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Sommario del 25/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa in fila alla mensa del Vaticano

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Visita a sorpresa oggi di Papa Francesco alla mensa del Vaticano, dove pranzano i dipendenti della Santa Sede. Il Papa si è presentato come un normale avventore mettendosi in fila. Sergio Centofanti ne ha parlato con lo chef della mensa, Franco Paìni

R. – Sì, il Papa è stato nostro ospite, oggi.

D. – Come si è presentato?

R. – Eh … normalmente, come il più umile degli operai. Si è presentato qui, ha preso il suo vassoio, le posatine, ha fatto la fila e l’abbiamo servito. Ha mangiato la pasta in bianco e il merluzzo. E’ stato benissimo: è stato circondato dalla sua grande famiglia … è stato benissimo! Ci siamo presentati, ci ha chiesto come stessimo, ci ha chiesto come lavoriamo, ci ha fatto i complimenti … è stato benissimo. Mi scusi ancora, io sono ancora emozionato, eh?

D. – E alla fine, vi ha dato una benedizione…

R. – Ci ha dato la benedizione, si è fatto le foto insieme a noi ed è andato via. E’ stato un’oretta!

D. – E’ stata una sorpresa?

R. – E’ stata una sorpresa! Proprio un fulmine a ciel sereno! E chi se l’aspettava! Il Papa che viene a mangiare da noi?! Eh … Siamo stati tutti presi in contropiede, però è stata una delle più grandi soddisfazioni che ti possono capitare …

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Brasile. Il Papa ai media cattolici: "uscite" nel mondo digitale

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“È necessario che nel mondo digitale l’annuncio del Vangelo sia seguito dall’offerta di un incontro personale con Cristo, un incontro reale e trasformatore”. Le parole sono di Papa Francesco e sono contenute in un Messaggio inviato, a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ai partecipanti al quarto Congresso nazionale della pastorale delle comunicazioni sociali (Pascom) del Brasile, iniziato giovedì scorso nel santuario mariano di Aparecida. Tema dell’incontro è “Comunicazione, sfide e opportunità per evangelizzare nell’era della cultura digitale” e ad esso è collegato il secondo Seminario nazionale dei giovani comunicatori.

L’incontro, che vede la partecipazione di vescovi, sacerdoti, religiosi e laici impegnati nel settore, si tiene nell’anniversario della visita di Francesco in Brasile per la Gmg di Rio de Janeiro, all’inizio della quale il Papa sostò proprio nel Santuario di Aparecida. Citando l’omelia della messa del 27 luglio nella cattedrale carioca, Francesco esorta a “non restare chiusi nella parrocchia, nelle nostre comunità, nella nostra istituzione parrocchiale o nella nostra istituzione diocesana, quando tante persone sono in attesa del Vangelo! Uscire inviati. Non è semplicemente aprire la porta perché vengano, per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare”.

Un tema caro al Papa, quello dell’“uscire”, che deve interessare anche il continente digitale. “Nessun cammino – afferma nel Messaggio – può, né deve, essere precluso a chi, in nome di Cristo risorto, s’impegna a diventare sempre più solidale con l’uomo; con il Vangelo in mano e nel cuore, è necessario riaffermare che è tempo di continuare a preparare cammini che conducano alla Parola di Dio, non trascurando di rivolgere un’attenzione particolare a chi ancora vive in una fase di ricerca”.

Una pastorale nel mondo digitale, sostiene Francesco, è quindi “chiamata a tener conto anche di coloro che non credono, sono caduti nello sconforto e coltivano nel cuore il desiderio di assoluto e di verità non effimere, dato che i nuovi media permettono di entrare in contatto con seguaci di tutte le religioni, con non credenti e persone di tutte le culture”.

Se dunque per il Papa i canali digitali sono un campo fondamentale nella nuova “uscita missionaria”, chi opera nel settore dei media, in particolare della pastorale della comunicazione, è spronato “a unirsi, con fiducia e con creatività consapevole e responsabile, alla rete di rapporti che l’era digitale ha reso possibile”.

E ai comunicatori brasiliani, in particolare, Papa Francesco indica anche alcune piste: fare in modo di “imparare il linguaggio particolare di questo ‘areopago’” e riconoscendo “il primato della persona”, mai dimenticando che il “continente digitale, prima di essere una mera realtà tecnologica, è innanzitutto – conclude – un luogo di incontro tra uomini e donne le cui aspirazioni e le cui sfide non sono virtuali, ma reali e hanno bisogno di una risposta concreta”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Il dolore del Papa per la sciagura aerea in Mali

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Papa Francesco ha espresso la sua vicinanza ai familiari delle vittime della sciagura aerea verificatasi ieri nel nord del Mali. Un velivolo della compagnia spagnola Swiftair, noleggiato dall’Air Algerie, in volo da Ouagadougou, in Burkina Faso, ad Algeri, è precipitato 50 minuti dopo il decollo. 118 le persone a bordo, di cui una cinquantina francesi e circa 20 del Burkina. Non ci sono sopravvissuti.

Il Papa, come si legge in un telegramma inviato all’arcivescovo di Algeri, mons. Ghaleb Bader, “si unisce con la preghiera al dolore” dei parenti, invocando Dio perché accolga “i morti nella sua pace” e dia “conforto e speranza a tutte le persone colpite da questa tragedia”.

I resti dell’aereo sono stati ritrovati nella regione di Gossi, a circa 100 chilometri a sud-ovest di Gao, la principale città nel Nord del Mali. Ancora ignote le cause del disastro: nella zona imperversava il maltempo e questa è una delle principali ipotesi. Una scatola nera è stata ritrovata.

