dall'inizio del 2014. A fronte di questo dramma, quali sono le proposte dell’Acnur? Debora Donnini lo ha chiesto alla portavoce dell'Acnur per il Sud Europa, Carlotta Sami

R. - Abbiamo focalizzato le nostre proposte attorno a due ambiti principali: il primo è quello di continuare a rafforzare le operazioni di salvataggio e soccorso in mare, per far sì che l’operazione - in questo momento condotta dall’Italia - diventi un’operazione europea e che si estenda soprattutto all’intero Mediterraneo perché ci sono state morti anche nel Mare Egeo e non solo a pochi chilometri dalle coste libiche. Il secondo pacchetto di proposte è quello di rafforzare le alternative legali: significa mettere a disposizione da parte degli Stati membri dell’Unione Europea più posti per quelle che vengono chiamate “ammissioni umanitarie”, cioè ingressi umanitari di rifugiati che possono accedere ai Paesi europei direttamente dai campi o dai luoghi dove vengono registrati come rifugiati. Ci riferiamo quindi a coloro che sono maggiormente in situazioni di bisogno, a partire dai siriani ma non solo; le situazioni degli eritrei, dei somali e dei maliani sono altrettanto tragiche. Quindi, ammissioni umanitarie, reinsediamenti che vengono effettivamente, in qualche piccola misura, già previsti e vanno quindi aumentati, e facilitazioni dei ricongiungimenti familiari.

D. – Il ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, ha sottolineato che si potrebbe chiedere alla Libia di fare richiesta all’Acnur di intervenire e magari aprire campi umanitari sotto il controllo dell’Onu. Come vede lei questa proposta?

R. - Se i governi europei riescono ad avere un maggior dialogo improntato ai diritti umani con la Libia, l’Acnur non può che vederli in maniera positiva. Da qui al discorso invece di aprire campi rifugiati in Libia la cosa è molto diversa: noi non abbiamo possibilità di accreditamento in Libia; la Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra, non riconosce i richiedenti asilo come tali e quindi  non ci sono le condizioni umanitarie per fare questo tipo di lavoro da parte nostra in quel Paese. Quindi, se fosse possibile un dialogo improntato ai diritti umani tra i governi dell’Unione Europea e la Libia, noi saremmo molto contenti perché la prima nostra preoccupazione sono le condizioni terribili, drammatiche, di abuso e violazione di diritti umani che queste persone subiscono in Libia.

D. - Il ministro Pinotti poi ha parlato anche di un piano, allo studio, da 130 milioni di Euro per assistere gli immigrati appena sbarcati in Italia ed uno screening nelle caserme per verificare di utilizzarne alcune come centri di accoglienza. Voi comunque pensate che ci debba essere una maggiore partecipazione dell’Europa perché l’Italia effettivamente da sola ha dei problemi…

R. - La responsabilità è una responsabilità comune, europea. E’ anche vero che per ragioni, anche semplicemente geografiche, alcuni Paesi - tra cui l’Italia - si trovano ad essere maggiormente impegnati nelle prime fasi, cioè della prima accoglienza. Altri Paesi europei lo sono però in una fase immediatamente successiva, che è quella delle soluzioni di lungo termine per i rifugiati e lo dimostrano i numeri e i fatti: i richiedenti asilo in Italia sono poco più di 20 mila; quest’anno, invece, in Germania superano di molto le 150 mila unità. Quindi, ognuno porta la sua responsabilità, l’importante è che queste responsabilità vengano in qualche maniera riconosciute ed anche aumentate; venga fatto uno sforzo maggiore da parte di ognuno. Per quanto riguarda l’Italia, nello specifico, che si faccia tutto il possibile per avere finalmente un piano strutturato per l’accoglienza, perché questa non è un’emergenza ma un dato strutturale: l’Italia ha bisogno, ormai da troppo tempo, di un piano stabile, ben organizzato e che dia la possibilità al governo centrale e agli enti locali di gestire i flussi e gestire gli arrivi.

