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Sommario del 19/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Mosul, bruciato episcopio siro-cattolico, cristiani in fuga. La vicinanza del Papa

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Sempre più drammatica la situazione per i cristiani in Iraq. Il palazzo episcopale dei siro-cattolici di Mosul è stato bruciato dagli estremisti islamici dell’Isil. Lo denuncia il patriarca della Chiesa cattolica sira, Ignace Joseph III Younan. Il patriarca ha incontrato stamani in Vaticano l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Papa Francesco sta seguendo con grande preoccupazione e vicinanza la situazione in Iraq, dove la comunità cristiana è a rischio sopravvivenza. A Mosul non ci sono più cristiani dopo quasi duemila anni. Ma ascoltiamo il patriarca Younan al microfono di Sergio Centofanti

R. - Le ultime notizie sono disastrose. Noi con rammarico ripetiamo ciò che abbiamo sempre detto: non si deve mischiare la religione con la politica. Se ci sono inimicizie tra sciiti, sunniti e non so chi altro, questo non deve essere assolutamente una ragione per attaccare innocenti cristiani e altre minoranze a Mosul e altrove. Non è nemmeno una ragione per distruggere luoghi di culto, chiese, vescovadi, parrocchie, nel nome di una cosiddetta organizzazione terrorista che non ascolta la ragione e non bada alla coscienza. Noi con rammarico diciamo che il nostro arcivescovado a Mosul è stato bruciato totalmente: manoscritti, biblioteca… E hanno già minacciato che, se non si convertiranno all’islam, tutti i cristiani saranno ammazzati. E’ terribile! Questa è una vergogna per la comunità internazionale.

D. – Ci sono ancora cristiani a Mosul?

R. – Non ce ne sono più. C’erano una decina di famiglie che sono dovute fuggire ieri ma gli hanno rubato tutto. Li hanno lasciati alla frontiera della città, ma gli hanno rubato tutto, li hanno insultati, li hanno lasciati così, in pieno deserto. Purtroppo è così.

D. – Qual è la situazione adesso di questi sfollati cristiani?

R. – Hanno trovato rifugio in Kurdistan, dove li hanno accolti, ma il primo ministro del Kurdistan ha detto che il Kurdistan non può più ricevere rifugiati perché ci sono anche altre minoranze, gli sciiti, gli yazidi … che sono fuggite in Kurdistan. E’ una cosa terribile.

D. – Come si possono fermare questi integralisti islamici?

R. – Devono sospendere tutti gli aiuti finanziari. Da chi ricevono le armi? Da questi Paesi integralisti del Golfo, con il placet di politici occidentali, perché hanno bisogno del loro petrolio. Purtroppo è così. E’ proprio una vergogna!

D. – Quale appello lanciate?

R. – Chiediamo alla comunità internazionale di essere fedele ai principi dei diritti umani, della libertà religiosa, della libertà della coscienza. Noi siamo in Iraq, in Siria e in Libano: noi cristiani non siamo stati importati, siamo qui da millenni e, quindi, noi abbiamo il diritto di essere trattati come esseri umani e cittadini di questi Paesi. Ci perseguitano nel nome della loro religione e non fanno solamente minacce ma eseguono le loro minacce: bruciano e uccidono.

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Il Papa: diamo con generosità. Mons. Feroci: la carità non va in vacanza

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“Dio ama chi dona con gioia. Impariamo a dare con generosità, distaccati dai beni materiali”. E’ il tweet pubblicato oggi dal Papa sul suo account @Pontifex. Francesco rinnova dunque l’esortazione alla condivisione, specie in un momento di crisi economica come quello attuale. Su queste parole del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore della Caritas di Roma, mons. Enrico Feroci: 

R. – Due cose. La prima: Papa Francesco ci ricorda che fondamentalmente, per noi cristiani, se non siamo coloro che amano non siamo nemmeno presenti nel cuore di Dio, perché Dio è amore. Il che significa che un cristiano, se vuole veramente essere vicino al Signore, dev’essere per forza uno che si mette al servizio e a disposizione degli altri, perché amando, solamente, si è. Il secondo pensiero: credo che Papa Francesco ci ricordi che nei momenti difficili la nostra attenzione non dev’essere messa da parte rispetto ai fratelli che hanno grandi problemi: gente che piange, gente che ha difficoltà, gente che rimane senza lavoro, senza casa, senza cibo cresce ogni giorno: tocchiamo con mano ogni giorno. Ma soprattutto, io credo che oggi le persone abbiano bisogno che si sia attenti agli altri, perché la relazione, l’attenzione all’altro mi sembra che sia fondamentale e determinante, proprio per il nostro essere cristiani: essere attenti al nostro fratello, non passare oltre, aprire gli occhi per vedere quello che è avvenuto del fratello malmenato dai briganti lungo la strada.

