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Sommario del 10/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il neopresidente dello Ior de Franssu: missione che accetto con gioia

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Una missione che ho accettato con gioia: è quanto ha affermato ai nostri microfoni il nuovo presidente dello Ior, il francese Jean-Baptiste de Franssu, succeduto al tedesco Ernst von Freyberg. De Franssu, 51 anni, sposato e con 4 figli, ha una grande esperienza nell'attività finanziaria in campo internazionale. Ascoltiamolo nell’intervista rilasciata ad Hélène Destombes:

R. - C’est une grande tâche qui m’est confiée, surtout car je suis dans la continuité…
E’ un grande compito quello che mi è stato affidato, soprattutto perché mi trovo a proseguire il lavoro svolto da Ernst von Freyberg, il presidente uscente. Questo è un compito che richiede anche molta umiltà, poiché lo Ior svolge un ruolo importante per molte Congregazioni e per molte Diocesi nel mondo. E svolge anche un ruolo importante nel contesto di tutta l’organizzazione amministrativa e finanziaria della Santa Sede. E’ dunque un compito importante, che ho accettato con gioia. Lo vedo più che altro come una missione e spero di essere in grado di soddisfare le aspettative che mi sono state “messe sulle spalle” quando mi è stata affidata questa responsabilità.

D. – Il suo predecessore è stato nominato in un contesto difficile. Aveva detto: una missione dolorosa. Adesso si passa alla fase II, in cosa consisterà?

R. - J’ai un gros avantage sur mon prédécesseur car j’arrive après le travail …
Io ho un grosso vantaggio rispetto al mio predecessore: arrivo dopo il lavoro che lui ha già svolto. E’ un vantaggio importante, certamente, e gli rendo omaggio per il lavoro svolto. Un altro vantaggio: sono stato coinvolto nei lavori della Commissione Cosea dal mese di agosto del 2013 e dal 2 maggio del 2014 al Consiglio per l’Economia. Questo mi ha permesso di avere una migliore conoscenza e comprensione del funzionamento dell’organizzazione amministrativa e finanziaria della Santa Sede, ma anche – e questo è importante! – della direzione che il Santo Padre vuole dare a tutta l’organizzazione. Dunque io arrivo allo Ior con una conoscenza più completa di quella che avesse il mio predecessore quando è arrivato: quindi, dove siamo e soprattutto quello che è importante dove il Santo Padre vuole che noi andiamo.

D. – Lei ha incontrato Papa Francesco in diverse occasioni, come membro del Consiglio per l’Economia. Qual è l’obiettivo per lo Ior?

R. - D’abord, je ne peux pas parler au nom du Pape. Je ne peux que vous donner …
Anzitutto io non posso parlare a nome del Papa. Non posso che dire la mia impressione su quanto ho compreso dei messaggi che il Papa ci ha fatto arrivare. In primo luogo la missione principale che il Papa ha in mente, quando parla dello Ior, è come la Chiesa, come la Santa Sede possa continuare ad aiutare – e aiutare sempre di più - i poveri e la diffusione della fede. Di qui la domanda: quali strumenti possiamo dargli nella gestione quotidiana dello Ior che gli permettano di aumentare gli aiuti destinati ai poveri e la diffusione della fede nel mondo? Questo è il primo elemento. Il secondo elemento – e questa è una caratteristica del Santo Padre – è la maggior trasparenza. E questo esercizio di trasparenza era già stato iniziato da Papa Benedetto XVI: è stato lui che aveva nominato Ernest von Freyberg. Quindi più trasparenza e soprattutto essere pienamente negli standard che sono applicati a livello internazionale. Lo Ior non deve in alcun caso essere diverso da tutti i principali istituti bancari. Ma con un focus molto importante sui clienti: dobbiamo assicurarci di rispondere alle aspettative del cliente, di rispondere alle esigenze delle Congregazioni e delle Diocesi e questo sia in termini di qualità del servizio che di qualità dei prodotti. Questo è un elemento che probabilmente caratterizzerà, ancor di più che nel passato, la fase II della riorganizzazione dello Ior rispetto alla fase I.

D. – Lo Ior deve allinearsi al sistema economico e finanziario mondiale?

R. - Nous ne devons pas nous aligner sur le système économique et financier …
Noi non dobbiamo allinearci al sistema economico e finanziario mondiale. Noi dobbiamo rispettare l’insieme delle regole internazionali, giustamente, come qualsiasi altra banca o istituto finanziario. Ricordo che non siamo una banca: noi diciamo spesso “la banca”, ma statutariamente noi non siamo una banca. Dunque, che tutte le altre istituzioni finanziarie nel mondo debbano rispettare queste norme è normale. Questo fa parte della globalizzazione dell’economia, ma se la Santa Sede vuole poter avere delle relazioni con gli altri Stati, dobbiamo rispettare scrupolosamente, in modo imperativo, questi codici e queste nuove regole. La Santa Sede si è dunque impegnata da diverso tempo e il lavoro di Ernst von Freyberg, per quanto riguarda lo Ior, era orientato in questa direzione. Noi, ovviamente, porteremo avanti questo aspetto nei prossimi mesi e nei prossimi anni.

