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Sommario del 07/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa alle vittime di abusi: chiedo perdono, nessuna tolleranza per questo crimine

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Nella cappella della Casa Santa Marta, stamani, si è vissuto un momento di straordinaria intensità e commozione. Papa Francesco ha infatti celebrato una Messa alla presenza di un gruppo di sei vittime degli abusi sessuali da parte di membri del clero. Il Pontefice, parlando in spagnolo, ha sottolineato che nella Chiesa “non c’è posto” per coloro che commettono abusi ed ha affermato con forza l’impegno “a non tollerare” questo crimine. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Vi chiedo perdono e piango con voi. L’intensità di un incontro commovente è tutto racchiuso in queste parole del Papa. All’inizio dell’omelia, Francesco richiama l’immagine di Pietro che, guardando Gesù uscire dall’interrogatorio che prelude alla sua morte, incrocia lo sguardo con il Signore e piange. Oggi, ha sottolineato, “il cuore della Chiesa guarda gli occhi di Gesù” nei bambini abusati “e vuole piangere, chiede la grazia di piangere”. E piange per i suoi figli “che hanno tradito la loro missione” e hanno abusato di “innocenti”. Da tempo, ha affermato il Papa guardando negli occhi le vittime degli abusi, “sento nel cuore un profondo dolore”. Esprime dunque il suo “dolore per il fatto che alcuni sacerdoti e vescovi hanno violato l’innocenza di minori e la propria vocazione sacerdotale abusandoli sessualmente”. Si tratta, ammonisce, di qualcosa di “più che di atti deprecabili”. “E’ come un culto sacrilego, perché questi bambini e bambine erano stati affidati al carisma sacerdotale, per condurli a Dio ed essi li hanno sacrificati all’idolo della loro concupiscenza”. Questi hanno profanato “la stessa immagine di Dio alla cui immagine siamo stati creati”. Questi “atti esecrabili di abuso perpetrati contro minori”, ha detto ancora, “hanno lasciato cicatrici per tutta la vita”.

So, ha affermato il Papa, che queste “ferite sono una fonte di profonda e spesso implacabile pena emotiva e spirituale, e anche di disperazione”. Rivolge il pensiero alle famiglie delle vittime. “Alcuni – ha rammentato – hanno anche sofferto la terribile tragedia del suicidio di una persona cara”. La morte di questi amati figli di Dio, ha confidato, “pesa sul cuore e sulla mia coscienza, e di quella di tutta la Chiesa. A queste famiglie offro i miei sentimenti di amore e di dolore”.

“I peccati di abuso sessuale contro minori da parte di membri del clero – ha poi riconosciuto con amarezza – hanno un effetto dirompente sulla fede e sulla speranza in Dio”. Alcuni, ha commentato, “si sono aggrappati alla fede, mentre per altri il tradimento e l’abbandono hanno eroso la loro fede in Dio”. Ma, ha detto, “la vostra presenza qui parla del miracolo della speranza che ha il sopravvento sulla più profonda oscurità. Senza dubbio, è un segno della misericordia di Dio che noi abbiamo oggi l’opportunità di incontrarci, di adorare il Signore, di guardarci negli occhi e di cercare la grazia della riconciliazione”. “Davanti a Dio e al suo popolo – ha ripreso Francesco – sono profondamente addolorato per i peccati e i gravi crimini di abuso sessuale commessi da membri del clero nei vostri confronti e umilmente chiedo perdono”. Chiedo perdono, ha detto il Papa, “anche per i peccati di omissione da parte dei capi della Chiesa che non hanno risposto in maniera adeguata alle denunce di abuso presentate da familiari e da coloro che sono stati vittime di abuso”. Questo, ha ammesso, “ha recato una sofferenza ulteriore a quanti erano stati abusati e ha messo in pericolo altri minori che si trovavano in situazione di rischio”.

Dall’altra parte, ha affermato, “il coraggio che voi e altri avete dimostrato facendo emergere la verità è stato un servizio di amore”, per aver “fatto luce su una terribile oscurità nella vita della Chiesa”. Ed ha denunciato con forza che: “Non c’è posto nel ministero della Chiesa per coloro che commettono abusi sessuali; e mi impegno a non tollerare il danno recato ad un minore da parte di chiunque, indipendentemente dal suo stato clericale”. Tutti i vescovi, è stata la sua esortazione, “devono esercitare il loro servizio di pastori con somma cura per salvaguardare la protezione dei minori e renderanno conto di questa responsabilità”. Per tutti noi, ha quindi affermato, “vale il consiglio che Gesù dà a coloro che danno scandalo: la macina da mulino e il mare” Francesco ha assicurato che si continuerà “a vigilare sulla preparazione al sacerdozio”, contando anche sul lavoro dei “membri della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori”. Tutti i minori, “a qualsiasi religione appartengano – ha soggiunto – sono i piccoli che il Signore guarda con amore”. Ed ha chiesto “ausilio” affinché sia aiutato “a far sì che possiamo disporre delle migliori politiche e procedimenti nella Chiesa universale per la protezione dei minori e per la formazione di personale della Chiesa”. “Dobbiamo fare tutto il possibile – ha ripreso – per assicurare che tali peccati non si ripetano più nella Chiesa”.

