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Sommario del 28/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa ai pentecostali: lo Spirito fa la diversità ma anche l'unità

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Lo Spirito Santo fa la diversità ma fa anche l’unità nella Chiesa: è quanto ha detto Papa Francesco durante l’incontro stamani nella Chiesa pentecostale della Riconciliazione a Caserta, dove è andato a trovare il pastore Giovanni Traettino, suo amico dai tempi di Buenos Aires e come lui impegnato da tanti anni per l’ecumenismo. All’incontro hanno partecipato circa 200 persone, in gran parte pentecostali provenienti, oltre che dall'Italia, da Stati Uniti, Argentina e altri Paesi. Il servizio di Sergio Centofanti

E’ stato un incontro molto bello, familiare, quello tra Papa Francesco e il pastore amico, raccolto con la sua comunità. Commosso il saluto di Traettino al Papa, tra gli applausi affettuosi dei presenti:

“Carissimo Papa Francesco, amato fratello mio, la nostra gioia è grande per questa sua visita: un dono grande e inatteso, impensabile fino a poco tempo addietro. Lo potrà leggere negli occhi dei bambini e degli anziani, dei giovani e delle famiglie. Le vogliamo bene! (applausi) E deve sapere una cosa: verso la sua persona, anche tra noi evangelici, c’è tanto affetto per lei (applausi) e tanti di noi anche ogni giorno pregano per lei (applausi). Del resto, è così facile volerle bene. Diversi di noi credono perfino che la sua elezione a vescovo di Roma sia stata opera dello Spirito Santo (applausi)”.

Il pastore Traettino - che il primo giugno scorso aveva partecipato all’incontro del Papa allo Stadio Olimpico di Roma con il Rinnovamento nello Spirito - ha ricordato la fatica di Francesco nel venire una seconda volta a Caserta e ha affermato: "Con uomini come lei c'è speranza per noi cristiani!". Ha quindi parlato dell’unità della Chiesa fondata su Gesù Cristo. Ha detto che il centro della nostra vita è essere nella presenza di Gesù e che la fede è un incontro personale con Lui. Il Papa, da parte sua, ha parlato della diversità che non è divisione e ha ricordato chi fa l’unità nella Chiesa:

“Lo Spirito Santo fa la diversità nella Chiesa e questa diversità è tanto ricca, tanto bella; ma poi, dopo, lo stesso Spirito Santo fa l’unità. E così la Chiesa è una nella diversità. E per usare una parola bella di un evangelico, che io amo tanto: una diversità riconciliata dallo Spirito Santo”.

L'unità - ha sottolineato ancora - non è uniformità, perché "lo Spirito Santo fa due cose: fa le diversità dei carismi e poi fa l'armonia dei carismi": l'ecumenismo è proprio cercare che "questa diversità sia più armonizzata dallo Spirito Santo e divenga unità". Papa Francesco ha poi chiesto perdono, come pastore dei cattolici, per le leggi emanate nel passato contro i protestanti, in quanto furono sostenute anche da cattolici. Quindi ha risposto a quelli che sono rimasti stupiti per il fatto che il Papa sia andato a visitare i pentecostali. Ma lui ha restituito la visita che gli avevano fatto a Buenos Aires:

“Qualcuno sarà stupito: ‘Ma, il Papa è andato dagli evangelici’. Ma è andato a trovare i fratelli! (applausi) Vi ringrazio tanto, vi chiedo di pregare per me, ne ho bisogno … perché almeno non sia tanto cattivo. Grazie! (applausi)”.  

Era presente all’incontro nella Chiesa pentecostale a Caserta, il padre gesuita argentino Hugo Guillermo Ortiz, responsabile dei programmi in lingua spagnola della Radio Vaticana. Ascoltiamo il suo racconto: 

R. – Questo è stato un incontro molto particolare, molto speciale. Il pastore Traettino ha ricevuto il Papa davanti a tutti, dopo essere stato con lui prima di partecipare alla preghiera nella Chiesa della Riconciliazione. Papa Francesco è stato personalmente con il pastore Traettino nella sua casa, in questo incontro privato; dopo è venuto qui e ha detto davanti a tutti che anche gli evangelici vogliono molto bene a Papa Francesco. Circa 200 persone o forse più, hanno applaudito e stando qui nella Chiesa si vede veramente quanto vogliono bene al Papa. Il pastore ha parlato della riconciliazione, dell’importanza di riprendere il cammino alla presenza del Signore, ripartendo dal Signore e Gesù. All’inizio, ha fatto un applauso per la presenza del Papa e subito dopo ha chiesto un applauso più forte per Gesù…

D. – Quindi un momento molto importante per l’ecumenismo…

R. – Sì, nel senso che il Papa si avvicina ad una periferia. Questo evento è quello che capita nelle periferie delle nostre città anche a Buenos Aires, in Argentina, in America Latina, dove ci sono persone che si riuniscono e con la Bibbia pregano; credono in Gesù e sono cristiani onesti, non sono di quelli che approfittano della gente per prendere soldi promettendo la felicità. Sono persone che leggendo il Vangelo hanno trovato Gesù e Gesù ha cambiato la loro vita. Loro adesso danno la loro testimonianza cercando di aiutare gli altri. Il pastore Traettino ha detto di aver meditato molto sull’Incarnazione, perché il Papa, invece di inviare un messaggio al suo fratello, è venuto a trovarlo e ha anche partecipato alla preghiera nella sua Chiesa. Il Papa ha detto che ci farà bene andare a trovare e a toccare Cristo nella carne perché si è fatto uomo e adesso è nei nostri fratelli; ci farà bene toccare la carne di Cristo nei fratelli. È una cosa molto concreta: questo vuol dire che stiamo parlando di cristianesimo: un cristianesimo vero, profondo, al di là delle differenze che – ha detto il Papa - sono dello stesso Spirito, che come un poliedro fa la diversità e l’unità nella diversità.

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100.mo Grande Guerra. Mons. Redaelli: a Redipuglia Papa pregherà per vittime

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A Redipuglia, Papa Francesco visiterà anche il cimitero austroungarico e pregherà per tutte le vittime della Grande Guerra. Ad anticipare i dettagli della prossima visita di Francesco, il 13 settembre, al Sacrario militare che raccoglie i corpi di centomila caduti italiani nel Primo conflitto mondiale è stato questa mattina l’arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Maria Roberto Redaelli. Il presule, in occasione dei 100 anni dall’inizio della guerra, ha spiegato alla stampa i contenuti di una lettera che ha scritto ai fedeli della sua diocesi. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. - Questo anniversario riguarda da vicino la Diocesi di Gorizia e questi territori che allora facevano parte dell’Impero austro-ungarico, per cui l’inizio della guerra per i giovani di qui è stato proprio il 14 settembre, quando sono stati mandati sul fronte russo in Galizia. Questo anniversario per noi è qualcosa di importante.

D. - Che cosa significa la visita del Papa?

R. - Certamente, penso che la visita del Papa ci ricorda quello che è stato fatto durante i  magisteri dei Papi, a partire da Papa Benedetto XV, che aveva definito la Prima Guerra Mondiale “un’inutile strage”, come ha ricordato anche Papa Francesco nell’Angelus di ieri. Ci porta senz’altro un messaggio di pace, soprattutto per oggi: il rischio che il ricordo della Prima Guerra Mondiale sia soltanto un ricordo storico, qui dalle nostre parti anche turistico, che porta le persone a visitare le trincee piuttosto che altre fortificazioni. Invece, deve essere qualcosa che ci invita a un’opera concreta di pace. Anche il senso della mia lettera è proprio quello - dopo aver richiamato i testi della Parola di Dio, del Magistero - di dare qualche indicazione completa per un’opera di pace di riconciliazione nelle nostre terre.

