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Sommario del 18/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa telefona a Peres e Abbas: cessare ogni ostilità

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La situazione a Gaza sta precipitando: l’esercito israeliano ha avviato la sua offensiva terrestre. In questo contesto, Papa Francesco, facendo seguito all’accorato appello a continuare a pregare per la pace in Terra Santa di domenica scorsa, ha telefonato personalmente stamani al presidente Shimon Peres e al presidente Mahmoud Abbas. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Il Papa ha condiviso con i due presidenti “le sue gravissime preoccupazioni nell’attuale situazione di conflitto” che - riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana – “coinvolge in modo particolare la Striscia di Gaza e che, in un clima di crescente ostilità, odio e sofferenza per i due popoli, sta seminando numerosissime vittime e dando luogo ad una situazione di grave emergenza umanitaria”. Come aveva fatto durante il suo recente pellegrinaggio in Terra Santa e in occasione dell’invocazione per la pace l’8 giugno scorso, Papa Francesco “ha assicurato la sua incessante preghiera e quella di tutta la Chiesa per la pace in Terra Santa e ha condiviso con i suoi interlocutori, che considera uomini di pace e che vogliono la pace, il bisogno di continuare a pregare e di impegnarsi per far sì che tutte le parti interessate e quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale si impegnino per far cessare ogni ostilità, adoperandosi in favore di una tregua, della pace e della riconciliazione dei cuori”.

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Il Papa scrive ai cristiani di Gaza. Padre Cornioli: grande consolazione

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Il Papa ha inviato un messaggio d’incoraggiamento alla comunità cattolica di Gaza e al suo parroco Jorge Hernandez che, insieme a tutta la popolazione della Striscia, stanno affrontando grandi sofferenze a causa dell’escalation dello scontro militare. Ad informare il Pontefice circa le difficili condizioni dei cristiani di Gaza è stato padre Mario Cornioli, parroco di Beit Jala, in Cisgiordania. Ascoltiamolo al microfono da Marco Guerra: 

R. – Sì: il Santo Padre ha ricevuto le notizie sulla situazione della nostra comunità cristiana e ieri sera ha voluto esserci vicino, scrivendo due righe di incoraggiamento, soprattutto assicurando la sua preghiera a padre Jorge, che vive a Gaza e che sostiene proprio fisicamente la piccolissima comunità cristiana. Quando padre Jorge ha ricevuto lo scritto del Papa è stato felicissimo, l’ha comunicato subito a tutti i parrocchiani. Ha dato coraggio e forza non solo alla comunità latina, che comprende 160 persone, ma a tutti i cristiani: anche agli ortodossi. Quindi, padre Jorge ha comunicato a tutti che il Papa è vicino con la preghiera, l’affetto e che non si è dimenticato di loro. Questo ha dato speranza e coraggio a tutti i cristiani che hanno gioito profondamente. Sapere che il Papa li ricorda e prega per loro è una grande consolazione in questi momenti angoscianti, perché Gaza è sotto i bombardamenti, tutto trema. Tutta la notte Gaza è stata bombardata: questa mattina - ci dicono da Gaza - pare che sia stato usato anche il fosforo bianco … Negli ospedali stanno arrivando tanti feriti, nessuno sa come curarli, non si possono curare … Quindi, la situazione è veramente drammatica. Padre Jorge mi ha detto che stanno anche accogliendo nella scuola della parrocchia – nella scuola del Patriarcato – famiglie che stanno sfollando. Chiediamo al mondo che faccia qualcosa per fermare questo massacro. Soprattutto perché crediamo, come il Papa ci aveva detto, che la preghiera sia l’unica strada possibile per trovare la pace: non ce ne sono altre! Quello che mi dispiace, quello che ci fa pensare, anche, è che dopo la visita del Papa, dopo l’incontro di preghiera in Vaticano, poi è successo quello che è successo: questo vuol dire che ci sono alcuni che hanno avuto paura di questa nuova strada. Allora dobbiamo continuare a pregare, tutti insieme, perché il Signore possa sciogliere i cuori induriti di chi pensa di poter comandare sulle vite degli altri.

D. – Quali sono le notizie che arrivano dalla Striscia di Gaza? Come reagisce la piccola comunità cristiana?

R. – Ho parlato questa mattina con il padre Jorge, che stava prodigandosi per recuperare acqua e cibo per le famiglie che stanno sfollando e che si stanno accogliendo in parrocchia, nelle scuole del Patriarcato. Padre Jorge ha dovuto aprire le nostre scuole proprio per poter accogliere diverse famiglie, perché i bombardamenti sono sempre più pesanti. Chiediamo davvero a tutti, a chiunque possa fare qualcosa, di fermare questo massacro, perché questo ulteriore spargimento di sangue non servirà a nulla: servirà soltanto a creare ulteriore odio e rabbia. Qui, invece, abbiamo bisogno di pace, di perdono, di riconciliazione...

D. – Nei Territori, qual è la reazione a questa situazione?

R. – La situazione, paradossalmente, è più tranquilla: a Betlemme e a Gerusalemme non c’è nulla. Non vediamo nulla. Se noi non avessimo notizie da fuori o contatti diretti con la comunità cristiana, come padre Jorge, la vita continuerebbe normalmente. Tra l’altro, in questo momento, anche tanti amici che sarebbero dovuti venire in pellegrinaggio ci chiamano perché sono impauriti. Io, da qui approfitto per dire: venite, non fermatevi, perché non c’è nessun problema in Israele e Palestina, invitiamo tutti i pellegrini a continuare a venire, perché anche questo è un grande aiuto, soprattutto per la comunità cristiana.

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Aereo abbattuto in Ucraina, 298 morti: il Papa implora la pace

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All’indomani della tragedia aerea che ha visto la morte di 298 passeggeri del Boeing malese precipitato nel sud-est dell'Ucraina, il Papa, costernato dalla notizia, assicura alle vittime e ai familiari la sua preghiera e chiede alle parti in conflitto la pace e il dialogo per evitare ulteriori perdite di vite innocenti. La situazione però tra Russia e Ucraina si complica con accuse reciproche sull’ipotesi più probabile che resta quella dell’abbattimento del velivolo da parte di un missile. Kiev fa appello al Tribunale penale internazionale dell’Aja. Martedì se ne parlerà al Consiglio dei ministri degli Esteri Ue. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Si procede lentamente da stamani nel villaggio di Grabovo nell'area di Donbass tra Russia e Ucraina al recupero dei corpi delle 298 persone, di cui 80 bambini e tre neonati, stritolati nell’ammasso dei rottami del Boeing precipitato. Lutto nazionale in Olanda da cui proveniva la maggior parte dei passeggeri, mentre l’area del disastro è no fly zone per ordine di Kiev in modo che si possano svolgere le indagini correttamente. Via libera agli osservatori dell’Osce, assicurano i ribelli separatisti che governano l’area e che hanno stabilito 4 giorni di tregua. Le scatole nere già in parte recuperate e che Mosca attende per una verifica, diranno quanto è accaduto così come le immagini satellitari, intanto l’ipotesi più probabile resta l’abbattimento da parte di un missile terra aria Buk 21, che però possiedono tutte le parti coinvolte. I filorussi accusano Kiev, mentre il governo Ucraino accusa i russi di aver commesso un "crimine internazionale cui dovrebbero rispondere al tribunale penale dell’Aja". La Germania chiede un’indagine indipendente,  l’Ue spinge per il dialogo, gli Stati Uniti mettono a disposizione le loro forze d’intelligence e ad una voce si chiede alla Russia di collaborare. Il presidente Putin a sua volta risponde che occorre una soluzione urgente alla crisi ma anche che la Russia replicherà in caso di tiri deliberati dell'artiglieria ucraina sul proprio territorio.