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Mons. D'Alise: Francesco a Caserta scuoterà le coscienze

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Sono oltre 200 mila i fedeli attesi per domani a Caserta alla Messa che alle 18.00 Papa Francesco presiederà davanti alla Reggia, nel giorno di Sant'Anna, patrona della città. Prima della celebrazione, alle 16.00, l’incontro del clero locale con il Papa. Poche dunque le ore che Francesco trascorrerà nella città, ma questa sua prima visita in Campania – altra regione meridionale segnata da problemi gravissimi, dalla mortifera presenza della camorra ai veleni della “Terra dei fuochi” – ha dato vita sin dall’annuncio a grandi attese e speranze. Mons. Giovanni D’Alise, recentemente nominato dal Papa vescovo di Caserta, parla di un grande dono fatto alla diocesi e alla città tutta. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – La gioia non è solo mia. Io sto vedendo una città in fermento, ma non solo la città, anche molte persone dalle altre parti della Campania saranno presenti. Noi siamo in attesa di una parola del Santo Padre, perché qui a Caserta viviamo anche, come tutti ripetono continuamente, una situazione difficile. Io sono vescovo qui da due mesi e la frase che più ho sentito dire è stata “situazione difficile”, a livello civile ma anche a livello ecclesiale. Quindi, la visita del Papa sarà per noi di consolazione e incoraggiamento.

D. – Una magnifica terra che però purtroppo ha un’aria in tutti i sensi irrespirabile. Che cosa spera che poi le parole del Papa possano lasciare?

R. – E’ proprio vero. Io ho fatto presente al Papa questa situazione, ma il Santo Padre è già aggiornato e ha fatto già qualche intervento nel suo Magistero. Noi speriamo che abbia da dirci qualche parola non solo di incoraggiamento ma anche di guida, del come comportarci, perché noi siamo immersi in queste problematiche. Per esempio, la presenza della malavita organizzata: qui è sottile ma si sente. Come anche è difficile per i giovani. La disoccupazione è tanta e io soprattutto spero tanto che il Papa ci dica una parola anche per le nuove generazioni. Noi come impegno fondamentale abbiamo quello di non scoraggiare i giovani, di dare qualche possibilità per quello che è possibile, ma soprattutto ci aspettiamo una parola decisiva dal Santo Padre. Come la gente ha risposto a questo annuncio della visita del Papa mi dà fiducia, mi fa avere fiducia che non sarà solamente un venticello che smuove un po’ di polvere, ma sarà certamente qualcosa che penetra nella profondità del terreno delle nostre vite e anche delle relazioni nella nostra società. Però tutto è nelle mani della Provvidenza. Noi siamo in attesa, noi soprattutto come clero, come laici impegnati, siamo in attesa di una parola, ma soprattutto siamo riconoscenti al Santo Padre, perché tutto è nato dal suo cuore. Questa visita improvvisa, che io definisco ufficiale, ma familiare, questa visita certamente scuoterà le coscienze.

D. – Quanto è difficile portare la Parola di Dio in questo momento in questa terra? Quanto è difficile essere sacerdoti qui?

R. – Lo è certamente, ma non è più difficile di altri momenti storici, perché la proposta cristiana incontra sempre le avversità di un modo di vivere ormai consolidato. Questo è stato in tutte le epoche. Lo è ancora di più oggi, ed è certamente difficile. Rispondere alla vocazione di essere sacerdote significa mettersi completamente nelle mani di Dio e al servizio del popolo. Queste due cose sono inscindibili e fondamentali e ciò che il popolo ci chiede a tutti i livelli, compreso quello religioso, è qualcuno che condivida fino in fondo la vita feriale, che in molti momenti, e in questo particolarmente, è veramente difficile. Qui non c’è solo degrado, ma c’è tanta gente che vuole non una riscossa ma una ripresa. Ed è volenterosa e c’è bisogno solo di prenderla un attimo per mano e incoraggiarla.

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Missione e gioia: i laici si preparano al Congresso di novembre

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Si svolgerà a Roma, tra il 20 e il 22 novembre prossimi, il terzo Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità. Un appuntamento che queste realtà ecclesiali hanno già sperimentato in passato sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II, nel 1998, e sotto quello di Benedetto XVI, nel 2006. All’evento, organizzato dal Pontificio Consiglio per i laici, guidato dal cardinale Stanislaw Rilko, parteciperanno i delegati delle realtà associative più diffuse nel mondo. Tema dell’incontro: “La gioia del Vangelo: una gioia missionaria”, ispirato all’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Stefano Leszczynski ha intervistato Stefano De Pasquale Ceratti, responsabile della Sezione associazioni e movimenti del Pontificio Consiglio per i Laici: 

R. - La storia dei Congressi mondiali dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità inizia circa 15 anni fa, quando nel 1998 Giovanni Paolo II convoca a Roma, nella solennità di Pentecoste, tutte queste nuove realtà che costituiscono una nuova stagione aggregativa all’interno della Chiesa. In occasione di quell’incontro in Piazza San Pietro con il Santo Padre, il Pontificio Consiglio per i laici promuove ed organizza il Primo Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità. Questo ha un seguito nel 2006, quando Benedetto XVI, a sua volta, convoca a Roma, sempre in occasione della Pentecoste, i movimenti ecclesiali e le nuove comunità. È bello ricordare che a questo secondo evento partecipano quasi il doppio delle realtà aggregative rispetto a quelle presenti nel 1998, e questo che si terrà dal 20 al 22 novembre del 2014, è il Terzo Congresso mondiale in cui movimenti ecclesiali e nuove comunità si incontrano con l’organizzazione del Pontificio Consiglio per i laici.

D. - Possiamo quasi parlare di un importante percorso storico di crescita per questi movimenti, in continuità con l’evoluzione della storia della Chiesa e dei pontificati…

R. - È bello vedere come ci sia grande continuità in questi eventi ed è bello vedere anche come le tematiche affrontate all’interno dei diversi Congressi cambino, in qualche modo. Perché se il 1998 era un po’ una fase che potremmo definire “quasi adolescenziale” di queste realtà aggregative - nate per lo più dopo il Concilio Vaticano II e che nel 1998 erano sì ormai presenti e attive ma si stavano strutturando - oggi ci confrontiamo con delle realtà diverse, la cui presenza e attività si sono ormai consolidate e che affrontano problematiche e sfide differenti, sia internamente alle proprie comunità, sia in relazione al nuovo forte richiamo di Papa Francesco a questa uscita missionaria. Proprio per questo abbiamo voluto centrare il tema del Congresso scegliendo una frase dell’Evangelii Gaudium.

