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Sommario del 07/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco ai religiosi: meglio i pugni che il terrorismo delle chiacchiere

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I religiosi sono chiamati a dare una testimonianza profetica di fraternità, meglio i pugni che il terrorismo delle chiacchiere: è quanto ha affermato Papa Francesco ricevendo i partecipanti all’assemblea nazionale della Conferenza Italiana Superiori Maggiori, conclusa oggi a Tivoli. Il servizio di Sergio Centofanti

La prima esortazione del Papa ai religiosi è quella della testimonianza profetica di una vita evangelica. La “profezia non è mai ideologica” - ha detto - “non è alla moda” e non è confronto con l’istituzione perché la stessa profezia “è istituzionale”, ma è “segno di contraddizione”. E’, infatti, la santità che fa crescere la Chiesa:

“Perché davanti alla testimonianza di un fratello e di una sorella che vive veramente la vita religiosa, la gente si domanda ‘che cosa c’è qui?’, ‘che cosa spinge questa persona oltre l’orizzonte mondano?’. Questa direi è la prima cosa: aiutare la Chiesa a crescere per via di attrazione. Senza preoccuparsi di fare proseliti: attrazione!”.

Non si tratta – ha aggiunto - di “combattere battaglie di retroguardia, di difesa”, ma di spendersi tra la gente, “che vive nelle periferie della storia”. E “un segno chiaro che la vita religiosa è chiamata a dare oggi è la vita fraterna”:

“Ma, per favore, che non ci sia fra voi il terrorismo delle chiacchiere, eh! Cacciatelo via! Ci sia fraternità! E se tu hai qualcosa contro il fratello, lo dici in faccia… Alcune volte finirai ai pugni, non è un problema: è meglio questo che il terrorismo delle chiacchiere”.

“Oggi – ha proseguito - la cultura dominante è individualista, centrata sui diritti soggettivi. E’ una cultura che corrode la società a partire dalla sua cellula primaria che è la famiglia. La vita consacrata può aiutare la Chiesa e la società intera dando testimonianza di fraternità, che è possibile vivere insieme come fratelli nella diversità … Perché nella comunità non ci si sceglie prima, ci si trova con persone diverse per carattere, età, formazione, sensibilità… eppure si cerca di vivere da fratelli”:

“Non sempre si riesce, voi lo sapete bene. Tante volte si sbaglia, perché siamo tutti peccatori, però si riconosce di avere sbagliato, si chiede perdono e si offre il perdono. E questo fa bene alla Chiesa: fa circolare nel corpo della Chiesa la linfa della fraternità. E fa bene anche a tutta la società”.

“Ma questa fraternità – ha osservato il Papa - presuppone la paternità di Dio e la maternità della Chiesa e della Madre, la Vergine Maria. Dobbiamo ogni giorno rimetterci in questa relazione, e lo possiamo fare con la preghiera, con l’Eucaristia, con l’adorazione, con il Rosario. Così noi rinnoviamo ogni giorno il nostro ‘stare’ con Cristo e in Cristo, e così ci mettiamo nella relazione autentica con il Padre che è nei cieli e con la Madre Chiesa, la nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica, e la Madre Maria. Se la nostra vita si colloca sempre nuovamente in queste relazioni fondamentali – ha concluso - allora siamo in grado di realizzare anche una fraternità autentica, una fraternità testimoniale, che attrae”.

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Papa a vescovi amici Focolari: globalizzare la fraternità

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Terrorismo, persecuzioni contro i cristiani e altre minoranze, secolarismo e fondamentalismo sono alcune delle sfide che interpellano a cercare con rinnovato impegno, costanza e pazienza le vie che conducono verso l’unità tra i cristiani. E tra queste, la via maestra è l’Eucaristia. E’ quanto ha affermato Papa Francesco incontrando, in Vaticano, i partecipanti al Convegno ecumenico dei vescovi amici del Movimento dei Focolari incentrato sul tema: “L’Eucaristia, mistero di comunione”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

“L’amore alla Parola di Dio e la volontà di conformare l’esistenza al Vangelo” fanno germogliare in diverse Chiese e comunità ecclesiali “solide amicizie e momenti forti di fraternità”. Ricordando questa “ricca esperienza”, il Papa esorta ad essere sempre “attenti ai segni dei tempi”, a chiedere al Signore “il dono dell’ascolto reciproco e la docilità alla sua volontà”. Nel nostro mondo travagliato – sottolinea il Pontefice – ha grande valore una chiara testimonianza di fraternità e di unità tra i cristiani:

“Questa fraternità è un segno luminoso e attraente della nostra fede in Cristo risorto. Se infatti intendiamo cercare, come cristiani, di rispondere in modo incisivo alle tante problematiche e ai drammi del nostro tempo, occorre parlare ed agire come fratelli, e in modo tale che tutti lo possano facilmente riconoscere”.

Anche questo è un modo – aggiunge il Santo Padre – “di rispondere alla globalizzazione dell’indifferenza con una globalizzazione della solidarietà e della fraternità”:

“Il fatto che in diversi Paesi manchi la libertà di manifestare pubblicamente la religione e di vivere apertamente secondo le esigenze dell’etica cristiana; le persecuzioni nei confronti dei cristiani e di altre minoranze; il triste fenomeno del terrorismo; il dramma dei profughi causato da guerre e da altre ragioni; le sfide del fondamentalismo e, dall’altro estremo, del secolarismo esasperato; tutte queste realtà interpellano la nostra coscienza di cristiani e di pastori”.

Tali sfide – spiega il Santo Padre – sono un appello a cercare le vie che conducono verso l’unità. E tra queste vie, una è la strada maestra: l’Eucaristia come mistero di Comunione. Nell’Eucaristia – conclude il Papa – “sentiamo chiaramente che l’unità è dono e che al tempo stesso è responsabilità, responsabilità grave (cfr 1 Cor 11,17-33)”.

