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Sommario del 08/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Ior. Il card. Pell: inizia la fase 2 sotto una nuova dirigenza

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Conclusa la fase I del processo di riforma, lo Ior intraprende una seconda fase sotto una nuova dirigenza. E’ quanto annuncia il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia, in occasione della pubblicazione dei risultati di bilancio 2013. Il comunicato dello Ior sottolinea che, per rafforzare la trasparenza, ha chiuso i rapporti con circa 3 mila clienti. Nel 2013 lo Ior ha destinato 54 milioni al budget della Santa Sede. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

“Con la conclusione della Fase I del processo di riforma, siamo ora in grado di avviare” lo Ior “verso la seconda fase di riforme sotto una nuova direzione”. Ad annunciarlo è il cardinale George Pell, in una dichiarazione contenuta nel comunicato sui risultati di bilancio 2013. Il porporato, che ringrazia il presidente del Consiglio di sovrintendenza Ernst von Freyberg, sottolinea che “dopo il duro lavoro effettuato dal management in carica”  si è ora in grado di “condurre lo Ior verso un secondo ciclo di riforme”. La Segreteria per l’Economia, si legge ancora, terrà una conferenza stampa domani per presentare il nuovo Consiglio dello Ior e fornire aggiornamenti sugli elementi chiave della riforma.

Per quanto riguarda i dati salienti del bilancio: nel 2013, lo Ior ha conseguito un utile netto di 2.9 milioni di euro a fronte di 86.6 milioni nel 2012. Un dato, sottolinea il comunicato, “significativamente influenzato da oneri di natura straordinaria, da rilevanti rettifiche sul valore dei fondi di investimento gestiti da terzi” e “dalla forte diminuzione del valore dell’oro”. A seguito del processo di verifica, inoltre, lo Ior ha chiuso i rapporti con circa 3 mila clienti. Dunque, l’Istituto ammette ad operare ora solo istituzioni cattoliche, ecclesiastici, dipendenti ed ex dipendenti del Vaticano, nonché ambasciate e diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Al 31 dicembre 2013, informa la nota, lo Ior serviva 17.419 clienti.

Nel 2013, lo Ior ha contribuito per 54 milioni al budget della Santa Sede e alla chiusura dell’esercizio dell’anno scorso il patrimonio netto è pari a 720 milioni di euro. Inoltre, i risultati del primo semestre 2014 evidenziano un andamento “molto soddisfacente in quanto si registra un utile netto di 57,4 milioni di euro”. 

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Von Freyberg: raggiunta la trasparenza allo Ior

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Sulla fase attuale dello Ior, Bernd Hagenkord ha intervistato Ernst von Freyberg, presidente del Consiglio di Sovrintendenza dell’Istituto:

R. – Face 1 of the reform of the Ior…

La fase 1 della riforma dello Ior è stata caratterizzata da 4 elementi chiave: abbiamo controllato tutti i conti; abbiamo investigato i casi principali che abbiamo ereditato; abbiamo raggiunto la trasparenza e migliorato le nostre procedure. Abbiamo deciso sin dagli inizi che il futuro dello Ior doveva dipendere dall’assoluta trasparenza di chi fossero i nostri clienti. Quindi abbiamo preso i migliori specialisti che siamo riusciti a trovare nel mondo - in questo caso Promontoring - e li abbiamo affiancati ad un team di 30 persone per controllare ogni singolo conto per 12 mesi. Ora, dopo avere verificato più di 16 mila conti, sappiamo che solo una piccola, piccola parte, e non più di quello che ci si aspetterebbe in qualsiasi indagine standard di questo tipo, ha causato problemi. La grande maggioranza dei conti che abbiamo appartengono a istituzioni cattoliche, congregazioni, impiegati della Santa Sede e dello Stato del Vaticano, diocesi, parrocchie: quelli che davvero vogliamo servire. Seconda cosa, abbiamo indagato sui principali casi che ci siamo ritrovati. Lo Ior è stato associato ad un certo numero di scandali e noi volevamo conoscere i fatti. Questi sono stati tutti indagati e le autorità competenti informate, in modo che oggi si possa decidere il da farsi, basandosi sui fatti. Abbiamo raggiunto la trasparenza in un modo molto semplice: abbiamo inserito i nostri conti in Internet ed ora tutti possono controllare in dettaglio quello che lo Ior sta facendo con i suoi clienti e quanti soldi ha.

D. – Lei ha lavorato qui per più di un anno. Quali sono le sue impressioni?

R. – It is fantastic to be allowed to serve…

E’ fantastico che mi sia stato concesso di servire la Chiesa e la Santa Sede e sono molto grato per questo. Qui ho imparato l’importanza della trasparenza. Molte delle voci che girano intorno allo Ior, quasi tutte, non erano vere, non erano basate su fatti. Con la trasparenza potremo metterle a tacere. In generale, quello che mi porto via da Roma è che la trasparenza è la chiave per far progredire le istituzioni. E’ stato allo stesso tempo una gioia per me lavorare insieme al grande gruppo degli impiegati dello Ior e degli specialisti che sono venuti da fuori. Sia io che la Commissione cardinalizia siamo molto grati a tutti loro ed è impressionante vedere, quando la Chiesa chiama, quando la Santa Sede chiama, quanti uomini e donne di buona volontà siano disponibili a cooperare e ad aiutare.  

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Bilancio complessivo S. Sede-Governatorato: 10 milioni in attivo

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In occasione della riunione del Consiglio per l’Economia, sabato 5 luglio, la Prefettura per gli Affari Economici della Santa Sede ha presentato una relazione sui due Bilanci principali relativi al 2013, della Santa Sede e del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Considerando, com’è normale, i risultati dei due Bilanci nel loro complesso, sottolinea la Sala Stampa Vaticana, risulta un attivo di circa 10 milioni di euro. Il bilancio consuntivo consolidato della Santa Sede per l’anno 2013 chiude con un deficit di circa 24 milioni di euro dovuto soprattutto alle fluttuazioni negative derivanti dalla valutazione dell’oro per circa 14 milioni di euro. Tra i capitoli di spesa più impegnativi si annovera quello relativo al costo del personale, che al 31 dicembre 2013 contava 2.886 unità e pari a circa 125 milioni di euro lordi, né va trascurato il pagamento di imposte, che gravano sul settore immobiliare, per oltre 15 milioni di euro.

Il Governatorato, ricorda la nota, ha un’amministrazione autonoma ed indipendente da contributi della Santa Sede. Il consuntivo 2013 si è chiuso con un saldo attivo di circa 33 milioni, in aumento di circa 10 milioni rispetto a quello dell’anno precedente. Al 31 dicembre 2013 risultavano impiegate 1.951 persone. L’Istituto per le Opere di Religione (Ior), come ogni anno, ha offerto al Santo Padre una somma significativa a sostegno del suo ministero apostolico e di carità. Per l’esercizio 2013 si è trattato di 50 milioni di euro (a cui vanno aggiunti altri 4 milioni ad altre elargizioni).

