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Sommario del 09/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il card. Pell: "economia vaticana", Francesco vuole cambiamenti rapidi

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“Ci sono molte sfide e molto lavoro da fare”, ha detto il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia, illustrando stamane - nella Sala Stampa vaticana - il “Nuovo quadro economico nella Santa Sede”. Il porporato ha annunciato importanti iniziative, da affrontare con urgenza, che riguardano l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Santa Sede), il Fondo pensioni, i Media vaticani e lo Ior (Istituto per le Opere di Religione), guidato dal nuovo presidente Jean-Baptiste de Franssu. Presente alla conferenza stampa anche il presidente uscente dello Ior, Ernst von Freyberg. Il servizio di Roberta Gisotti

Papa Francesco vuole “che tali cambiamenti avvengano rapidamente”, ha premesso il cardinale Pell, per affrontare “debolezze e rischi”, già identificati dalla Pontificia Commissione referente di studio e indirizzo sull’organizzazione della struttura a economica amministrativa della Santa Sede (Cosea). Per questo è stato creato un Project Management Office (Pmo), guidato dall’australiano Danny Casey, già Business manager dell’arcidiocesi di Sydney.

Le novità interessano la sezione ordinaria dell’Apsa che viene trasferita - come stabilito da un Motu Proprio del Papa pubblicato oggi -  alla Segreteria per l’Economia, che vigilerà su agenzie della Santa Sede, politiche e procedure di acquisti e distribuzione di risorse umane. Il resto del personale Apsa sarà dedicato ad attività di tesoreria, ristabilendo rapporti stretti con tutte le principali banche centrali – come richiesto da Moneyval - a garantire liquidità e stabilità finanziaria alla Santa Sede.

Riguardo il Fondo Pensioni è stato nominato un comitato tecnico - guidato mons. Brian Ferme, coadiuvato da quattro esperti laici - Bernhard Kotanko (Austria), Andrea Lesca (Italia), Antoine de Salins (Francia), prof. Nino Savelli (Italia) - per formulare proposte di revisione al Consiglio per l’Economia entro il 2014; le pensioni attuali e per la prossima generazione sono al sicuro ma occorre garantire disponibilità sufficienti per il futuro.

Anche i Media vaticani saranno riformati, secondo le nuove tendenze di consumo, migliorandone il coordinamento e riducendone le spese. Entro 12 mesi un Comitato di esperti internazionali e referenti vaticani proporrà un piano. A presiedere il gruppo sarà il britannico Lord Christopher Patten, affiancato da Gregory Erlandson (Usa), Daniela Frank (Germania), p. Eric Salobir (Francia), Leticia Soberon (Spagna, Messico) e George Yeo (Singapore). Insieme a mons. Paul Tighe (Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali), Giacomo Ghisani (Radio Vaticana), mons. Carlo Maria Polvani (Segreteria di Stato), mons. Lucio Adrián Ruiz (Internet Service Vaticano) e Giovanni Maria Vian (L'Osservatore Romano).

Infine, un nuovo gruppo dirigente per lo Ior, guidato da Jean-Baptiste de Franssu, chiamato da oggi a realizzare la seconda fase di riforme, dopo la prima conclusa dal suo predecessore von Freyberg, con tre priorità: rafforzare il business dello Ior, spostare la gestione del patrimonio ad un nuovo Vatican asset Mnagement (Vam) e concentrare le sue attività a servizio del clero, congregazioni, diocesi e laici dipendenti vaticani.  

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Il nuovo corso economico vaticano: trasparenza e attenzione alle spese

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Trasparenza e razionalizzazione dei costi, sono le parole chiave del nuovo quadro economico della Santa Sede. E’ quanto è emerso nella conferenza stampa di stamani. Entro la fine dell'anno dovrebbe essere nominato il "revisore generale" dei conti del Vaticano. Alessandro Guarasci: 

L’obiettivo è razionalizzare le spese e le funzioni, mantenendo sempre alti i risultati. D’altronde le sfide sono tante. Il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia:

“Anzitutto stiamo lavorando sugli standard finanziari internazionali che dovranno essere seguiti in tutti i dicasteri e nelle sezioni della Santa Sante e del Governatorato. Al momento siamo nella fase in cui viene indicata chiaramente la direzione e gli obiettivi che vogliamo raggiungere. Quando diciamo questo intendiamo una sostanziale trasparenza. Quindi saranno realizzati dei report annuali e questi rapporti saranno realizzati esternamente”.

Tre le indicazioni operative, a settembre 2014 la Segreteria per l'Economia inizierà a preparare il budget per il 2015. Anche per quanto riguarda i media vaticani, si cercherà “di risparmiare ma certo - ha detto il cardinale Pell - senza sacrificare l'ampiezza della presenza informativa”. In fondo, lo scopo principale è raggiungere un numero sempre più alto di cattolici, anche attraverso i media digitali. Altro snodo cruciale è lo Ior, che è stato detto è “in una fase di transizione pacifica”. Il neo presidente Jean-Baptiste de Franssu:

“Sono in attesa di proseguire gli sforzi di trasparenza iniziati dal mio predecessore Ernest von Freiberg e da tutti voi. Vi ringrazio in anticipo per il vostro tempo oggi e per tutte le prossime opportunità che avremo in futuro di incontrarci”.

E poi c'è il tema pensioni. Joseph Zhara, vice coordinatore del Consiglio per l’Economia:

“Le pensioni che vengono pagate oggi a tutti i dipendenti della Santa Sede, come a quelli del Governatorato, e per i pensionati della prossima generazione saranno garantite. Sappiamo ciò che sta accadendo nei Paesi occidentali e sottolineo questo punto perché ho potuto vedere in prima persona la situazione di altri Paesi:  molti Paesi, negli ultimi anni, stanno affrontando battaglie per la questione del sistema pensionistico”.

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Udienze e nomine pontificie

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il Card. Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi; il Card. João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, con il Segretario del medesimo Dicastero, S.E. Mons. José Rodríguez Carballo, O.F.M., Arcivescovo tit. di Belcastro; il Card. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve.

Ieri ha ricevuto: il Card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; il Card. Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero.