D. - E di fronte alle tematiche della pace e della difesa, anche la comunità cristiana non può tirarsi indietro: lei nella sua lettera cita l’importanza della preghiera e spiega il ruolo importante della comunità cristiana…

R. - La preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e l’approfondimento dell’insegnamento della Chiesa, ma poi in concreto gli atteggiamenti - direi - quotidiani, come la conoscenza dell’altro: a un certo punto, è più facile sparare a una categoria generica piuttosto che a una persona, a un volto conosciuto, no? Poi, affronto il tema dell’accoglienza, e qui troviamo tutto il tema dell’immigrazione, e infine quello della giustizia. Do anche due piccole indicazioni che forse sono opportune per la nostra realtà. La prima riguarda chi ha responsabilità anche delle politiche di difesa: citando la Costituzione italiana, ricordo che probabilmente non è la stessa cosa preparare un esercito a delle operazioni di pace - di peacekeeping come si usa dire adesso - piuttosto che una guerra di offesa. L’altra categoria a cui accenno è quella dei mezzi della comunicazione sociale che hanno una grande responsabilità, come tra l’altro è stato cento anni fa, proprio nel creare emozioni, attese, possibilità di pace o di guerra, di creare l’avversario, il nemico.

D. - Tre ore: tanto durerà la visita del Papa del prossimo 13 settembre a Redipuglia. Come sarà articolata questa visita?

R. - Per quanto sappiamo - penso che il programma debba essere ancora precisato - il Papa non solo celebrerà la Messa al Sacrario di Redipuglia, ma si recherà in visita al cimitero austroungarico, a poca distanza dal Sacrario, che raccoglie anche le salme degli eserciti avversari a quello italiano. Redipuglia ha centomila caduti italiani. In questo cimitero, ci sono 15 mila caduti di diverse nazionalità: austriaci, sloveni, ungheresi, cechi, slovacchi… Quindi, anche questo segno che il Papa farà sarà importante per dire che viene come pellegrino di pace, al di là dei confini, delle appartenenze.

D. - Come vi preparate a vivere questa visita?

R. - L’intento è proprio quello di preparare questa visita del Papa nella preghiera, nella riflessione, nell’accoglimento della sua parola.

D. - Il suo auspicio per questa visita, che come dicevamo, cade nel centenario dall’inizio della Grande Guerra e in un momento storico in cui purtroppo continuiamo a parlare di guerre, pensiamo a Gaza o all’Ucraina…

R. - Certamente, l’auspicio è che come sempre le parole del Papa non cadano a vuoto ma siano accolte, sicuramente nei nostri cuori, ma anche in quelli degli uomini e delle donne di buona volontà, affinché possano fare qualcosa. Nella mia lettera cito un conosciutissimo brano delle Beatitudini, dove gli operatori di pace sono "beati" in quanto sono persone che prendono sul serio e lavorano mettendo a rischio persino la loro vita per la giustizia e per la pace.

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Il Papa al "Clarín": tiranneggiando la natura uomo rischia suicidio

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A 500 giorni dall’inizio del Pontificato, il quotidiano argentino El Clarín pubblica sul suo inserto settimanale “Viva” i primi stralci di una intervista a Papa Francesco. Molti i temi toccati, dai ricordi di infanzia agli argomenti di stretta cronaca come l’immigrazione, con molte considerazioni del Papa sul senso della vita. Il servizio di Alessandro De Carolis

In molti vantano di conoscere più o meno a fondo il segreto della felicità – dove questo termine, ambito ma indefinito, si può declinare a seconda delle sensibilità di chi parla con altri sostantivi di più terrena concretezza: salute, amore, soldi, potere e via dicendo. Interrogato sul punto, Papa Francesco è spiazzante come sempre e all’intervistatore del “Clarín” chiarisce il suo modo di intendere la questione prendendo a prestito un’espressione dalla città di cui da 500 giorni è nuovo e amato Vescovo:

“Qui i romani hanno un detto, che potremmo prendere come punto di riferimento, che dice: ‘Campa e lascia campà’, cioè vai avanti e lascia che tutti vadano avanti, vivi e lascia vivere. E’ il primo passo per la pace e la felicità”.

L’intervista è uno nuovo spaccato dell’uomo diventato Papa, che aggiunge tasselli al mosaico di una personalità ormai nota, dominata da un cuore che è una porta sempre spalancata sugli uomini, i loro patimenti e le loro speranze. I ricordi d’infanzia sono un atto d’amore per la lavandaia che aiutò sua mamma nelle fatiche domestiche e che, reincontrata da adulto e sacerdote, Jorge Mario accompagna in punto di morte ricevendo da lei una medaglietta che il Papa afferma di baciare la sera prima di dormire e la mattina appena sveglio. È morta felice, con il sorriso sulle labbra e con la dignità di chi ha lavorato, dice di lei Francesco, con la genuina ammirazione che gli umili suscitano sempre in lui.

Il mondo piccolo di casa Bergoglio si allarga poi a considerazioni sul mondo grande della comunità internazionale, che però resta spesso piccola nella generosità ai bisogni di chi, lasciandosi alle spalle orrori di vario tipo, tende una mano in cerca di ospitalità. L’Europa ha paura, osserva il Papa, parlando di immigrazione ma elogiando la Svezia, che pur contando meno di 10 milioni di abitanti è stata capace negli ultimi anni di fare spazio a 800 mila immigrati.

E uno sguardo ancora più ampio arriva a comprendere tutto quel mondo che da nord a sud, per indifferenza e peggio per interesse, continua a sprecare i doni di Dio:

“Quando, per esempio, si vuole fare un’estrazione mineraria, perché si ottiene di più che con un altro metodo – e questo, però, contamina l’acqua – non importa. E così si va avanti contaminando la natura. Penso che una domanda che non ci si faccia sia: l’umanità, per questo uso indiscriminato e tirannico della natura, non si sta suicidando?”

La domanda resta sospesa sulla coscienza collettiva, mentre nessun dubbio traspare quando il giornalista chiede a Francesco come si veda in veste di possibile vincitore del Nobel. Il Papa risponde in franchezza di non averci mai pensato, perché – ammette – molto lontano dalla sua forma mentale è la ricerca di premi e dottorati. Piuttosto, preferisce riassumere la fibra della sua umanità rifacendosi stavolta alla sua cultura più ancestrale, quella dei gauchos e della pampa, mirabilmente narrati da Ricardo Guiraldes nel suo “Don Segundo Sombra”:

“In Don Segundo Sombra c’è una cosa molto bella, di un uomo, il protagonista, che passa in rassegna la sua vita. Dice che da giovane era una roccia impetuosa, che portava avanti tutto; da adulto, era un fiume che andava avanti; e che nella vecchiaia si sentiva in movimento, che però scorreva lento. Io utilizzerei questa immagine del poeta e romanziere Ricardo Guiraldes, questo ultimo aggettivo: tranquillo. La capacità di muoversi con benevolenza e umiltà, la calma della vita”.

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Francesco: il card. Marchisano, uomo di fede e di cultura

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Un “vescovo sollecito” verso “le necessità dei fedeli” e “sensibile al mondo dell'arte e della cultura”. Papa Francesco ricorda con questi pensieri il cardinale Francesco Marchisano, arciprete emerito della Basilica di San Pietro, spentosi ieri a Roma a 85 anni di età.