D. - Evangelizzazione e missionarietà sono due temi ricorrenti: due obiettivi, due traguardi che vengono perseguiti sempre dai Movimenti ecclesiali e dalle nuove comunità. Questo - in un contesto internazionale, mondiale quale sarà quello del Congresso - pone ovviamente delle problematiche interessanti di confronto tra queste realtà ecclesiali…

R. - È molto bello come in queste occasioni ci sia davvero una ricchezza che scaturisce dalla presenza di realtà molto eterogenee tra loro e provenienti da aree geografiche differenti, da tutti i continenti, da realtà agiate e disagiate, da Paesi di evangelizzazione e da Paesi di nuova evangelizzazione. Di fatto, questo costituisce un arricchimento per tutti, sia per le realtà aggregative - ormai consolidate da molti anni più grandi e più diffuse a livello internazionale - sia per le realtà carismatiche appena nate, che forse affrontano problematiche e sfide diverse, ma che possono - di fatto - anche dare una testimonianza di freschezza, di vitalità forse ancora maggiore.

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Rinunce e nomine episcopali nelle Filippine e in Cile

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Nelle Filippine, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di San Fernando, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Paciano Aniceto. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Florentino Galang Lavarias, trasferendolo dalla sede di Iba. Il presule è nato a Santa Ines, Mabalacat, Pampanga, nell'arcidiocesi di San Fernando (Filippine), il 14 marzo 1957. Dopo aver frequentato le scuole elementari e secondarie a Pampanga, ha studiato all'Università Holy Angel ove ha seguito i corsi di Business Management. In seguito ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso il seminario di San Carlos. Fu ordinato sacerdote per l'arcidiocesi di San Fernando il 26 settembre 1985. Ha esercitato il ministero sacerdotale nei seguenti uffici: Vice-Parroco della Cattedrale di San Fernando (1985-1986); Direttore spirituale del Mother of Good Counsel Seminary (1986-1989); Direttore del Pre-College of Mother of Good Counsel Seminary (1989-1995); Direttore del College Department of Mother of Good Counsel Seminary (1995-1996); Direttore del Comitato per la formazione dei sacerdoti (1995-1997); Parroco della Lord's Ascension Parish a San Fernando (1996-1998); Membro e poi Responsabile principale dello Staff dell'Assisted Intensive Renewal della Conferenza Episcopale (1998- 2004).

Eletto il 19 giugno 2004 Vescovo di Iba, è stato consacrato il 12 agosto 2004. All'interno della Conferenza Episcopale delle Filippine è Presidente della Commissione Episcopale per il Clero.

Sempre nelle Filippine, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Dipolog, presentata per raggiunti limiti di età da mons. José R. Manguiran. Al suo posto, il Papa ha nominato il sacerdote Severo C. Caermare, del clero della diocesi di Dipolog, finora amministratore della Saint Anthony parish. Il neo presule è nato a Poblacion, Sibutad, Zamboanga del Norte, nella diocesi di Dipolog, il 22 ottobre 1969. Ha compiuto gli studi filosofici presso il Cor Jesu Seminary e St. Vincent College di Dipolog City e quelli teologici al St. John Vianney theological seminary di Cagayan de Oro City ove ha conseguito un Master in Teologia e Ministero Pastorale. E' stato ordinato sacerdote, per la diocesi di Dipolog, il 22 aprile 1996. In seguito è stato: Amministratore della Our Mother of Perpetual Help parish, Godod, Zamboanga del Norte (1996-1997); Formatore al Cor Jesu Seminary di Dipolog City (1997-2002); Amministratore di San Isidore parish, Gutalac, Zamboanga del Norte (2002-2003); Formatore presso il St. Mary's Theologate di Ozamis City (2003-2004); Rettore, professore e liturgista al Cor Jesu Seminary di Dipolog City (2004-2006); Formatore, professore e Decano degli studi presso il St. Mary's Theologate di Ozamis City (2006-2007); Rettore e professore presso il St. Mary's Theologate di Ozamis City (2003-2004). Dal 2013 è stato Amministratore presso la St. Antonio de Padua parish a Gulayon, Dipolog City. Dal 1° maggio di quest’anno, è Rettore della Cattedrale di Nostra Signora del Santissimo Rosario a Dipolog City.

In Cile, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Copiapó, presentata raggiunti limiti di età da mons. Gaspar Francisco Quintana Jorquera, C.M.F. Al suo posto, il Pontefice ha nominato padre Celestino Aós Braco, dei Frati minori Cappuccini, finora vicario parrocchiale della Parrocchia di “San Francisco de Asís” a Los Ángeles, diocesi di Santa María de Los Ángeles (Cile). Mons. Aós Braco è nato a Artaiz, arcidiocesi di Pamplona (Spagna), il 6 aprile 1945. Compì gli studi filosofici a Zaragoza e quelli teologici a Pamplona. Ottenne la Licenza in Psicologia presso l’Università di Barcelona (Spagna). Ha emesso la professione temporale religiosa come Francescano Cappuccino il 15 agosto 1964 a Sangüesa e la professione perpetua il 16 settembre 1967 a Pamplona. È stato ordinato sacerdote a Pamplona il 30 marzo 1968. Ha svolto successivamente i seguenti incarichi: in Spagna è stato Professore a Lecaroz – Navarra, Vicario a Tudela, Professore a Pamplona e Vicario a Zaragoza. Inviato nel 1983 nel Cile è stato Vicario Parrocchiale della Parrocchia di Longavi, Superiore della Comunità a Los Ángeles, Parroco della Parrocchia di “San Miguel” a Viña del Mar, Superiore della comunità di Recreo, Vicario Episcopale per la Vita Consacrata della diocesi di Valparaiso, e, dal 2008, Vicario Parrocchiale della Parrocchia di San “Francisco de Asís” a Los Ángeles, diocesi di Santa María de Los Ángeles. S.E. Mons. Aós Braco è stato inoltre Economo provinciale dei Cappuccini in Cile, Promotore di Giustizia del Tribunale ecclesiastico di Valparaiso, Giudice del Tribunale dell’arcidiocesi di Concepción e Tesoriere dell’Associazione cilena di diritto canonico.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Persone reali nell’era digitale: Papa Francesco per il quarto congresso nazionale della pastorale delle comunicazioni sociali in Brasile, con un’intervista di Gianluca Biccini all’arcivescovo Claudio Maria Celli.

