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Sommario del 14/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Gaza. Mons. Shomali: Papa fiducioso, ma serve buona volontà

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Non risparmiare né preghiere, né sforzi per “far cessare ogni ostilità e conseguire la pace desiderata per il bene di tutti”. Risuonano ancora forti le parole, pronunciate subito dopo l’Angelus domenicale, con cui Papa Francesco ha esortato nuovamente alla pace in Terra Santa. Sul terreno, al settimo giorno di violenze, ancora critica la situazione, soprattutto nel nord della Striscia di Gaza. Il servizio di Giada Aquilino

Nella drammaticità degli eventi, a parlare è l’ultimo bilancio dei palestinesi rimasti uccisi a Gaza, fornito da fonti mediche locali: oltre 170 i morti, più di 1.100 i feriti nei combattimenti fra forze israeliane e milizie locali. Fra le vittime, è elevata la percentuale di donne e di bambini fino a 16 anni di età. Secondo il direttore generale dell’Unicef, Anthony Lake, “i bambini stanno pagando il prezzo della spirale di violenza a Gaza e in Israele”; nessun piccolo - aggiunge - “dovrebbe soffrire l'impatto terrificante” di tanta crudeltà.

Nelle ultime ore sono continuati gli attacchi aerei e dell’artiglieria israeliani contro le postazioni di Hamas: colpiti pure edifici a Gaza città, Deir el-Balah e Jabaliya. In Cisgiordania, arrestati 23 palestinesi, fra i quali cinque 'legati' ad Hamas e 'indagati' - secondo le autorità - per la morte dei tre ragazzi israeliani rapiti il mese scorso. Lo Stato ebraico, attraverso il proprio esercito, ha fatto sapere che “il 70% degli israeliani vive nel raggio di gittata dei razzi di Hamas”; stamani ha abbattuto sui cieli di Ashdod un drone lanciato da Gaza. Il lancio è stato rivendicato dall'ala militare del movimento, le Brigate di Ezzedin al-Qassam.

Sul piano diplomatico, dopo che ieri a Vienna Usa, Gran Bretagna, Germania e Francia hanno discusso un piano per il cessate il fuoco, è la volta della missione in Medio Oriente del ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, che anticipa di qualche ora la visita del capo della diplomazia italiana, Federica Mogherini: Roma è presidente di turno dell’Unione Europea. Da Bruxelles è arrivato un invito alla “moderazione”, una condanna all'uso della forza e un auspicio per “un immediato cessate il fuoco”.

E mentre la diplomazia internazionale lavora per una tregua sul campo, Papa Francesco ieri ha elevato ancora una volta la propria preghiera per la pace in Terra Santa: “mai più guerra”, “con la guerra tutto è distrutto”, ha detto, ricordando pure che non è “avvenuto invano” l’incontro, tenutosi in Vaticano l’8 giugno scorso, con i presidenti israeliano Peres e palestinese Abbas, alla presenza del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Sulle parole del Pontefice, ascoltiamo il vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini, mons. William Shomali:

R. – Sono parole giuste, che continuano il messaggio per la pace lanciato durante la sua visita in Terra Santa, ma anche durante la preghiera nei Giardini Vaticani. Il suo discorso di quel momento, veramente storico, rimane sempre valido: ha detto che fare la pace richiede più sforzo che fare la guerra e che, se gli sforzi umani non riescono, c’è un’altra possibilità, la preghiera. Il Papa rimane fiducioso che il Signore può trasformare i cuori, perché il problema è soprattutto di buona volontà. Il Signore può mettere questa buona volontà nei cuori.

D. - Il Pontefice ha detto che quell’incontro nei Giardini Vaticani non è “avvenuto invano”: perché?

R. – Perché la preghiera è sempre valida. Noi credenti sappiamo che una preghiera fatta con fede ha una potenza, una forza particolare. Soprattutto, quando è fatta dai ‘nemici’ stessi. Sono sicuro che la preghiera fatta da Abbas e da Peres era sincera, perché volevano uscire da questo incubo. Ma se i risultati non si fanno vedere l’indomani, non vuol dire che non ci siano risultati.

D. - E’ passato poco più di un mese da quella preghiera: sul terreno cosa è cambiato?

R. - Questo problema dura da 80 anni, dunque un anno di più, un anno di meno, su una lunga storia non è un ritardo. L’albero di ulivo che hanno piantato insieme nei Giardini Vaticani non produrrà frutti prima di 5 anni e questa è l’immagine della preghiera: può dare frutti più tardi, non a causa di una debolezza del Signore ma a causa di una cattiva volontà umana.

D. – Le violenze continue a cosa stanno portando, da una parte e dall’altra?

R. - Portano paura, più sangue, più sfiducia, più odio. Nessuno ci guadagna da questa violenza.

D. – Nella Striscia di Gaza c’è un esodo massiccio di famiglie che - come possono, con carretti, a piedi, chi è più fortunato con le auto - cercano di arrivare a Jabaliya, il campo profughi a nord di Gaza, per trovare rifugio nelle scuole dell’Onu. Qual è la situazione?

R. – La situazione è drammatica. Il parroco di Gaza ha pubblicato una lettera in cui descrive la situazione drammatica. C’è tanta paura, i bambini sono traumatizzati. Molte famiglie hanno perso la casa, molte non hanno cibo, non hanno soldi, non hanno acqua, non hanno elettricità. Sono sotto i colpi della guerra.

