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Sommario del 02/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all'Angelus prega per i defunti: morte non è ultima parola

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La morte non è l’ultima parola, perché “l’uomo è destinato ad una vita senza limiti, che ha la sua radice e il suo compimento in Dio”. Lo ha ricordato Papa Francesco, nell’Angelus del giorno in cui la liturgia invita a commemorare i fedeli defunti. Il Pontefice ha quindi pregato per le vittime di guerre e violenze, per i cristiani uccisi per la loro religione e per quanti sono morti “senza il conforto sacramentale o non hanno avuto modo di pentirsi”. Il servizio di Giada Aquilino

Nel giorno della commemorazione dei fedeli defunti, l’esortazione del Papa è stata a pregare per tutti, “anche quelli che nessuno ricorda”:

“Ricordiamo le vittime delle guerre e delle violenze; tanti ‘piccoli’ del mondo schiacciati dalla fame e della miseria. Ricordiamo gli anonimi, che riposano nell’ossario comune. Ricordiamo i fratelli e le sorelle uccisi perché cristiani; e quanti hanno sacrificato la vita per servire gli altri. Affidiamo al Signore specialmente quanti ci hanno lasciato nel corso di quest’ultimo anno”.

E la preghiera di Papa Francesco si è levata da Piazza San Pietro per affidare a Dio “quanti hanno lasciato questo mondo per l’eternità”. Il Signore, ha proseguito il Pontefice, attende “l’intera umanità redenta dal sangue prezioso di Cristo”, morto in riscatto per i nostri peccati:

“Non guardare Signore alle tante povertà, miserie e debolezze umane, quando ci presenteremo davanti al tuo tribunale, per essere giudicati per la felicità o la condanna”.

Il Papa ha quindi invocato lo “sguardo pietoso” di Dio, che ci accompagna “sulla strada di una completa purificazione”, per essere accolti nelle braccia dell’“infinita misericordia”:

“Nessuno dei tuoi figli vada perduto nel fuoco eterno dell’Inferno, dove non ci può essere più pentimento. Ti affidiamo Signore le anime dei nostri cari, delle persone che sono morte senza il conforto sacramentale, o non hanno avuto modo di pentirsi nemmeno al termine della loro vita”.

La “Sorella morte corporale” ha auspicato il Pontefice, rifacendosi a San Francesco d'Assisi, “ci trovi vigilanti nella preghiera”, affinché “niente ci allontani” da Dio su questa Terra, “ma – ha aggiunto - tutto e tutti ci sostengano nell’ardente desiderio di riposare serenamente ed eternamente” nel Signore. Il giorno dedicato ai defunti, ha quindi spiegato il Papa, è “intimamente” legato alla Solennità di tutti i Santi, “così come la gioia e le lacrime - ha detto - trovano in Gesù Cristo una sintesi che è fondamento della nostra fede e della nostra speranza”.

“Da una parte, infatti, la Chiesa, pellegrina nella storia, si rallegra per l’intercessione dei Santi e dei Beati che la sostengono nella missione di annunciare il Vangelo; dall’altra, essa, come Gesù, condivide il pianto di chi soffre il distacco dalle persone care, e come Lui e grazie a Lui fa risuonare il ringraziamento al Padre che ci ha liberato dal dominio del peccato e della morte”.

In queste ore, ha riflettuto il Santo Padre, in tanti fanno visita al cimitero, che è “luogo del riposo” in attesa del risveglio finale: “è bello pensare – ha aggiunto – che sarà Gesù stesso a risvegliarci”. Gesù “ha rivelato che la morte del corpo è come un sonno dal quale Lui ci risveglia”. D’altra parte la tradizione della Chiesa ha sempre esortato a pregare per i defunti, in particolare attraverso la celebrazione eucaristica che, ha spiegato il Pontefice, “è il miglior aiuto spirituale che noi possiamo dare alle loro anime, particolarmente a quelle più abbandonate. Il fondamento della preghiera di suffragio - ha proseguito, ricordando quanto ribadito dal Concilio Vaticano II - si trova nella comunione del Corpo Mistico” di Gesù Cristo.

“Il ricordo dei defunti, la cura dei sepolcri e i suffragi sono testimonianza di fiduciosa speranza, radicata nella certezza che la morte non è l’ultima parola sulla sorte umana, poiché l’uomo è destinato ad una vita senza limiti, che ha la sua radice e il suo compimento in Dio”.

Forte di questa fede nel destino supremo dell’uomo, Papa Francesco ha esortato a pregare la Madonna, “che ha patito sotto la Croce il dramma della morte di Cristo ed ha partecipato poi alla gioia della sua risurrezione”:

“Ci aiuti Lei, Porta del cielo, a comprendere sempre più il valore della preghiera di suffragio per i defunti. Loro ci sono vicini! Ci sostenga nel quotidiano pellegrinaggio sulla terra e ci aiuti a non perdere mai di vista la meta ultima della vita che è il Paradiso”.

Dopo la recita della preghiera mariana, il Pontefice ha salutato i presenti in Piazza San Pietro, tra cui i fedeli spagnoli della diocesi di Sevilla e i volontari di Oppeano e Granzette che fanno clown-terapia negli ospedali, esortandoli a continuare nella loro opera “che fa tanto bene agli ammalati”.