Il Consiglio dell’Economia, conclude la nota, ascoltata la relazione, ha fatto la seguente dichiarazione: “Il Consiglio è stato informato dalla Prefettura degli Affari Economici sui conti relativi al 2013, ed ha preso nota della dichiarazione dell’External Auditor, secondo cui ‘in tutti gli aspetti più importanti, la posizione finanziaria dello Stato della Città del Vaticano al 31 dicembre 2013 e i risultati delle operazioni relative al 2013 sono in accordo con i principi contabili in vigore secondo i regolamenti dello Stato della Città del Vaticano’. Su questa base, il Consiglio ha approvato i Bilanci del 2013 e ha invitato la Segreteria per l’Economia ad operare per un ulteriore adeguamento dei principi contabili vaticani con gli standard internazionali”. (A.G.)

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P. Zollner: incontro col Papa significativo per vittime abusi

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Un evento commovente e profondamente significativo: così il padre gesuita Hans Zollner, membro della Pontificia Commissione per la protezione dei minori, ha commentato l’incontro del Papa ieri in Vaticano con sei vittime di abusi da parte di esponenti del clero. Il sacerdote tedesco ha partecipato come traduttore al colloquio personale tra Francesco e due vittime provenienti dalla Germania. Ascoltiamo la sua testimonianza al microfono di Bernd Hagenkord

R. - Posso dire che è stata veramente una esperienza molto densa, ricca, profonda, che mi ha commosso molto, per la sincerità con cui queste vittime si sono preparate, per il grande ascolto che il Santo Padre ha dato loro, per le parole che si sono scambiati e per l’opportunità di aprire la possibilità di un inizio di riconciliazione.

D. - Ci sono voci critiche che dicono che questo sia un semplice “simbolismo”. Come contribuisce un tale incontro al processo nella Chiesa per affrontare questi problemi?

R. - Io non vedrei male la parola “simbolo” o “simbolismo”. Vedrei male la parola “attivismo”. Ma questo è stato il contrario dell’attivismo ed è stato un fortissimo simbolo il fatto che il Successore di San Pietro, accanto alla Basilica di San Pietro, ascoltasse con il cuore, le orecchie e gli occhi, molto aperti, le persone che sono state violentate, le persone che hanno sofferto tremendamente, terribilmente, per mano dei sacerdoti. E il fatto di essere consapevole, di essere presente alla loro sofferenza e al loro dolore, certamente, non è solo un simbolo. Io posso testimoniare che per loro è cambiato qualcosa, è stato, in un certo senso - se vogliamo essere teologici - un sacramento: cioè qualcosa che nell’agire ha trasformato anche la realtà, la loro realtà. Perché alcuni hanno anche espresso che questo ha significato un cambio di atteggiamento e di sentimento profondo verso la loro storia, che non può essere sradicata, non può essere cancellata, ma che adesso possono vedere con altri occhi, con maggiore libertà, con una maggiore speranza.

D. - Lei fa parte della Pontifica Commissione per la protezione dei minori. C’è stato un incontro domenica e il prossimo incontro sarà in ottobre: quali saranno i prossimi passi?

R. - Innanzitutto abbiamo parlato molto di possibili altri membri della Commissione, che non è ancora completa, perché dall’inizio volevamo avere anche una rappresentanza significativa da altri continenti. Vorremmo anche partecipanti, possibilmente, dall’Africa, dall’Asia, e dall’Oceania. Poi dobbiamo parlare della struttura, del modo con cui questa Commissione potrà agire e a chi fa capo. Ci sono questioni molto concrete: per esempio, qualcuno che in ufficio organizzi questi incontri. L’ultimo punto di cui abbiamo parlato a lungo è la composizione dei gruppi di lavoro - perché la Commissione come tale non potrà radunarsi spesso, soprattutto quando sarà composta da 14, 15 membri provenienti da tutto il mondo - che potranno svolgere il loro lavoro nell’ambito dell’educazione, della prevenzione, per le questioni giuridiche o per le questioni concernenti la formazione di sacerdoti. Andranno avanti per conto loro e poi faranno relazioni, dovranno fare rapporto sul loro lavoro alla Commissione e questa probabilmente riferirà al Pontefice. Per cui, abbiamo individuato tantissimi temi. Adesso aspettiamo ancora questi nuovi membri ma posso dire che qualche gruppo di lavoro è già all’opera. Abbiamo cominciato con cose che, credo a breve termine, potranno essere anche conosciute e potranno aiutare la Chiesa - come ha detto lo stesso Santo Padre - a implementare le pratiche migliori che si conoscono nel mondo.

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Abusi sessuali, don Di Noto: dal Papa monito affinché non accadano più

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"Davanti a Dio e al suo popolo sono profondamente addolorato per i peccati e i gravi crimini di abuso sessuale commessi da membri del clero nei vostri confronti e umilmente chiedo perdono". Questa richiesta di perdono è uno dei passaggi centrali dell'omelia pronunciata da Papa Francesco durante la Santa Messa celebrata nella Casa Santa Marta lunedì 7 luglio, alla presenza di sei persone vittime di abusi sessuali da parte di esponenti del clero. Dopo la celebrazione, per circa tre ore, il vescovo di Roma ha avuto colloqui individuali con ciascuna di loro. Sul valore di questi gesti del Pontefice ecco il commento di don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter contro la pedofilia. L'intervista è di Fabio Colagrande.  

R. – Papa Francesco, seguendo le grandi orme ben consolidate di Benedetto XVI, sta continuando a dare un segnale che io definisco quasi una rivoluzione. Sta dando ascolto proprio a quel grido del Bambino Gesù, che raccoglie le grida di tante vittime, di tanti bambini. Papa Francesco sta dando un segnale ben chiaro: la Chiesa è madre e proprio perché madre deve proteggere i suoi figli. La Chiesa, nel corso dei secoli, forse ha dimenticato questa attenzione…  Però Papa Francesco – accogliendo le vittime proprio nel cuore della Chiesa – ha riaffermato che la Chiesa è dalla loro parte. E’ un appello, secondo me, incisivo per tutti i vescovi: che i vescovi inizino sempre di più o continuino sempre di più a fare i pastori del gregge; e nei confronti delle vittime, credo che il più grande segnale che si stia dando è la possibilità di poter offrire percorsi di guarigione, di libertà, di riconciliazione. Ma soprattutto si dice ancora: “Che non accada mai più!”. Non devono accadere questi fatti! Ahimé, il problema è che ancora ci sono dei fatti simili che accadono, ma per fortuna ormai la Chiesa li affronta con determinazione: chi compie questi atti non può stare nella comunità ecclesiale!

D. – Don Fortunato, cosa significa il fatto che Papa Francesco abbia trascorso circa tre ore incontrando questo persone?

R. – A chi come me, come fondatore di Meter, da 20 anni si è posto ad ascoltare e a guardare il dolore delle vittime, sembra che Papa Francesco abbia dato un ulteriore segnale: chi non ascolta non comprende; chi non guarda negli occhi le vittime, chi non nota la ferite - non soltanto psicologiche, ma anche fisiche nella loro esistenza – non può capire. “Chi guarda, ama” diceva Benedetto XVI. Ci vuole coraggio ad ascoltare ciò che accade nelle ferite delle persone, una grande umiltà anche. Io credo che il dolore abbia imposto a Francesco quasi quell’atteggiamento di compenetrazione della sofferenza umana. E’ un segnale, un comportamento, io direi quasi uno stile pastorale, che non possiamo non fare nostro: io che sono un parroco e di conseguenza tutti i vescovi. 