Dunque, delle ipotesi quella dell’abbattimento del Boeing con un missile, è ormai la più plausibile, ma la verità potrebbe essere molto lontana per vari motivi, come spiega al microfono di Gabriella Ceraso, Francesco D’Arrigo direttore dell’Istituto italiano studi strategici "N. Macchiavelli" e esperto in security: 

R. - Che l’aeromobile sia stato abbattuto da un’arma non c’è proprio dubbio. L’aeromobile 777 è un tipo di aereo assolutamente sicuro; finora non ci sono stati allarmi preventivi. É chiaro che si è trattato di qualcosa di improvviso.

D. - Per quanto riguarda la matrice; finora solo scambi di accuse reciproche. Sarà così difficile risalire a chi ha lanciato questo missile?

R. - Secondo me sarà - se non impossibile - molto difficile, in quanto tutti – più o meno – hanno le stesse armi essendo un conflitto interno. Tra le altre cose il fronte dei ribelli è molto spaccato. Riusciremo a risalire alla tipologia di arma, ma sarà molto difficile - soprattutto se si tratta di un missile sparato da terra - risalire ai veri autori.

D. - Scatole nere, immagini satellitari possono servire?

R. - Dalle scatole nere si saprà immediatamente se l’aeromobile era integro fino a qualche decimo di secondo prima e se c’è stato un impatto esterno; però anche lì … lo scenario si trova in un territorio interessato da eventi di guerra. E' probabile che ci sarà un'operazione per tentare di manipolare le prove.

D. – Lei, appunto, sa che c’è uno scambio di accuse: Kiev accusa i filorussi per un motivo, i ribelli dicono che è colpa dei governativi che pensavano fosse fosse un velivolo di Putin e per questo lo hanno abbattuto. Ma in questo genere di azioni c’è spazio per un eventuale errore?

R. - C’è spazio per l’errore, perché sicuramente queste armi così sofisticate in questo momento sono in mano sia all’esercito ucraino, sia ai ribelli che hanno gli arsenali precedentemente in dotazione alle forze armate ucraine. Quindi ci sono dei margini di errore assolutamente grandi. Tra le altre cose, non sappiamo, al momento, se vicino all’aeromobile di linea volassero altri aeromobili militari sotto copertura. In zona di guerra questo viene fatto spesso: l’aereo militare si avvicina abbastanza all’aereo di linea senza essere visto in modo tale che la sua immagine radar non compaia ai radar nemici.

D. -  E c’è anche duqnue la possibilità che effettivamente il Boeing fosse stato scambiato per il velivolo di Putin, visto che i colori dell’uno e dell’altro aeromobile sono simili?

R. - A quelle distanze i colori non si vedono, però la cosa grave è che l’aviazione civile mondiale non può essere ostaggio di conflitti di questo tipo e soprattutto di crimini di questo tipo. Un incidente di questo genere mina alle fondamenta della libertà di movimento di tutti.

D. - Per questo la Malaysia Airlines ha parlato di" oltraggio alla decenza umana"?

R. - Sì, è una cosa allucinante! Si possono capire i conflitti, ma se i passeggeri di un volo di linea vengono presi di mira per questioni anche indirette, questo è veramente barbaro. Quindi le autorità internazionali sia politiche sia quelle che gestiscono il trasporto aereo devono assolutamente prendere dei provvedimenti immediati.

D. - L’auspicio dell’Unione Europea è che questa tragedia apra spazi per il dialogo. Lei pensa che possa essere effettivamente così o pensa che sarà la goccia che farà traboccare il vaso?

R. - Secondo me questo dipende dalla leadership europea, statunitense e russa. C’è un esempio precedente: quello dell’aereo della Corean Airlines abbattuto nel 1983. In quel caso, gli Stati Uniti con una forte leadership di Reagan presero dei provvedimenti assolutamente forti insieme all’Europa e, di lì a poco, l’Unione Sovietica cambiò totalmente regime in tal senso. Quindi tutto dipende dal ruolo che la leadership europea soprattutto, e la leadership americana metteranno in campo rispetto a questa crisi perché altrimenti non se ne esce. Questo è il problema vero: un’assenza totale di leadership e un territorio abbandonato senza che ci sia una decisione politica che possa andare bene a tutti.

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Il card. Tauran per la fine del Ramadan: costruiamo assieme ponti di pace

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“Cristiani e musulmani sono fratelli e sorelle dell’unica famiglia umana”. E’ quanto sottolinea il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero per il Dialogo Interreligioso, nel messaggio in occasione dell’‘Id al-Fitr al termine del mese di Ramadan. Il porporato sottolinea che cristiani e musulmani sono chiamati a pregare e agire per la riconciliazione e la pace. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Lavoriamo insieme” per “costruire ponti di pace e promuovere la riconciliazione specialmente nelle aree in cui musulmani e cristiani subiscono insieme l’orrore della guerra”. E’ quanto si legge nel messaggio del card. Tauran per la fine del Ramadan, nel quale il porporato ricorda in particolare l’importanza del “dialogo fruttuoso basato sul reciproco rispetto”. Possa “la nostra amicizia – è l’auspicio del porporato – ispirarci sempre a cooperare nell’affrontare” le numerose sfide dei nostri tempi “con saggezza e prudenza”.

“Ispirati dai nostri valori condivisi e rafforzati dai nostri sentimenti di genuina fraternità – soggiunge – siamo chiamati a lavorare insieme per la giustizia, la pace e il rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona” e in particolare dei “più bisognosi”. In tal modo, sottolinea, “potremo aiutare a ridurre le tensioni e i conflitti, facendo progredire il bene comune”. Così facendo, soggiunge, “dimostreremo pure che le religioni possono essere sorgente di armonia a vantaggio di tutta la società”.

Preghiamo, prosegue il card. Tauran, che “la riconciliazione, la giustizia, la pace e lo sviluppo rimangano le nostre prime priorità, per il benessere ed il bene dell’intera famiglia umana”. Con Papa Francesco, conclude il messaggio, “vi rivolgiamo i nostri cordiali auguri di una gioiosa festa e di una vita di prosperità nella pace”.