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Il Papa: attenti a non diventare “cristiani pagani” nemici della Croce

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Anche oggi ci sono “cristiani pagani” che si “comportano come nemici della Croce di Cristo”. E’ il monito di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ribadito che bisogna guardarsi dalle tentazioni della mondanità che ci portano alla rovina. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Cristiani che vanno avanti nella fede e cristiani che si “comportano da nemici della Croce di Cristo”. Papa Francesco ha preso spunto dalle parole di San Paolo ai Filippesi per soffermarsi su due gruppi di cristiani, presenti oggi come al tempo dell’Apostolo delle Genti. “Tutti e due i gruppi – ha detto – erano in Chiesa, tutti insieme, andavano a Messa le domeniche, lodavano il Signore, si chiamavano cristiani”. Qual era dunque la differenza? I secondi “si comportano come nemici della Croce di Cristo! Cristiani nemici della Croce di Cristo”. Sono, ha rimarcato Francesco, “cristiani mondani, cristiani di nome, con due o tre cose di cristiano, ma niente di più. Cristiani pagani!”. “Il nome cristiano, ma la vita pagana”. O, ha soggiunto, “per dirla in un’altra maniera”: “pagani con due pennellate di vernice di cristianesimo, così appaiono come cristiani, ma sono pagani”:

"Anche oggi ce ne sono tanti! Anche noi dobbiamo stare attenti a non scivolare verso quella strada di cristiani pagani, cristiani nell’apparenza. E la tentazione di abituarsi alla mediocrità, la mediocrità dei cristiani, di questi cristiani, è proprio la loro rovina, perché il cuore si intiepidisce, diventano tiepidi. E ai tiepidi il Signore dice una parola forte: ‘Perché sei tiepido, sto per vomitarti dalla mia bocca’. E’ molto forte! Sono nemici della Croce di Cristo. Prendono il nome, ma non seguono le esigenze della vita cristiana”.

Paolo, ha proseguito, parla dunque della “cittadinanza” dei cristiani. “La nostra cittadinanza”, ha osservato, “è nei cieli. Quella loro è terrena. Sono cittadini del mondo, non dei cieli”. “Cittadini del mondo. E il cognome è mondano! Guardatevi da questi”, ha avvertito. Francesco ha così osservato che tutti, anche lui, deve domandarsi: “Ma io avrò qualcosa di questi? Avrò qualcosa della mondanità dentro di me? Qualcosa del paganesimo?”:

“Mi piace vantarmi? Mi piacciono i soldi? Mi piace l’orgoglio, la superbia? Dove ho le mie radici, cioè di dove sono cittadino? Nel cielo o sulla terra? Nel mondo o nello spirito mondano? La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo, come Salvatore, il Signore Gesù Cristo. E la loro? La loro sorte finale sarà la perdizione! Questi cristiani verniciati finiranno male… Ma guardate alla fine: dove ti porta quella cittadinanza che tu hai nel tuo cuore? Quella mondana alla rovina, quella della Croce di Cristo all’incontro con Lui”.

Il Papa ha così indicato alcuni segni “nel cuore” che mostrano che si sta “scivolando verso la mondanità”. “Se tu ami e se tu sei attaccato ai soldi, alla vanità e all’orgoglio – ha ammonito – vai per quella strada cattiva”. Se, invece, ha proseguito “tu cerchi di amare Dio, di servire gli altri, se tu sei mite, se tu sei umile, se tu sei servitore degli altri, vai sulla buona strada. La tua carta di cittadinanza è buona: è del cielo!”. L’altra, al contrario, “è una cittadinanza che ti porterà male”. E Gesù, ha rammentato, chiedeva tanto al Padre di salvare i suoi discepoli “dallo spirito del mondo, da questa mondanità, che porta alla perdizione”. Il Papa ha quindi rivolto l’attenzione alla parabola dell’amministratore dei beni che truffa il suo signore, narrata nel Vangelo odierno:

“Come è arrivato questo amministratore del Vangelo a questo punto di truffare, di rubare al suo signore? Come è arrivato, da un giorno all’altro? No! Poco a poco. Un giorno una mancia qui, l’altro giorno una tangente là e così poco a poco si arriva alla corruzione. Il cammino della mondanità di questi nemici della Croce di Cristo è così, ti porta alla corruzione! E poi finisce come quest’uomo, no? Apertamente rubando…”

Il Papa riprende dunque le parole di Paolo che chiede di rimanere “saldi nel Signore” senza permettere che il cuore si indebolisca e “finisca nel niente, nella corruzione”. “E’ una grazia bella da chiedere questa – ha detto – rimanere saldi nel Signore. C’è tutta la salvezza, lì sarà la trasfigurazione in gloria”. “Saldi nel Signore – ha concluso – e nell’esempio della Croce di Cristo: umiltà, povertà, mitezza, servizio agli altri, adorazione, preghiera”.

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Santa Sede: cristiani e sikh insieme dalla parte degli ultimi

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“Cristiani e Sikh: insieme per promuovere il servizio della carità” è il titolo del Messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, pubblicato in occasione della festa di Prakash Diwas che celebra il fondatore della religione Sikh, il Guru Nanak (1469-1539). I sikh (parola che significa “discepolo) sono circa 19 milioni e vivono per lo più nella regione indiana del Punjab. Fuori dell'India vivono quasi un milione di sikh, soprattutto in Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti.

“Il servizio della carità – si legge nel messaggio - si trova nel cuore di ogni grande religione. Per noi cristiani, trova la sua perfetta espressione nella persona stessa di Gesù. La sua descrizione più eloquente nella Sacra Bibbia si trova nella parabola del 'Buon samaritano' (Lc 10, 25-37)”.

Anche per i sikh – osserva il dicastero vaticano - la compassione e il servizio disinteressato sono concetti fondamentali. Nei testi sacri di questa religione si legge, tra l’altro: "Le mani e i piedi che fuggono il servizio sono deprecabili; le azioni diverse dal servizio sono inutili".

“Compiere il servizio della carità – afferma il Messaggio - significa entrare in contatto con i poveri, bisognosi, malati, anziani, diversamente abili, migranti, rifugiati, sfruttati e perseguitati”. E’ un servizio che trascende ogni barriera e chiede di rinunciare ai propri interessi nella consapevolezza che gli ultimi sono “nostri fratelli e sorelle e sono parte della nostra unica grande famiglia umana”. Si tratta di un'esperienza gratificante sia per chi dona che per chi riceve

“Le crescenti tendenze materialistiche, consumistiche e individualistiche nel mondo di oggi – sottolinea il dicastero - purtroppo, stanno rendendo gli esseri umani sempre più egoisti, insensibili e indifferenti ai bisogni e alle sofferenze degli altri. Denunciando queste tendenze preoccupanti”, Papa Francesco esorta a promuovere una cultura in cui ognuno si senta amato, voluto e curato, perché “nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare"(Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 3 settembre 2014).

Il Messaggio, infine, auspica che cristiani e sikh possano riscoprire l'importanza del servizio della carità nella vita personale e sociale, ispirando e incoraggiando anche gli altri in modo da promuovere la felicità, l'armonia e la pace in tutto il mondo, perché sia “migliore, più giusto e fraterno”.