D. - I bilanci di queste ore rivelano che fra le vittime è elevata la percentuale di donne e bambini…

R. - Il bilancio cambia ogni giorno, ma non si può mettere in cifre la sofferenza.

D. - Come la Chiesa di Terra Santa è vicina alla popolazione?

R. - Quando potremo andare a visitare Gaza porteremo un po’ di aiuto umanitario. Ma sono gli Stati che hanno più mezzi per aiutare. Già l’Arabia Saudita è disposta a mandare aiuti per i poveri di Gaza, per la Croce Rossa di Gaza. Ma spero che quando ci sarà il cessate il fuoco noi, come vescovi, potremo andare a visitare la gente e dire loro che non li abbiamo dimenticati.

D. - In questo panorama di sofferenza, c’è un’immagine nella sua mente che può dare speranza per il futuro?

R. - Adesso la mia mente è sotto l’incubo di quelle immagini negative, ma la mia fede mi dice che il Signore è più pietoso degli uomini e Lui non permetterà che questa sofferenza duri: il Signore sente il grido degli offesi.

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Il card. Parolin in Messico per l’emergenza migrazioni

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Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin è arrivato ieri pomeriggio in Messico per discutere sui temi legati al fenomeno dell’emigrazione. L'obiettivo, secondo una nota ufficiale del governo messicano, è cercare di coordinare un programma comune, tra governo e Santa Sede, su questa drammatica materia.

Il card. Parolin è stato ricevuto dal ministro degli Esteri, Jose Antonio Meade ed ha partecipato ad una cena di lavoro a cui, oltre alle autorità federali e legislatori, erano presenti i ministri degli Esteri di Honduras, Guatemala ed El Salvador. Il segretario di Stato incontrerà oggi il presidente messicano Enrique Peña Nieto e parteciperà ad una riunione sulla migrazione e sui diritti umani.

Il porporato era stato invitato dal presidente Peña Nieto durante la visita ufficiale in Vaticano lo scorso giugno. La visita è particolarmente importante perché coincide con la crisi umanitaria in atto che vede migliaia di bambini emigranti in viaggio da soli verso gli Stati Uniti. Tutti i Paesi del Centroamerica sono coinvolti in questo esodo forzato, ed anche la Chiesa cattolica è in prima fila perché quasi tutti gli ostelli per i migranti in Messico sono gestiti da cattolici. (R.P.)

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Mondiali: mons. Gänswein racconta la finale del Maracanà vista dal Vaticano

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Oltre un miliardo di persone si sono fermate ieri per 120 minuti per guardare la finale dei Mondiali di Calcio, vinta 1-0 dalla Germania contro l’Argentina, nello stadio Maracanà di Rio de Janeiro. Una partita che è stata definita scherzosamente la “Finale dei due Papi” per le nazionalità argentina di Papa Francesco e tedesca di Benedetto XVI, anche se nessuno dei due - riferisce mons. Georg Gänswein - ha guardato la partita. Su questa originale coincidenza e sul ruolo che il calcio può avere per il dialogo e l’incontro tra nazioni e culture diverse, Alessandro Gisotti ha intervistato proprio il prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare del Papa emerito: 

R. – Ho tifato per la squadra del cuore – che è la Germania – e l’ho vista a casa, con le Memores Domini, che anche loro hanno tifato per la Germania e alla fine siamo stati molto contenti – anche se mi dispiace per gli argentini. Hanno giocato bene, ma penso che alla fine la Germania abbia vinto meritatamente.

D. – In molti, ovviamente, si sono chiesti: Papa Benedetto ha visto la partita? Ha saputo del risultato? Ci può dire qualcosa al riguardo?

R. – L’ho invitato a guardare la partita, però lui ha ringraziato ma ha preferito andare a dormire. Certamente, questa mattina l’ho informato – ma lui aveva anche già visto la mia faccia, che portava un messaggio chiaro. Poi l’ho informato sull’andamento e quindi sul risultato della partita.

D. – Evidentemente, c’era anche una gioia da parte sua …

R. – Sì e no, perché nella squadra ci sono anche alcuni bavaresi, e questo fa scaldare il cuore ancora di più; d’altra parte ha detto: “Speriamo che gli argentini si riprendano presto”. E poi, uno a zero è un risultato che non umilia …

D. – Ovviamente … “Argentina” – il pensiero va a Papa Francesco. In qualche modo lei ha potuto parlare con il Santo Padre di questa partita? Può dirci qualcosa anche su questo?

R. – Non ancora. Ho fatto le mie sentite “condoglianze” al suo segretario, don Fabian, e lui mi ha risposto in modo molto secco, chiaro, ma convincente e mi ha fatto anche gli auguri per la vittoria della nostra squadra.

D. – Abbiamo visto, soprattutto sui social network, una cosa particolare e anche originale: cioè, si sono uniti Papa Francesco e il Papa emerito Benedetto anche con un certo moto di affetto per entrambi; in qualche modo, se così si può dire, il calcio li ha uniti anche nell’immaginario collettivo …

R. – L’ho visto anch’io e devo dire che mi sono molto rallegrato, perché si vede che il calcio ha la forza di unire. E poi si è visto che molte cose sono state espresse in modo scherzoso, a volte in modo ironico, in fin dei conti sempre in modo simpatico, sincero … E penso che questa occasione ha fatto capire che c’è una bella intesa tra i due Papi.

D. – Papa Francesco in un tweet, prima ancora in un messaggio, ha sottolineato come i Mondiali di Calcio – lo sport in generale – siano occasione di incontro …

R. – Papa Francesco spesso parla – ed è diventata una parola chiave – dell’incontro, e lo sport – e anzitutto il calcio – è proprio un’occasione ad hoc per incontrarsi in modo sportivo e sincero. L’incontro, come tale, è quello che conta. E’ chiaro, c’è sempre il risultato, poi; ma quello che conta è l’incontro. E se per tutte e due le squadre l’incontro è positivo, penso che abbia una grande forza non soltanto per queste 22 persone, ma per molte altre persone ancora, e non soltanto dei due Paesi rappresentati, ma di tutto il mondo.

