Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 29/07/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Traettino: colpiti da umanità del Papa, sogno di Dio è l'unità

◊  

Diversità e unità. È quanto hanno detto, ripetuto e sperimentato ieri mattina Papa Francesco, il suo amico pastore Giovanni Traettino e la comunità pentecostale che a Caserta ha condiviso un incontro dal forte sapore ecumenico, in un clima di fraternità. Al microfono del nostro inviato, padre Guillermo Ortiz, il pastore Traettino racconta subito dopo l’incontro sentimenti e impressioni: 

R. – Siamo profondamente toccati dalla semplicità, che conoscevamo già di Papa Francesco, e anche dalla sua umanità. Sono le cose che ci colpiscono di più. Inoltre il fatto di vivere, proprio a livello sperimentale, questa nostra fratellanza è una cosa che ci colpisce molto.

D. – In cosa aiuta l’atteggiamento di Francesco in questa ricerca della radicalità del Vangelo, che anche voi cercate?

R. – Io credo che sia l’esperienza di Cristo. Credo sia il rapporto personale con Cristo. Per me, è evidente che lui è un uomo che ha fatto l’incontro con Gesù e quindi quando incontra uomini che hanno questo tipo di rapporto col Signore e che vogliono vivere il Vangelo, si stabilisce quella che lui chiama un’empatia.

D. – Qualche giorno fa, lei ha detto che non vi è una Pentecoste che non dia vita e non generi unità e che nessuno può essere un pentecostale vero senza questa vocazione…

R. – Sì. Io ne sono profondamente convinto. Ogni Pentecoste – quelle dell’Antico Testamento e quelle del Nuovo Testamento – assieme a questa effusione di vita producono unità. La Chiesa è nata a Pentecoste. Quindi, è evidente che quello che è venuto fuori da molte lingue è una lingua, da molti popoli un popolo… Pentecoste ci mette sulla frontiera: dobbiamo avanzare sempre di più verso la realizzazione del sogno di Dio ed è evidente che il sogno di Dio sia l’unità, dal momento che Dio stesso è unità.

D. – Anche se questa è stata la visita a un amico e un ritrovare – come ha detto Papa Francesco – i fratelli che per primo lo hanno cercato, tanti vedono questo come un incontro ecumenico…

R. – Sì, nella dimensione del dialogo fraterno, in questo senso qua. Quindi, la dimensione teologica, dottrinale è assente, però è molto forte e presente quella prima dimensione di cui parla Paolo agli Efesini, al capitolo 4: l’unità dello Spirito da preservare. Perché quando si ha la stessa esperienza dello Spirito, l’unità “con” lo Spirito produce l’unità “dello” Spirito, l’unità con lo Spirito Santo produce l’unità dello Spirito Santo. Quindi in questo senso, io credo che nella misura in cui facciamo esperienza di Dio e abbiamo Dio dentro – “Il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo” – quando scopriamo un’altra persona che vive dentro di lui questa stessa esperienza, si stabilisce questo feeling, questo rapporto.

D. – Papa Francesco le ha fatto visita come a un fratello, un amico. Anche Radio Vaticana le apre il microfono perché lei possa rivolgere a tutti i pentecostali una parola…

R. – La parola che dico ai miei fratelli pentecostali è semplicemente di scoprire il deposito che c’è nel loro Battesimo nello Spirito Santo, che è un deposito di vita. La Scrittura dice, Gesù dice che avremo vita in abbondanza. E noi sperimentiamo a livello pentecostale questa vivacità, questa presenza. L’altro elemento, che è un po’ dormiente nel mondo pentecostale, è la dimensione della unità, che – secondo me – è insita nella grazia del Battesimo nello Spirito Santo.

inizio pagina

P. Ortiz: pentecostali non setta ma fratelli che cercano Gesù

◊  

L’incontro ieri a Caserta di Papa Francesco con il pastore ed amico, Giovanni Traettino, nella Chiesa pentecostale della Riconciliazione, è stata l’occasione per venire a contatto con una realtà ecclesiale poco conosciuta in Italia ma molto presente nel continente americano. Nel mondo – si stima – siano oltre 400 milioni. Roberta Gisotti ne ha parlato con padre Hugo Guillermo Ortiz, gesuita argentino, responsabile dei programmi in lingua spagnola della Radio Vaticana: 

E’ stato Francesco stesso ad accendere la curiosità: qualcuno sarà stupito che il Papa sia andato dagli evangelici, ha detto, ma sono andato “a trovare i fratelli”. Padre Ortiz, chi sono i pentecostali?

R. – E’ una realtà molto diffusa in America Latina, in Argentina. Io ho lavorato, abbiamo lavorato insieme a Bergoglio, dal ’79, in questi quartieri dove c'era la gente che si radunava, cercava l’incontro con Gesù tramite la sua Parola, con molta onestà. Danno testimonianza di quello che ha fatto la Parola di Dio nella preghiera personale.

D. – Qualcuno addirittura assimila i pentecostali a una setta, ma non è così...

R. – Si deve fare una differenza tra queste sette, che approfittano delle persone sulla base della "teologia della prosperità" e ingannano la gente. Sono dei truffatori e utilizzano la Parola di Dio, chiedono la benedizione di Dio, ma attraverso i soldi: “Se tu mi dai dieci euro, avrai una benedizione da dieci euro. Se tu metti cento euro, avrai da Dio una benedizione da 100 euro”. Questa è una truffa! Ci sono anche sette sataniche: umbanda, macumba, santeria... Queste sono un’altra cosa. Penso che l’incontro di ieri a Caserta sia stata un’esperienza di preghiera iniseme allo Spirito Santo, per essere insieme alla presenza di Gesù, per camminare con Gesù, come ha detto Francesco. Questo ci unisce. Ci sono tanti che cercano Dio, che cercano Gesù, e penso che Francesco sia aperto al fatto che lo Spirito operi in tutte le persone. Ci sono altre pecore, non soltanto quelli che ci chiamiamo, che siamo battezzati cattolici.

inizio pagina

Francesco in Sri Lanka e Filippine dal 12 al 19 gennaio 2015

◊  

Una settimana tra le Chiese dell’Oriente più lontano. La Sala Stampa della Santa Sede ha reso note le date del viaggio apostolico che Papa Francesco compirà nel gennaio 2015 in Sri Lanka e Filippine.

Nell’ex Isola di Ceylon, il Papa si tratterrà dal 12 al 15 gennaio, quindi dal 15 al 19 si sposterà nelle Filippine, uno dei pochi Stati asiatici a maggioranza cattolica.

Il programma del viaggio, precisa la Sala Stampa Vaticana, “sarà pubblicato prossimamente”.

inizio pagina

Papa, tweet: apprezziamo prezioso lavoro di colf e collaboratori

◊  

Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Apprezziamo di più il lavoro dei collaboratori domestici e dei badanti: è un servizio prezioso”.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Diversità riconciliata: Papa Francesco durante la visita alla Chiesa pentecostale a Caserta.

In prima pagina, Manuel Nin sul martirio nell'indifferenza.

Il silenzio sugli innocenti, denunciato negli editoriali della stampa internazionale, in un commento di Gabriele Nicolò.

"Come un fantasma sulla storia": Sylvie Barnay sull'orrore della guerra in una grande mostra del Louvre a Lens.

Se il gaucho c'insegna che la crisi è un problema morale: una rilettura - di Jorge Mario Bergoglio - del "Martin Fierro" di José Hernandez come grande metafora del presente.

