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Sommario del 20/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all'Angelus: la violenza si vince con la pace

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Una preghiera per la pace ed un appello per le comunità cristiane di Mosul, in Iraq, perché perseguitate, sofferenti e costrette ad abbandonare le loro case. Ma anche il pensiero rivolto alle tensioni nel resto del Medio Oriente e in Ucraina. Così Papa Francesco, subito dopo l’Angelus in Piazza San Pietro. La riflessione del Pontefice si è soffermata anche sulla parabola evangelica del ‘buon grano e della zizzania’. Il servizio di Giada Aquilino

Papa Francesco prega e leva ancora una volta un appello per la pace, perché - dice - ha appreso “con preoccupazione” le notizie che giungono dalle comunità cristiane a Mossul, in Iraq, e in altre parti del Medio Oriente. Lì - ricorda - questi fratelli, “sin dall’inizio del cristianesimo, hanno vissuto con i loro concittadini offrendo un significativo contributo al bene della società”:

“Oggi sono perseguitati. I nostri fratelli sono perseguitati, sono cacciati via, devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente! Assicuro a queste famiglie e a queste persone la mia vicinanza e la mia costante preghiera. Carissimi fratelli e sorelle tanto perseguitati, io so quanto soffrite, io so che siete spogliati di tutto. Sono con voi nella fede in Colui che ha vinto il male”.

Il pensiero del Pontefice va anche ad altre “situazioni di tensione e di conflitto”, che persistono specialmente nel resto del Medio Oriente e in Ucraina:

“Il Dio della pace susciti in tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace”.

La riflessione del Pontefice all’Angelus si sofferma sulla parabola del ‘buon grano e della zizzania’. La scena - ricorda - si svolge in un campo in cui il padrone semina del grano, ma il nemico lì semina anche la zizzania; eppure il padrone impedisce ai suoi servitori di estirpare l’erba, per evitare che con essa venga sradicato pure il grano. La parabola, spiega il Santo Padre, “affronta il problema del male nel mondo e mette in risalto la pazienza di Dio”: zizzania in ebraico deriva dalla stessa radice di Satana e richiama divisione. Il demonio, ricorda il Papa, “sempre cerca di dividere le persone, le famiglie, le Nazioni e i popoli”. È un nemico “astuto”, che semina “il male in mezzo al bene” in modo che risulti “impossibile a noi uomini separarli nettamente”. Ma - assicura il Pontefice - “alla fine Dio potrà farlo. Lui si prende il tempo” necessario, contrariamente a noi che - prosegue - “a volte abbiamo una gran fretta di giudicare, classificare, mettere di qua i buoni, di là i cattivi”:

“Dio invece sa aspettare. Egli guarda nel ‘campo’ della vita di ogni persona con pazienza e misericordia: vede molto meglio di noi la sporcizia e il male, ma vede anche i germi del bene e attende con fiducia che maturino. Dio è paziente, sa aspettare. Che bello è questo: il nostro Dio è un padre paziente, che sempre ci aspetta e ci aspetta con il cuore in mano per accoglierci, per perdonarci! Sempre ci perdona, se andiamo da lui”.

Dunque l’atteggiamento del padrone nella parabola “è quello della speranza fondata sulla certezza che il male non ha né la prima né l’ultima parola”:

“Grazie a questa paziente speranza di Dio la stessa zizzania, cioè il cuore cattivo, con tanti peccati, alla fine, può diventare buon grano. Ma attenzione: la pazienza evangelica non è indifferenza al male; non si può fare confusione tra bene e male! Di fronte alla zizzania presente nel mondo il discepolo del Signore è chiamato a imitare la pazienza di Dio, alimentare la speranza con il sostegno di una incrollabile fiducia nella vittoria finale del bene, cioè di Dio”.

Alla fine, al tempo “del giudizio”, conclude infatti il Pontefice, “il male sarà tolto ed eliminato”, perché “il giudice sarà Gesù” e “saremo tutti giudicati con lo stesso metro”:

“Con lo stesso metro con cui abbiamo giudicato: la misericordia che avremo usato verso gli altri sarà usata anche con noi”.

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Oggi in Primo Piano



Medio Oriente: 40 morti a Gaza. Hamas spara a nord, ma è tregua umanitaria

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Si intensifica l’offensiva terrestre di Israele a Gaza. Secondo fonti palestinesi i morti dei raid di questa notte sarebbero quaranta, mentre Hamas lancia i suoi razzi a nord di Tel Aviv.  Accettata dalle parti una tregua di due ore proposta dalla Croce Rossa per ragioni umanitarie. Intanto, è previsto per oggi in Qatar l’incontro fra il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmud Abbas, e il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, al quale ne seguirà uno con il leader in esilio di Hamas, Khaled Meshaal. Il servizio di Michele Raviart