D. – Ovviamente, la finale del Mondiale, la parte finale del Mondiale, è coincisa purtroppo con il conflitto tra Israele e Palestina; fra l’altro, anche il Pontificio Consiglio della Cultura ha lanciato l’iniziativa "Pause for Peace", una pausa per la pace, legata ai Mondiali …

R. – Seguo con grande preoccupazione la situazione in Terra Santa; il Papa l’ha detto anche all’Angelus che la preghiera è importantissima; e che anche la preghiera con i due presidenti israeliano e palestinese e con il Patriarca ecumenico che ha fatto un mese fa, è un segnale e questo segnale deve avere e avrà frutti buoni, anche se attualmente la situazione, purtroppo, è diventata molto preoccupante.

D. – Quindi anche lo sport può aiutare? Per esempio, abbiamo visto tante volte che proprio lo sport è stata l’occasione in cui per la prima volta si sono affrontate squadre di nazioni che erano in guerra, o comunque in conflitto tra loro …

R. – Sì. Sono convinto – convintissimo – del fatto che la politica non sarebbe capace di fare incontrare squadre che politicamente siano totalmente diverse, ma lo sport – il calcio – è in grado di farlo e credo che questa sia una possibilità da rafforzare e una possibilità anche da apprezzare.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Non è mai vana la preghiera per la pace: accorato appello di Papa Francesco affinché sia spezzata la spirale di violenza che sconvolge la Terra Santa.

Basta scartare, fermiamoci in tempo: il Pontefice a un gruppo di economisti.

Il rapporto dell'Istat denuncia un'Italia sempre più povera.

Il predestinato: Marcello Filotei ricorda Lorin Mazel.

Il segreto dell'arte è la comunione: padre Rupnik intervistato dalla "Gregoriana".

Un articolo di Giovanni Preziosi dal titolo "Sono una di quelle bambine ebree": nel 1943 Yvette Haim tra i salvati dalle Suore di Gesù Redentore a Firenze.

Silvia Guidi sugli immigrati in scena al Festival dei Due Mondi di Spoleto e al Teatro Mediterraneo di Mineo e Caltagirone.

Fattore M: Damiano Tommasi e Sandro Mazzola sui mondiali di calcio conclusisi ieri con la vittoria della Germania.

Una storia di carità e misericordia: si chiude il giubileo per il quarto centenario della morte di san Camillo de Lellis.

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Oggi in Primo Piano



Sudan, un religioso: cristiani, cittadini di serie "B"

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La situazione giuridica dei cristiani in Sudan è “davvero preoccupante”. Lo ha affermato il vescovo della diocesi sud-sudanese di Tambura-Yambio, mons. Eduardo Hiiboro Kussala durante una recente visita in Europa. Nel Paese la Costituzione garantisce pari diritti a tutti i sudanesi, ma di fatto i cristiani sono considerati e trattati come cittadini di seconda classe, come confermano testimonianze provenienti da questa nazione africana. Ce ne riferisce Davide Maggiore

I cristiani sudanesi vivono “una contraddizione”, racconta un religioso che chiede di rimanere anonimo per motivi di sicurezza. Se da un lato, infatti, testimoniano apertamente la loro fede frequentando regolarmente le celebrazioni, dall’altra soffrono, nei fatti, di alcune limitazioni dei diritti non potendo avere ad esempio accesso a “impieghi pubblici”. Spesso, inoltre, sono percepiti “come stranieri” dal resto della popolazione e “hanno paura”. Una situazione esemplare è quella di Meriam Yahia Ibrahim, la ragazza cristiana recentemente condannata a morte per apostasia e poi scarcerata. Secondo le ultime informazioni, la donna si trova ancora nell’ambasciata americana di Khartoum, in attesa di documenti che le permettano di lasciare il Paese. Il caso di Meriam, è la speranza del religioso contattato da Radio Vaticana, potrebbe diventare “l’occasione di proteggere i diritti dei cristiani come cittadini sudanesi”. “Critica” è anche – secondo il sacerdote – la situazione delle migliaia di rifugiati sud-sudanesi tornati al Nord a causa della guerra civile che infuria nel loro Paese d’origine. Le condizioni di vita nei campi profughi, spiega infatti, sono diventate ancora più difficili con la stagione delle piogge in corso. 

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Grecia: troika incontra governo, chieste modifiche a legislazione scioperi

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È in programma oggi in Grecia un incontro tra i rappresentanti della troika (Ue, Bce e Fmi) e il ministro del Lavoro ellenico per discutere una serie di riforme che i creditori internazionali hanno chiesto di realizzare al governo di coalizione greco guidato da Antonis Samaras. Tra le questioni sul tavolo vi è la modifica della legislazione in materia di sindacati e dei requisiti per la proclamazione di uno sciopero. Una richiesta che turba gli equilibri della maggioranza composta dai moderati di Nuova-democrazia e i socialisti del Pasok. Ma per un punto sul percorso delle riforme in Grecia a oltre cinque anni dall’inizio della crisi, Marco Guerra ha intervistato Francesco De Palo, direttore della testata on-line ‘Mondo greco’ e autore del libro ‘Greco eroe d’Europa’: 

R. - A fronte di un problema sicuramente serio e pregnante come quello del licenziamento nel pubblico impiego, la troika spinge per una legge che diminuisca il diritto di scioperare. Per l’ennesima volta il governo delle larghe intese insieme con la troika vuole eliminare i diritti, immaginando che togliendo un diritto ci possa essere una freccia in più all’arco del debito greco. Questo è un parametro assolutamente fallimentare; è vero che in Grecia c’erano degli sprechi, è vero che c’era denaro pubblico utilizzato nel modo sbagliato, ma togliere diritti e togliere lavoro ai lavoratori non è assolutamente la risposta corretta per risolvere il problema.