Senza contatto umano la fede non passa: da Yamaguchi, Cristian Martini Grimaldi a colloquio con il vescovo di Hiroshima.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Gaza, colpita parrocchia. P. Hernandez: porre fine al massacro

◊  

Crisi in Medio Oriente ancora in primo piano alla quarta settimana di offensiva. Si prova a trattare dopo i diversi appelli alla pace giunti ieri da Stati Uniti, Onu e Unione Europea. L'emittente satellitare "al Arabiya" riferisce di una delegazione palestinese attesa oggi al Cairo per valutare la proposta egiziana di cessate-il-fuoco già accolta da Israele. Intanto gli attacchi, seppur meno frequenti, continuano su entrambi i fronti. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Da ieri sera, il bilancio dei morti si aggiorna a 26 palestinesi uccisi tra cui 9 donne e 4 bambini oltre - 1.110 in tutto dall’inizio dell’offensiva -  e 48 militari di Tel Aviv. Peggiora la situazione umanitaria da quando sta bruciando la centrale elettrica più grande di Gaza e in fumo sono andate anche le riserve di carburante. Di questa mattina anche la notizia di 20 mila nuovi sfollati che si aggiungono ai più di 200 mila di Gaza. Sono gli abitanti di Izet Abed Rabbo e di al Zeitun, rioni che ieri Israele ha chiesto di abbandonare avvertendo dei bombardamenti. Tanti sono scappati, ma non il parroco della "Sacra Famiglia" di al Zeitun, p. Jorge Hernandez, con i suoi parrocchiani, gli anziani e i bambini disabili è tutt’oggi sotto i tiri dell’artiglieria come testimonia l’audio della nostra intervista in cui p Hernandez racconta del dramma vissuto, ringraziando per tutte le preghiere della comunità cristiane del mondo:

R. - Purtroppo, il movimento della resistenza è sempre intorno alle case e per le strade. È stato questo il nostro problema di ieri: a un certo punto, non potevamo più uscire di casa. Poi, sono arrivati i bombardamenti. Una casa qui, vicina alla chiesa, è stata colpita e noi abbiamo riportato delle conseguenze gravi sulla canonica e sulla scuola.

D. - Sappiamo che molta gente ha provato a scappare: sono circa 20 mila i nuovi sfollati che si vanno ad aggiungere a quelli che già ci sono. Ma per tanti, come per voi, è impossibile andare via. Qual è il vostro stato d’animo?

R. - Noi non possiamo muoverci: come si fa a portare via trenta bambini handicappati e nove persone anziane? Non si può assolutamente! Anche perché non si tratta di orfani, noi non siamo i loro responsabili. Dunque, senza il permesso non lo puoi fare. Poi, uscire per strada è pericoloso… Dunque siamo qui, cercando di resistere.

D. - Ha sentito domenica l’appello del Papa proprio in nome dei bambini che rimangono praticamente schiacciati in queste realtà di sofferenza. Vi è arrivato il suo messaggio? Che cosa scatta nei vostri cuori quando si sente che il Papa da lontano pensa, prega, chiede che tutto questo finisca?

R. - È un conforto per noi la vicinanza del Papa. Ci vuole qualcuno che dica “Basta!” e che metta fine a questo massacro perché è impressionante. Noi abbiamo avuto una grazia, una delicatezza di Papa Francesco che, qualche giorno fa, ci ha mandato una mail in cui manifestava la sua vicinanza alla parrocchia e la sua preghiera per tutti i cristiani. Abbiamo dato la notizia della mail a tutti i parrocchiani e ai cristiani che hanno provato evidentemente un sollievo. Per noi è stata una grande cosa. Purtroppo, il Papa non viene sempre ascoltato. L’altro ieri, abbiamo vissuto una tragedia: la casa di una famiglia cristiana è stata bombardata, la mamma è morta, il papà ha riportato delle ferite e il figlio maggiore che si trovava incasa lotta ancora tra la vita e la morte in ospedale. Negli ospedali qui a Gaza non si trovano i mezzi, manca lo spazio, non c’è l’attrezzatura necessaria… Questa è la nostra situazione.

 D. - Padre, quando viene proclamata una tregua è effettivamente un momento di pausa per tirare un respiro di sollievo o è comunque un momento di caos e di paura?

R. - Diciamo che di tutti gli appelli alla tregua che ci sono stati abbiamo potuto approfittare solamente di uno, e non dall’orario che loro avevano dato, perché per esempio se dicono dalle due di sera, la tregua inizia alle tre, non smettono subito. Purtroppo, non abbiamo potuto approfittare degli altri appelli di tregua, perché di fatto il fuoco non si è fermato. Una cosa è ciò che si dice a livello informativo, un’altra cosa è quello che viene vissuto. Ora, abbiamo solo un’ora e mezza massimo due di elettricità... Ci sono stati dei giorni in cui non l’abbiamo avuta per niente e questo è un problema. Non arriva assolutamente acqua: noi cerchiamo di aiutare le persone vicine con le riserve che abbiamo. Tante persone poi ci hanno chiesto rifugio qui in chiesa e noi non possiamo darlo perché non è sicuro.

inizio pagina

Quirico: io sconto il tempo della prigionia di p. Dall'Oglio

◊  

Preghiere e messe in diverse città del mondo a un anno dal rapimento in Siria di padre Paolo Dall’Oglio. Il 29 luglio dello scorso anno, il gesuita islamologo veniva sequestrato a Raqqa sotto il controllo dalle milizie islamiste dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, gruppo legato ad al-Qaeda. Da allora, non si è saputo più nulla del religioso. Molte le ipotesi che si sono susseguite, nessuna finora rivelatasi fondata. A oggi, oltre a padre Dall’Oglio, risultano scomparsi altri quattro religiosi: due vescovi ortodossi e due sacerdoti, un cattolico e un ortodosso, oltre a migliaia di civili. Ieri, la famiglia di padre Dall’Oglio ha lanciato un appello ai responsabili affinché rivelino la sorte del loro congiunto, mentre il nunzio mons. Zenari ai nostri microfoni invocava la pietà e invitava a non perdere la speranza. Quando padre Dall’Oglio veniva sequestrato, il giornalista del quotidiano “La Stampa”,  Domenico Quirico, era già stato rapito. Quirico, sempre in Siria, rimase nelle mani dei suoi sequestratori per cinque mesi, dal 9 aprile 2013 all’ 8 settembre. Ascoltiamolo al microfono di Francesca Sabatinelli: 

R. – E’ il terribile discorso del tempo! Io sono stato prigioniero 5 mesi e adesso, come dire, faccio il tremendo paragone tra il mio tempo, che pure per me è stato lunghissimo, e quello di padre Dall’Oglio, già un anno. Una delle conseguenze più terribili della mia vicenda è che ogniqualvolta che ripenso e mi vengono agli occhi o alla mente vicende come la mia, il tempo degli altri ridiventa tempo mio, la loro prigionia. E’ come se io scontassi su di me anche il tempo che loro sono costretti ancora a passare in quella condizione terribile di sequestro, di prigione, di separazione dagli altri, dal mondo, dagli affetti, dalla vita, da tutto! Questo è essere ostaggi: essere privati sostanzialmente di tutto ciò che la vita è e vale per essere vissuta. Questa è la terribile riflessione che mi viene ripensando alla vicenda di padre Dall’Oglio, alla vicenda di tanti altri che sono prigionieri: l’essere incatenati è un tempo vuoto! Questo è il vero dramma del sequestrato.

D. – Ricordavi che ci sono tante altre persone rapite, ci sono religiosi, insieme a tanti altri civili. Parlando di padre Dall’Oglio – ma lo possiamo estendere a tutte le persone che sono nelle mani dei sequestratori – mons. Zenari diceva che bisogna avere sempre la speranza, che non bisogna perderla mai...

R. – Questo è ciò che mi ha tenuto in vita per i cinque mesi in cui sono stato prigioniero. Gli esseri umani hanno una straordinaria forza di resistenza. Il destino ti gironzola attorno con un martello e picchia sul vaso della nostra esistenza per scoprire il punto debole. Eppure, anche in frantumi, ogni uomo in ogni frammento conserva la sua vitalità. Si ricostruisce, prosegue, ha coraggio. E poi la mia fede confrontata a quello di padre Dall’Oglio è niente e chi ha fede – come dico sempre – non è mai solo. Io sono certo che accanto a padre Dall’Oglio c’è una presenza immanente, perfetta, costante, che lo sorregge, che gli fa scavalcare i giorni, i mesi che sono passati e spero quel poco che gli resterà ancora per tornare libero, per tornare libero!