D. – Hanno colpito le parole del Papa che ha chiesto perdono anche per le omissioni di quei capi della Chiesa che hanno taciuto di fronte all’orrore o girato la testa dell’altra parte. Questo ovviamente è anche un monito per il futuro…

R. – Sicuramente, sicuramente! Certo i capi della Chiesa, i vescovi – alcuni – non hanno fatto i vescovi. Questo lo dobbiamo dire. Non è che sia un’offesa, ma proprio perché di fronte a questi drammi non sono stati capaci di affrontarli, hanno creato questo senso di omertà… Sarebbe bello un altro atto, oltre quello di Papa Francesco che raccoglie nell’unità della carità tutte le Chiese. Sarebbe bello che i tanti vescovi che hanno coperto, dicessero alla loro comunità: “Abbiamo sbagliato anche noi! E possiamo andare anche avanti ora”. 

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Un anno fa la visita di Papa Francesco a Lampedusa

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Un anno fa, l'8 luglio 2013, Papa Francesco si recava a Lampedusa nel suo primo viaggio dall’inizio del Pontificato. Una visita che il Pontefice fece per pregare per i tanti morti in mare, per i corpi senza nome, per i fratelli ancora sepolti nelle acque del Mediterraneo. Un momento di grande intensità che lo stesso Pontefice ha ricordato nel messaggio inviato sabato all’arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro. Il presule lo ha letto nella chiesa dell’isola ma come è stato accolto dai lampedusani? Al microfono di Benedetta Capelli risponde lo stesso arcivescovo: 

R. - E’ stato accolto con gioia perché vedono che il Papa continua a pensare a loro e all’esperienza che loro stanno vivendo qui, esperienza di accoglienza e di incontro con la povertà. Per cui, per loro anche questo è stato un abbraccio che li rincuora, li riconforta ma li ritempra anche. Sentono che devono essere qui ad accogliere, il Signore li chiama a questo servizio.

D. - Un anno fa la visita di Papa Francesco. È cambiato qualcosa nel cuore, nell’animo dei lampedusani?

R. - L’animo dei lampedusani non doveva cambiare granché. Loro questa accoglienza l’hanno sempre fatta e continueranno a farla. Quindi, è il “grazie” del Papa che li ha commossi e rincuorati. Semmai, la presenza del Papa a Lampedusa può aver aiutato diverse persone e comunità a prendere atto che queste morti, quando succedono, ci vedono tutti responsabili, anche il Papa l’ha detto.

D. - Invece, per quanto riguarda la comunità cristiana sente che Papa Francesco ha gettato dei semi e che in questo momento, in un certo modo, stiano germogliando?

R. - Sì, credo la risposta delle Chiese. Il Papa anche nel messaggio l’ha detto; ha visto che c’è un’attenzione diversa e lui sottolinea e ringrazia anche le comunità che sono presenti in questo servizio. Il fatto che ora stanno mandando i migranti ovunque in Italia, questo richiama maggiore attenzione e quindi più risposte congrue.

D. - Personalmente lei cosa ricorda di quel giorno a Lampedusa?

R. - Tutto! Gli occhi del Papa, il suo chiudersi in se stesso in certi momenti di preghiera. Quante volte mi ha detto: “Quanta sofferenza!”. Gli occhi lucidi quando ha incontrato gli immigrati, quando ha visto la gente, quando ha salutato i malati. Il cuore con cui ha parlato a tutti nel momento dell’omelia. Non c’è un attimo che si possa dimenticare, perché è stata un’esperienza unica, la prima, e noi non sapevamo nemmeno come sarebbe andata.

Forte allora il monito del Papa contro la globalizzazione dell’indifferenza che fu un richiamo al ruolo della comunità internazionale. Parole che sembrano aver dato frutti come sottolinea, al microfono di Benedetta Capelli, Valerio Landri, direttore della Caritas diocesana di Agrigento: 

R. – Diciamo che la visita di Papa Francesco è stata, in qualche modo, propedeutica; ricordate quello che è accaduto ad ottobre. Per cui, in un certo senso, le sue parole sono state profetiche, sono servite a richiamare l’attenzione di tutti noi, a partire dai lampedusani e più in generale a tutti gli italiani, al dovere dell’accoglienza. “Adamo dove sei? Caino dove è tuo fratello”, sono ancora parole che risuonano forte in questi luoghi. L’esperienza di Mare Nostrum che si è attivata subito dopo la tragedia del 3 ottobre ha consentito a Lampedusa di ritornare ad una sua normalità. Adesso, qui è ricominciata la stagione turistica; i migranti chiaramente sono molti meno rispetto a quanti ne siamo abituati a vedere in questo periodo dell’anno, anche se, giusto oggi, sono appena sbarcati sull’isola circa 500 migranti di nazionalità prevalentemente eritrea e ne stiamo aspettando altri. Qui si comprende come l’esperienza di Mare Nostrum non sia sufficiente a frenare l’esigenza di vita nuova dei tanti e tanti migranti che stanno per partire per l’Europa. Lampedusa va ricostruendosi, va a recuperare la sua ordinarietà, ma sa che questa è una calma apparente e che, comunque, la sua vocazione geografica è sempre quella all’accoglienza: tutti sono pronti a fare la loro parte.

D. - Papa Francesco denunciò la globalizzazione dell’indifferenza; un concetto ribadito anche in un messaggio proprio in occasione del primo anniversario della visita a Lampedusa. Eppure la cultura dell’accoglienza, sembra un tratto tipico dei lampedusani e dei siciliani in generale …

R. - Probabilmente è determinante il fatto che i siciliani continuano a vivere come presente l’esperienza della emigrazione. Siamo un popolo che spesso è costretto ad andare altrove, a cominciare dal Nord Italia o nel resto dell’Europa per cercare un lavoro, per avere un futuro migliore … Quindi probabilmente questo ci dà anche una chiave di lettura diversa dell’esperienza migratoria. Ci fa comprendere come partire dalla propria terra, lasciare la propria storia, non sia mai una scelta piacevole, sempre dolorosa, ha un carico di dolore e di sofferenza che va assolutamente rispettato e accolto per quello che è. Quindi probabilmente è per questo che la Sicilia e l’Italia in genere, da questo punto di vista, sta attivando buone risorse. La Sicilia ha questa disponibilità all’accoglienza. La nostra terra è anche abituata ad essere invasa, colonizzata, abbiamo avuto tante dominazioni … Probabilmente questo fa sì che nella nostra cultura ci sia un’apertura alle altre culture.