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Papa al Verano: uomo che si crede "dio" distrugge il mondo

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L’uomo-dio distrugge la Terra e affama i poveri. Così il Papa ha espresso il suo dolore per le devastazioni dei distruttori, durante la sua omelia a braccio al Cimitero romano del Verano, nella solennità di Tutti i Santi. Francesco è  partito dalla prima Lettura tratta dal Libro dell’Apocalisse, laddove l’angelo grida a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la Terra e il Mare, di distruggere tutto, di non farlo. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

Noi siamo capaci di devastare la Terra meglio degli angeli. E l’uomo, che ormai si sente dio, distrugge tutto e scarta i poveri che chiedono pane, i bambini che sono affamati. Il dolore di Francesco è forte quando ci dice che gli uomini oggi sono in grado di distruggere terra, mare e piante.

"E questo lo stiamo facendo: devastare il Creato, devastare la vita, devastare le culture, devastare i valori, devastare la speranza. E quanto bisogno abbiamo della forza del Signore perché ci sigilli con il suo amore e con la sua forza, per fermare questa pazza corsa di distruzione".

L’uomo sta distruggendo ciò che il Signore gli ha dato, sta devastando le cose più belle che ha fatto per lui, perché le facesse crescere e dare frutti. Francesco, dopo aver visto le foto di 71 anni fa, va con la memoria al bombardamento di Roma del 1943, che colpì San Lorenzo, un atto “tanto grave, tanto doloroso”, dice, che però è niente rispetto a ciò che accade oggi e alle conseguenze di questa devastazione:

"L’uomo si impadronisce di tutto, si crede Dio, si crede il Re. E le guerre: le guerre che continuano, non precisamente a seminare grano di vita. A distruggere. Ma è l’industria della distruzione. E’ un sistema anche di vita che, quando le cose non si possono sistemare, si scartano: si scartano i bambini, si scartano gli anziani, si scartano i giovani senza lavoro. Questa devastazione ha fatto questa cultura dello scarto. Si scartano popoli".

Ora che comincia il freddo, ci sono poveri che fuggono per salvare la loro vita, e vivono nel deserto, in tende, senza medicine, affamati, perché il dio-uomo si è impadronito del Creato, del bello che Dio ha fatto per gli uomini. Ma chi paga la festa?

"Loro! I piccoli, i poveri, quelli che da persona sono finiti in scarto. E questo non è storia antica: succede oggi. Dirò di più: sembra che questa gente, questi bambini affamati, ammalati, sembra che non contino, che siano di un’altra specie, non siano umani. E questa moltitudine è davanti a Dio e chiede: 'Per favore, salvezza! Per favore, pace! Per favore, pane! Per favore, lavoro! Per favore, figli e nonni! Per favore, giovani con la dignità di poter lavorare'! Ma i perseguitati, tra loro, quelli che sono perseguitati per la fede…".

E, nel giorno di Tutti i Santi, il Papa chiede che il pensiero vada ai santi sconosciuti:

"Peccatori come noi, peggio di noi, ma distrutti. A questa tanta gente che viene dalla Grande Tribolazione: la maggior parte del mondo è in tribolazione. E il Signore santifica questo popolo, peccatore come noi, ma lo santifica con la tribolazione".

Alla fine, dopo quella della devastazione, dopo quella delle vittime, ecco la terza immagine, quella di Dio e della sua benedizione: la speranza.

"La speranza che abbia pietà del Suo popolo, che abbia pietà di questi che sono nella Grande Tribolazione. Anche, che abbia pietà dei distruttori e si convertano. E così, la santità della Chiesa va avanti: con questa gente, con noi che vedremo Dio come Lui è".

In questo mondo di devastazione, di guerre, di tribolazione, se vogliamo camminare verso il Padre, conclude il Papa, dobbiamo assumere l’atteggiamento delle Beatitudini, che ci salverà dalla distruzione “della Terra, del Creato, della morale, della Storia, della famiglia”. Un cammino che porta con sé anche cose brutte, e persecuzione, ma che porterà avanti il popolo che oggi soffre per l’egoismo dei fratelli devastatori, con la speranza di trovare Dio, e di diventare santi nel momento dell’incontro definitivo con Lui.

"Il Signore ci aiuti e ci dia la grazia di questa speranza, ma anche la grazia del coraggio di uscire da tutto quello che è distruzione, devastazione, relativismo di vita, esclusione degli altri, esclusione dei valori, esclusione di tutto quello che il Signore ci ha dato: esclusione di pace. Ci liberi da questo e ci dia la grazia di camminare con la speranza di trovarci un giorno a quattr’occhi con Lui".

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Defunti: don Maspero, nella morte incontriamo la vita

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Nel pomeriggio alle 18.00 il Papa presiede alle Grotte Vaticane un momento di preghiera per i Sommi Pontefici defunti. E, nel giorno in cui si commemorano tutti i defunti, sono tanti, credenti e non credenti, a recarsi nei cimiteri per sostare sulle tombe dei propri cari. Ma oggi la morte, forse tante volte anche in ambito ecclesiale, nelle omelie, viene sottaciuta, omessa, quasi ad esorcizzarla. Federico Piana ne ha parlato con don Giulio Maspero, docente di Teologia alla Pontificia Università della Santa Croce: 

R. - E’ proprio vero questo ed è anche - in un certo senso - naturale: perché fa paura, perché viviamo nell’illusione che la morte non ci sia. Però, poi la morte c’è! E’ bello vedere - secondo me - come in alcuni libri per bambini si parla di morte, perché i bambini che sono così vicini alla sorgente della vita, sono in qualche modo più capaci di reggere il tema. Penso che sia importante imparare da loro: non avere paura di guardare quello che in fondo è una nascita. Sappiamo che nasciamo alla vita, anche nel caso dei martiri o dei santi il momento della morte si chiama Dies Natalis, il giorno della nascita al cielo, quando saremo cioè in quella vita che è per sempre.