In un telegramma di cordoglio indirizzato a mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino – il porporato era originario della provincia di Cuneo – Papa Francesco ricorda  con affetto un “caro pastore” che, scrive, “per tanti anni ha prestato la sua solerte collaborazione alla Sede Apostolica, specialmente nella Congregazione per l’Educazione Cattolica e poi quale arciprete della Basilica Vaticana, infine come presidente dell’Ufficio del lavoro della Sede Apostolica”. Lascia, conclude il Papa, “la testimonianza di una vita spesa nell’adesione generosa alla propria vocazione” come sacerdote e vescovo.

Le esequie del cardinale Marchisano saranno celebrate dopodomani mattina in San Pietro, alle ore 8.00, all’Altare della Cattedra, presiedute dal cardinale decano, Angelo Sodano. Come di consueto, al termine della celebrazione, il Papa scenderà presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio.

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Usa. Il card. Sandri: senza cristiani, non c’è futuro in Medio Oriente

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“Non ci sarà futuro in Medio Oriente senza la presenza ed il contributo dei cristiani”: è quanto ha detto il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nella Divina Liturgia celebrata a San Diego, in California, nella Cattedrale dell’Eparchia caldea. Pregando per i cristiani perseguitati in Iraq, madrepatria della Chiesa caldea, il porporato ha ricordato anche quelli di Siria, Palestina, Egitto, come pure la delicata situazione in Ucraina dei greco-cattolici e dei loro connazionali, esprimendo la vicinanza e l’incoraggiamento del Papa a “perseverare con forza nella fede e nella speranza”.

Citando, poi, le parole del patriarca caldeo Louis Sako, il card. Sandri ha sottolineato che ad oggi, “per la prima volta nella storia in Iraq, a Mosul non ci sono cristiani” e che “il Paese si avvia ad un disastro umanitario, culturale e storico”. Anche il patriarca maronita Bechara Boutros Rai, ha aggiunto il cardinale prefetto, ha esortato i persecutori dei cristiani al dialogo, in nome “dell’umanità condivisa”, ed invitando a scegliere “il dialogo, la comprensione, il rispetto dell’altro” al posto “delle armi, del terrorismo, della violenza”.

“Nessuna religione – ha ribadito quindi il card. Sandri – può accettare di uccidere i figli di Dio in nome di Dio stesso”, sottolineando che “i cristiani del mondo devono essere la voce” degli emarginati dalla società e “difendere strenuamente i loro diritti”. Di qui, l’invito a pregare in silenzio, un silenzio che, però “non è quello dell’indifferenza, perché trae forza dal silenzio di Cristo sulla croce ed è pieno di Amore eterno, dal quale nulla ci può separare”. Infine, il porporato si è  rallegrato con i numerosi sacerdoti presenti alla liturgia, insieme gli animatori, al coro ed a circa mille fedeli, auspicando pace e giustizia per quanti sono colpiti da una incredibile e insensata violenza.

Al suo arrivo, il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali è stato accolto dal vescovo dell’Eparchia caldea, mons. Sarhad Jammo, il quale ha sottolineato “l’immenso conforto” che il rappresentante pontificio recava a tutti i Cristiani d’Oriente con la sua visita e la sua preghiera. Alla liturgia hanno preso parte mons. Bawai Soro, Protosincello dell’Eparchia, mons. Elias Zaidan, vescovo maronita di Los Angeles, e una delegazione della parrocchia locale siro-cattolica.

Durante la sua permanenza in California, il card. Sandri ha incontrato le comunità maronite di Los Angeles e di San Diego e quella siro-malabarese. Nei prossimi giorni visiterà gli armeni e accoglierà personalmente i sacerdoti delle Chiese sira, copta, greco-melkita e greco-cattolica romena operanti sul territorio. “La già folta diaspora orientale attende, specie dall’Iraq, un significativo incremento per il perdurante conflitto - ha concluso il porporato -  L’immigrazione è una sfida pastorale di portata storica che impegna ulteriormente la Chiesa latina nella sollecitudine verso le Chiese Orientali”. (I.P.) 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Fermatevi: all'Angelus, ricordato l'anniversario dell'inizio della prima guerra mondiale, Papa Francesco ha lanciato un nuovo appello per la fine delle violenze in Medio Oriente, in Iraq e in Ucraina.

Uomini creativi aperti allo Spirito: il Papa dialoga con i sacerdoti di Caserta invitandoli ad andare con gioia sulle strade del mondo ricordando che la Chiesa non è e non può essere autoreferenziale.

Cordoglio del Papa per la morte del cardinale Francesco Marchisan, arciprete emerito della basilica di San Pietro.

Pressioni diplomatiche per la tregua nella Striscia di Gaza.

La lunga scia di sangue di Boko Haram.

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Oggi in Primo Piano



Un anno fa la scomparsa di p. dall’Oglio. Mons. Zenari: abbiate pietà

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Domani, sarà un anno dalla scomparsa di padre Paolo Dall’Oglio, gesuita romano, scomparso in Siria il 29 luglio 2013, rapito - si ipotizza - da estremisti islamici vicini ad al Qaida. Un tempo di attesa troppo lungo “anche per un luogo di guerra e sofferenza infinita come la  Siria”, affermano i familiari del sacerdote in messaggio video oggi sulla rete: 

“Chiediamo ai responsabili  della scomparsa di un uomo buono, di un uomo di  fede, di un uomo di pace, di avere la dignità di farci sapere della sua sorte. Vorremo riabbracciarlo ma siamo anche pronti a piangerlo”. 

Attivista del dialogo tra cristiani ed islamici - padre Dall’Oglio, 59 anni, ha fondato in Siria, dove vive da 30 anni, la comunità monastica ecumenica “Mar Musa” ed è stato spesso impegnato in missioni di pace. Col passare dei mesi, si dispera per la sua salvezza. A che punto sono le ricerche e i tentativi di contatti con i sequestratori? Roberta Gisotti ne ha parlato con mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria: 

R. – Avvicinandosi l’anniversario, in questi giorni c’è un misto di tristezza e, vorrei anche dire, di speranza. Occorre ancora, sempre, sperare! Tutte le istanze interessate si danno da fare, esaminando ogni possibile pista. Finora, per quanto ne sappia, non c’è purtroppo ancora nessun elemento concreto, sicuro e affidabile che faccia avvalorare un’ipotesi o l’altra. Ci sono voci spesso contrastanti, per cui direi che ogni ipotesi è aperta. C’è, dunque, tristezza, ma anche speranza. E vorrei anch’io rivolgere un accorato appello a quanti sono responsabili del sequestro, richiamando i sentimenti universali di umana compassione: abbiate pietà del profondo dolore dei suoi familiari e di quanti l’hanno conosciuto e stimato, date notizie sulla sua sorte. Questo mio accorato appello vale anche per gli altri quattro ecclesiastici – due vescovi ortodossi e due sacerdoti, uno ortodosso e uno cattolico – tutt’ora sequestrati. E vale anche per tutti i sequestrati, e sono numerosi, sia siriani che stranieri.

D. – Oggi, la Siria appare tutt’altro che pacificata dopo la rielezione nel giugno scorso del presidente uscente Assad. E preoccupa la presenza sempre più invasiva dei jihadisti dello Stato islamico. Ecco, in questa situazione, appare ancora più difficile che le armi tacciano...