Israele raddoppia l’intensità dei suoi bombardamenti e colpisce Shejaia, il quartiere nord-orientale di Gaza City. Distrutti 45 obiettivi militari, tra cui due tunnel e dieci lanciarazzi nascosti. Il bilancio delle vittime è però pesantissimo. Sebbene l’esercito israeliano abbia ordinato alla popolazione locale di sgomberare le abitazioni, i morti palestinesi sarebbero quaranta, tra cui un cameraman e un autista dell’ambulanza. Quattrocento i feriti, tanto che la Croce Rossa ha chiesto e ottenuto un cessate il fuoco di due ore per poter prestare soccorso e raccogliere i corpi delle vittime. Razzi di Hamas sono stati lanciati verso la città israeliana di Beer Sheva, nel Negev, e verso i quartieri nord di Tel Aviv e delle città costiere di Ashdod e di Ashqelon. I missili sono stati tutti intercettati dal sistema di protezione antiaerea, tranne uno, che avrebbe raggiunto il centro di Ashqelon senza che si abbia notizie di vittime. E mentre per oggi è atteso l’arrivo in Medio Oriente di Ban Ki-Moon, secondo l’agenzia Onu per i profughi, gli sfollati palestinesi, che hanno abbandonato le loro case e Gaza City per raggiungere le strutture di accoglienza, sono ormai 80mila. Il bilancio complessivo dall’inizio delle operazioni è di 410 palestinesi uccisi e di cinque soldati israeliani.

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Ucraina: recuperati 169 corpi delle vittime dell'aereo abbattuto

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Disastro aereo in Ucraina orientale. Proseguono le operazioni di recupero delle 298 vittime a bordo dell’MH17 della Malaysia Airlines, abbattuto da un missile. Le squadre di soccorso sono al lavoro dopo l’accordo tra governativi e separatisti. 169 salme sono raccolte su un treno, in attesa degli esami degli esperti internazionali. Intanto, secondo l’agenzia russa Interfax, i separatisti annunciano di aver trovato e portato a Donetsk le scatole nere dell’aereo. La questione però è anche politica. Il servizio di Giuseppe D’Amato

Aiutare ad ottenere il massimo accesso possibile alle squadre di specialisti e concorrere ad organizzare un’inchiesta indipendente. Questo è quanto domanda la comunità internazionale alla Russia: insomma, di far valere la sua influenza sui separatisti. ll presidente Putin ha tenuto un colloquio telefonico con il premier olandese Rutte. L’Agenzia mondiale dell’aviazione dovrebbe condurre l’inchiesta. I ministri degli Esteri russo e statunitense, Lavrov e Kerry, hanno deciso di impegnarsi insieme per ottenere una tregua stabile tra le parti in conflitto in Ucraina orientale. Lunedì si riunirà il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La Russia, comunque, chiede a tutti di non giungere a conclusioni affrettate sul disastro aereo prima dei risultati ufficiali della prossima inchiesta. A numerosi leader non sono però piaciuti gli ostacoli ed il tono minaccioso dei separatisti nei confronti degli osservatori dell’Osce sul luogo della catastrofe. Nelle ultime ore l’area di sicurezza è stata allargata da 20 a 35 chilometri quadrati. Non si riescono a trovare ancora un centinaio di corpi, ma bisogna fare presto: la temperatura è di 30 gradi. Ai 200 uomini della Protezione civile ed ai 50 specialisti, impegnati tra i rottami dell’aereo, si stanno per unire esperti dell’Interpol.

Intanto si è aperta a Melbourne,  in Australia, la 20.ma edizione della Conferenza Internazionale biennale sull’Aids. La prima giornata dei lavori è stata aperta da un tributo ai sei delegati rimasti uccisi nella sciagura aerea del volo malese, abbattuto in Ucraina.

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A breve la prima nave di privati per soccorrere migranti

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Partirà tra un mese la prima nave gestita da privati per soccorrere i barconi dei migranti nel Mediterraneo. L’operazione si chiama Moas, Migrant Offshore Aid Station, ed è finanziata interamente dall’imprenditrice italiana nel campo assicurativo Regina Catrambone e da suo marito Cristopher, di origine americana, che da anni vivono a Malta. Dopo l’appello del Papa a Lampedusa, hanno deciso di aiutare le migliaia di persone che rischiano la vita tentando di raggiungere l’Europa. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Regina Catrambone, l’ideatrice dell’iniziativa: 

R. - Abbiamo iniziato a pensare che dovevamo fare qualcosa la scorsa estate, quando eravamo in vacanza e combinazione il Papa, proprio in quel periodo, stava visitando Lampedusa. Poi c’è stata un’altra occasione, che è stata la tragedia purtroppo dell'ottobre 2013, quando tantissime persone sono morte… L’ultima spinta ad agire ci è stata data ancora da Papa Francesco, quando - rivolgendo un appello - ha detto che tutti noi dobbiamo contribuire in prima persona ad aiutare gli altri, con i mezzi, con le risorse, con le capacità che abbiamo. Così è nato il Moas, stazione di aiuto per i migranti in mare.

D. - E’ una organizzazione non governativa che si occuperà, appunto, di fornire assistenza e aiuto ai migranti in mare…

R. - Sì, siamo una ong, una missione umanitaria che aiuterà le imbarcazioni in mare, in acque internazionali: abbiamo comprato l’imbarcazione, abbiamo fatto tutto il restauro, abbiamo noleggiato elicotteri che ci invieranno le immagini…

D. - L’impresa è totalmente finanziata da voi?

R. - Fino ad ora tutto questo viene dalle nostre risorse. Però stiamo cercando anche di avere dei contributi: non devono certo essere soltanto monetari, ma possono anche aiutarci con i giubbotti di salvataggio, possono aiutarci con donazioni, con acqua…

D. - Una strage silenziosa quella dei migranti morti in mare per cercare di arrivare in Europa e a cui lei e suo marito non siete quindi rimasti indifferenti...