D. - Don Giulio, che rapporto dobbiamo avere con i nostri defunti?

R. - Per me la morte ha cambiato faccia - potremmo dire - quando è morto mio padre: in un certo senso il bene che ci siamo voluti e proprio anche il sentirlo vicino è così intenso che, da quando è successo, la morte è come se fosse abitata da qualcuno. Io sono sicuro che al di là della morte mi aspetta mio padre e quindi mi fa meno paura. Penso che questo sia ciò che ha fatto Cristo con noi: Dio stesso si mette nella morte per renderci la morte - in un certo senso - un’occasione per incontrare la vita. Dobbiamo pregare e parlare con i defunti. Io penso che sia molto importante questo piccolo consiglio: parlare con i defunti, rivolgersi a loro, pregare quando andiamo al cimitero e pregare anche tutti i giorni… Basta un “Eterno riposo”. Sapere che i defunti che sono in cielo pregano per noi e per quelli che sono in Purgatorio noi preghiamo per loro, ma anche loro ci aiutano, intercedono per noi. Quindi è un continuare ad aiutarci a volerci bene.

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Oggi in Primo Piano



Violenze dell'Is: ancora centinaia di vittime in Iraq e Siria

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Non si placa la furia del sedicente Stato Islamico (Is), che ogni giorno uccide centinaia di persone tra Siria e Iraq. Secondo le ultime stime, una dell’Onu e una dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, nel mese di ottobre si contano circa settemila vittime, un record dopo i mesi estivi di intensi combattimenti da parte dei jihadisti. Il servizio di Roberta Barbi: 

Si continua a morire in Siria e in Iraq per mano dei militanti del sedicente Stato Islamico, nonostante il proseguimento dei raid aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti. In Iraq, negli ultimi dieci giorni, sono più di 200 le persone trucidate nella zona di Anbar fra le tribù ostili ai jihadisti; molte tra le vittime sono donne e bambini, che si opponevano alla deportazione forzata di numerosi membri dei loro clan da parte dell’Is. Oggi, inoltre, in un attentato a Baghdad alla vigilia della festa sciita dell’Ashura, sono rimasti uccisi almeno dodici pellegrini e una ventina sono stati feriti in un quartiere sudoccidentale della città. In Siria negli ultimi giorni sono stati almeno cinque i raid aerei su Kobane, dove secondo l’Osservatorio per i Diritti umani (Ondus) sono morti almeno cento miliziani e sono state distrutte nove postazioni di combattimento dei terroristi. Nel Paese, inoltre, i ribelli qaedisti di al Nusra, diventati alleati dei jihadisti dello Stato Islamico dopo averli a lungo combattuti, hanno strappato all’opposizione siriana il controllo dell’ultima roccaforte che avevano nella provincia di Idlib, nel nordovest. I bilanci dell’ultimo mese sono drammatici: 1300 i morti, per la maggior parte civili, in Iraq, secondo le Nazioni Unite; addirittura quasi seimila in Siria secondo l’Ondus: di questi, 250 sono minori. 

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Dopo le tensioni a Gerusalemme, rimane emergenza a Gaza

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“Coloro che hanno rinunciato a cercare di fare la pace” non sono “patrioti”. Così l’ex presidente israeliano Shimon Peres, ieri sera a Tel Aviv davanti a 10 mila persone che hanno ricordato Yitzhak Rabin, il premier dello Stato ebraico assassinato 19 anni fa, il 4 novembre 1995. La commemorazione giunge dopo le tensioni di questi giorni a Gerusalemme, a seguito dell'uccisione da parte della polizia dell'attivista palestinese Mutaz Hijazi. Quest'ultimo era sospettato di aver sparato all'ultra nazionalista Yehuda Glick. Nelle ultime ore è stata riaperta la Spianata delle Moschee. Intanto si aggrava la situazione umanitaria a Gaza, sempre più isolata. Dopo la chiusura da parte dell'Egitto del valico di Rafah, Israele ha deciso di bloccare anche Erez e Kerem Shalom. “Una violazione del cessate il fuoco”, secondo Hamas. La Striscia è in ginocchio dopo i 52 giorni di raid compiuti dallo Stato ebraico quest’estate. Sono 500 mila i palestinesi rimasti senza casa. Per capire meglio bisogni e urgenze, a Gaza City si è recato nei giorni scorsi un gruppo dell’Associazione Santina Zucchinelli. Fausta Speranza ha intervistato la volontaria Caterina Piantoni

R. – Ho visto una tragedia immane: persone obbligate a vivere come in prigione. Al di là dell’aspetto politico, quello lasciamolo stare, è guerra fuori, guerra dentro. Questa gente ha il terrore, vive nelle baracche, non ha acqua, né luce… E’ una vergogna che non so perché non venga fuori sui media: ai più non è nota! Anche io ero la prima a non immaginare una cosa così, onestamente.

D. - Parliamo innanzitutto dell’aspetto sanitario…

R. – Ho visto che c’è disponibilità da parte sia della Croce Rossa, sia degli ospedali dell’Onu. Certo, andando in giro per Gaza, si vedono tantissimi mutilati: è una carneficina. Ce ne sono ovunque: zoppi, senza braccia, senza gambe… Ho notato che molti sono senza arti inferiori e con ferite all’addome.