D. – Però, a oltre cinque anni dall’inizio della crisi qualcosa è stato fatto sul fronte delle riforme. A che punto è questa strada?

R. - Il processo riformatore è partito da un’esigenza assolutamente importante: mettere mano alla questione delle riforme economiche che mai era stata affrontata seriamente dai governi greci, ma con il rischio concreto di eliminare soltanto diritti senza aumentare quella che è un po’ la sfera dei doveri. Quindi se le riforme sono state compiute, nel senso delle privatizzazioni, di una riforma del mercato del lavoro, anche di una tassazione, dall’altro il ministro delle Finanze Stournaras, da pochissimi giorni promosso a presidente della Banca centrale di Grecia, ha deciso di tassare quello che era il luogo più significativo della comunità greca, le taverne, cioè i ristoranti. Quindi si è cercato di colpire le piccole e medie imprese, i piccoli risparmiatori, il cosiddetto “popolo delle partite Iva” senza andare a toccare i grossi privilegi, come quelli degli ordini nei confronti dell’estero del mercato delle armi, quelli che la Grecia continua a fare riguardo a prodotti che acquista dall’estero pur avendoli praticamente in casa da sempre, come l’olio e il cotone. Allora, al netto di spread e di interessi e incassi, ecco che dopo cinque anni il problema greco non è assolutamente risolto perché si è scelto di chiudere la maxi falla del debito con altri debiti decennali.

D. - Poi c’è la questione dell’economia reale e della situazione della classe media che sembra deteriorarsi di anno in anno ...

R. - La medaglia greca ha due facce distinte, distanti e assolutamente drammatiche. Da un lato, l’economia che ci viene veicolata dalle agenzie di stampa con il ritorno delle Grecia sui mercati dopo sei anni di paralisi, con le privatizzazioni che sono praticamente delle svendite di Stato, con altri pezzi importanti dello Stato venduti a grossi imprenditori le cui navi non battono bandiera greca, ma per pagare meno tasse, battono bandiera panamense. Dall’altro, c’è la situazione reale dello Stato, con il mercato che si è interrotto, con più di 50 miliardi di euro che non sono più stati spesi nel mercato interno, con la sfera dei diritti ... Pensate che oggi ammalarsi in Grecia è un lusso che non tutti possono permettersi: i malati terminali di cancro hanno dovuto affrontare di tasca propria le costosissime cure chemioterapiche. La Grecia, oggi, si presenta come una sfinge dai due volti: uno rassicurante, quello che ci vogliono far credere i grandi enti internazionali, e l’altro, quello della vita reale con difficoltà oggettive non solo per i disoccupati ma per gli imprenditori che sono i nuovi poveri del terzo millennio.

D. - Nemmeno due mesi fa alle europee c’è stato uno shock fortissimo con la lista Tsipras, primo partito e l’estrema destra di Alba Dorata in terza posizione. Non ci sono state conseguenze da quel volto? Il governo di coalizione continua a reggere? Sul fronte politico qual è la situazione?

R. - Ufficialmente non ci sono state grandi conseguenze, ma ufficiosamente il premier conservatore Samaras, e il vice premier socialista Venizelos, sono assolutamente preoccupati, tanto che due settimane fa hanno dato vita ad un rimpasto di governo. In sostanza i partiti che sostengono il governo delle larghe intese con la troika sono in drammatico calo. Allora, i due partiti di governo per non rischiare di dover soccombere ancora di più nei prossimi appuntamenti elettorali stanno meditando un ricorso ad elezioni anticipate, ma non prima di aver concluso gli ultimi tre report significativi, da qui al prossimo inverno, con la troika. Senza quei denari della troika il Paese non potrà andare avanti, ma con quei denari i greci si indebiteranno ulteriormente. È stato calcolato che pagheranno interessi bancari fino al 2052.

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India: crescono i poveri. P. Rayarala: le promesse di Modi aspettano conferme

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La morte in India di 7 minori nel crollo di un muro di cinta, in una baraccopoli nello Stato di Madhya Pradesh, a causa di forti piogge, richiama le condizioni di vita di estrema povertà in cui versa oltre un terzo della popolazione indiana, specie nelle città dove da qui al 2050 – secondo stime Onu – si riverseranno altre 400 milioni di persone. Vivere nei centri urbani ha infatti costi maggiori: 47 rupie al giorno la soglia minima rispetto a 33 rupie nelle campagne. Roberta Gisotti ha intervistato padre Rayarala Vijaya Kumar, missionario del Pime a Mumbay: 

Sono 100 milioni in più gli indiani indigenti, secondo la commissione di esperti - guidata dall’economista ed ex governatore della Banca centrale Rangaraja - incaricata dal governo di rettificare i parametri sulla povertà, che nelle città sale al 38,2% e nelle aree rurali al 29,5%. Eppure l’India vanta di essere un Paese in forte espansione e con grandi potenzialità economiche, ma a che punto siamo nella lotta alla povertà? Sembra quasi una realtà ineluttabile. Padre Rayarala:

R. – E’ vero: non tutti siamo consapevoli del fatto che l’India è uno dei Paesi che economicamente va avanti, nel mondo. Però, dall’altro canto, quando si entra in India, la prima cosa che colpisce lo straniero è la povertà della gente. Nonostante la sua potenzialità economica, è notevole la differenza tra la povertà e la ricchezza: ci sono due estremi incompatibili. Ci sono grandi palazzi, grattacieli da una parte e lì vicino la gente vive senza cibo, senza acqua … Poi, sotto i ponti, ci sono tante persone che migrano dai villaggi per lavorare nelle città, non hanno casa e respirano polvere e mangiano quello che cucinano sotto ai ponti. Noi andiamo a trovare questa povera gente, magari a distribuire qualcosa … Veramente, nelle grandi città come Mumbai, nella quale arrivano gli immigrati, la povertà è notevole ed è evidente, e poi la ricchezza, quella appartiene a pochi e quei pochi vanno avanti, sfruttando i poveri per aumentare la loro ricchezza.