R. – Purtroppo, ci sono ancora focolai di conflitti, zone di conflitti, molto aspri. Per esempio, al nordest, all’Eufrate, ci sono scontri molto accaniti tra esercito regolare e membri dello Stato islamico o califfato. Da mesi ci sono aspre lotte tra gli stessi gruppi armati, rivoluzionari, di Isis e al Nusra, e tra questi e altri gruppi: il Fronte islamico, i curdi e l’Esercito libero siriano. Anche a Damasco la situazione non è ancora sicura. Nei giorni scorsi, ci sono stati aspri combattimenti tra forze regolari e ribelli, in particolare tra ribelli meno estremisti e ultraradicali dello Stato islamico. C’è ancora poi tutta la zona al nord. C’è Aleppo, dove una parte della città, quella sopra i ribelli, è bombardata continuamente da tempo con distruzioni e vittime, e l’altra parte della città, a ovest, dove ci sono i quartieri cristiani, è sotto la pioggia dei mortai. Lì, proprio tre giorni fa, è stata colpita, credo per caso, la chiesa di San Demetrio, una chiesa greco-cattolico-melchita. Ci sono stati danni alla chiesa e, purtroppo, 11 persone di una famiglia che stava consumando la cena sono morte. Qualche settimana fa, è stata colpita la cattedrale e l’episcopio siro-melchita. Andando più ad ovest, alcuni giorni fa è stato colpito il convento dei Padri francescani, si pensa per sbaglio. In questa situazione di insicurezza, quello che preoccupa è l’aspetto umanitario. Ci sono sfollati in aumento e una povertà crescente. Secondo le statistiche dell’Onu, sono più di 10 milioni i siriani, su una popolazione di 23, che hanno bisogno di assistenza umanitaria, compresi i circa 240 mila che sono assediati.

D. – Quindi, è indispensabile che la comunità internazionale non distolga lo sguardo dalla Siria, dove mi sembra si stiano concentrando tutti i problemi della regione mediorientale e dove si giocheranno gli equilibri del futuro...

R. – Questo conflitto siriano è già sconfinato da tempo in Libano, per esempio, creando problemi, vista la grande massa di rifugiati, per le conseguenze che questo comporta in un piccolo Paese. E questo fuoco è sconfinato anche in Iraq, in questi ultimi giorni. Poi, ci sono altre nazioni vicine che stanno soffrendo le conseguenze di questo conflitto siriano e purtroppo se ne parla sempre meno. Sta diventando un conflitto dimenticato, un’altra disgrazia che si aggiunge alla tragedia della sofferenza delle persone. 

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Gaza, violata la tregua. Padre Cornioli: situazione disastrosa

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E’ durata poco più di 12 ore la tregua umanitaria nella Striscia di Gaza, nel giorno in cui si festeggia la fine del Ramadan. In risposta ad alcuni razzi lanciati da Hamas, l’esercito israeliano ha colpito tre obiettivi militari nella Striscia, causando due vittime, secondo fonti palestinesi. Intanto, il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, lancia un appello alle parti a "rinnovare la tregua umanitaria a Gaza" e ribadisce la sua "richiesta per un cessate-il-fuoco che prepari il terreno per l'avvio dei negoziati. A tre settimane dall’inizio del conflitto, le vittime palestinesi sono oltre mille e i soldati israeliani uccisi 43, mentre resta grave la situazioni umanitaria. Ma come sta affrontando questa guerra la comunità cristiana in Terra Santa? Michele Raviart lo ha chiesto a padre Mario Cornioli, parroco di Beit Jala in Cisgiordania: 

R. – La domenica, le parrocchie hanno pregato per Gaza chiedendo al Signore che faccia finire questa carneficina. Sono stati raccolti anche alcuni aiuti: nessuno può portarli all’interno di Gaza, la situazione umanitaria è disastrosa. Anche questa mattina ho parlato con il parroco, padre Jorge: non c’è un cessate-il-fuoco, ma non stanno bombardando e allora sono usciti. Adesso si trova in ospedale, perché ieri è stata bombardata la casa di una famiglia cristiana: la mamma è carbonizzata e a un figlio gli sono state amputate le gambe, sarà portato a Gerusalemme. Noi stiamo coordinando l’uscita di questo ragazzo, perché a Gaza è impossibile curarlo: lo Shifa Hospital oltre ad essere bombardato non ha più possibilità di poter accogliere, né curare i numerosissimi feriti. Questo è veramente pazzesco. Preghiamo che il Signore ci aiuterà.

D. – Tecnicamente, come avviene la consegna degli aiuti dalla Cisgiordania?

R. – Nessuno può aiutarli perché i confini sono tutti chiusi, quindi non può entrare nulla. Dentro ci sono un po’ di aiuti, non tantissimi: iniziano a scarseggiare anche il cibo, l’acqua e i beni di prima necessità. Nella parrocchia, per esempio, ci sono 900 persone e il parroco non sa più come fare ad aiutarle e sostenerle. Mi raccontava stamattina che la situazione sta diventando veramente insostenibile. Siamo tutti in difficoltà. Ci sono le Nazioni Unite e la Croce Rossa che stanno lavorando nella Striscia e altre associazioni. Noi cerchiamo un po’ di chiedere a loro la carità e di andare nella parrocchia e nelle nostre scuole. Dentro è un disastro totale per tutti, quindi non sappiamo proprio come fare.

D. – Per quello che sapete, di che cosa c’è bisogno adesso a Gaza?

R. – Adesso bisognerebbe smettere di bombardare. Bisognerebbe convincere Israele che può bastare questo massacro: sono già morte più di mille persone, migliaia e migliaia di feriti… In questi giorni, stiamo andando all’ospedale di Gerusalemme a visitare i bambini: ne sono arrivati circa otto dalla Striscia, sono riusciti ad uscire. È veramente scioccante vedere il terrore negli occhi di questi bambini, c’è chi non parla, chi ha lo sguardo perso nel vuoto, oltre alle varie ferite che hanno. È una situazione veramente insostenibile. Ci troviamo in difficoltà, non sappiamo veramente a chi rivolgerci se non al cielo. Abbiamo apprezzato ieri il Papa che ha detto: “Fermate, fermate questo massacro! Fermatevi!”. Però, sembra che nessuno ascolti le parole del Papa, che sono rimaste anche le uniche parole, nessun altro ha il coraggio di dire nulla. Dobbiamo continuare a pregare. 

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Delegazione Chiesa francese in Iraq: troppa indifferenza verso i cristiani

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Una delegazione della Chiesa cattolica francese ha iniziato oggi in Iraq una visita di solidarietà ai cristiani di questo Paese, la cui esistenza è sempre più minacciata dalla guerra e dall’avanzata degli integralisti del cosiddetto Stato islamico. A Mossul, dopo quasi 2000 anni, non ci sono più cristiani, cacciati a forza dalle loro case. La delegazione, guidata dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, incontrerà, tra gli altri, il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël Sako I. Partecipa alla missione anche mons. Michel Dubost, vescovo di Evry-Corbeil-Essonnes. Antonino Galofaro lo ha intervistato: 

R. - Il ne faudrait pas que l’attentions a l’actualité, surtout de Gaza…
Noi vogliamo che l’attenzione a quanto sta accadendo ora, soprattutto a Gaza, non ci faccia dimenticare che i cristiani d’Oriente vivono un momento estremamente difficile. Desideriamo manifestare a questi nostri fratelli e sorelle che noi siamo solidali con loro e che vogliamo con tutto il cuore essere accanto a loro.