D. – Che cosa dire dello stato d’animo della popolazione?

R. – Un disastro, atroce. La città è distrutta, non c’è niente. Non si fa fatica a cercare un edificio distrutto: sono tutti distrutti. Non c’è niente. Loro cercano di vivere una vita normale e dignitosa, i bambini vanno a scuola… Gaza City è una città che vive nel massimo caos: tutti cercano di far qualcosa, ma non so se lavorano e non so che tipo di lavoro possano fare. Non ho capito come facciano a vivere perché tutto è fermo. Non lo so. Credo che vivano con aiuti esterni.

D. – E la presenza internazionale? Come media ci siamo dimenticati di Gaza…

R. – Veramente sì ...

D. – Ma le organizzazioni umanitarie continuano a lavorare lì?

R. – Onestamente, non so dirle bene. Ho visto girare macchine dell’Onu, ma una struttura Onu non l’ho vista. Ho visto soltanto un ospedale della Croce Rossa. Ma queste macchine che vanno avanti e indietro a cavallo del confine, cosa facciano non lo so. Non c’è nient’altro. Non c’è un hotel, è chiaro, perché non ci va nessuno; non c’è niente.

D. – E voi dove siete stati a dormire?

R. – Io sono stata ospitata dalle suore di Madre Teresa di Calcutta e mons. Luigi Ginami e altri due partecipanti alla missione sono stati ospitati da padre Hernandez, il parroco di Gaza. E’ l’unico sacerdote che c’è nella Striscia, l’unico prete cristiano: ha 37 anni, è lì da 11 anni. Lì i cristiani sono pochissimi e non escono di casa. Una sera, con padre Hernandez, siamo stati invitati da una famiglia; due componenti della famiglia erano riusciti a ottenere il nullaosta per andarsene, andavano in Belgio, non sarebbero più rientrati: in quel caso danno il permesso di uscire, altrimenti no. Dai 16 ai 36 anni non si può uscire da quella “prigione”. A meno che non sia una cosa definitiva. Mi sembra una prigione a tutti gli effetti.

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Migranti: nuovi sbarchi in Italia, mentre debutta Triton

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A un giorno dal debutto di Triton, l'operazione dell’Unione europea per il controllo della frontiera a sud dell'Europa, continuano gli sbarchi di migranti in Italia, soprattutto attraverso il Canale di Sicilia. Nelle ultime ore ad Augusta sono arrivati 151 migranti e a Pozzallo altri 59, nello stesso porto dove venerdì erano state condotte 273 persone, soccorse nell'ambito del dispositivo Mare Nostrum, in via di smantellamento. Purtroppo, però, spesso i migranti per l'Italia sono veri e propri “fantasmi”. Così li definisce Michele Sasso, giornalista de ‘l'Espresso’, che per il suo reportage sui respingimenti di chi arriva “via Adriatico”, ha vinto il premio “Giornalisti del Mediterraneo”, nella sezione “Primavera Araba”. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: 

R. – I fantasmi dell’Adriatico sono le persone che vengono respinte nei porti italiani dell’Adriatico: Ancona, Bari, Venezia, Brindisi. Ogni giorno, ogni mese arrivano migliaia di persone che hanno bisogno di diritto, di protezione internazionale e sommariamente vengono rispediti indietro: vengono rispediti verso quei porti della Grecia dove invece quei diritti non sono rispettati, dove vivono nelle bidonville, dove vengono sottoposti a torture, botte quotidiane. Ecco, questi fantasmi sono quelle persone che non vengono registrate da nessuna parte e cercano di nascondersi nei container. Purtroppo qualcuno muore. E l’Italia li rispedisce indietro.

D. – Tu hai raccontato una storia particolare…

R. – Io ho raccontato una storia particolare, sono riuscito a trovare un filo rosso per il mio reportage che è la storia di Reza, un ragazzo afghano di 17 anni che è partito dal suo Paese a piedi attraverso peripezie, attraverso l’Iran: è arrivato fino alla Turchia e da lì un’altra volta ha passato il confine ed è arrivato fino in Grecia. Poi per tre volte ha cercato di arrivare in Italia, il suo sogno, per poi proseguire verso nord e per tre volte è stato respinto. Lui aveva subito violenze, torture, la sua famiglia è stata sterminata dai talebani, quindi aveva tutti i diritti per essere accolto come un profugo, e per tre volte glieli hanno negato. Anche lui ha preso la sua vita in mano e se l’è fatta a piedi, dalla Grecia è arrivato fino in Friuli e ora i suoi diritti finalmente sono stati riconosciuti, ma sono passati anni.

D. – Che cosa ha significato per te cominciare a lavorare su questa storia?

R. – Andare nei porti, capire questa differenza, questa distanza, come vengono trattati in questa zona grigia. Ad Ancona, le associazioni locali mi hanno raccontato, mi hanno fatto vedere tutto quello che succede nei porti nei vari scali marittimi dove c’è una terra di nessuno, dove queste persone arrivano e si ritrovano dopo migliaia di chilometri in Italia ma completamente spaesati. Per me ha significato approfondire un altro tassello di questo mosaico dell’immigrazione, questo fenomeno importante, sfaccettato, multipersonale che l’Italia sta avendo da 15 anni a questa parte e c’è ancora tanto da capire, tanto da approfondire perché in un fenomeno così vario e complesso non ci si può limitare a dire che è semplicemente un’invasione.