Il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Estância (Brasile) Mons. Giovanni Crippa, I.M.C., finora Vescovo titolare di Accia ed Ausiliare di São Salvador da Bahia. Mons. Giovanni Crippa, I.M.C., è nato il 6 ottobre 1958 a Besana Brianza, nell’arcidiocesi di Milano. Dopo gli studi Medi presso il Seminario di Bevera di Castello Brianza, ha compiuto gli studi di Filosofia presso la FIST – Federazione Interreligiosa per gli Studi Teologici – di Torino e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, presso la quale ha poi ottenuto la Licenza e la Laurea in Storia Ecclesiastica. Il 13 settembre 1981 ha emesso i voti religiosi nell’Istituto Missioni Consolata e il 14 settembre 1985 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. In Italia, è stato Animatore Missionario e Vocazionale a Torino (1987-1993); Professore della Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana a Roma e dell’Istituto di Catechesi Missionaria a Roma e Castelgandolfo (1993-2000). Inviato in Brasile nel 2000, ha svolto il suo ministero nell’arcidiocesi di Feira di Santana, Stato di Bahia, come Vicario parrocchiale e Parroco della Parrocchia Santíssima Trindade, Docente di Storia Ecclesiastica della Facoltà Arcidiocesana, Direttore Spirituale del Seminario di Filosofia, Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio di Consultori. Inoltre, è stato Membro del gruppo di coordinamento del Dipartimento Storico dell’Istituto Missioni Consolata e Consigliere Provinciale in Brasile. Il 21 marzo 2012 è stato nominato Vescovo titolare di Accia ed Ausiliare di São Salvador da Bahia, ricevendo l’ordinazione episcopale il 13 maggio successivo.

Il Papa ha nominato Ausiliare dell’arcidiocesi di Ranchi (India) P. Theodore Mascarenhas, S.F.X., attualmente Officiale del Pontificio Consiglio della Cultura, assegnandogli la sede titolare vescovile di Lisinia. P. Theodore Mascarenhas, S.F.X., è nato il 9 novembre 1960, a Camurlim, nell’Arcidiocesi di Goa. Ha studiato Filosofia al St. Charles Seminary di Nagpur, Maharashtra, e Teologia all’All India Mission Seminary, della Società del Pilar, a Goa. In seguito, ha conseguito un Masters of Arts in Political Science a Nagpur e, poi, la Licenza e il Dottorato in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico, a Roma. Ha emesso la prima professione religiosa nella Società di San Francesco Saverio il 14 giugno 1979. È stato ordinato sacerdote il 24 aprile 1988 per la medesima Società.Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1988-1993: Lavoro pastorale a Punjab, Nord India, nelle parrocchie e in due scuole come Vice-Principal e Principal; 1994-2001: Studi per la Licenza e il Dottorato presso il Pontificio Istituto Biblico, Roma; 1998-2004: Coordinatore delle opere della Società del Pilar a Roma e incaricato di sovrintendere alla postulazione della causa di beatificazione del Ven. P. Agnelo, S.F.X.; dal 2005: Superiore Delegato per la Società in Europa; dal 2006: Officiale del Pontificio Consiglio della Cultura; dal 2010: Procuratore Generale della Società di San Francesco Saverio, Membro del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali e docente di Sacra Scrittura all’Università Gregoriana e all’Angelicum, Roma.

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Riconosciute le virtù eroiche di Marcello Candia, missionario in Brasile

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Papa Francesco ha ricevuto (l'8 luglio) il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzando il dicastero a promulgare i Decreti sul riconoscimento delle virtù eroiche di sette Servi di Dio, tra cui il missionario laico Marcello Candia. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

Tra i nuovi Venerabili Servi di Dio c’è dunque Marcello Candia, figlio di una ricca famiglia milanese. Nato a Portici nel 1916 dove il padre aveva una fabbrica di acido carbonico, si laurea in chimica, farmacia e biologia. Lo educa alla fede la madre, che accompagna ad assistere i poveri nelle periferie di Milano. Durante la seconda guerra mondiale aderisce alla Resistenza, aiuta gli ebrei a sfuggire ai nazi-fascisti. Nel dopoguerra, insieme con i Cappuccini si dedica agli sfollati e organizza un villaggio per ragazze madri. Nel 1965 decide di vendere la fabbrica per partire in Brasile, nella foresta amazzonica, come missionario laico. In tanti lo disapprovano, ma lui dice: “Non basta dare un aiuto economico. Bisogna condividere con i poveri la loro vita, almeno per quanto è possibile. Sarebbe troppo comodo che me ne stessi qui a fare la vita agiata e tranquilla, per poi dire: il superfluo lo mando là. Io sono chiamato a vivere con loro!”. Crea un ospedale a Macapà, seguito da tante altre opere: lebbrosari, centri sanitari, scuole, associazioni di volontariato, conventi, seminari e chiese. Giovanni Paolo II lo incontra nel lebbrosario di Marituba nel 1980. Marcello cura e abbraccia con affetto i suoi lebbrosi: “Quando ami – dice – non ti accorgi più delle deformità, tanto ti appare bella l’anima, l’amicizia e l’affetto di questi malati che sono diventati parte della mia vita”. Come accade quando si fa il bene, Marcello Candia è costantemente accompagnato da avversità di ogni tipo, invidie, maldicenze, calunnie. Ha dato tutto quello che possiede, eppure viene persino accusato da uno dei suoi collaboratori di rubare in uno dei centri da lui fondato. Ma non si scompone più di tanto. Dopo una serie di infarti, scopre di avere un cancro alla pelle. Muore a Milano nel 1983 a 76 anni. “Non sono io che ho dato qualcosa – diceva – ma sono i poveri che danno a me. Io non sono nulla. Sono solo un modesto strumento della Provvidenza”.

Il riconoscimento delle virtù eroiche riguarda altri sei servi di Dio: il portoghese Antonio Ferreira Viçoso (1787-1875), della Congregazione della Missione, diventato vescovo di Mariana in Brasile, che spese la sua vita per la formazione dei sacerdoti in un periodo in cui le autorità civili cercavano di aggredire l’autonomia della Chiesa. Il sacerdote spagnolo Saturnino López Novoa (1830-1905), confondatore della Congregazione delle Suore Povere de los Ancianos Desamparados. Il sacerdote salesiano francese Giuseppe Augusto Arribat (1879-1963). Suor Maria Veronica della Passione, monaca professa dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi e fondatrice dell'Istituto delle Suore dell'Apostolic Carmel, nata a Costantinopoli, in Turchia, nel 1823 e morta a Pau, in Francia, nel 1906, cresciuta in una famiglia anglicana e convertitasi al cattolicesimo, attratta in particolare dall’Eucaristia e dal Sacramento della Riconciliazione. Elena da Persico, fondatrice dell'Istituto Secolare delle Figlie della Regina degli Apostoli, nata ad Affi, in Italia, nel 1869 e morta nel 1948. E infine la Serva di Dio Gaetana del Santissimo Sacramento, prima Superiora Generale della Congregazione delle Povere Figlie di San Gaetano; nata a Pancalieri (Italia) nel 1870 e morta nel 1935.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Presentato il nuovo quadro economico della Santa Sede: il Motu proprio per il trasferimento della sezione straordinaria dell'Apsa alla Segreteria per l'Economia.