Ma ascoltiamo il cardinale Jean-Louis Tauran, al microfono di Olivier Bonnel :

R. – Nous sommes tous des êtres crées ; nous nous reconnaissons comme frères et …
Siamo tutti esseri creati e ci riconosciamo come fratelli e sorelle della grande famiglia umana. Di fronte alle situazioni drammatiche e all’incertezza del futuro, noi riconosciamo i musulmani come fratelli e sorelle, e l’avvenire dipende dalla coesione di questa famiglia umana, dalla collaborazione tra queste due religioni. I cristiani e i musulmani vivono situazioni diverse ma vivono insieme e soffrono insieme. C’è stato quel bel discorso di Papa Giovanni Paolo II a Kadouna [Nigeria], nel 1982, quando disse: “Viviamo sotto lo stesso sole, adoriamo il Dio unico”. Credo che la fratellanza tra musulmani e cristiani sia importante, perché essa è la prova del fatto che non sono le religioni all’origine delle situazioni di incomprensione e di chiusura alle quali assistiamo. La religioni lavorano per la pace, il dialogo, la fratellanza. Il problema sono i loro seguaci. Noi dobbiamo perseverare più che mai sulla via del dialogo e non perdere nessuna occasione per costruire ponti là, dove viviamo.

D. – Quali sono i suoi sentimenti di fronte a quello che sta succedendo in Iraq?

R. – C’est un regard plein d’appréhension. …
Di grande preoccupazione. Non possiamo non scandalizzarci quando vediamo che i diritti fondamentali della persona umana sono calpestati, quando vediamo che l’odio distrugge tutto quello che è stato costruito a prezzo di tanti sacrifici. Tutto ciò è molto triste. Noi ci auguriamo che, rafforzati nelle loro convinzioni grazie al Ramadan, i nostri fratelli musulmani siano capaci di trovare delle strade che consentano loro di unirsi a quanti si impegnano a far prevalere il rispetto e la generosità sull’odio e sulla violenza. Nella fratellanza, è nostro dovere anche pregare per i responsabili delle società affinché nei loro cuori si diffonda la saggezza e l’intelligenza necessarie per risolvere questi problemi.

D. – In che modo cristiani e musulmani possono donarsi una speranza e un conforto comune di fronte a questa grande violenza?

R. – Dans la vie de chaque jour, d’abord: les Chrétiens et les Musulmans vivent …
Intanto, nella vita quotidiana: cristiani e musulmani vivono insieme, lavorano insieme … Il problema nasce quando le ideologie vengono a sconvolgere questa atmosfera. Ecco perché è necessario instillare questi valori a partire dalla famiglia, dalla scuola, dalla chiesa, dalla moschea, questi valori che sono il rispetto della persona umana, il rispetto della vita, il rispetto della proprietà altrui … E poi, per quanto riguarda i responsabili della società, è necessario rispettare le leggi internazionali. Noi abbiamo moltissime Convenzioni che ci consentono di risolvere ogni problema senza ricorrere all’uso delle armi …

D. – Secondo lei, le ideologie stanno guadagnando terreno, oggi, in particolare in Medio Oriente?

R. – Oui. Oui, sans doute. Una radicalisation des positions, qui est très dangereuse, …
Sì, senza dubbio sì. E’ in atto una radicalizzazione delle posizioni che è molto pericolosa. Ci troviamo in una impasse: invece di andare avanti, andiamo indietro. Io credo sempre al potere del diritto internazionale, che troppo spesso è un valore sottovalutato. Se sono stati presi degli impegni, è necessario mantenerli. Credo che noi, in quanto credenti, abbiamo due strumenti magnifici che ci ha donato Dio: l’intelligenza per comprendere e il cuore per amare, per trasformare il mondo. Però, bisogna farlo tutti insieme.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Invocazione di pace: Papa Francesco telefona personalmente ai presidenti israeliano e palestinese condividendo le sue preoccupazioni per il conflitto nella Striscia di Gaza.

Un nodo antropologico fondamentale: in prima pagina, un articolo di Lucetta Scaraffia sul matrimonio omosessuale secondo la rivista  «le débat».

Strategia globale contro il traffico d'organi: nel servizio internazionale, Carlo Petrini su una recente convenzione adottata dal Consiglio d'Europa.

In cultura, la ricetta di Mohammad Yunus, premio Nobel per la pace 2006, su come rivedere alla radice il sistema economico mondiale.

Dal nipote di Gengis Khan per conto del Papa: Giuseppe Buffon sulla storia dei francescani in Cina nel Medioevo.

Le armi e la lezione della storia: in Giappone i cattolici contro la modifica della Costituzione che riammette l’uso della forza in contesti internazionali.

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Oggi in Primo Piano



Gaza: Israele si prepara ad ampliare operazioni di terra

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Le istruzioni del governo sono di “prepararsi per un significativo ampliamento dell'operazione di terra”, così il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu dopo oltre 16 ore di operazione di terra dell’esercito israeliano a Gaza, in cui hanno già perso la vita almeno 27 palestinesi - fra cui un neonato e tre adolescenti -  e un soldato israeliano. Il bilancio totale di questa escalation delle violenze sale così a oltre 260 morti e circa 2000 feriti. Il servizio di Marco Guerra: 

Le Forze Israeliane di Difesa (Idf) si stanno preparando alle indicazioni di un prossimo ampliamento dell'offensiva di terra così come indicato dal capo del governo Benyamin Netanyahu. Le nostre forze – si legge in  una nota diffusa dal quartier generale  - “hanno avviato un'operazione di terra per distruggere i tunnel dei terroristi dato che non è possibile farlo solo con l’aviazione”. E solo la scorsa notte sono stati 143 gli obiettivi sensibili colpiti. I bombardamenti sono continuati anche in mattinata con decine di vittime, fra le quali, secondo Israele, almeno 17 terroristi, mentre secondo fonti mediche palestinesi tre adolescenti sono stati uccisi da un colpo di artiglieria. Un morto si conta anche tra i soldati israeliani, forse colpito da fuoco amico. Al momento l’esercito dello Stato ebraico bordeggia tutto il confine della striscia ma ancora non è penetrato all’interno. Hamas dal canto suo continua a sfidare Israele incrementando il lancio di razzi. Il leader dell'Autorità nazionale palestinese Abbas afferma che l’operazione porterà solo morte. Netanyahu invece addossa le responsabilità della reazione israeliana ad Hamas, rea di aver rifiutato la proposta di mediazione egiziana e di aver violato la tregua.

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Attentato in Tunisia: tre giorni di lutto nazionale

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In Tunisia secondo giorno di lutto nazionale, dopo l’attacco dei terroristi islamici, mercoledì, nella zona del Monte Chaambi, in cui hanno perso la vita 14 militari. La lotta al terrorismo rimane “una delle priorità del governo”, ha ribadito il premier Mehdi Joma. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Roberto Tottoli dell’Università Orientale di Napoli e coautore del libro, pubblicato da Editrice La Scuola, “L’Autunno delle primavere arabe”: 

R. – La comunità tunisina è una società effettivamente molto forte rispetto ad altri Paesi, molto più aperta rispetto al passato, ma vive anche queste contraddizioni. In Tunisia – che è forse il Paese con una stratificazione laica più significativa – queste forze diverse, religiose, salafite ed anche jihadiste cominciano ad emergere e questo recente attentato lascia presagire, in qualche modo, ad una risalita, anche qui e nelle zone dell’Africa subsahariana, della grande crisi jihadista.