D. – Nello stesso tempo questo ragazzo vi ha affidato la sua storia, una grande consegna, in un certo qual modo è come se ti avesse dato la sua vita da raccontare. E nella sua vita ci sono le vite di tanti altri che vivono questa realtà…

R. – Adesso vive come rifugiato politico a Parma, ha superato questa barriera, ha sfondato questo confine anche dell’indifferenza, c’è un ricorso pendente all’Unione Europea per il trattamento che ha subito lui e che subiscono tante altre persone, tante famiglie, profughi che avrebbero tutto il diritto di chiedere la protezione internazionale ma purtroppo gli viene sbattuta la porta in faccia. La sua storia è una storia molto bella da raccontare, molto appassionante, ma anche molto pesante. Quando sono stato a casa sua, mi ha fatto vedere anche i segni delle torture che ha subito in Afghanistan: per tante ore mi ha raccontato tutti i particolari della sua vita, come è riuscito a raggranellare qualche soldo in Iran, le umiliazioni, le sevizie che ha subito per arrivare in Italia, poi nel ‘sogno Europa’, che nel suo caso più che un sogno era una fortezza da espugnare. Quando è iniziato questo viaggio aveva 17 anni. Alla fine riesce ad arrivare in Italia a 21 anni: 4 anni del suo grande sacrificio ma anche della sua testardaggine, del suo sogno che non voleva fermarsi a un confine così labile, quando gli mancava un braccio di mare, era praticamente arrivato dall’Asia al porto di Patrasso e gli mancava giusto il tratto finale, l’ultimo miglio per arrivare in Italia: era già in Europa, ma in un’Europa che non riconosce ancora i suoi diritti.

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Prosegue l'impegno del "Progetto Marco" nei villaggi africani

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Malawi, Zambia, Ghana e Repubblica Democratica del Congo sono alcuni Paesi in cui opera Progetto Marco, l’ong che da anni sta realizzando iniziative mirate ad aiutare la popolazione dei villaggi. Sono appena tornati alcuni volontari da una missione in Congo, dove hanno avviato un progetto agricolo. Al microfono di Maria Cristina Montagnaro, il presidente Salvatore Spinosa spiega qual è la situazione in questo momento nel  Paese: 

R. – La situazione in questo momento, nella zona in cui noi stiamo operando e dove stiamo portando avanti questo progetto ambizioso, che è il progetto agricolo, è nettamente migliorata: a settembre ci sono stati i primi raccolti, in modo particolare di fagioli e quindi di proteine. Stiamo portando avanti un progetto che coprirà 34 ettari di terreno abbandonato, rendendolo fertile.

D. – Perché avete scelto di portare un aiuto attraverso questo progetto agricolo?

R. – Perché la filosofia della nostra associazione è quella di non tenere conto assolutamente dell’assistenza: noi vogliamo dare totale indipendenza! Vogliamo che quella gente stia bene a casa propria. Abbiamo realizzato 300 pozzi, abbiamo realizzato 18 scuole; adesso stiamo portando avanti vari progetti artigianali e in modo particolare questo progetto agricolo, che sarà un po’ la dimostrazione che tutto questo si può fare, si può dare autonomia alla gente locale. Sarà un progetto che durerà 4-5 anni e ci permetterà di dare veramente autonomia di cibo a 50 mila persone.

D. – La necessità più urgente resta comunque l’acqua: quanti pozzi avete scavato finora?

R. – Ne abbiamo scavati 300: proprio in questo momento, mentre sto parlando, è in arrivo in Zambia del sud un altro nostro gruppo di volontari che andrà a portare avanti un altro progetto, il progetto acqua, in 20 villaggi. Non ci fermiamo un attimo: siamo operativi giorno dopo giorno. Crediamo fermamente che un mondo migliore si possa fare in nome dell’insegnamento di nostro Signore.

D. – Nei villaggi nei quali operate, quali sono le condizioni di vita dei bambini?

R. – Quelle sono abbastanza difficili. Soltanto chi le vede con i propri occhi se ne può rendere conto. Noi cerchiamo attraverso delle immagini di far capire alla gente che con un po’ del nostro superfluo riusciamo a rendere giustizia in questo mondo, che ancora – purtroppo – ha tante persone da difendere. Chiunque voglia avere notizie su di noi, può cliccare sul nostro sito www.progettomarco.it: questo sito è una finestra aperta a tutti per sapere cosa facciamo concretamente e tutte le documentazioni che noi pubblichiamo. La nostra trasparenza ci sta aiutando a fare ancora di più.

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Campania, scuola di formazione per la pastorale con le famiglie

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Parte l’11 novembre a Santa Maria Capua Vetere, in Campania, una “Scuola di formazione per la pastorale con le famiglie”. L’iniziativa è dell’Ufficio per la pastorale familiare dell’arcidiocesi di Capua ed è coordinata dai corresponsabili: don Gennaro Fusco e la coppia Piero Del Bene e Assunta Scialdone. Nei diversi appuntamenti si alterneranno specialisti ed esperti, ci sarà spazio per dibattiti mentre seguiranno un percorso parallelo i figli delle coppie iscritte. Al microfono di Tiziana Campisi, Piero Del Bene e Assunta Scialdone spiegano com’è nata questa scuola e com’è organizzata: 

R. - (Piero Del Bene) Abbiamo seguito un’idea particolare, che è quella di incarnare il cristianesimo e ci è sembrato che la famiglia fosse il posto ideale per questa nostra idea. Proporremo 12 incontri, per quest’anno, sulla teologia della famiglia e della coppia; incontri sull’affettività, sulla sessualità in generale e sulle relazioni fra genitori e figli, tra marito e moglie, ma anche tra operatori parrocchiali e persone che bussano alle nostre parrocchie, perché anche in questo abbiamo scoperto grossi limiti e, in qualche caso, incapacità di accoglienza nei confronti delle persone che vengono a bussare alle nostre parrocchie, e quindi ci occuperemo anche di accoglienza. L’idea è quella di prendere la teologia della famiglia e incarnarla in tutti questi stati di vita. La scuola è rivolta alle famiglie che vogliono provare a seguire questa strada, ma è rivolta anche a tutti quegli operatori che incontrano famiglie, per esempio, nell’attività parrocchiale: penso alle coppie che preparano le famiglie che chiedono il Battesimo per i figli, ma penso anche a coloro che hanno a che fare con i giovani, che spesso pongono questioni di affettività e di sessualità e spesso le pongono in termini di forte conflittualità.