R. - Queste persone stanno morendo in mare: non si può lasciare solamente l’incombenza a Mare Nostrum. Anche loro stanno richiedendo aiuto. In continuazione. E non sento nessuno che risponda alla richiesta di aiuto dell’Italia. Noi siamo qui, noi stiamo rispondendo: io, come italiana, sto rispondendo come posso. Papa Francesco ha detto qualcosa di veramente bello e toccante: oggigiorno, molte volte, è necessario avere un cambio di atteggiamento verso i migranti; l’atteggiamento che abbiamo tutti - lui dice - è di disinteresse e di emarginazione, che alla fine corrisponde appunto alla ‘cultura dello scarto’. Invece è giusto che vi sia un atteggiamento che sia la ‘cultura dell’incontro’: l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno e quindi un mondo migliore. Noi a questo ci stiamo ispirando. “Servitevi di noi”: questo è quello che vorrei dire e l’appello che vorrei lanciare.

La missione prenderà avvio ad agosto, quando salperà la nave Phoenix e due droni monitoreranno dall’alto le acque del Mediterraneo, come spiega il direttore della missione, Martin Xuereb:

“Sulla nave ci sarà un equipaggio professionista nel campo del salvataggio; avremo i paramedici a bordo, che potranno dare il primo aiuto, se necessario; e, ovviamente, ci saranno gli operatori e i marinai. Credo che questa iniziativa sia molto importante. Ci sono delle immagini che mi resteranno sempre in mente… Vedere i corpi dei bambini in mare, gli occhi di un bambino siriano di 8 anni che l’ultima cosa che ha pensato è che stava morendo annegato… Sono un miscuglio di cose, di sensazioni e sono sicuro di poter dare un contributo a questa causa”.

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Senegal: passi verso la pace nella regione della Casamance

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Segnali di speranza arrivano dal Senegal e in particolare dalla regione della Casamance, attraversata da oltre 30 anni da un conflitto che oppone l’esercito regolare e le locali forze indipendentiste. Si registrano progressi nei negoziati in corso, mediati dalla comunità di Sant'Egidio, che nei giorni scorsi ha riunito le parti intorno a un tavolo. Davide Maggiore ha parlato del contenuto dei colloqui con don Angelo Romano, dell’ufficio Relazioni internazionali della Comunità: 

R. – Il punto che è stato trattato era quello delle questioni umanitarie. Si è cercata una base comune per riuscire a trovare mezzi e metodi per alleviare le sofferenze della popolazione. In questo senso sono state prese alcune misure, che nelle prossime settimane saranno rese pubbliche: vanno sottolineate sia la crescente volontà di pace delle due parti sia la crescente capacità di collaborazione che ha prodotto già passi in avanti molto importanti e concreti.

D. – Uno di questi passi avanti, un altro segnale positivo per quanto riguarda la risoluzione del conflitto, è il cessate il fuoco unilaterale dichiarato dagli indipendentisti nelle scorse settimane...

R. – Proprio ad aprile il capo del movimento indipendentista della Casamance, Salif Sadio, ha dichiarato in un’intervista il cessate il fuoco unilaterale che è un po’ il prodotto di quello che era stato il lavoro fatto a Roma tra le due delegazioni – nel mese di febbraio – quando è stato approvato un documento su misure di fiducia reciproca. Queste misure sono estremamente importanti perché permettono in qualche modo al movimento indipendentista di riaprire canali di dialogo politico con la popolazione e allo stesso tempo in qualche modo lo investono di una responsabilità nei confronti del suo comportamento relativo al conflitto. Di fatto, negli ultimi due anni - da quando è cominciato il negoziato a Sant’Egidio - non ci sono più episodi gravi di attacchi o scontri armati; tutt’al più, si notano incidenti: purtroppo, la Casamance è una regione in cui ci sono molte armi e banditismo. Quello che è certo è che le due parti effettivamente stanno facendo uno sforzo enorme per garantire una sorta di clima favorevole al negoziato.

D. – E’ possibile in questo contesto ipotizzare i prossimi passi, le prossime priorità da affrontare nella trattativa di pace tra le due parti?

R. – Diciamo che ci sono alcuni temi estremamente importanti che saranno trattati e, non c’è dubbio, che il tema più importante è proprio quello del futuro di questa regione, cioè cosa diventerà la Casamance. Questo è il punto di partenza. Non bisogna avere paura di aprirsi a prospettive diverse. Credo che questo sia proprio lo spirito del negoziato a Roma: mettere al centro ciò che unisce le due parti e ciò che potrebbe permettere un compromesso. Penso che in questo la volontà della popolazione locale sia molto importante, ovvero, una volontà di pace chiara espressa in tanti modi. Anche la Chiesa cattolica di Casamance ha fatto la sua parte: più volte ha ospitato manifestazioni di pace ed in questo è seguita anche dalle altre comunità religiose della Casamance, che hanno una tradizione di coabitazione molto bella, molto importante.

D. – Quale può essere dunque il ruolo della società civile della Casamance nel facilitare queste trattative, nel facilitare il raggiungimento di un compromesso?

R. – La società civile come sempre è molto importante nell’esprimere i suoi desideri, che in qualche modo il mondo politico deve recepire; poi, è chiaro che tutto questo avverrà nei modi e nelle forme della rappresentanza politica. Credo che, in ogni caso, l’associazionismo, le comunità religiose possono e devono giocare un ruolo di pacificazione, perché devono rappresentare una risorsa in più. Da questo punto di vista penso ci sia, in maniera sempre più diffusa, una chiara volontà di pace.