D. – Molti gli scenari drammatici aperti in questo momento: in Medio Oriente, Iraq, Siria, Afghanistan, anche la Libia vive una condizione di destabilizzazione e non riesce a pacificarsi. C’è un filo rosso in tutte queste crisi?

R. – C’è il filo rosso dell’opposizione ispirata a principi religiosi, ma in genere questi gruppi non sono tra loro coordinati, al di là di quella grande "etichetta" che è Al Qaeda, ma che non garantisce alcun coordinamento logistico se non un nome comune sotto il quale richiamarsi. L’orizzonte delle forze sul campo sembra molto più frammentato che coordinato. Certo esiste una matrice comune per molte di queste componenti.

D. – Il califfo Abu Bakr al-Baghdadi ha dichiarato, proprio pochi giorni fa, di voler restaurare il Califfato. Si è riferito ad una realtà risalente al tempo degli omayyadi, ovvero, con un’estensione che coprirebbe il Pakistan, il Medio Oriente, tutto il Maghreb sino ad arrivare in Spagna. È davvero un pericolo nell’immediato?

R. – Nell’immediato non credo. Praticamente tutte le componenti dell’islam, a parte pochi isolati, hanno respinto al mittente la pretesa: dai salafiti come Abu Muhammad al-Maqdisi, lo stesso Karadayi - tutte le componenti dell’islam sunnita più o meno moderato - hanno contestato legittimità, fondatezza, requisiti morali... Quindi nell’immediato, più che fare presa sui convertiti jihadisti sparsi singolarmente per il mondo, non credo che possa avere grande ricaduta. Certo, se sopravvivrà nel tempo - così come Al Qaeda è stata un’etichetta che ha coagulato alla lunga una serie di componenti sparse - potrebbe rivelarsi in qualche modo un veicolo in cui altre forze potrebbero appoggiarsi.

D. – Secondo lei le Nazioni Unite in questo momento hanno la forza, percorrendo vie di dialogo e di mediazione, di disinnescare tutte queste crisi in atto?

R. – Mi sembra molto difficile. Anche le vie percorse finora - quelle che hanno cercato sponde politiche in componenti locali - hanno dato scarso esito. Effettivamente, le crisi in molte regioni, da quella siriana o irachena, non lasciano intravedere per ora larghi spazi di intervento; del resto nemmeno i Paesi musulmani della regione sembrano voler contribuire, in qualche modo, a risolvere tale situazione. In questo ambito l’Europa, per posizione geografica, per interessi di vario tipo, dovrebbe impugnare un’azione politica volta alla pace, a partire dalla situazione palestinese e poi rivolgersi alle aree circostanti.

D. – Un’Europa, però, che dovrebbe essere più forte e più consapevole di se stessa...

R. – Sicuramente. Però la via è questa: guardare al Mediterraneo come possibile percorso di sviluppo futuro, di relazioni sociali, economiche e politiche. Quindi, il Mediterraneo dovrebbe essere il baricentro della politica estera e fornire un nuovo modo di vedere l’Europa, non come ora.

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Tagli alla Microsoft: a rischio 18 mila posti di lavoro

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Continua a far discutere il caso Microsoft che, nei giorni scorsi, ha annunciato un  piano licenziamenti per 18mila suoi dipendenti in tutto il mondo, ammettendo che l’attuale apparato dell’azienda è troppo mastodontico per rispondere con velocità alle sfide del mercato. L’Ue sta valutando misure per alleviare le conseguenze sociali di questa scure: il fondo comunitario per la riqualificazione e il reinserimento lavorativo attraverso il Fondo sociale europeo, opzioni a cui non pensano per ora gli Stati Uniti. Ma cosa ha provocato questo terremoto nella più grande multinazionale del software? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Marco Gàmbaro, docente di Economia della Comunicazione alla Statale di Milano: 

R. - Ci sono tre cose. La prima è che da un po’ di tempo il flusso di nuovi prodotti lanciato da Microsoft si è rallentato e i grandi prodotti che hanno fatto il successo dell’azienda sono ormai in una fase di "maturità". Microsoft sta cercando una sua strada: è ancora una azienda profittevole e molto solida, ma certo non è più quell’azienda alla frontiera, come era fino ad una decina di anni fa. Il secondo elemento è la recessione, che ha colpito tutti e quindi anche i consumi di informatica e di servizi software in giro per il mondo e che ha anche rallentato i ricavi di Microsoft naturalmente. Il terzo elemento è la recente acquisizione di Nokia, che è stata costosa, che ha comportato l’assunzione, l’inglobare nel perimetro di Microsoft 30 mila persone e che ha richiesto processi di ristrutturazione che si traducono adesso anche in questa proposta di licenziamenti.

D. – Qui si parla di licenziamenti, ma queste persone - questi 18 mila dipendenti in tutto il mondo - che fine faranno?

R. - Questo è troppo presto per dirlo, anche perché finora è stato soltanto annunciato il piano. Va detto che in molti altri Paesi, la riduzione di personale si fa con i licenziamenti. E’ una tradizione soltanto di alcuni Paesi europei questa attenzione alla ricollocazione. E’ possibile che quei licenziamenti che capiteranno in Paesi europei che hanno ammortizzatori sociali è una tradizione di questo genere, forse seguiranno strade meno drastiche di quello che può accadere negli Stati Uniti o in certi Paesi asiatici.

D. - Il dirigente dell’azienda, Nadella, ha commentato: “Microsoft deve tornare a pensare con la mentalità di uno sfidante”… Questo vuol dire che non ha più quel “monopolio” che aveva fino a qualche tempo fa?

R. - Certo, un po’ non ha più il monopolio perché su molti versanti importanti ha subito la concorrenza di aziende che sono cresciute fino a diventare della stessa dimensione: si pensi solo a Google - per esempio - che le ha sottratto il mercato dei motori di ricerca, e che è cresciuto molto di più di quello che si pensava all’inizio. In questo settore per prosperare occorre un flusso di innovazioni radicali continue: occorre cioè essere in grado ogni qualche anno di inventare prodotti nuovi che sviluppino mercati fino a prima sconosciuti o sottovalutati. Questo Microsoft, effettivamente, non lo sa da un po’ di anni!

D. - Si comincia quindi dal primo inevitabile intervento che è quello sulla forza lavoro, ma l’impressione è che si tratterà di una rivoluzione che coinvolgerà un po’ tutti i livelli dell’organizzazione aziendale: dalle vendite al marketing, dalla ricerca allo sviluppo…

R. - Sì, l’impressione è questa: che sia il punto di partenza per un ripensamento dei processi e delle priorità per individuare dei modi per cercare di non perdere ulteriori treni nello sviluppo delle tecnologie delle informazione e dei mercati digitali.

D. - Lei prima accennava all’acquisizione di Nokia, che è avvenuta un anno fa. E su Nokia i tagli di Microsoft si sono abbattuti proprio con maggiore veemenza: forse continuerà così, in questa direzione? Nel senso che probabilmente sarà più Nokia a subire questo piano di licenziamenti?