Aggiungi un posto a tavola: il Papa alla mensa del centro industriale.

Terrore nella Striscia di Gaza: molti bambini tra le vittime dell’attacco a una scuola gestita dall’Onu a Beit Hanun.

Dal laboratorio alla corsia (e ritorno): Carlo Petrini su percorsi e cautele della ricerca in medicina.

Da subito nel cuore dell’arte cristiana: Fabrizio Bisconti su figure femminili nell’iconografia dei primi secoli.

Un articolo di Fortunato Turrisi dal titolo “La California non è un’isola”: pubblicato l’epistolario di Francesco Eusebio Cini.

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Oggi in Primo Piano



Gaza, si lavora a tregua. La Caritas: situazione umanitaria tragica

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Si continua a lavorare per una tregua a Gaza, dove la popolazione palestinese è ormai allo stremo dopo 18 giorni di guerra. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha lanciato un accorato appello per una “pausa umanitaria”. Stamani Ban ha incontrato al Cairo il segretario di Stato Usa, John Kerry, e il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Choukri.

Gli Usa hanno proposto una bozza di accordo che attende la risposta da entrambe le parti: una settimana di stop ai combattimenti, che comincerebbe nel fine-settimana, durante la quale si lavorerebbe a una tregua più duratura e comprensiva. Durante la tregua temporanea, l'esercito israeliano rimarrebbe all'interno della Striscia di Gaza, per continuare a localizzare e distruggere i tunnel. E durante il cessate-il-fuoco, Israele e Hamas dovrebbero sedersi a un tavolo negoziale per definire un'ipotesi di intesa più ampia. Il leader di hamas, Khaled Meshaal, ha detto che vuole la tregua ma che deve essere accompagnata dalla fine del blocco a Gaza. Finora sono oltre 800 i palestinesi che hanno perso la vita, quasi tutti civili. 34 le vittime israeliane. Intanto la situazione è diventata molto tesa anche in Cisgiordania. Almeno tre palestinesi sono rimasti uccisi e 200 feriti in scontri in varie città. Sulla situazione umanitaria, ascoltiamo padre Raed Abusahlia, direttore della Caritas di Gerusalemme, al microfono di Marina Tomarro: 

R. – Certamente, Hamas lancia razzi su Israele, ma siamo di fronte all'esercito più forte della regione, il quarto nel mondo, che attacca tutta la Striscia di Gaza, e soprattutto i civili. A causa di questa aggressione, oggi ci sono almeno 150 mila persone che hanno abbandonato le loro case e non sanno dove andare. La maggioranza di loro vive nelle scuole, ma le scuole non sono attrezzate per proteggere i civili: non c’è niente. Noi della Caritas ci siamo occupati di due scuole, provvediamo al loro cibo, all’acqua, al latte per i bambini e al gasolio per il generatore elettrico. Ci stiamo ingegnando quanto possiamo in questi giorni, sperando che la guerra finisca il più presto possibile …

D. – Riescono ad arrivare alcuni aiuti umanitari da fuori o al momento è tutto bloccato?

R. – No, è tutto completamente bloccato! L’Onu cerca di fare entrare un po’ di cibo dalla parte israeliana, ma dalla parte egiziana il passaggio di Rafah è bloccato. In questi 18 giorni, l’hanno aperto per alcune ore per evacuare alcuni feriti verso l’Egitto e la Giordania e per far uscire gli stranieri che abitavano o lavoravano a Gaza. Dunque, anche questa è una situazione drammatica. In più, questi bombardamenti hanno distrutto molto: si parla di almeno 2.000 case interamente distrutte! Dunque, le persone che hanno lasciato le loro case non sanno se - quando alla fine della guerra torneranno - ritroveranno le loro case. Questo non è accettabile e per questo non si può tacere, il mondo deve intervenire e porre fine a questa situazione di guerra.

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Sacerdote di Aleppo: popolazione stremata ma non disperata

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Sono più di 70, nelle ultime ventiquattro ore in Siria, le vittime degli scontri tra esercito e jihadisti dello Stato islamico nel nordest del Paese. Il gruppo radicale continua la sua avanzata per estendere l’egemonia tra le province di Raqqa, Hassaka e Aleppo. E’ il primo confronto diretto tra Isis e regim, entrambi impegnati a loro volta contro i ribelli, in una situazione sempre più drammatica soprattutto per i civili, come racconta al microfono di Gabriella Ceraso il gesuita padre Ghassan Sahoui raggiunto telefonicamente ad Aleppo: 

R. – Purtroppo, con questa crisi,tanta gente ha perso il lavoro. L’elettricità non viene quasi, forse una o due ore al giorno, e poi purtroppo da quasi due mesi tanta gente non ha più acqua e quindi camminando vediamo anche i bambini di quattro-cinque anni portare una cisterna di acqua, qualcosa di grande e pesante… Insomma, è una situazione davvero di miseria …

D. – E quale è oggi il vostro sforzo ad Aleppo per aiutare la popolazione?

R. – Proviamo ad aiutare chi ha perso il lavoro e che quindi non ha soldi per vivere, quelli che hanno lasciato le loro case, proviamo a dare loro qualcosa da mangiare, qualcosa per vestirsi, soprattutto per i bambini. Abbiamo creato un dispensario per aiutare anche dal punto di vista psicologico. Per le donne, cerchiamo di procurare lavori manuali… Non è facile, ma grazie a Dio ci sono persone che lottano per vivere e si ingegnano a creare nuovi lavori, che non cedono alla disperazione.

D. – L’avvicinarsi del pericolo dei jihadisti dello Stato islamico anche in Siria crea paura, per esempio, nella comunità cristiana, tra chi è rimasto?

R. – Percepiamo più forte l’incertezza per il futuro. Tanta gente ha già lasciato Aleppo e la Siria, ma quelli che sono rimasti credo che abbiamo scelto di rimanere perché vogliono fare qualcosa per aiutare gli altri cristiani e anche i musulmani, direi, che sono convinti della loro missione e della loro esistenza qui: non vogliono andare via.