D. – Voi denunciate l’indifferenza” che c’è verso le persecuzioni che subiscono i cristiani in questi Paesi …

R. – Il est clair que comme il n’y a pas beaucoup d’images a la télévision…
E’ chiaro che non ci sono molte immagini alla televisione: quello che si vede è Gaza. Ma dalla Siria e dall’Iraq non abbiamo immagini: eppure, qui, i cristiani soffrono molto! E se ne parla poco o non se ne parla affatto. Quello che noi cerchiamo di fare è rendere pubblica questa sofferenza.

D. – Voi sostenete che la Comunità internazionale non si è impegnata nella risoluzione di questi conflitti…

R. – La Communauté International montre depuis quelques temps…
La Comunità internazionale, ormai da tempo, mostra la sua impotenza. Il presidente Bush è voluto intervenire in Iraq, ma ha aperto un vaso di Pandora, che ha fatto più male che bene! E oggi il “Califfato” ha moltissimi soldi, moltissime risorse e moltissimi mezzi e questo è davvero molto inquietante per la pace nel mondo. Bisognerebbe che le grandi potenze se ne preoccupino per tempo! Ma non sanno cosa fare: questo è il problema!

D. – Cosa vi aspettate da questa missione in Iraq?

R. – Nos attentes sono très clair…
Le nostre attese sono molto chiare! Vogliamo anzitutto incontrare queste persone, dir loro che noi siamo presenti spiritualmente accanto loro … Certo, è una piccola consolazione: ma quando si soffre è importante sentire gli altri accanto, vicino. Chiediamo al Signore di cambiare i cuori. Non ci sono altre soluzioni!  Noi andiamo in Iraq come poveri: ma i poveri possono cambiare il mondo!

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Nuovi attacchi di Boko Haram colpiscono Nigeria e Camerun

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Nel nord della Nigeria, nuovo attacco attribuito a Boko Haram: una kamikaze si è fatta esplodere all’interno di una fila per il carburante. Ancora imprecisato il numero delle vittime. E ieri, nel Camerun settentrionale, uomini armati, probabilmente appartenenti alla stessa setta nigeriana, hanno ucciso almeno 15 persone e rapito la moglie del vicepremier del Paese, asnsieme a un leader islamico locale. Queste azioni anche oltre i confini nigeriani, sempre più frequenti, indicano un disegno su larga scala di Boko Haram? Davide Maggiore lo ha chiesto a Marco Massoni, segretario generale dell’"Institute for Global Studies", esperto dell’area: 

R. - Decisamente sì, ed è anche molto facile conseguire questo obiettivo, dal momento che il lungo confine tra Nigeria e Camerun è particolarmente poroso come tutto il resto dei confini fra Nigeria, Niger e queste zone dell’Africa Centrale verso cui si sta spostando il riassestamento geopolitico della zona.

D. - Qual è il significato di questo rivolgersi a obiettivi istituzionali? C’è una strategia di Boko Haram dietro?

R. - Da una parte, attori extraregionali, europei, sono riusciti a conseguire l’obiettivo di essere maggiormente presenti in Africa Occidentale e Centrale a seguito delle missioni avallate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella Repubblica Centrafricana e nel Mali. Allo stesso tempo, “il nemico” sta cercando di alzare la posta e di andare “in parallelo” laddove c’è interesse strategico e maggiore presenza. In realtà, è un segnale nei confronti di Paul Biya, presidente del Camerun, e probabilmente è un segnale anche per le cancellerie europee.

D. - Ma perché proprio il Camerun ha visto questo aumento della presenza di Boko Haram? C’è semplicemente una questione di porosità delle frontiere e di vicinanza geografica o ci sono, ad esempio, motivazioni politiche?

R. - Il mezzo è quello geografico, quello del lungo confine, della prossimità, della vicinanza. L’obiettivo è politico perché il Paese è uno dei pochi a non avere ancora subito un grande riassestamento ad opera di questi grandi vettori, che in questi ultimi anni stanno modificando tutto le scenario geopolitico dell’area. Avvicinarsi sempre di più verso il Centrafrica è evidentemente l’obiettivo politico. Quello che è accaduto in Repubblica Centrafricana, in qualche misura, potrebbe avvenire anche in Camerun. L’interesse affinché ci sia un cambiamento può provenire sia da questi attori non statali, come Boko Haram o nuovi che dovessero costituirsi, sia da parte di attori extraregionali.

D. - Questa presenza internazionale di Boko Haram può far pensare a collegamenti con altre sigle del jihadismo?

R. - Questo è sempre possibile. Ovviamente, queste sono informazioni di intelligence difficilmente accertabili. È ovvio che dimostrando in questo modo la capacità di portare a termine obiettivi terroristici, lasciando intendere anche una visone politica di più ampio spettro, inevitabilmente altre sigle potrebbero essere sollecitare a stringere e a rafforzare legami che, in parte, esistono. Però, non nascondiamoci: Boko Haram opera da diversi anni in una maniera drammatica e non è mai stata data una risposta sufficiente per arginarlo. La mobilizzazione regionale è al centro delle notizie di cronaca di questi ultimi mesi. L’idea è che Nigeria, Camerun Ciad e Benin possano in qualche misura costituire questa forza che poi dovrà essere rafforzata dall’Unione Africana o addirittura da una forza Onu.

D. - Serve quindi una strategia internazionale per fermare Boko Haram?

R. - Una strategia internazionale, perché la forza delle operazioni di Boko Haram è legata al fatto di operare in territori che sono al di là del reale controllo delle autorità federali nigeriane e, a questo punto anche, dei Paesi confinanti, come in particolare lo stesso Camerun. Di conseguenza, laddove in tante porzioni di territorio si muovono indisturbati questi attori non statali, inevitabilmente bisogna trovare una forma rapida di soluzione al problema, che sicuramente non può avvenire nel breve e nel medio termine attraverso le istituzioni dei medesimi Stati chiamati in causa. Senza dubbio ci deve essere una risposta regionale.

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Aids. P. Vitillo: da Melbourne speranze per progresso studi

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Si è conclusa a Melbourne, in Australia, la 20.ma edizione della Conferenza Internazionale biennale sull’Aids. Era presente all’evento padre Robert Vitillo, responsabile della lotta all’Aids della Caritas Internationalis. Philippa Hitchen gli ha chiesto quali siano i progressi medici in questo campo: 

R. - C’è un po’ di progresso nello studio scientifico di questa malattia. Stanno facendo veramente molte ricerche sul sistema genetico dell’essere umano e su questo virus. Sperano di trovare il modo di “svegliare” il virus che rimane nascosto nel sistema immunitario per poi trattarlo con le cure antiretrovirali. C’è molto da fare in questo campo, però questo è un segno di speranza.

D. - Secondo lei, il rapporto tra la Chiesa è il mondo degli scienziati è un rapporto che ora funziona, visti i problemi che ci sono stati in passato?

R. - Sì, sicuramente ci sono stati dei problemi e ancora ce ne sono. Però, ci sono anche degli scienziati che conoscono bene la Chiesa. Abbiamo organizzato una pre-conferenza cattolica per le persone delle organizzazioni cattoliche che lavorano in questo campo. Abbiamo invitato quattro tra gli scienziati più conosciuti in questo campo. Loro hanno accettato immediatamente il nostro invito e hanno parlato molto bene della Chiesa e del suo ruolo alla lotta alla discriminazione, ma anche per portare avanti la causa scientifica. Credo che da parte loro, questi scienziati possano influenzare i loro colleghi per vincere il pregiudizio contro la Chiesa.