Il Messaggio è firmato dal cardinale Jean-Louis Tauran e da padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

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Nomine episcopali in Francia e Australia

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata i cardinali Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e Agostino Vallini, vicario generale per la Diocesi di Roma. Nel pomeriggio, in programma l’udienza con il cardinale Cláudio Hummes, prefetto emerito della Congregazione per il Clero e delegato per l'Amazzonia della Conferenza episcopale del Brasile. Ieri, il Papa aveva ricevuto il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata de le Società di Vita Apostolica, insieme  con il segretario del medesimo dicastero, l’arcivescovo José Rodríguez Carballo.

In Francia, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Digne, presentata per raggiunti limiti di età da mons. François-Xavier Loizeau. Al suo posto, Papa Francesco ha nominato il sacerdote Jean-Philippe Nault, membro della Società Jean-Marie Vianney, parroco di Notre-Dame di Bourg-en-Bresse. Mons. Nault è nato il 13 aprile 1965 a Parigi. Dopo gli studi secondari e universitari conclusi con due licenze, in Ingegneria agricola e in Matematica applicata, ed un Diploma di studi approfonditi in intelligenza artificiale, è entrato nel seminario della Società Jean-Marie Vianney, ad Ars. E’ stato poi inviato al Pontificio Seminario francese di Roma e ha continuato gli studi presso la Pontificia Università Gregoriana, concludendoli con una Licenza in teologia. È stato ordinato sacerdote il 5 luglio 1998. E’ membro della società Jean-Marie Vianney. Dopo l’ordinazione, ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali: Direttore aggiunto del Santuario di Ars (1999-2000); Direttore del Santuario di Ars (2000-2012). Dal 2012 è Parroco della parrocchia Notre-Dame de Bourg et Decano di Bourg-en-Bresse, nella diocesi di Belley-Ars.

In Australia, il Papa ha nominato ausiliari di Melbourne mons. Terence R. Curtin, vicario episcopale per la Regione Est dell’arcidiocesi e parroco di “Greythorn”, e padre Mark S. Edwards, degli Oblati di Maria Immacolata (Omi), rettore dello “Iona College” di Lindum, Brisbane.

Mons. Curtin è nato il 20 luglio 1945 a Cremorne nell’arcidiocesi di Sydney. Dopo aver frequentato la Saint Ciaran’s School di Northbridge e il Saint Kevin’s College di Toorak, è entrato nel Seminario Regionale di Melbourne per poi continuare la sua formazione ecclesiastica nel Collegio Urbano di Roma (1983-1987). Ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e il Baccellierato in Educazione all’Università di Melbourne. E’ stato ordinato sacerdote il 28 agosto 1971 per l’Arcidiocesi di Melbourne. Ha poi ricoperto i seguenti incarichi: Viceparroco della parrocchia di Noble Park (1971-1974); Viceparroco della parrocchia di Fawkner e Cappellano del Cimitero Generale di Melbourne (1974-1975); Cappellano e Direttore per l’Educazione religiosa dello State College of Victoria, Mercy Campus in Ascot Vale (1975-1982); Studente a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana (1983-1987); Cappellano e Direttore della Scuola di Religione e Filosofia dell’Australian Catholic University in Oakleigh (1987-1992); Direttore del Dipartimento di Religione e Filosofia dell’Australian Catholic University, Victoria (1993-1995); Direttore del Dipartimento di Teologia dell‘Australian Catholic University, Victoria (1996-2002); Direttore del Catholic Theological College, Melbourne (dal 2003); Parroco della parrocchia di Greythorn (dal 2008); Vice Presidente del Melbourne College of Divinity (2008-2009); Presidente del Melbourne College of Divinity (2010-2011); Vicario Episcopale di Melbourne per la Regione Est (dal 2012). Nel 2012 è stato nominato Cappellano di Sua Santità.

Mons. Edwards è nato a Balikpapan (Indonesia) nel 1959. Si trasferì nel 1962 in Australia. Dopo aver frequentato la Saint Leonard’s Primary School a Glen Waverley e il Mazenod College di Mulgrave, ha ottenuto il Baccellierato in Scienze presso la Monash University di Melbourne. Nel 1980 è entrato nel Noviziato dei Missionari Oblati di Maria Immacolata e ha compiuto gli studi ecclesiastici al Catholic Theological College di Melbourne e al Melbourne College of Divinity. E’ stato ordinato sacerdote nel 1986 a Melbourne. Dopo la sua ordinazione sacerdotale ha proseguito la sua formazione presso la Monash University di Melbourne, conseguendo il Dottorato in Filosofia e il Baccellierato in Lettere e in Educazione. Nella Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata ha ricoperto i seguenti incarichi: Professore al Mazenod College di Mulgrave (1986-1989); Vice-Rettore dello Iona College di Brisbane (1990-1997); Maestro degli Aspiranti al Saint Mary’s Seminary di Mulgrave (1998-2004); Maestro dei Novizi al Saint Mary’s Seminary di Mulgrave (2004-2007); Professore al Catholic Theological College di Melbourne (2005-2010); Responsabile degli Scolastici al Saint Mary’s Seminary di Mulgrave (2007-2010); Rettore dello Iona College di Lindum, Brisbane (dal 2010). Inoltre è stato eletto Consigliere Provinciale della Provincia australiana dei Missionari Oblati negli anni 2001, 2004, 2007 e 2011.

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Muro Berlino. Riccardi: ha vinto il "Non abbiate paura" di Wojtyla

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Il Bundestag di Berlino ha commemorato stamani il 25.mo del crollo del Muro di Berlino. Quell’avvenimento – ha detto il presidente del parlamento tedesco, Norbert Lammert – “fu la conseguenza di una rivoluzione pacifica, senza precedenti non solo nella storia tedesca''. Per una riflessione su questo evento e sul ruolo che ebbe all’epoca Giovanni Paolo II, Alessandro Gisotti ha intervistato lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio: 

R. - Giovanni Paolo II diceva che “la storia è piena di sorprese” e lo stesso cancelliere Kohl che è stato uno dei grandi attori della riunificazione, non avrebbe mai sospettato - anche pochi mesi prima - che il Muro sarebbe caduto e caduto in questo modo. Secondo me, la grande lezione è che la storia è piena di sorprese e che gli uomini e le donne e i popoli debbano perseguire un disegno, un disegno di unità, come hanno perseguito i tedeschi, come ha perseguito Giovanni Paolo II e non accettare i muri o addirittura sentirsi esaltati e protetti dalla rinascita dei muri.

D. - Qualcuno ha scritto che il Muro di Berlino è iniziato a sgretolarsi il 16 ottobre del 1978, ovvero con l’elezione proprio di Giovanni Paolo II. Lei cosa pensa al riguardo?