R. - Questo non è detto! E’ certo che acquisendo Nokia, Microsoft ha acquisito un’azienda con una presenza molto capillare in molti Paesi del mondo. Io mi aspetto che in molti Paesi, dove le due compagnie sono presenti, si cercherà di sviluppare sinergie e di eliminare le duplicazioni di funzioni. Ma i Paesi dove c’è una forte presenza di strutture delle due aziende sono tra i primi candidati ad avere dei processi di razionalizzazione. Devo dire che purtroppo l’Italia è uno di questi.

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Regno Unito: 80 per cento dei medici generici contro legge suicidio assistito

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In Gran Bretagna è in discussione oggi alla Camera dei Lords la legge sul suicidio assistito che permetterebbe ai medici di somministrare una dose letale di farmaci ai malati terminali, con meno di sei mesi di vita e capaci di intendere e di volere; le condizioni del paziente andrebbero confermate da due medici. I più importanti leader religiosi del Paese si sono espressi in una nota, parlando di “una legge che consentirebbe a individui di partecipare attivamente a mettere fine alla vita di altri, rafforzandone l’idea che non hanno più nessun valore. Questa - hanno scritto - non è la via da seguire per una società che vuole essere compassionevole e premurosa”. Lydia O’Kane ha intervistato Carl Fernandes, medico di famiglia in Inghilterra: 

R. – Penso che la questione non riguardi solo le persone che hanno una fede, ma anche quelle che non hanno una fede. Infatti, una recente ricerca del Royal College General Practitioners (Ordine professionale medico del Regno Unito) afferma che quasi l’80 per cento dei medici generici nel nostro Paese è formalmente contrario ad una modifica della legge che porti a consentire il suicidio assistito. Le associazioni mediche britanniche rimangono formalmente contrarie alla modifica della legge e penso che questo mostri il punto di vista della società, quello dei medici in particolare, nei riguardi delle persone che vivono la difficile e penosa condizione del fine vita: vogliono accompagnarli nella maniera più delicata possibile alla fine della loro vita naturale, non porre fine a questa stessa vita in maniera prematura. Io ho assistito malati cronici a lungo termine e malati terminali. Nemmeno uno di loro mi ha detto: “Dottore, può aiutarmi a mettere fine alla mia vita”? Ma invece mi dicevano: “Può aiutarmi ad avere una cura che posso seguire a casa, dove mi prendo cura di persone che a loro volta si prendono cura di me? Mi aiuti a sopportare i sintomi con antidolorifici adeguati”. Ecco, penso che queste cose siano importanti per le persone e per i pazienti di cui ci occupiamo.

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Vescovi calabresi: la 'ndrangheta è negazione del Vangelo

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"La ‘ndrangheta è la negazione del Vangelo". Così i vescovi della Calabria dopo l’incontro nel Santuario di San Francesco di Paola, a Cosenza. Una riunione convocata dopo la decisione di annullare tutte le processioni in seguito alla sosta dell’immagine della Madonna davanti alla casa di un mafioso nella diocesi di Oppido-Mamertina. Ribadita la lotta senza quartiere alle mafie e la necessità di una prossima nota pastorale. Marina Tomarro ha intervistato, mons. Salvatore Nunnari, presidente della conferenza episcopale calabrese: 

R. – Con la mafia nessuna connivenza, nessun rapporto. Fuori dalla Chiesa, perché fuori dal Vangelo. Quello che adesso dobbiamo comprendere insieme, vescovi e popolo di Dio, è come evitare che ci sia qualche inserimento subdolo - come qualche volta è accaduto - di questi mafiosi nel contesto della pietà religiosa, stare attenti che non siano ancora presenze che, non solo disturbano, ma che provocano seri atteggiamenti come quelli di Oppido.  Abbiamo dato solidarietà al vescovo del popolo di Oppido, però è un fatto che ha segnato un po’ una sosta nella nostra lotta contro la mafia. Ad ogni modo quello che è importante è che da questo incontro è venuta fuori la necessità di una notificazione da preparare, che contenga i punti chiave dove il mafioso deve trovare la porta sbarrata.

D. - Avete anche parlato di quei pochi preti che purtroppo sono stati invischiati in fatti di mafia …

R. – Dobbiamo aiutarli a capire come comportarsi. E la preoccupazione dei vescovi è quella di preparare anche i futuri preti a conoscere la realtà mafiosa e ad assumere un atteggiamento duro quando questi mafiosi si presentano. Queste persone sono scomunicati dal punto di vista morale e non canonico perché, come ha detto il Papa non sono in comunione con la Chiesa; ed è un peccato grave! È uno scandalo per il male che fanno: sono peccatori pubblici che non possono ricevere l’Eucarestia.

D. - Nel vostro incontro ci sono state anche delle linee guida da proporre a coloro che poi subiscono anche degli attacchi da parte delle mafie?

R. - Il nostro proposito è di presentare una notificazione che non è solo rivolta ai preti, è rivolta al popolo di Dio dove indicheremo il modo di comportarsi: la testimonianza del coraggio da parte di tutti. La mafia fa paura. In questo caso non è il coraggio, è la fede; una fede che venga testimoniata anche dalla nostra gente semplice buona e anche dai nostri preti.

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Cassazione su nullità matrimonio. Commento del prof. Dalla Torre

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La nullità delle nozze sancita dai Tribunali ecclesiastici non può essere riconosciuta dallo Stato italiano se la convivenza coniugale è durata almeno tre anni. Lo stabilisce la Cassazione dando ragione ad un uomo che si era opposto alla richiesta della moglie di far valere anche in Italia gli effetti civili della nullità del loro matrimonio dichiarata dal Tribunale ecclesiastico del Triveneto. In sostanza la sentenza dice che la Chiesa può annullare un matrimonio per quanto riguarda l’aspetto religioso, ma per lo Stato rimangono in piedi i diritti e i doveri dei coniugi. Adriana Masotti ha chiesto a Giuseppe Dalla Torre che cosa non va in questa sentenza da lui definita “grave”: 

R. - Io ritengo che la sentenza sia grave per due motivi: perché con questo intervento - che è certamente un intervento unilaterale da parte italiana - si viene a caducare fortemente l’accordo  concordatario sul matrimonio. Allora, è normale che ci possano essere delle diversità di interpretazione dei problemi, ma questi vanno risolti in via diplomatica, negli accordi internazionali, non in via unilaterale da parte dello Stato. Secondo me, poi, è anche grave da un punto di vista molto più generale, perché sostanzialmente nella sentenza la Corte presenta due matrimoni: il matrimonio come atto costitutivo della famiglia e il matrimonio come situazione di fatto. Ora, nel nostro ordinamento, l’ordinamento italiano, la famiglia è una sola, quella nascente dal matrimonio: se il matrimonio c’è, c’è famiglia; se il matrimonio non c’è, famiglia non c’è!