D. – Questa straordinaria resistenza degli esseri umani di cui parli, questa capacità di conservare la propria vitalità anche in situazioni drammatiche, tutto questo vorrei proiettarlo in Siria, un conflitto che in questo momento ha perso di luce. Quanto i siriani dovranno, anche loro, tirare fuori questa straordinaria resistenza di cui parlavi tu?

R. – E’ da quattro anni che si arrampicano, si legano a questa straordinaria resistenza per continuare a resistere, cristiani e non cristiani. La Siria ha perso un po’ di luce, perché noi non sappiamo vedere. In realtà, gli eventi che stanno maturando in quella parte del mondo – mi riferisco alla creazione del “Califfato” nella zona a cavallo tra la Siria e a tutto quello che in Iraq è accaduto in questi mesi e sta accadendo – non sono altro che la proiezione, l’allargamento di un seme terribile che in Siria è nato nella nostra indifferenza e nella nostra incapacità di capire. E’ un evento, il nascere di uno Stato territoriale, legato ad un fanatismo religioso, a una interpretazione fanatica e totalitaria della fede. E’ un evento di cui non possiamo, credo, intravedere l’onda d’urto che avrà non nella storia di quella parte del mondo, ma nella storia del mondo. E tutto questo non è nato in Iraq, come qualcuno ha scritto stupidamente: è nato in Siria! E’ il germinare del veleno siriano. Sono le conseguenze di tutto ciò che in Siria si è sviluppato in questi ultimi quattro anni. E’ il nostro non voler vedere e di cui la vicenda di padre Dall’Oglio è un aspetto drammatico. A poco a poco, questa tragedia ha avuto un processo di lievitazione. Da guerra interna tra i fautori di Bashar e i suoi nemici è diventata un’altra cosa: lievita, lievita, lievita e crescerà fino a soffocare i nostri ostinati e assurdi tentativi di non vedere, di voltarci dall’altra parte, di non capire.

inizio pagina

Usa-Ue: Mosca non fa abbastanza su crisi ucraina

◊  

Per la prima volta l'Europa colpisce con sanzioni direttamente l'entourage di Putin. La decisione, dopo che il presidente Usa Obama e i leader europei, in una dichiarazione congiunta, hanno accusato Mosca di non aver fatto abbastanza per scongiurare il conflitto in Ucraina dell’est. Il servizio di Fausta Speranza: 

"Nonostante i numerosi appelli", Putin non ha agito sui separatisti: Mosca non ha fatto effettive pressioni per indurli a negoziare e non ha assunto le misure concrete che si attendevano per garantire il controllo della frontiera". Questa la posizione comune espressa da Obama, il francese Hollande, la cancelliera Merkel, e i premier Renzi e Cameron al termine della "conference call" tra i cinque leader dedicata alla crisi ucraina. Già ieri, Bruxelles ha deciso sanzioni che devono essere tradotte in atti legali con la procedura scritta (cioe' una consultazione delle 28 cancellerie, ma senza riunire i ministri) che si chiuderà domani. Misure restrittive anche per Crimea e Sebastopoli: stop a esportazioni di tecnologie chiave e ai nuovi investimenti in società attive in settori come infrastrutture, trasporti, comunicazioni, energia. Guardando a Washington, c’è anche l’accusa a Mosca di aver violato il Trattato sul controllo delle armi, con il test di un missile "Cruise".

Del margine di azione di Putin e di altre implicazioni,  Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università del Salento:  

R. – Ritengo che Putin si trovi in una specie di trappola da cui non riesce ad uscire – e forse non vuole neanche uscire – nel dover appoggiare a tutti i costi le popolazioni russe che si trovano sotto il controllo dell’Ucraina. Io non so se abbia intenzione di mediare perché vede dall’altra parte una certa debolezza. A parole, ci sono fortissime pressioni soprattutto da parte degli Stati Uniti – anche l’ultima richiesta di incrementare le sanzioni – ma, dall’altra parte, si rende conto che noi, Europa Occidentale, abbiamo serie difficoltà a intraprendere misure di tipo economico ancora più dure per fare pressioni sulla Russia, su Putin, e quindi portarlo a una mediazione.

D. – C’è anche l’accusa da parte di Washington di aver violato il Trattato sulle armi, cioè Mosca si sarebbe compromessa con un missile Cruise. Che dire?

R. – Possibili violazioni del Trattato del 1987 sui missili a raggio intermedio, firmato da Gorbaciov e da Reagan, emergono da questa relazione presentata, ma pare siano iniziate già da qualche tempo. Fa pensare il fatto che venga pubblicata esattamente in questi giorni in cui l’amministrazione Obama sta tentando di fare ulteriori pressioni su Putin. Credo che la violazione poterebbe anche esserci stata: è la tempistica che non mi convince molto.

D. – Possiamo dire che, a fronte delle accuse da parte dell’Unione Europea e Stati Uniti, la Russia trova sempre più l’appoggio della Cina?

R. – Assolutamente sì. La Cina chiaramente ha fatto una dichiarazione di appoggio a Mosca in questa situazione in cui si trova, anche perché la Cina stessa ha delle difficoltà con popolazioni cinesi che si trovano in altre aree e che sarebbe pronta a difendere in qualsiasi momento. Anche la Cina ha un fortissimo spirito nazionalista, il che la porterebbe a intraprendere determinate azioni. Dall’altra parte, come dicevo, Putin gioca abbastanza facilmente perché vede una particolare debolezza – e non potrebbe essere diversamente – da parte dell’Europa. 

inizio pagina

Mozambico: intesa governo-opposizione. Una suora: speranze di novità

◊  

In Mozambico, dopo lunghe trattative, è stato raggiunto un accordo tra il partito di governo Frelimo e la principale forza di opposizione, la Renamo, che da circa un anno e mezzo erano tornate a scontrarsi nelle regioni centrali del Paese, dopo aver combattuto, tra 1975 e 1992, una lunga guerra civile. L’accordo appena raggiunto prevede l’integrazione dei combattenti della Renamo nelle Forze armate e nella polizia e dovrebbe permettere uno svolgimento pacifico delle elezioni generali il prossimo 15 ottobre. Davide Maggiore ha chiesto come è stata accolta la notizia a suor Maria Laura Malnati, superiora delle Missionarie comboniane nel Paese, raggiunta telefonicamente nella capitale Maputo: 

R. – Sapevamo che le due parti continuavano a incontrarsi tutti i giorni per riuscire ad arrivare a un accordo. E’ stato un po’ inatteso, nel senso che fino ad una settimana fa continuavamo ad avere attacchi tutti i giorni e ci chiedevamo se davvero si stesse facendo un accordo o se non fossero solo parole, che sarebbero rimaste lì senza nessun effetto. Siamo, invece, contente che le due parti si siano messe d’accordo e che si possa perlomeno ritornare nelle zone in cui c’era pericolo di viaggi, di vita, e si possa tornare a una situazione più o meno stabile.

D. – I colloqui comunque continuano. Quali sono adesso i nodi che restano da risolvere?

R. – Penso che il nodo più grande sia appunto quello dell’integrazione degli ex militari della Renamo nell’esercito o comunque in posti di lavoro, con sussidi che siano più o meno equiparati a quelli che erano del Frelimo. E penso che sia un po’ anche la distribuzione delle ricchezze.

D. – Abbiamo citato le risorse del Mozambico: vengono in mente il carbone e anche le riserve di idrocarburi. Quale può essere l’influsso di questa ricchezza del Mozambico, scoperta abbastanza di recente, sul futuro del Paese, in particolare per quanto riguarda i rapporti tra Renamo e Frelimo?