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Per rilanciare la Rai serve innovazione, cultura, riformare l’Auditel

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“La riforma della Rai” è il stato il tema di un dibattito organizzato ieri pomeriggio a Roma dalla Rivista di cultura “Il Calendario del Popolo”, in uscita con un numero monografico dal titolo “Tele Visioni”, dedicato ai 60 anni della Tv di servizio pubblico in Italia. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Da almeno 20 anni la Rai viene criticata nel suo ruolo di servizio pubblico assimilato sempre più alla Tv commerciale, dominata da logiche di profitto. All’estero, da sempre la Bbc in Gran Bretagna e, in anni recenti, i canali pubblici in Francia e Spagna, hanno eliminato la pubblicità o l’hanno fortemente limitata in Germania. Sergio Bellucci esperto di comunicazione e innovazione promotore dell’incontro:

“Quella volontà fu, in realtà, interdetta perché l’equilibrio tra le risorse che prendeva la Rai e le risorse che dovevano andare a Mediaset non poteva essere toccato dai grandi accordi che hanno governato questo Paese negli ultimi 20-25 anni. Oggi ci troviamo con 20 anni persi, con il digitale che ha cambiato lo scenario complessivo dell’offerta e dei contenuti e quindi con un problema gigantesco, e cioè: la sperimentazione non può, semplicemente, ripartire da dove ci siamo fermati 20 anni fa. Abbiamo bisogno di idee nuove. Abbiamo la necessità di una fase di riflessione teorica ma anche, finalmente, di aprire le porte a sperimentare qualche cosa di nuovo”.

Puntare alla qualità per ridare senso e prestigio alla Rai? Ma si dice che la cultura non paghi in termini di audience: è proprio così? Flavia Barca, docente di Economia dei Media all’Università La Sapienza a Roma:

“C’è ancora questa idea vecchia della cultura come idea di élite. La cultura, quando è fatta bene, quando il prodotto culturale è un prodotto di valore, riesce anche ad essere un prodotto di grandissimo pubblico. Allora, la Rai per produrre non solo cultura ma anche un indotto economico importante, potrebbe ripartire avendo proprio come missione quella di rilanciare il mercato della produzione. Quindi, produrre contenuti di più alta qualità, creativi, realizzati da piccole imprese o dalle grandi imprese del Paese. Per esempio, noi abbiamo un patrimonio culturale enorme di idee, di beni culturali e di grandi beni artistici. Potremmo ripartire da un grande progetto che valorizzi, proprio in termini di marketing turistico e commerciale, tutto questo patrimonio. Un grande progetto culturale che potrebbe diventare anche un grande progetto di sviluppo per il Paese”.

Progetti di qualità sovente stroncati dai dati Auditel, unico misuratore degli ascolti Tv da 27 anni, sistema screditato e contestato, a servizio del marketing e non del pubblico. I tempi sono maturi per voltare pagina?

“Penso assolutamente di sì. E’ un cammino molto importante e in questo senso varrebbe la pena di guardare anche alle nuove tecnologie, al web e a tutti quei sistemi di contatto e di rapporto con il proprio pubblico in un’ottica di grande trasparenza ,che oggi le nuove tecnologie ci permettono”.

La ricerca dell’audience ha contaminato anche i Tg Rai, specie in prima serata: superficiali, infarciti di cronaca nera e gossip. Critiche fondate? Ennio Remondino, giornalista, già inviato e corrispondente del Tg1:

“Assolutamente sì. Credo che sia sotto gli occhi di tutti, perché ci sono degli incapaci che rincorrono stupidamente il mercato, non sapendo di danneggiare proprio l’audience, cioè di perdere ascoltatori, in questa maniera. D’altronde, siamo di fronte ad una rivoluzione del sistema: siamo passati dai mass media alla massa dei media, ed è una grande confusione sotto il cielo … Al momento, il fare tutto nello stesso contenitore vuol dire fare dei minestroni insipidi: pigli quello che trovi, per strada, e cacci in pentola. E ciò non è buono: è il modello Internet. Bisogna, nel calderone Internet, saper scegliere gli elementi caratterizzanti per fare un buon piatto”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Mosul: incursioni nelle chiese. Si tratta per la liberazione di suore ed orfani

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“Da qualche giorno l'aviazione militare irachena ha iniziato a bombardare Mosul, e i raid aerei stanno crescendo ogni giorno d'intensità. Ieri le strade che attraversano la Piana di Ninive erano piene di convogli di auto con le famiglie musulmane in fuga da Mosul verso Erbil e il Kurdistan iracheno”. Così l'arcivescovo caldeo di Mosul Amel Shamon Nona descrive all'agenzia Fides la situazione sul campo nella città conquistata il 9 giugno dagli insorti sunniti guidati dai miliziani jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil).

Le incursioni aeree continuano a svuotare la città della popolazione civile, mentre i miliziani continuano a controllare i quartieri e si registrano incursioni di gruppi armati anche nelle chiese. Tra ieri e l'altro ieri – riferisce a Fides l'arcivescovo Nona “gruppi armati hanno fatto incursione nella chiesa siro-ortodossa di Sant'Efrem e in quella siro-cattolica intitolata a San Paolo. I blitz sono durati poche decine di minuti, e ci viene confermato che dalla chiesa siro-ortodossa è stata asportata la croce presso l'altare”. Nei primi giorni successivi alla caduta di Mosul in mano agli insorti, gruppi di musulmani avevano presidiato le chiese per impedire saccheggi.

Riguardo alle due suore e ai tre orfani sequestrati a Mosul lo scorso 28 giugno, non hanno finora avuto esito positivo le iniziative per ottenere la loro liberazione subito tentate dalle autorità ecclesiastiche locali attraverso canali riservati di mediazione. Intanto nelle città e nei villaggi della Piana di Ninive l'interruzione dell'elettricità e delle forniture idriche inizia a creare situazioni di emergenza umanitaria tra la popolazione, anche a causa del caldo torrido che sta interessando la regione.

Tutta l'area della Piana, fino a poche decine di chilometri da Mosul, adesso è sotto controllo militare curdo. Ma le milizia curde Peshmerga non manifestano per ora l'intenzione di coordinarsi con l'esercito governativo iracheno e entrare in conflitto con gli insorti sunniti. Diversi analisti ipotizzano un patto non scritto di non aggressione tra curdi e ribelli sunniti: un eventuale smembramento dell'Iraq favorirebbe il progetto d'indipendenza da sempre accarezzato dai curdi nel nord dell'Iraq.

Per questo i leader curdi avrebbero ora una tacita convergenza di interessi con i jihadisti dell'Isil, che a loro volta, nella loro avanzata rapida in territorio iracheno, hanno potuto contare sull'appoggio delle tribù sunnite legate al Baath, il Partito di Saddam Hussein la cui rete era stata esautorata dopo la caduta del regime. Occorre tener presente che proprio il partito Baath, un tempo simbolo del nazionalismo pan-arabo, è lo stesso che in Siria col suo apparato fornisce la base al regime degli Assad. Un quadro in cui si coglie in tutta la sua complessità non aliena da contraddizioni il gioco di alleanze, connivenze, opposizioni e interessi che stanno scuotendo quelle aree del Medio Oriente. (R.P.)

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Libano: appello dei patriarchi a "preservare i valori democratici"

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Un appello a "preservare i valori democratici" e la libertà è stato lanciato dai cinque patriarchi antiocheni, cattolici e ortodossi. Giunge nel momento in cui qualcuno tenta di imporre una teocrazia in Iraq e in Oriente e anche in Libano si evidenziano segnali inquietanti, come la bomba lanciata ieri a Tripoli contro un caffè aperto durante le ore del digiuno per il Ramadan o l'annuncio della Free Sunnis of Baalbek Brigade di aver creato uno speciale gruppo per attaccare le chiese.