D. – Quanto è presente il dibattito sulla povertà nel Paese? E mi riferisco in particolare al nuovo governo che si è formato sotto la guida del premier Modi?

R. – Tante promesse, come ogni politico; nei primi giorni della sua responsabilità e del suo incarico ha puntato l’indice contro la corruzione. Poi, dopo due giorni, già non se ne parlava più … Quindi, all’inizio ci è sembrato uno che prendeva grandi decisioni, ma poi, in questi giorni in cui il nuovo governo ha assunto l’incarico, non sappiamo quale strada prenderà l’India. Dunque, è un dilemma per tutti gli indiani, che sono in attesa ma ancora non si è verificato nulla. Però, molta gente ha paura perché, essendo un partito induista fondamentalista, tutti hanno paura che possa creare rivalità tra le religioni, come era una volta, e questo potrebbe portare un danno al Paese. Speriamo di no! Prima delle elezioni tutti avevano paura, ed anche dopo le elezioni, soprattutto le comunità minori, le religioni minori. Quindi, ancora non sappiamo quale strada percorreremo. Secondo me, è presto per farsi un’idea …

D. – Che cosa riesce a fare la Chiesa in questo momento?

R. – La Chiesa in India appoggia sempre i poveri e rilancia sempre le prime parole del Papa, che la "Chiesa è povera e vive per i poveri". Questo ha dato una grande forza a tutti i missionari, per andare a cercare i meno privilegiati della società, i poveri e dare loro una speranza: che Dio vuole loro bene, che Dio ama tutti e in modo particolare quelli che sono scartati dal mondo. E noi, tramite la Chiesa missionaria, vogliamo dare loro questa speranza.

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Il nuovo superiore dei Camilliani: rivitalizzare le nostre opere

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Quattrocento anni fa, il 14 luglio del 1614,  moriva a Roma San Camillo de Lellis, fondatore dell’Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi, che dedicò la sua vita all’assistenza dei malati. Proprio nel giorno in cui si chiude l’Anno giubilare camilliano, assume ufficialmente la guida dell’Ordine, padre Leocir Pessini, brasiliano. “Il nostro progetto adesso è rivitalizzare la vita camilliana, l’amministrazione delle nostre opere, la promozione delle missioni”, ha detto padre Pessini, anche dopo i recenti scandali finanziari. Debora Donnini gli ha chiesto quale il messaggio di San Camillo per il mondo di oggi: 

R. - L’attualità di Camillo è l’attualità evangelica del Buon Samaritano. L’attualità di Camillo è un grido profetico da 400 anni! È di un’attualità incredibile nell’ambito, ad esempio, della cura delle malattie nelle situazioni tecnologicamente più avanzate: abbiamo, ad esempio, la tecnologia più avanzata, ma ambienti freddi, senza anima, senza cuore, senza tenerezza. E Camillo è un grido in questo senso e i Camilliani portano avanti il grido della tenerezza di Dio davanti a tutte queste situazioni esistenziali.

D. - Quali sono i numeri, per darci una fotografia in sintesi del vostro Ordine?

R. - Siamo 1.200 religiosi Camilliani in 40 Paesi. Ma la grande famiglia camilliana laica conta circa 2.500 laici legati all’Ordine. Poi ci sono due grandi Congregazioni femminili: le Ministre degli Infermi e le Figlie di San Camillo; poi l’Istituto secolare Cristo Speranza e il Gruppo Amici di San Camillo. Credo che tutto questo universo della grande famiglia camilliana conti circa 15 mila persone legate al carisma di San Camillo.

D. - Qual è la missione che in questo momento di insediamento sentite che il Signore vi chiama a compiere?

R. - Stiamo iniziando adesso questo compito per essere un po’ il coordinatore tra i confratelli all’interno dell’Ordine, creando fraternità, fiducia, mutuo aiuto; in ambito esterno a livello di responsabilità sociale, bisogna curare tutti questi enti giuridici nell’ambito della sanità che sono molti! Pensiamo solamente al Brasile: abbiamo una rete di 56 ospedali, siamo l’istituzione privata comunitaria numero “uno” nel Paese, con 23 mila collaboratori che dipendono direttamente da noi! Solamente a San Paolo ci prendiamo cura di più di 2 milioni di abitanti, che sono sotto la responsabilità gestionale camilliana.

D. - Nel comunicato dite anche che questo è un momento di purificazione ...

R. - Credo che la grande sorpresa dello Spirito è stata questa: per il IV Centenario (della morte di San Camillo ndr.) ci aspettavamo di fare cose grandiose!  Con questi fatti, siamo stati obbligati ad andare all’interno delle nostre comunità, a rivedere le cose, a rivitalizzarne altre che sono disfunzionali... É un nuovo governo!

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Bambin Gesù: arrivano le “storie favolose” scritte dai bimbi ricoverati

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“C’era una volta un drago buono che sputava fuoco solo ai cattivi…”. Iniziano come le favole classiche ma sono storie originali scritte dai bambini ricoverati nell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù e interpretate da attori professionisti e personaggi dello spettacolo. Ora queste “Storie favolose” sono raccolte in un libro di favole in video, raggiungibile sul sito www.storiefavolose.it. Su questa originale iniziativa, Alessandro Gisotti ha intervistato la dott.ssa Lucia Celesti, responsabile del Servizio di Accoglienza e delle Ludoteche del Bambin Gesù: 

R. – L’iniziativa si inserisce in un ambito più ampio di quella che noi chiamiamo “la terapia dell’accoglienza”: noi ci occupiamo della cura del bambino e non soltanto per l’aspetto proprio prettamente fisico, ma della cura a 360 gradi. In questo l’aspetto ludico, l’aspetto anche narrativo del raccontare le favole è uno degli elementi della terapia. L’idea è quella dell’accoglienza e poi la nostra comunicazione ha avuto questo sfizio di far raccontare le storie scritte dai bambini da attori famosi.