R. – Questo non lo sappiamo, perché quello che stiamo vedendo adesso è che queste grandi ricchezze di gas, carbone, pietre preziose, oro, non hanno un influsso positivo sulla popolazione, senza parlare dell’ambiente che viene devastato. Con i ricavati, inoltre, e con tutta questa ricchezza, non è che la popolazione riesca a avere un livello di vita migliore. I contratti vengono fatti dalle grandi multinazionali, dai governi, e sarà abbastanza difficile, dunque, trovare una via per fare in modo che queste ricchezze arrivino un po’ a tutti e non solo ad alcuni. Dovranno arrivare a fare accordi in cui qualcuno ceda qualcosa, altrimenti si continuerà ad avere conflitti.

D. – Questo accordo raggiunto tra Frelimo e Renamo fa anche ben sperare per le elezioni generali, che sono in programma il prossimo ottobre. Ci si può aspettare a questo punto, visto lo stato dei rapporti tra i due movimenti al governo e all’opposizione, che la Renamo partecipi alle elezioni e che lo faccia pacificamente?

R. – Noi speriamo di sì. Infatti, una delle preoccupazioni, se non si fosse arrivati a un accordo, era proprio quella delle elezioni. Con questo accordo abbiamo una grande speranza che si facciano, e che si facciano in modo pacifico e in modo, speriamo, libero e trasparente, come è lo slogan.

D. – Queste elezioni arrivano ad oltre 20 anni dalla fine della lunga guerra civile che ha insanguinato il Mozambico fino al 1992 e in queste elezioni, ovviamente, voteranno anche molti giovani che magari non hanno conosciuto gli anni della guerra civile. Anche questa per voi è una ragione di speranza?

R. – Sì, è una ragione di speranza, come lo è anche il fatto che stia emergendo un terzo partito che non è Frelimo o Renamo, e quindi i giovani sperano soprattutto in questa nuova forza, che potrebbe dare un cambio alla situazione, potrebbe portare delle novità positive. Tutto dipenderà, dunque, dalle elezioni, ma speriamo che davvero anche i partiti poi non deludano questi giovani, che vogliono qualcosa di nuovo, che vogliono avere la loro parte anche nel governo di questo Paese, e che soprattutto vogliono avere condizioni di vita migliori.

inizio pagina

Usa: 2013 anno nero per la libertà religiosa nel mondo

◊  

Il 2013 è stato un anno nero per la libertà religiosa nel mondo, con un record di spostamenti forzati di minoranze vittime di violenze e persecuzioni. E’ quanto emerge dal rapporto annuale del Dipartimento di Stato americano diffuso ieri a Washington. “In quasi ogni angolo del globo milioni di cristiani, musulmani e credenti di altre religioni sono stati costretti ad abbandonare le proprie case a motivo della loro fede”, afferma il documento, secondo il quale, nonostante qualche esempio positivo di solidarietà e di collaborazione interreligiosa, resta ancora molto cammino da fare su questo fronte.

Per quanto riguarda la repressione degli Stati , il record negativo continua ad essere detenuto dalla Corea del Nord, il cui regime vieta qualsiasi attività religiosa. Pesanti limitazioni per le comunità che non sono affiliate alla religione di Stato, si registrano ancora in Paesi come l'Arabia Saudita, l’Iran e Sudan, mentre in Cina, a Cuba e nelle Repubbliche del Caucaso le attività religiose sono strettamente controllate dallo Stato. In Eritrea i membri di gruppi religiosi non riconosciuti dal regime rischiano pesanti sanzioni: nel 2013 almeno 1.200 persone sono state arrestate per la loro appartenenza di fede. Anche in Myanmar, nonostante le aperture democratiche del governo birmano, le violenze contro la minoranza musulmana hanno causato l’anno scorso un centinaio di morti e costretto alla fuga 12mila persone dalla città di Meikttila.

In allarmante crescita l’intolleranza e le violenze da parte di movimenti estremisti, come Boko Haram in Nigeria. Particolarmente drammatica la situazione nelle aree di conflitto: dal Centrafrica, dove gli scontri tra i miliziani del Seleka e degli anti-Balaka hanno causato 700 morti tra cristiani e musulmani nel solo mese di dicembre, alla Siria a tutto il Medio Oriente dove la presenza cristiana si sta assottigliando sempre di più.

Non accennano a diminuire poi le violenze contro le minoranze religiose in Sri Lanka da parte dei nazionalisti buddisti, mentre in Bangladesh sono aumentati gli attacchi dei fondamentalisti musulmani contro i luoghi di culto in particolare indù, e in India nel 2013 sono proseguiti gli scontri settari tra musulmani e induisti.

Secondo il rapporto del Dipartimento di Stato gli attacchi alla libertà religiosa si verificano anche in Europa. È il caso della Russia che usa le leggi contro l’estremismo per restringere le libertà religiosa delle minoranze, mentre in diversi Paesi dell’Unione Europea, tra i quali il Regno Unito, la Francia, la Germania e l’Italia è in preoccupante ripresa l’anti-semitismo, come indicano i vari forum sul web e gli episodi di violenza verbale negli stadi di calcio. (A cura di Lisa Zengarini)

In tutto il mondo aumentano discriminazioni e violenze per motivi di fede. E’ quanto emerge dal “Rapporto sulla libertà di religione 2013” a cura del Dipartimento di Stato americano. Il dossier punta l’attenzione, in particolare, sugli attacchi contro le comunità cristiane in vari Stati. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

In ogni angolo del pianeta sono in aumento abusi,discriminazioni e violenze per motivi di fede. Ma quali le cause? Risponde il prof. Roberto Tottoli, docente di islamistica all’Università Orientale di Napoli:

 “Dipende sostanzialmente da una serie di ragioni politiche, da regione a regione. Sicuramente nel mondo musulmano oggi la crescita esponenziale dell’influenza, della presenza dei gruppi jihiadisti e la polarizzazione sull’appartenenza all’islam di queste popolazioni, hanno determinato la profondissima crisi di tutte le comunità cristiane, dall’Iraq alla Siria ma anche in Africa subsahariana; quindi, si registra una vera e propria emorragia che lascia davvero presagire quasi la fine di alcune comunità storiche. Poi, ci sono alcune realtà contingenti in altri Paesi: l’Occidente, per certi versi, ha ripresentato problemi di questo tipo dopo l’11 settembre del 2001; quindi anche le ondate “islamofobiche” hanno determinato questo. Iran, Arabia Saudita e la stessa Cina hanno comunque storicamente, negli ultimi decenni, legislazioni anti religiose”. 

 Destano grande preoccupazione le limitazioni alla libertà religiosa in vari Stati – tra cui Cina, Corea del Nord, Iran Eritrea ed Arabia Saudita – e gli attacchi in Egitto contro la comunità cristiana copta. Milioni di persone sono state inoltre costrette ad abbandonare le loro case a motivo della loro fede. In Siria e Iraq le comunità cristiane sono vittime, in particolare, di ‘sfollamenti di massa’.

 “In Iraq, in particolare in Siria, sicuramente il crollo di regimi totalitari - che ha ristretto le libertà politiche e che però garantivano almeno la libertà di culto per le minoranze cristiane - ha determinato il fatto che queste minoranze si sono trovate esposte ad una situazione molto più dinamica che purtroppo è degenerata in una guerra civile. Una guerra che ha visto prevalere gruppi jihiadisti - caratterizzati da una forma particolare di adesione all’islam - con la conseguenza immediata di mettere a repentaglio queste comunità storiche che rischiano veramente di scomparire, in una situazione politica sul terreno che è degenerata e che non lascia trasparire nessuna soluzione positiva”.