D. – Quindi, la situazione è tutt’altro che pacificata, anche se noi rischiamo di dimenticarlo visto che ci sono dei drammi molto grandi, proprio al confine, in Iraq e in Terra Santa...

R. – Noi diciamo sempre: grazie a Dio, noi siamo vivi anche se con difficoltà e se non è proprio una condizione ideale. Ma almeno siamo vivi. Ma quando guardiamo all’Iraq oppure a Gaza, alla Terra Santa tutta, sentiamo una certa misericordia e una certa solidarietà con i nostri fratelli cristiani, ma anche con i musulmani, che subiscono da tutti questi danni, purtroppo.

D. – Se lei dovesse ora esprimere un auspicio guardando al futuro, cosa direbbe?

R. – Vorrei dire: basta con la violenza, la violenza non è la soluzione. Meglio sarebbe aiutare e incoraggiare il dialogo e la riconciliazione. E spero anche che la Chiesa in tutta la Siria sia più unita, che tutti noi collaboriamo insieme per dare la testimonianza che Cristo stesso si aspetta da noi come cristiani, qui, come cristiani di tutte le Chiese.

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Mali: cessate ostilità, primo passo verso la pace

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Una road map che porti il Mali ad una pace definitiva. È l’accordo siglato ad Algeri tra il governo di Bamako e sei gruppi ribelli che controllano ampie parti del nord del Paese. Dopo anni di instabilità con il golpe del 2012, l’autoproclamata indipendenza della regione dell’Azawad e gli attacchi delle milizie Tuareg e di gruppi legati ad Al Qaeda, l’anno scorso è stato eletto presidente Ibrahim Boubacar Keita. Ora l’intesa prevede una cessazione delle ostilità, monitorata dalla Missione Onu per il Mali (Minusma), per permettere il proseguimento dei negoziati tra agosto e ottobre. Giada Aquilino ne ha parlato con l’africanista Angelo Turco, docente all’Università Iulm di Milano: 

R. – Vuol dire che intanto si stanno facendo prove parziali per un accordo più generale che deve essere necessariamente politico, su basi che vanno consolidate. Mi sembra che per ora si possa registrare un segnale di buona volontà tra le parti e un successo della diplomazia algerina.

D. – Che Paese è il Mali?

R. – E’ complesso come in passato, con tuttavia prospettive di pacifica convivenza tra le popolazioni del nord, Tuareg e arabi, e le popolazioni del sud, sedentarie, mentre quelle dell’Azawad sono evidentemente nomadiche. Dopo anni terribili di sconvolgimenti e guerra, devono trovare un’intesa politica per tornare a vivere insieme.

D. – Ma quelle spinte di indipendenza autoproclamata proprio nel nord, nella regione dell’Azawad, si possono pensare rientrate oppure no?

R. – La propensione all’indipendenza Tuareg non è cosa di oggi, né di ieri; ha già una sua storia ed una sua cultura. L’accordo raggiunto ora ad Algeri – un semplice accordo di agenda, su come muoversi nei prossimi sette, otto mesi – nasce sulla base di un accantonamento preventivo delle richieste di indipendenza e quindi di riconoscimento dell’integrità dello Stato maliano come un bene a cui nessuna delle parti in causa vuole rinunciare. Spetta adesso alle parti, in particolare a Bamako, non disperdere questo capitale di buona volontà che si è raggrumato attorno all’operazione di Algeri.

D. – Nel quadro africano, che ruolo riveste il Mali?

R. - Nel quadro subsahariano, in particolare sahel-sahariano, riveste un ruolo di grande importanza perché è un crocevia di interessi strategici e traffici, alcuni leciti altri meno leciti: quindi, si tratta di una zona che è nell’interesse della comunità internazionale, ma anche della comunità regionale, tenere in forma stabile e pacificata.

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Cristiani perseguitati: nel mondo un morto ogni 5 minuti

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Balza alle cronache ogni giorno di più il diffondersi di gruppi islamici in Africa e in Medio Oriente – dal Sudan, alla Nigeria, passando per l'Iraq fino alla Siria – che con violenza cercano di imporre un regime che rinnega democrazia e libertà religiosa e che perseguita i cristiani. In alcuni casi, i cristiani divengono vittime in quanto coinvolti in conflitti tribali per i quali rifiutano di imbracciare le armi. Ci sono discriminazioni forti anche in altre aree della ex "primavera araba", come Tunisia, Libia, Egitto. Ma la persecuzione contro i cristiani non riguarda solo i Paesi dove è sempre più crescente l'influenza islamica. Resta alta in Paesi ex comunisti – come Corea del Nord, Vietnam – ma anche in altri Paesi, come Eritrea, Kenya o Colombia, di cui si parla molto meno. Fausta Speranza ha intervistato Massimo Introvigne, docente di Sociologia delle religioni alla Pontificia Università di Torino: 

R. – Le statistiche sulla persecuzioni dei cristiani sono controverse, ma non c’è dubbio che i cristiani siano la minoranza più perseguitata nel mondo. Possiamo effettivamente arrivare alla cifra di 100-105 mila cristiani uccisi per ragioni di fede e di coscienza ogni anno, cioè un morto ogni cinque minuti.

D. – Questi sono i casi dei martiri che perdono la vita. Ma ci sono tante vessazioni, persecuzioni, difficoltà nel quotidiano proprio nell’accedere alle funzioni o altro in diversi Paesi. È così?

R. – Sì. In un incontro con il Corpo diplomatico, Benedetto XVI ricordò che il 75% delle discriminazioni religiose nel mondo riguardano i cristiani e Papa Francesco ci ha detto più volte che i cristiani oggi sono in una situazione peggiore rispetto ai tempi delle persecuzioni dei primi secoli. Grosso modo, ci sono quattro aree di difficoltà. La prima riguarda alcuni Paesi a maggioranza islamica: comprendono i casi che sono sotto gli occhi di tutti in questi giorni, sia quando si tratta di governi che discriminano, sia quando si tratta di organizzazioni private, terroristiche, come avviene in Nigeria o in Iraq. Ci sono poi ancora Paesi con regimi totalitari di origine comunista, pensiamo alla Corea del Nord, di cui finalmente si sono occupate anche recentemente le Nazioni Unite.