D. – Lo Ior deve generare profitti. Come fare, pur essendo esemplari in termini di etica e trasparenze?

R. - L’Ior doit dégager des profits mais d’abord et avant tout, l’IOR doit …
Lo Ior deve generare dei profitti, ma anzitutto lo Ior deve rendere servizio. Lo Ior deve rendere servizio alle istituzioni della Santa Sede che hanno bisogno di comunicare, di fare delle transazioni con il mondo esterno. Quindi, abbiamo bisogno di una istituzione equivalente ad una banca che ci permetta di fare queste transazioni. Pensiamo anche, ad esempio, ai Musei Vaticani: i Musei Vaticani attirano milioni di persone ogni anno; hanno dei costi e comunicano con il mondo esterno… C’è una libreria, ci sono tante altre cose… Abbiamo bisogno che il denaro circoli e quindi abbiamo bisogno di una banca. E per la Santa Sede è importante che questa struttura – che ripeto ancora una volta non è una banca ma un istituto finanziario che svolge  questo ruolo – sia una struttura sotto il controllo della Santa Sede, affinché la Santa Sede sappia esattamente quello che vi succede. Quindi, la prima cosa è rendere un servizio alla Santa Sede, rendere un servizio all’insieme delle sue istituzioni. In secondo luogo, è normale anche che l’insieme dei Dicasteri, l’insieme delle Congregazioni e l’insieme delle Diocesi - con le quali condividiamo la nostra fede cattolica - possano rapportarsi con una struttura della Santa Sede, piuttosto che con altre banche commerciali, con le quali non sempre condividiamo tutti quei valori che sono invece i nostri. Si parla sempre di quelle cose che non sono state fatte, ma non si parla mai invece delle cose che sono state fatte bene. E ce ne sono tante allo Ior, da ormai tanto tempo. Ma sfortunatamente a causa di alcune cose che non sono andate come sarebbero dovute andare in passato, si ha la sensazione – a volte – che questa istituzione non sia forse in grado di compiere il suo servizio. Questo non è vero! Ancora una volta tutto quello che sarà fatto nei mesi e negli anni a venire sarà per rinforzare questo messaggio, servire i clienti, rendere un servizio ai clienti, seguendo l’etica cattolica. Tutto quello che faremo, tutti i prodotti che svilupperemo per rendere questo servizio, per rispondere alle aspettative e alle attese dei clienti, saranno incentrati sulla nostra fede, sui nostri valori forti che fanno sì che le Diocesi e le Congregazioni si rivolgano a noi, affidandoci i loro soldi, sapendo che tutto quello che è stato fatto è stato compiuto “in stretta comunione”, se così posso dire…

D. – Quale sarà il suo margine di manovra?

R. - La même marge de manœuvre que tout autre dirigeant d’un établissement …
Lo stesso margine di manovra di tutti gli altri dirigenti dell’istituto finanziario che si impegna a soddisfare le esigenze dei clienti, cercando di fare del suo meglio ogni giorno in un universo finanziario ed economico che non è certo facile. Faremo del nostro meglio! Cercheremo di rispondere a tutte le esigenze. Abbiamo fissato degli obiettivi molto specifici. Ora, può non essere sempre tutto perfetto, chiediamo un po’ di comprensione ai nostri clienti. Ma, in ogni caso, la volontà e il lavoro saranno lì per accompagnarci in questa direzione.

D. – In seguito ad alcuni scandali, da alcune parti era stata invocata addirittura la chiusura, pura e semplice, dello Ior …

R. - Je crois que le Saint-Père a été très précis sur ce point dans son communiqué …
Credo che il Santo Padre sia stato molto preciso al riguardo nel suo comunicato del 7 aprile del 2014. Era importante analizzare la possibilità di chiudere lo Ior, perché soltanto studiando la possibilità di chiudere lo Ior, ci si è resi conto che si aveva bisogno dello Ior.

D. – Lei conosce già le strutture economiche e finanziarie del Vaticano. Quale realtà ha scoperto arrivando in Vaticano?

R. - Une réalité très simple, une réalité qui n’a peut-être pas toujours évolué …
Una realtà molto semplice, una realtà che non si è sempre forse evoluta - nel corso degli ultimi 15 o 20 anni - con la stessa velocità del mondo finanziario nel quale viviamo. Una realtà che, qualche volta – sia forse per la mancanza di un numero sufficiente di professionisti in questo settore diventato sempre più complesso, sia per la complessità dei mercati, che per l’ambiente giuridico - non ha aiutato la Santa Sede. E’ evidente questo quando uomini di Chiesa – dei preti, dei vescovi e dei cardinali - sono a capo di una istituzione finanziaria, che non rappresenta la loro primaria attività e per la quale non hanno ricevuto una formazione adeguata. E’ quindi importante – e questo è veramente quello che il Santo Padre intende fare – coinvolgere sempre più professionisti in tutti gli aspetti della vita amministrativa e finanziaria. Oggi noi parliamo di Ior, ma guardiamo anche tutto ciò che sta accadendo in molti altri settori grazie a questa unione di intenti e di sforzi tra i membri del clero e professionisti cattolici impegnati. Tutto questo per aiutare la Chiesa, per rafforzare l’azione della Chiesa e per rafforzare l’azione del Santo Padre.

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Mons. Scicluna: Papa Francesco continua impegno della Chiesa contro abusi

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L’incontro di Papa Francesco con un gruppo di vittime di abusi sessuali da parte di membri del clero, svoltosi lunedì scorso, continua a riscontrare un’ampia eco a livello internazionale. Fabio Colagrande ha chiesto un commento al vescovo ausiliare di Malta, mons. Charles Scicluna, che durante il Pontificato di Benedetto XVI, ha ricoperto l’incarico di promotore di giustizia presso la congregazione per la Dottrina della Fede occupandosi proprio della lotta agli abusi su minori: 

R. – Il commento generale della giornata deve essere proprio il dono della parola, il dono dell’ascolto. Io chiamerei proprio questo momento non solo profetico ma storico nella vita della Chiesa perché il Papa, con la sua parola, ci dice una profezia molto forte e ci incoraggia a costruire ponti di dialogo, di riconciliazione, di ascolto, con questi fratelli e sorelle che hanno sofferto molto a causa dell’abuso subito e perpetrato da alcuni esponenti del clero. Ma, la seconda cosa che vorrei sottolineare è il tempo che il Papa ha dedicato per l’ascolto individuale di queste persone: mi hanno detto 30 minuti per ogni persona … Il Papa deve gestire tutto l’apostolato, la sollecitudine di tutte le chiese, e ha fatto bene a dedicare il suo tempo preziosissimo per un apostolato molto importante e anch’esso molto prezioso. E devo dire che sono stato molto colpito dall’impatto dell’omelia. Il Papa chiede per la Chiesa - perché lui è Pietro, il Successore di Pietro - il dono di incontrare lo sguardo di Gesù, guardando questi fratelli e queste sorelle che sono vittime dell’abuso sessuale, ma anche la grazia di poter piangere: non piangere per fare scena o per motivo "di relazioni pubbliche", ma per compatire, per essere veramente vicino alla loro sofferenza, anche pentirci di ogni nostra incapacità di tutelare o magari incapacità di denunciare.