“Voi e tutti coloro che hanno subito abusi da parte di membri del clero – ha poi affermato – siete amati da Dio. Prego affinché quanto rimane dell’oscurità che vi ha toccato sia guarito dall’abbraccio del Bambino Gesù e che al danno recatovi subentri una fede e una gioia rinnovata”. “Ringrazio per questo incontro – ha concluso – e per favore, pregate per me, perché gli occhi del mio cuore vedano sempre con chiarezza la strada dell’amore misericordioso e Dio mi conceda il coraggio di seguire questa strada per il bene dei bambini” e “non permettere che alcun lupo entri nel gregge”.

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P. Lombardi: commovente incontro del Papa con 6 vittime di abusi

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Sull'incontro del Papa con le vittime di abusi si è soffermato in un briefing il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Papa Francesco ha incontrato 6 persone vittime di abusi, tre uomini e tre donne, provenienti da Germania, Irlanda e Regno Unito. Padre Federico Lombardi:

“Sono già giunte a Santa Marta ieri, nel corso della giornata. Per cui ieri sera a cena, mentre erano insieme in refettorio, il Papa è già passato a salutarli una prima volta. Questa mattina, invece, c’era la Messa delle 7.00 a Santa Marta. Poi il Papa non solo ha salutato i singoli partecipanti all’uscita dalla Messa, ma hanno fatto tutti colazione nel refettorio e alle 9.00 sono iniziati invece gli incontri personali”.

Sono stati – ha detto padre Lombardi - incontri intensi e coinvolgenti:

“Il Papa si è trattenuto in colloqui personali con queste vittime di abusi sessuali da parti di membri del clero per oltre tre ore, con lo stile che gli è abituale di colloquio molto coinvolto, molto intenso e attento”.

Profonda la gratitudine nei confronti del Papa da parte delle persone vittime di abusi per questo incontro:

“Io ho potuto vedere quando sono uscite le persone e ho parlato brevemente con loro. Posso testimoniare della profonda gratitudine, anche commozione di queste persone per la possibilità di avere un incontro così approfondito, così ampio, così personale con il Santo Padre. In particolare, hanno avuto molto la percezione di essere ascoltati con molta attenzione e con molta disponibilità. E con questo, il Papa ha mostrato che l’ascolto aiuta a capire e anche, così, a preparare una strada per ritrovare fiducia per guarire le ferite”.

Il Santo Padre – ha aggiunto il direttore della Sala Stampa della Santa Sede – ha mostrato che l’ascolto è una tappa essenziale per il cammino di risanamento:

“Quello che è importante è anche che questo, in qualche modo, può diventare un segno, un modello o un esempio perché evidentemente il Papa che dedica un tempo ampio, attento, con grande partecipazione all’ascolto, dà un messaggio che mi sembra chiaro per chiunque: il fatto che bisogna saper ascoltare, dedicare il tempo necessario perché si possa aprire l’animo, la via della comunicazione che diventa premessa per un cammino di risanamento personale. Diventa qualche cosa che si rivela poi una ricchezza della comunità. Il fatto che le persone trovino la via per la loro serenità e la loro riconciliazione, come persone, in rapporto alla fede, in rapporto alla Chiesa, in rapporto alla comunità è certamente una ricchezza, un risultato molto positivo”.

Per il Papa si è trattato di incontri toccanti. Ancora Padre Federico Lombardi:

“Io lo ho visto alla fine. Anche lui era molto toccato, anche perché ogni persona, ogni sacerdote, ogni pastore che vive un colloquio, un incontro di questa natura con persone che hanno alle spalle una storia di profonda sofferenza, è anche estremamente impegnativo. Quindi il Papa ha vissuto questo. Evidentemente, è una persona che dedica la sua vita all’ascolto e all’ascolto pastorale e quindi non è la prima volta che può avere dei colloqui impegnativi”.

Ieri, intanto, si è riunita la Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Diversi gli argomenti al centro dell’incontro:

“La proposta per la scelta e la nomina dei nuovi membri per integrare la Commissione con rappresentanti di altre aree geografiche. Poi si è tornati a parlare degli Statuti della Commissione, delle esigenze di stabilire un ufficio operativo, che tuttora di per sé non c’è. E poi si è parlato anche della possibilità di organizzare gruppi di lavoro. Il prossimo incontro è previsto nel mese di ottobre. Così si spera che possano essere presenti anche nuovi membri”. 