R. - Io credo che il ruolo di Giovanni Paolo II sia stato un ruolo di grande importanza. Non va sottovaluto! Ed è stato un ruolo che ha agito sulla geopolitica dello spirito, sulle correnti del profondo. Ha insegnato ai popoli dell’Est a non aver paura. Del resto già La Pira diceva che la Polonia era il primo anello di quel mondo sovietico che si sarebbe incrinato. E che già le mura - lo scriveva negli anni Cinquanta - erano cadute al suono delle trombe di Gerico.

D. - Lei ha avuto modo più volte di parlare proprio con Karol Wojtyla degli eventi straordinaria dell’89, la caduta del Muro e poi ovviamente l’incontro in Vaticano con Gorbaciov. Cosa la colpiva, cosa la colpisce ancora ricordando quelle parole del Papa?

R. - La passione del Papa per l’Oriente, di cui aveva grande rispetto, l’Oriente russo soprattutto: “una Chiesa di martiri”, così la definiva. Ma anche vorrei dire che quest’uomo, che è stato insieme polacco e universale, era un uomo che aveva una visione. Perché credo che il nostro problema di oggi sia proprio quello della mancanza di visioni.

D. - Il Muro di Berlino è caduto, purtroppo però tanti muri sono ancora in piedi: Francesco, come Giovanni Paolo II, esorta a costruire ponti e non muri. Questa sua cultura dell’incontro, che risuona continuamente…

R. - Io credo che i muri risorgano e sono i muri di un nuovo clima quasi da Guerra Fredda. Io vengo da Mosca, dove ho avuto un incontro molto lungo e significativo con il Patriarca, con il ministro degli Esteri russo: i muri risorgono! Noi dobbiamo stare molto attenti, perché i muri risorgono, i muri dividono i popoli, i muri fanno soffrire la gente. I muri durano e si trasmettono di generazione in generazione. Io credo che il discorso di Francesco sulla cultura dell’incontro sia aprire delle falle in questi muri o evitare che crescano.

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P. Lombardi: diffusione radio digitale migliora la nostra missione

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Si è svolta a Roma la 20.ma assemblea generale del Forum mondiale sulla radio digitale, che ha riunito 120 rappresentanti della radiofonia pubblica e privata di Europa, Asia e Australia, assieme alle maggiori imprese dell’elettronica industriale, di consumo e automotive. Nel Vecchio continente, Gran Bretagna e Svizzera possono contare su una copertura pressoché completa del segnale digitale radiofonico, gli altri Paesi sono avviati a questo obiettivo. Al microfono di Luca Collodi, il nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, delinea il ruolo della Radio Vaticana tra il presente e il futuro delle nuove tecnologie: 

R. – Certamente, sono 83 anni in cui la nostra eredità è proprio quella di trovare le tecnologie più adatte per diffondere il nostro messaggio, per realizzare la nostra missione. La missione, come sappiamo, è quella di far conoscere il servizio del Santo Padre per la Chiesa e per l’umanità e questo avviene in tanti modi differenti. Nell’aspetto più tipicamente radio, noi siamo passati dalle tecnologie classiche delle onde corte, delle onde medie e dell’FM analogica, adesso al digitale. Il digitale trasmette sia in onde corte, sia in onde medie con la Digital Radio Mondiale, DRM, che però ha difficoltà ad affermarsi come diffusione di ricevitori, quindi è rimasta una via un po’ a mezz’aria. Invece, in diversi Paesi del mondo – in particolare nell’Europa settentrionale, ma adesso anche in Italia – il Dab, cioè la radio digitale (Digital Audio Broadcasting - ndr), nelle aree più vicine si sta affermando bene con grandi vantaggi di qualità del segnale, di basso consumo di energia e con una notevole possibilità di numero di programmi da diffondere. Quindi, anche noi siamo pienamente inseriti su questa frontiera che ci permette di far giungere i nostri programmi – per ora quelli in italiano – non solo sull’area di Roma ma anche sull’area nazionale. E poi speriamo che anche negli altri Paesi la ritrasmissione dei nostri programmi – che avviene da parte di tante radio locali, o regionali – possa passare a queste tecnologie di qualità più elevata e che quindi tutto il nostro servizio sia aggiornato, a livello di tecnologie non solo di produzione ma anche di diffusione, alla frontiera più avanzata.

D. – L’evoluzione della radio digitale è importante anche per i contenuti che la Radio Vaticana trasmette…

R. – Certamente. Io devo sempre ripetere, quando si parla delle tecnologie di trasmissione, che il problema non è solo la tecnologia di trasmissione, ma è soprattutto il “che cosa” e “perché” si parla, il “che cosa” e “perché” si comunica. Non dobbiamo mai dimenticare l’importanza del contenuto, della sostanza del messaggio e poi la tecnologia deve essere al servizio di questa, evidentemente. Non dobbiamo lasciarci prendere dalla fascinazione del progresso tecnologico come se fosse fine a se stesso. Dobbiamo conservargli il carattere di strumento per una finalità più elevata e questo, certamente, per noi che abbiamo una missione molto chiara di servizio – tramite messaggi di altissimo valore umano e spirituale – è molto chiaro.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Segno di contraddizione: Papa Francesco chiede ai religiosi una testimonianza profetica.

Cristiani verniciati: messa a Santa Marta.

Sulle vie dell'unità: il Pontefice ai partecipanti al convegno ecumenico di vescovi amici del movimento dei Focolari.

Quelli che osano: lo storico Alberto Monticone sull'apostolato dei laici secondo Paolo VI.

E il 9 novembre 1989 il Muro sparì: Bernard Lecomte sul "crollo inatteso", con una nota del direttore dal titolo "Il Papa e il comunista".

Per una globalizzazione della giustizia: intervento della Santa Sede all'Onu.

La veglia del denaro genera mostri: Ugo Sartorio su corruzione e tragici effetti collaterali.

Una palla di cannone chiamata Blake: Enrico Reggiani sull'opera dell'artista visionario inglese nella lettura di Chesterton.

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Oggi in Primo Piano



Medio Oriente. P. Pizzaballa: rispetto per statu quo Luoghi Santi

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Medio Oriente. La Spianata delle Moschee, nella città vecchia di Gerusalemme, dopo i recenti scontri tra Forze dell'ordine israeliane e palestinesi rimane al centro delle dispute sulla gestione di questo e degli altri luoghi santi. Sull’escalation delle violenze nella città santa, in una dichiarazione i Patriarchi e i leader delle Chiese di Gerusalemme esprimono preoccupazione. I presuli invocano anche il rispetto dello statu quo che regola la gestione e l'accesso ai Luoghi Santi, con particolare riferimento proprio alla Spianata delle Moschee. Forti poi le inquietudini espresse per la chiusura totale e le restrizioni all’accesso nella Moschea di al Aqsa. Giancarlo La Vella ne ha parlato con padre Pierbattista Pizzaballa, custode francescano di Terra Santa: 

R. – La questione dello statu quo della Spianata delle Moschee, ma più in generale dei Luoghi Santi a Gerusalemme - con i loro diversi status quo per i cristiani, per i musulmani e per gli ebrei - è un argomento quasi esplosivo, dove la ragionevolezza delle questioni deve fare i conti con una storia antica, con sentimenti che toccano anche la sfera religiosa e sociale. È una questione che sarebbe da affrontare certamente, ma con molta calma e non in questo modo, creando fatti compiuti sul territorio senza un’adeguata preparazione di dialogo.