D. – Il Papa ha detto: chiedo perdono anche per i capi della Chiesa che non hanno saputo in maniera adeguata rispondere alle denunce di abuso…

R. - Ora da vescovo, quando leggo quello che dice il Papa, mi sento portato da lui. Lui non solo porta il gregge, non solo porta la pecorella sulle sue spalle, porta anche noi pastori. E questa è una grande carità che il Papa fa in modo così eccelso. Lui ci chiama, a noi tutti vescovi, ad essere custodi del gregge. Non a caso, portiamo il pastorale: non solo per guidare, ma anche per colpire il lupo. Lui dice: vedi di guardare bene che il lupo non entri nel gregge per uccidere il gregge. Evidentemente, come dice anche il grande S. Agostino, essere vescovo è un vantaggio per il gregge ma è una grande responsabilità. Addirittura, Agostino lo chiama periculum per il vescovo, perché a chi il Signore ha dato molto chiederà anche molto quando dobbiamo fare i conti.

D. – Quanto questa giornata e queste parole del Papa si inseriscono in un cammino già iniziato da tempo dalla Santa Sede, dalla Congregazione per la dottrina della fede, sotto il Pontificato di Benedetto XVI?

R. – Per fare il collegamento storico ma anche fattuale e attuale, basta pensare il fatto che Papa Francesco ripete una frase molto forte che fu di San Giovanni Paolo II, enunciata il 23 aprile del 2002, quando dice: “Non c’è posto nel clero per chi abusa dei bambini, dei minori”. Questa è una frase che il Papa ripete nell’omelia del 7 luglio 2014. A distanza di 12 anni c’è stato un cammino: Giovani Paolo II, Benedetto XVI, adesso Francesco che continua. Un cammino che ha ricevuto un grande slancio dal Santo Papa Giovanni Paolo II, che aveva come collaboratore fidatissimo - una parola che dice lo stesso Papa Wojtyla - il cardinal Ratzinger, che poi diventa suo successore. E adesso con Papa Francesco vediamo la linea che continua e che, anche con l’aiuto di questa nuova commissione per la tutela dei minori, trova la Santa Sede coadiuvata da esperti che possano aiutare la Chiesa a poter dare una risposta adeguata ogni volta che dobbiamo soffrire e questo tradimento così tremendo di alcuni esponenti del clero.

L'intervista integrale al vescovo Scicluna e un commento di Maria Elisabetta Gandolfi, giornalista della rivista Il Regno, si possono ascoltare in questa trasmissione di Radio Vaticana Italia dedicata all'incontro di Papa Francesco con le vittime di abusi dello scorso 7 luglio  

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Il Papa si recherà a Caserta in visita privata

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Papa Francesco si recherà in visita privata a Caserta. Lo ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Il Papa – ha detto padre Lombardi - in occasione di un incontro avuto a Roma con un gruppo di pastori evangelici nel mese scorso, ha manifestato a un pastore amico, da lui ben conosciuto già dal tempo di Buenos Aires, l’intenzione di recarsi in forma del tutto privata – estremamente semplice e rapida, nel corso di una sola mattinata - a visitare la sua chiesa, a Caserta. La visita è dunque allo studio e avverrà prevedibilmente il 26 luglio.

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Tweet del Papa: non temete di gettarvi fra le braccia di Dio

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Non temete di gettarvi fra le braccia di Dio: qualunque cosa vi chieda, vi ridonerà il centuplo”.

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Udienze e nomine episcopali di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto ieri in udienza Kiko Arguello, Iniziatore del Cammino Neocatecumenale.

In Tanzania, Papa Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di Kigoma il rev.do p. Joseph Mlola, ALCP/OSS, Rettore del Seminario Maggiore Inter-diocesano St. Paul a Kipalapala, Tabora.

In Colombia, il Papa ha nominato vicario apostolico di Puerto Gaitán il rev.do Luis Horacio Gomez González, del clero di Manizales, vicario episcopale per l’Amministrazione nella sua arcidiocesi. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Liberalia.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Patrimonio dell'umanità: in un'intervista di Nicola Gori, il cardinale Lorenzo Baldisseri illustra i contenuti della prossima assemblea straordinaria del Sinodo sulla famiglia.

Lampi di guerra: oltre sessanta morti nei raid israeliani sulla Striscia di Gaza mentre continua il lancio di razzi palestinesi.

Regalo avvelenato: Anna Foa sulla storia del documentario girato a Theresienstadt nel 1944.

Marco Beck spiega quanto Omero c'è nei versi di Foscolo: tra i testi originali e le riscritture dei classici greci.

Niente conformismi please: Enrico Reggiani su cattolicesimo e letteratura inglese.

L'inquietudine buona: Antonio Spadaro sul Memoriale di Pietro Favre.