D. – Il Papa sembra anche dirci che la carità non va mai in vacanza …

R. – Questo ce l’ha detto, e la Caritas – che è poi la carità del nostro vescovo, quindi di Papa Francesco – lo tiene sempre ben presente. Noi non chiudiamo mai: i nostri centri sono sempre aperti, 365 giorni l’anno. Credo che sia doveroso da parte nostra. Oltretutto, perché le vacanze sono per coloro che possono permetterselo: coloro che non possono permetterselo, che vivono ogni giorno nella difficoltà, hanno il desiderio ma anche il diritto di sentire che noi cristiani siamo vicini a loro. E mi sembra che anche l’esempio che ci dà Papa Francesco, mi sembra che il suo non sia un andare in vacanza: è sempre essere attento e disponibile perché gli altri possono avere bisogno di lui …

D. – In questo momento di crisi, il Papa invita anche a riscoprire l’importanza della condivisione …

R. – La condivisione è “con–dividere”: io dico sempre che la Caritas ha anche un aspetto pedagogico, e se io un pezzo di pane lo spezzo, siamo in due a mangiare. Quindi, questo aspetto di saper spezzare il pane per l’altro credo che sia fondamentale proprio per chi crede, per chi mangia del Corpo di Cristo e diventa pane spezzato per gli altri …

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Il Papa a 20 anni da attentato antiebraico a Buenos Aires: terrorismo è follia

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“Il terrorismo è una follia. Il terrorismo sa soltanto uccidere, non sa costruire, distrugge”: è quanto afferma Papa Francesco in un video-messaggio registrato per il ventesimo anniversario dell’attentato contro la sede dell’Amia (Assiociación Mutual Istraelita Argentina), avvenuto a Buenos Aires il 18 luglio 1994. Quel giorno un furgone carico di tritolo esplose nel parcheggio seminterrato dell'edificio ospitante gli uffici dell'Associazione, causando 85 vittime e oltre 200 feriti. Il video-messaggio è stato registrato, con un telefono cellulare, da Claudio Epelman, direttore del Congresso ebraico latinoamericano, che nei giorni scorsi si è recato in visita dal Pontefice.

“A venti anni dalla tragedia dell’Amia – dice Papa Francesco – desidero esprimere la mia vicinanza alla comunità israelita argentina e tutti i familiari delle vittime, sia esse ebree o cristiane”. Ricordando, quindi le tante “vite stroncate, le speranze distrutte, le rovine” provocate dall’attentato, il Pontefice ribadisce che “Buenos Aires è una città che ha bisogno di piangere, che ancora non ha pianto abbastanza”, perché “siamo molto inclini ad archiviare le cose, a non farci carico delle storie, delle sofferenze, delle cose che potevano essere belle e non lo sono state”.

Per questo, sottolinea Papa Francesco, “ci costa tanto intraprendere la strada della giustizia, per affrontare i danni che tale tragedia ha inflitto nella società”. Di qui, “il desiderio di giustizia” espresso dal Pontefice ed il suo appello: “Si faccia giustizia”. Il messaggio si conclude con la preghiera del Papa in suffragio delle vittime e con la benedizione per le loro famiglie. (A cura di Isabella Piro)

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Il card. Antonelli inviato speciale del Papa al Santuario di S. Gabriele dell’Addolorata

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Papa Francesco ha nominato il card. Ennio Antonelli, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia, Suo Inviato Speciale alla consacrazione del nuovo Santuario di San Gabriele dell’Addolorata (Teramo, Italia), in programma il 21 settembre 2014.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il terrorismo è sempre una follia: il Papa nell'anniversario dell'attentato antiebraico in Argentina.

A piccoli passi ma qualcosa si muove: nell'intervista di Nicola Gori, il cardinale Kurt Koch sul dialogo ecumenico e i rapporti con l'ebraismo.

In prima pagina, un editoriale di Ferdinando Cancelli dal titolo "Il bivio": all'esame del Parlamento britannico l'Assisted Dying Bill.

Il popolo di Gaza stremato dalla guerra.

Silvia Guidi su Leone XIII cacciatore di sillabe: ritrovate le sciarade latine del Papa che morì il 20 luglio 1903.

Adulti distratti davanti al dolore dei piccoli: Giulia Galeotti recensisce "Un paesaggio di ceneri" di Elisabeth Gille.

Il Dio del frammento: l'arcivescovo Bruno Forte su Italo Mancini e la teologia dei doppi pensieri.

Rome e Giulietta tra un "selfie" e l'altro: Giuseppe Fiorentino sul capolavoro shakesperiano al Globe Theatre per la regia di Gigi Proietti.

Antidoto all'odio: Roberto Genovesi su come cambia l'immaginario nelle fiabe contemporanee.

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Oggi in Primo Piano



Gaza, oltre 330 morti. Pax Christi: al fianco di chi soffre

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333 morti è il nuovo bilancio delle vittime palestinesi in 12 giorni di offensiva israeliana. Soltanto nelle ultime 24 ore sono state uccise circa 28 persone, tra loro tre bambini. Oltre 2.200 i feriti. Due i civili morti da parte israeliana, l’ultimo oggi: un beduino colpito da un razzo lanciato da Gaza e caduto in un insediamento nel Neghev. Sarebbero stati oltre 1660, secondo Israele, i razzi sparati finora dai palestinesi. Francesca Sabatinelli: 

E’ sempre più pesante il bilancio dei palestinesi caduti sotto i colpi dei raid israeliani, tre quarti dei quali, denuncia l’Onu, sono civili. Tra i morti, come ormai ogni giorno, anche bambini. Tra le vittime di oggi: quattro persone della stessa famiglia sono morte in un bombardamento a Beit Hanoun, nel nord della Striscia, non distante dalla frontiera con Israele, e tra loro due piccoli. Di poche ore prima l’uccisione di un’altra famiglia di cinque persone, a Khan Yunis, nel sud. La comunità internazionale invoca una tregua e una soluzione diplomatica, ma gli sforzi per il momento sono stati del tutto vani.