Povera Africa: oltre quattrocento milioni di persone vivono ancora in condizione di indigenza.

Visita in Serbia dell'arcivescovo Dominique Mamberti.

Non è disperato ma canta la disperazione: Giorgio Agnisola su Manzù e la Porta della Morte.

Oltre la calcolabilità: Francesco Donadio a proposito di una lettura francescana della filosofia occidentale.

Un sogno distrutto in tre minuti: Damiano Tommasi commenta la clamorosa e storica sconfitta del Brasile con la Germania.

E' un'altra cosa: il vaticanista de "Il Sole 24 Ore" Carlo Marroni presenta il libro di Giulia Galeotti e Lucetta Scaraffia "Papa Francesco e le donne" (che per un mese sarà in vendita insieme con il quotidiano milanese).

Unità nella mutevolezza: Giovanni Cerro racconta una storia "verticale" del Mediterraneo.

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Oggi in Primo Piano



Raid israeliani su Gaza: morti oltre 30 palestinesi

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Da Gaza continuano a arrivare notizie di morti sotto i bombardamenti aerei israeliani. Con la notizia di una madre con un figlio di 4 anni e due ragazzi, sale a oltre 37 il numero delle vittime palestinesi, tra cui donne e bambini ma anche 15 responsabili di Hamas, colpiti nelle ultime ore da circa 500 raid di Tel Aviv. Il presidente palestinese Abu Mazen ha affermato che le fazioni e i leader di Hamas a Gaza assicurano di volere la tregua. Di fatto da Gaza da lunedì sono partiti oltre 225 razzi contro Israele: nessuna vittima ma paura dopo le minacce di esponenti di Hamas anche contro Tel Aviv. Israele promette di rafforzare quella che definisce l''offensiva contro Hamas se necessario anche con un'operazione di terra. Il minsitro della Difesa afferma che non sarà una battaglia di breve durata. Di questa drammatica escalation di violenza Fausta Speranza ha parlato con padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa: 

R. - È una tragedia! Ci auguriamo ancora che il buonsenso prevalga, che ci sia qualcuno tra i leader che cerchi e che sia capace di frenare questa escalation, perché più si attende più sarà difficile bloccare questo circolo vizioso di violenza su violenza.

D. - C’era stata una decisa condanna da parte dei cittadini sia palestinesi che israeliani delle violenze prima ai giovani ebrei e poi al giovane palestinese. Quindi dal basso c’è stata una forte condanna, però non è bastato …

R. - Sì, e questo ci ha fatto sperare che questo fortissima condanna unanime avrebbe fermato questa escalation; invece, quelli che fomentano l’odio pare che in questo momento siano più organizzati e meglio attrezzati della grande opinione pubblica. Ci auguriamo comunque, ancora una volta, che il buon senso prevalga. So bene che sembrano parole un po’ lontane dalla realtà, ma non sappiamo che altro dire. L’unica cosa che possiamo fare è pregare. E credo che sia proprio importante, dopo quell’evento di preghiera in Vaticano, che i religiosi delle tre fedi principali si incontrino e facciano vedere anche un altro aspetto della Terra Santa che non è soltanto quello della violenza. Oggi è più che mai importante mostrare anche gesti alternativi alla violenza.

D. - La Lega Araba, già da ieri, ha fatto appello al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Che dire dei possibili passi?

R. - L’Onu, l’Unione Europea, la Lega Araba, sono tutte organizzazioni che, purtroppo, hanno poca incidenza sulle decisioni che si prendono in terra Santa.

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Medio Oriente: Ordinari di Terra Santa invocano la fine delle violenze

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“La violenza genera violenza”, israeliani e palestinesi devono riconoscersi fratelli, “serve un cambiamento radicale”. Sono alcuni dei concetti contenuti in una dichiarazione della Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa, diffusa ieri. Una nota nella quale si interviene sulle vicende drammatiche di questi giorni. Ce ne parla Benedetta Capelli

La dichiarazione si apre con le condoglianze degli Ordinari Cattolici di Terra Santa alle famiglie dei tre giovani israeliani e del ragazzo palestinese bruciato vivo. Allo stesso tempo ricordano che, mentre si conoscono i dettagli delle vite di queste ultime vittime, “altri – di gran lunga più numerosi - sono mere statistiche, senza nome e senza volto”. L’auspicio è di mettere fine alle violenze ma non si può nascondere il ricorso costante ad un linguaggio che invoca punizioni collettive e vendetta, impedendo così l’emergere di qualsiasi alternativa. I presuli ricordano che molti politici “versano olio sul fuoco con parole e atti che alimentano il conflitto” senza entrare in un processo di dialogo.

Nel documento si mette in luce il linguaggio violento diffuso per le strade di Israele, “alimentato dagli atteggiamenti e le espressioni di una leadership che continua a portare avanti un discorso discriminatorio che promuove diritti esclusivi di un gruppo e l’occupazione con tutte le disastrose conseguenze”. “Si costruiscono gli insediamenti – si legge ancora – le terre sono confiscate, le famiglie separate, i propri cari vengono arrestati e perfino assassinati”. C’è una leadership che crede dunque che l’occupazione possa essere la strada giusta, anche se questo – rimarcano gli Ordinari di Terra Santa - implica l’annullamento dell’aspirazione di un popolo alla libertà e alla dignità. “Sembrano credere che la loro determinazione sia un mettere a tacere l'opposizione e trasformare un errore in un diritto”.

Allo stesso tempo anche il linguaggio violento diffuso per le strade della Palestina è “alimentato dagli atteggiamenti e da coloro che non nutrono alcuna speranza di arrivare ad una giusta soluzione del conflitto attraverso i negoziati”. “Coloro che cercano di costruire una società totalitaria, monolitica – si legge ancora nella nota - in cui non c'è spazio per alcuna differenza o diversità per ottenere il sostegno popolare, sfruttando questa situazione di disperazione”. “A questi – insistono i presuli - diciamo anche noi: la violenza come risposta alla violenza genera solo altra violenza”.