D. - È cambiato il lavoro della Caritas in questo anno dalla visita di Papa Francesco?

D. - Tante Caritas siciliane sono state interpellate dalla presenza di migranti: Palermo, Siracusa, ma anche tante altre diocesi siciliane grazie anche alla presenza di Mare Nostrum si sono dovute attivare. Penso che questo abbia innescato anche dei meccanismi, delle esperienze che forse adesso non comprendiamo pienamente, ma che comprenderemo domani, risorse che erano in qualche modo addormentate e che adesso con la presenza di migranti si stanno risvegliando. Ci siamo, noi diamo un supporto laddove ci è richiesto e laddove ci è possibile.

D. - Personalmente che ricordo ha di quella visita?

R. – Quella visita ha segnato profondamente Lampedusa. Io mi trovavo in Tunisia dove siamo presenti per un rapporto di reciprocità tra le chiese. Ho seguito, ho pregato insieme alla chiesa di Tunisi, mentre ad Agrigento si pregava per le vittime del mare. Ho vissuto l’esperienza di una Chiesa che ha trovato in Lampedusa la sua unità. Quelle parole del Papa sono state un programma pastorale per tutti noi che ancora oggi continua ad essere assolutamente valido. Lampedusa continua a vivere quel giorno come se fosse il presente. Questi sette giorni di festa sono vissuti come se il Papa fosse presente, con la stessa gioia, la stessa attenzione di un anno fa.

Uno dei momenti più importanti della visita del Papa a Lampedusa è stato l’incontro con i migranti che Francesco ha ascoltato uno ad uno. Toccanti le loro storie, i racconti dei viaggi, il dolore di aver lasciato gli affetti e i luoghi del cuore. A fare da mediatore tra loro e il Papa c’era Mohammad, operatore culturale di “Save the Children”, Benedetta Capelli lo ha intervistato: 

R. - Per me è stato veramente un miracolo. Io non sono cattolico però vederlo così da vicino è stato emozionante anche per me, mi sono sentito importante per il ruolo che svolgevo: avvicinarmi e riferire al Papa le loro parole. Questo è stato molto importante anche per il mio ruolo, quello di mediatore culturale; far ascoltare le loro voci, le voci delle persone che sono “ultimi”, perché nessuno le ascolta. Io sono stato protagonista nel far passare le loro voci e per me è stato significativo.

D. - Cosa ti ha detto il Papa?

R. - Per prima cosa ha cercato di capire chi fossero queste persone, da dove venivano e come erano arrivate qui, passo dopo passo. Ha salutato tutti, uno alla volta e ha chiesto loro come stavano. Tutti sono stati molto bravi nell’accoglierlo.

D. - C’è stata una storia che ha particolarmente colpito Papa Francesco?

R. - Papa Francesco si è fermato quando ha visto un ragazzo minorenne con una gamba ferita. Gli ha chiesto come stava e cosa fosse successo. Il ragazzo ha raccontato al Papa che era stato picchiato in Libia. Allora, Papa Francesco gli ha detto: “Adesso, come stai?”, e lui ha risposto “Adesso, meglio”.

D. - Per loro che esperienza è stata?

R. - Personalmente sono stato colpito da due persone: una ragazza di 16 anni ed un ragazzo di 17, seminarista in Eritrea. La ragazza era cattolica e ha detto: “Io non mi sarei mai immaginata che un giorno avrei incontrato così da vicino il Papa, che sentivo su Radio Vaticana. È come se fossi nata di nuovo”. Il seminarista, invece, mi ha detto che l’unica cosa che desiderava - essendo lui un religioso - era di trovare una Chiesa per continuare il suo percorso da seminarista, ma non si sarebbe mai aspettato prima di incontrare il Papa e di poter parlare con lui; così di sua volontà ha preparato i canti per il coro.

D. - Papa Francesco, un anno fa, disse: “Chi di voi ha pianto questi morti? e denunciò l’indifferenza nella quale molte tragedie del mare accadono… Oggi, secondo te, qualcosa è cambiato?

R. - E’ stato un messaggio forte, non solo politico ma anche umano. Si sente parlare dei morti solo nella cronaca e poi basta, nessuno li ricorda, vengono scordati. Il Papa invece si è avvicinato anche per capire la sofferenza delle persone dal profondo, da vicino…

Uno dei frutti nati dopo la visita del Papa a Lampedusa è stata l’apertura di una piccola comunità delle suore dei poveri di don Morinello. Sono tre le religiose arrivate sull’isola perché chiamate a questo impegno dalle forti parole del Pontefice come racconta suor Paola nell’intervista di Benedetta Capelli: 

R. - É avvenuto per caso, per coincidenza ma spiritualmente pensiamo sia stato il vento dello Spirito, perché l’anno scorso quando il Papa è venuto dando uno sguardo d’insieme disse al vescovo, don Franco Montenegro: “Non ci sono religiosi, non ci sono suore”. Questo lo ha fatto riflettere. Poi, piano piano questa parola è stata trasmessa anche ai sacerdoti. Un sacerdote di Palermo, che ci conosce, lo ha detto di sfuggita alla madre generale suor Maria Agnese e quindi, piano piano, tra la preghiera, la riflessione, la valutazione delle nostre possibilità è maturata questa decisione. Il Papa ci ha risposto mandandoci un rosario e dicendoci che benedice questa iniziativa. Noi gli abbiamo chiesto la data e lui ci ha detto: “Quale data è migliore se non quella della Cattedra di San Pietro, il 22 febbraio?”. E noi il 22 febbraio siamo approdate qui.

D. - Come siete state accolte dai lampedusani?

R. - In maniera molto semplice, perché qui manca una comunità religiosa da prima della Seconda Guerra mondiale. All’inizio ci trattavano come turisti, poi piano piano ci hanno conosciuto. Il nostro primo progetto è quello di vivere insieme ai lampedusani, vivere il loro stile di vita, quindi di accoglienza, di disagio perché si sentono veramente isolati - e lo sono anche geograficamente -. Adesso che abbiamo iniziato a conoscere le famiglie, a partire dai malati, andando casa per casa. Ora la gente ci conosce molto di più, ci cerca di più, ci aspetta con ansia e con gioia quando entriamo nelle loro case per condividere con loro - e loro con noi - la loro vita, le loro sofferenze, i loro problemi, le loro gioie …tutto.

D. - È cambiato qualcosa da quella visita di Papa Francesco?

R. - A seconda dei punti di vista, sono cambiate tante cose: c’è una presa di coscienza sempre più forte della realtà che stiamo vivendo qui sull’isola, la consapevolezza dell’essere un punto di limite geografico e quindi di accogliere, sentirsi un po’ più interpellati non solo dal punto di vista mediatico, perché qui si sa, i riflettori si accendono solo quando ci sono i migranti ma non sulla realtà del lampedusano, che continua a vivere la sua vita a volte molto disagiata a causa del clima in cui si trova; siamo condizionati dal mare, quindi dal vento, dal clima … Il Papa ha rivolto la sua attenzione dal punto di vista umano, non solo politico come magari si penserebbe, e noi grazie al Papa, alla sua attenzione sul territorio, siamo qui presenti. Quindi ci sono piccoli cambiamenti - lo devo dire -, e lentamente ma progressivamente le prospettive cambiano.