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Oggi in Primo Piano



Il nunzio a Gerusalemme: necessari gesti forti per la pace

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Continua a preoccupare la situazione in Medio Oriente. E’ salito a 80 palestinesi uccisi, tra di loro numerosi bambini, il bilancio di tre giorni di raid israeliani su Gaza mentre continuano i lanci di razzi verso lo Stato ebraico. Respinta l’ipotesi di una tregua, oggi riunione dell’Onu. “Servono gesti coraggiosi per la pace”: ha detto, ai nostri microfoni, il nunzio in Israele mons. Lazzarotto. Il servizio di Benedetta Capelli:  

Alle 16 ora italiana il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, su richiesta della Lega Araba, discuterà dell’escalation di violenza tra israeliani e palestinesi nella Striscia di Gaza. Il botta e risposta tra le parti ha provocato un’ottantina di vittime e, solo nella notte, si contano anche 5 bambini palestinesi uccisi nella zona di Khan Yunis, 550 i feriti. Israele riferisce che in meno di tre giorni sono stati sparati 365 razzi da Gaza: uno ogni dieci minuti. Alcuni sono caduti presso la centrale nucleare di Dimona, altri a lunga gittata davanti Haifa. A Jabaliya, tre i morti in un raid israeliano. L’Egitto intanto ha riaperto il valico di Rafah per favorire il passaggio dei feriti. Mentre la diplomazia internazionale lavora per un cessate il fuoco, l’ipotesi viene oggi bocciata dal premier israeliano Netanyahu. “Una tregua con Hamas - ha detto davanti alla commissione affari esteri del Parlamento - non è in agenda”. Israele assicura che non saranno tagliate le forniture di energia elettrica e acqua nella Striscia di Gaza. Si teme comunque un attacco di terra mentre il presidente palestinese, Abu Mazen, ha denunciato ieri “un genocidio”. Stamani a Tel Aviv sono risuonate le sirene, intercettati oltre 100 i razzi provenienti dalla Striscia.

Grande la preoccupazione anche di mons. Giuseppe Lazzarotto, nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico a Gerusalemme e Palestina. L'intervista è di Benedetta Capelli: 

R. - Non c’è dubbio che il momento che stiamo vivendo è di grande preoccupazione, perché quello che è successo nei giorni scorsi ed in tempi recenti ha portato ulteriori complicazioni ad una situazione che era già complessa in se stessa. C’è preoccupazione. C’è bisogno da una parte di buon senso e di senso del “limite”, mi riferisco soprattutto ai politici naturalmente a quelli che devono prendere le decisioni. Dall’altra parte anche il coraggio, come ha detto il Santo Padre in tante occasioni e continua a ripeterlo: la pace ha bisogno di gesti coraggiosi, perché altrimenti è difficile sbloccare una situazione di conflitto che rischia davvero di degenerare.

D. - Le dichiarazioni di queste ultime ore sono davvero preoccupanti…

R. - E’ un momento di grande preoccupazione perché siamo al limite, c’è una linea che non bisogna oltrepassare, altrimenti sarebbe difficile tornare indietro. Io spero che ci sia consapevolezza e grande senso di responsabilità, da una parte e dall’altra. Dobbiamo tutti impegnarci. Io lo ripeto spesso: qui ci sono tante persone di buona volontà che vogliono la pace, la vogliono e si impegnano anche con gesti concreti pratici come ci ha insegnato e continua ad insegnarci Papa Francesco. Come il grande gesto che lui ha fatto di invitare i due presidenti a pregare insieme, per riflettere insieme, per dare un messaggio forte. Questo avvenimento così recente, non dobbiamo pensare che sia stato dimenticato, o non sia servito a niente. Non è vero! Sono gesti forti, messaggi forti che sono stati lanciati e che devono sempre essere tenuti presenti e considerati come punti di riferimento, perché quella è la strada che bisogna seguire.

D. - Cosa resta di quell’incontro di preghiera?

R. - Resta la grande ammirazione e la stima per quello che il Papa con i due presidenti, tutti insieme, hanno fatto. Rimane quello come indicazione forte della strada che bisogna avere coraggio di seguire, anche se sembra che ciò che sta succedendo stia, in un certo senso, cancellando questo avvenimento. Non è vero! Non dobbiamo cedere al pessimismo e lasciarci prendere da questa spirale terribile che genera solo altri conflitti ed altra violenza. I credenti devono aggrapparsi alla forza della preghiera.

D. - La nunziatura come sta agendo in questo momento di difficoltà con le parti israeliane e palestinesi?

R. - La nunziatura continua con il suo normale programma, soprattutto con i tanti contatti che cerco di mantenere naturalmente sia con una parte che con l’altra a vari livelli. Ci sono i contatti con le nostre comunità, con i responsabili delle comunità religiose, con le persone singole ed anche con la parte politica, i nostri contatti normali con il governo. Cerchiamo sempre di incoraggiare al dialogo, all’intesa, alla soluzione, alla ricerca di una via pacifica per risolvere i conflitti.

Ma c’è veramente il rischio che in Medio Oriente sfoci in una guerra vera e propria? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale del "Corriere della Sera": 

R. - Il rischio è molto alto, anche perché credo che forse sia la prima volta in cui la situazione può realmente sfuggire di mano. Un tempo si poteva ancora sperare sulla forza della ragione; oggi il rischio è che ci si abbandoni totalmente alla passione, ma non soltanto da parte di Israele, ma anche da parte palestinese, e in particolare da parte di Hamas. Il rischio è che la situazione si aggravi fino ad un punto tale da provocare l’irreparabile.

D. - Il fatto che rispetto alla Prima e alla Seconda Intifada si sia partiti già da un livello di violenza molto elevato - raid aerei contro missili -, può provocare nelle Comunità internazionale un certo timore anche a livello diplomatico nell’intervenire in modo efficace?

R. - Oggi la situazione è un po’ più complicata rispetto al passato, con gli Stati Uniti che non hanno molta voglia di lasciarsi “calamitare” in una nuova situazione di tensione in Medio Oriente. Però credo ci sia un punto di non ritorno: davanti ad un’esagerazione, ad una violenza tale - Abu Mazen ha parlato di  genocidio, parlare di genocidio contro Israele mi sembra abbastanza improprio -, le proporzioni rischiano di diventare quelle di un massacro dovuto alla provocazione o alla stupidità degli uni, e alla violenza nella risposta degli altri. Ora, in base a tutto quello che succede mi viene da pensare è che ci possa essere quasi un punto di contatto tra l’estremismo di Gaza e tutto quello che sta accadendo non lontano dalle frontiere di Israele - soprattutto Siria ed Iraq - dove si stanno affermando delle forze che fanno del massacro sistematico dei civili - cosiddetti nemici - il loro obiettivo. Credo che tutte queste vicende, in qualche modo, non possano essere totalmente scollegate; credo che sarebbe necessario, a questo punto, un fermo altolà da parte della Comunità internazionale che è sempre stata troppo silente, al di là del silenzio americano di cui si è parlato.