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Panamá: nominato il nuovo vescovo di Colón

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Papa Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di Colón - Kuna Yala, in Panamá, il Rev. P. Manuel Ochogavía Barahona, O.S.A., finora Priore, Cancelliere diocesano e Parroco nella diocesi di Chitré. Il Rev.do P. Manuel Ochogavía Barahona, O.S.A., è nato il 23 luglio 1967 a Las Tablas, in provincia di Los Santos (Panamá). Dopo le scuole primarie e secondarie, prima di entrare nell’Ordine Agostiniano, ha iniziato gli studi di giornalismo. Ha svolto, poi, il Noviziato presso il Monastero di El Escorial, a Madrid, ed ha emesso la prima professione l’8 settembre 1990, iniziando subito dopo lo studio della Teologia. Ha emesso i voti solenni l’11 agosto 1995. Sebbene inizialmente desiderasse restare un semplice Fratello, è stato ordinato sacerdote il 4 maggio 2002.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: 1998-2002: Ministero presso il Collegio San Agustín, nella diocesi di David; 2002-2006: Professore ed Amministratore del medesimo Collegio San Agustín; 2006-2010: Parroco di San José in Tolé, diocesi di David; dal 2010: Priore del Convento e Parroco nella diocesi di Chitré, e dal 2013 Cancelliere diocesano, Membro del Collegio dei Consultori, Membro del Consiglio del suo Ordine per Panamá, Delegato presso l’Organizzazione degli Agostiniani dell’America Latina. È anche assessore diocesano del Movimiento Familiar Cristiano e Cappellano del Centro Regionale Universitario di Azuero.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Lo sguardo di Gesù: in prima pagina, un editoriale del direttore sulla promessa del Papa che non saranno più tollerati abusi su minori da parte di membri del clero

Profezia di un mondo nuovo: a Isernia il Papa si sofferma sul progetto di una vita radicata su misericordia, indulgenza e remissione dei debiti.

Più coraggio nel soccorrere i poveri: il vescovo di Roma scuote l'Europa.

Il pericolo del pervertimento religioso: Pierluigi Natalia sulla vicenda della processione a Oppido Mamertina

Piccole spose senza futuro: in aumento il numero dei matrimoni precoci nel mondo.

Da una lacrima sul viso: Javier Zanetti sui mondiali di calcio entrati nella fase decisiva.

Fuori dalla palude: Carlo Bellieni sull'eccesso di esami diagnositici che sta snaturando il senso della medicina.

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Oggi in Primo Piano



Iraq: mons. Sako smentisce il rapimento di tre religiosi cristiani

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Il patriarca della Chiesa caldea di Baghdad, Louis Sako, smentisce la notizia del rapimento di due preti ed una suora nella città di Mosul, riportata da diverse agenzie di stampa. Intanto miliziani integralisti dell’Isil mantengono il controllo del Nord del Paese e, nelle ultime ore, un generale dell'esercito iracheno è rimasto ucciso in un bombardamento dei jihadisti sunniti ad appena 25 km a ovest di Baghdad. Sul piano politico è ancora stallo per il rinnovo delle più alte cariche dello Stato: rinviata al 12 luglio la seconda seduta del parlamento. Ma ascoltiamo, al microfono di Marco Guerra, il patriarca Louis Sako che fa chiarezza circa la notizia del rapimento: 

R. – No, no, no! E’ falsa. La notizia non è vera. Solo una cosa è vera: quelle due suore e due ragazze e un ragazzo, rapiti da quasi una settimana. Per il resto non ci sono più cristiani a Mosul o sono pochissimi. Non ci sono preti o suore: tutti sono usciti e anche le chiese sono chiuse. Quasi tutti hanno lasciato la città.

D. – Quindi adesso i cristiani di Mosul sono andati in territorio curdo, controllato dai peshmerga?

R. – E’ corretto. Sono andati nei villaggi cristiani della piana di Ninive, ed anche nelle città curde, Dohuk ed Erbil, dove c’è la sicurezza.

D. – Nel Nord anche la popolazione musulmana sta soffrendo...

R. – A Kirkuk il vescovo ha aiutato le famiglie cristiane ed anche quelle musulmane, in tutto circa 500 famiglie, dando cibo, medicine e così via. Non ci sono profughi in città ma fuori nei campi di accoglienza, e nelle moschee però sono ospitate alcune famiglie musulmane, e lui è andato ad aiutare anche queste famiglie: è stato un gesto di solidarietà.

D. – Quindi l’Iraq, malgrado tutto, continua ad essere unito all’interno delle varie comunità o c’è una divisione sempre più visibile?

R. – Politicamente ed anche psicologicamente, c’è una divisione più chiara e più profonda. Ma la gente è semplice e non sa dove andare, cosa fare. Personalmente penso che il Paese vada pian piano verso la divisione settaria.

D. – La Chiesa caldea cosa sta facendo per la sua gente, per tenere unito il Paese e, in questo momento, cosa chiede ai politici?

R. – La Chiesa caldea fa parte della popolazione irachena ed ha perso molto durante questi dieci anni, dopo la caduta del regime, per l’emigrazione: le famiglie hanno lasciato le grandi città – Baghdad, Mosul, Kirkuk, Bassora – e sono andate in villaggi, che sono poveri, che non hanno infrastrutture e servizi. La maggioranza dei villaggi della Piana di Ninive non ha elettricità ed acqua. La Chiesa è debole. C’è solidarietà, ma cosa può fare? Ci vuole di più: aiutare questi cristiani a stabilirsi in questi villaggi; ci vuole aiuto, lavoro, servizi. Bisogna pregare, ma anche fare qualcosa per aiutare questi cristiani a rimanere in un luogo, dove hanno vissuto per duemila anni. Sono i cristiani i protagonisti dell’apertura della cultura araba-musulmana; hanno dato tanto ai musulmani quando sono arrivati in Iraq. C’è, dunque, il grande pericolo che il Medio Oriente rimanga vuoto per l’assenza dei cristiani.