D. – Poi, ci sono Paesi di cui sappiamo poco. Per esempio, in Eritrea sappiamo che ci sono grandi difficoltà ma non abbiamo informazioni. È così?

R. – Sì. Dell’Eritrea sappiamo poco nonostante il benemerito lavoro di alcune ong cristiane. Sappiamo poco della Somalia e, come dicevo, della Corea del Nord.

D. – Un altro Paese segnalato dall’organizzazione statunitense "Open the doors", che si occupa di persecuzione dei cristiani, è la Colombia. Di solito, dell’America Latina non si parla in relazione alle persecuzioni e discriminazioni nei confronti dei cristiani. Sa qualcosa di questo Paese?

R. – Sì. In Colombia dobbiamo distinguere fra diversi tipi di fenomeno. Prima di tutto, ci sono zone che sono praticamente controllate da narcotrafficanti che trovano l’opposizione più ferma dei cristiani, spesso anche da parte di cattolici, che sono poi perseguitati e qualche volta uccisi dai trafficanti di droga per la loro fermissima opposizione al narcotraffico. "Open the doors", che è un’organizzazione protestante, credo si sia occupata anche del fatto che tra il governo colombiano, ma direi soprattutto tra i media colombiani e alcune organizzazioni protestanti, ci siano stati degli scontri. Gli scandali che sono stati sollevati nei confronti di queste organizzazioni forse sono stati creati ad arte per ragioni politiche. Esiste certamente anche questo problema, ma a me sembra che in Colombia il problema più grave e drammatico che ha provocato numerosi morti sia quello del narcotraffico e di forze terroristiche a esso legate. Per esempio, solo negli ultimi tre anni hanno ucciso dieci sacerdoti cattolici.

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Unicef: oltre 700 milioni le spose-bambine nel mondo

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Oltre 130 milioni di bambine hanno subito qualche forma di mutilazione genitale nei 29 Paesi dell'Africa e del Medio Oriente dove questa pratica è più diffusa. Gravi i rischi conseguenti quali emorragia, infezioni, sterilità e morte. A fornire le cifre nel corso del “Girl Summit” che si è tenuto Londra è l’Unicef. Rilevanti anche i dati riguardanti il matrimonio precoce che coinvolge nel mondo più di 700 milioni di bambine e di adolescenti. Su questa emergenza, Adriana Masotti ha intervistato il presidente di Unicef Italia, Giacomo Guerrera

R. - Sì, è un problema grandissimo. I matrimoni precoci hanno una base culturale in quei Paesi dove le donne poi sono sicuramente esposte ad ogni tipo di violenza sia all’interno della famiglia che nella società. Il matrimonio precoce è un matrimonio che molto spesso non è destinato neanche a durare. Le bambine, una volta sposate, vengono poi abbandonate e sono preda di qualsiasi forma di violenza, anche sessuale. Con il parto subiscono tutta una serie di altri danni fisici che le porta ad avere delle invalidità permanenti! Queste ragazze si trovano praticamente in una condizione di schiavitù nei confronti dei loro mariti.

D. - Lei ha parlato di radici culturali, ma spesso è anche la necessità di non dover pensare ad una bocca in più, quando non c’è da mangiare …

R. - Quello che lei dice è la verità in tutte le situazioni di maggior disagio. A volte questo matrimonio comporta anche un aiuto concreto per la famiglia da parte dello sposo. Queste sono situazioni drammatiche, terribili. C’è la povertà alla base di queste situazioni in cui i diritti dei più deboli vengono calpestati. Questo caso è un esempio concreto di come sia possibile tradire dei diritti, non consentire ai bambini di godere dei loro diritti.

D. - E allora che cosa fare? Cosa fa l’Unicef per dare un futuro diverso a queste bambine e ragazze?

R. - L’Unicef è fortemente impegnata sotto l’aspetto culturale  con le iniziative che continua a fare nei villaggi e nelle comunità rurali - perché poi è da quelle zone che si muove molto di questa situazione - dove cerchiamo di far capire come questo tipo di soluzione sia sbagliata. Ma quello che facciamo è, soprattutto, portare l’istruzione che per queste bambine è un vero salvavita, non soltanto per il matrimonio ma per tanti altri diritti non rispettati. L’unica possibilità di affrancarsi rispetto a queste situazioni è l’istruzione. Questo è un problema - dobbiamo dircelo con estrema sincerità - che non possiamo risolvere nel giro di un anno o due, c’è un processo lento da avviare e da consolidare. Abbiamo notato che i matrimoni precoci sono diminuiti in alcune zone dove l’Unicef è intervenuta: in Kenya, in Tanzania, in Repubblica Centrafricana, in Iraq, in Liberia … Tutti Paesi dove abbiamo fortemente puntato sul coinvolgimento delle comunità locali e sull’educazione.

D. - Il vostro direttore generale, Anthony Lake, sostiene: “Le ragazze non sono una proprietà ma hanno il diritto di poter determinare il proprio destino. Quando lo fanno tutti ne beneficiano”. Mi sembra che il punto di svolta sia qui …

R. - È proprio qui il punto. Prima parlavo dell’istruzione: noi abbiamo dimostrato che un anno di istruzione in più per le bambine determina una crescita del Pil di una qualsiasi di queste nazioni anche dello 0.8 o dell’1 percento! Cosa vuol dire questo? Esiste questa capacità da parte di soggetti che vivono nella comunità - che sono le bambine - che possono contribuire in maniera determinante alla crescita di questi Paesi. E noi dobbiamo farlo capire! Le donne hanno un ruolo importantissimo in queste comunità. Una donna istruita vuol dire molto: significa una crescita economica, bambini sani … É importante quindi puntare sull’istruzione ed è quello che l’Unicef fa.