Ricordando la preghiera di pace per la Terra Santa di Papa Francesco, lo scorso 8 giugno in Vaticano, nella quale si invocava il coraggio per far ripartire il dialogo, gli Ordinari di Terra Santa affermano che non si può strumentalizzare “il rapimento e l’assassinio a sangue freddo dei tre giovani israeliani e la vendetta brutale nei confronti del giovane palestinese”, “per esigere una punizione collettiva contro il popolo palestinese nel suo complesso e contro il suo legittimo desiderio di essere liberi; è un tragico sfruttamento della tragedia e così si promuove più violenza e odio”.

“Allo stesso tempo – aggiungono – dobbiamo riconoscere che la resistenza all’occupazione non può essere equiparata al terrorismo. E’ un legittimo diritto mentre il terrorismo è una parte del problema. La violenza come risposta alla violenza genera ancora più violenza”. Proprio la situazione a Gaza è la rappresentazione di un ciclo di violenza senza fine, dell’assenza di una visione alternativa per il futuro pertanto rompere questo processo è un dovere di tutti: “oppressori e oppressi, vittime e carnefici”. “Tutti devono riconoscere nell'altro un fratello o una sorella – ricordano - piuttosto che riconoscere un nemico da odiare e da eliminare”.

“Serve un cambiamento radicale – insistono gli Ordinari - israeliani e palestinesi insieme hanno bisogno di scrollarsi di dosso gli atteggiamenti negativi di reciproca diffidenza e di odio”. Da qui la necessità di educare le nuove generazioni con uno spirito diverso e di lavorare perché ci siano leader in grado di “operare per la giustizia e la pace, riconoscendo che Dio ha piantato qui tre religioni: Ebraismo, Cristianesimo e Islam, e due popoli: palestinesi e israeliani”. Servono persone in grado di “prendere decisioni difficili”, “pronti a sacrificare la loro carriera politica per il bene e per una pace duratura”. Leader che hanno la vocazione ad essere “operatori di pace”, “persone in cerca di giustizia” e con una visione alternativa alla violenza.

In questo percorso, i leader religiosi hanno un compito: “parlare un linguaggio profetico” che vada oltre il ciclo di odio e di violenza; “un linguaggio nel quale si  rifiuta di attribuire lo status di nemico a qualsiasi figlio di Dio; è un linguaggio che apre la possibilità di vedere ciascuno come fratello o sorella”. “Un linguaggio responsabile in modo che diventi uno strumento per trasformare il mondo da un deserto di tenebre e morte in un giardino rigoglioso di vita”.

Sul difficile momento che si sta vivendo in Medio Oriente e sul documento della Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa, Tracey McClure ha intervistato padre David Neuhaus, vicario patriarcale per i cattolici di lingua ebraica del Patriarcato latino di Gerusalemme: 

R. – Noi viviamo un momento molto drammatico in Terra Santa. E’ vero che il ciclo di violenza non smette mai e ci sono momenti davvero drammatici. Siamo precipitati in una guerra nella quale Hamas risponde e Israele risponde e tutti si sentono vittime di queste situazioni. E’ un linguaggio violento, terribile, e noi nella Commissione di Giustizia e Pace abbiamo pensato insieme di dire “basta”. Il ricorso a questo linguaggio mostra una leadership molto irresponsabile, sono senza responsabilità per quanto riguarda il bene del popolo e il bene dei giovani. Qui sottolineiamo con convinzione il linguaggio del Santo Padre, quando è venuto e ha invitato i presidenti di Israele e Palestina qui in Vaticano, per formulare un altro tipo di linguaggio, perché tutto comincia con le parole. Dio ha creato il mondo con le parole e noi creiamo il nostro mondo con il nostro linguaggio violento. Quindi, è arrivato il tempo - come dice la dichiarazione - di trovare altri leader che possano avere una visione profetica di un mondo migliore di quello in cui viviamo adesso.

D. – Parla di un linguaggio in un certo senso politico però sono interpellati anche i leader religiosi in questo linguaggio…

R. – Assolutamente perché loro devono essere i modelli di un linguaggio che non conosce la parola “nemico”. I capi religiosi devono creare questo linguaggio che renda sempre più consapevoli, come ha detto alcune volte il Papa in Terra Santa e con molta forza qui in Vaticano, che siamo chiamati ad essere fratelli perché siamo tutti figli di Dio.

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Sud Sudan: dramma umanitario a tre anni dall'indipendenza

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Il 9 luglio di tre anni fa il Sud Sudan diventava ufficialmente indipendente. Il Paese più giovane del mondo è sull'orlo della catastrofe umanitaria, diviso dal conflitto che dallo scorso dicembre oppone il presidente Salva Kiir, di etnia Dinka, al suo ex vice Riek Machar, di etnia Nuer. Sei mesi di guerra hanno causato almeno 10mila morti e un milione di profughi, su una popolazione di 8 milioni persone. Ricco di petrolio, il Sud Sudan deve assistere al dramma della carestia che mette a rischio 900mila bambini. Per una testimonianza, Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente a Juba Enrica Valentini, direttrice del Catholic Radio Network, rete di emittenti cattoliche promossa dalla Conferenza episcopale locale: 

R. – La situazione ovviamente non è rosea e molte persone sono scoraggiate: tutte le speranze che avevano dall’indipendenza, che il Paese potesse migliore e svilupparsi, si sono affievolite. Quello che la gente si aspetta, appunto, è che non ci sia una soluzione a breve del conflitto e delle differenze che ci sono tra i vari attori in gioco. Ma c’è anche – dall’altro lato - gente che ha ancora speranze: molti hanno detto che c’è ancora la volontà per un cambiamento. Indubbiamente questo anniversario dell’indipendenza è un momento per tutti per riflettere. Il tema che è stato scelto per la giornata quest’anno è “One people, one nation – Una sola popolazione, una nazione” è un po’ un invito per tutti a ricordare l’idea che l’indipendenza è venuta per unire le persone.

D. – Abbiamo accennato alla crisi in corso: quale sembra essere, dal vostro punto di osservazione, la situazione politica del Paese?

R. – L’impressione è che non ci sia veramente la volontà di sedersi e discutere. Quanto ai risultati che per ora sono venuti dai colloqui ad Addis Abeba, sono molto sulla carta e ben poco in pratica: ognuna delle parti rimane fissa sulle proprie idee, sulle proprie decisioni… L’altro elemento è che nelle ultime settimane è venuta fuori una grande discussione sul federalismo, vista come una delle possibili soluzioni alla situazione politica: ma c’è veramente poca chiarezza tra la popolazione - ma anche a livello politico - su cosa effettivamente significhi federalismo. E questo ha accentuato la tensione ultimamente.