D. - Parlando con loro c’è una frase di Papa Francesco che li ha colpiti particolarmente?

R. - Da quando siamo arrivate a febbraio, durante la Quaresima il parroco ha invocato durante la Via Crucis le parole del Papa nell’omelia. Le due frasi monumentali: “Adamo dove sei? Caino, dov’è tuo fratello?”. Queste sono due domande molto forti che il Papa ci ha lanciato e che noi continuamente rispolveriamo per entrare veramente mano nella mano, sguardo nello sguardo, occhi negli occhi con le persone che incontriamo.

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Tweet del Papa: con Dio nulla si perde ma senza di Lui tutto è perduto

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Il Papa ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex in nove lingue: “Con Dio nulla si perde ma senza di Lui tutto è perduto”.

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Mons. Celli presenta a Francesco The Pope App

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Il presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, mons. Claudio Maria Celli, accompagnato dal suo collaboratore Thaddeus Jones, ha mostrato ieri a Papa Francesco “The Pope App”, un’applicazione per smartphone e tablet che riunisce tutti i media del Vaticano. Ascoltiamo mons. Celli al microfono di Philippa Hitchen

R. – Era nostro desiderio far conoscere al Papa questa iniziativa. Come si sa, già esisteva The Pope App e noi siamo contenti perché nel passato più di 400 mila persone avevano scaricato nei propri telefoni e nei propri tablet questa applicazione. E’ una applicazione che permette al Papa di avvicinare uomini e donne di oggi, di essere loro vicino con i suoi messaggi, con i suoi interventi, con le sue meditazioni. E questo riteniamo che sia un momento privilegiato: uomini e donne di oggi, alle volte anche lontani dalla Chiesa o alle volte anche appartenenti ad altre religioni, hanno trovato in Papa Francesco un amico, che è accanto a loro, che dice cose autentiche, che sa parlare al cuore degli uomini e delle donne di oggi, che sa percepire la loro stanchezza e a volte la difficoltà del vivere e sa dare una parola di amicizia, di amore. Io ricordo, in questo momento, ciò che lui diceva pochi giorni fa in un incontro pastorale con la diocesi di Roma. Diceva: “Io ho un sogno, quello di rivelare al mondo di oggi l’aspetto materno della Chiesa”. Una madre può non condividere le scelte dei propri figli, ma una madre ama sempre e comunque i propri figli: la Chiesa è madre e maestra e noi molte volte abbiamo sottolineato questa grande funzione magisteriale della Chiesa. E credo che sia un dovere! Però non sempre abbiamo ricordato che era anche un nostro dovere mostrare questo volto materno della Chiesa. Papa Francesco ci sta aiutando in questo. Una Chiesa che ha simpatia per l’uomo, che è accanto all’uomo. Papa Francesco varie volte ha detto: “Le porte della Chiesa devono essere sempre aperte, perché chi passa per strada possa entrare, qualsiasi sia il suo stato di vita”. L’uomo deve sempre comprendere che è accolto, che è accolto da Dio! Io ritengo che con questa iniziativa - abbiamo perfezionato la prima edizione di The Pope App e oggi è più accessibile, è più chiara, è più gestibile, però le funzioni sono le medesime - possiamo far sì che in ogni momento l’uomo e la donna di oggi possano avere a disposizione sul proprio cellulare o sul proprio tablet le meditazioni, le parole del Papa, i suoi gesti… Direi che oggi la nuova edizione permette anche di avere dei favoriti, scegliere cioè dei testi che si ritengono favoriti e allo stesso tempo di poterli condividere con altri. Questo ritengo che sia una opportunità nuova che viene offerta a tutti.

D. – Thaddeus Jones, lei ha seguito molto da vicino lo sviluppo di questa nuova App: ci può raccontare che cosa offre?

R. – L’App mette insieme i contenuti, i media e le news prodotte da ogni media della Santa Sede, del Vaticano: quindi Radio Vaticana, Centro Televisivo Vaticano, Agenzia Fides, L’Osservatore Romano, in parte la Sala Stampa e gli ultimi testi pubblicati su vatican.va. E’ multimedia: ha video, lo streaming e fotografie, anche del Servizio Fotografico. Quindi comprende un po’ di tutto, anche le notizie scritte, i sommari delle notizie, i testi integrali. L’idea è mettere tutto insieme in un’unica App e questo anche per soddisfare una esigenza sempre più presente oggi, perché  la gente vuole avere le notizie sul proprio smartphone, sul proprio tablet. Quindi per andare incontro a questa esigenza sempre più evidente abbiamo creato questa App con il nome The Pope App.

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Nomine episcopali di Papa Francesco

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In Svizzera, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di vescovo di Sion di mons. Norbert Brunner, per sopraggiunti limiti di età. Il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Sion il p. Abate Jean-Marie Lovey, C.R.B., Preposito Generale dei Canonici Regolari della Congregazione del Gran San Bernardo.

In Nigeria, il Papa ha nominato vescovo Coadiutore della diocesi di Makurdi il rev.do p. Wilfred Chikpa Anagbe, C.M.F., Economo Provinciale e Cappellano militare.

In Perù, Papa Francesco ha nominato Vescovo Coadiutore del Vicariato Apostolico di Puerto Maldonado (Perù) il Rev.do P. David Martínez De Aguirre Guinea, O.P., Parroco e Consigliere del Vicariato Regionale Domenicano Santa Rosa de Lima. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Izirzada.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Trasparente, semplice ed efficace: pubblicato il bilancio 2013 e avviata la seconda fase di riforma dello Ior.

Un articolo dell'arcivescovo Diarmuid Martin dal titolo "Per guarire la Chiesa ha bisogno di umiltà": la piaga degli abusi sessuali sui minori si cura portando il ferito tra le proprie braccia.

Escalation militare sulla Striscia di Gaza.

Nessuna rivolta, solo una richiesta di chiarezza: i detenuti di Larino.

Maurizio Gronchi sul dolce stil novo nella Evangelii gaudium.

Dalle piste di atletica alle Fosse Ardeatine: Gaetano Vallini su Manlio Gelsomini, il campione partigiano.

Il primo universale: Maurizio Fontana ricorda Alfredo Di Stefano, morto nel pomeriggio di ieri.

Porta a porta con Dio: Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz illustra il rapporto fra Guardini e la malinconia.

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Oggi in Primo Piano



Raid su Gaza: altri 4 palestinesi uccisi

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Ancora violenza in Israele e Palestina per la crisi innescata dall'uccisione dei tre giovani ebrei in Cisgiordania seguita poi dall'omicidio di un giovane palestinese. A Gaza 50 siti sospetti sono stati bombardati nella notte dall’aviazione israeliana e quattro palestinesi uccisi, mentre continua il lancio di razzi verso le città israeliane del Sud. Abu Mazen chiede di fermare i raid, mentre Netanyahu, che ha visto l’allontanamento del governo del partito della destra nazionalista laica, chiede fermezza contro Hamas. Ma c’è il rischio di una Terza Intifada? Michele Raviart lo ha chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Firenze: 

R. - La Terza Intifada, per certi versi, è già cominciata, perché per la prima volta si vedono più forze che agiscono contro lo Stato: i palestinesi contro l’esercito, gli arabi israeliani contro la polizia, i beduini si sono messi a tirare molotov e gli estremisti ebrei si sono fatti vedere con grandi dimostrazioni. L’opinione pubblica vuole un segnale forte, non tanto per gli assassini, ma anche e soprattutto per i razzi che continuano ad arrivare da Gaza. Oltre a questo, c’è anche la necessità di dare un forte segnale politico, perché la coalizione del governo Netanyahu sta scricchiolando; il suo partner più solido è appena uscito dalla coalizione elettorale - il ministro degli Esteri, Lieberman - e l’altro importante partner dell’estrema destra Bennett, il ministro dell’Economia, da sempre martella Netanyahu invitandolo ad un’azione più decisa contro i palestinesi.