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Il nunzio in Iraq: serve un miracolo per evitare il peggio

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Iraq sempre più instabile, dopo la conquista del nord del Paese da parte dei jihadisti sunniti dell’autoproclamato Stato Islamico. Il governo iracheno ha informato le Nazioni Unite che gli estremisti hanno rubato 40 chili di uranio dall’Università di Mosul, ma l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica ha escluso che il materiale possa diventare una minaccia. Intanto è allarme umanitario per i cristiani iracheni, molti dei quali sono scappati da Mosul dopo l’attacco degli estremisti. Ma qual è la situazione nel Paese? Michele Raviart lo ha chiesto a mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Giordania e Iraq, raggiunto telefonicamente a Baghdad: 

R. – La principale preoccupazione in questo momento è quella di fornire acqua potabile alla gente che si è trasferita da Mosul; so che stanno scavando dei pozzi ma non è una cosa immediata. L’altro problema è la mancanza di elettricità anche nei villaggi abitati dai cristiani, che prima erano serviti da Mosul che ora ha tagliato il rifornimento.

D. - Le varie comunità cristiane che rischi corrono?

R. - Dal punto di vista psicologico stanno vivendo con grande paura e incertezza. È chiaro che molti pensano di poter trovare una porta d’uscita per lasciare il Paese. Dal punto di vista umanitario si sono dati molto da fare - anche lodevolmente - nell’accogliere  i musulmani aprendo scuole, case per dare la possibilità agli sfollati di trovare almeno una sistemazione provvisoria.

D. - Quali sono le zone più a rischio? Quali sono le zone più sicure adesso per i cristiani in Iraq?

R. - La zona più a rischio è senz’altro quella al confine, controllata dallo “Stato islamico”, perché non si sa fino a dove si accontenti e dove vogliano fermarsi. Le zone sicure sono quelle controllate dalle forze curde.

D. - Dal suo punto di vista, quale futuro si sta prospettando?

R. – È veramente difficile dirlo. Secondo me, dipende molto da quanto riescono, a livello di governo centrale, ad affrontare la situazione nel modo giusto, in un modo inclusivo, aprendosi a tutte le rappresentanze del Paese. È necessario che ci sia un parlamento che funzioni, un governo che funzioni; solo allora si potrà vedere che cosa fare. Io credo che sia urgente anche una presa di coscienza da parte della società civile che non può rimanere a guardare aspettando che i politici si diano da fare, perché spesso i politici sono mossi da interessi di parte, mentre la società civile potrebbe essere più orientata al bene comune.

D. - E come può la società civile aiutare il Paese ad affrontare quella che è stata una vera e propria invasione?

R. - Se c’è la volontà di includere tutti nel progetto di un futuro per l’Iraq, allora anche quelli che hanno invaso perderanno il sostegno locale; sono entrati così con una grande facilità perché c’era tanto malcontento, nel momento in cui tutte le forze si sentono rappresentate a livello centrale allora anche queste forze perderanno il sostegno locale.

D. - Che appello si sente di lanciare come nunzio apostolico in Iraq?

R. - Io credo che in questo momento occorre pregare: c’è bisogno di un miracolo perché la situazione non precipiti ulteriormente e non si arrivi ad uno scontro armato, che potrebbe parzialmente risolvere o portare ad una riconquista di una parte del territorio, provocando però nuove vittime e nuovi malcontenti. Bisogna scongiurare che si arrivi ad uno scontro armato crudele.

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Centrafrica, lutto nazionale dopo l'assalto alla Cattedrale

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Continuano gli scontri nella Repubblica Centrafricana. Dopo l’assalto dei ribelli Seleka al campo per sfollati allestito nella Cattedrale di Saint Joseph di Bambari, il presidente Catherine Samba Panza ha decretato il lutto nazionale. Durante l’attacco hanno perso la vita 26 persone. Intanto, aumenta la fuga dei civili verso altri Paesi. Maria Gabriella Lanza ne ha parlato con Beatrice Nicolini, docente di Storia dell’Africa all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: 

R. - Il fatto che ci sia una diaspora così immane verso gli altri Paesi, è causato essenzialmente da questi attacchi di ribelli che si trovano un’area assolutamente priva di controllo politico-istituzionale, quindi aperta ad intrusioni sia economiche sia di accordi politici da parte di molti altri Paesi. C'è per esempio l’influenza della Corea che fa accordi anche per l’esclusiva dell’accesso alle miniere e alle risorse economiche; questo ha provocato un impoverimento progressivo e molto forte delle popolazioni, che chiaramente si scontrano tra loro per la sopravvivenza.

D. - Quale potrebbe essere la soluzione per fermare questa guerra civile? Per ora neanche la presenza dell’esercito francese sembra aver portato qualche risultato…

R. - Questo è un Paese tra i più poveri del mondo, la vita media è intorno ai 54 anni e c’è un 11% di sieropositività della popolazione più giovane. Quindi, è un Paese dove le persone soffrono di malnutrizione e quindi di problematiche di alimentazione e di malattie, e dove le risorse eco-ambientali sono continuamente minacciate. È veramente una situazione drammatica, per cui è chiaro che questi ribelli non si fermano. C’è convenienza a tenere la Repubblica Centrafricana in questa situazione: c’è il reclutamento dei bambini soldato da parte di alcuni eserciti che adesso usano questo Paese proprio per il reclutamento. La cosa da cui si deve ripartire - come sempre in queste aree del mondo - è l’istruzione, l’educazione, ed in questo il ruolo dei missionari, soprattutto italiani, è strepitoso perché comunque fin quando c’è  una presenza missionaria, una presenza educativa, di istruzione, soprattutto delle bambine femmine, allora si ha davvero la speranza di migliorare la società dal basso. È chiaro che questi sono progetti a medio-lungo periodo, non possono essere soluzioni immediate. L’Unione Europea ha mandato 1600 soldati dalla Francia: ma senza una consapevolezza, un’analisi precisa della realtà del Paese, senza la conoscenza delle lingue, delle realtà locali, è chiaro che sono elementi privi di risultato.