D. – In questo contesto, cosa può fare la Chiesa?

R. – Continuare a enfatizzare il significato della parola “unità” e questo lo può fare con le parole, ma anche con l’esempio. Credo che anche la collaborazione tra le varie chiese, che è stata portata avanti negli anni, ma anche nei colloqui di pace, è un esempio pratico che la gente può tenere a mente e poi replicare nella vita quotidiana.

D. – Recentemente dal Sud Sudan sono arrivati allarmi dal punto di vista umanitario. Secondo una serie di organizzazioni non governative britanniche, si rischia la carestia….

R. – Sì! Tutta una serie di diversi elementi hanno portato ad aggravare la situazione. La stagione delle piogge è il momento in cui la gente incomincia a coltivare, ma questa stagione delle piogge non è stata sfruttata al massimo, perché la gente non ha potuto ricevere sementi e attrezzi che di solito vengono distribuiti. L’altro elemento è quello relativo agli sfollati, che hanno lasciato i loro campi e quindi ora non c’è nessuno che li possa coltivare. Molti sono in campi di accoglienza, ma hanno paura di andare fuori a coltivare la terra: temono ritorsioni. In altre zone la pioggia non è arrivata abbandonante come al solito e quindi anche le coltivazioni, che potevano essere state cominciate, soffrono della mancanza di pioggia.

D. – Resta comunque il nodo dei rapporti con il Sudan del Nord, con Khartoum: come influiscono sulla situazione sud sudanese?

R. – E’ difficile capirlo… Ufficialmente il Sudan si è schierato a favore di una soluzione pacifica, in modo tale che la zona rimanga stabile, perché questo poi favorisce anche i loro interessi economici; ma, dall’altro lato, ci sono state voci di supporto a milizie varie e anche lì non è così semplice capire se sono milizie legate al governo di Khartoum o ai vari movimenti anti-Khartoum che però sono presenti in Sudan.

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Presidenziali in Indonesia: Subianto e Widodo rivendicano vittoria

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Confronto all’ultimo voto in Indonesia per la presidenza del Paese. A scrutinio elettorale in corso, entrambi i candidati, l'ex generale Prabowo Subianto e il governatore di Jakarta, riformista, Joko Widodo, si proclamano vincitori. La commissione elettorale fornirà il risultato ufficiale delle consultazioni odierne solo tra il 20 e il 22 luglio. L’Indonesia, 186 milioni di abitanti, è la terza democrazia più grande del mondo. Un dato comunque confermato è, nel maggiore Paese musulmano, il relativo appoggio popolare ai partiti islamici. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Francesco Montessoro, docente di Storia dell’Asia all’Università di Milano: 

R. – E’ un dato di fatto per certi aspetti non sorprendente, nel senso che il Paese più islamico del mondo è in realtà un Paese che ha ampiamente sedimentato una cultura di tipo laico. Non bisogna enfatizzare il carattere dei movimenti musulmani: in realtà già alle scorse elezioni legislative già si era affermata, per i partiti espressamente islamici, questa tendenza.

D. – Di fronte alla Comunità internazionale questo voto ha un significato importante, visto il confronto che c’è con il mondo islamico, sia pure da un’altra parte del mondo?

R. – Di fatto bisogna considerare che la questione islamica in un Paese come l’Indonesia ha suscitato allarme all’inizio degli anni Duemila, quando si sono avuti segnali preoccupanti di una estensione del terrorismo di matrice islamica. Questi fenomeni si sono rivelati, in realtà, controllabili e non hanno dato luogo ad un processo ritenuto in qualche modo pericoloso o destabilizzante. In questo senso l’Indonesia rimane un Paese certamente musulmano, in cui alcune tendenze di tipo fondamentalista hanno voce e sono recepite in termini culturali, ma che assolutamente non sono rilevanti per quello che riguarda il quadro politico e non sembrano – e le elezioni lo confermano – procedere in direzione di un inasprimento delle relazioni fra le varie comunità. Naturalmente vi possono essere in vari strati sociali e in vari ambienti, in molte località specifiche anche tensioni di qualche significato, ma si tratta pur sempre di fenomeni localizzabili e che quindi difficilmente potranno assumere un carattere generale. 

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Rapporto Rondine: "Superare le guerre con il dialogo"

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Costruire un futuro di pace attraverso la convivenza e il dialogo. E’ questo l’obiettivo dell’associazione Rondine Cittadella della Pace che oggi a Roma presenta il rapporto 2013, un bilancio dell’anno passato in cui trenta ragazzi provenienti da zone di guerra hanno imparato a riscoprire nell’altro "non un nemico ma una persona". La dimostrazione che ogni conflitto si può superare con il dialogo. In proposito Maria Gabriella Lanza ha intervistato Franco Vaccari, presidente dell’associazione: 

R. - Nonostante i momenti drammatici che nelle varie regioni del mondo continuiamo a vivere fino ad oggi, l’esperienza di Rondine tiene. I giovani, che vengono dai luoghi della guerra, rovesciano attraverso un percorso di formazione i loro sentimenti di inimicizia e li trasformano in amicizia. Questo è il motivo della grande speranza. Questo vuol dire che ci sono ragioni di amore, di speranza e di futuro più forti di quelli che la guerra spargono in tutto il mondo. Questi 30 giovani di Rondine che sono tornati nei loro Paesi stanno dando una testimonianza inedita di questa nuova mentalità che vede l’altro non più come il nemico, ma come la persona con la quale è assolutamente necessario intavolare un dialogo per progettare insieme il futuro.

D. - Quali saranno i nuovi progetti per il 2014?

R. - Per la prima volta, avremo dei giovani che vengono dagli Stati Uniti e dal Sudan; questo è molto significativo, anche perché gli Stati Uniti ufficialmente  non sono in guerra con nessun Paese, ma si trovano all’interno di situazioni drammatiche di grande conflitto, e la percezione che il resto del mondo ha degli Stati Uniti non è sempre di una forza di pace, ma anzi sono visti come nemici. Allora vogliamo che si incontrino a Rondine anche questi due mondi che possano capire anche le ragioni degli uni e degli altri, gli stereotipi, i pregiudizi e abbatterli piano piano. Queste sono le prime due notizie. L’altra è che Rondine è stata chiamata dal Ministero dell’istruzione e dal Comitato per il Centenario della Prima Guerra mondiale ad offrire il proprio servizio per un grande progetto per tutte le scuole d’Italia. I giovani che vengono dai luoghi di guerra diventano educatori degli studenti italiani facendo loro comprendere che i conflitti non sono solo quelli internazionali; i conflitti ci sono nelle classi, nelle famiglie, nei vari pezzi di società nei quali abitiamo.