D. - Come sarà articolato ogni singolo incontro nella scuola?

R. - (Assunta Scialdone) Ci sarà un primo momento di accoglienza, verrà poi  affrontato il tema e successivamente ci sarà un dibattito con domande e risposte. Parallelamente i figli di queste coppie che si sono iscritte alla scuola, verranno tenuti da alcuni giovani della nostra diocesi, che cercheranno, non solo di farli giocare, ma anche, proprio attraverso il gioco, di  parlare con Gesù. Potremmo dire che non è solo una scuola rivolta ai genitori, perché contemporaneamente anche i figli ritorneranno a casa arricchiti del messaggio cristiano.

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Una 'stanza del silenzio' per pregare

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La Fondazione Santa Lucia, in collaborazione con Religions for Peace, ha aperto all’interno della sua struttura sanitaria la cosiddetta “stanza del silenzio”, un ambiente di raccoglimento dove tutti i pazienti, indipendentemente dalla loro religione, possono recarsi a pregare. All’inaugurazione era presente anche l'arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli operatori sanitari. Maria Gabriella Lanza lo ha intervistato: 

R. - Questa stanza del silenzio rispecchia la necessità per ogni uomo di essere vicino di Dio, della meditazione, specialmente quando nella sua vita entra la sofferenza. La malattia è al di sopra delle religioni e per questo motivo questa sala sarà anche la Sala della Pace, non solo della pace interiore della persona, ma anche della pace tra gli uomini e le donne di diverse nazioni e di diversi continenti: infatti, qui vengono tante persone non solo cattoliche ma di diverse religioni. Ricordo le parole di Benedetto XVI, che ha detto che ognuno di noi è come il Buon Samaritano: non guardiamo alla condizione sociale dei malati, né al colore della loro pelle o all’appartenenza religiosa, ma solo a ciò di cui hanno bisogno. Nel volto di ogni essere umano, ancor più se provato e sfigurato dalla malattia, brilla il volto di Cristo il quale ha detto: ‘Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli bisognosi, l’avete fatto a me’. Noi cristiani vogliamo unire le nostre sofferenze a quelle di Cristo.

L’iniziativa è una delle poche esistenti in Italia e ha coinvolto i capi religiosi di diverse comunità, tra cui quelle ebraica, valdese e musulmana, che hanno partecipato all’inaugurazione, come spiega Luigi De Salvia, segretario generale di “Religions for Peace”:

R. - Rappresenta un luogo dedicato ai malati e tiene conto anche delle diverse appartenenze religiose. La persona umana, nella condizione di malattia, fa affiorare la sua dimensione spirituale e questo è importante. Infatti, nella modernità noi abbiamo acquisito tante risorse e abilità nella cura, sul piano tecnico… Però, c’è il rischio di non considerare il mistero che abita l’uomo e quindi magari ci riduciamo all’aspetto biologico. Tutto questo è importante ma dobbiamo sapere che c’è una componente nella condizione umana che va oltre noi stessi: è il mistero dell’uomo nel quale si riflette anche il mistero di Dio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Da oggi, la visita della presidenza Cei in Terra Santa

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Partiranno questa sera alla volta della Terra Santa il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) cardinale Angelo Bagnasco e i tre vicepresidenti, il cardinale Gualtiero Bassetti, mons. Cesare Nosiglia e mons. Angelo Spinillo, con il segretario mons. Nunzio Galatino, su invito del Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal. La visita durerà due giorni, ma il programma è molto intenso: domani mattina saranno nella Striscia di Gaza nei quartieri distrutti dal conflitto e si recheranno anche all’ospedale giordano e alla scuola del Patriarcato latino; incontreranno il vescovo ortodosso Alexandros nella chiesa di San Porfirio e in serata, dopo aver celebrato la Messa nella parrocchia della Sacra Famiglia, s’intratterranno con la piccola comunità cristiana locale. Martedì, invece, saranno a Sderot, in Israele, spesso oggetto di lancio di razzi provenienti dalla Striscia, che dista solo un chilometro. La visita s’inserisce nell’ambito delle iniziative sempre più frequenti che i vescovi italiani hanno intrapreso in favore del Medio Oriente, come spiega il segretario della Cei, mons. Galatino, che già una ventina di giorni fa era stato tra i profughi del Kurdistan iracheno: “All’impegno sociale per la pace e per la convivenza tra i popoli – ha detto – si unisce la volontà di esprimere nei fatti la nostra vicinanza ai cristiani costretti dai conflitti e dalle persecuzioni a lasciare le loro case: un esodo che impoverisce tutti e fa venir meno la presenza della Chiesa proprio nella terra da cui il Vangelo si è irradiato”. (R.B.)