D. – Per alcuni la divisione è l’unico modo per trovare la pace...

R. – Se il mondo può aiutare l’Iraq a trovare una soluzione, deve spingere i politici iracheni a trovare una soluzione politica per il Paese, avere il consenso e salvaguardare l’unità del Paese. Se c’è un piano per la divisione, perché allora fare la guerra, uccidere la gente, distruggere tutto e poi dire “non c’è altra soluzione che la separazione"? Questo penso sia un peccato molto grave.

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Razzi da Gaza e raid israeliani, cresce la violenza

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Senza sosta le tensioni in Medio Oriente, scatenatesi dopo il rapimento e l’uccisione di tre giovani ebrei a cui è seguito il barbaro omicidio di un giovane palestinese, bruciato vivo. Ancora durissima la rappresaglia israeliana dopo il lancio di razzi da Gaza. Attacchi aerei dell’esercito ebraico nella Striscia hanno causato la morte di almeno 9 palestinesi. Intanto il premier Netanyahu ha telefonato al padre del palestinese ucciso, esprimendo “lo shock dei cittadini israeliani e personale per il brutale omicidio, assicurando che i colpevoli saranno giudicati e puniti”. Tre dei sei ultra-nazionalisti ebrei fermati dalla polizia avrebbero confessato, ricostruendo l’assassinio. Della situazione, Giancarlo La Vella ha parlato con don Nandino Capovilla di Pax Christi: 

R. – Dal nostro punto di osservazione, che è quello della comunione con le comunità cristiane, sentiamo che più che la situazione politica è il coinvolgimento delle persone, delle comunità ad essere veramente in attesa, non solo di gesti di profezia, ma anche di una decisione da parte della comunità internazionale di riprendere il percorso di giustizia, nella terra segnata dalla violenza.

D. – Perché la logica della vendetta lasci il passo a quella del dialogo, che cosa si può fare?

R. – E’ proprio questo. Il problema è che diamo ancora per scontato che, per esempio, la logica della vendetta sia accettabile, insieme ai gesti profetici, come è stato quello di Papa Francesco. Quel silenzio potentissimo, appoggiandosi al muro di apartheid, quel silenzio può diventare debolissimo, se non c’è da parte, questa volta, della comunità internazionale, veramente, una ripresa di quello che è l’obbligare i due contendenti al rispetto, al ripristino della legalità, che supera quindi assolutamente la logica della giungla e della barbarie.

D. – Non siamo più di fronte ad un confronto tra esercito e miliziani, ma lo scontro sta coinvolgendo indiscriminatamente i civili...

R. – Sì, la situazione è così grave, perché non stiamo parlando di uno scontro tra due eserciti, non stiamo parlando di un campo di battaglia. Ecco, l’uscita da questo incubo, quindi, deve essere, da una parte, ancora una voce da Papa Francesco e, dall’altra, invece, non più della comunità ecclesiale, perché il Patriarca attuale è stato chiarissimo in questi giorni - “Basta con questa logica di vendetta” - ma da parte della comunità internazionale, appunto, una ripresa della chiarificazione, perché senza un congelamento immediato della colonizzazione, senza un ripristino dei diritti per tutti, nella stessa terra, davvero, l’incubo si avvolge solamente in una spirale, che può solo portare ad un peggioramento della situazione. 

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Scontri in Uganda: almeno 65 morti

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Nel fine settimana l’Uganda è tornata ad essere teatro di scontri tra soldati e gruppi armati, nella parte occidentale del Paese al confine con la Repubblica Democratica del Congo: almeno 65 i morti. Paolo Giacosa ha analizzato la situazione intervistando Enrico Casale, giornalista della rivista dei Gesuiti “Popoli”: 

R. – Gli incidenti che si sono verificati in Uganda sono stati particolarmente gravi; ci sono vittime tra i poliziotti, i militari e questi ribelli che avrebbero attaccato le caserme dell’esercito. Quest’ultimo parla di milizie legate a gruppi etnici locali nell’ambito di scontri tra gruppi etnici diversi. L’esercito stesso ha escluso che si potesse trattare di miliziani delle forze democratiche alleate, un gruppo ostile al presidente ugandese Museveni che combatte contro le forze regolari ugandesi da parecchi anni. Soltanto nei prossimi giorni si potrà scoprire realmente chi sono questi miliziani che hanno attaccato l’esercito. Certo è che lo scontento nei confronti di Museveni sta crescendo, un presidente che dal 1986 è al potere, e solo dal 2005 ha aperto al multipartitismo che è ancora un po’ “monco”, nel senso che la Comunità internazionale considera Museveni un presidente molto autoritario.