D. - Netanyahu è pressato dai "falchi". Quali sono le conseguenze per la stabilità del governo di Israele dopo queste fuoriuscite?

R. - È chiaro che se nel suo governo i falchi tirano, lui in qualche modo li deve seguire. Netanyahu sa bene che la situazione interna sul fronte ebraico è estremamente pericolosa. Si sa che se lui decidesse anche un ritiro parziale o comunque un qualche cedimento - perché tale sarebbe considerato - la sua vita sarebbe in grave pericolo. Questo glielo hanno detto chiaro e tondo i servizi segreti. Due giorni fa il capo del Mossad ha detto chiaro e tondo che non è l’Iran la minaccia per Israele, ma lo è l’assenza di un Trattato di pace con i palestinesi.

D. - A differenza di altre crisi qui sembra che in Cisgiordania la situazione sia relativamente più tranquilla rispetto a zone come Gerusalemme Est o le città arabe israeliane del Nord. Perché?

R. - Il West Bank è sotto controllo diretto e indiretto dell’esercito israeliano che ha anche richiamato altri riservisti. Semmai si sono scaldati i settori che prima si muovevano meno. Gli arabi israeliani sono sempre molto prudenti, però anche loro cominciano a muoversi, soprattutto perché reagiscono al forte disegno di legge che il governo ha presentato per proclamare Israele “Stato ebraico”, quindi per togliere la piena cittadinanza a tutti quelli che non sono ebrei.

D. - E la situazione all’interno della leadership palestinese con l’alleanza che da poco si era stabilita tra Fatah e Hamas …

R. - Hamas non vuole la guerra con Israele; c’è finito dentro perché una famiglia che dice di essere alleata di Hamas nella zona di Hebron ha rapito i tre ragazzi israeliani e li ha uccisi. Sulla leadership di Abu Mazen nessuno ha avuto alcuna obiezione soprattutto in questi giorni; è stato anche lodato dal presidente degli Stati Uniti e dal presidente israeliano Peres. Il problema è che questa situazione sta sfuggendo di mano per ragioni politiche essenzialmente israeliane, ma non solo, e che nessuno riesce a porvi rimedio.

D. - Nella tragedia del ragazzo palestinese, probabilmente bruciato vivo a Gerusalemme Est, si è trovata una sorta di solidarietà sia da una parte che dall’altra … Questa può essere invece una scintilla  per la pace o per lo meno per limitare l’escalation?

R. - La solidarietà l’hanno trovata soprattutto le famiglie e le madri perché per certi versi sono situazioni simili: le famiglie religiose con ragazzi di un certo tipo che quindi se li vedono ammazzare in questo modo e capiscono che tutto questo è la conseguenza di un gioco politico in cui i ragazzi non contano nulla. Non credo che ora però questa solidarietà tra famiglie possa davvero contare politicamente; ci sono forze molto più decise. I coloni faranno di tutto per evitare anche un parziale ritiro dai territori. 

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Somalia: 25 anni fa l'omicidio di mons. Colombo, vescovo di Mogadiscio

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25 anni fa l’omicidio in Somalia del vescovo di Mogadiscio, Pietro Salvatore Colombo, sacerdote francescano, da 42 anni nel Paese africano, dove il 9 luglio 1989 venne ucciso con un colpo di pistola al cuore, fuori della Cattedrale da un assassino ignoto. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Giorgio Bertin, attuale amministratore apostolico di Mogadiscio, che domani pomeriggio alle 18 celebrerà una Messa in memoria di mons. Colombo, nella cittadina natia di Carate Brianza, nella diocesi di Milano:

 

Vescovo con il saio e i sandali che non aveva mai smesso di indossare, pastore mite e generoso. L’omicidio di mons. Colombo, aveva 67 anni, è rimasto insoluto. Le sue esequie si svolsero quasi in segreto. Tra i pochi presenti, c’era mons. Bertin:

R. - Le esequie furono circa una settimana dopo. Avvennero nel contesto di una situazione difficile per il Paese in quel momento, che aveva imposto anche il coprifuoco a Mogadiscio. Dunque il funerale avvenne proprio di sera, durante il coprifuoco con pochissime persone: noi che abitavamo nella Cattedrale e le suore vicine. Non si conosce ancora il motivo dell’omicidio, non si sa ancora chi lo commise e chi erano i mandanti, anche se c’è qualche sospetto.

D. - Si disse che ad uccidere mons. Colombo fossero stati gli islamici. Ma lei mons. Bertin ipotizzò responsabilità governative e dell’allora capo di Stato Siad Barre….

R. - Sì, è vero perché non aveva - a mio parere - le caratteristiche di un omicidio organizzato da elementi estremisti islamici. Per esempio, l’atto è stato compiuto da un professionista che non ha accompagnato l’azione da esclamazioni tipicamente islamiche. Ecco perché mi diressi verso chi stava al potere, perché forse pensavano di salvare la situazione, di attirare l’attenzione soprattutto dei Paesi occidentali che stavano abbandonato la Somalia come a dire: “Guardate, se voi ci abbandonate, finiamo in mano all’estremismo islamico”. Tuttora continuo a pensarla un po’ in questo modo.

D. - Non passò molto tempo e anche la Cattedrale fu saccheggiata …

R. – Sì, esattamente un anno e mezzo dopo. Il 9 gennaio del 1991 nel contesto della guerra civile, tutti gli edifici pubblici, ambasciate dove non ci si poteva difendere, vennero saccheggiate e la Cattedrale data alle fiamme.

D. - Dopo 25 anni che cosa è cambiato in Somalia?

R. - Poco è cambiato. Continuano le instabilità, continua l’insicurezza, anche se in quest’ultimo anno e mezzo, ma anche in precedenza, si è tentato di far rinascere le istituzioni statali. Io sono stato a Mogadiscio all’inizio di giugno: le istituzione statali nate sulla carta, non hanno ancora un grande potere e non hanno ancora - penso - l’avvallo pubblico da parte della popolazione.

D. - Lei, eccellenza, è costretto a risiedere fuori dalla Somalia, a Gibuti …

R. - Più che costretto - visto che nel frattempo sono stato nominato vescovo di Gibuti - questa è diventata la mia residenza. Ma in quanto amministratore apostolico, e successore di mons. Salvatore Colombo, io ho il dovere di continuare a seguire la Somalia, solo che in questo momento non è possibile aprire una nostra sede permanente a causa dell’instabilità e in questo momento anche per un motivo di natura ideologico-religiosa islamista. É chiaro che noi rappresenteremmo un ottimo bersaglio e anche un’ottima ragione contro la  rinascita dello Stato, perché secondo loro sarebbe uno Stato traditore della religione, della tradizione musulmana somala.