 Si registra anche l’impennata di sentimenti anti-semitici e anti – islam in diversi Paesi dell’Unione Europea. Ancora il prof Roberto Tottoli:

 “Purtroppo anche la crisi israeliana, in qualche modo, ha determinato il riaffiorare di sentimenti di questo tipo. Anche il post 11 settembre ha radicato in molte realtà – soprattutto del Nord Europa e negli stessi Stati Uniti – sentimenti di tipo anti islamico che vanno leggermente scemando, ma che, in ogni occasione di crisi di questo tipo, riaffiorano in maniera sinistra. Quindi, sono sicuramente segnali molto sinistri ai quali la politica, per ora, non sembra aver trovato ‘antidoti’, o comunque capacità per intervenire”.

inizio pagina

Italia, eterologa. Card. Sgreccia: lede dignità del matrimonio

◊  

Il tema della fecondazione eterologa è sempre in primo piano in Italia. Le indicazioni fornite dal Tavolo Tecnico convocato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin parlano, tra l’altro, di assoluto anonimato e di rimborsi ai donatori e oggi è in programma l’audizione del ministro alla Commissione Affari sociali della Camera. Ma il cardinale Elio Sgreccia ribadisce: “La fecondazione artificiale lede la dignità e l’unità del matrimonio”. Il servizio di Debora Donnini

Il ministro Lorenzin riferirà alla Commissione affari sociali della Camera sulle iniziative del governo conseguenti alla sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge 40 sul divieto del ricorso alla fecondazione eterologa.Il Tavolo tecnico di esperti convocato ha fornito delle indicazione e, si sottolinea in una nota, ha avuto esclusivamente un ruolo informale e consultivo.

Intanto, la Regione Toscana autorizza ufficialmente la fecondazione eterologa nei suoi centri pubblici, privati e convenzionati, approvando una delibera che sarà esecutiva dopo la pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione stessa. Per un commento, abbiamo sentito il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita: 

“La fecondazione artificiale, già nella sua semplice enunciazione, quando è artificiale, lede la dignità e l’unità del matrimonio, in quanto la creatura deve essere il frutto e il dono dell’amore reciproco dei due sposi. Quando poi si interviene con la eterologa di uno dei gameti oppure dell’ovulo, c’è una lesione maggiore, in quanto l’unità del matrimonio e il diritto dei figli a essere concepiti e messi al mondo dal matrimonio vengono meno tutte queste caratteristiche, poiché uno dei due genitori è esterno al matrimonio”.

inizio pagina

Ascolto e aiuto concreto per i separati: la testimonianza di uno di loro

◊  

“Quella dei padri separati è una delle fasce sociali più colpite dalla nuova povertà”: lo afferma Mario Sedia, vicedirettore di Caritas Palermo presentando un nuovo progetto dedicato a quanti si trovano in emergenza abitativa a seguito della separazione coniugale. Prevede 15 posti letto, ma anche sostegno e accompagnamento individuale.  Nelle diocesi italiane cresce l’attenzione verso i separati. E c’è chi, vivendo questo stato, si mette a servizio degli altri. Come Paolo Ricci, che vive in Umbria e che la separazione l’ha subita, vivendo perciò un dolore ancora più difficile da accettare. Il suo impegno si realizza nell’ambito di “Famiglie Nuove” del Movimento dei Focolari e attraverso il blog “in-separabili.blogspot.it”. Adriana Masotti lo ha intervistato: 

R. – Ma, io direi intanto di avere risolto un dolore così grande in Dio, nel ritrovare il rapporto con Lui che avevo un tempo. Tutto il resto è venuto da solo, è stato naturale. All’inizio, per tanto tempo, ho cercato di contrastare questa separazione, finché un giorno la mia sposa mi ha urlato: “Dio lascia liberi e tu no!” Ecco mi stava chiedendo di amarla con l’amore di Dio. Lì iniziò tutto, nel rendermi conto che dovevo vivere questa volontà di mia moglie, seppur per me follia, seppure non condividendola, come volontà di Dio. E quindi il mio continuare a stare dentro il mio matrimonio aveva un senso se lo mettevo a disposizione di “Famiglie Nuove”, ma della Chiesa soprattutto e dell’umanità. Veniva fuori la mia strada che certo non era la mia volontà.

D. – Da qui sono nati poi incontri con coppie, partecipazioni a convegni e anche “in-separabili.blogspot.it”, che è diventato punto di riferimento per tanti – uomini e donne – in crisi coniugale o già separati. Che cosa chiedono queste persone e che tipo di aiuto lei può dare loro?

R. – Il mio aiuto è molto semplice: è quello che nasce dal mio vivere. A volte è richiesto ascolto, a volte consigli, ma quello che vedo importante è sempre la condivisione totale dei problemi, perché vedo che a volte tanti sposati, pur impegnandosi in buona fede, fanno difficoltà a capire fino in fondo la vita di un separato. Quello che scrivo sul blog è semplicemente quello che vivo. Credo che questo sia importante: chiamare le cose con il loro nome; dire le cose vere.

D. – Lei ha scelto di non avere altre relazioni, dopo la separazione, o un secondo matrimonio, perché crede fino in fondo a quel “sì, per sempre” pronunciato al momento delle nozze. Vuol dirci qualcosa di più di questa scelta?

R. – Nel giorno del mio matrimonio – ormai sono 33 anni – avevo con me un amico che stava in carrozzella da 11 anni per un incidente stradale. Ci fu un momento forte, durante la cerimonia, perché guardandolo, io mi chiesi: “Se lei, questa creatura che sto sposando, domani ha un incidente e rimane in carrozzella tutta la vita, cosa faccio?” Ecco, io lì dissi il mio sì a Dio, anche nella malattia, anche nel dolore, perché nel rito del matrimonio lo sappiamo si dice: “nella gioia, nel dolore, nella salute e nella malattia”, ma poi tutti siamo portati a pensare solo alla gioia e alla salute. Io credo, quindi, di stare facendo semplicemente la cosa che avevo in qualche modo promesso. 

D. – Questa scelta quanto viene capita? Ed è capitato che la sua testimonianza abbia fatto maturare una decisione simile ad altri separati?

R. – Beh, io ho avuto i più grandi oppositori in famiglia, i miei tre figli, che per anni hanno insistito in tutti i modi per farmi trovare un’altra donna. Ma se io oggi avessi un’altra sarebbe come sancire la morte del mio matrimonio… Certo è dura, perché è dura! Debbo dire, comunque, che non sono un caso raro, tanti vivono così e non se ne parla. Con queste persone ci aiutiamo, andiamo avanti.

D. – Le comunità cristiane, la Chiesa sente che deve farsi più vicina e più sensibile riguardo ai problemi dei separati e dei divorziati e nascono tante iniziative. Se dovesse dare un consiglio?

R. – Il consiglio è di stare vicini, di aiutare soprattutto economicamente, perché serve condividere, condividere il dolore, ma a volte serve anche trovare una casa, aiutare quando si hanno i figli. Penso che la comunità cristiana possa fare molto.

inizio pagina

Il sacrificio di Chinnici ricordato in un incontro a Palermo

◊  

“Ragiona con la tua testa, fai le tue scelte, assumiti le tue responsabilità”. E’ l’insegnamento che Caterina Chinnici ricorda più di frequente tra i consigli preziosi che il suo papà ha impartito a lei e ai suoi fratelli Elvira e Giovanni. Rocco Chinnici credeva profondamente in quelle parole, da uomo e da magistrato, al punto che il 29 luglio del 1983 una Fiat 126 verde, imbottita di esplosivo dalla mafia, pose fine all’impegno dell’allora consigliere dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo e alle vite di due dei tre carabinieri di scorta, il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e del portiere dello stabile, il signor Stefano Li Sacchi, lasciando undici orfani e una ventina di feriti, tra i quali Giovanni Parpacuri, l’autista sopravvissuto. “Palermo come Beirut”, titolò più di un quotidiano. Quell’autobomba usata da Cosa nostra, la prima di una vile, lunga serie, esplosa la mattina presto sotto casa del giudice Chinnici mentre stava per uscire, aveva sventrato e scosso non solo via Pipitone Federico. Nove anni prima delle stragi di Capaci e via D’Amelio, in quell’afosa mattina palermitana dai ritmi lenti, l’Italia intera perse chi creò per primo il pool antimafia, chiamando a lavorare con sé magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e svelò i segreti bancari della criminalità organizzata, avviando un’attività d’indagine che avrebbe portato al primo maxiprocesso a Cosa nostra:

“Perché uomini come suo padre, Falcone e Borsellino hanno vissuto gli ultimi tempi del loro impegno in nome della legalità, consapevoli dei rischi che correvano, da soli?”.