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Rapporto Idos: in 2 anni imprese di immigrati crescono del 9,5 per cento

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In due anni in Italia le imprese a guida immigrata sono aumentate del 9,5 per cento mentre quelle italiane hanno subito un calo dell’1,6 per cento. A fotografare la situazione è il “Rapporto immigrazione e imprenditoria 2014” del Centro di ricerche Idos, Immigrazione Dossier Statistico presentato a Roma. Il servizio di Debora Donnini

Nonostante la crisi, le imprese gestite da immigrati crescono. Fra la fine del 2011 e la fine del 2013 sono aumentate del 9,5 per cento. Più della metà si trovano al Nord. Oltre un quarto al Centro e più di un quinto al Meridione. La prima Regione è la Lombardia con oltre 94mila, il 19 per cento del totale. Il commento di Maria Paola Nanni, curatrice del volume:

“Oggi le imprese a conduzione immigrata in Italia sono già nell’ordine del mezzo milione, 497 mila, e soprattutto hanno un’incidenza sul totale delle imprese registrate negli elenchi delle Camere di Commercio che supera l’otto per cento del totale. E’ un’incidenza che cresce continuamente, di anno in anno, anche in questi anni di profonde difficoltà”.

Come mai mentre le imprese italiane subiscono un leggero calo quelle straniere registrano il segno “più”? Ancora Maria Paola Nanni:

“Questo spiccato dinamismo imprenditoriale che i migranti continuano a mostrare anche in questi anni di crisi, di fatto, si lega, quasi inestricabilmente, anche alla loro maggiore debolezza sociale, ovvero alle sempre maggiori difficoltà che incontrano nel trovare e mantenere un’occupazione alle dipendenze. Ecco, quindi, che la particolare difficoltà dei migranti di sopportare lunghi periodi di disoccupazione fa sì che l’avvio di un’attività autonoma imprenditoriale - magari l’apertura di una partita Iva funzionale alle logiche di subappalto, che sempre più fagocitano interi settori e pensiamo anzitutto all’edilizia - può rappresentare una, se non l’unica, strategia di resistenza percorribile. Tra l’altro, poi, le imprese avviate dai migranti, per quanto spesso segnate da forti elementi di fragilità, a volte di criticità, trattandosi per lo più di imprese individuali - la misura di circa otto casi su dieci - sono però poi imprese che, soprattutto a livello locale, mostrano buoni, a volte anche ottimi, livelli di integrazione sul piano dell’integrazione economica”.

Significativo poi il numero di donne nell’imprenditoria straniera: sono quasi un quarto del totale delle imprese a guida immigrata, con una crescita del 5,4 per cento.

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Argentina-Germania, una finale all'ombra del Cupolone

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L’Argentina è la seconda finalista dei Mondiali di Calcio che si stanno svolgendo in Brasile. Nella semifinale, la selecion ha battuto l’Olanda per 4-2 ai rigori. E ora sale l’attesa per la finalissima con la Germania che si disputerà domenica al Maracanà di Rio de Janerio. In tanti, in particolare sui social network, stanno scherzosamente dipingendo la sfida all'ombra del Cupolone, postando vignette con il Papa argentino e il Papa emerito tedesco. Ma sentiamo, al microfono di Marco Guerra, come vivono l’attesa due gesuiti alla Radio Vaticana, padre Hugo Ortiz, argentino, e padre Bernd Hagenkord, tedesco, rispettivamente responsabili delle redazioni di lingua spagnola e tedesca della nostra emittente: 

Padre Ortiz: "Io penso che la Germania abbia un po’di paura (ride) perché noi siamo famosi per il calcio e abbiamo tanti giocatori molto bravi!".

Padre Hagenkord: "Lavoriamo praticamente accanto, sullo stesso piano ... c’è un po’ di tensione ... ma molto amichevole! E’ un tempo molto intenso per noi tedeschi perché per la prima volta da non so quanti anni siamo arrivati in finale e vinceremo ovviamente (ride)! Lo dico in spagnolo: venceremos!".

Colleghi alla Radio Vaticana ma divisi fino a domenica sera su due fronti opposti. Padre Ortiz e padre Hagenkord vivono l’attesa febbrile e provano ad immaginare quello che accadrà all’interno delle mura leonine al fischio d’inizio della finale:

Padre Ortiz: "Francesco non guarda la tv, non ha la tv nel suo appartamento, ma Benedetto sì. Benedetto, chissà, lo inviterà a guardare la partita (ride) e forse invece di guardare la partita, andranno nella cappella a pregare, uno per la Germania e l’altro per l’Argentina!".

Padre Hagenkord: "Benedetto non è un tifoso così grande del calcio. Francesco è tifoso ma va a letto molto presto, non so se guarderà la partita, forse sì…".

Ma Padre Ortiz da argentino non può non dedicare una riflessione anche al momento molto delicato che sta attraversando il suo Paese:

Padre Ortiz: "Francesco è molto preoccupato per l’Argentina dove c’è una situazione sociale ed economica molto particolare, dove c’è tanta gente che soffre tanto. Io penso che Francesco non voglia che questa sia una distrazione...  E’ importante far vedere che noi siamo bravi, che siamo arrivati alla finale e che anche se la coppa sarà nostra o di altri resta solo un gioco; ora dobbiamo far vedere che siamo bravi e che dobbiamo superare tutti i problemi con la fraternità, con l’incontro, con il dialogo e la ricerca del bene comune per tutti".

Il calcio resta uno dei fenomeni popolari più importanti al mondo, per questo i due padri gesuiti sono sicuri che lo sport ancora una volta farà da collante tra i popoli:

Padre Ortiz: "Lo sport fa vedere la fratellanza, unisce. Questa sarà una partita che farà vedere il meglio di ognuno, ma per unire non per confrontarsi in modo cattivo".