D. - E’ anche vero, però, che nel matrimonio c’è una responsabilità reciproca che ci si assume e che questa sentenza della Cassazione nasce dalla volontà di tutelare il coniuge più debole, anche in caso di nullità…

R. - Questo è vero! Il problema è che qui si raggiunge un obiettivo sacrosanto e giusto attraverso vie tortuose, traverse e - a mio avviso - anche giuridicamente molto criticabili. L’obiettivo vero è quello della necessità di provvedere nei confronti del coniuge, in particolare del coniuge più debole, per quanto riguarda gli aspetti e i profili economici, patrimoniali, di sostentamento. E questo è un obiettivo giusto. Questo obiettivo non è stato, però, fino adesso assicurato per carenza del legislatore italiano. Spettava non al Concordato, ma è materia propriamente statale: c’era una legge del ’29, doveva essere sostituita questa legge del ’29! In secondo luogo la Cassazione, che in questo caso viene sostanzialmente a creare il diritto, avrebbe potuto decidere direttamente sui profili economici senza fare questa strada tortuosa ed ambigua, su cui - appunto - ho molte riserve.

D. - Quindi lei dice che c’è la possibilità di risolvere quest’aspetto - diciamo - dei diritti, quest’aspetto economico…

R. - Basterebbe una legge del Parlamento. Era stato presentato negli anni Ottanta un disegno di legge, che poi non è mai andato avanti… Quindi c’è una inadempienza dello Stato Italiano. Non è possibile che per una inadempienza dello Stato Italiano, poi lo Stato venga in qualche modo ad incidere su un accordo internazionale. E oggi ci troviamo di fronte ad una sentenza delle Sezioni unite - per giunta! -  quindi di una giurisdizione al massimo della sua autorevolezza, che costituisce un ostacolo difficilmente sormontabile.

D. - A questo punto che cosa pensa che succederà?

R. - Certamente succederà che coloro che chiedono la nullità e ottengono la nullità ma non avranno la delibazione, cioè non gli verrà data esecuzione in Italia, chiederanno poi il divorzio.

D. - Per concludere, diciamo che questo problema tecnico si può risolvere ma c’è stato un errore nella modalità in questo caso…

R. - Si è seguito il percorso sbagliato per raggiungere l’obiettivo, assolutamente apprezzabile, che è quello della solidarietà e della sussistenza del coniuge più debole e dei figli.

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Essere differenti: la proposta del 44.mo Giffoni Film Festival

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“Be different”, questo il tema che caratterizzerà la 44.ma edizione del Giffoni Film Festival, in programma da oggi al 27 luglio. La differenza viene declinata come ricchezza e come invito ai giovani per migliorare il mondo. La kermesse ha raggiunto livelli d’eccellenza, come testimoniano i numeri: 3500 ragazzi in giuria da 41 nazioni e 160 città italiane; 163 film in gara nelle sei sezioni suddivise per età; 33.700 follower su Twitter e 103.000 preferenze su Facebook. "Un vivo apprezzamento per il pieno successo della manifestazione" giunge anche dal segretario generale della Presidenza della Repubblica a nome di Giorgio Napolitano che pone l’attenzione "sull’importanza fondamentale dello sviluppo di un’identità personale, sollecitando i giovani a riconoscere le peculiari potenzialità di ciascuno, aiutandosi vicendevolmente nell’esternarle e nell’accrescerle in modo costruttivo". Paolo Giacosa ha intervistato Claudio Gubitosi, direttore Artistico del Festival: 

R. – Giffoni ha tante anime. Sicuramente Giffoni Experience è un’anima che raccoglie intorno a sé milioni di ragazzi da ogni parte del mondo. Il tema è stato scelto dai social, dai ragazzi. Questa è un’idea condivisa ed è molto bello poterlo fare - da settembre in poi - scegliendo tutto, dando l’opportunità ai ragazzi di poter essere protagonisti di questa idea. Ci sono momenti, secondo me, in cui diventa prioritario interrogarsi sul valore della differenza, un po’ come i genitori che chiedono ai figli di guardare al mondo che li circonda anche da altre angolazioni. Giffoni lo fa, come sempre però a suo modo: cercando di non essere mai invadente, perché questa generazione – schiacciata anche da tante problematiche, preoccupazioni e impegni, da un cielo che spesso diventa sempre grigio - ha nelle mani però il proprio futuro e quindi porta la propria esistenza. La differenza può essere vista in tante espressioni: per esempio non omologarsi in modo così eccessivo ai social; nella capacità di uscire fuori dal limbo del gruppo e della solitudine; nelle enormi potenzialità che ogni ragazzo ha dentro e spesso sono inespresse; nella voglia sempre, comunque ed ovunque di sognare. La differenza, quindi, è la forza della nostra evoluzione, e farlo anche attraverso percorsi dolorosi per se stessi, è un percorso giusto perché può cambiare e donare ricchezze e contenuti anche agli altri.

D. – Il Giffoni è un luogo di incontro: i giurati, il pubblico, gli ospiti, senza dimenticare le piattaforme dei social network...

R. – Una delle più grandi opportunità che ha avuto Giffoni è proprio quella di aver utilizzato e di saper utilizzare bene i social. Il nostro gruppo social è cresciuto enormemente e con loro condividiamo giorno per giorno il loro percorso di vita, li accompagniamo da settembre fino a quando arrivano al Giffoni. I social hanno permesso ai ragazzi anche di potersi conoscere: quando arrivano al Giffoni già si conoscono, ma quando scopriamo che attraverso questo percorso siamo i primi al mondo - proprio per l’interattività nei social - ci crea grande soddisfazione ma anche grande responsabilità. Una generazione incredibile di ragazzi dai 14 ai 25 anni – mi riferiscono solo a coloro che vengono dall’estero – culture, razze, religioni, tutti si incontrano al Giffoni senza nessun tipo di problematica. 

D. – Quali sono le novità di questa 44.ma edizione?

R. – Giffoni quando fa un programma cerca di guardarsi intorno. In che modo? Particolari sollecitazioni le possiamo meglio comprendere durante questi 12 giorni dove 200 mila persone, soprattutto le famiglie, avranno l’opportunità di conoscere i loro figli, di comprenderli, di capirli. Quindi, noi parliamo sempre e comunque di famiglie perché questo è il nostro punto di snodo ed è importante l’opportunità che si crea di vedere tanti film, problematici non c’è dubbio. Quest’anno abbiamo visto più di 3.700 film, ma soltanto 163 sono arrivati al Giffoni. Parlano come sempre di amicizia, di amori tormentati, di diversità ed ancora di più negli ultimi due, tre anni delle differenze economiche e sociali. C’è un parterre di 60 talenti italiani, internazionali che, innanzitutto, vengono al Giffoni senza nemmeno un euro e poi perché hanno la voglia di poter parlare ai ragazzi. Quest’anno è un anno molto interessante in quanto celebriamo e ricordiamo i 30 anni della scomparsa di Francois Truffaut, che ci ha lasciato un testamento che pesa ma che è leggero: “Tra tutti i festival del cinema quello di Giffoni è il più necessario”.