“Per mio padre non c’era ancora questa sensibilità – spiega Caterina Chinnici – non si conosceva la mafia: neanche lo Stato, neanche le sue Istituzioni avevano contezza piena di quanto la mafia fosse pericolosa. E quindi era forse un po’ inevitabile che, come accade un po’ a tutti i pionieri, si ritrovassero da soli. Da soli e isolati, questa è la cosa ancora più triste. Mio padre chiese aiuto: quell’aiuto non arrivò. Si trovò da solo, isolato in un contesto di grande insensibilità e, forse, di paura. E questo è proseguito sicuramente fino alle due stragi. E’ dopo che è cambiata la coscienza sociale”.

All’incontro che si è svolto ieri sera alla Galleria d’Arte Moderna per ricordare “Rocco Chinnici uomo e giudice”, moderato dalla giornalista suor Fernanda Di Monte della Paoline Onlus, ha partecipato anche Giovanni Parpacuri, l’autista di scorta sopravvissuto alla strage. “Chi ha vissuto quei tragici momenti non li può dimenticare”, racconta visibilmente emozionato Parpacuri, medaglia d’argento al valor civile. “Sono qui – prosegue – per ricordare il consigliere Chinnici perché purtroppo di lui si parla troppo poco, è come se non esistesse. E invece è giusto che si dia il giusto merito sia a lui che a chi collaborava con lui, che quel giorno l’accompagnavano. Dobbiamo ricordarci di lui prima per la sua grande umanità e poi perché era il consigliere, il mio capo, il capo dell’ufficio”.

Negli anni Ottanta, a Palermo l’eroina continuava a flagellare molti ragazzi, per questo Chinnici, quando poteva, si recava negli istituti della città per parlare con i giovani. “Un uomo che aveva una grande motivazione morale. Aveva sperimentato mediante la sua professione – racconta padre Nino Fasullo, direttore della rivista “Segno” e amico del giudice – che l’organizzazione mafiosa era dannosa per la gioventù, per le famiglie, per la società. In qualità di magistrato, ma anche di uomo, di padre, si sentiva responsabile: era convinto di lottare questo binomio, come diceva, ‘mafia e droga’, di fare la sua parte contro questa organizzazione criminale perché per lui erano due sponde della criminalità rovinose per gli individui e le famiglie”.

Il 30 luglio 1983, giorno in cui vennero celebrati i funerali delle vittime della strage di via Pipitone Federico, Palermo aveva già pianto Piersanti Mattarella, presidente della Regione siciliana il 6 gennaio 1980, Pio La Torre, sindacalista e segretario del Pci siciliano il 30 aprile 1982 e, il 3 settembre dello stesso anno, il generale dell'Arma dei Carabinieri e prefetto per soli 100 giorni, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Delitti sui quali Rocco Chinnici stava investigando ed era a un passo dal dare un’identità a mandanti ed esecutori materiali.

Veloce, corre il ricordo all’omelia pronunciata dall’allora cardinale del capoluogo siciliano, Salvatore Pappalardo, nella chiesa di San Domenico: “A quanti hanno ucciso noi vogliamo ricordare che non si può evitare il giudizio di Dio, giusto giudice delle azioni umane, il quale preferisce e desidera di poter usare verso il peccatore pentito la sua grande misericordia. Noi preghiamo perciò per la loro conversione... A questa città di Palermo, come pastore devo ripetere: Coraggio, non adattiamoci passivamente e fatalisticamente al male, ma vinciamolo con il bene che faremo. Contrastiamo le opere di morte con aiuti alla vita. Rispondiamo alle provocazioni dell’odio che distrugge, con la forza dell’amore che salva”.

Durante la commemorazione sono stati letti brani tratti dal libro “Così non si può vivere” di Eleonora Iannelli e Fabio De Pasquale. La storia mai raccontata del giudice che sfidò gli intoccabili” in cui sono riportati alcuni documenti inediti, un fascicolo dimenticato per quindici anni negli archivi e ritrovato per caso e, per la prima volta, le toccanti testimonianze dei figli del magistrato.

Caterina Chinnici spiega perchè a distanza di trentuno anni, è ancora importante ricordare la figura di suo padre, uomo e magistrato. L'intervista è di Alessandra Zaffiro: 

E’ importante ricordarlo perché è da lui che è nata la vera ‘antimafia’, dal suo lavoro. Dal fatto che lui per primo ha portato il suo lavoro fuori dagli uffici giudiziari. Dal fatto che si è rivolto ai giovani, dal fatto che oltre a fare la sua attività di indagine – nella quale ha segnato una svolta importante, perché quello che è stato il maxiprocesso nasce dalle sue indagini – è importante perché ha cambiato la cultura giudiziaria, ha creato il pool antimafia che è stato chiamato così dopo la sua morte ma che è nato con lui. Io che ero in quell’ufficio da uditore l’ho visto nascere il pool antimafia: l’appartarsi con Borsellino e con Falcone a parlare di quelle indagini. È importante perché ha cambiato proprio la cultura: stimolare soprattutto nei giovani una nuova conoscenza, far conoscere il suo lavoro, far comprendere quanto purtroppo la mafia – la criminalità organizzata – era un problema non solo degli uffici giudiziari ma per tutti i cittadini, perché era un’oppressione per tutti. Quindi, stimolare il cambiamento, stimolare una coscienza diversa, stimolare quella sensibilità arrivata purtroppo molti anni dopo la sua morte: in realtà, è arrivata dopo le due stragi di Falcone e Borsellino. Sensibilità collettiva che oggi vede la solidarietà dei cittadini al fianco dei magistrati che contrastano la criminalità organizzata. Quindi, è importante ricordarlo perché ha segnato un cambiamento”.

inizio pagina

Les Combes: aperto Sinodo dei giovani torinesi

◊  

Inizia oggi l’Assemblea plenaria del Sinodo dei giovani dell’arcidiocesi di Torino. Sarà l’occasione per sintetizzare un cammino biennale fortemente voluto dall'arcivescovo della città, Cesare Nosiglia, per analizzare il rapporto tra i giovani e la Chiesa diocesana. Molto interessante è il motto del Sinodo, “Innestati!”, che a seconda dell’accento regala una doppia immagine che trae ispirazione dalla vite e dai tralci del Vangelo di Giovanni: da una parte la comunione con la Chiesa, dall’altra l’invito al coinvolgimento di ciascuno. Si è insistito molto su quest’ultimo punto perché il 2015 sarà un anno intenso per Torino e tutto il Piemonte, con il Bicentenario della nascita di don Bosco e l’Ostensione della Sindone. Sul Sinodo giovanile, Paolo Giacosa ha intervistato don Luca Ramello, direttore dell’Ufficio Giovani dell’arcidiocesi torinese: 

R. – “Tra il dire e il fare” è il nome dell’Assemblea plenaria del Sinodo dei giovani che l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, ha voluto fortissimamente da un’intuizione del suo cuore, guardando i giovani della diocesi. L’esperienza del Sinodo è stata quella di un invito a un cammino insieme secondo tre dimensioni: camminare insieme nella fede – il Sinodo è iniziato con l’Anno della Fede voluto da Papa Benedetto – un camminare all’insegna dell’ascolto fatto attraverso incontri con l’arcivescovo nelle parrocchie, nelle comunità pastorali, con i movimenti, le associazioni e i gruppi per un ascolto di ciò che i giovani hanno da dire e da chiedere alla Chiesa e al Signore. Poi, un camminare insieme nell’annuncio, sullo slancio dell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco per annunciare il Vangelo ai tanti loro coetanei. Il Sinodo si è dedicato, in modo particolare, il primo anno all’approfondimento della fede nel senso cristologico, cioè la relazione con il Signore Gesù. Il secondo anno, invece, ha avuto una tonalità più ecclesiale: la vita nella Chiesa. Questi incontri si sono svolti secondo una modalità molto originale: il "work cafè", una tecnica che si usa anche nelle aziende sedendosi attorno a dei tavoli – ne abbiamo fatti una quarantina, abbiamo coinvolto circa 3.300 persone – dove si sono incontrati giovani e adulti su due domande: chi ti sta accompagnando? Chi tu stai accompagnando? Possiamo dire che questi due anni di Sinodo convergono adesso a Les Combes, dove c’è la casa di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che hanno trascorso qui il loro riposo estivo. Qui, per cinque giorni, si radunano 90 giovani provenienti da tutta la diocesi, con alcuni preti, il vescovo e l’arcivescovo, che sarà in mezzo a loro per tutto il tempo.