Israele ha ordinato lo sgombero agli abitanti di due campi profughi della zona centrale di Gaza, così come già fatto nei giorni scorsi con gli abitanti di località vicine al confine con Israele. Le Brigate Ezzedin al-Qassam hanno dichiarato di aver combattuto  dietro le linee nemiche, con infiltrazioni di loro uomini in territorio israeliano. Un’informazione non confermata ma neanche smentita da Israele, che attraverso il  ministro della Sicurezza interna ha parlato  di scontri sulla barriera di confine con miliziani palestinesi.

Priorità degli israeliani resta la distruzione della rete di tunnel di Hamas. “Stiamo estendendo la fase terrestre dell’operazione” hanno dichiarato le forze armate, fanteria e blindati, quindi, per il momento resteranno alle periferie dei centri urbani, nei pressi della frontiera. Intanto altre cifre si aggiungono a quelle drammatiche dei morti: secondo l’ agenzia Onu per i profughi palestinesi, il numero di sfollati da Gaza rifugiatisi negli edifici dell’Unrwa è salito oggi a 55mila, circa 15mila persone più di ieri.

Alla volta di Israele e della Cisgiordania è partito oggi un gruppo del movimento cattolico Pax Christi, coordinatore nazionale in Italia è don Renato Sacco:

R. - Pax Christi! Con un nome così non si può che essere portatori di pace e la pace va costruita ogni giorno, ancor di più là dove c’è, come in questi giorni, una guerra, “un massacro”, noi diciamo. Allora noi andiamo con lo spirito di condividere la sofferenza delle vittime e di non chiudere gli occhi! Noi abbiamo avuto il richiamo forte del viaggio del Papa qualche mese fa e poi la preghiera la sera di Pentecoste; accanto alla speranza della pace c’è la denuncia della follia di questa violenza, che ci sembra inaudita. Allora, di fronte a questa situazione, non possiamo limitarci a stare a guardare! Ciò che abbiamo fatto altre volte negli anni passati, Sarajevo, Iraq, la stessa Betlemme, lo facciamo adesso: essere là a condividere, dal di dentro, la sofferenza di chi oggi sta vivendo questa follia.

D. - Quindi, don Sacco, c’è sicuramente un legame spirituale con chi sta soffrendo, ma il vostro viaggio ha anche degli aspetti strettamente pratici?

R. - Sì, certo! Io credo che in queste situazioni, per chi è là, sia importante sapere che qualcuno non li ha dimenticati e quindi la presenza, a  nome anche di chi resta a casa, è importantissima. E poi, certo, portiamo anche delle medicine per l’ambulatorio di Betlemme, e incontreremo il direttore della Caritas Gerusalemme, che è Abuna Raed, a lui daremo anche dei soldi per condividere la sofferenza delle famiglie a Gaza. Soldi che ci sono stati dati in questi 2-3 giorni da tante persone, anche dall’Italia, da famiglie, da parenti, da amici, che così hanno voluto dire: noi non possiamo venire, però, oltre alla preghiera, oltre al ricordo e all’affetto, bisogna condividere anche le cose pratiche con chi ha bisogno adesso.

D. - Quindi voi sarete in Israele, sarete in Cisgiordania, però ovviamente non vi spingerete verso Gaza…

R. - Credo di no. Penso sia praticamente impossibile. E poi, voglio chiarirlo anche per chi ci dice “ma, siete matti! Andate a cercare pericoli…”:  noi non vogliamo fare gli eroi o gli avventurieri. Questa nostra presenza non vuole essere una sfida a chissà che cosa, ma un segno di vicinanza. Quindi credo che a Gaza no, però a Betlemme, a Gerusalemme e in altre situazioni dove comunque le persone soffrono. A Gaza faremo arrivare, tramite altre persone, il nostro esserci. Non vuole essere una missione eroica, ma una delegazione di pace laddove sembra che prevalga la violenza, l’uccisione, il massacro, anche di bambini, noi vogliamo dire: “No! Non dobbiamo rassegnarci a questo!”.

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Siria: 270 morti in un attacco jihadista ad un giacimento di gas

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In Siria sono almeno 270 le persone morte ieri in seguito all’attacco al giacimento di gas di Al Shaer, ad Homs, condotto da miliziani jihadisti del cosiddetto Stato Islamico dell’Iraq e della Siria. E’ quanto rende l'Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo precisando che “la maggior parte delle vittime sono state uccise con esecuzioni sommarie dopo essere state fatte prigioniere durante l’occupazione del giacimento”. Intanto, gli integralisti hanno lapidato due donne accusate di adulterio. Il servizio di Marina Calculli: 

Alcuni l’hanno descritta come la più grande operazione antiregime da parte dell’Isis, lo Stato Islamico per l’Iraq e il Levante, da quando la presenza della milizia jihadista si è palesata nel conflitto siriano. 270 vittime, prevalentemente tra soldati pro-Assad, è il bilancio dell’operazione di conquista di un importante pozzo di petrolio a Homs. E’ questa la strategia del gruppo islamista: mettere le mani sui punti strategici del Paese per controllarne anche l’economia e trarre risorse per continuare la propria avanzata. Secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani, dopo la conquista della provincia di Deir al-Zor la settimana scorsa e le recenti conquiste, l’Isis controlla attualmente il 35% della Siria. Dal suo canto il regime continua a bombardare le regioni ribelli. Ieri a Kafr Zita Hama, nel sud, 60 persone sono morte dopo un bombardamento con barili di bombe sganciati dall’alto. E ad Aleppo si sta consumando una tragedia umanitaria di proporzioni gigantesche: da 80 giorni non sono state ancora ripristinate le forniture d’acqua. Intanto ieri l’Onu è riuscito a portare aiuti nella città di Mudamiyya per la prima volta dall’inizio del 2012.