D. - Lei è preoccupato di questa avanzata del fondamentalismo islamico?

R. - Sono preoccupato perché questo impedisce alla Chiesa di avere una presenza più continua al di là di visite rapide ed interventi attraverso la nostra Caritas in Somalia. Rimango preoccupato soprattutto perché la maggior parte della popolazione ha bisogno che uno Stato rinasca per poter ricominciare a lavorare; penso per esempio agli agricoltori ed anche agli allevatori. Tutte queste attività economiche, chiaramente a causa dell’insicurezza e della mancanza dell’istituzione statale, sono state direttamente colpite.

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Onu: sì alla protezione della famiglia naturale. Contrari Ue e Usa

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Ancora la famiglia al centro, nel ventesimo anniversario dell’Anno internazionale ad essa dedicato. Lo scorso 25 giugno il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione a favore della famiglia intesa come “elemento naturale e fondamentale della società”. Il testo è stato votato con 26 sì, 14 no e 6 astenuti. Il servizio di Debora Donnini

“La famiglia è l’elemento naturale e fondamentale della società” ed essa “ha il diritto alla protezione della società e dello Stato”. Recita così la risoluzione approvata dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu, che comprende 47 Stati membri. Colpisce che a votare a favore della risoluzione siano stati tutti i Paesi africani e quelli arabi, la Russia, la Cina e il Venezuela. Contrari invece tutti gli Stati europei, fra cui l’Italia, gli Stati Uniti, la Corea e il Giappone e, fra i latino-americani, il Cile. Cosa significa questa spaccatura? Lo abbiamo chiesto a Carlo Cardia professore di diritto ecclesiastico all’Università di Roma Tre:

“E’ una risoluzione in perfetta linea con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. Questa afferma che la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato. Questa affermazione del 1948 fu fatta per difendere la famiglia dagli Stati totalitari e dal totalitarismo ed è ripetuta nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nei Patti sociali e civili del 1966, in tutte le Carte internazionali. Questo dovrebbe far riflettere: l’Europa, la culla dei diritti umani, vota contro i diritti umani, stabiliti dalla Dichiarazione più celebre della storia del mondo”.

Nel corso della travagliata approvazione sono falliti i tentativi di alcuni Paesi  che hanno cercato di inserire nel testo un’apertura a varie forme di famiglia. Ancora Cardia:

“Quando questi Stati hanno cercato di fare un’apertura, hanno negato uno dei principi fondamentali dell’individualismo. La cultura individualista cosa dice? Lasciateci fare anche altri tipi di famiglia; noi non disturbiamo la famiglia tradizionale, sono cose diverse; noi vogliamo che siano affermati anche altri diritti. Dopo, la realtà è diversa, è opposta, perché si va a votare contro i diritti della famiglia naturale... Allora vuol dire che quando si reclamano i diritti di altri tipi di famiglie, si vogliono insidiare e negare i diritti della famiglia naturale. Questo è un ginepraio dal quale non si esce, perché è uno scontro a livello mondiale. Nessuno nega che si debbano affermare i diritti di altre formazioni sociali, ma che questi non giungano a negare i diritti della famiglia, che è brutto dire 'tradizionale', perché è una famiglia naturale”.

Il testo non implica per gli Stati membri alcun obbligo giuridico ma  apre, anche con una tavola rotonda da tenersi nella prossima sessione, un dibattito sui modi per proteggere la famiglia. Sulla risoluzione approvata dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu, abbiamo chiesto un commento a mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Ufficio Onu di Ginevra:

“Nella tradizione cristiana e nella dottrina sociale della Chiesa, il matrimonio e la famiglia sono in linea con la legge naturale: nella natura la famiglia si identifica con l’unione stabile di un uomo e di una donna, in vista dei figli. Ci troviamo di fronte ad un bivio culturale: da una parte abbiamo la comprensione della famiglia che può funzionare come unità e, dall’altra, l’accento viene messo solo sugli individui. Quindi, mentre dobbiamo essere, lo Stato in particolare deve essere sensibile e attento a tutte le situazioni che si trovano nel suo contesto, bisogna riaffermare – e questo è il valore della risoluzione che è stata passata in questa 26.ma sessione del Consiglio dei diritti umani - l’importanza, per la società e per il bene dei figli in particolare, ma anche di tutti i membri della famiglia, della famiglia come una unità, come una cellula vivente della società”.  

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Libertà: tema della Sagra Musicale Umbra 2014. Oggi la presentazione.

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E’ dedicata al tema della “Libertà” l’edizione 2014 della Sagra Musicale Umbra, che si svolge a Perugia e in altri centri della regione dal 6 al 14 settembre. Si tratta di uno dei festival più antichi d’Europa, è infatti alla sua 69.esima edizione, e ha l’obiettivo di incentivare la musica di ispirazione sacra. Per la seconda volta, quest’anno al festival si accompagna il concorso per il "Premio Francesco Siciliani": i candidati sono invitati a mettere in partitura la preghiera del Padre Nostro. Del legame  tra il tema della libertà e la preghiera che Cristo ci ha insegnato, ci parla, nell’intervista di Adriana Masotti, il direttore artistico della Sagra Musicale Umbra, Alberto Batisti:

 

R. – La suggestione di creare un percorso musicale-artistico intorno a questo tema, mi è venuta dal testo del “Pater Noster”: l’ultimo verso del Pater Noster recita - come tutti sanno - “líbera nos a malo”. Questa liberazione dal male, liberazione dell’oppressione, liberazione dell’uomo in senso sia spirituale, ma anche in senso civile naturalmente, ha creato nei secoli pagine illustri, importanti, toccanti, che hanno interpretato in musica questo grande afflato. Ed è per questo che la Sagra Musicale 2014 si svolge in dialogo fra l’aspirazione religiosa, spirituale, intima della liberazione dal male e quella della liberazione dell’uomo da ogni forma di oppressione e di tirannia. Quindi ci saranno musiche – ad esempio – della Rivoluzione Francese, che hanno per la prima volta avuto il coraggio di intonare la parola “libertà” in composizioni musicali; ci sarà un’opera di Mozart, che è un capolavoro di inno alla libertà, alla tolleranza, alla giustizia, alla clemenza, che è il “Ratto dal Serraglio”; ci sarà naturalmente il concerto finale di premiazione del Concorso Francesco Siciliani, con i tre “Pater Noster” selezionati da una giuria su 146 partiture provenienti da tutto i mondo.

D. – Mi sembra di capire che la Sagra Musicale Umbra abbia una doppia valenza: la valorizzazione, la riscoperta di capolavori del passato, ma anche il favorire e presentare produzioni contemporanee.  Su questo vuol dirci qualcosa: c’è interesse negli artisti di oggi?