D. – Queste storie per cosa si contraddistinguono? Ce ne è una in particolare che l’ha colpita?

R. – Direi che quello per cui si contraddistinguono è che ogni bimbo ci porta dentro la propria esperienza di malattia, le proprie paure. Quindi sono individualmente originali. Lei sa probabilmente che il valore terapeutico della favola è una cosa che non abbiamo certo inventato noi: è qualcosa di molto antico. Quel che è bello e quel che è originale è che ogni bimbo che giunge in ospedale può esorcizzare le proprie paure personali: chi  è entrato in oncologia; chi ha paura del bianco perché il bianco è il camice e quindi lo trasforma in qualcosa di magico; chi ha paura della cosa rumorosa e invece poi quella diventa un’astronave, come la Tac o la Risonanza… Tante sfaccettature che, però, servono tutte ad elaborare il vissuto di paura e farlo diventare una cosa magica e i bambini piccoli eroi.

D. – Davvero c’è anche qualcosa di meraviglioso per voi – immagino - che vedete questa capacità impressionante, che noi adulti non avremmo, di riuscire ad affrontare la malattia…

R. – E’ veramente eccezionale! I bambini si entusiasmano. E’ diverso se lei dice ad un bambino “devi fare un esame di risonanza magnetica” o se il bambino riesce a viverlo come una storia fantastica, riesce a scriverla, a metterla per iscritto, a raccontarla come l’entrata in un viaggio, in un mondo favoloso, nel mondo di Star Trek: nella sua astronave ne esce vittorioso. E il coinvolgimento non è solo dei bambini, ma anche degli adulti: anche se noi non siamo bambini, però questo lato bambino in molti di noi devo dire – per fortuna, penso – è rimasto.

D. – Quale tipo di possibili sviluppi potrà anche avere?

R. – Io credo che noi continueremo a lavorare con tanti attori, perché devo dire che la felicità è contagiosa, le cose buone sono contagiose, per fortuna! Quindi tanti altri attori si sono aggiunti all’elenco di quelli che lavorano naturalmente gratuitamente per noi. Per certo i bambini non si stancano mai e quindi di conseguenza non ci stanchiamo mai neanche noi!

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Convegno a Cascia: i pellegrinaggi nei Santuari reggono alla crisi

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Il Santuario di Santa Rita da Cascia ha ospitato in questi giorni il terzo Convegno itinerante nazionale “Ci rimettiamo in gioco”, promosso dall’Ufficio tempo libero, turismo e sport della Cei. Un'occasione per riflettere sul ruolo dei pellegrinaggi e sulla tenuta delle visite nei santuari italiani. Paolo Giacosa ha fatto il punto con Roberto Pascucci, incaricato della Conferenza episcopale umbra per l’organizzazione del convegno: 

R. – Questa è la tappa finale di un itinerario che si è svolto in dieci incontri, con molti temi, che ha toccato tutta Italia. Il tema del Convegno è stato: “Andar per Santuari: fuga o ritorno?”. Questo incontro si è svolto a Cascia. Tra tutti gli interventi che si sono svolti, il tema “Fuga o ritorno” si è trasformato in “Fuga e ritorno”: fuga dal mondo moderno e il ritorno al Signore nei santuari, nei luoghi di incontro e di preghiera.

D. - Quali sono gli argomenti principali trattati durante la giornata?

R. – Per quanto riguarda l’aspetto prettamente spirituale, le comunità agostiniane hanno raccontato la loro esperienza, quella dell’accoglienza del pellegrino e ci si è accorti che anche in questo momento di crisi il numero delle presenze nei santuari, specialmente in quello di Cascia, non è calato. Si sente sempre più il bisogno di intervenire. Mons. Boccardo ha definito il santuario un luogo sottile, dove il rapporto tra l’uomo e Dio è molto vicino. Un’altra cosa importante è stata l’esperienza di mons. Tonucci, vescovo prelato di Loreto e delegato pontificio della Santa Casa e di Sant’Antonio da Padova. Il suo intervento era incentrato sull’essenziale: è il santuario che deve dare continuità. Lì abbiamo contatti con persone che forse non ritorneranno nel santuario, ma dobbiamo insegnare loro ad andare verso la continuità, quindi cercare la continuità nelle proprie parrocchie, nei propri luoghi di incontro.

D. - Quale può essere il valore della visita ai santuari per la nostra società, spesso troppo frenetica?

R. - Sicuramente il vivere insieme questa esperienza spirituale. Ci sono due cose che molto spesso nei pellegrinaggi sembrano una il contrario dell’altra, ma che invece si completano: la solitudine e la compagnia. La solitudine in certi momenti di ritrovare se stessi, quindi di camminare da soli, di vedersi con calma, e quindi di guardare dentro di sé. Poi la compagnia come cammino in comune, come aiuto, esperienza e quindi aiutare gli altri ed essere aiutati dagli altri. Il pellegrino quindi chiede di vivere e non di correre.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: ancora morti ad Aleppo

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E' di 10 civili morti il bilancio di nuovi raid aerei dell’aviazione siriana su Aleppo, seconda citta' del Paese controllata in parte dagli insorti. Lo riferiscono testimoni oculari e attivisti interpellati via Skype dall’agenzia Ansa. Le fonti precisano che elicotteri militari hanno sganciato stamani barili-bomba nel quartiere orientale di Sakhur, uccidendo quattro civili. Altri sei civili sono stati uccisi nella notte in bombardamenti a Tel Rifaat a nord di Aleppo e Deir Hafer, a est della metropoli siriana nel nord del Paese.  