D. – L’assemblea plenaria ha un motto molto concreto: “Tra il dire e il fare”. Di cosa si tratterà nello specifico?

R. – “Dire” perché si tratta di raccontare questi due anni di ascolto e mettere a fuoco in queste sessioni le grandi questioni: a chi si rivolge oggi la pastorale giovanile – c’è il problema dell’età – ma anche la questione di come la pastorale giovanile si collochi nella tensione tra educazione ed evangelizzazione, il rapporto con Cristo, le figure educative, il volontariato e le figure professionali, ambiti e ambienti della pastorale giovanile e infine il rapporto tra oratori. Tutto questo per “fare”. Ogni sessione si concluderà con una sintesi che andrà nelle mani dell’arcivescovo alla quale dedicherà il secondo capitolo della sua lettera pastorale, base dei nuovi orientamenti di pastorale giovanile dell’arcidiocesi.

D. – Mons. Nosiglia ha legato profondamente il proprio mandato ai giovani proponendo questo Sinodo…

R. – Come rinnovamento della Chiesa a partire dai giovani. L’arcivescovo ha intuito quanto i giovani di Torino portino dentro quello spirito di novità. Mi permetto di condividere un’immagine molto cara al suo cuore: la corsa di Pietro e di Giovanni al sepolcro: Giovanni corre avanti, però lascia entrare Pietro, l’anziano. Giovani, correte avanti nella chiesa di Torino, ma aspettando gli adulti in questo slancio di una corsa in avanti!

D. – Il coinvolgimento dei giovani è proiettato al futuro. Quali saranno gli eventi del 2015 a Torino?

R. – Un anno che parte adesso dal 16 agosto e finirà il prossimo 16 agosto 2015 con il bicentenario della nascita di don Bosco. Quindi, una celebrazione che vuole essere anche un rilancio della memoria e della sua passione educativa. Poi, abbiamo l’ostensione della Santa Sindone dal 19 aprile al 24 di giugno, il cui motto abbraccia tutto l’anno pastorale: “L’amore più grande”. In fondo, l’amore che tocca il cuore dei giovani che ha animato don Bosco è quello che è raffigurato sull’uomo della Sindone, Colui che ha dato la vita. Poi si spera - e si confida - nell’arrivo di Papa Francesco.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: il patriarca Sako a Erbil tra i cristiani di Mosul

◊  

Alla fine, a vincere sarà la pace e non la guerra. E' il messaggio che il patriarca dei Caldei, Louis I Sako, ha portato ai cristiani di Mosul rifugiatisi a Erbil in Kurdistan. Con il patriarca, ieri, nella cattedrale di san Giuseppe, una delegazione di vescovi francesi - il primate, card. Philippe Barbarin, il vescovo di Evry, Michel Dubost e il presidente dell' Ouvre d'Orient, mons. Pascal Gollnisch - venuti a portare solidarietà.

"La vostra visita ci dà grande conforto", ha detto loro il patriarca rivolgendosi ai prelati francesi durante la messa celebrata in una cattedrale affollata in ogni dove.

"La nostra fede - ha aggiunto - resterà ferma, malgrado tutti i sacrifici e la nostra speranza sempre forte. Il nostro legame con la nostra terra, sulla quale è scritta la nostra storia, lungo e profondo, è quello che mi ha chiesto suo Santità papa Francesco e io ve lo trasmetto insieme con la sua solidarietà e il suo amore per voi: lo diciamo al mondo intero, la parola, alla fine, sarà alla pace e non alla guerra".

"La guerra non è mai stata una cosa legittima, ma cattiva e non lascia altro che gente massacrata, esuli e desolazione. Uccidere gli innocenti è un crimine contro l'umanità, la religione e la morale. Si debbono trovare soluzioni pacifiche attraverso il dialogo, la discussione e la comprensione. In Iraq e nel nostro Oriente arabo, le persone hanno bisogno di sentirsi parte di una unità più grande e di vivere insieme senza paura, con dignità, sicurezza, amore e pace. L'uomo è stato creato libero e non deve essere schiavo di nessuno, come prevede lo status di dhimmi.

I cristiani sono veri cittadini, come i loro fratelli musulmani. Nessuno ha diritti su di loro. Con la loro mentalità aperta e la loro partecipazione alle istituzioni, essi hanno dato molto all'Iraq e ai musulmani. Vi invito a essere forti malgrado tutte le vostre sofferenze. Resterete forti e pianterete la speranza, la solidarietà nella fiducia e nel coraggio. Giona è stato inghiottito dalla balena, ma ne è uscito sano e salvo. Come lui Mosul (Ninive) uscirà sana e salva da questa guerra".

"Per concludere, da questa chiesa e a nome di voi tutti, mi rivolgo ai nostri fratelli musulmani della regione irachena del Kurdistan e del mondo intero, per fare gli auguri per la festa di Eid al-Fitr e supplicarli di fare di tutto per proteggere i diritti e la dignità degli uomini. Il vero rapporto con l'altro si fonda nella comprensione e il riconoscimento, l'accettazione, il rispetto, senza volerlo dominare".

Da parte sua il cardinale Barbarin ha parlato di visita di solidarietà e vicinanza con i cristiani di Mosul, della pace di Cristo. "Non abbiate paura, vivete in pace. La tormenta sicuramente finirà. Bisogna resistere, come ha detto Sua Beatitudine. Non perdete la speranza. Siate più forti del male. Facciamo un gemellaggio fra la mia diocesi di Lione e quella di Mosul". E, come segno di ciò ha abbracciato il vescovo di Mosul.

Nell'ottica della solidarietà va posto, infine, l'annuncio del governo francese che ha offerto asilo ai cristiani costretti a lasciare Mosul.

Erbil, e in genere il Kurdistan, sta offrendo rifugio a numerose famiglie di cristiani costretti a lasciare Mosul dopo che la città è stata presa dagli islamisti dell'Esercito dell'Iraq e del Levante (Isil). Attualmente nella città, secondo stime dell'Onu, ci sono solo una ventina di famiglie cristiane. I cristiani nella seconda città irachena erano 60mila prima del 2003 e 35mila al momento della conquista da parte dell'Isil.

Ma, a soffrire a causa dell'estremismo dei militanti sunniti dell'Isil non sono solo I cristiani, ma anche gli sciiti, considerati eretici e odiati anche in quanto alla guida del governo a Baghdad. (R.P.)

inizio pagina

Cina: distrutti gli interni della cattedrale di Ningbo

◊  

Ha causato gravi danni l'incendio accidentale scoppiato ieri della cattedrale cattolica di Jiangbei a Ningbo, uno degli edifici più antichi della Cina cristiana. Il fuoco - riferisce l'agenzia AsiaNews - si sarebbe propagato dall'altare e in pochi minuti ha devastato le panche, gli oggetti di culto e le opere d'arte custodite all'interno.

Costruita nel 1872, la cattedrale è una delle più antiche di tutto il Paese. Negli anni precedenti alla rivoluzione maoista venne usata come luogo di incontro clandestino da alcuni membri del neonato Partito comunista, e per questo è stata definita "monumento di importanza storica" sin dagli albori della Cina popolare. In questo modo si è salvata dalle distruzioni avvenute durante la Rivoluzione culturale, anche se per un lungo periodo è stata chiusa al culto cristiano. 