D. - Le cause più frequenti che innescano gli scontri in questa regione possono essere riconducibili a motivazioni politiche o anche socioeconomiche?

R. - L’Uganda è un Paese povero che ha una grande prospettiva di crescita di fronte a sé. Attualmente è un Paese agricolo, esporta principalmente caffè, prodotti ittici, thè e cotone. Come molti Paesi africani dipende molto dai prezzi fissati dai mercati internazionali. Detto questo, l’Uganda ha recentemente scoperto dei ricchissimi giacimenti di petrolio. Le rendite petrolifere, se gestite in modo corretto, potrebbero garantire una crescita forte; il Paese sta già crescendo a tassi intorno al 5 percento. Se abbiniamo questo dato alla crescita della popolazione, intorno al 3 percento, significa che il benessere potrebbe raggiungere in breve tempo una grossa fetta della popolazione.

D. - Quali sono gli interventi internazionali e qual è l’apporto che danno i missionari locali per dare maggiore stabilità alla situazione del Paese?

R. - L’Uganda, dal punto di vista internazionale, ha una discreta forza, nel senso che è un Paese molto stabile che svolge un ruolo molto importante all’interno del Corno d’Africa. Penso soprattutto all’intervento importantissimo in Somalia a sostegno della presidenza di transizione somala. La presenza missionaria in Uganda è molto forte e svolge un ruolo molto importante: conosco personalmente l’ospedale di Gulu, fondato dai comboniani, presidio importantissimo per tutta l’area del Nord Uganda che fa fronte ad epidemie come quella dell’Ebola e dell’Aids negli anni passati.

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Scomunica a mafiosi. Mons. De Luca incontra i carcerati di Larino

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La scomunica era arrivata dal Papa il 21 giugno durante la visita pastorale a Cassano in Calabria. “I mafiosi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”, aveva detto Francesco. E i primi frutti di quelle parole sono arrivata dal carcere di Larino, nei pressi di Campobasso, dove ieri il vescovo, mons. Gianfranco De Luca, ha celebrato Messa, su invito del cappellano, latore di interrogativi e dubbi di molti detenuti che si erano chiesti che senso avesse per loro partecipare al rito eucaristico. Ascoltiamo mons. De Luca al microfono di Fabio Colagrande: 

R. – Sono andato in carcere – in accordo con il cappellano – perché mi aveva parlato di un disagio che alcuni detenuti a regime speciale del carcere di Larino avevano manifestato dopo il discorso del Papa nel giorno del Corpus Domini. Loro si erano domandati: “Ma adesso noi non possiamo più venire a Messa? Possiamo fare la Comunione se siamo scomunicati?”. Erano rimasti un po’ scossi da quanto il Papa aveva detto. Allora, proprio questo disagio mi aveva coinvolto, interrogato e mi sono reso disponibile con il cappellano a prendere parte alla celebrazione per riprendere ed affrontare questo argomento. Mi sono preparato stampando per tutti il discorso del Papa, perché magari loro avevano avuto un approccio a questo discorso attraverso i titoli dei giornali o le notizie dei telegiornali, ma la lettura serena del discorso è importante. Questo è stato un po’ il motivo che mi ha spinto.

D. - Alcuni mezzi di stampa hanno parlato di uno sciopero della Messa da parte di alcuni detenuti di Larino, addirittura di una rivolta …

R. - Assolutamente! Io sono stato accolto con gioia e fraternamente quando sono andato da loro. Sì, prima della Messa sono state rivolte direttamente al cappellano delle domande, in quanto nel carcere ci sono due celebrazioni, una per i comuni ed un’altra per la sezione speciale, perché questi non possono comunicare tra loro. Prima della Messa hanno rivolto questa domanda: “Cos’è questa scomunica? Perché? Che significa per noi?”. Ecco, c’è stato un dialogo, anche partecipato, ma né un ammutinamento né tanto meno un non volere andare a Messa. Era la loro coscienza che era stata mossa da quanto il Papa aveva detto e che i media avevano riportato.

D. - Come ha detto mons. Bregantini ai nostri microfoni, le parole del Papa hanno toccato anche gli aderenti alla criminalità organizzata, ai mafiosi …

R. - Certo! E’ quella la notizia! Ma purtroppo i movimenti del cuore o dell’animo forse non fanno notizia … allora devono trovarne un’altra! Però questa è la notizia! Quanto il Papa dice penetra il cuore di tutti e mette tutti in cammino. È bello quello che lui dice ai detenuti, e che è rivolto anche a noi: “Tutti siamo in reinserimento, no?”. Proprio perché tutti siamo provocati continuamente dalla storia e dal Vangelo che ci interpella.