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Haiti: pericolo epidemie e tifoni a quattro anni dal sisma

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Nel 2010 Haiti fu sconvolta dal terribile terremoto che causò oltre 200 mila morti e coinvolse quasi tre milioni di persone. Ma nella zona, l'epidemia di colera - comparsa a seguito del sisma - non è mai finita: finora ha ucciso infatti più di 8.500 persone e contagiato oltre 700 mila. Una situazione che ha spinto il
segretario dell'Onu, Ban Ki-moon, in visita nei giorni scorsi sull'isola, a impegnarsi a cercare di raccogliere 2,2 miliardi di dollari in aiuti monetari per combattere la diffusione della malattia. Della situazione nel Paese, Michele Raviart ha parlato con Maria Vittoria Rava, presidente della Fondazione Francesca Rava, che si occupa in prima linea degli aiuti ad Haiti e gestisce tre ospedali e una trentina di scuole: 

R. - Haiti è rimasto un Paese del quarto mondo, quello che purtroppo era anche prima del terremoto. Nonostante gli aiuti e i soccorsi, i problemi sono ancora gli stessi e molto gravi. Affliggono la maggior parte della popolazione - otto milioni e mezzo di abitanti, l’80 per cento dei quali vive sotto la soglia della povertà - e sono la fame e la sete. Quello che magari in gergo più educato si chiama malnutrizione è in realtà la mancanza di elementi di base per moltissimi bambini e famiglie e la mancanza di acqua potabile, che non è distribuita.

D. - Quali sono oggi i rischi umanitari più grandi per la popolazione?

R. - In questi giorni la popolazione è colpita da una nuova epidemia che si chiama Chikungunya. Si riferisce ad una zanzara che porta una febbre reumatica fortissima. Se si viene curati in un ospedale dopo una settimana passa, ma se colpisce un bambino che vive in situazioni già di disagio grave purtroppo può portare alla morte. Questa poi è anche la stagione dei tifoni che colpiscono le baracche, strappano gli alberi...

D. - Rispetto a quelli che erano i programmi per la ricostruzione di Haiti, a che punto siamo?

R. - Ricostruzione vera e propria non c’è stata. Haiti è un Paese grande poco più della Lombardia con otto milioni e mezzo di abitanti. Se veramente tutte le risorse fossero arrivate, facendo un calcolo matematico, ogni haitiano avrebbe potuto vedere la propria casa ricostruita, avere un lavoro ed una piccola somma per avviare un’attività di microcredito per mandare i propri bambini a scuola. Questo non è avvenuto, per i mille meccanismi che purtroppo fanno arenare i soldi e gli aiuti. Diciamo che però c’è stato un impulso e qualche cosa è stato fatto, qualche strada è stata ricostruita. Il nuovo presidente Michel Martelly sta cercando di aprire il Paese al turismo, anche se non è facile perché è un Paese ancora molto pericoloso e molto difficile da girare: non c’è una rete ferroviaria, non ci sono strade.

D. - Ma gli haitiani come cercano di superare queste grandi difficoltà?

R. - Si capisce comunque che si può fare la differenza. Gli haitiani non hanno mai perso la speranza, hanno una voglia incredibile di lavorare, di riscattarsi. Come Fondazione Francesca Rava abbiamo appena ricevuto quattro ragazzi ai quali abbiamo dato posizioni di leadership nei nostri progetti ad Haiti, proprio per dare loro la possibilità di riscattarsi, di spezzare definitivamente il circolo di povertà del Paese.

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Stazioni ferroviarie: non solo treni, anche solidarietà e accoglienza

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Presentato a Roma il Rapporto 2013 dell’Osservatorio nazionale sul disagio e la solidarietà nelle stazioni ferroviarie italiane (Onds). Il problema legato alla precarietà è in aumento con persone, in maggioranza italiani e in parte immigrati, che scivolano verso una deriva di marginalità per l’impoverimento che investe fasce sempre più ampie di popolazione. Il rapporto sul disagio nelle stazioni ferroviarie mette in luce, tra l’altro, una povertà sanitaria aggravata da una “disaffezione alla cura” che interessa i senza fissa dimora che vivono in stazione. Luca Collodi ne ha parlato con Alessandro Radicchi, direttore dell’Osservatorio nazionale sul disagio e la solidarietà nelle stazioni ferroviarie italiane: 

R. - Sicuramente le stazioni italiane sono un punto di incontro, in cui moltissime persone emarginate vengono a cercare riparo. La domanda che dobbiamo farci è perché queste persone scelgono effettivamente la stazione? Considerando che l’ultima indagine Istat aveva fotografo 50 mila persone senza dimora nel territorio italiano, noi oggi - con il nostro Rapporto - diciamo che 25 mila di queste passano per le 14 stazioni ferroviarie che sono oggetto del nostro Rapporto. Quindi diciamo almeno il 50 per cento, perché poi sicuramente ci sono quelle che sfuggono al nostro meccanismo di aiuto. Però questo è un dato molto importante. L’altro dato importantissimo che noi abbiamo rilevato - anche grazie ad un sistema che si chiama Anthology, di presa in carico delle persone, seguendole da una città all’altra - è che la metà di queste 25 mila persone è rappresentata da nuovi utenti del 2013: questo vuol dire che sono persone che nel 2012 non c’erano e che sono arrivate l’anno dopo. Quindi c’è un ricambio di circa il 50 per cento delle persone marginate. Questo ovviamente è specchio anche dei flussi migratori che arrivano nel nostro Paese. Quindi è ovvio che le persone che arrivano nelle stazioni ferroviarie possono trovare una situazione di marginalità, che però - e questo ci tengo a dirlo - accade proprio nelle stazioni perché purtroppo mancano i servizi fuori.