D. - In questi anni Rondine ha accolto ragazzi israeliani e palestinesi; la dimostrazione che con la conoscenza e il dialogo si possono superare tutti i conflitti …

R. - Molti parlano di educazione, ma poi pochissimi investono energie, risorse finanziarie, professionali in questa direzione. I giovani israeliani e palestinesi non si conoscono! Ognuno ha degli altri una rappresentazione avvelenata dalla propaganda. Quando si incontrano, come avviene a Rondine da ormai più di dieci anni, si coglie lo stupore nei loro volti, perché vedono che le ragioni dello stare insieme sono infinitamente di più di quelle dell’opporsi e del continuare ad essere nemici. Quel muro divide in modo sistematico il contatto tra le due nuove generazioni. A Rondine siamo convinti che se queste si  cominciassero a toccare, a parlare, sicuramente qualche cosa cambierebbe in Medio Oriente.

D. - Quando ritornano nelle loro case, questo spirito di pace rimane in loro?

R. - Assolutamente anche se - non dobbiamo negarcelo - è messo a dura prova, perché l’ambiente resta quello dell’ostilità. Però resistono, trovano le ragioni, continuano in un territorio terzo - ovviamente - ad incontrarsi, ad alimentare la loro amicizia. Il tema di Rondine non è tanto quello dell’urlare, protestare, denunciare, ma è quello di desiderare insieme il futuro sulla base di un’amicizia riscoperta in una maniera incredibile e impensata.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq. Arcivescovo di Mosul: sfollati senza acqua e luce

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"Oggi ho compiuto un lungo giro nella diocesi, in particolare nella zona orientale, in una parrocchia fuori Mosul ed è davvero fonte di profondo dolore vedere le condizioni di vita delle persone, degli sfollati. Mancano acqua ed elettricità, la situazione resta drammatica". È quanto racconta all'agenzia AsiaNews mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, nel nord dell'Iraq, dove circa 500mila persone, cristiani e musulmani, sono fuggite il mese scorso, originando una crisi umanitaria, economica e politica. Il prelato riferisce che "la Chiesa sta costruendo dei pozzi per attingere l'acqua dal sottosuolo", ne sono stati realizzati "almeno otto" in questi giorni "ma non sono sufficienti" per soddisfare i bisogni di tutti, anche se "è meglio di niente". L'elettricità viene distribuita "dalle 2 alle 4 ore al giorno", per il resto si cerca di sopperire come possibile, grazie anche all'uso di generatori.

Il prelato, attivo fin dal primo giorno nell'opera di assistenza agli sfollati, chiarisce che i pozzi per l'acqua scavati dalla comunità locale, "sono utilizzati da tutti gli abitanti, musulmani e cristiani, senza distinzione alcuna". L'opera della Chiesa, aggiunge, "non è solo per i cristiani, ma per tutti gli abitanti, per i musulmani e per i membri delle altre etnie". Mons. Nona rinnova l'appello alla preghiera per tutta la popolazione irakena, oltre che per le suore e i bambini rapiti dalle milizie islamiste. "Non vi sono novità sostanziali sul sequestro" conclude il prelato, che auspica massima prudenza e attenzione sulla vicenda a salvaguardia delle vite degli ostaggi.

In queste ore il patriarca della Chiesa caldea Mar Louis Raphael I Sako - che nei giorni scorsi ha lanciato un appello per la liberazione delle suore e degli orfani nelle mani dell'Isis - ha lasciato Baghdad per Bruxelles, accogliendo l'invito lanciato da Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs). Sua Beatitudine ha in calendario incontri ufficiali con il Consiglio dei vescovi europei e con il Parlamento europeo, per discutere della situazione del Paese e dei possibili interventi per arginare l'emergenza, in particolare quella relativa ai profughi e sfollati. Ad accompagnare Mar Sako vi sono mons. Boutrous Moshe, vescovo siro-cattolico di Mosul e mons. Yousif Toma vescovo caldeo di Kirkuk.

Intanto i ribelli dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis, formazione sunnita jihadista già legata ad al Qaeda) hanno assunto il controllo di una vecchia fabbrica di armi chimiche; la conferma arriva da fonti ufficiali a Baghdad, in una lettera inviata alle Nazioni Unite in cui ammettono di non poter rispettare la promessa di distruggere le armi chimiche. Il complesso di Muthanna, a nord-ovest di Baghdad, ospita ancora una parte dell'arsenale del regime di Saddam Hussein (cercato per anni e mai scoperto dagli Stati Uniti). Secondo Washington e l'Onu il materiale è deteriorato e gli islamisti non sarebbero in grado di usarlo o ricavarne testate chimiche. Resta il fatto che i miliziani, dopo aver conquistato importanti impianti petroliferi come la centrale di Baiji, a nord della capitale, e assediato una diga nei pressi di Haditha, strategica per la nazione, puntano sugli armamenti e sul materiale bellico un tempo a disposizione del regime.

Fonti delle Nazioni Unite riferiscono che, nel solo mese di giugno, almeno 2417 irakeni, fra cui 1513 civili, sono morti "in atti di violenza o terrorismo". Oltre un milione di persone hanno abbandonato le proprie abitazioni a causa dei combattimenti fra esercito e milizie islamiste.(R.P.)

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Centrafrica: 17 morti nei locali della cattedrale di Bambari

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Sono almeno 17 i morti tra gli sfollati rifugiatisi all’interno del comprensorio della Cattedrale Saint-Joseph di Bambari: sono stati uccisi ieri, 8 luglio, nell’assalto perpetrato dai ribelli Seleka. Lo riferiscono all’agenzia Fides fonti della Chiesa nella Repubblica Centrafricana, che per motivi di sicurezza hanno richiesto l’anonimato.

I ribelli avrebbero anche depredato gli sfollati e saccheggiato il complesso della cattedrale, che comprende l’episcopio e una scuola, ma non è chiaro se anche il luogo di culto sia stato profanato. A Bambari si fronteggiano gli ex ribelli Seleka e le milizia anti Balaka. Nonostante la presenza in città delle truppe francesi, almeno 12.000 persone hanno cercato rifugio nel complesso della Cattedrale per sfuggire alle violenze.