Padre Hagenkord: "Il calcio unisce ... dopo che avremo vinto noi (ride) ci sarà un po’ di tensione. Ma poi si capirà meglio che questo sport unisce più che separare. Ma la finale è la finale! Sarà una bellissima partita!".

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Nella Chiesa e nel mondo



Sud Sudan: ogni giorno muoiono 3 bambini. 50mila a rischio

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Muoiono una media di tre bambini al giorno, e uno su sette prima di compiere 5 anni, a causa della grave crisi umanitaria del Paese più giovane del pianeta. A tre anni di distanza dall’indipendenza del Sud Sudan, la popolazione vive in condizioni disperate. Dallo scoppio del conflitto a dicembre 2013, 1,5 milioni di sud sudanesi hanno abbandonato le loro case, di questi, 400 mila sono fuggiti in Uganda, Etiopia e Kenya. In assenza di un immediato incremento degli aiuti umanitari, potrebbero morire 50 mila bambini a causa della malnutrizione.

Attualmente - riferisce l'agenzia Fides - sono oltre 7 milioni (due terzi della popolazione del Paese) le persone che vivono in uno stato di totale insicurezza alimentare.

E’ quanto ha reso noto la ong spagnola Acción Contra el Hambre (Ach). Solo nel 2013 Ach ha curato per denutrizione acuta 27 mila bambini. L’Unicef ha dichiarato che le morti tra i minori di 5 anni sono aumentate da 18 a 24 alla settimana a Bentiu, un accampamento della Missione delle Nazioni Unite, i cui servizi sanitari sono andati deteriorandosi a causa delle continue ondate di sfollati.

Ach ha attivato una equipe di emergenza nutrizionale con l’obiettivo di stabilire un programma terapeutico ambulatoriale, in collaborazione con altre organizzazioni, per assistere gli sfollati e fornire acqua potabile ai 46 mila sud sudanesi del campo di Bentiu, e igiene a 189 mila persone, oltre ad offrire sostegno a più di 80 mila persone.

Per quanto riguarda l’istruzione, 9 bambini su 10 non portano a termine la scuola primaria e l’84% delle donne non sanno leggere né scrivere. Solo il 40% ha accesso ai servizi medici e il 32% non dispone di acqua potabile. Nel mese di maggio nella capitale Yuba, è stata dichiarata una epidemia di colera. L’allarme si è esteso già a 9 Stati su 10 e i casi totali, il 2 luglio, avevano superato i 2.600, con 54 morti. I risultati del sondaggio condotto da Ach a Leer, nello Stato di Unity, mostrano un tasso di denutrizione acuta del 34%. La soglia di emergenza stabilita dall’Oms è del 15%. (R.P.)

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Epidemia di Ebola: a rischio anche gli operatori sanitari

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La Sierra Leone, insieme alle limitrofe Guinea e Liberia, stanno attraversando la peggiore epidemia di Ebola mai registrata prima, con 481 morti dichiarate al 2 luglio scorso. Tra questi anche sette operatori sanitari contagiati dal virus nell’ospedale di Kenema. A causa dei continui contatti con le persone contagiate il personale ospedaliero è più facilmente soggetto all’infezione. Sono impegnati per ore e alcuni sono volontari.

Di recente - riferisce l'agenzia Fides - quelli che lavorano nel reparto di malattie infettive hanno fatto uno sciopero per il salario che ricevono. Troppo basso per i continui rischi che corrono, e hanno raggiunto un accordo con il Governo. Gli operatori sanitari si trovano ad affrontare anche le ostilità di quanti pensano che la malattia sia solo una macabra cospirazione per permettere loro l’espianto di alcuni organi dai pazienti. Alcuni hanno ricevuto minacce, altri sono stati brutalmente aggrediti. (R.P.)

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Usa: la Chiesa stanzia un milione di dollari per l'Africa

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Quarantasei sovvenzioni per un totale di 1.260.571 dollari: questo quanto stanziato per il lavoro pastorale della Chiesa in Africa dalla Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (Usccb), che ha approvato le sovvenzioni durante un incontro avvenuto recentemente a New Orleans.

“I bisogni della Chiesa in Africa variano a seconda delle zone” ha detto il card. Theodor McCarrick, arcivescovo emerito di Washington e presidente della sottocommissione per la Chiesa in Africa della Usccb. “La Chiesa in Africa – ha aggiunto - sta crescendo rapidamente, ma sta anche affrontando sfide importanti per rispondere ai bisogni dei suoi membri e della società circostante”. Il porporato ha, quindi posto l’accento sull’aumento delle richieste di programmi di formazione e sviluppo di competenze imprenditoriali e di leadership: sono proprio questi, infatti, i principali settori che hanno ricevuto i finanziamenti, insieme a quelli relativi della formazione pastorale e alle iniziative di giustizia e pace.

Una sovvenzione di 30mila dollari è stata, inoltre, destinata alla Conferenza episcopale dell’Africa Australe per finanziare la cura pastorale e l’aiuto legale per le donne vittime di abusi e violenze di Sud Africa, Botswana e Swaziland. Sono, inoltre, previsti workshop di formazione per gli operatori laici nell’ambito della consulenza spirituale, insieme allo sviluppo di contatti con avvocati cattolici, per migliorare l’assistenza legale offerta alle donne in difficoltà.

La sottocommissione ha approvato, poi, la concessione di 24mila dollari alla Conferenza episcopale dell’Etiopia per agevolare la conoscenza dell’Esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii Gaudium, in un Paese in cui la popolazione cattolica è minore dell’1%. Il progetto si basa sulla traduzione del documento in amarico, lingua nazionale, e nella sua diffusione.

Inoltre, i responsabili religiosi etiopi verranno formati tramite seminari su scala nazionale, che permetteranno loro di diffondere il messaggio del Papa nelle rispettive parrocchie e comunità. “In molte aree, la Chiesa dell’Africa sta lavorando per diventare autosufficiente – ha concluso il card. McCarrick - Il sostegno dei cattolici degli Stati Uniti ha un impatto enorme; questa raccolta di fondi è un’opportunità per contribuire alla missione nelle periferie del mondo, come ci chiede Papa Francesco”. (C.G.)