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Ancora stupri in India. Il dolore e lo sdegno della Chiesa

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Violenza senza fine contro le donne in India. Stavolta la vittima di uno stupro è una bambina di 6 anni, violentata - secondo le accuse - dal suo maestro di ginnastica e da una guardia della sua scuola a Bangalore. Profondo dolore e sdegno nella Chiesa indiana per questi atti brutali: tra questi, la violenza carnale subita da una novizia di 17 anni nell’Istituto delle Suore della Santa natività a Bangalore, duramente condannata dall’arcivescovo della città, mons. Bernard Moras. Cecilia Seppia: 

L’India è di nuovo sotto shock per l’ennesimo stupro. Questa volta la vittima è una bambina di sei anni violentata all’interno della Vibgyor High School, un prestigioso istituto privato a Bangalore. I suoi carnefici, due dipendenti della scuola. La polizia sospetta per ora del suo insegnante di ginnastica e di una guardia, sopraggiunta in un secondo momento. Forte la rabbia dei genitori che hanno indetto una protesta e una mobilitazione generale, accusando lo staff scolastico di voler coprire la vicenda per paura di ripercussioni sull’immagine dell'istituto. Sentiamo padre Carlo Torriani, missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere) a Bombay:

"La cosa positiva è che adesso i giornali ne parlano. Prima, era considerato come una bravata e non se ne parlava neanche. Soprattutto, la polizia ne prende nota, perché l’opinione pubblica si è indignata incominciando con le manifestazioni che ci sono state a Nuova Delhi per gli stupri su di un autobus della città; poi, recentemente le due ragazze di Badaun nell'Uttar Pradesh che sono state poi impiccate. Inoltre, qualche giorno fa sul giornale c’era il caso di un capo villaggio che aveva ordinato di violentare una ragazza perché il fratello aveva corteggiato sua moglie; lui ha agito come capo villaggio. Il positivo è appunto questo: la gente adesso si indigna mentre prima veniva considerato una vergogna e non si andava nemmeno dalla polizia per denunciare l’accaduto".

La gente protesta quindi, ma il governo non è riuscito a fermare i crimini nonostante l’introduzione di leggi anti-stupro più dure. I numeri sono infatti drammatici, secondo il National Crime Records Bureau, ogni giorno nel Paese, quasi 100 donne vengono abusate, per un totale di 33.707 abusi nel solo 2013. Intanto forte è lo sdegno e il dolore della Chiesa locale anche per la violenza carnale subita nei giorni scorsi da una novizia di 17 anni nell’Istituto di clausura delle Suore della Santa natività a Bangalore. L’arcivescovo della città mons. Moras ha parlato di “atto barbaro e disumano” poi ha aggiunto: questa violenza colpisce ciascuno di noi. Ancora padre Torriani:

"Qui sembra si tratti di una cosa organizzata, bisognerebbe vedere da chi però è stata organizzata. Sappiamo che le organizzazioni indù stanno ponendo la loro attenzione su Mysore, Bangalore... Quindi, se fosse stato orchestrato da un’organizzazione di estremisti allora sarebbe ancor più negativo. Questi aggressori, hanno suonato il campanello; hanno aperto e hanno fatto questo impunemente... Non so se sia una cosa organizzata da qualcuno che voleva andare contro ai cristiani in generale".

“Nelle nostre scuole - ha aggiunto in una nota mons. Moras - insegniamo valori morali alle persone e il rispetto della dignità delle donne. Questo atto è una macchia vergognosa per la dignità delle nostre donne, della società e della nazione. Chiediamo giustizia per tutte le vittime”.

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Ispettori Osce sul luogo del disastro aereo in Ucraina

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Una delegazione di ispettori dell'Osce è arrivata sul luogo del disastro aereo nell'Est dell'Ucraina, grazie all’accordo raggiunto dal gruppo di contatto che comprende Ucraina, Russia e Osce con i separatisti filorussi, per l'attuazione di una zona di sicurezza di 20 chilometri proprio nel luogo in cui è precipitato l'aereo della Malaysia Airlines due giorni fa. All’Onu si chiede un’indagine internazionale. Delle difficoltà di arrivare alla verità parla, nell’intervista di Fausta Speranza, Aldo Ferrari, docente di storia della Russia e dell’Europa Orientale all’Università Ca’ Foscari di Venezia: 

R. – Francamente sono un po’ perplesso riguardo alla possibilità di avere alla fine una dichiarazione congiunta su quello che è avvenuto. Però, il fatto che si sia voluto stabilire un contatto a riguardo e che almeno si provi ad arrivare ad una definizione condivisa della tragedia dell’aereo caduto mi sembra molto positivo. La tragedia è avvenuta nel pieno di una vera e propria guerra di informazione tra l’Ucraina e la Russia, tra l’Unione Europea e la Russia. Credo che sarà difficile - e noi italiani abbiamo esperienza di queste tragedie, basta pensare ad Ustica - capire chi realmente sia responsabile, se sia stato poi un errore, o un incidente provocato. Il problema è che questa tragedia rischia di peggiorare ulteriormente una situazione già gravissima e che invece dovrebbe essere risolta il prima possibile, con uno sforzo condiviso. La speranza è che proprio questa tragedia possa indurre le diverse parti in campo a fare ciò che finora non hanno fatto: collaborare seriamente verso una soluzione del conflitto accettabile per tutti.