D. – Il Giffoni da sempre è legato al territorio. Quest’anno l’attenzione va anche alla Terra dei Fuochi...

R. – Internazionali per scelta e territoriali per vocazione. Guardandoci intorno come potevamo non tener conto e non essere presenti e solidali con tutti i ragazzi e le famiglie di quella che è stata definita la Terra dei Fuochi! Siamo andati lì, nella chiesa di don Patriciello - quella piazza era gremitissima di persone e di famiglie - per dire alle persone e alle famiglie: “Siamo con voi! Venite al Giffoni!”. Questa è l’unica cosa che possiamo fare: allora manderemo pullman e siamo orgogliosi di stare vicino a don Patriciello e di lottare perché il nostro territorio non venga mai più turbato.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: le ultime famiglie cristiane lasciano Mosul

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Le ultime famiglie cristiane ancora presenti a Mosul stanno lasciando la città dirette verso Erbil, Dohuk e altre località del Kurdistan iracheno considerate più sicure. Lo confermano all'agenzia Fides fonti della locale comunità caldea. Il nuovo esodo ha avuto un'accelerazine negli ultimi due giorni, dopo che gli insorti sunniti e i militanti dell'autoproclamato califfato islamico hanno cominciato a segnare con lettere di riconoscimento le case di cristiani e sciiti per poi prenderne possesso.

Secondo quanto riportato dal sito www.Ankawa.com, l'evacuazine degli ultimi cristiani è dovuta anche all'intensificarsi dei bombardamenti operati dalle forze armate governative su molti quartieri della città, soprattutto nelle ore notturne. In molti villaggi della Piana di Ninive, l'emergenza principale è al momento rappresentata dalla sospensione della fornitura di acqua, resa ancor più insostenibile dalle alte temperature.

“I cristiani che vengono costretti dall’Isis a lasciare le loro abitazioni e ad abbandonare la città, il cui numero varia dalle 50 alle 100 famiglie, - afferma il  vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shleimun Warduni le cui parole sono riportate dal sito Baghdahope - nella fuga sono fermati ai check point posti all‘uscita del centro abitato. Qui gli viene sequestrato tutto, soldi, averi e persino le auto dicendo loro: andate, camminate”.

“Non possiamo parlare, per noi è troppo pericoloso”: sono le uniche parole che una fonte cristiana di Mosul, anonima per motivi di sicurezza, riesce a dire all'agenzia Sir prima di mettere giù il telefono. Poche parole che descrivono tutto il terrore che avvolge la minoranza cristiana che ancora vive intorno a Mosul. Un’altra fonte conferma, sempre al Sir, che “a Mosul non ci sarebbero più cristiani”.

Raggiunto dall'agenzia AsiaNews nella sede del Patriarcato caldeo a Baghdad, il patriarca caldeo Sako commenta con tono amaro la chiusura di ogni possibile forma di dialogo con gli islamisti, che ripetono "fra di noi non c'è che la spada". "Ho invitato i vescovi - spiega il patriarca - a invitare la popolazione cristiana a uscire e andarsene". Da ieri mattina quanti erano rimasti hanno iniziato a sgomberare, ora vi sono solo "pochissime persone, solo i più poveri fra i cristiani" che non hanno i mezzi per fuggire. Quanti abbandonano Mosul "trovano accoglienza nei monasteri, nei villaggi". Questa mattina, continua Mar Sako, "macchine munite di altoparlanti andavano a giro per la città, intimando ai cristiani di fuggire".

In questo contesto drammatico di caccia ai cristiani è anche difficile ipotizzare forme di dialogo o trattativa. "Non c'è un'autorità con cui confrontarsi, non c'è nessuno - sottolinea il patriarca caldeo - non sappiamo da dove vengano, cosa vogliono davvero.  Il governo centrale non ha alcun contatto e ora ha iniziato i bombardamenti aerei". Riferendosi agli islamisti, Mar Sako parla di "un muro" con il quale è impossibile instaurare "una qualsiasi forma di dialogo". (R.P.)

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Rapporto sulla pena di morte: 4.103 esecuzioni nel 2013

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Nel 2013, le esecuzioni capitali  sono state almeno 4.106 in 22 Paesi, a fronte delle 3.967 del 2012. Al prima posto della lista: la Cina con almeno 3.000 esecuzioni, Iran con 687 e Iraq con 172 , seguiti dall'Arabia saudita con 78, dalla Somalia con 27, dal Sudan con 21, dalla Corea del Nord con 17, lo Yemen con 13, il Vietnam con 8, il Kuwait con 5, il Sud Sudan con 4, Questi sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo redatto da "Nessuno tocchi Caino" e presentato oggi a Roma.

É necessario, evidenzia il rapporto – ripreso dall’agenzia Adnkronos - considerare il fatto che molti di questi Paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena capitale, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto. I Paesi o i territori che hanno deciso di abolire la pena di morte per legge o in pratica sono oggi 161.

É quindi l'Asia a confermarsi il continente dove si pratica la quasi totalità delle pene capitali nel mondo, considerando che in Cina vi sono state almeno tremila esecuzioni. Mentre le Americhe, secondo il rapporto, sarebbero un continente quasi libero dalla pratica della pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, unico Paese del continente che nel 2013 ha compiuto 39 esecuzioni.

In Africa la pena capitale è stata praticata in 5 Paesi e sono state registrate almeno 57 esecuzioni. In Europa, l'unica eccezione in un continente altrimenti libero completamente dalla pena di morte è rappresentata dalla Bielorussia, anche se nel 2013 per la prima volta dopo molti anni non risultano esecuzioni effettuate, mentre ne sono state effettuate 2 nell'aprile del 2014.

In nome alla lotta al terrorismo, poi, sono state 223 le esecuzioni effettuate in sei Paesi e molte di queste, in particolare in Iran, potrebbero coinvolgere oppositori politici, in particolare appartenenti alle minoranze etniche e religiose. Il rapporto evidenzia inoltre come siano state eseguite esecuzioni anche per motivi politici o di opinione: si sono verificate in Cina (non si conosce il numero perchè coperto dal segreto di stato), Iran (29) e Corea del Nord (17). Alle quali vanno aggiunte quelle effettuate al 12 giugno scorso: in Iran 24 e in Corea del Nord 2. (R.P.)

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Processo Ruby: Berlusconi assolto in appello

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Processo Ruby. Dopo quasi 4 anni, Silvio Berlusconi è stato assolto in appello sia dall’accusa di concussione perché “il fatto non sussiste”, che da quella di prostituzione minorile perché “il fatto non costituisce reato". Entrambi i capi di imputazione in primo grado gli erano costate una condanna a sette anni di reclusione. Lasciando l’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, dove svolge i servizi sociali come stabilito dalla sentenza di condanna del processo Mediaset, l’ex premier ha pronunciato parole di ringraziamento.

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Amecea, card. Njue esorta a conservare la fede dei primi missionari

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Con una solenne celebrazione eucaristica presieduta dal card. John Njue, arcivescovo di Nairobi , si sono aperti a Lilongwe, in Malawi, i lavori della 18ª Assemblea dell’Amecea, l’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa Orientale che riunisce i vescovi di Eritrea, Etiopia, Kenya, Malawi, Sudan, Tanzania, Uganda e Zambia. "La nuova evangelizzazione attraverso una vera conversione e la testimonianza della fede cristiana” è il tema della sessione, alla quale partecipano 150 tra vescovi e delegati pastorali.