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Bice lancia nuovo programma di lotta agli abusi sessuali

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Un programma di tre anni in venti Paesi del mondo per lottare contro gli abusi sessuali sui minori: a lanciarlo, in questi giorni, è stato il Bice, il Bureau internazionale cattolico dell’infanzia. Il nuovo programma, informa una nota, si concluderà nel 2017, sviluppandosi secondo cinque linee-guida: “attività di prevenzione e sensibilizzazione; offerta di accoglienza e accompagnamento; sistema di tutela internazionale, nazionale e locale; diffusione dell’informazione tramite ricerche, pubblicazioni ed incontri; messa in pratica di una politica di difesa dell’infanzia nelle istituzioni”.

“Le cifre sugli abusi sessuali – spiega il Bice – sono notevoli, i danni immensi, le sfide considerevoli, ed è per questo che vogliamo intensificare il nostro operato”. Quindi, il Bice ricorda l’udienza con Papa Francesco, avvenuta l’11 aprile scorso, durante la quale il Pontefice ha denunciato le violenze sessuali perpetrate sui minori, anche da parte di alcuni membri del clero, ed ha incoraggiato l’organismo a proseguire nella sua missione.

Nato nel 1948, dall’intervento del Papa Pio XII in difesa dell’infanzia all’indomani della seconda Guerra mondiale, il Bice è un’associazione non governativa oggi presente in 66 Paesi dei quattro continenti; nel 1959, ha preso parte attiva ai lavori preparatori della Dichiarazione dei diritti dell’infanzia. Attualmente, l’organismo beneficia di uno statuto consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc) e partecipa attivamente al Consiglio dei diritti dell’uomo ed al Comitato dei diritti dell’infanzia. (I.P.)

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Caritas Congo invoca il rientro di 2.400 profughi di Maluku

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La Caritas della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) ha lanciato un appello per aiutare i congolesi espulsi dalla Repubblica del Congo (Congo Brazzaville) che si trovano in condizioni precarie in un campo di accoglienza a Maluku alla periferica orientale di Kinshasa. Si stima che almeno 2.400 persone, delle quali mille sono bambini, vivano nel campo da maggio, quando sono iniziate le operazioni di espulsione dei congolesi irregolari da Brazzaville.

Queste persone - riferisce l'agenzia Fides - sono originarie di altre aree della Rdc e non hanno i mezzi per potervi rientrare. “Che ogni persona di buona volontà possa venire in aiuto ai nostri fratelli che vivono in condizioni difficili. Ci sono molti espulsi che necessitano di rientrare nelle loro province. Se ci sono persone che pensano di poter mettere a loro disposizione i mezzi per rientrare a casa, questo le aiuterebbe a lasciare le condizioni precarie nelle quali vivono” ha affermato Gratien Mundia, coordinatore delle operazioni di emergenza e della protezione sociale di Caritas Rdc.

La Caritas ha organizzato la raccolta e la distribuzione di generi di prima necessità nel campo di Maluku, alcuni dei quali forniti dalla Monusco (Missione Onu nella Rdc). (R.P.)

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Colombia. Neopresidente dei vescovi: la pace grande sfida per il Paese

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L’arcivescovo di Tunja, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, è stato eletto presidente della Conferenza episcopale colombiana (Cec). In una pausa dei lavori dell'Assemblea dell'episcopato colombiano, che si svolge a Bogotà - riferisce l'agenzia Fides - il nuovo presidente ha incontrato i rappresentanti dei media e, come primo intervento pubblico, ha voluto esprimere il proprio impegno per la pace in Colombia, la grande sfida del Paese.

“I guerriglieri dovrebbero chiedere perdono, ma un perdono vero" ha detto mons. Castro Quiroga, sottolineando che i guerriglieri "devono rispondere alla giustizia” delle loro azioni. Il nuovo presidente della Conferenza episcopale giudica inoltre positivi i negoziati di pace in corso a L'Avana, ma ritiene che si dovrebbe fare “un salto di qualità”, dal dialogo per il dialogo ad una vera riconciliazione. In questo contesto ha invitato le Farc e l'Eln a tradurre la volontà di dialogo nell'impegno concreto. (R.P.)

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Eurostat: 5 milioni di bebè in un anno. Nascono meno figli

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Cresce, seppur di poco, la popolazione europea, soprattutto per il saldo migratorio. Eurostat certifica che al 1° gennaio 2014 i cittadini dei 28 Paesi membri erano 507,4 milioni, contro i 505,7 di un anno prima. Con il saldo naturale (nati-morti) la popolazione aumenterebbe di 80mila unità, mentre con i migranti essa cresce in un anno di 700mila persone (la differenza è dovuta ad aggiustamenti statistici).

La tendenza demografica a lungo termine - riferisce l'agenzia Sir - stabilisce che la popolazione degli attuali 28 Paesi dell’Unione è aumentata dal 1960 a oggi di 100 milioni di abitanti. Per quanto riguarda il tasso di natalità complessivo, si attesta a 10,0 nati per mille abitanti, in calo rispetto a 10,4 del 2012. I tassi più elevati riguardano Irlanda (15,0 per mille), Francia (12,3), Regno Unito (12,2), Svezia (11,8). I tassi più bassi spettano invece a Portogallo (7,9), Germania, Grecia e Italia (8,5) e Romania (8,8). Nel 2013 sono nati in Europa 5,1 milioni di bambini; i decessi totali sono stati 5 milioni. Il saldo positivo naturale è più elevato in Irlanda (+8,5 per mille), seguita da Cipro, Lussemburgo, Francia e Regno Unito. Sono addirittura 13 gli Stati che hanno registrato un saldo naturale negativo, con in testa Bulgaria (-5,2 per mille), poi Lettonia, Lituania, Ungheria, Romania e Germania. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 191

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.