D. - Ecco, queste sono parole che il Papa ha pronunciato proprio nella vostra regione, ad Isernia, durante il viaggio in Molise …

R. - Sì, ai detenuti di Isernia. La sera avevo letto il discorso che aveva appena pronunciato e mi è piaciuto molto. Sabato e domenica il messaggio che - come ho scritto nel sito - i detenuti mi hanno consegnato da portare fuori, era proprio un messaggio di speranza che diceva: “Noi siamo qui dentro nella ristrettezza e qualche volta ci sentiamo abbattuti. È lì che il diavolo ci prende (hanno usato proprio questo temine). Però, fuori vogliamo dire non arrendetevi. Se da soli non ce la facciamo, andiamo da Gesù”. È stato un detenuto a dirmi queste cose. Per cui vedevo che c’era una consonanza con quello che il Papa aveva trasmesso, anche se questo detenuto non aveva ancora letto il discorso di Francesco.

Sulla vicenda della scomunica alla mafia è tornato con una nota alla stampa mons. Giancarlo Bregantini. “La questione - ha chiarito il presule - (e non la rivolta! come qualche frettoloso organo di stampa comunicava!) da parte dei detenuti del carcere di alta sicurezza di Larino, diocesi di Termoli,  è stata resa ancora più vera e profonda con la  saggezza del vescovo Gianfranco De Luca, che ha appositamente visitato il carcere, dialogando serenamente con i fratelli ristretti e celebrando l’Eucarestia con loro. Il tema – ha sottolineato mons. Bregantini - è estremamente prezioso ed importante. Infatti si tratta di capire come conciliare l’appello alla misericordia (che Papa Francesco sempre lancia, anche in terra molisana!) e la drammatica realtà della scomunica, che di fatto esclude i mafiosi dalla celebrazione della Comunione durante l’Eucarestia. La domanda posta dai detenuti di Larino interpella però tutti noi – ha aggiunto - sia i teologi, che i moralisti, oltre che le persone di cultura e di fede. Per questo - conclude mons. Bregantini - quale vescovo e presidente della Commissione episcopale della pastorale Sociale, Lavoro, Giustizia e Pace - rivolgo un pressante appello, perché si possa riflettere insieme su come conciliare la forza della  misericordia e il dramma della scomunica”.

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Bambino Gesù, nuova speranza per il trapianto di midollo

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Da oggi anche i genitori dei bimbi affetti da malattie rare del sangue e da leucemie potranno donare il loro midollo ai figli. I medici dell'ospedale Bambino Gesù, infatti, hanno scoperto una tecnica di manipolazione cellulare grazie alla quale i padri e le madri di pazienti a cui serve un trapianto diventano compatibili. Una nuova frontiera della medicina che potrebbe salvare migliaia di bambini, che fino ad oggi non avevano trovato un donatore. La ricercatrice Alice Bertaina del reparto di Oncoematologia del Bambino Gesù ne ha parlato con Maria Gabriella Lanza

R. – Quello che ha di sperimentale questa tecnica è che grazie a questo tipo di manipolazione, da oggi si può utilizzare uno dei due genitori come donatore di cellule staminali emopoietiche, ottenendo sostanzialmente gli stessi risultati che si ottengono utilizzando o un fratello totalmente compatibile o un donatore volontario compatibile. La tecnica prevede non un espianto di midollo, ma soltanto la raccolta di sangue venoso periferico, quindi sangue da una vena del braccio, e la lavorazione in laboratorio di queste cellule. Vengono eliminate sole le cellule definite cattive, quelle che sarebbero capaci di aggredire l’organismo del ricevente, mentre vengono mantenute nel trapianto tutte le cellule buone, cioè i linfociti che proteggono il paziente nei confronti delle infezioni, per quanto riguarda le malattie macrologiche non maligne e anche nei confronti della ricaduta di malattia per quello che riguarda le leucemie.

D. – Molti pazienti non trovano un donatore idoneo e la possibilità che due fratelli siano compatibili è solo del 25 per cento...

R. – Il peso e l’importanza di questa novità risiede proprio nella possibilità di dare una chance a chi non è così fortunato da avere un donatore compatibile all’interno del nucleo familiare, cosa che accade soltanto per il 25 per cento dei pazienti che ne hanno bisogno; né di trovare un donatore idoneo sui registri dei donatori di midollo osseo e sulle banche di sangue placentare. Nonostante  la solidarietà delle persone che donano il midollo osseo e delle mamme che donano il cordone ombelicale ai loro bimbi quando nascono, resta una fetta di pazienti assolutamente importante, quantificabile nell’ordine del 30, 40 per cento, che non ha la possibilità di accedere a questa opzione terapeutica del trapianto, perché non dispone di un donatore. Per questo motivo i nostri sforzi si sono rivolti negli ultimi anni nel cercare di mettere a punto una tecnica che permettesse di utilizzare come donatore uno dei due genitori.

D. – Questa tecnica per ora è stata sperimentata su 23 bambini e quali sono stati i risultati?

R. – Questo studio si riferisce al trapianto di 23 bambini affetti da malattie macrologiche non maligne, quindi parliamo di bambini affetti da talassemia, da immunodeficienze severe, da anemia di Fanconi. La sopravvivenza libera da malattia è del ’90 per cento, quindi una percentuale di guarigione sostanzialmente sovrapponibile a quella ottenuta utilizzando come donatore uno dei fratelli, insomma un familiare completamente identico.