D. - Eppure, i finanziamenti continuano a diminuire per la Chiesa. Come mai c’è il riconoscimento per il ruolo che svolge e allo stesso tempo il rifiuto di investire nei programmi che hanno grandi risultati?

R. - Molti di questi programmi di finanziamento dipendono dai governi. Ad esempio, il Fondo globale lavora con i governi: è molto più facile mandare tutti i soldi a un governo che poi si prende la responsabilità di distribuire questi finanziamenti, ma non lo fanno bene. Questo è il problema: bisogna riconoscere la Chiesa come un partner molto valido in questo campo e dare direttamente alla Chiesa locale i soldi per questi programmi contro l’Aids.

D. - Perché i risultati dei programmi che avete portato avanti negli anni parlano da soli…

R. - Sicuramente. Gli studi dimostrano che la Chiesa ha ottenuto risultati migliori per quanto riguarda le cure ai pazienti e la diminuzione del grado di incidenza del virus nei malati.

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Terre dei fuochi. Don Manganiello: serve screening epidemiologico

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"Ho proposto al tavolo di oggi di attivare un sito Internet in cui pubblicare tutto quello che noi abbiamo dal punto di vista scientifico, in modo che i cittadini possano avere un riscontro". Lo ha detto questa mattina il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, al termine della riunione del Comitato interministeriale sulla Terra dei Fuochi, che si è tenuta al Ministero delle Politiche agricole e forestali. Un incontro che dovrebbe diventare un appuntamento mensile fisso. E a proposito dello screening sanitario sulla popolazione nelle zone interessate, il ministro ha ribadito che "sta andando avanti da parte della Regione Campania" e che sulla sanità "le risorse ci sono". Marina Tomarro ha chiesto un commento a don Aniello Manganiello, per 16 anni parroco a Scampia: 

R. – Noi abbiamo un problema molto più grosso, perché c’è proprio un "intombamento", già dai primi anni Ottanta, di rifiuti pericolosi, materiali tossici, sotto poli industriali, sotto il Cis di Nola, nelle discariche aperte nell’agro nolano. Mi sembra che l’attenzione venga data più alla Terra dei Fuochi, quando penso che debba essere data anche all’agro nolano, che è rimasto un po' periferico. Io mi rifaccio alla legge che secondo me è stata veramente una burla. Certo è stata un inizio, perché lì si parla di screening della popolazione, si parla di finanziamento, si parla di soldati per controllare il territorio, ma una minima parte – una cinquantina di militari – sono stati distribuiti in questo territorio. Cosa possono fare cinquanta soldati? In genere, questi roghi vengono appiccati durante la notte. Il Comitato chiede una maggiore attenzione, ma anche un maggior impegno, che da parte delle istituzioni sinceramente non c’è stato.

D. – Qualche giorno fa, a Napoli si è svolta una riunione tra la Prefettura e le Forze dell’ordine, dove invece si è ribadito il fatto che in un anno ci sia stato un salto di qualità dal punto di vista della responsabilità. Secondo lei, c’è questa maggiore consapevolezza negli abitanti delle Terre dei Fuochi?

R. – Ho appreso pure io, cogliendo anche le informazioni di coloro che sono responsabili a livello istituzionale, che il numero dei roghi, dei fuochi, è diminuito. E di questo posso dare atto, perché muovendomi dall’agro nolano, a Scampia, per le mie attività, l’ho constatato. L’aria è diventata più respirabile. Quindi, sìs ci sono i soliti impegni che vengono sottolineati da parte delle istituzioni, ma al momento, a mio avviso, non c’è un impegno serio, anche con il finanziamento, per iniziare a bonificare certe zone. Mi rendo conto che non sia cosa da poco fare una mappatura di dieci milioni di tonnellate di terreno. Quello che mi pare un impegno serio, però, di cui si dovrebbe far carico il governo è l’esame epidemiologico della popolazione – almeno questo – e le analisi dei pozzi dell’agro nolano, della Terra dei Fuochi, per verificare se queste acque sono avvelenate o meno.

D. – Qualche giorno, fa c’è stata la visita pastorale di Papa Francesco a Caserta, che ha donato parole di coraggio agli abitanti delle Terre dei Fuochi. Questa visita pastorale, le parole di incoraggiamento, porteranno a dei cambiamenti?

R. – Sicuramente, la visita di Papa Francesco a Caserta ha lasciato e lascerà un grande segno. Ritengo infatti sia importante anche un percorso educativo, di responsabilizzazione delle nostre comunità, quindi della popolazione. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi dell'Amecea: appello di pace e difesa della famiglia

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Difesa della famiglia, fondata sul matrimonio tra uomo e donna, e invocazione per la pace, non solo in Africa, ma in ogni parte del mondo: ruota attorno a questi due punti focali il messaggio finale della Plenaria dell’Amecea, l’Associazione delle Conferenze episcopali dell’Africa Orientale che riunisce i vescovi di Eritrea, Etiopia, Kenya, Malawi, Sudan, Tanzania, Uganda e Zambia. I lavori si sono svolti dal 16 al 26 luglio a Lilongwe, in Malawi, alla presenza di oltre 150 presuli delegati che hanno riflettuto sul tema "La nuova evangelizzazione attraverso una vera conversione e la testimonianza della fede cristiana”.

Nel messaggio conclusivo - il primo a firma dell’arcivescovo di Addis Abeba, mons. Berhanneyesus Souraphiel, neo-eletto presidente dell’Amecea, i vescovi si soffermano, innanzitutto, sulla “famiglia come nucleo della vita”, puntando il dito contro “le minacce” che l’istituzione subisce oggi, a causa de “la crisi del matrimonio, l’indebolirsi della moralità, gli attacchi all’unità familiare, la povertà, la disoccupazione”. In questo contesto, la Chiesa si impegna “a proteggere la famiglia-Chiesa domestica”, offrendo “la cura pastorale a tutti i nuclei familiari in difficoltà” e “condannando ogni forma di violenza domestica”.

Inoltre, l’Amecea riafferma “l’istituzione del matrimonio come unione indissolubile tra uomo e donna aperta alla procreazione” e “denuncia ogni tentativo di ridefinire tale istituzione”. Di qui, l’appello affinché la famiglia sia “rispettata, promossa e protetta” “ad ogni costo”, in quanto “principio e pilastro della vita e della società umana”, insieme alla “ferma condanna delle unioni omosessuali e di altre derive che vanno contro la natura umana e la legge naturale”.

Un secondo appello viene, quindi, lanciato dall’Amecea in favore della pace: esprimendo “tristezza per i conflitti in Sudan, Sud Sudan, Somalia ed altre parti del mondo”, i presuli africani “deplorano la sofferenza delle popolazioni di questi Paesi” ed “invocano una risoluzione pacifica dei conflitti”, impegnandosi in prima persona, in quanto “vescovi cattolici” a “fare tutto il possibile per portare una pace duratura nelle rispettive nazioni” e chiedendo a tutti i cittadini di “abbracciare la pace, cercare la riconciliazione e lavorare alla costruzione della propria nazione”.