Nell'appello lanciato martedì dalla sede del Patriarcato greco-ortodosso di Balamand i cinque patriarchi hanno reso grazie "per il clima di libertà del quale il Libano continua a godere, malgrado le difficoltà che sta attraversando e hanno invitato i responsabili a preservarne i valori democratici, la libertà e l'alternanza al potere sui quali riposa il Libano".

Invitati dal patriarca Giovanni X per l'apertura dell'annuale Sinodo della Chiesa greco-ortodossa, i cinque patriarchi di Antiochia, Giovanni X Yazigi, Béchara Boutros Raï (maronita), Ignazio Ephrem II Karim (siro-ortodosso), Ignazio Youssef III Younan (siro-cattolico) et Gregorio III Laham (greco-cattolico) hanno anche invitato gli uomini politici libanesi "a porsi al di sopra degli interessi personali e ad affrettarsi a eleggere un Presidente della Repubblica che veglierà sull'unità del Libano e ristabilirà le istituzioni nel loro funzionamento regolare, in particolare la Camera dei deputati e il Consiglio dei ministri, per rendere lo Stato capace di far fronte alle gravi sfide economiche, sociali e di sicurezza".

Va ricordato che la presidenza della Repubblica, in Libano, è vacante dal 25 maggio scorso, senza che il Parlamento sia riuscito a eleggere un nuovo capo dello Stato che è, tradizionalmente, un cristiano maronita.

I patriarchi hanno anche deciso "la creazione di una commissione congiunta per stimolare la cooperazione tra le Chiese antiochene e organizzare attività congiunte".

Al tempo stesso, riferendosi alla guerra che infuria in Siria e Iraq, hanno chiesto ai loro fedeli di essere partecipi delle sofferenze che hanno origine nella guerra" e di offrire ospitalità, ogni volta che è possibile, ai loro fratelli costretti all'esodo.

I patriarchi - che hanno inoltre reclamato "il ritorno di tutti gli ostaggi, laici e religiosi, a cominciare dai vescovi Youhanna Ibrahim e Boulos Yazigi, scomparsi da 14 mesi - hanno pregato "per la Siria e anche "per l'Iraq e in particolare per la popolazione di Mosul e del nord del Paese, attualmente in una situazione molto precaria con la presa della città e l'avanzata dei combattenti dell'Isil nella piana di Ninive. Hanno anche chiesto alla comunità internazionale di "salvare l'Iraq dalla disintegrazione", di "conservarvi l'uomo e le culture, in particolare la cultura cristiana". (R.P.)

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Pakistan: peggiora la salute di Asia Bibi. Appelli per la liberazione

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"Condanniamo con forza l'atteggiamento della magistratura. Asia Bibi ha sofferto ormai abbastanza, anche la sua famiglia ha sofferto. Ora è tempo che venga fatta giustizia, che le siano fornite le cure necessarie; i giudici devono affrontare immediatamente il suo caso". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews l'attivista pro diritti umani Akeel Ali Mehdi, un musulmano, che riporta l'attenzione sul dramma della madre cristiana di cinque figli, condannata a morte per blasfemia e da anni in attesa del processo di appello.

Preoccupazioni condivise da padre Ilyas John, sacerdote e attivista dell'arcidiocesi di Lahore, che conferma il rapido "peggioramento" dello stato di salute "psicologica e fisica"; egli chiede "cure mediche immediate" e conferma l'attenzione e le preghiere della Chiesa per Asia Bibi e Sawan Masih, un giovane anch'egli in carcere con una condanna a morte in base alla "legge nera".