“Quello che sta succedendo a Bambari è indicativo della tendenza in atto nel Paese, che rischia di spaccarsi, ed è questa la preoccupazione di tutti” dicono le nostre fonti. “Del resto anche nella capitale Bangui, dove la situazione sembra al momento calma, si vive con l’ansia di una fiammata improvvisa delle violenze” concludono le fonti di Fides. (R.P.)

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Il card. Maradiaga: i migranti, una risorsa per lo sviluppo umano

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“Due terzi dei giocatori di calcio di questi Mondiali sono immigrati”. Il card. Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e presidente della Cartitas Internationalis, inizia con una nota positiva il suo intervento alla Conferenza nazionale sulle migrazioni, apertasi lunedì scorso a Washington. La conferenza, che si tiene ogni cinque anni, è promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Uccbs), insieme alla Caritas locale e alla Rete legale cattolica per l’immigrazione.

“Quando sento storie di migranti che intraprendono viaggi di centinaia di migliaia di kilometri, resto ammirato dal loro coraggio e determinazione” dice il porporato, sottolineando il coraggio ma anche la paura e i traumi che i migranti subiscono. “I migranti sono soggetti ad abusi, sfruttamento e violenze. I bambini finiscono nelle mani dei trafficanti di droga, delle organizzazioni criminali e della tratta di esseri umani, degli ufficiali corrotti.” Eppure non sembrano essere loro quelli maggiormente spaventati: “Quando vedo come reagisce la comunità internazionale alla crisi dei migranti, mi chiedo chi siano i più spaventati: i migranti o i Paesi verso cui sono diretti?”. Paesi in cui i migranti vengono imprigionati, trascurati, espulsi e dove viene loro impedito di iniziare una nuova vita.  “Immaginate se San Paolo avesse cercato di entrare in Europa oggi: sarebbe stato classificato come clandestino e rimandato a casa” dice il porporato.

Poi, il porporato ringrazia le agenzie cattoliche internazionali e americane per il loro operato, che “fa la differenza nelle vite delle persone”, mentre invita l’amministrazione statunitense a ratificare la Convenzione per i Diritti dell’infanzia, insistendo sull’importanza dell’educazione: “Garantire i diritti dei bambini migranti è l’ultimo passo, ma dobbiamo anche lavorare per assicurare lo sviluppo della persona nella sua interezza con l’istruzione, la formazione e la crescita spirituale”. “La migrazione è parte dello sviluppo umano – aggiunge il card. Maradiaga - I migranti portano con sé competenze e manodopera, sono una risorsa”. Citando, infine, Papa Francesco che ha definito la tratta degli esseri umani “un “crimine contro l’intera umanità”, il porporato rimarca l’importanza di continuare a “lavorare su una legislazione contro questa piaga, per sensibilizzare i cattolici, e non solo loro, riguardo questa triste realtà”.

I lavori della Conferenza nazionale sulle migrazioni si concluderanno domani; in agenda, non solo il problema  degli immigrati economici, ma di tutte le persone vulnerabili: i rifugiati, i minori non accompagnati, le vittime della tratta. Il fine dell’evento è “spingere il Congresso statunitense ad approvare una legge di riforma dell’immigrazione entro quest’anno”, come ha spiegato mons. Eusebio Elizondo,  presidente della Commissione per i migranti dell’Uccbs. Particolarmente delicata la questione dell’arrivo massiccio di minori non accompagnati: negli ultimi otto mesi, ad esempio, sono stati 52mila i minori non accompagnati, provenienti da Guatemala, El Salvador e Honduras, posti in stato di fermo negli Stati Uniti. (C.G.)

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I vescovi delle Filippine sul prossimo viaggio del Papa

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Sarà “un messaggio pastorale di amore, misericordia e compassione” quello che Papa Francesco porterà nelle Filippine, nell’ambito del suo viaggio apostolico nel Paese, in programma all’inizio del prossimo anno. Lo scrivono i vescovi di Manila, in una lettera pastorale pubblicata il 7 luglio, a conclusione della 109.ma Assemblea plenaria.

Ricordando che Papa Bergoglio sarà il terzo Pontefice a recarsi nel Paese – dopo Paolo VI e Giovanni Paolo II – i presuli sottolineano che l’incontro con il Santo Padre offrirà l’occasione “per confermare la fede di ciascuno, di fronte alla sfida di testimoniare la gioia del Vangelo in mezzo alle difficoltà” odierne. In particolare, la Conferenza episcopale filippina (Cbcp) esprime l’auspicio che la visita del Papa possa incoraggiare e confortare la popolazione locale, devastata, lo scorso anno, da un  forte terremoto e dal tifone Hayan. 

Quindi, l’invito ai fedeli a prepararsi all’incontro con il Pontefice non solo dal punto di vista “logistico”, ma anche e soprattutto in un’ottica spirituale, mettendo in pratica “l’umiltà e la compassione”. “Fate un gesto di misericordia al giorno – suggeriscono i vescovi – Ad esempio, insegnate il Vangelo ai bambini, aiutate un collega in difficoltà, fate visita ad un detenuto”. Essenziale, inoltre, accostarsi ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, preparando la visita del Papa “anche con la preghiera comune in famiglia”.

Nell’ambito della Plenaria, poi, la Cbcp ha redatto anche un’Esortazione pastorale sul tema de “La gioia dell’integrità”. Partendo dal principio che l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, i vescovi filippini invitano i fedeli a vivere l’integrità in tutti gli ambiti della vita: a livello personale, “testimoniando la bellezza della vocazione ad essere figli di Dio”; a livello familiare, formandosi sui valori fondamentali come “la difesa della vita”; in ambito lavorativo, “non solo per ragioni di efficienza, ma anche per contribuire allo sviluppo umano integrale e per promuovere un’economia equa”. L’integrità viene richiesta anche al mondo politico, là dove predomina “il cancro sociale della corruzione”: “I  politici cattolici – spiegano i vescovi – devono dimostrare che è possibile essere a servizio della comunità in modo inattaccabile”, lavorando “al conseguimento del bene comune e alla promozione della giustizia”.

Anche la Chiesa deve dimostrare integrità, ribadisce la Chiesa filippina, esortando a formare sacerdoti che “si configurino a Gesù Cristo”. I vescovi di Manila riconoscono “lo scandalo di alcuni membri del clero”, ma invitano a non dimenticare i tanti “vescovi, sacerdoti e religiosi che testimoniano una vita di integrità predicando il Vangelo e condividendo il sacrificio di chi soffre”.