Inoltre 7 militanti di Hezbollah e 32 ribelli siriani  sono morti in uno scontro lungo il confine tra Siria e Libano. Lo hanno riferito fonti della sicurezza citate dal sito di 'The Daily Star'. Secondo le fonti, gli scontri, che hanno fatto anche una  cinquantina di feriti, sono cominciati sabato e sono andati avanti  fino alla scorsa notte intorno al villaggio siriano di Nahleh, che si  trova sul confine, a breve distanza dalla località libanese di Arsal.  Gli scontri sarebbero esplosi in seguito a un attacco dei militanti di Hezbollah, alleati del regime siriano, finalizzato a ripulire la  regione del Qalamoun dai ribelli. (R.P.)

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Coree: lanci di missili dal Nord. Tensione al confine

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L’esercito nordcoreano ha ripreso le azioni provocatorie al confine dopo alcuni giorni di tregua, in cui aveva lanciato segnali discordanti di dialogo verso i sudcoreani e i giapponesi, ma anche - riferisce l'agenzia Misna - nuove minacce riguardo le prossime manovre congiunte del Sud con gli Stati Uniti.

Ieri due razzi a media gittata sono stati lanciati verso il Mare del Giappone (Mare orientale, secondo la geografia coreana) e oggi, attorno a mezzogiorno, i lanciarazzi nordcoreani hanno esploso almeno un centinaia di proiettili verso le acque contese al largo della costa orientale della Penisola coreana.

In modo non usuale, l’artiglieria del Nord ha sparato dal suo estremo lembo di territorio a ridosso della linea di armistizio tra i due Paesi, centrando comunque acque che il confine non riconosciuto da Pyongyang attribuisce alla Corea del Nord ma a poche centinaia di metri dalla cittadina sudcoreana di Goseong.

Le forze armate del Sud hanno intensificato di conseguenza la vigilanza in un’area che è già la più militarizzata al mondo. La vulnerabilità della capitale Seul e di altri maggiori centri abitati e installazioni strategiche del Sud non solo al lancio di missili ma anche all’artiglieria a lunga gittata sono causa prima dell’apprensione delle forze armate sudcoreane e dell’alleato statunitense che qui ha 29.000 effettivi e diverse basi. Qualunque reazione a un massiccio attacco missilistico o d’artiglieria, infatti – anche se efficace – non potrebbe comunque evitare gravi conseguenze.

Quella di oggi, portata probabilmente con lanciarazzi multipli di 122 millimetri è la quindicesima esercitazione dall’inizio dell’anno, la quinta in una ventina di giorni. Un centinaio finora anche i missili a corto e medio raggio lanciati dal 21 febbraio.

La portaerei statunitense George Washington e parte della sua squadra si stanno avvicinando alle coste sudcoreane per le previste manovre aeronavali congiunte nelle estreme acque meridionali della Penisola coreana dal 16 al 21 luglio, che precedono manovre trilaterali con il coinvolgimento della marina giapponese il 21 e 22 luglio in acque internazionali.

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Centrafrica: si divide la ribellione dei Seleka

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A una settimana dal Forum di riconciliazione nazionale, in agenda a Brazzaville dal 21 al 23 luglio, è stata formalizzata la scissione in due fazioni dell’ex coalizione ribelle Seleka, che continua a mietere vittime al centro e al nord del Centrafrica.

Lo ha riferito il quotidiano locale Journal de Bangui - ripreso dall'agenzia Misna - dopo lo svolgimento di un’Assemblea generale della ribellione nella città settentrionale di Birao. Riconfermato alla guida di un’ala dissidente della Seleka l’ex Presidente centrafricano Michel Djotodia assieme ai generali Noureddine Adam e Mohamed Moussa Dhaffane, alla vice-presidenza.

Djotodia è stato l’artefice del colpo di stato del marzo 2013, che ha portato alla destituzione dell’allora Presidente François Bozizé. Dopo essersi autoproclamato presidente del Centrafrica, dietro pressioni della comunità internazionale è stato costretto a rassegnare le dimissioni nel gennaio 2014. Rifugiato in Benin, Djotodia è colpito da sanzioni Onu per i crimini contro l’umanità commessi dai suoi uomini.

A Birao, feudo dell’etnia Goula, quella di Djotodia, è stato anche costituito un comitato di una trentina di personalità in rappresentanza delle varie correnti della Seleka.

Di fronte c’è l’altra fazione Seleka diretta dal generale Abdoulaye Hissène, nominato coordinatore politico lo scorso maggio durante un’altra riunione tenuta a Ndélé (nord), la sua regione nativa dell’etnia Ronga. Da allora Hissène è anche diventato consigliere alla presidenza di transizione centrafricana.

Nella capitale del Congo, in teoria rappresentanti dei partiti e movimenti politici assieme ai leader dei due gruppi rivali Seleka e Anti-Balaka dovrebbero firmare una dichiarazione congiunta che sancisca la fine delle violenze armate cominciate nel dicembre 2012. (R.P.)

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Venezuela: appello della Chiesa in favore degli insegnanti

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“La Conferenza episcopale del Venezuela (Cev) esprime pieno sostegno ai dipendenti e ai lavoratori dell'Associazione per la Promozione dell'Educazione Popolare (Apep), che sta vivendo una situazione molto ingiusta e difficile", ha detto mons. Mariano José Parra Sandoval, vescovo di Ciudad Guayana e membro della Commissione per l'educazione della Conferenza episcopale venezuelana. mons. Parra Sandoval ha parlato venerdì scorso, dopo la conclusione dell’Assemblea plenaria dei vescovi.

Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, l'Apep è stata creata 50 anni fa per iniziativa di mons. Emilio Blaslov per mettersi al servizio delle classi popolari nella formazione professionale. L'Apep viene sostenuta con l'aiuto di agenzie internazionali e aziende private. Gli stipendi degli insegnanti erano però pagati dal Ministero dell'istruzione.

Questo sistema di mutua collaborazione ha funzionato senza problemi fino al 2009, quando, senza alcun preavviso, il Ministero ha dimezzato il bilancio approvato dall'Assemblea nazionale. In più, secondo i vescovi della Cev, "questo sussidio insufficiente arriva con molto ritardo. Fino ad oggi gli insegnanti non hanno ricevuto dal Ministero per l'Educazione quanto stanziato dal bilancio per il 2014". Il problema riguarda 400 mila bambini e 2.300 lavoratori (insegnanti e collaboratori) nelle 275 scuole della Apep. (R.P.)

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Giappone: messaggio dei vescovi per la Domenica del Mare

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“Attraverso il mare, siamo tutti una sola famiglia”: si intitola così il messaggio che la Conferenza episcopale giapponese ha diffuso in occasione della Domenica del Mare, celebrata ieri. Nel testo, a firma di mons. Matsuura Goro, presidente della Commissione dei vescovi per i rifugiati, i migranti e gli itineranti, si parte da una constatazione: il 2 aprile, un terremoto ha colpito il Cile. Le conseguenze delle scosse sismiche hanno provocato uno tsunami in Giappone; a sua volta, gli effetti del maremoto si sono ripercossi fino alla costa occidentale americana. Ciò significa, sottolineano i presuli nipponici, che “nel mondo contemporaneo, i nostri pensieri e i nostri punti di vista devono essere globali”.

Non basta, tuttavia, “pensare su scala globale – aggiunge la Conferenza episcopale – perché la prospettiva dell’uomo deve essere basata sulla prospettiva immutabile del Vangelo, ovvero essere universale e guardare verso tutti, non importa dove essi siano”. Poiché, infatti, “Dio ama tutti gli esseri umani – si legge ancora nel messaggio - il punto di vista dell’uomo deve includere tutti: nessuno può essere escluso dall’attenzione degli altri”.

Di qui, l’invito della Chiesa di Tokyo a non dimenticare i marittimi che ogni giorno lasciano il porto e si avventurano nell’oceano. “Se davvero siamo una sola famiglia – scrive mons. Goro – allora dobbiamo tenere sempre a mente gli uomini del mare e pregare per la loro sicurezza”. Non solo: i presuli nipponici esortano i fedeli a manifestare anche concretamente la loro vicinanza, ad esempio facendo visita ai marittimi quando sbarcano sulla terra ferma o facendo donazioni agli organismi che supportano le loro attività.

Infine, il messaggio della Conferenza episcopale giapponese si conclude con una preghiera: “Possa Dio proteggere tutti coloro che lavorano in mare affinché, una volta concluso il loro compito, possano tornare sani e salvi dalle loro famiglie”. (I.P.)

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Istat: poveri 10 milioni di italiani, mai così tanti dal 2005

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Oltre 10 milioni di italiani, il 16,6% della popolazione, vive in condizioni di povertà; di questi 6 milioni, il 9,9%, sono poveri “assoluti”, neanche in grado cioè di acquistare beni e servizi per una vita dignitosa. Lo mostrano i dati forniti dall’Istat nel suo report sulla povertà in Italia: mai questi numeri erano stati così alti dal 2005, anno in cui l’istituto di statistica aveva diffuso la prima stima di questo fenomeno.

La povertà assoluta è in crescita anche tra i minori: ne subiscono le conseguenze quasi 1 milione e mezzo di loro, cioè il 13,8% del totale. Nel 2012 lo stesso dato superava di poco il milione. La stessa tendenza si riscontra tra gli anziani e tra le famiglie, in particolare quelle con tre o più componenti. Più in dettaglio, il 12% dei nuclei familiari italiani è considerato povero. Questi numeri portano la Cgil a parlare di una vera e propria “emergenza sociale” e a chiedere, attraverso il segretario confederale Vera Lamonica, “un piano nazionale” contro la povertà (D.M.)

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Si è spento il grande direttore d'orchestra Lorin Maazel

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E' scomparso ieri all'età di 84 anni uno dei grandi protagonisti della musica classica internazionale: Lorin Maazel. Un uomo che ha vissuto la musica da sempre, a 5 anni suonava il violino, a 11 ascoltò Arturo Toscanini, il quale, rimasto impressionato, lo mise sul podio della N.B.C. Symphony Orchestra; a 12 anni diresse la New York Philharmonic e a 15 anni aveva già diretto le più importanti orchestre sinfoniche americane. Nel 1960, a 30 anni, fu il più giovane direttore d'orchestra a dirigere nel tempio della musica wagneriana, una memorabile rappresentazione del "Lohengrin" a Bayreuth. Maazel, nel suo continuo peregrinare tra l'America e l'Europa, ci ha lasciato una produzione discografica a dir poco poderosa, con più di trecento incisioni discografiche con i cicli completi di: Beethoven, Brahms, Mahler, Sibelius, Rachmaninov e Cajkovskij. Nel 2012 instancabile come sempre, il Maestro accettò l'incarico di dirigere la Munich Philharmonia ma un anno e mezzo dopo rinunciò per motivi di salute. Lorin Maazel, di religione ebraica, è stato anche uomo di pace e da sempre ha seguito e si è fatto ambasciatore del dialogo fra ebrei e palestinesi. (A cura di Stefano Corato)

 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 195

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.