Asia Bibi, dal novembre 2010 nel braccio della morte, in regime di isolamento per motivi di sicurezza, è da tempo un simbolo della lotta contro la blasfemia; per averla difesa, nel 2011 gli estremisti islamici hanno massacrato il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro federale per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico. La comunità cristiana pakistana ha promosso giornate di digiuno e preghiera - cui hanno aderito anche musulmani - per la sua liberazione.

Nelle scorse settimane la Corte di appello di Lahore ha più volte rimandato l'inizio del processo di secondo grado, perseguendo - secondo i legali della donna - una tattica dilatoria grazie a espedienti legali di vario tipo. L'ultimo episodio risale a fine maggio, quando il fascicolo relativo ad Asia Bibi è scomparso senza motivo dalla lista delle udienze. Fonti locali riferiscono che i magistrati non vogliono assumersi l'onere di emettere un giudizio sul suo caso, mentre "ordini superiori" spingono a rimandare il momento del verdetto.

Gli avvocati Sardar Khan Chaudhry e Sardar Mushtaq Gill hanno depositato una nuova petizione, perché venga fissata una data e prenda il via il processo di appello. La società civile e diversi politici, non solo cristiani, stanno perorando la causa della donna attraverso campagne di sensibilizzazione e iniziative volte a ottenerne il rilascio. Nella petizione presentata alle autorità si parla anche di una salute "psicologica e fisica" in rapido peggioramento, confermata anche dalla famiglia che l'ha incontrata nelle scorse settimane. Dal ministero degli Interni riferiscono che la donna può disporre di due visite mediche mensili, mentre i vertici della prigione parlano di rapporti medici "montati ad arte". Tuttavia, difesa e parenti rilanciano l'allarme sulle sue condizioni e chiedono cure mediche approfondite, assieme ad una data certa per il processo di appello.

Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Decine gli episodi di violenze, fra attacchi mirati contro intere comunità (Gojra nel 2009 o alla Joseph Colony di Lahore nel marzo 2013), luoghi di culto (Peshawar nel settembre scorso) o abusi contro singoli individui (Sawan Masih e Asia Bibi, Rimsha Masih o il giovane Robert Fanish Masih, anch'egli morto in cella), spesso perpetrati col pretesto delle leggi sulla blasfemia. (R.P.)

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Sud Sudan: rischio carestia. Morti e saccheggi negli ospedali

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Il Sud Sudan, lacerato da una guerra civile dalla fine del 2013, rischia di cadere nella morsa della carestia nelle prossime settimane se non arriveranno aiuti massicci: e' la stima di un gruppo di organizzazioni non governative. Decine di migliaia di persone - riporta l'agenzia Ansa - sono state uccise e si registrano 1,5 milioni di sfollati dallo scoppio della guerra a meta' dicembre 2013. L'Onu, tuttavia, ha per il momento solo il 40% dei fondi necessari per gli aiuti umanitari: manca quindi ancora piu' di un miliardo di dollari (760 milioni di euro).

Ed è di 6 ospedali saccheggiati o bruciati, e almeno 58 persone uccise al loro interno il bilancio tracciato dal rapporto di Medici senza frontiere (Msf) sul Sud Sudan, diffuso alla vigilia del terzo anniversario dell'indipendenza del Paese. Un bilancio drammatico - riferisce l'agenzia AdnKronos - che vede nella violenza negli ospedali e nella distruzione delle strutture sanitarie la negazione dell'assistenza medica a molte delle persone più vulnerabili dello Stato. Le cifre riportate ne 'Il conflitto in Sud Sudan: Violenza contro l'assistenza medica' non sono esaustive, ma rispecchiano solo le informazioni raccolte da Msf in zone dove gestisce delle attività o dove ha condotto valutazioni mediche.

Gli ospedali sono stati saccheggiati nelle città di Bor, Malakal, Bentiu, Nasir e Leer, spesso durante periodi di violenti combattimenti, e i danni vanno ben oltre gli atti di violenza in sé: le persone vulnerabili, infatti, vengono tagliate fuori dal sistema sanitario proprio quando ne hanno un disperato bisogno.