Nello stesso giorno in cui è avvenuto il rogo nella cattedrale di Ningbo, centinaia di agenti in tenuta anti-sommossa hanno rimosso la croce della chiesa protestante Longgang Huai En a Wenzhou, capitale della provincia meridionale del Zhejiang, un tempo nota come "Gerusalemme della Cina". Nella provincia è in atto da mesi una campagna contro i simboli e i luoghi di culto cristiani.

Secondo il pastore evangelico Qu Linuo di Wenzhou, la rimozione della croce alta 3 metri dalla chiesa Longgang è avvenuta in maniera pacifica nonostante la presenza di circa 200 fedeli, che hanno cercato di fermare gli agenti ma sono stati messi da parte. Le autorità sostengono che la croce violava i regolamenti e i limiti di altezza consentiti alle strutture private e l'hanno riconsegnata alla congregazione.

Dal gennaio 2014 la campagna "Tre rettifiche e una demolizione" lanciata dal governo ha provocato la demolizione di circa 360 croci o edifici cristiani e l'abbattimento di una chiesa. Secondo i cristiani locali, la campagna è un chiaro esempio di persecuzione religiosa; per il governo, l'iniziativa "è mirata contro gli edifici illegali, non solo contro le chiese". (R.P.)

inizio pagina

Onu: allarme malnutrizione a Mogadiscio

◊  

Tassi allarmanti di malnutrizione si registrano a Mogadiscio, dove le agenzie umanitarie presenti non riescono a fare fronte alle necessità di oltre 350.000 persone a causa della siccità e dei combattimenti.

Secondo l’agenzia umanitaria dell’Onu (Ocha) - riferisce l'agenzia Misna - il governo ha paragonato lo scenario attuale alla drammatica carestia che colpì la Somalia quattro anni fa, finendo per uccidere – fra l’ottobre 2010 e l’aprile 2012 circa 258.000 somali, per metà bambini; un bilancio peggiore di quello che si temeva all’epoca della crisi e persino più grave rispetto alla tragica carestia del 1992, quando sempre a causa dell’insicurezza alimentare morirono 220.000 persone.

“La comunità umanitaria sta mobilitando risorse per affrontare la situazione, ma il taglio significativo dei fondi ha indebolito la capacità di rispondere” hanno riferito fonti dell’Ocha. Si prevede che la penuria di alimenti – aggiunge la stessa fonte – si farà sentire sempre più nelle aree meridionali e sud-orientali della Somalia, anche a causa dei frequenti scontri armati con protagonisti gli insorti Al Shabaab. All’inizio dell’anno, le forze dell’Unione Africana hanno lanciato una nuova offensiva per allontanare gli insorti dai centri abitati, provocando nuovi sfollati.

Per fare fronte all’emergenza, finora l’Ocha ha raccolto meno di un terzo dei 993 milioni di dollari richiesti per prestare assistenza umanitaria nel 2014 e coprire le necessità di base, dall’assistenza medica all’istruzione primaria. (R.P.)

inizio pagina

Sri Lanka: estremisti buddisti negano libertà di culto ai cristiani

◊  

Gli estremisti buddisti del gruppo "C" hanno intimato ai cristiani evangelici a interrompere le loro attività religiose a Polonnaruwa, una città nel nord centrale dello Sri Lanka. Membri del gruppo Ravana Balaya hanno partecipato a oltre 20 incontri di preghiera cristiani negli ultimi giorni per chiedere ai pastori si fermare le conversioni. Secondo fonti dell'agenzia Fides, il leader buddista Ittekande Saddhatissa Thero, segretario generale del gruppo, ha riferito di aver ricevuto centinaia di denunce da buddisti e indù, di Pastori cristiani che “offrono doni e denaro per convertire buddisti”.

I cristiani hanno nettamente respinto le accuse, denunciando che numerosi Pastori e fedeli sono stati minacciati e percossi. All'inizio di luglio, una folla di buddisti, guidati da due monaci, ha fatto irruzione in un incontro di preghiera cristiano nel distretto di Ratnapura, fermando il culto e sequestrando le Bibbie.

Secondo i fedeli, le violenze dei buddisti potrebbero avere un'influenza negativa sul Paese, anche in vista dell’atteso viaggio del Papa, previsto nel gennaio 2015. Secondo la “Christian Evangelical Alliance”, nel 2014 circa 60 chiese e centri di preghiera evangelici sono stati colpiti da estremisti buddisti, mentre 120 sono stati gli attacchi nel 2013. (R.P.)

inizio pagina

Svizzera: appello dei vescovi per l'accoglienza dei migranti

◊  

“Occorre interpretare i valori cristiani, spiegarli nel loro significato, ma soprattutto nella loro applicazione pratica”: è l’esortazione che mons. Pier Giacomo Grampa, vescovo emerito di Lugano, fa a nome della Conferenza episcopale svizzera. Il presule ha diffuso una nota, a cinque mesi dall’approvazione dell'iniziativa “contro l'immigrazione di massa” - promossa da alcuni partitici politici svizzeri per chiedere allo Stato di porre limiti ai migranti, fissando tetti massimi al rilascio di permessi per stranieri e richiedenti l‘asilo – e in vista del voto, fissato al 30 novembre, sull’iniziativa popolare "Ecopop", ovvero “Ecologia e popolazione”, che propone di limitare la crescita della popolazione dovuta all'immigrazione allo 0,2% e chiede che il 10% dell'aiuto svizzero allo sviluppo sia destinato al controllo delle nascite nei Paesi poveri.

In particolare, mons. Grampa rammenta “l’identità del popolo elvetico”, da sempre composta da lingue, confessioni, culture e tradizioni diverse. “In Svizzera - spiega - convivono culture liberali e socialiste, riformata e cattolica, urbana e agraria, ed i valori cristiani permangono tuttora incardinati nella popolazione”.
Tuttavia, occorre fare attenzione, mette in guardia il presule, perché “oggi questi valori sono troppo spesso sbandierati e proclamati da chi strumentalmente vuole brandirli contro un nemico, sia esso l'altro, lo straniero, il musulmano”.

“Se da parte delle Chiese, della comunità cristiana – sottolinea quindi mons. Grampa - questi valori si limitano ad essere ripetuti e non interpretati, si rischia di creare un effetto identificativo tra il credente e coloro che usano questi valori per ‘difendere le tradizioni cristiane’, senza comprenderle e soprattutto senza viverle”. Il rischio, aggiunge ancora il vescovo emerito di Lugano, è “alla fine un sacco di ‘buoni cristiani’ saranno convinti che per difendere il cristianesimo bisogna limitare l’accesso agli stranieri, impedire loro alcuni diritti, costruire muri e barriere."

Quanto all’iniziativa “contro l'immigrazione di massa", approvata lo scorso febbraio, mons. Grampa ammonisce a non tacciare di xenofobia ogni sostenitore della proposta, che ha radici anche sociali: "Si è giunti al punto – spiega - da privare del lavoro i nostri operai, per sostituirli con mano d’opera estera retribuita con salari irrisori. Questa vergogna va combattuta ed eliminata, imponendo per i diversi settori un salario minimo”.

Il presule esorta, poi, a non affrontare ingenuamente la questione degli stranieri: “Occorre prendere sul serio le reali paure della gente – spiega - perché negare la paura è negare la realtà." E il modo più adatto per superare tali timori è l'incontro: "La regola del 'guardare negli occhi una persona' quando si fa l’elemosina vale anche per quando si incontra una persona che non si conosce, in questo caso lo straniero, perché così ci si apre ad una prospettiva diversa”.

Poi, mons. Grampa invita a fare attenzione ai così detti “stranieri invisibili”: “Sono quelli senza volto – spiega - quelli impossibili da incontrare, ma che condizionano la nostra vita, come le società finanziarie internazionali che fanno crollare interi sistemi economici spostando la ricchezza, senza crearla; sono i clan malavitosi che comprano a man bassa locali e negozi, riciclando denaro attraverso società internazionali o che gestiscono centri-benessere che nascondono la pratica della prostituzione." Questo tipo di 'straniero', continua il presule, “ci conquista in modo ancor più invadente e subdolo: rubandoci coscienza e cultura". (I.P.) 
 

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 210

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.