D. - Chi abita oggi nelle stazioni ferroviarie italiane?

R. - Partendo da Milano Centrale: a Milano Centrale c’è uno sportello del Comune di Milano che gestisce - proprio da lì - anche gli orientamenti ai servizi comunali e quindi sostanzialmente tutte le persone emarginate di Milano passano da quello sportello e infatti noi registriamo 14.092 persone che si sono rivolte allo Sportello dell’Help Center di Milano nel 2013. Andando poi su Roma, dove anche qui abbiamo numeri molto importanti, parliamo di 2.822 persone che hanno usufruito del servizio dell’Help Center nel 2013. Chiaramente nelle stazioni minori, i numeri sono minori: mille su Napoli, 1.300 su Torino… Ma chi è la persona che viene nelle stazioni? Noi abbiamo evidenziato due figure: abbiamo un giovane straniero, in modo particolare di nazionalità romena o tunisina - queste sono le due principali - tra i 30 e i 50 anni, che come bisogni ha problemi migratori, ha problemi nel suo percorso migratorio di inserimento, è senza lavoro, ha delle problematiche sanitarie e vive per strada. Dall’altra parte abbiamo, invece, un’altra figura che è quella dell’italiano, che è un over 60, che ha perso il lavoro, ha dei debiti - molto interessante questo dato che è emerso - e ha dei problemi sanitari e - differentemente dall’immigrato - vive prevalentemente in un centro di accoglienza oppure da amici o parenti.

D. - Perché queste persone scelgono di vivere in una stazione ferroviaria?

R. - La stazione dà, in qualche modo, sicurezze - per esempio quando fa freddo, nelle stazioni fa caldo perché sono riscaldate; quando fa caldo, c’è l’aria condiziona e quindi fa fresco… - e poi c’è anche questo elemento di relazionalità che è molto importante. Quindi anche vivere nella stazione, con i treni che partono, che arrivano, le persone che passano, dà un senso di sicurezza alla persona che va a ritrovare la casa in quello spazio perché ricostruisce un po’ l’ambiente cui vorrebbe tendere, creandosi però delle barriere, dei substrati, che in qualche modo nascondo poi la persona. A noi sono serviti 6 anni per spostare una persona dalla testa del binario 1, dall’inizio del binario, fino al nostro centro, a 500 metri di distanza, convincendola ad andare lì e quindi ad accettare un aiuto. Questo è un lavoro che ovviamente politicamente non paga, perché si prende un operatore pagato, che costa allo Stato almeno 15 euro l’ora, e si mette lì a parlare con una persona, a parlare, parlare, parlare… Spesso molti dicono: “Non ne vale la pena!”. Ma non è vero! Per noi vale la pena, perché vale sempre la pena! Anche salvare una sola persona. Finché noi continueremo a salvare almeno una persona, allora saremo degni di chiamarci esseri umani: se pensiamo solo ai grandi numeri, allora non arriveremo mai da nessuna parte.

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Sport: fede e famiglia sulla nuova pista di Luca Panichi

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Il libro 'La mia corsa… continua' è il racconto delle emozioni e delle esperienze di una gara speciale, quella contro il cancro, di Luca Panichi, ex atleta di 45 anni, ora allenatore. Un’idea che è nata su Facebook ed è stata poi portata a compimento grazie a Vania Piovosi, giornalista e amica di famiglia. Al microfono di Paolo Giacosa, l'autore ha raccontato la sua riscoperta del valore della fede e del rapporto con il prossimo: 

R. - Il titolo del libro è 'La mia corsa... continua' ed è arrivato in un momento particolare, dopo tanti anni della mia attività sportiva, come atleta a livello agonistico, e dopo tanti successi. La corsa per me è sempre stata uno stile di vita, ma ad un tratto - il 14 dicembre del 2012 - la vita cambia, perché un male ti stravolge un po’ tutto… A quel punto dovevo cercare quella forza interiore per dimostrare che il male va affrontato in tutte le sue forme. E ho riscoperto tantissime cose che erano nascoste, forse erano in un cassetto: la cosa fondamentale è una fede in Cristo che forse era un po’ piena di polvere. Luca si era allontanato dalla fede e non la fede da Luca! L’idea del libro è nata dal rapporto con Facebook, perché a volte parliamo molto male di questi social network: Facebook per me è stato invece molto importante, anche perché poi alla fine dovevo coinvolgere in questa corsa i miei atleti che alleno, la Federazione italiana di atletica leggera, tutte le persone che conosco; tutte le persone che mi vogliono bene dovevano sapere e darmi quindi la forza, darmi la carica per affrontare questa cosa. Grazie all’amica giornalista Vania Piovosi. Vedendo che scrivevo su Facebook, mi ha detto: “Scrivi tanti bei pensieri, tante cose scritte dal profondo”. Anche quando ero sotto terapia, con la chemio al braccio, col mio cellulare, scrivevo: raccontavo la mia corsa; raccontavo che ero in gara; raccontavo ogni momento, ogni passaggio; raccontavo il sudore; raccontavo la fatica; raccontavo i rifornimenti; raccontavo che ero stanco, che avevo sonno, che avevo voglia di dormire, ma che non potevo dormire perché in corsa non si dorme. Allora Vania mi ha detto: “Questo messaggio deve andare avanti”! L’idea del libro è nata così: un racconto non solo di emozioni, ma di esperienze di vita, di quel cambiamento che la malattia ha portato. E poi anche la prefazione del libro dell’amico Stefano Mei, campione dell’atletica degli anni Ottanta, è stato un messaggio di affetto.