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Ucraina. Al voto le regioni dell’est, Kiev: elezioni farsa

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Urne aperte oggi nelle regioni filorusse dell’Ucraina orientale, le aree separatiste che fanno capo a Donetsk e Lugansk, che oggi eleggeranno i loro presidenti e parlamentari in una tornata elettorale appoggiata da Mosca ma denunciata dall’Occidente, in quanto rischia seriamente di compromettere il processo di pace. Kiev, infatti, ha definito “una farsa” le elezioni delle due autoproclamatesi repubbliche autonome e ha aperto un’inchiesta contro gli organizzatori del voto “per azioni mirate a prendere il potere con la forza”, come annunciato ieri dal portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Volodimir Poliovi. Intanto, però, le urne nei 400 collegi allestiti resteranno aperte fino alle 20, ora di Mosca. Si moltiplicano poi gli attacchi ai militari ucraini: ben 28 nelle ultime 24 ore, tanto che il bilancio delle vittime sale a sette morti e sei feriti, tra i soldati, in soli due giorni, ai quali si aggioungono i due soldati morti oggi in un'esplosione al posto di blocco di Mariupol. Nel frattempo, un quinto convoglio di aiuti russi ha passato il confine e i controlli dei doganieri ucraini: si tratta di 100 camion, 50 diretti a Donetsk e 50 a Lugansk, con circa mille tonnellate di aiuti. In questo quadro, si è appreso che i caccia della Royal Air Force (Raf) britannica hanno intercettato un bombardiere russo troppo vicino allo spazio aereo inglese: è la terza volta che accade in tre giorni. (R.B.)

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Burkina Faso. La comunità internazionale: potere ad autorità civili

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Il trasferimento del potere dall’autorità militare a quella civile e l’istituzione di un governo transitorio che sia coerente con l’ordine costituzionale: queste le richieste della comunità internazionale – su tutti il Dipartimento di Stato americano attraverso il portavoce Jen Psaki e l’inviato delle Nazioni Unite per l’Africa occidentale, Mohamed Ibn Chambas – al Burkina Faso dove, due giorni fa, è stato rovesciato il presidente Compaoré, che era in carica da 27 anni, sostituito dal numero due della Guardia presidenziale, il colonnello Zida. In caso contrario, si minacciano sanzioni al Paese. E mentre l’esercito assicura che la transizione del potere sarà gestita in modo democratico, le opposizioni e la società civile hanno convocato per oggi nella capitale Ouagadougou una grande manifestazione in piazza della Nazione – già ribattezzata piazza della Rivoluzione – per rivendicare che “la vittoria, dopo la rivolta popolare, appartiene al popolo e quindi la gestione della transizione è legittimamente sua e non può essere in alcun caso confiscata dall’esercito”. Nel Paese, intanto, dopo le violenze dei giorni scorsi, sembra essere tornata la calma: le frontiere aeree sono state riaperte e c’è stato un allentamento del coprifuoco – che resta in vigore solo di notte – mentre domani dovrebbero riaprire i battenti anche le scuole e molti uffici. (R.B.)

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Repubblica Democratica del Congo: 8 morti e violenze a Beni

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Almeno otto persone - due soldati e sei civili - sono rimaste vittime di quella che è stata definita “una nuova carneficina” ieri sera nel quartiere di Bel-Air, parte orientale di Beni, nella Repubblica Democratica del Congo, già teatro di un recente massacro in cui sono morte un centinaio di persone. A riferire la notizia, confermata anche da fonti ufficiali, è una federazione di ong operanti sul territorio. E oggi, violenti scontri sono scoppiati nel centro della città: una folla di manifestanti - secondo quanto ha riferito il sindaco, Bwanakawa Nyonyi - ha tentato di assaltare il municipio, ma è stata respinta; è però riuscita a distruggere la statua del presidente Kabila. Gli scontri sono avvenuti proprio dopo la partenza del presidente congolese che aveva visitato Beni in seguito agli ultimi fatti di sangue, episodi molto comuni, purtroppo, in questa città e attribuiti ai ribelli ugandesi delle Forze democratiche alleate musulmane. (R.B.)

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Esperti Onu: gas serra mai così alti in 800 mila anni

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Le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera della Terra hanno raggiunto i livelli maggiori in 800 mila anni. È il drammatico annuncio del gruppo di esperti delle Nazioni Unite sul clima, contenuto nella più completa valutazione del cambiamento climatico pubblicata dal 2007 a oggi. La temperatura media della superficie terrestre e degli oceani, stando agli studiosi riuniti a Copenhagen, è salita di 0.85° tra il 1880 e il 2012 e resta poco tempo per mantenere la variazione entro i 2°, mentre il livello del mare in conseguenza dello scioglimento dei ghiacci è salito di 19 cm. Le emissioni mondiali – conclude il gruppo intergovernativo – devono essere ridotte dal 40 al 70% entro il 2050 e poi sparire dal 2100. Sulla questione si è pronunciato oggi anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon: "Dobbiamo agire ora per evitare un peggioramento del clima - ha detto - l'azione contro i cambiamenti climatici può contribuire alla prosperità economica, a un migliore stato di salute e a rendere le città più vivibili". Anche la Francia è intervenuta sull'argomento, lanciando un appello al mondo per una mobilitazione "universale e immediata". (R.B.)