"Il conflitto scoppiato nel dicembre scorso ha raggiunto terribili picchi di violenza anche contro le strutture sanitarie" racconta Raphael Gorgeu, Capo Missione per Msf. "Hanno sparato ai pazienti mentre erano nei loro letti e strutture sanitarie salva-vita sono state bruciate e completamente distrutte. Questi attacchi - continua - hanno gravi conseguenze per centinaia di migliaia di persone che sono tagliate fuori dai servizi medici".

Gli ospedali statali del Sud Sudan sono stati teatro di alcune delle violenze peggiori. Durante gli scontri di dicembre, nel Bor State Hospital, 14 pazienti e un membro del Ministero della Salute sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. A febbraio sono state uccise altre 14 persone al Teaching Hospital di Malakal, tra cui 11 pazienti, a cui hanno sparato mentre erano nei loro letti. Ad aprile, al Bentiu State Hospital, circa 28 persone sono state uccise, tra cui almeno un membro del Ministero della Salute. Msf ha più volte condannato queste violenze e chiede alle parti coinvolte nel conflitto di garantire che la popolazione in Sud Sudan possa cercare assistenza medica senza paura della violenza. (R.P.)

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Bambini nei conflitti: l'Onu denuncia impunità

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Nel 2013, più di 4.000 casi sono stati documentati dalle Nazioni Unite ma certamente molto di più sono stati i bambini reclutati e utilizzati, uccisi e mutilati, vittime di violenza sessuale e altre violazioni gravi nelle 23 situazioni di conflitto, prese in esame in tutto il mondo. Questi - riferisce l'agenzia Misna - sono alcuni dei risultati che sono stati presentati nella relazione annuale del Segretario Generale sui bambini e i conflitti armati.

“Abbiamo documentato i casi di bambini reclutati e utilizzati da sette eserciti nazionali e 50 gruppi armati che combattono le guerre in Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Siria, e in altri 11 Paesi”, ha detto Leila Zerrougui, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i bambini e i conflitti armati. ” Nella relazione abbiamo documentato anche progressi, come nel Ciad dove l’esercito nazionale del Paese non è più nella lista per il reclutamento e l’impiego di bambini mentre in Yemen, lo scorso maggio, è stato firmato un proprio Piano d’azione per porre fine e prevenire il reclutamento.

Nelle liste ‘nere’ è invece entrato il movimento nigeriano Boko Haram che “continua a commettere violenze indicibili contro i bambini e io sono profondamente preoccupata per la sorte delle numerose ragazze rapite negli ultimi mesi”, ha detto Leila Zerrougui. L’anno 2013 è stato caratterizzato da un aumento del numero di bambini uccisi o mutilati in Paesi come l’Afghanistan, Siria e Iraq. Il reclutamento di bambini nella Repubblica Centrafricana è stato sistematico e i diritti dell’infanzia sono stati violati da tutte le parti del conflitto in totale impunità. La Siria è rimasta per i bambini uno dei luoghi più pericolosi al mondo, mentre nel Sud Sudan il conflitto scoppiato nel dicembre 2013 ha cancellato la maggior parte dei progressi compiuti per proteggere i bambini, dopo l’indipendenza del Paese.

Le grandi crisi del 2013 stanno continuando anche durante quest’anno. In Iraq i recenti attacchi da parte dei militanti dello Stato Islamico d’Iraq e Siria (Isis) hanno creato una situazione estremamente volatile e pericolosa per i bambini. Il rappresentante speciale sta ricevendo segnalazioni inquietanti di reclutamento e di altre gravi violazioni contro i bambini che richiedono un intervento immediato.

“Ciò che è comune alla maggior parte di queste situazioni di conflitto è che i diritti dei bambini sono violati in totale impunità”, ha concluso Zerrougui. (R.P.)