D. - Il titolo lega a doppio filo la tematica della malattia con la sua grande passione, che è l’atletica. Molte, infatti, sono le similitudini che emergono tra queste due esperienze…

R. - Sicuramente sì, perché poi alla fine si capisce che il reparto di oncologia diventa la mia pista e la corsa si fa più dura perché - nonostante un anno e mezzo in cui le cure stanno andando bene - ultimamente c’è stato un intoppo sul mio percorso: perché scoprire un adenocarcinoma con il 5 per cento di possibilità di vivere in cinque anni, sicuramente fa capire che la clessidra della vita scende…

D. - Colpisce non poco la frase “senza la malattia non avrei cambiato in meglio la mia vita”: la difficoltà viene quindi vista come mezzo per apprezzare profondamente la vicinanza dei propri cari e l’importanza della fede?

R. - Sicuramente sì, perché - e questo lo dico spesso - il mio compleanno adesso non è più il 20 novembre del ’69, il mio nuovo compleanno è il 14 dicembre del 2012: è morto un Luca, non un Luca sbagliato - da piccolo ho anche partecipato ad Azione Cattolica in Toscana, ho frequentato la parrocchia - ma la mia fede era “costruita”, in un certo modo; poi ci sono dei passaggi della vita durante i quali hai dei dubbi. Quel 14 dicembre è stato rinascere un’altra volta, perché il male non è mai la totale assenza del bene. Ho trovato posti per pregare. Adesso quando recito le preghiere ho una forza completamente nuova.

D. - Il 14 maggio scorso ha omaggiato il suo libro al Santo Padre: come è stato questo incontro?

R. - Una cosa immensa! Sono stati un paio di minuti… Non ho voluto avere giri di parole: gli ho dato la mano e gli ho detto: “Ciao Francesco, sono Luca”. Io non dimenticherò mai le sue parole, mai! Quelle parole mi danno forza e resteranno dentro di me per sempre!

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Italia alla scoperta del cicloturismo, ma molto rimane da fare

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L’Italia vista dalla bicicletta piace ogni anno a quasi mezzo milione di persone e il trend è sempre più in crescita. A rivelarlo sono i dati della Borsa del turismo sportivo diffusi nei giorni scorsi, secondo i quali nel 2013 i cicloturisti che hanno visitato il Belpaese sono stati 450mila, cifra attesa anche per quest’anno. In testa alla classifica delle regioni più gettonate, spiccano Veneto e Toscana, da anni impegnate nello sviluppo delle politiche di rilancio di questo settore. Eppure, nonostante l’aumento delle presenze e la buona volontà di alcuni enti locali, l’Italia nel settore del cicloturismo rimane fanalino di coda dell’Europa. Federico Piana ne ha parlato con Claudio Pedroni, responsabile della Federazione italiana amici della bicicletta: 

R. – Il cicloturismo, inteso proprio come scoperta del territorio con la bicicletta, è un’attività che tutti gli analisti danno in crescita ed in sviluppo, ed è sicuramente così. Basti pensare che noi abbiamo in Italia 50 tour operator specializzati in turismo in bicicletta, quando cinque anni fa erano solamente otto. Quindi, si capisce abbastanza bene che il segmento è in crescita.

D. – Però, per quale motivo noi italiani non riusciamo a sfruttare questo cicloturismo, che potrebbe portare tanti soldi nelle casse dello Stato italiano e delle Regioni? Per quale motivo molti turisti che arrivano soprattutto dalla Germania si fermano nel nord Italia? C’è probabilmente la mancanza di strutture e di infrastrutture che portano al sud?

R. – Se noi consideriamo la disponibilità di infrastrutture ciclabili di qualità nella provincia di Bolzano e nella provincia di Trento, sommiamo quasi 1.000 chilometri di piste ciclabili. E questo è il dato vero, il dato che può spostare i numeri del cicloturismo. Ecco perché quando andiamo a Bolzano e a Trento troviamo parecchi cicloturisti che parlano tedesco. Anche perché il mercato cicloturistico tedesco ha potenzialità enormi: sulla base delle stime della nostra associazione consorella tedesca, sono almeno 10 milioni i cicloturisti tedeschi.

D. – Però, se molte zone del Nord rimangono fortemente avvantaggiate, svantaggiato rimane il Sud insieme ad altre zone a macchia di leopardo anche dello stesso Nord. Quindi, manca l’idea dello sviluppo del cicloturismo?

R. – Oggi il turista in bicicletta deve farsi carico di cercare le informazioni, cercare con pazienza nei siti web per vedere se ci sono le informazioni per organizzarsi un proprio giro in bici. Da un paio d’anni c’è un percorso che unisce Londra con Parigi in bicicletta. Noi abbiamo mille cose tra Firenze e Roma o, meglio, tra Venezia, Firenze e Roma:, ci sono mille cose da vedere e ciò che è stato fatto e capito tra Parigi e Londra ancora facciamo fatica a farlo capire nel nostro Paese.