D. – L’Unione Europea annuncia che inasprirà le sanzioni, non solo per gli individui ma anche per le entità che contribuiscono a destabilizzare l’Ucraina; sanzioni contro la Russia. Quindi, l’Unione Europea continua a sostenere che la Russia non fa abbastanza per contribuire alla pacificazione dell’area...

R. – E’ vero che la Russia non fa abbastanza, anzi sostiene i separatisti. È anche vero però che l’Ucraina, avendo a che fare con terroristi, sta usando la forza per riportare sotto il suo controllo alcune aree che comunque hanno serie perplessità riguardo lo status quo in Ucraina. Mi sembra che l’Europa appoggiando così esplicitamente solo una delle due parti in conflitto si limiti da sé le possibilità di giungere ad una mediazione, che sarebbe il suo ruolo. L’Unione Europea è più parte in causa che terzo in questa situazione e per arrivare ad una soluzione condivisa del conflitto mi sembra un errore strategico.

D. – Obama e la Merkel chiedono un’indagine credibile e senza ritardi. È pensabile?

R. - È pensabile ma molto difficile che si arrivi ad una soluzione certa che venga riconosciuta da Kiev e da tutti. Purtroppo, sicuramente, anche questa tragedia diventerà elemento del contrasto di informazione tra le due parti. Sono piuttosto pessimista a riguardo.

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Boko Haram colpisce in Nigeria, il Camerun prega per la pace

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Non si fermano in Nigeria gli attacchi di Boko Haram: la setta fondamentalista islamica, che minaccia anche le aree di confine di Niger e Camerun si è resa protagonista nella notte tra giovedì e venerdì di un nuovo sanguinoso attacco che ha colpito Damboa, città dello stato nord-orientale di Borno. I particolari nel servizio di Davide Maggiore

Case bruciate e in buona parte distrutte, un numero di vittime ancora indefinito ma certamente alto: funzionari locali a Damboa descrivono l’azione di Boko Haram come “il peggiore attacco” mai condotto contro la città. Un’azione cominciata la sera di giovedì, poco prima dell’ora della rottura del digiuno del mese di Ramadan proseguita fino all’alba del giorno dopo: sono stati devastati il mercato principale e diversi edifici pubblici. Chi ha potuto, soprattutto donne e bambini, si è messo in salvo nella boscaglia circostante. Damboa era già stata attaccata all’inizio del mese e da allora – denunciano gli abitanti – era rimasta priva della presenza delle forze dell’ordine, che avevano perso oltre 50 uomini. Alcuni civili sopravvissuti all’ultimo massacro si sono rifugiati nel palazzo del principale leader spirituale islamico dello stato di Borno: a lui hanno domandato di presentare al governo le loro richieste di maggiore protezione contro gli attacchi di Boko Haram, che continuano a riguardare vaste aree della Nigeria. Secondo un rapporto di Human Rights Watch reso pubblico la scora settimana, quest’anno se ne sarebbero già verificati 95, con oltre 2000 civili uccisi.

 

E anche a quanti soffrono per la presenza di Boko Haram è dedicata la giornata di preghiera per la pace in Camerun e in tutte le nazioni in guerra, indetta per oggi da mons. Samuel Kleda, arcivescovo di Douala e presidente della Conferenza episcopale camerunense. Sull’importanza dell’iniziativa Paolo Giacosa ha intervistato don Lorenzo Zaupa, per 13 anni missionario in Camerun: 

R. – Credo la preghiera sia la forza di noi cristiani, forza che ci viene da una fiducia che abbiamo nel Signore e anche nella disponibilità degli uomini a cercare proprio questo cammino di pace, di riconciliazione. Abbiamo fatto esperienza nella nostra chiesa vicentina, durante i 57 giorni in cui i nostri due preti missionari sono stati rapiti: nella nostra diocesi abbiamo trovato la grande forza della preghiera comune. Abbiamo sperimentato anche noi quanta forza e quanta speranza ci dà. I nostri due missionari, don Gianantonio e don Gianpaolo, che erano stati rapiti ci hanno confessato che in mezzo alla difficoltà e alla paura, in quella piccola foresta dove erano stati rinchiusi, hanno sentito una forza interiore grande.

D. – Lei ha vissuto per 13 anni in Camerun. Qual è il significato di questa iniziativa per la situazione specifica del Paese?

R. – Credo che sia un gesto coraggioso dell’arcivescovo di Douala, mons. Samuel Kleda, perché il Camerun è un Paese che vive a due velocità. Il centro-sud del Paese, che è la maggioranza, sia dal punto di vista geografico che sociale, vive una situazione politica e sociale di calma, di tranquillità, ed è abbastanza sviluppato. L’estremo nord del Paese, invece, vive costantemente una situazione di insicurezza dovuta proprio alla vicinanza con i Paesi confinanti nei quali ci sono disordini sociali e politici. I tre Paesi a cui mi riferisco sono la Nigeria, in particolare, ma anche la Repubblica del Ciad e la Repubblica del Centrafrica. La scelta dell’arcivescovo di coinvolgere tutti i Paesi in questa giornata di preghiera è una scelta coraggiosa e importante per far capire che il nord del Paese è una parte fondamentale. Lui viene proprio dal nord del Paese.

D. – Continuano gli scontri al confine con la Nigeria. Possono essere una preoccupazione per il dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani?