Guardando, poi, a tanti “atti di violenza e terrorismo” perpetrati nella regione dell’Amecea, la Plenaria chiede ai governi locali e internazionali di “agire per estirpare le cause di questo problema ed assicurare la tutela della vita delle persone”. In questo contesto, i presuli africani ribadiscono che “tutti i diritti umani devono essere rispettati e garantiti in ogni società”, in quanto “fondamento della pace e dell’armonia durature”; sottolineano l’importanza della “libertà di religione e di coscienza”, mentre condannano “tutte le forme di violenza che derivano dal fondamentalismo religioso, dal radicalismo e dal fanatismo”. “Imploriamo tutti i leader religiosi – chiedono a gran voce i vescovi – ad intraprendere il cammino del rispetto e del dialogo reciproco”.

Nell’ambito della Plenaria, poi, i presuli africani si sono soffermati su ulteriori temi, tra cui quello de “la nuova evangelizzazione di fronte alle sfide contemporanee”: a questo proposito, l’Amecea si è impegnata ad “approfondire l’annuncio del Vangelo e ad impiegare metodi diversi per assicurare davvero la catechesi, la conversione, la spiritualità e la testimonianza della fede cristiana dentro e fuori i confini della regione”. Tutti i cattolici, inoltre, vengono esortati “a partecipare attivamente alla vita delle piccole comunità cristiane”, alle quali i vescovi si impegnano a garantire l’esistenza come “luoghi di vera esperienza di fede”.

Lo sguardo dei presuli si è, quindi, allargato alle nuove tecnologie ed ai giovani: riguardo alle prime, l’Amecea ne ricorda l’importanza nella vita della Chiesa come “metodo moderno di annuncio del Vangelo”, anche se – al contempo – ne suggerisce “un uso responsabile” che non scada “nell’abuso”, soprattutto dei “social media”. Per i bambini ed i giovani, invece, definiti “dono e speranza della Chiesa e della società”, i vescovi africani esortano i genitori e gli educatori “ad insegnare loro le strade di Dio” ed a proteggerli “dagli abusi”. Al contempo, tutti i giovani residenti nella regione dell’Amecea vengono invitati ad essere “testimoni credibili della fede in casa, in parrocchia, nelle scuole e sui posti di lavoro”, a divenire “strumenti di pace, evitando di farsi usare nella diffusione di conflitti e violenze”.

Ai governi, inoltre, viene richiesto di “investire nell’educazione dei giovani, creando posti di lavoro per aiutarli a vivere in modo dignitoso”.

L’ultimo punto affrontato dai vescovi africani riguarda le istituzioni educative cattoliche: tramite esse, ribadisce l’Amecea, “la Chiesa è in grado di evangelizzare e partecipare allo sviluppo responsabile dei membri della società”, impegnandosi a “provvedere alla guida morale e spirituale degli studenti e dei docenti”. Allo stesso tempo, tutti i formatori vengono esortati a “vivere una vita esemplare, ad essere fonte di ispirazione per le giovani generazioni affinché diffondano il Vangelo della salvezza e a formare cittadini responsabili che siano davvero ispirati dalla Dottrina sociale della Chiesa”.

“Come pastori – scrivono ancora i presuli – siamo consapevoli della necessità di accompagnare i professionisti cattolici attraverso una formazione di fede continua, affinché possano dare prova del loro credo anche quando assumono incarichi importanti in ambito amministrativo, civile e politico”, così da “avere anche un ruolo attivo” in una evangelizzazione che “risponda alle domande ed alle sfide dei tempi”. Infine, l’Amecea si affida alla “intercessione ed alle cure materne di Maria, Signora dell’Africa”. (A cura di Isabella Piro) 
 

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Cina: incendio distrugge antica cattedrale cattolica di Jiangbei

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La cattedrale di Jiangbei, nella provincia orientale di Zhejiang, una delle piu' antiche chiese cattoliche della Cina risalente al XIX secolo, e' stata quasi completamente distrutta in un violento incendio. Lo riportano i media cinesi ripresi dall'agenzia Ansa. Situata nel centro della citta' di Ningbo, la cattedrale era stata edificata in stile neogotico nel 1872 da un vescovo francese ed era stata messa sotto tutela dal governo di Pechino per il suo valore "storico ed architettonico".

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Appello del patriarca Rai per l'elezione del nuovo presidente

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“La Coalizione '14 Marzo' non vuole un Presidente allineato con la 'Coalizione 8 Marzo'. E la 'Coalizione 8 Marzo' non vuole un Presidente allineato con la 'Coalizione 14 marzo'. Quindi c'è bisogno di cercare un Presidente che sia fuori da entrambi i blocchi”. Così il patriarca di Antiochia dei maroniti Bechara Boutros Rai ha delineato quella che a suo giudizio appare come l'unica via d'uscita dall'impasse politica che da mesi sta deteriorando il quadro politico e istituzionale del Libano, dove i due blocchi politici dominanti non riescono a trovare un accordo sull'elezione di un nuovo Capo dello Stato.

Il sistema istituzionale libanese riserva la carica di Capo dello Stato a un cristiano maronita. E secondo il Patriarca Rai “ci sono molte figure di maroniti degni di assumere la Presidenza”. Le considerazioni patriarcali sulla crisi politico-istituzionale attraversata dal Paese dei Cedri sono state espresse dal cardinale Rai durante l'omelia della messa domenicale celebrata ieri presso la residenza patriarcale estiva di Diman.

La Costituzione libanese prescrive che il nuovo Presidente sia eletto due mesi prima della fine del mandato del suo predecessore. L'incarico del Presidente uscente Michel Sleiman è giunto a conclusione già alla fine di maggio. Da allora tutti i tentativi di eleggere il suo successore sono falliti a causa della contrapposizione tra i due blocchi che dominano la scena politica del Paese: la Coalizione 8 Marzo – che vede alleati gli sciiti di Hezbollah con la Corrente Patriottica Libera guidata dall'ex generale maronita Michel Aoun – e la Coalizione 14 Marzo – dove le Forze Libanesi guidate dal maronita Samir Geagea sono alleate con i sunniti del Partito 'Futuro' di Saad Hariri.

Nel corso dell'omelia, il cui testo è stato ripreso dall'agenzia Fides, il patriarca Rai ha di nuovo riproposto la convivenza tra cristiani e musulmani come tratto distintivo della storia del Libano e come antidoto alle pulsioni settarie che stanno sconvolgendo lo scenario mediorientale: “Per duemila anni” ha sottolineato il patriarca “i cristiani hanno dato vita alla cultura della regione attraverso il Vangelo, e ci sono stati anche 1400 anni di cultura islamica, che hanno interagito reciprocamente con la filosofia della coesistenza. Questo ha connotato la fisionomia del messaggio del Libano, dando vita a una storia di moderazione, lontano da estremismi e fondamentalismi”. (R.P.)

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Libia. Qaedisti in azione: i cristiani fuggono da Bengasi

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“Le sparatorie sono continue, anche intorno al centro della città, e c’è poca libertà di movimento, soprattutto per i cristiani”. Padre Amado Baranquel, francescano, parla da Bengasi, dove i fedeli “hanno persino paura di andare in Chiesa, perché temono di essere rapiti”. Di recente un lavoratore filippino è stato prelevato, riferisce il religioso, “dall’auto dell’azienda per cui lavorava, perché era l’unico cristiano, e poi decapitato”.

Per ragioni di sicurezza anche le congregazioni religiose femminili hanno dovuto abbandonare la città: le suore di carità dell’Immacolata concezione d’Ivrea, e quelle indiane della Santa Croce sono state fatte rientrare a Roma via Tunisi. “Due sorelle - riferiscono dalla casa generalizia delle suore d’Ivrea - sono rientrate venerdì a bordo di un aereo militare, le altre sei sabato, con un volo di linea”. Sono tutte “in salute” anche se spaventate”.