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Colombia: incontro interreligioso per la pace nel Paese

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Cattolici, ebrei e musulmani in Colombia hanno firmato una storica dichiarazione comune per la pace. Come riferisce l'agenzia Fides, l’accordo è avvenuto il 1° luglio presso il palazzo arcivescovile di Bogotá, alla presenza del card. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotà, del rabbino Alfredo Goldschmidt e del leader musulmano Ahmad Tayel.

La nota inviata a Fides dalla Conferenza episcopale colombiana, riferisce che nel documento, queste comunità, si impegnano a continuare a percorrere insieme le vie per la pace e per la riconciliazione in Colombia.

“Purtroppo lungo la storia religiosa si è dimostrato che vi è stata rivalità tra le comunità religiose, anche si segue lo stesso Dio. Papa Francisco ha voluto compiere a Roma un gesto di riconciliazione tra due nemici che oggi sembrano inconciliabili, Israele e Palestina. Imitando questo gesto ci siamo radunati in un momento di preghiera per invocare la pace in tutto il mondo, ma soprattutto per la pace in Colombia”, ha spiegato il card. Salazar.

Il rabbino Alfredo Goldschmidt, rappresentante della comunità ebraica, ha detto che “la preghiera per la pace è l'occasione per chiudere la porta dell’odio e della violenza: è quanto accade in Colombia, come in Medio Oriente”.

La celebrazione per la pace ha previsto momenti di musica e preghiera e, sul finire, la firma e lettura della dichiarazione interreligiosa da parte delle tre comunità. Ospite e testimone è stato il vice presidente della Repubblica, Argelino Garzón, che ha voluto sottolineare il gesto come esempio per i colombiani e per tutti gruppi e le nazioni in situazione di guerre fratricide. (R.P.)

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Usa: leader religiosi uniti in difesa della legge sulla libertà religiosa

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Il Religious Freedom Restoration Act (Rfra) è “una delle tutele giuridiche più vitali della nostra nazione per la libertà religiosa e i diritti della coscienza di ogni persona di ogni fede” Per questo non va “modificato” o “abrogato”. È quanto chiedono i leader delle principali confessioni religiose degli Stati Uniti — tra i quali il presidente della Conferenza episcopale (Usccb), mons. Joseph Edward Kurtz — in una lettera indirizzata ai membri del Congresso, in cui si evidenzia l’importanza della legge sulla libertà religiosa approvata nel 1993 con un voto unanime. La Rfra infatti contiene un quadro normativo molto flessibile che, affermano , “protegge i diritti e le libertà degli individui di tutte le fedi, compresi i più deboli”.

“Negli Stati Uniti, la libertà di religione ha sempre compreso, e deve sempre comprendere, il diritto di vivere la propria fede e di agire secondo la propria coscienza al fuori dal proprio luogo di culto”, scrivono ancora gli esponenti religiosi, ricordando come “per oltre due decenni” questa legge abbia “protetto gli americani di tutte le fedi dalle pressioni del Governo”. Tra i firmatari del documento, rappresentanti delle comunità battiste, presbiteriane, avventiste del settimo giorno, luterane , ebraiche, indù e buddiste.

Domani, intanto, con una messa presieduta dal card. Donald Wuerl nella basilica nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington, si conclude la terza edizione della “Fortnight for Freedom”, la campagna per la libertà religiosa della Usccb iniziata il 21 giugno. Quindici giorni di preghiere, riflessioni, catechesi e manifestazioni per mobilitare la comunità cattolica e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla difesa di questo principio fondamentale, sempre più minacciato oggi nel Paese da politiche che limitano il diritto di esprimere e praticare le proprie convinzioni etiche e religiose. Il tema scelto per questa edizione è “Libertà di servire” e vuole sottolineare lo stretto collegamento tra la libertà religiosa e il servizio dei poveri e dei più vulnerabili. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 184

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.