R. - Possono diventare difficoltà nel dialogo interreligioso, ma questa situazione non è di carattere religioso. Certamente ci si copre con un’ideologia islamica, è il caso del gruppo Boko Haram. In realtà, credo che questo copra tutto un altro interesse, che è quello politico ed economico. La regione dell’estremo nord del Camerun, come anche quella del nord della Nigeria e del nord del Ciad, sono regioni che, dal punto di vista economico e sociale, vivono un forte ritardo nei confronti del sud dei rispettivi Paesi. Le risorse, che a volte sono non indifferenti, legate al petrolio ma non solo, non vengono investite per la promozione sociale, scolastica, sanitaria, di questi Paesi.

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22.mo strage via D’Amelio. Don Stabile: la memoria non sia rituale

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“Alla speranza di una generale evoluzione nei comportamenti individuali e collettivi che conduca alla sconfitta della mafia deve accompagnarsi l’auspicio che i processi ancora in corso possano fare piena luce su quei tragici eventi”. Così scrive il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato al figlio di Paolo Borsellino, Manfredi, nel 22.mo anniversario della strage di via D’Amelio in cui, insieme al magistrato, persero la vita cinque agenti di scorta. Una commemorazione senza “le persone che hanno perso il diritto di ricordare Paolo”, ha spiegato la sorella del giudice assassinato, Rita Borsellino, che, insieme al fratello Salvatore, chiede verità sulla strage. Il servizio di Alessandra Zaffiro: 

“Non vogliamo una sfilata di avvoltoi e personaggi politici che non hanno il diritto di parlare di Paolo e di quella strage, o di portare corone di fiori in via D’Amelio” – aveva chiarito subito alla presentazione delle iniziative, il fratello del magistrato, Salvatore Borsellino, cui oggi fa eco la sorella Rita, secondo la quale la verità sull’eccidio “è stata occultata per costruirne un’altra”. “Sulla strage c’è stata una congiura del silenzio durata vent’anni – ha dichiarato il fratello del magistrato ucciso -  Nella ricerca della verità ci sono stati dei passi avanti, nonostante sia mancato quel necessario appoggio da parte delle istituzioni che era invece meritato. Sono convinto che la strage di via D’Amelio sia stata una strage di mafia dove sono intervenuti pezzi deviati dello Stato”. Anche quest’anno in via D’Amelio sono stati gli studenti, con i loro ideali e i loro striscioni colorati, a ricordare Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Emanuela Loi, Walter Cosina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Nel pomeriggio gli interventi dei familiari delle vittime delle stragi e alle 16.58, ora dell’attentato, un minuto di silenzio. “Dal processo Borsellino quater – sostiene ancora il fratello del magistrato - mi aspetto di sapere la verità  sui depistaggi avallati anche dalla magistratura, ma il nucleo della verità  sui mandanti lo attendo dal processo sulla trattativa Stato - mafia, causa della accelerazione della messa in atto della strage”. Nel capoluogo siciliano il capo della polizia, Alessandro Pansa, ha ricordato gli agenti che hanno perso la vita con il giudice Borsellino, deponendo un corona di fiori presso il Reparto Scorte della Questura.

 

Sul significato di questa giornata, si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco il parroco della chiesa di San Giovanni Bosco a Bagheria, don Francesco Michele Stabile: 

R. – E’ una memoria forte, quella che noi facciamo per Borsellino e per tutti quelli che hanno dato la vita. C’è un senso profondo che noi cogliamo: si può dare la vita. E quindi io credo che sia un messaggio cristiano che però ha un valore civile, perché viene capito da tutti. Dobbiamo consegnare alle nuove generazioni questo nostro impegno, un impegno del presente. Non è rituale, ricordare questi morti …

D. – Questi morti, questi testimoni continuano a dare, ancora oggi, un messaggio di vita contrario, invece, al messaggio di morte dato da alcuni vivi, dai mafiosi. Contro questa logica del male, della mafia, si è scagliato il Santo Padre. Le parole del Papa aiutano ad avere maggiore fermezza, nella società, tra i sacerdoti, il clero…

R. – Non c’è dubbio. Ma bisogna passare dalla condanna della morte ad una costruzione di vita. Io credo che le parole del Papa debbano essere costruttive nel senso di una pastorale che deve concretizzarsi. Finora, noi abbiamo detto che la mafia, la ‘ndrangheta sono anti-evangeliche. E va benissimo. Ora dobbiamo dire: ma dove dobbiamo noi impegnarci come Chiesa? Il fatto che è accaduto, delle devozioni popolari o di queste tradizioni – processioni, congregazioni – è impegnativo. E impegnativo per i vescovi, per il clero, per i preti ma non tutti i preti prendono coscienza. Quindi, ci sono problemi che ora, dal punto di vista pastorale, devono tradurre questo impegno del Papa, questa condanna, in cose concrete: bisogna applicarla alle nostre situazioni, per creare una coscienza diversa nel nostro popolo cristiano. Non sono cose estranee: noi abbiamo bisogno di un cristianesimo di fede, non di un cristianesimo formale, di tradizioni. Credo che in questo dobbiamo mediare tra la tradizione e l’impegno della fede. In questo senso è vita la memoria che noi portiamo avanti di queste persone che sono morte …

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 16.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù espone la parabola del grano e della zizzania che crescono insieme in un campo. I servi chiedono al padrone del campo di togliere la zizzania, seminata da un nemico. Ma egli risponde:

“No … perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 

In questa pagina di Matteo possiamo oggi cogliere lo sguardo di Dio sul mondo. Dio ha creato tutto per il bene e per la vita: “ha seminato del buon seme nel suo campo”. Ma c’è un “nemico” di quest’opera di Dio, un nemico subdolo, geloso, che non avendo perseverato lui nella fedeltà, fa di tutto perché anche l’uomo non resti nell’obbedienza al suo Signore, e perda il premio della felicità eterna. Il demonio – questo “nemico” mortale dell’uomo –, ai figli del Regno di Dio, contrappone i figli del Maligno, la zizzania, il suo regno. Ed è una battaglia in campo aperto. Ma dato che in gioco c’è l’uomo, la libertà del cuore dell’uomo, Dio non si arrende, perché ama la sua creatura fino a dare la sua vita per lei. Non ha fretta, sa attendere con pazienza, sperando sino alla fine di riuscire a farla innamorare di sé, a farla ritornare a sé, alla pienezza dell’amore. Ma questo non è un “gioco stupido” o banale: il demonio non è una favola per amanti dell’orrido, la “fornace ardente” dell’inferno non è un’invenzione della Chiesa per far paura ai deboli: in gioco c’è la libertà dell’uomo – vero dono celeste con cui Dio "ha creato la possibilità di dire ‘sì’ o ‘no”’ (Ratzinger). L’uomo può perdersi davvero, può condannare davvero la sua vita là “dove sarà pianto e stridore di denti”. Ma c’è il tempo di una vita in cui lasciare che il buon seme e la zizzania crescano fino alla mietitura. La pazienza di Dio attende, con un cuore di innamorato, la conversione a Dio dell’uomo, per riporlo nel granaio della felicità eterna.

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Nella Chiesa e nel mondo



Migranti: nuova tragedia al largo di Lampedusa, 19 morti

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Un barcone con circa seicento migranti è stato intercettato a sud di Lampedusa. A bordo sono state trovate 18 persone morte nella stiva, probabilmente soffocate dalle esalazioni del motore del natante. Un altro migrante è deceduto durante le operazioni di soccorso e due profughi, gravissimi, sono stati portati in ospedale a Palermo. I migranti sono stati soccorsi dai marinai di un mercantile dirottato nella zona. Altri 40 dispersi in un naufragio sono stati segnalati da una sessantina di persone soccorse al largo della Libia da un mercantile che le sta ora trasferendo a Porto Empedocle (Agrigento). E' attraccata intanto al porto di Salerno la nave Etna della Marina Militare italiana che trasporta 2.186 migranti. (G.A.)

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Attentati di al Shabaab in Kenya e Somalia

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E' stato rivendicato dal gruppo islamista somalo di al Shabaab l'attacco armato contro un autobus avvenuto ieri sera nella zona costiera nei pressi di Witu, in Kenya. Almeno 7 le vittime, tra cui 4 poliziotti, secondo la Croce Rossa locale. In una telefonata gli estremisti si sono detti pronti "ad agire per attaccare ovunque necessario all'interno del Kenya". Violenze anche in Somalia: 6 persone, tra cui un bambino, sono rimaste uccise nel porto meridionale di Kismayo, in un attacco provocato da un kamikaze che si è fatto saltare in aria all'interno dell'abitazione di un leader anti-Shabaab. "L'esplosione è avvenuta poco dopo il mio rientro in casa. Le mie guardie del corpo hanno notato un uomo e, quando gli hanno chiesto cosa stesse facendo lì, si è fatto esplodere", ha dichiarato alla stampa Iftin Hassan Basto. (G.A.)

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Nucleare iraniano: prolungati negoziati fino a novembre

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L’Iran ed il gruppo '5+1', cioè Russia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Cina più la Germania, hanno esteso i negoziati sul programma nucleare iraniano fino al 24 novembre. Lo hanno annunciato da Vienna l'Alto rappresentante per la  politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, ed il ministro degli Esteri di Teheran, Mohammad Javad Zarif. Il termine iniziale, stabilito l'anno scorso quando erano stati avviati i colloqui, era stato fissato per domani.

"Anche se abbiamo fatto progressi concreti su alcune delle questioni e lavorato insieme su un testo per un piano comune di azione globale, ci sono ancora significative lacune su alcune questioni fondamentali, che richiederanno più tempo e sforzi", si legge nel comunicato congiunto. Gli Stati Uniti, ha fatto sapere il segretario di Stato americano John Kerry, "continueranno ad applicare con vigore le sanzioni che rimangono in atto" contro l’Iran, ma "sbloccheranno 2,8 miliardi dollari di beni iraniani congelati e in cambio Teheran convertirà una parte del proprio uranio arricchito al 20% in carburante". (G.A.)

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Vescovi australiani: aborigeni, custodi della terra

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È incentrato sul tema della salvaguardia del Creato il messaggio della Conferenza episcopale australiana per la ‘Domenica degli aborigeni’, celebrata recentemente. Nel documento, i presuli notano come i nativi vedano nella terra “qualcosa di vivo, con delle potenzialità” e qualcosa di “sacro”. In Australia, continuano i vescovi, “gli aborigeni possono offrire un contributo speciale all’ampia comunità nazionale, sfidandola ad affrontare i danni perpetrati alla bellezza della Creazione di Dio” e aiutandola a “capire come prendersi cura del Paese, proteggendo la terra, il mare, i fiumi, le foreste e tutti i suoi abitanti”.

“Da tempo immemorabile – continua il messaggio della Chiesa di Sydney – gli indigeni australiani si ritengono custodi della terra ed esercitano questa responsabilità per numerose generazioni”. Tale atteggiamento può fungere da insegnamento per comprendere il legame tra l’uomo e la terra, spiegano ancora i presuli, “per riconoscere l’invito di Dio ad agire con rispetto ed amore nei confronti delle Sue creature” e “per riscoprire il senso della presenza di Dio” nella vita quotidiana.