D. – Quale può essere il contributo cristiano alla definizione dello status della Spianata delle Moschee, non solo, ma anche degli altri Luoghi Santi?

R. – Ci sono a Gerusalemme diversi ambiti: c’è lo statu quo, c’è l’ambito cristiano che ha le sue dinamiche, molto diverse rispetto a quelle della Spianata delle Moschee. Quella della Spianata delle Moschee è una questione delicatissima, dove credo sarebbe impossibile in questo momento cambiare lo statu quo, mentre invece per i cristiani la situazione è molto più piccola, naturalmente, più ridotta. C’è anche qui, come tutti sanno, una situazione di apparente tensione tra le diverse comunità cristiane, ma gestita in maniera molto più serena. Per quanto riguarda un cambiamento dello statu quo anche tra i cristiani, penso sia una questione di tempi molto lunghi.

D. – Come dire che le decisioni di oggi debbano fare i conti con l’importanza storica e religiosa di questi luoghi per tutte e tre le religioni monoteiste…

R. – I Luoghi Santi a Gerusalemme sono molto importanti, perché le fedi monoteiste sono fedi rivelate, il che significa che Dio ha parlato all’uomo in un momento preciso della storia e anche in un luogo preciso. I Luoghi sono importanti, perché sono legati alla storia della Rivelazione: senza luogo non ci sarebbe l’evento. Quindi, toccando quei Luoghi e mettendo in discussione lo stato di quei Luoghi, si entra dentro non soltanto la questione storica, critica, ma anche dentro il legame che popoli interi naturalmente hanno con quei luoghi, perché ne toccano la loro identità.

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Is, arruolamenti in Ue. L'esperto: serve strategia coordinata

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Continua l’offensiva della coalizione internazionale contro il sedicente Stato islamico (Is) in Iraq e Siria, mentre l’Occidente si interroga sulle conseguenze della guerra nel resto del mondo. Il riferimento è alla scoperta ieri in Francia di cellule dormienti dell’Is con l’arresto di 200 persone, e dell’allarme dell’Interpol su aspiranti jihadisti diretti in Medio Oriente attraverso navi da crociera. Ma quale la reale dimensione del fenomeno degli arruolamenti e quali le strategie nuove di contrasto al terrorismo? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Maurizio Calvi, presidente del Centro alti studi per la lotta al terrorismo: 

R. - Il problema principale è che ci troviamo di fronte a un nuovo scenario di terrorismo internazionale. Difficile da colpire, visto che nel contesto delle organizzazioni dell’Is la comunicazione collettiva determina le condizioni di adesione a questo movimento, da ogni contesto territoriale. Da qui, il rischio di attentati che possono nascere in qualsiasi momento e in ciascun Paese.

D. - Quindi, più che mai serve cooperazione, controlli coordinati, come dice anche l’Interpol. Però, su cosa focalizzare l’attenzione per far prevenzione, a oggi?

R. - Diciamo che la Turchia è il punto nevralgico di smistamento di nuovi terroristi, quindi va capito e va letto, con una lente di ingrandimento, soprattutto questo Paese, che ha una politica estera molto complessa, con interessi divergenti rispetto ai Paesi dell’Occidente. Il secondo elemento è che queste adesioni si possono spostare attraverso comunicazioni via mare, che è la cosa più semplice. Attraverso le vie aeree è invece più facile capire come si muovono e in che direzione si muovono. Per cui, c’è una lettura complessiva da fare diversa dal passato, che renda prevedibile lo spostamento di questi terroristi in modo da colpirli e da frenarli.

D. - Per quanto riguarda invece l’arruolamento di stranieri, secondo l’Interpol sarebbero 15 mila da 81 Paesi diretti verso zone di guerra. Lei come lo legge questo fenomeno?

R. - A mio avviso sono molti, molti di più. E’ un fenomeno inarrestabile. Questo Is, avendo risorse di tale grandezza, consente a queste adesioni di essere anche profumatamente pagate… E’ chiaro che quindi che le condizioni sociali nel contesto in cui versa il mondo e l’adesione ideologica a questo movimento determinano condizioni di una "invasione senza precedenti" nella storia contemporanea.

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Libia senza parlamento, sciolto dalla Corte suprema

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A soli quattro mesi dalla sua elezione, la Corte suprema libica ha sciolto il parlamento eletto il 25 giugno, invalidando ogni decisione presa nel corso del mandato. Un fatto grave, che rischia di far precipitare la Libia in una guerra civile. Corinna Spirito ha chiesto ad Arturo Varvelli, esperto dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi della politica internazionale, quali potrebbero essere le conseguenze per la Libia e per il Mediterraneo: 

R. – La sentenza della Corte libica di fatto non cambia sostanzialmente il quadro sul campo, che è altamente difficile all’interno della Libia. Non lo cambia perché in realtà abbiamo già una fortissima polarizzazione tra almeno queste due forze: da una parte il campo del parlamento, attualmente residente a Tobruk, e dall’altro le forze che invece occupano la capitale. Io penso che a questo punto la comunità internazionale abbia una possibilità, che forse prima non aveva, e che è quella di non prendere parte per alcuna posizione. Prima le Nazioni Unite prendevano una posizione che era naturalmente quella vicina al governo, che noi pensavamo legittimo, di Tobruk – che  tuttavia aveva già una bassissima legittimità perché era un parlamento eletto soltanto dal 18% della popolazione e che non aveva il controllo delle istituzioni, della Banca centrale né della capitale. Il problema, quindi, rimane quello della legittimità che andrebbe ricostruita dalle fondamenta, in Libia. E la comunità internazionale deve tenere presente questo. Non deve attribuire legittimità a una delle due parti, commettendo in qualche misura l’errore che era stato fatto fino ad adesso, ma deve aiutare i libici stessi a costituirne una nuova, partendo dal fatto che si devono riconoscere tutti gli attori che sono in campo, o la maggior parte di questi, escludendo naturalmente le forze jihadiste, come attori legittimi a partecipare alla nuova Libia. Se così non avverrà, la Libia è destinata a essere un “buco nero” nel Mediterraneo, per diversi anni.