I timori dei cristiani derivano dalla presenza di brigate islamiche - “d’ispirazione qaedista”, sostiene padre Baranquel - osteggiate, però, dalla maggioranza della popolazione. La “speranza di un cambiamento” potrebbe arrivare dalla formazione di un nuovo governo dopo le elezioni parlamentari del 25 giugno: secondo i risultati diffusi la scorsa settimana, i candidati laici avrebbero prevalso su quelli vicini alle forze islamiche. (R.P.)

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Paraguay: migliaia di bambini sfollati soggetti a malattie e abusi

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Abusi sessuali, maltrattamenti e malattie sono alcuni dei tanti rischi che affrontano i 147.500 bambini sfollati a causa delle inondazioni che stanno devastando il Paraguay. Molti vivono ammucchiati negli oltre 100 campi abusivi montati nelle piazze e per le strade della capitale.

Secondo l’ultimo rapporto ufficiale, la piena storica del fiume Paraguay ha costretto circa 245 mila persone a muoversi in tutto il Paese. Sola ad Asunción, la città più popolosa di un Paese di 6,7 milioni di abitanti, circa 85 mila persone hanno abbandonato le rispettive abitazioni a causa del progressivo innalzamento delle acque in tutte le città di fiume dove si trovano i villaggi più poveri.

Circa 50 mila bambini della capitale sono stati costretti ad abbandonare ogni cosa, e alcuni da oltre due mesi anche la scuola; i più fortunati vivono nelle case di familiari o nelle due caserme militari abilitate nella città. La maggior parte però si trascinano tra i 126 accampamenti o spazi provvisori molto precari, dove scarseggiano sicurezza, bagni, igiene e acqua potabile. La gente vive ammucchiata, tra sconosciuti e in questo contesto i diritti dei bambini sono ancora più vulnerabili rispetto alla norma.

Secondo alcuni specialisti, nei campi profughi le bambine hanno il triplo delle probabilità di essere violentate o di subire abusi sessuali. L’ong Plan International ha montato 18 tende “Anua”, che in lingua guaraní significa abbraccio, per permettere ai bambini e alle famiglie di vivere in spazi aperti liberi dallo stress e dalla crisi che stanno attraversando. (R.P.)

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Primo caso di Ebola in Sierra Leone. Liberia chiude i confini

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Le autorità della Sierra Leone hanno annunciato un primo decesso causato dal virus dell’Ebola a Freetown. La vittima è una donna di 32 anni Saudatu Koroma, apprendista parrucchiera, morta sabato nella capitale. Il ministero della Sanità - riferisce l'agenzia Misna - ha confermato che si tratta del primo caso a Freetown, mentre fino ad ora il virus è stato circoscritto alle regioni orientali di Kenema e Kailahun. Il governo ha assicurato che la sorveglianza sanitaria è stata rafforzata e che campagne di informazione sono in corso mentre viene allestito un apposito centro presso l’ospedale Lakka, alla periferia occidentale di Freetown.

Venerdì scorso un primo decesso per l’Ebola è stato registrato nella megalopoli nigeriana di Lagos. Il governo federale assieme ad organizzazioni sanitarie internazionali stanno prendendo “misure drastiche” in ospedali, porti e aeroporti per evitare il propagarsi dell’epidemia. In realtà la vittima è un liberiano arrivato dalla Sierra Leone, che dopo un passaggio all’aeroporto di Lomé ha raggiunto Lagos. In stato di allerta anche le autorità del Togo, dove finora nessun caso è stato segnalato. Sotto stretta sorveglianza tutti i passeggeri che hanno viaggiato con la vittima liberiana.

Per arginare l’epidemia di Ebola, le autorità di Monrovia hanno invece chiuso la maggior parte dei posti di frontiera e in quelli rimasti aperti sono state imposte “misure sanitarie molto severe” tramite Centri di prevenzione e depistaggio già operativi. Lo ha annunciato la presidente Ellen Johnson Sirleaf che ha parlato di “problema sanitario nazionale”. Restrizioni anche ai raduni pubblici e alle manifestazioni di ogni tipo. Proprio in Liberia un medico americano, Samuel Brisbane, è deceduto dopo essere stato contagiato da pazienti che stava curando in un ospedale di Monrovia. Contagiato dal virus in Liberia un altro medico statunitense, Kent Brantly, che lavora per l’organizzazione cristiana Samaritan’s Purse, ora ricoverato presso l’Elwa Hospital nella capitale.

Secondo l’ultimo bilancio diffuso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), dallo scorso febbraio il virus ha già provocato la morte di 660 persone, di cui 314 in Guinea, 219 in Sierra Leone, 127 in Liberia e una in Nigeria, mentre i contagi sono stati più di 1.100. (R.P.)

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Coree: colloqui fra Nord e Sud per Grande dizionario comune

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I governi delle due Coree si sono accordati per far ripartire il progetto del Grande dizionario della lingua del popolo coreano, un testo comune che ha come scopo quello di preservare l'idioma nazionale e ridurre la distanza culturale fra i due Paesi, divisi sin dalla fine della Guerra civile del 1950-1953. I lavori ripartiranno domani nella città cinese di Xinyang e andranno avanti fino al 6 agosto. Il progetto è stato approvato dal ministero dell'Unificazione di Seoul.

La delegazione sudcoreana - riferisce l'agenzia AsiaNews - è composta da 32 linguisti, mentre non vi sono particolari su quella del Nord. Park Soo-jin, vice portavoce del ministero, ha spiegato che il governo di Seoul "ha sempre permesso e auspicato contatti e scambi culturali e sociali con Pyongyang. L'esecutivo ha dato il permesso di riprendere gli incontri sul Grande dizionario alla luce del significato che questo testo avrà nel preservare l'eredità culturale coreana e superare le distanze linguistiche fra i due lati del confine".

Il progetto è nato nel 2005 ma ha subito diverse interruzioni a causa della tensione militare che, in maniera ciclica, blocca i rapporti fra i due governi. Le provocazioni militari del Nord e il suo programma atomico hanno portato a un "blocco totale" dei rapporti che è durato dal 2012 all'inizio del 2014. Ora alcuni segnali indicano che Pyongyang ha intenzione di far ripartire gli scambi "non politici", anche in considerazione del bisogno incessante di aiuti umanitari da parte della comunità internazionale.

Da un punto di vista ufficiale, entrambe le Coree parlano la stessa lingua. Tuttavia, le influenze subite negli ultimi decenni dal lato meridionale e le differenze già esistenti fra i diversi dialetti hanno reso più evidente la distanza culturale fra i due lati del confine. Va poi considerato che il Sud è rimasto sempre aperto al dialogo con il mondo, e come tanti altri Paesi ha recepito diverse parole straniere; il Nord, al contrario, ha portato avanti una politica di isolamento che le ha consentito di mantenere un linguaggio più simile a quello degli inizi del '900.

Un esempio pratico di questa distanza viene dal calcio, uno dei pochissimi sport trasmessi dalla televisione nazionale di Pyongyang con l'aiuto - e il segnale - dei canali del Sud. Mentre in Corea del Sud il portiere di una squadra viene chiamato "goalkeeper", termine inglese usato in diverse altre nazioni, nel Nord il termine ufficiale è "munjigi", che significa "il guardiano dei cancelli". (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 209

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.