D. – Ma c’è qualche segnale di cambiamento, in senso positivo?

R. – Oltre al lavoro della Regione Veneto che oggi – è vero – è probabilmente la più attiva in questi temi, è di questi giorni un accordo con un protocollo di intesa tra la Regione Toscana e la Regione Umbria che si stanno mettendo d’accordo per mettere in rete i loro percorsi ciclabili. Ecco: questo è ciò che si deve fare.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: lo Stato islamico rivendica gli attentati a Baghdad

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Il gruppo terrorista dello Stato Islamico, che controlla parte del nord e dell’ovest dell’Iraq, ha rivendicato gli attentati che ieri hanno ucciso 27 persone nei quartieri sciiti di Baghdad. Intanto è sempre più drammatica la situazione per i cristiani nel Paese. Dopo che il palazzo episcopale dei siro-cattolici di Mossul è stato bruciato dagli estremisti islamici, in città non ci sono più cristiani dopo quasi duemila anni. Ne ha parlato anche il Papa all’Angelus. (M.R.)

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Immigrazione: nuovi sbarchi in Sicilia, centinaia i morti secondo l'Oim

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Prosegue l'emergenza immigrazione in Italia. 203 profughi di origine nigeriana hanno raggiunto il porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa. Erano a bordo di una petroliera battente bandiera di Singapore, soccorsa a 45 miglia dalla Libia. Altri 267 migranti sono stati soccorsi nel Canale di Sicilia e sono arrivati a Porto Empedocle. E' previsto per oggi pomeriggio l'arrivo di altri 500 migranti a Palermo e Messina. I centri di prima accoglienza siciliani sono al massimo della capienza possibile e da Lampedusa, attraverso quattro ponti aerei, sono state trasferite 368 persone in Veneto e in Emilia-Romagna. Intanto la Marina Militare italiana fa sapere di aver compiuto ieri cinque interventi di salvataggio, nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum. 749 le persone recuperate, tra cui 100 donne, 61 minori ed un neonato.  Non ce l’hanno invece fatta 18 passeggeri di un barcone soccorso nelle acque tra la Libia e Malta. Per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), "negli ultimi due giorni sono stati registrati oltre 5.200 arrivi e si calcola che le vittime di naufragi e avvelenamenti da monossido di carbonio potrebbero essere oltre 100, mentre molti di più sarebbero i dispersi": secondo le testimonianze raccolte, spiega quindi l'Oim, "potrebbero essere diverse centinaia le persone che in questi ultimi giorni avrebbero perso la vita in mare nel tentativo di giungere in Europa". (M.R.)

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Libia: scontri all'aeroporto di Tripoli. Tre i morti

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Tre persone sono rimaste uccise in Libia dopo uno scontro tra milizie rivali all’aeroporto internazionale di Tripoli. Durante i combattimenti è stata utilizzata dell’artiglieria pesante, che ha portato alla distruzione di un aereo della Lybian Arab Airlines. “Si tratta dell’attacco più violento dall’inizio dell’offensiva di una settimana fa”, ha detto un responsabile della sicurezza. Per il controllo dell’aeroporto si fronteggiano una milizia della città dell’ovest Zintan, che difende l’area, e un gruppo di islamisti proveniente da Misurata, nell’est della Libia. (M.R.)

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Filippine: il tifone Rammasun provoca 94 morti e 6 dispersi

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Si aggrava il bilancio delle vittime del tifone Rammasun, che nella notte tra il 15 e il 16 luglio ha colpito l’est delle Filippine. Secondo i dati forniti dalle autorità sarebbero novantaquattro le persone uccise mentre ancora sei sono i dispersi. “La maggior parte delle persone sono morte per la caduta degli alberi e per i detriti”, dice il portavoce del governo di Manila. Intanto violente precipitazioni si sono abbattute sulle zone già colpite dal tifone, con un vento superiore ai 150 chilometri orari. Prima dell’arrivo di Rasmussen erano state evacuate dalle autorità 400 mila persone. (M.R.)

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Cipro: 40 anni fa l’invasione turca nel nord

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Stamani a Nicosia e in tutta la Repubblica di Cipro alle 5:20, ora locale, le sirene hanno suonato per un minuto a ricordare i 40 anni dal 20 luglio del 1974, quando le truppe turche invasero la parte nord dell’isola. Le bandiere sventolano oggi a mezz'asta, per ricordare le vittime e i dispersi provocati dall’intervento armato che fece oltre 7.000 morti e quasi 2.000 dispersi da entrambe le parti. La comunità turca dell’isola, invece, ricorda la data di quarant’anni fa con una parata militare. (G.A.)

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Brasile: vescovi, dati allarmanti sugli indigeni

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Le violenze contro gli indigeni e l’accaparramento illegale delle loro terre non accennano a diminuire in Brasile. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto annuale del Consiglio Indigenista Missionario (Cimi), organismo in seno alla Conferenza episcopale brasiliana, che torna a chiamare in causa le responsabilità del governo federale. Il rapporto di 120 pagine – riporta l’agenzia Apic – denuncia in particolare la paralisi del processo di demarcazione e attribuzione delle terre alle popolazioni native che le occupano da secoli, un passo indispensabile per evitare la loro espulsione da parte delle compagnie minerarie e dei latifondisti.