R. – C’è un enorme interesse! Se pensiamo che la prima edizione vide la partecipazione da tutti i continenti di più di 200 compositori; quest’anno è diminuita la partecipazione – sono 146 – ma si è alzata molto la qualità. Quindi l’aspirazione a confrontarsi col sacro, attraverso anche i linguaggi più aggiornati della musica, è largamente diffusa. Questo Concorso è davvero – direi – una delle punte di diamante di una nuova apertura, di una rigenerazione dell’aspirazione musicale nel territorio sacro.

D. – C’è altrettanto interesse da parte della gente?

R. – Sì! Teniamo anche conto che questo Festival si muove in tutta l’Umbria, in luoghi straordinariamente suggestivi, stupendi. Basti pensare al concerto finale del Concorso che si svolgerà nientemeno che nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi… La presenza in Umbria di tanti turisti e di tanti pellegrini che - dal 1937 – seguono con passione questo percorso ci conforta ad andare avanti e a inventare sempre nuovi itinerari, che sono dei veri e propri pellegrinaggi, nei luoghi dell’arte attraverso la musica.

D. – Una parola, per finire, sul contributo che le capacità del territorio offrono a questo Festival…

R. – C’è un grande affetto innanzitutto: un affetto storico, perché il Festival nasce nel ’37 ed è tra i più antichi d’ Europa. Ha prodotto momenti di grande scoperta di partiture che erano cadute nel dimenticatoio, ha dato slancio a nuovi compositori, ha fatto ascoltare meravigliosi capolavori in prima esecuzione assoluta. E’ un contesto culturale e sociale molto ben arato negli anni e che, negli ultimi tempi, sta ritrovando una sua nuova freschezza. In particolare sono reduce ora dalla presentazione del programma in una conferenza stampa pubblica col Comune e la Regione, ed ho sentito intorno a me un affetto specialissimo che lega a queste iniziative davvero lo spirito più profondo della storia e dello spirito di questa regione. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Appello dei vescovi della Tanzania per una nuova Costituzione

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“Un dovere morale”: così la Conferenza episcopale della Tanzania (Cet) definisce la stesura di una nuova Costituzione da parte dei membri dell’Assemblea costituente. In una nota diffusa in questi giorni, i presuli esortano le autorità preposte a redigere una nuova Carta fondamentale “con grande senso di responsabilità”. Da diversi mesi, infatti, il Paese africano è in attesa di una Costituzione rinnovata, che dovrebbe entrare in vigore quest’anno, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’unione con Zanzibar, avvenuta nel 1964, ed in vista delle elezioni che si terranno in 2015. Nel nuovo testo, si prevede la creazione di uno Stato federale con il ripristino dei governi del Taganyka e dello Zanzibar, soppressi nel 1964, ponendo fine ad annosi contenziosi tra le due province. Tra le altre novità il riconoscimento di una maggiore libertà di stampa e di informazione, l’istruzione per tutti e una maggiore rappresentanza femminile nelle posizioni di responsabilità.

La nuova Carta è già stata esaminata dall’Assemblea Costituente con un lungo dibattito svoltosi tra febbraio ed aprile scorsi; un dibattito durante il quale – sottolineano i vescovi – le autorità hanno dato prova di “disunità, aggressività, mancanza di rispetto reciproco, linguaggio scorretto”, dando spazio “alla polarizzazione”, invece avviare un dialogo “rispettoso ed onorevole”. Di qui, l’appello lanciato dalla Cet “alla coscienza” dei legislatori, perché “l’impasse attuale sulla nuova Costituzione deriva dalla mancanza di volontà politica e di sincerità”.

Ci sono “serie ragioni” che giustificano la necessità di una nuova Carta, scrivono ancora i vescovi, ed esse sono “la corruzione, l’insicurezza, la mancanza di una visione e di valori condivisi”. Per questo, si chiede a chi di dovere di “evitare atteggiamenti egoistici”, a favore di “un lavoro collettivo per il bene comune della popolazione”. Quindi, la sottolineatura forte che la Cet fa al “dovere morale di dare alla nazione fondamenta solide, fondamenta morali che guardino a valori come la dignità umana, la solidarietà, la cura del bene comune”. “Dovete dare al Paese – ribadiscono i vescovi ai membri della Costituente – una visione che ispiri la popolazione a costruire insieme la nazione, tollerando ed accettando le differenze reciproche”. E questo è “un dovere sacro”, sottolineano nuovamente i presuli, che “non va sacrificato agli scontri politici”.

“C’è bisogno – incalza la Chiesa di Tanzania - di una nuova Costituzione che possa portare ad una più profonda partecipazione della popolazione nella determinazione delle priorità e nell’uso del potere a servizio di tutti e non solo di pochi”. La nuova Carta fondamentale dovrà, quindi, far sì che “lo Stato di diritto favorisca la giustizia ed il bene comune per tutti, rispettando la dignità di ciascuno e prevenendo l’abuso di potere e la corruzione”. “Non tradite il popolo”, è il forte richiamo che i vescovi fanno ai membri della Costituente, esortando, infine, i fedeli e gli uomini di buona volontà a chiedere a Dio la grazia di “illuminare e rafforzare” i lavori dell’Assemblea. (I.P.)

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Il vescovo di Verdun: mai più la guerra!

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“Il tempo della commemorazione è anche il tempo in cui si promuove la pace”: è quanto scrive mons. Francis Maupu, vescovo di Verdun e già presidente della Commissione episcopale francese per la Giustizia e la pace. Nella newsletter mensile diffusa in questi giorni, il presule si sofferma sulle commemorazioni della prima Guerra mondiale - nota in Francia come la “Der des der”, ovvero “dernière des dernières (guerres)”, “la fine di tutte le guerre” – che ricorrono in questo periodo storico, a cento anni dall’attentato di Sarajevo che segnò l’inizio del conflitto. “Fare memoria della Grande Guerra – scrive mons. Maupu – significa ritrovare alcune immagini: le file dei soldati che vanno al fronte e i gruppi che ritornano, sempre meno numerosi; lo sguardo vuoto di coloro che hanno visto l’indicibile; gli ostaggi fucilati, i civili massacrati, i villaggi incendiati”.

“Mai più! è l’auspicio che si esprime – sottolinea il presule – Ma sfortunatamente la pace non è così spettacolare come la guerra”, tanto più che “difficili da formulare in assenza di conflitto, le parole di pace lo sono ancora di più in tempo di guerra”. Quindi, mons. Maupu ricorda la figura di Benedetto XV, colui che definì la Grande Guerra una “inutile strage” e che si rivolse ai Paesi belligeranti, esortandoli a “sostituire la forza materiale delle armi con la forza morale del diritto”.

Il Pontefice, ricorda poi il vescovo di Verdun, “organizzò la pastorale dei soldati, il sostegno agli orfani di guerra, propose lo scambio di prigionieri”: gesti e parole, evidenzia mons. Maupu, che ancora oggi risuonano “più giuste di tanti vibranti discorsi dei politici dell’epoca”. Di qui, l’interrogativo finale posto dal presule: “Abbiamo misurato la distanza tra il mondo come sarebbe potuto essere, se il Papa fosse stato ascoltato, e il mondo come è in realtà; ora chiediamoci se una meditazione realistica può, oggi, nutrire la speranza”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 189

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.