D. – Possono accedere a questa cura, non solo i bambini affetti da immunodeficienze e da malattie del sangue rare, ma anche chi è colpito da leucemia...

R. – Per quanto riguarda le leucemie abbiamo sperimentato lo stesso tipo di tecnica su oltre 70 bambini e i risultati sono assolutamente eccezionali, perché in questo caso la probabilità di guarigione è dell’80 per cento. Chiaramente molto alta se parliamo di bambini affetti da leucemie acute.

D. – Questa è la dimostrazione che investire nella ricerca serve...

R. – Assolutamente. Ci tengo a sottolineare che questa è una ricerca che è stata finanziata in gran parte grazie ai fondi dell’Airc, quindi dell’Associazione italiana per la ricerca contro il cancro, e quindi grazie anche alla solidarietà di tutte le persone nel nostro Paese, che hanno donato fondi a questa associazione e che ci hanno aiutato a condurre questa ricerca e ad ottenere quindi questi risultati.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi dominicani: lottare contro narcotraffico e violenza

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Un invito a tutti i fedeli a lottare per la pace sociale e ad sperare in un avvenire migliore: è quanto scrive la Conferenza episcopale dominicana (Ced) in una nota diffusa al termine dell'Assemblea plenaria, svoltasi dal 29 giugno al 4 luglio. Nel documento, i presuli denunciano “il clima di insicurezza, l’aumento della violenza, il flagello del narcotraffico e degli omicidi che continuano a minare la società dominicana”; quindi, ricordando “il coraggio che esige la fede in Cristo Risorto”, i vescovi invitano i fedeli a “non avere paura, a lottare senza sosta per la pace sociale e per il rispetto della natura e dell’ambiente, ad unirsi per combattere contro le forze del male e per mantenere viva la speranza in un futuro migliore”.

“Oggi più che mai – continuano i vescovi – c’è bisogno di uomini e donne che sappiano vedere oltre le circostanze del presente, che agiscano in base a valori fondamentali, senza farsi schiacciare dal contesto attuale che promuove la cultura della morte; uomini e donne che perseverino nella fede, orientando la vita, propria e di coloro che li circondano, in base alla speranza, per conquistare nobili ideali”. I presuli, poi, sottolineano la loro adesione al magistero di Papa Francesco, in particolare al suo invito ad essere “Chiesa in uscita”, e manifestano la loro decisione di essere sempre più “segno di unità, in un ambiente di comunione ecclesiale”, ciascuno rinnovando “l’ardore e lo zelo apostolico”.

Nell’ambito dei lavori, si è tenuta una giornata di ritiro spirituale, sul tema “Lo sguardo di Gesù sui Pastori della Chiesa”. Affrontate, inoltre, la questione delle scuole cattoliche e quella relativa alla lotta contro le epidemie, grazie ad un incontro con il ministro della Sanità. I presuli hanno quindi eletto il nuovo direttivo della Ced: il presidente è ora mons. Gregorio Nicanor Peña Rodríguez, vescovo di Altagracia; il vicepresidente è mons. José Dolores Grullón Estrella, vescovo di San Juan de la Maguana, mentre è stato confermato il segretario generale, padre Carmelo Santanas Jerez, della diocesi di San Francisco de Macoris. La prossima plenaria della Ced è in programma dal 12 al 15 maggio 2015, a Santo Domingo; l’agenda dei lavori verrà definita nella Lettera pastorale e nel Messaggio alla nazione, attesi rispettivamente per il 21 gennaio ed il 27 febbraio del prossimo anno. (I.P.)

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Messico. I vescovi: necessario dialogo per avviare riforme indispensabili

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“Il Messico merita l’opportunità di andare avanti, il suo futuro non può essere cancellato”. L’arcidiocesi di Città del Messico sollecita, con una nota, le forze politiche a portare avanti le riforme indispensabili per il Paese, lasciando cadere le ostilità e le posizioni ideologiche tra le compagini politiche.

Il documento, intitolato “Il dialogo per raggiungere gli accordi”, diffuso sul sito dell’arcidiocesi, si concentra su due riforme ritenute economicamente strategiche per la crescita del Paese: la riforma delle telecomunicazioni, per lo sviluppo tecnologico; e quella energetica su cui lo scontro tra le diverse posizioni politiche sembra irriducibile; “da qui la necessità – scrivono i vescovi - di una riforma costituzionale che faccia del Messico un Paese competitivo e che attragga investimenti privati nel settore.” 

I presuli, poi, ricordano positivamente il tentativo riuscito del presidente Enrique Peña Nieto quando, nel 2012, riuscì a far firmare alle diverse forze politiche il “Pacto por Mexico”, una lista di riforme politiche e strutturali, “dalla cui approvazione dipende il raggiungimento dello sviluppo nazionale e il suo frutto più ambito: la lotta alla povertà e la formazione di uno Stato di diritto, in un Paese dalle istituzioni compromesse”. L’arcidiocesi di Città del Messico denuncia, quindi, lo scontro quotidiano di posizioni ideologiche che “diventano inconciliabili e non consentono un dibattito serio, profondo e produttivo, che porti al dialogo tra le parti”.