Un altro settore in cui è importante l’integrità è quello del Creato: “Quando esso viene violato – spiegano i vescovi di Manila – ogni forma di vita viene minacciata”; puntando il dito contro l’inquinamento e lo sfruttamento scorretto delle risorse naturali, i presuli sottolineano il bisogno di “riscoprire il ruolo” che l’uomo ha “nel sistema integrale del Creato non solo come utente, ma anche come custode di esso”, perché “solo in questo modo si può apprezzare la bellezza e la generosità della creazione di Dio”.

“Costruire una cultura dell’integrità” è, quindi, l’esortazione lanciata dalla Chiesa filippina, il che implica “la promozione di uno spirito di solidarietà”, “l’essere responsabili l’uno dell’altro”, “rendere onore alle persone oneste” e dare testimonianza “della grazia di Dio”. (A cura di Isabella Piro)

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Argentina: condannati gli assassini del vescovo Angelelli

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“Abbiamo atteso 38 anni per vedere la verità trionfare sull'impunità e finalmente è arrivato il giorno in cui la giustizia ha condannato gli assassini di un uomo che lottava per la speranza e la dignità di migliaia di persone”: così si è espresso Martin Fresneda, segretario dell’organizzazione promossa dal governo argentino "Derechos Humanos de la Nación", dopo la lettura del verdetto che ha condannato all'ergastolo due alti ufficiali per l'omicidio di mons. Enrique A. Angelelli Carletti, vescovo della diocesi di La Rioja, avvenuto il 4 agosto 1976.

Mons. Angelelli era uno dei più noti vescovi del Paese, contrario alla dittatura, e morì in un incidente d'auto simulato poco dopo l'instaurarsi della dittatura militare.

La sentenza del tribunale di La Rioja che ha condannato l'ex generale dell'esercito Luciano Benjamin Menendez, 86 anni, e l'ex vice commodoro Luis Fernando Estrella, 82 anni, è stata letta il 4 luglio, alla presenza di molti sostenitori di organizzazioni per i diritti umani e del Luogotenente Governatore di Buenos Aires, Gabriel Mariotto. Secondo la nota pervenuta all’agenzia Fides in prima fila c’era anche il successore di mons. Angelelli, l’attuale vescovo di La Rioja, mons. Marcelo Colombo, che la sera precedente aveva celebrato una Messa ed aveva guidato una marcia dal vescovado al tribunale.

Per decenni le autorità hanno sostenuto che la morte del vescovo fosse accidentale. Il caso è stato riaperto nel 2010, quando un ex sacerdote che era in auto con Angelelli, Arturo Pinto, testimoniò raccontando che il veicolo fu spinto intenzionalmente fuori strada. (R.P.)

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Vescovi del Venezuela: sconfiggere il pessimismo e dare speranza

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“E' triste vedere il progressivo deterioramento delle istituzioni e della convivenza tra i cittadini. Si è persa la fiducia. L'immagine che appare non è più quella dell'abbraccio fra fratelli, e la nota più grave è la divisione interna dei principali settori. Il Paese è diventato un puzzle difficile da comporre. Più di 9 milioni di venezuelani vivono in estrema povertà. Il dialogo tra governo e opposizione è stato solo un evento contingente, senza proiezioni o conseguenze. Si è congelato senza risultati”. Con queste considerazioni il presidente della Conferenza episcopale del Venezuela (Cev), mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumaná, ha aperto i lavori dell’Assemblea plenaria della Cev, lunedì scorso a Caracas.

Mons. Padrón Sánchez è stato molto schietto, denunciando che “testimonianze di tutti i settori della nostra società (studenti, politici e gente comune), fanno sapere che in Venezuela non sono rispettati i diritti umani e la Costituzione e le leggi non sono l'ultima parola nella gestione della giustizia, mentre invece lo sono la discrezione dei giudici e dei funzionari, e i loro interessi a mantenere il potere, i privilegi e il controllo politico della situazione".

L’arcivescovo di Cumaná ha comunque indicato dei segni di speranza: “il Paese chiede il dialogo, la comprensione e la saggezza. Un dialogo che non sia solo un meccanismo per placare la protesta, ma che sia autentico, con un ordine del giorno noto che porti a risultati tangibili. Il dialogo non è alternativo alla protesta pacifica, ma al disagio sociale e alla violenza. Il Paese non è tranquillo, si vive nella tensione. Nonostante tutto, nessuno può negare che il Venezuela sia una nazione con molte risorse umane e con dei valori morali. È necessario sconfiggere il pessimismo e far crescere la speranza. Siamo un popolo di credenti, in maggioranza cattolici". (R.P.)

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Kenya. Appello dei vescovi ai media: parlate di pace

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I mass media contribuiscano alla pacificazione del Paese evitando di incitare degli animi. È l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale del Kenya attraverso il suo segretario generale, padre Vincent Wambugu, che in una dichiarazione ha chiesto ai mass media di diffondere notizie corrette, non viziate da pregiudizi di parte, e di usare un linguaggio moderato, specialmente nei talk show e nelle dirette televisive dei raduni elettorali.

“Riconosciamo che i media hanno un ruolo centrale nella circolazione delle informazione e nella formazione dell’opinione pubblica, e per questo vi chiediamo di introdurre messaggi di pace nelle vostre comunicazioni come è avvenuto prima, durante e dopo le elezioni generali” afferma la dichiarazione, riportata dall’agenzia Cisa di Nairobi ripresa dalla Fides. “Siamo consapevoli che occorrono gli sforzi unitari di tutti i keniani e un’azione deliberata da parte dei media principali per restaurare la confidenza della popolazione del Kenya nel nostro Paese” continua il documento.

La dichiarazione della Conferenza episcopale è stata pubblicata in concomitanza con un raduno indetto dalla coalizione dell’opposizione per protestare per il rialzo dei prezzi, l’insicurezza, la cattiva gestione della cosa pubblica e la mancata applicazione da parte del governo della Costituzione del 2010.

Le regioni costiere del Kenya sono inoltre state colpite da una serie di attacchi contro alcuni villaggi nell’area di Mpeketoni, attribuiti dal Presidente Kenyatta a politici locali. Di recente anche i leader religiosi cristiani del Kenya, in una dichiarazione congiunta, avevano lanciato un appello ai politici perché evitino “dichiarazioni incendiare”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 190

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.