D. – Sia Federica Mogherini sia Paolo Gentiloni, però, hanno dichiarato che un intervento dell’Onu sia necessario. Cosa ne pensa?

R. – Questa non è un’osservazione sbagliata, assolutamente. C’è necessità di un intervento dell’Onu – e di un intervento più forte di quanto non si abbia ora – o, diciamo, un proseguimento, un rafforzamento di quanto sia stato fatto finora. Per adesso, sia Gentiloni sia Mogherini si sono espressi in termini molto generici su una preoccupazione che la Libia diventi realmente un problema ancora maggiore di quanto appaia oggi. Sono naturalmente preoccupazioni sul Paese altamente condivisibili, che noi osservatori internazionali condividiamo ormai da diverse settimane, se non da diversi mesi o anni del Paese, che ha preso certamente un declivio bruttissimo. Sostanzialmente, non si tratta di un intervento armato risolutivo che parteggi da una parte, che possa risolvere questa situazione, ma è creare le condizioni di contesto internazionale perché i libici possano parlarsi tra di loro. Questo naturalmente presuppone che la comunità internazionale sia capace di parlare con una sua voce, cosa che oggi non vediamo, perché vediamo ancora potenze esterne come Turchia da una parte ed Egitto dall’altra che sponsorizzano una parte sull’altra. Fin quando questo avverrà – perché ognuno ha naturalmente interessi strategici molto diversi sul Paese, alcuni anche legittimi, ma che non vengono mediati con altre potenze – i libici non avranno nessun vantaggio e nessuna pressione per far sì che possa avvenire realmente una soluzione mediata e politica.

D. – La situazione attuale quali conseguenze può avere dal punto di vista economico sia sulla Libia, ma anche su di noi, sull’Italia e sull’Europa?

R. – Italia ed Europa hanno due preoccupazioni fondamentali. Una è una questione legata all’immigrazione e la seconda è una questione legata all’energia. E’ inutile negate che la Libia sia un Paese strategico da questo punto di vista, e bisogna anche ricordare che l’Italia, in particolare, ha i maggiori interessi, non tanto in Cirenaica quanto maggiormente in Tripolitania, che adesso è sotto le forze di Misurata e di Tripoli. Quindi, il nostro interesse è avere il controllo sui nostri contratti in essere e di avere una Libia stabile il più possibile, perché questo naturalmente ci permette anche di arginare in parte il fenomeno immigratorio. Maggiore instabilità abbiamo, maggiori problemi avremo nel prossimo futuro, compreso quello di chi controlla la Banca centrale, perché le due fazioni non solamente si contendono il governo del Paese, ma naturalmente si contendono la capacità di introiti che fornisce la Banca centrale.

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Cristiani in Europa: a rischio libertà di coscienza e di espressione

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La libertà dei cristiani è sempre più a rischio anche in Occidente. La denuncia è contenuta nell’ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre. In pericolo sono la libertà di coscienza e di espressione, proprio nei Paesi di tradizione cristiana dove sono nate queste libertà democratiche. E' una minaccia che ancora non è percepita come tale, perché portata avanti in nome di nuovi presunti diritti: che tuttavia ne calpestano altri e finiscono per cadere nell'intolleranza. Sulla situazione nel Vecchio Continente, Giada Aquilino ha intervistato Martin Kugler, membro dell'Osservatorio sull'intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa: 

R. – The challenge we face as Christians in Europe is a double one. First, …
La sfida che noi ci troviamo davanti, come cristiani in Europa, è doppia. La prima concerne una crescente esclusione o intolleranza sociale in molti Paesi, ovviamente in termini molto diversi, a seconda della cultura dominante e dei media dominanti, ma comunque c’è una tendenza in questa direzione. Il secondo problema che ci troviamo a dover affrontare sono le limitazioni a livello legale, tra le quali la libertà di coscienza dei cristiani che operano nell’ambito della medicina, oppure la libertà di espressione di fronte ad argomenti come il matrimonio e la famiglia o l’educazione sessuale gestita dallo Stato. I cristiani non si trovano ad affrontare soltanto una crescente intolleranza, ma a volte addirittura restrizioni legali.

D. – Si risente un po’ della situazione che c’è in Iraq, in Siria o in altri Paesi dove ci sono persecuzioni, anche contro i cristiani?

R. – We don’t speak about persecutions in Europe, because it is a completely …
In Europa non parliamo di persecuzione: il problema è completamente diverso. Ma come possiamo sentire dai nostri fratelli e sorelle in Iraq, in Iran e in Siria, c’è un collegamento tra la passività, la mancanza di consapevolezza di quello che significhi “libertà religiosa” in Europa e i problemi che queste persone si trovano ad affrontare nei loro Paesi. Infatti, se i politici europei avessero un po’ più di determinazione e ponessero un po’ più di enfasi sul significato di “libertà religiosa”, potrebbero anche essere più severi nelle loro politiche nei riguardi di altri Paesi. Faccio un esempio. L’Unione Europea ha tenuto un incontro a livello di ministri degli Esteri, due anni fa, per parlare dei crimini perpetrati nei confronti dei cristiani in Egitto, che in quel momento erano veramente drammatici, tragici. In seguito a questo incontro avrebbero dovuto pubblicare una risoluzione per stabilire una sorta di politica estera comune dell’Unione Europea per quanto riguardava l’Egitto. Poi, però, non hanno potuto preparare tale documento, perché è stato rifiutato di menzionare il termine “cristiani”. Per una ragione di “politically correct”, non hanno voluto dire che “sono stati uccisi dei cristiani” oppure “i cristiani stanno perdendo i loro diritti”, perché volevano mantenersi su un piano di eguaglianza tra le religioni. Qualunque persona che leggesse un simile documento, si renderebbe conto che i ministri non si sono trovati uniti nemmeno nell’esprimere la loro preoccupazione.

D. – Come migliorare allora la situazione dei cristiani in Europa, sia a livello religioso sia a livello politico?

R. – I see two chances for Christians in Europe. One chance is to be more alert …
Io vedo due strade per i cristiani in Europa. Una via è quella di essere molto vigili e di informarsi più approfonditamente sulle loro responsabilità di uomini e donne laici, senza lasciare l’incombenza soltanto alla Chiesa. L’altra via è che i politici cristiani siano più coraggiosi, che sappiano di avere una responsabilità unica di solidarietà con i cristiani più esposti nei Paesi europei dove, ad esempio, i cristiani possono essere minoranza. Ci sono molti Paesi europei nei quali i cristiani praticanti già sono una minoranza. E’ anche un segno di solidarietà nei riguardi di cristiani in altri Paesi, nei quali sono in realtà perseguitati. Quindi, penso che se lottiamo per la libertà religiosa in Europa, in campo medico, etico, educativo, di diritti dei genitori, nel campo della non-discriminazione - e là dove c'è una politica di anti-discriminazione, i cristiani iniziano a perdere la libertà di agire nel mondo del lavoro - riusciremo a dare un segnale positivo anche ai nostri fratelli e sorelle che affrontano problemi molto maggiori dei nostri.