“Una società democraticamente sana si caratterizza, tra le altre cose, per lo spazio dato alla voce e alla partecipazione di tutte le persone”, scrivono i presuli; il limite sta “nel rispetto e nell’armonia sociale, nella salvaguardia delle istituzioni legittime e nell’obbedienza alle leggi”. Ma alla società manca anche un’informazione adeguata che le permetta di formarsi un’opinione e di comprendere l’importanza di questa riforme, sottolineano ancora i presuli, ed è “per questo motivo che spesso si adottano posizioni più che realiste, ideologiche.”

Mettendo, inoltre, in luce la sfiducia profonda tra le forze politiche e il sospetto della popolazione verso le istituzioni, che finiscono per ostacolare le riforme, la Chiesa di Città del Messico evidenzia che molti cittadini si aspettano un’apertura al dialogo, la riconciliazione tra le posizioni ideologiche e “la ricerca non degli interessi personali, ma del benessere e del progresso del Paese,  secondo un atteggiamento patriottico”. È necessario, continua la nota, “una genuina preoccupazione che ricerchi l’abbattimento della povertà e il bene comune al di sopra degli interessi di gruppo; una visione del futuro che permetta di sfruttare razionalmente le risorse naturali nazionali, cos’ che possano beneficiarne le generazioni future”. “Vogliamo credere – concludono i vescovi - nella buona fede dei nostri legislatori e confidiamo che coloro che ci rappresentano facciano un lavoro degno e onesto e che onorino le generazioni future”. (C.G.)

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Messico: 8 milioni di donne indigene subiscono violenza

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Secondo i dati della Commissione Nazionale dei Diritti Umani, in Messico oltre 8 milioni di donne indigene vivono situazioni di violenza tra le mura domestiche, abusi, aggressioni fisiche e morali, oltre a non avere accesso ai servizi sanitari e scolastici. Le donne indigene – riferisce l’Agenzia Fides - hanno un ruolo essenziale per la ricomposizione del Paese e questo è un altro valido motivo per ridurre le grandi distanze tra emarginazione e giustizia sociale, dando luogo a nuovi modelli di sviluppo secondo le aspettative culturali, sociali, politiche, economiche e di giustizia.

E’ stata ora proposta una iniziativa grazie alla quale migliorare le condizioni di vita di questa fascia di popolazione. Nello specifico, la Commissione Nazionale per lo Sviluppo delle Popolazioni Indigene (CDI) porterà avanti, insieme all’Istituto Nazionale delle Donne, programmi di formazione permanente che promuovano la conoscenza dei diritti umani delle bambine e delle donne indigene e prevengano la violenza contro di loro. L’obiettivo è contribuire alla istituzione di politiche pubbliche orientate a rafforzare l’uguaglianza delle condizioni di vita, l’accesso della popolazione femminile ai suoi diritti e la garanzia di vivere libere dalla violenza.

Nel 2012, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD) segnalò che, del totale della popolazione indigena in Messico, 3.3 milioni di persone non sono riuscite a soddisfare le necessità alimentari di base. Inoltre il livello di scolarizzazione è relazionato con il tasso alto di mortalità materna, dato che il 36.5% delle donne morte nei municipi con oltre il 70% della popolazione indigena era priva di istruzione e il 24.7% non era riuscita a portare a termine la scuola primaria.

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India: a novembre ostensione delle reliquie di San Francesco Saverio

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Sono circa cinque milioni i pellegrini attesi a Goa, in India, in occasione dell’ostensione delle reliquie di San Francesco Saverio, in programma dal 22 novembre 2014 al 4 gennaio 2015. I sacri resti del missionario gesuita spagnolo, Patrono delle Missioni, sono abitualmente conservati in una teca di cristallo e argento nella Basilica del Buon Gesù a Goa; per l’ostensione, però, verranno traslati nella più spaziosa Cattedrale della città.

L’evento, giunto alla 17.ma edizione, si tiene ogni dieci anni e vede la partecipazione di un numero crescente di fedeli, provenienti da tantissimi Paesi: nel 1994, ad esempio, furono un milione, mentre nel 2004 superarono i due milioni. A Goa i fedeli cattolici costituiscono circa il 30% della popolazione del piccolo Stato sulla costa occidentale, che nel complesso conta 1,4 milioni di abitanti.

San Francesco Saverio, nato in Navarra nel 1506, fu tra i fondatori della Compagnia di Gesù insieme a Sant’Ignazio e cominciò la sua missione in Oriente proprio da Goa, nel 1542. Nei suoi viaggi missionari, evangelizzò numerosi paesi dell’estremo Oriente. Morì nel 1552, mentre attendeva di sbarcare in Cina. Il suo corpo fu prima traghettato a Malacca e poi, nel 1637, collocato nella Basilica del Buon Gesù, costruita dai gesuiti a Goa. Fu canonizzato nel 1622 da Papa Gregorio XV. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 188

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