Delle oltre mille terre rivendicate in tutto il Paese, solo il 38 per cento ha ottenuto un riconoscimento formale, il 30 per cento è in fase di regolarizzazione, mentre per quasi un terzo la lunga procedura burocratica per il riconoscimento è appena agli inizi. Lungaggini che alimentano l’illegalità e i conflitti. Secondo la Costituzione brasiliana, il processo di demarcazione avrebbe dovuto essere concluso nel 1993. Ma le pressioni delle lobby economiche, in particolare quella del settore agro-zootecnico saldamente rappresentata al Congresso, hanno rallentato le procedure. Nel 2013 solo una terra è stata assegnata. A questo si aggiungono i tentativi di limitare i diritti garantiti agli indigeni attraverso emendamenti costituzionali.

Un altro punto dolente evidenziato dal rapporto del Cimi è l’assistenza sanitaria alle popolazioni indigene, un campo nel quale lo Stato brasiliano è assolutamente inadempiente, con il risultato, tra l’altro, che il tasso di mortalità infantile tra i nativi è più del doppio della media nazionale. Non meno preoccupante il tasso di suicidi tra i minori indigeni: nel 2013, a togliersi la vita sono stati 73 minorenni. La situazione è particolarmente drammatica nel Mato Grosso do Sul, lo Stato in cui i conflitti per il possesso della terra restano più marcati e dove si registra anche il più alto tasso di omicidi: 33 nel 2013, pari al 62 per cento del totale. I dati pubblicati dallo studio forniscono informazioni anche sul razzismo e le discriminazioni di cui sono vittime gli indigeni: dal rifiuto di offrire loro lavoro, a quello all’accesso ai mezzi pubblici , alle scuole e agli altri servizi pubblici, agli insulti e offese verbali. (L.Z.)

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Belgio: si prepara il convegno sul Concilio Vaticano II

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“Una Chiesa in dialogo: rileggere il Concilio Vaticano II”. Sarà questo il convegno che si terrà dal 26 al 28 ottobre prossimi in Belgio. Ad organizzarlo, la locale Conferenza episcopale. Tra i partecipanti è prevista la presenza del cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. “Il Vaticano II, svoltosi tra il 1962 ed 1965, è parte del carattere dialogico della rivelazione di Dio e – si legge sul sito web della Conferenza episcopale – mette al centro della sua attenzione i rapporti con gli altri cristiani, le altre religioni, i non credenti, la cultura ed il mondo contemporaneo”.

“L’apertura al dialogo – evidenzia la Chiesa belga – si radica nella speranza e nell’amore, si fonda su un profondo rispetto per ogni essere umano in quanto persona ed è, dal punto di vista dei credenti, espressione dello Spirito”. Di qui, il richiamo che i vescovi di Bruxelles fanno ai principali documenti conciliari: il decreto Unitatis Redintegratio, che rilancia l’ecumenismo; la dichiarazione Nostra Aetate, che ribadisce l’importanza del dialogo interreligioso; il decreto Ad Gentes, dedicato all’annuncio del Vangelo ai non credenti; e la costituzione pastorale Gaudium et Spes, che si confronta con il mondo contemporaneo.

Tre le località che accoglieranno il convegno: domenica 26 ottobre, la Basilica di Koeklberg, a Bruxelles, vedrà alle ore 16.00 la Messa inaugurale presieduta dall’arcivescovo della città, mons. Andé-Joseph Leonard, il quale, subito dopo, pronuncerà la prolusione d’apertura dell’incontro. Alle 18.00, invece, è previsto l’intervento del cardinale Müller. Il giorno seguente, 27 ottobre, i lavori si terranno a Louvain-la-Neuve e vedranno alternarsi numerosi teologi. Martedì 28 ottobre, infine, il convegno si sposterà a Leuven, con una particolare attenzione al tema “Inculturazione del Vangelo e creatività”, ovvero ai rapporti tra la tradizione cristiana e l’epoca contemporanea. (I.P.)

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Il 26 luglio, prima Expo dei media cattolici in Sudafrica

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“Vieni e sviluppa le tue abilità comunicative!”: con questo slogan si terrà il 26 luglio a Johannesburg, in Sudafrica, la prima Expo dei media cattolici. Promossa dalla Conferenza episcopale locale e dal Jesuit Institute della città, l’iniziativa si rivolge soprattutto ai giovani studenti delle scuole e delle università, ma anche a tutti i responsabili della comunicazione a livello parrocchiale e diocesano.

Venticinque gli esponenti dei mass media cattolici che saranno presenti all’evento – si legge sul sito diocesano – “per condividere le loro conoscenze ed esperienze e per offrire la possibilità di sperimentare modi diversi di comunicare”. Numerosi i temi trattati: dai blog ai social network, dalla radio alla tv, dalle newsletter alla fotografia, per finire con le interviste e le app per cellulare.

La giornata sarà suddivisa in due momenti: in mattinata, i visitatori potranno seguire quattro brevi sessioni di lavoro monografiche, mentre nel pomeriggio ci sarà la possibilità di fare un’esercitazione pratica di due ore in un settore a scelta. Nelle settimane successive all’Expo, inoltre, i giovani potranno essere coinvolti in un vero progetto di comunicazione, entrando così in contatto con il mondo lavorativo. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 201

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.