“La testimonianza degli indigeni australiani – scrivono poi i vescovi – può insegnare a tutti i membri della comunità cristiana a vedere che, quando siamo riuniti per l’Eucaristia e portiamo all’altare i doni del pane e del vino, offriamo a Dio la terra e tutte le sue creature”. Il messaggio dei presuli australiani si conclude, quindi, con la citazione del Cantico delle Creature, attribuito a San Francesco d’Assisi: sulle sue orme, la Chiesa di Sydney invita i fedeli a “ricostruire i giusti rapporti tra Dio, l’umanità e l’intero Creato”. (I.P.)

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Il Papa e le vocazioni: la Lev pubblica ‘Mi fido di te!’

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Rendere visibile e condividere la gioia della vocazione. È stato questo lo scopo della Giornata dei seminaristi, novizi, novizie e di quanti sono in cammino vocazionale, che si è svolta a Roma nel luglio del 2013, nel quadro delle iniziative dell’Anno della fede. Da quell’esperienza è maturata una pubblicazione della Libreria Editrice Vaticana (Lev), curata dal Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione: “Mi fido di te!”.

Il testo riunisce diversi interventi, a cominciare dal discorso di Papa Francesco all’incontro in Aula Paolo VI con i circa seimila partecipanti all’evento, provenienti da 66 Paesi: nell’occasione, il Pontefice parlò tra l’altro della “cultura del provvisorio”, della “vera gioia” che “nasce dall’incontro, dalla relazione con gli altri”, della “paternità e maternità pastorale”, perché “quando un prete non è padre della sua comunità, quando una suora non è madre di tutti quelli con i quali lavora, diventa triste”. Nell’omelia alla Messa celebrata per l’evento nella Basilica di San Pietro, il Santo Padre si soffermò poi su tre punti: “la gioia della consolazione”, la croce di Cristo come “punto di riferimento della missione”, la preghiera.

“La loro presenza nell’Anno della fede, davanti alla tomba di San Pietro – scrive monsignor Rino Fisichella, presidente del dicastero, nella presentazione del volume – è stata anzitutto una testimonianza. Le loro voci, il loro sorriso, i canti e le preghiere hanno detto alla città di Roma e al mondo che scegliere di consacrarsi a Cristo nel servizio della Chiesa è bello e merita di essere vissuto. I cristiani sono sempre chiamati a dare ragione della fede, ma quanti si consacrano a Cristo hanno una responsabilità maggiore. Spesso si sentono rivolgere la domanda sul perché della loro vocazione. Ognuno porta le motivazioni che stanno alla base della scelta compiuta. Una scelta di libertà per aver incontrato Cristo che, nel corso dei secoli, chiama sempre e senza stancarsi nuovi discepoli. Una vita alla sequela che apre orizzonti mai sperati, andando oltre le proprie aspettative. È con questi sentimenti di speranza che abbiamo accolto le migliaia di giovani, giunti a Roma accompagnati dai loro formatori”.

Il volume riporta anche diverse testimonianze, tra le quali una meditazione del cardinale Angelo Comastri, una lectio divina tenuta dal cardinale Mauro Piacenza, una conferenza dell’arcivescovo Fisichella sul tema “Nuovi evangelizzatori per una nuova evangelizzazione”. (G.A.)

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Africa. I gesuiti preparano libro di teologia sull’Aids

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La pubblicazione di un libro di teologia dedicato all’Aids in Africa. E’ il nuovo progetto al quale sta lavorando l’Ajan, il network dei gesuiti africani contro l’Aids. L’uscita del volume, intitolato “Le attuali prospettive cristiane sul virus dell’Hiv e l’Aids in Africa: una riflessione teologica, le crisi della salute pubblica e la trasformazione sociale”, è prevista nel 2015.

Dall’inizio della pandemia, più di 30 anni fa, molti teologi cristiani hanno condiviso le loro riflessioni sull’argomento e numerosi documenti sono stati pubblicati dai vescovi cattolici africani per guidare i fedeli, ma è sinora mancata un’analisi teologica esaustiva in una prospettiva africana. Un vuoto che il nuovo volume si propone di colmare, avvalendosi dei contributi di esperti in vari rami della teologia. Ogni contributo partirà dall’assunto che l’Aids non è solo un problema sanitario, ma si inserisce nel contesto di uno sviluppo umano integrale e di giustizia sociale che richiede una risposta globale. In questa prospettiva, i contributi saranno quindi interdisciplinari ed elaborati sulla base delle informazioni contestualizzate fornite dalla scienza, dalle ricerche sulla pace, da studi giuridici e sui diritti dell’uomo, dalla biomedicina e dalla filosofia. Il tutto senza perdere di vista il tema centrale della teologia. L’opera è rivolta principalmente alle autorità sanitarie, al mondo accademico, a giuristi, teologi e leader cristiani e di organizzazioni impegnati nella lotta contro l’Aids ai quali vuole offrire una metodologia e degli strumenti che potranno essere utili per future riflessioni teologiche su altre nuove pandemie ed epidemie.

Fondata nel 2002 dalla Conferenza dei Superiori di Africa e Madagascar della Compagnia di Gesù per coordinare gli sforzi dei gesuiti impegnati nella lotta contro l’Aids, l’Ajan è oggi attiva in una trentina di Paesi africani dove sostiene oltre 150 progetti. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 200

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.