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Cinema. Presentati i film in concorso al Festival di Venezia

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Presentata la 71.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia in programma al Lido dal 27 agosto al 6 settembre: opere scelte da tutto il mondo, registi noti e molti giovani, titoli attesi e tante scoperte, nel segno del rischio e dell’innovazione. Una Mostra dalla forte identità e vocazione internazionale, come l’ha descritta Paolo Baratta, Presidente della Biennale, e come l’ha realizzata il direttore Alberto Barbera. Il servizio di Luca Pellegrini

Una Mostra del cinema che annovera un record storico: quaranta Paesi del mondo rappresentati con le loro cinematografie, numerose sorprese che possono arrivare dalla Georgia, dall’Azerbaijan, dalla Croazia, dagli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, così come Macedonia e Serbia, oltre ai Paesi di grande tradizione, quest’anno soprattutto la Francia, con quattro film in concorso e altri titoli nella sezione "Orizzonti", segno di un’ottima annata per il Paese d’Oltralpe, quello che ha più colpito i selezionatori. Ottima presenza anche degli italiani: Martone con il suo film su Giacomo Leopardi, Costanzo, Ferrario, Munzi, Salvatores. Emergono temi forti e attuali, come le guerre di ieri e di oggi, le grandi crisi internazionali e i loro effetti sulle famiglie, la riflessione sulla politica, dittatori e genocidi, e il rapporto intimo con la letteratura, fonte di libera ispirazione per molti dei registi presenti al Lido. Anche un timido affacciarsi della commedia, però, una bella sezione dedicata ai documentari che approfondiscono il cinema e il rapporto di alcuni protagonisti della vita italiana con la settima arte - Andreotti e Gian Luigi Rondi - i tre nuovi film realizzati da giovanissimi nell’ambito del progetto "Biennale College". Una Mostra, dunque, che osa e si assume dei rischi, come commenta il suo direttore,  Alberto Barbera:

R. - Ci sono naturalmente anche film tesi, ma nello stesso tempo altri assolutamente inaspettati. Credo che questa sia una delle missioni principali che una mostra d’arte cinematografica deve darsi. Quindi, non soltanto accontentarsi del già noto e del prevedibile, ma andare alla ricerca di quanto di nuovo, di innovativo accade in giro per il mondo. Poi, ci sono tanti autori giovani che hanno voglia di raccontare storie diverse con la capacità comunque di emozionare, colpire, sorprendere, coinvolgere che, anche quando raccontano storie di Paesi lontani dal punto di vista geografico e culturale dal nostro, in realtà scopriamo di poterci identificare, riconoscere perché poi i temi sono sempre gli stessi, cioè quelli che hanno a che fare con l’individuo, con la crisi dei modelli sociali ed economici. Che il cinema di casa nostra sia più facilmente comprensibile è un pregiudizio: in realtà, le mostre servono per capire che esiste un cinema vivace, interessante, altrettanto bello e spettacolare rispetto al cinema che conosciamo che non arriva allo spettatore se non attraverso i festival.

D. - Anche il rapporto con la fede non manca nelle proposte della Mostra veneziana. Il film, fuori concorso, si intitola Discorsi con Dio:

R. - Il progetto di Guillermo Arriaga, un grandissimo scrittore messicano, un grande sceneggiatore che ha scritto tutti i primi film di Alejandro Iñárritu, divenuto regista in proprio, nasce l’idea di chiedere a un certo numero di suoi colleghi registi e amici di confrontarsi con il tema della religione, dell’esistenza di Dio. È un film prodotto da un regista islamico, da un ebreo, da un buddista, da un ateo, da un agnostico, quindi i diversi punti di vista delle diverse religioni e anche di chi non crede in Dio o non si preoccupa dell’esistenza di Dio. Tutto questo per confrontarsi con il tema della spiritualità che è sicuramente tornato ad essere un tema con il quale oggi in tutto il mondo le persone hanno voglia di confrontarsi.

D. - Omaggio in questo senso ai 50 anni del Vangelo secondo Matteo di Pasolini con un Convegno curato dall’Ente dello Spettacolo in programma il 1 settembre. E un omaggio al decano del cinema mondiale, Manoel de Oliveira, ancora sul set a centocinque anni. Per Barbera una sorpresa...

R. - Assolutamente sì! Quando ho ricevuto la mail del suo produttore che diceva che Oliveira aveva appena completato un cortometraggio di 19 minuti e che lo proponeva per Venezia, devo dire che lo abbiamo preso praticamente a scatola chiusa: come si fa a non essere incuriositi e affascinati da un personaggio così straordinario come Manoel de Oliveira?

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: i miliziani dell’Isis distruggono la moschea di Giona a Mosul

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Gravissimo atto di vandalismo in Iraq. I miliziani dello Stato islamico hanno distrutto ieri a Mosul la moschea di Nabi Yunis - il profeta Giona – luogo di pellegrinaggio di musulmani sia sunniti sia sciiti e simbolo della cittadina irachena da tempo controllata dai jihadistii. Per loro – riferisce il blog Baghdadhope, ripreso dall’agenzia Sir – era diventato un "luogo di apostasia e non di preghiera” perché "frequentato sia da musulmani sia da cristiani". I miliziani hanno prima imposto ai fedeli l’abbandono della moschea e poi l’hanno fatta saltare in aria. In origine era un luogo di culto cristiano dedicato a San Giorgio, risaliva al XII secolo. L’episodio è l'ultimo di una lunga serie che ha visto i membri dell’Isis occupare chiese e moschee sciite e costringere alla fuga le minoranze etniche o religiose perché in opposizione al califfato islamico. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono i curdi ai quali è stato chiesto di lasciare Mosul entro domani, come già avevano fatto una settimana fa con i cristiani. Proprio in solidarietà con i cristiani, lunedì saranno in Iraq il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, mons. Micheal Dubost, vescovo di Evry-Corbeil-Essones, e mons. Pascal Gollnisch, direttore generale dell'Oeuvre d'Orient. Una missione – riferiscono – con la quale lottare “contro l'indifferenza” in preghiera con le comunità minacciate.