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Elezioni di midterm negli Usa: Obama punta sulle donne

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Punta sulle donne il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ieri ha parlato della condizione femminile negli Usa durante il tradizionale messaggio del sabato alle famiglie, a pochi giorni dalle cosiddette elezioni del midterm, cioè di metà mandato, in programma martedì prossimo. Furono proprio le donne le artefici del suo successo nel 2008 e della sua riconferma nel 2012. La strategia elettorale di Obama mira a scuotere tutta quella parte di elettorato democratico che solitamente non si reca alle urne per questa tornata elettorale, in cui si rinnovano la Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato: oltre alle donne, anche alcune minoranze, come quella afroamericana, quella ispanica e la comunità asiatica. “Siamo nel 2014 e ci sono ancora donne che guadagnano meno degli uomini per fare lo stesso lavoro”, ha esordito il presidente spiegando che, nonostante la metà della forza lavoro statunitense sia femminile, è proprio quella delle donne la categoria che meno riesce a beneficiare della ripresa economica. “Abbiamo fatto molta strada rispetto a sei anni fa – ha aggiunto – negli ultimi cinque mesi le nostre imprese hanno creato 10.3 milioni di posti di lavoro e negli ultimi sei mesi la nostra economia è cresciuta al ritmo più veloce dal 2003”. Eppure la maggior parte dei lavoratori a basso salario – un salario minimo che negli ultimi sette anni il Congresso ha rifiutato di elevare a 10 dollari e 10 centesimi e di cui beneficerebbero milioni di donne – è costituita da donne: “La loro paga deve essere equa e devono avere le stesse possibilità di successo nel lavoro – ha proseguito – meritano di potersi mettere in aspettativa per prendersi cura dei nuovi figli o di un genitore malato e le donne incinte dovrebbero essere trattate con dignità e rispetto, mentre oggi ancora possono essere licenziate perché si prendono troppe pause o vengono costrette a prendersi aspettative non retribuite”. Per il voto del 4 novembre, i sondaggi dicono che i repubblicani sono a un passo dallo strappare ai democratici Stati quali l’Arkansas, il Montana, Il South Dakota e la West Virginia, ma rischiano seriamente di perdere la Georgia, il Kansas e il Kentucky. In bilico restano Alaska, Colorado, Iowa, New Hampshire e North Carolina. (R.B.)

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Iran. Condannata a un anno: voleva vedere partita pallavolo

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È stata condannata a un anno di reclusione nel carcere politico di Evin con l’accusa di “propaganda” contro il governo, Ghonchen Ghavami, la giovane anglo-iraniana di 25 anni che il 20 giugno scorso era stata arrestata mentre cercava di entrare allo stadio Azadi di Teheran per assistere all’incontro di pallavolo maschile Iran-Italia, valido per la Coppa del mondo. La ragazza – che vive a Londra dove si è laureata in giurisprudenza ed era tornata nel Paese per partecipare a un programma di alfabetizzazione femminile – aveva chiesto assieme ad altre attiviste di poter partecipare all’incontro, ma le era stato rifiutato: la morale islamico-sciita, infatti, vieta alle donne di mescolarsi agli spettatori uomini durante gli eventi sportivi. Dopo essere stata rilasciata una prima volta su cauzione, la giovane è stata nuovamente arrestata e ha trascorso 41 giorni in isolamento, dove ha effettuato un rigido sciopero della fame. La vicenda ha sollevato l’indignazione della Gran Bretagna – la ragazza ha il doppio passaporto iraniano e inglese, ma Teheran non riconosce le doppie cittadinanze – tanto che il primo ministro David Cameron ha portato il caso all’attenzione del presidente iraniano Rohani nell’incontro avuto con questo a settembre e il Foreign Affairs, ministero degli Esteri britannico, si dice “preoccupato” per la ragazza. Anche Amnesty International si è mobilitata, promuovendo una raccolta che ha già collezionato 600 mila firme. Secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite, nell’ultimo anno nell’Iran del moderato Rohani, sono state eseguite almeno 852 condanne a morte e si sottolinea anche un peggioramento delle condizioni di vita delle donne e dei cristiani. (R.B.)

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Filippine. Attentato di Abu Sayyaf nel sud, 6 soldati morti

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Sei soldati dell’esercito regolare sono morti oggi in un’imboscata tesa dai militanti di Abu Sayyaf nell’isola di Basilan, nel sud dell’arcipelago filippino, a circa 900 km dalla capitale Manila. Secondo quanto riferito dal portavoce dell’esercito, Harold Cabunoc, lo scontro a fuoco tra i militari e la cellula comandata da Radzmi Jannatul, sarebbe durato circa 45 minuti. Abu Sayyaf è un’organizzazione terroristica di fondamentalisti islamici legata ad al Qaeda e vicina allo Stato Islamico, costituitasi nel 1991 dall’iniziativa di alcuni combattenti nella guerra d’Afghanistan contro l’allora Unione Sovietica. Ad essa, che conta circa 400 uomini, vengono attribuiti gli attentati più sanguinosi mai avvenuti nelle Filippine e anche molti rapimenti di turisti stranieri, attraverso i quali si finanzia chiedendo riscatti da milioni di dollari. (R.B.)

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Oggi la Romania al voto per le elezioni presidenziali

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Si sono aperte questa mattina alle 7 ora locale e si chiuderanno alle 21, le urne in Romania, dove 18 milioni di elettori sono chiamati a scegliere il nuovo presidente. Grande favorito il premier socialdemocratico Victor Ponta, che - nei sondaggi - si attesta sul 40% dei consensi, contro il 29% di Klaus Iohannis, esponente della minoranza tedesca, sindaco di Sibiu e leader dei liberali. Probabilmente nessuno dei candidati – ce ne sono 13 in lizza – raggiungerà il 50% e si andrà al ballottaggio, già programmato per il 16 novembre. Il voto è considerato un test chiave per il Paese, che ha bisogno di riforme e infrastrutture e dove la corruzione negli organi statali è ancora molto forte: questi sono stati i temi affrontati in una campagna elettorale piena di scontri e reciproche accuse tra i candidati. (R.B.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 306

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.