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Forum Famiglie: il "divorzio facile" banalizza il matrimonio

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La Camera ha approvato ieri in via definitiva il pacchetto per lo smaltimento dell’arretrato delle cause civili. Tra le norme fa discutere quella del cosiddetto divorzio facile, che in assenza di figli può essere chiesto e ottenuto dai coniugi stessi recandosi semplicemente davanti al sindaco del proprio comune di appartenenza. Plaude il ministro della Giustizia Orlando, mentre le associazioni familiari esprimono preoccupazione. “La famiglia è pesantemente sotto attacco, si sta banalizzando il matrimonio”: questo il commento dell’avvocato Simone Pillon, consigliere nazionale del Forum per le Associazioni familiari che al microfono di Cecilia Seppia spiega i limiti di questa normativa: 

R - Il primo limite è che stiamo sostanzialmente privatizzando un rapporto, che è pubblico, oltretutto mettendo a rischio la parte debole del matrimonio, solitamente la donna. Il secondo limite è che si introducono due strade differenti, a seconda che il matrimonio sia con o senza figli. E questo è altrettanto grave. Quasi che ci sia un matrimonio di serie A e un matrimonio di serie B. E poi, un terzo problema, assolutamente determinante, è il fatto che sia lasciata alla totale autonomia delle parti la facoltà di sciogliere un legame, un vincolo pubblico come quello matrimoniale. Il matrimonio non è un contratto; il matrimonio non è un atto di diritto civile, puro e semplice; il matrimonio comporta sempre un impegno pubblico. Il fatto di rendere liberamente solubile questo vincolo, semplicemente con due righe depositate al sindaco del Comune, è davvero qualcosa di molto, molto pericoloso.

D. – L’obiettivo di questo pacchetto di misure è ovviamente quello di snellire la mole dei processi civili e pendenti, quello di andare verso la semplificazione anche delle procedure. Il problema è che qui l’efficienza si lega a temi esistenziali fortissimi come il matrimonio dove risparmiare tempo potrebbe non essere la soluzione...

R. – Le operazioni e i divorzi consensuali oggi in Italia occupano circa 5 minuti del tempo dei magistrati. Non erano certamente questi gli aspetti importanti da andare a colpire, per velocizzare la macchina della giustizia. Non sono certamente cause che implicano una dispersione delle risorse della giustizia. Semmai era molto più intelligente e molto più utile introdurre la mediazione obbligatoria nelle pratiche di diritti di famiglia.

D. – E' giusto dire che in questo modo forse si toglie tempo ad un possibile riavvicinamento di coppie che decidono di separarsi? E inoltre non stiamo forse minando lo Stato, perché la famiglia – ricordiamolo – è la cellula costitutiva della società civile?

R. – Sì, assolutamente sì. Soprattutto la normativa del divorzio senza figli, della separazione senza figli, è pericolosissima in questo senso. Si va cioè verso una banalizzazione del rapporto famigliare. Mi spiego: oggi una coppia può coerentemente sposarsi e dopo due o tre giorni comparire davanti al sindaco, inviando il proprio accordo di separazione. Chiunque può capire che questa semplificazione assoluta di qualsiasi ritualità, sostanzialmente pone la famiglia sullo stesso piano della coppia di fatto. Un’eccessiva semplificazione che burocratizza, ma anche toglie significato intrinseco al legame familiare è qualcosa che visto che – verrebbe quasi da dire – non si riesce ad equiparare la coppia di fatto alla famiglia, allora non possiamo fare altro che ribaltare la questione ed equiparare la famiglia alla coppia di fatto. La vera questione, il vero nodo, è affrontare invece con serietà la conciliazione. Nella crisi della famiglia, quindi, l’unica risposta non può essere la separazione, deve essere anche presentata e proposta alla libertà, ovviamente, dei coniugi la possibilità di un serio tentativo di conciliazione.

D. – Il Papa recentemente ha detto che la famiglia non è mai stata attaccata come in questo tempo: si è "imbastardita", è "ferita", "bastonata da tutte le parti" e sta appunto subendo una crisi senza precedenti. Di fatto, lo scenario, anche sul piano giuridico, sembra essere proprio questo...

R. – E’ questo il punto. La famiglia oggi è pesantemente sotto attacco, perché è l’unico antidoto naturale all’individualismo. Nella famiglia la persona è sfidata quotidianamente ad uscire dalla propria individualità e a passare all’altro e, passando all’altro, la persona cresce, matura, acquista i valori della solidarietà, della condivisione, dell’altruismo, del sacrificio di sé per l’altro, ma poi le conseguenze sociali di questa ecatombe sono ovviamente pagate dai più piccoli. E’ chiaro, infatti, che avere in una società figli che non hanno potuto relazionarsi con entrambi i genitori, ma magari sono cresciuti solo con la madre, oppure avere in una società anziani che non hanno più un legame con i loro nipoti, perché si tratta di nipoti che poi sono stati cresciuti dal nuovo compagno della madre e quindi hanno perso ogni rapporto con il ramo parentale del genitore, spesso di sesso maschile, e così via, comporta che poi tutto il tessuto sociale si inaridisca in modo irreparabile.

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Cinema. "Interstellar", il futuro della terra è un altro mondo

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Da ieri sugli schermi italiani e da oggi su quelli americani l’atteso “Interstellar” di Christopher Nolan, un importante e bellissimo film di fantascienza in cui la terra, diventato un pianeta senza cibo, costringe l’umanità a cercare nuovi mondi, con imprevedibili conseguenze e la conferma del primato dell’amore. Il servizio di Luca Pellegrini

"Spinti dalla fede incrollabile che la terra sia nostra", come dice l'austero professor Brad, gli uomini non si sono accorti che non è più così. La terra ci respinge, la sabbia ci invade. Scompare il cibo. “Interstellar” non è un film apocalittico come i tanti che si sono succeduti al passaggio del Millennio. Trascende la visione semplicistica del dualismo inizio-fine della vita e va assai oltre il racconto di fantascienza. Ambizioso, complesso, diventa un grandioso viaggio interstellare guidato da Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, padre vedovo e tormentato, che ricorda sull'uscio di casa come "un tempo alzavamo lo sguardo al cielo chiedendoci quale fosse il nostro posto nella galassia, ora lo abbassiamo preoccupati e intrappolati nel fango e nella polvere". E' in questa contrapposizione tra il grigio, l'aridità del fango e lo splendore, il mistero della galassia che Nolan inserisce nozioni scientifiche e immagini fantastiche, una fantascienza che diventa "densa" e si gioca tutta sull'emozione, lasciando la responsabilità del passato e del futuro nelle mani dell’uomo, escludendo per questo un "loro" extraterrestre. Dunque un "noi" in cui siamo liberi, prima di tutto di amare. Un atto di grande fiducia nella nostra capacità di scegliere e di rischiare, che porta l’umanità a un nuovo modo di sopravvivere, in cui le nozioni del tempo e dello spazio cambiano radicalmente. Abbiamo chiesto a McConaughey lo spirito del suo personaggio.