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Egitto, non c'è più nessun cristiano nella città natale di Sant'Antonio Abate

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Non c'è una chiesa né un solo cristiano nella città egiziana di Qumans, nota anticamente con il nome di Coma, nella provincia centrale di Beni Suef, dove nel 251 d.C. nacque Sant'Antonio Abate, considerato l'iniziatore del monachesimo cristiano. Lo rilevano fonti egiziane consultate dall'Agenzia Fides. Negli ultimi tempi i capi delle comunità copte ortodosse della regione hanno preso atto che i flussi migratori interni registrati nell'area hanno comportato anche il trasferimento delle ultime famiglie che abitavano nei pressi del villaggio, in un'area dove alcuni fondi agricoli vengono ancora indicati come antichi possedimenti della famiglia di provenienza del grande santo. L'intenzione di valorizzare il luogo di nascita di Sant'Antonio potrebbe portare in futuro – come ipotizzato da parte di alcuni esponenti della Chiesa copta – alla costruzione ex novo di un santuario da suggerire ai fedeli come meta di pellegrinaggio.

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Azione Cattolica. Giornata di preghiera per la pace il 6 agosto

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Il prossimo 6 agosto, festa della Trasfigurazione, l’Azione Cattolica Italiana ha aderito alla Giornata di preghiera per la pace indetta dalle Ac del mondo. Un’iniziativa che cade anche in occasione del tragico lancio della bomba atomica a Hiroshima (1945), la morte di Paolo VI (1978) e  nel 50. mo anniversario dell’Ecclesiam Suam, l’enciclica del dialogo di Papa Montini. “La situazione dolorosa e drammatica che vivono diversi Paesi  - si legge in un comunicato - ci porta ancora una volta a denunciare che la guerra e il terrorismo generano inutili stragi che approfondiscono le divisioni e, soprattutto, uccidono! Sì! uccidono fratelli e sorelle, senza distinzione di credo o di appartenenza etnica”. Particolarmente preoccupanti sono gli scenari di Iraq, Siria, Striscia di Gaza, Israele, Ucraina ma anche “altre parti del mondo oggi soffrono un dolore indescrivibile di fronte al quale – si legge - non possiamo rimanere indifferenti”. L’appello alla comunità internazionale è che cessi la violenza, si promuova il dialogo, si chieda il dono della giustizia e della pace in ogni angolo della terra. “Invitiamo tutti a unirsi nell'impegno e nella preghiera fiduciosa e insistente – continua il comunicato - perché la pace vinca la violenza come ci ricorda ripetutamente Papa Francesco: 'Il Dio della pace susciti in tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace!'". (B.C.)

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Caritas Grosseto aperta anche in agosto: "La carità non va in vacanza"

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La Caritas di Grosseto resta “aperta per ferie” perché la carità non va in vacanza neppure d’estate. “In un momento di così acuta difficoltà per tante persone e tante famiglie - sottolineano il direttore don Enzo Capitani e il vice Luca Grandi - continueremo a presidiare, coi nostri servizi, il territorio, perché non ci sia chi, durante il periodo estivo, possa trovarsi senza una mano tesa”. Innanzitutto, in occasione della festa del patrono, sarà lanciata la “Raccolta di san Lorenzo” in offerte in denaro o generi alimentari che saranno affidati alla Caritas. Per tutto il mese di agosto, grazie ai volontari che garantiscono una presenza continua e ai giovani del servizio civile, la Caritas continuerà a tenere aperti i propri servizi: la mensa, nella sede di via Alfieri, grazie anche al contributo economico del Coeso-SdS; il centro di ascolto diocesano, aperto dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 per far fronte alle esigenze dei più poveri di tutta la diocesi, di concerto con le parrocchie; il Centro di accoglienza (dal lunedì al sabato dalle 9 alle 12.30), così come continuerà il servizio docce e il servizio guardaroba, che consentono a quanti versano in situazioni di estrema marginalità sociale di lavarsi ed avere un cambio pulito.

C’è poi l’Emporio della solidarietà, dove a 120 famiglie indigenti sarà garantita anche ad agosto la possibilità di fare la spesa nel centro di via Pisa: il lunedì dalle 9.30 alle 12.30; il mercoledì e venerdì dalle 15 alle 18. Accanto ai servizi verso i poveri, la Caritas diocesana sarà impegnata anche nel servizio di formazione dei giovani. Oltre ai ragazzi del servizio civile, infatti, sarà ospitato un campo di volontariato proposto da una parrocchia della diocesi di Milano a giovani dai 16 ai 18 anni, che nella prima settimana di agosto saranno coinvolti nella distribuzione di indumenti e dei pasti. “Una Chiesa che sia presente nelle periferie esistenziali anche in quel periodo dell’anno in cui l’impegno potrebbe ridursi: abbiamo voluto interpretare in questo modo - spiegano don Enzo Capitani e Luca Grandi - i continui richiami alla carità che ci vengono da Papa Francesco e dal nostro vescovo Rodolfo Cetoloni, intensificando ancora di più le nostre attività nei mesi estivi per essere sempre prossimi agli ultimi e portare una testimonianza evangelica di carità e giustizia, come veri e propri tessitori di prossimità”.

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Slovacchia: al via il raduno della gioventù mariana

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Si è aperto oggi a Nitra, in Slovacchia, il settimo meeting nazionale dell’Associazione della gioventù mariana. Un raduno sotto il segno di Giovanni Paolo II che ha come tema una delle sue frasi storiche: “Non abbiate paura”. “Si tratta di un evento – riferisce il Sir - in cui tutti i membri dell’associazione, gli animatori, i leader della comunità, i religiosi e le persone di buona volontà provenienti da tutta la Slovacchia e toccati dalla spiritualità mariana, condividono le proprie esperienze di vita e di lavoro sotto la protezione della Vergine Maria”. Nel corso del meeting, in programma fino al 28 luglio, sono previste celebrazioni eucaristiche, adorazioni, momenti di preghiera e discussioni ma anche l’evangelizzazione per le strade di Nitra. A guidare l’evento ci sarà mons. Jozef Halko, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Bratislava, uno dei momenti più importanti sarà il pellegrinaggio alla chiesa di San Michele di Drázovce, uno dei più antichi monumenti dell’inizio del cristianesimo in Slovacchia, edificato all’inizio del XII secolo (B.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 206

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.