La trasmissione della fede e la conversione dei cuori ai valori del Vangelo è stata al centro dell’omelia pronunciata dal card. Njue davanti a una folla di migliaia di fedeli nel “Civo Stadium” di Lilongwe. Il porporato ha esortato i cristiani africani ad mantenere viva la fede seminata dai missionari e trasmessa dai loro antenati che per primi hanno accolto il Vangelo: “Quei missionari – ha ricordato – hanno abbandonato tutto per condividere con noi la nuova vita in Cristo e sono rimasti per assicurarsi che il seme da loro piantato non morisse prematuramente”.

L’arcivescovo di Nairobi ha sollecitato in particolare i genitori a difendere i valori della fede e ad insegnarli ai propri figli. Quindi l’invito alla conversione dei cuori: “Dobbiamo convertirci e purificare i nostri cuori, fare il bene e ciò che è giusto in tutti gli ambiti della nostra vita: nelle nostre famiglie come nei luoghi di lavoro”. Egli ha messo in guardia contro il materialismo e la secolarizzazione dilaganti oggi anche in Africa: “Il peccato è stato vinto dalla Croce, ma - ha ammonito – il diavolo non ha mai accettato la propria sconfitta”.

I lavori dell’Amecea proseguiranno fino al 26 luglio. Essi saranno suddivisi in due parti: la prima sarà una sessione di studio in cui si presenteranno i temi in esame; la seconda, invece, sarà una sessione operativa, durante la quale i vescovi relazioneranno sulle rispettive attività istituzionali e procederanno all’elezione dei responsabili di settore.

Tra i temi in discussione : la nuova evangelizzazione come un'opportunità per un cristianesimo migliore in Africa orientale, con una particolare attenzione alla vita familiare ed alle piccole comunità cristiane; il ruolo delle istituzioni educative nell’evangelizzazione; la nuova evangelizzazione e la liturgia infine, l’opportunità offerta dalle celebrazioni per migliorare la testimonianza. In agenda, inoltre, non mancherà un’analisi del Sinodo straordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 5 al 19 ottobre prossimi. (A cura di Lisa Zengarini)

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India. Bangalore: stupro di gruppo su una novizia di 17 anni

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C'è "profondo dolore e angoscia" nella Chiesa dell'India per lo stupro di gruppo subito da una pre-novizia di 17 anni a Bangalore, aggredita due giorni fa da tre uomini nell'istituto delle Suore della Santa Natività.

A denunciare il fatto all'agenzia AsiaNews è mons. Bernard Moras, arcivescovo di Bangalore, secondo il quale "tale atto disumano e barbaro compiuto su una questa ragazza, negli ambienti di un convento, è da condannare nel modo più fermo possibile. La sua violenza colpisce ciascuno di noi". Trovata in stato di incoscienza, la giovane è ora ricoverata al St. John's Hospital.

L'aggressione è avvenuta poco dopo l'ora di pranzo. La vittima era sola nella sua stanza al piano terra dell'istituto a Hennur, quando qualcuno ha suonato il campanello. Lei è andata ad aprire: tre uomini le hanno spruzzato in faccia una sostanza chimica, lei è svenuta. L'hanno trascinata fuori, l'hanno stuprata e sono fuggiti via, lasciandola in stato di incoscienza. Tutto è avvenuto nel giro di 10 minuti. Ieri la vittima ha sporto denuncia e la polizia ha registrato un caso in base alla sez. 376 del Codice penale indiano ("stupro", da un minimo di sette anni al carcere a vita).

"Questo crimine - spiega ad AsiaNews mons. Moras - è doppiamente crudele: perché colpisce una donna, e perché questa ragazza aveva il desiderio di consacrare la sua vita a Dio. Invece è stata violata nel modo più brutale possibile. La scorsa notte ho pregato a lungo, per questa giovane, per la sua comunità religiosa, per la sua famiglia, per il nostro Stato e per l'India".

"Nelle nostre scuole - sottolinea il presule - insegniamo valori morali alle persone e il rispetto della dignità delle donne. Questo atto è una macchia vergognosa per la dignità delle nostre donne, della società e della nazione. Chiediamo giustizia per tutte le vittime". (R.P.)

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Dhaka: cristiani, musulmani e indù contro attacco alla chiesa di Boldipukur

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Circa 60 persone - tra cattolici, protestanti, musulmani e indù - hanno manifestato ieri al National Press Club di Dhaka contro l'attacco al convento e alla chiesa di Boldipukur, avvenuto il 6 luglio scorso. Organizzata dalla Human Rights for Bangladesh Christians and Minorities (Hrbcm) e dalla Hotline Human Rights Trust (Hhrt), alla protesta erano presenti anche sei suore delle missionarie dell'Immacolata, congregazione femminile associata al Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime).

La polizia - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha arrestato 12 musulmani, ritenuti responsabili del fatto. Nel corso dell'assalto, tre religiose hanno subito un tentativo di violenza. Ora sono nella loro Casa provinciale a Dhaka, scioccate e mentalmente sofferenti. Gli autori dell'incursione hanno rubato oggetti di valore - come computer, laptop, denaro e mobili - per il valore di 1 milione di taka (circa 13mila dollari).

Dopo l'attacco subito le suore affermano di essere preoccupate. Suor Konica Costa, superiora provinciale delle Missionarie dell'Immacolata, spiega ad AsiaNews: "Noi forniamo scuole, Centri sanitari e dispensari a tutti. Il 70% dei fruitori di questi servizi sono musulmani, eppure hanno disonorato le nostre sorelle. Questo è molto triste, ma vogliamo una soluzione pacifica e giustizia. Non vogliamo che un attacco simile si ripeta".

"Le suore - ribadisce Dilip G. Bepari, presidente della Hrbcm - servono persone di ogni religione e sono impegnate per il bene della nazione e della società. Dobbiamo assicurare la loro sicurezza". In tutto il Bangladesh sono presenti 56 missionarie dell'Immacolata. (R.P.)

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Chiesa ortodossa celebra 700° della nascita di san Sergio

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Migliaia di fedeli sono al monastero della Trinità di San Sergio, a 70 chilometri da Mosca, per le celebrazioni in occasione dei 700 anni della nascita di san Sergio di Radonez, riformatore del monachesimo russo medievale e uno dei santi più venerati dall’ortodossia russa. Nel piazzale antistante il famoso monastero, dopo uno spettacolo-commemorativo di canti e preghiere in onore di San Sergio, il patriarca Kirill ha presieduto la celebrazione conclusiva e impartito la benedizione a conclusione di uno dei momenti culminanti di un anno che il patriarcato di Mosca sta dedicando alla commemorazione del santo.

Le celebrazioni - riporta l'agenzia Sir - si sono aperte mercoledì scorso con un pellegrinaggio giunto da Mosca. Liturgie e preghiere si sono svolte incessantemente nel monastero e nella piazza antistante. Ieri il patriarca Kirill ha incontrato le delegazioni di quasi tutte le chiese ortodosse presenti alle celebrazioni. Dopo aver ricordato le doti spirituali del santo monaco, il patriarca ha richiamato i pastori ad “aiutare le persone ad aprirsi alla grazia di Dio, nonostante le difficili circostanze che stiamo vivendo ora”. Oggi il patriarca Kirill terrà una solenne celebrazione conclusiva di questi due giorni. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 199

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.