R. – I’m a father of three…
Ho tre figli, ho doveri e responsabilità come padre e questo mi piace. Ho anche dei sogni personali e cerco di realizzarli, quando recito. Fortunatamente, la mia famiglia mi segue quando lavoro. Non ho la stessa situazione di conflitto che ha Cooper con i suoi figli, ma a volte è necessario prendere una decisione riguardo a una cosa o l'altra. Cooper letteralmente è messo con le spalle al muro, non ha scelta: è un padre vedovo, il suo dovere è prendersi cura dei figli. Era un pilota della Nasa che ha lasciato, è un agricoltore, ma il suo sogno è volare, sa che la sua casa è la cabina di pilotaggio e vorrebbe essere lassù. Quando lo vediamo all'inizio del film sa che forse non potrà mai più realizzare questo suo sogno e questo non lo rende felice, questo lo rende ansioso, non si sente a suo agio sulla Terra.

D. - L’estinzione dell’umanità è la conseguenza dei disastri ambientali...

R. – I think that the Earth...
Penso che la Terra starebbe bene, siamo noi che siamo terribili. Di questo dovremmo preoccuparci. Siamo noi che possiamo distruggere madre natura, lei non ha proprio nulla di che ringraziarci, l'abbiamo maltrattata per troppo tempo. In questo film il cuore del problema è che la natura si è infastidita con noi ed ha introdotto un virus che consuma il nostro cibo, che così finisce. Nolan è molto coinvolto da questi disastri creati dall'uomo. Però, non vuole essere didattico e nemmeno dirti che questo accadrà o metterti in guardia, anche se poi il pubblico prende il film proprio così.

D. – Nel film “Contact” lei era un integerrimo uomo di fede, qui un pilota che ha dinanzi a sé soltanto l’orizzonte della scienza. Due posizioni inconciliabili?

R. – I didn’t see them as counter...
Non vedo contrapposizione nel loro modo di agire. Cooper non è uno scienziato, è un ingegnere e un pilota, è un po' superstizioso, ha paura, è costretto a usare il suo istinto, ma è il pilota giusto per quella missione. Credo davvero dentro di me che se una persona è un uomo di fede e crede in Dio per lui la scienza non può che essere la ricerca pratica di Dio, e questo lo si intuisce chiaramente nel film. Quando si dice che “solo l'amore trascende il tempo” è andare oltre la scienza, è entrare nella sfera intima dei sentimenti, che non sono mai misurabili. Non tutto può essere scientificamente provato. Gli scienziati dicono: cerca la risposta in fondo fino al suo mistero. Ma non troveranno mai la risposta, per questo continuano a cercare.

D. - Come descriverebbe allora Interstellar?  

R. – Look, you gonna get a huge science-fiction...
Una grande avventura di fantascienza che ha a che fare con i nostri errori. All'inizio, quello che sta laggiù nello spazio lo consideriamo pericoloso, ma questo è un film incredibilmente ottimista e alla fine ci fa cambiare opinione, ci fa capire che possono esserci per l'umanità altri modi per continuare a vivere ed evolverci. In un certo senso, va oltre la fantascienza. Ma è anche una storia d'amore molto semplice e comprensibile tra un padre e una figlia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: famiglie dei cristiani uccisi chiedono giustizia

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Le famiglie dei due coniugi cristiani bruciati vivi il 4 novembre, nel distretto di Kasur, chiedono giustizia e sperano in un futuro migliore. Lo riferisce all’agenzia Fides l’avvocato Sardar Mushtaq Gill, che riporta quanto le famiglie hanno detto all’incontro con il primo ministro del Punjab, Shahbaz Sharif, che si è recato in visita nelle loro case. Sharif ha promesso giustizia, annunciando anche un risarcimento di dieci milioni di rupie e un terreno di dieci ettari. Intanto, come riferisce sempre l’avvocato Gill, la polizia si sta muovendo molto attivamente nei villaggi circostanti, alla ricerca dei colpevoli del linciaggio. Sono partite denunce contro 60 uomini e altri 500 ignoti, mentre 54 sono stati finora arrestati, come ha detto l’ispettore di polizia Muhammad Ali, incaricato dell’inchiesta.

“I cristiani pakistani – afferma Gill – sono nel terrore, dopo questo incidente orribile. Chiediamo a tutti di pregare per le famiglie delle vittime e per tutti coloro che lavorano in Pakistan per difendere le vittime della legge sulla blasfemia, persone spesso minacciate di morte per questo impegno”. Domenica 9 novembre, in numerose chiese i cristiani pakistani vivranno una speciale veglia di preghiera, in comunione con altre comunità cristiane in tutto il mondo, per i cristiani perseguitati. Un’altra notizia, conclude l’agenzia, ha turbato il Paese: un uomo musulmano, accusato di blasfemia, è stato ucciso da un poliziotto in Punjab, mentre era agli arresti. (A.G.)

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India: cristiani malmenati da radicali indù e arrestati da polizia

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Denudati, picchiati a mani nude, presi a cinghiate e infine arrestati: è accaduto a otto pentecostali del villaggio di Kotla, nello Stato indiano di Madhya Pradesh, aggrediti da radicali indù del Bajrang Dal. L'attacco si è consumato il 4 novembre scorso. Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), conferma ad AsiaNews la notizia: "I fedeli della Bethel Pentecostal Church sono stati arrestati dalla polizia di Bilkhiriya in base alla legge anti-conversione in vigore nello Stato".

Il 4 ottobre scorso il rev. Rana ha radunato sette fedeli per preparare insieme un servizio di preghiera. Quando i militanti locali del Bajrang Dal hanno saputo dell'incontro, hanno fatto irruzione nel luogo in cui si trovavano i cristiani e li hanno aggrediti. In seguito, alcuni agenti hanno prelevato i pentecostali e li hanno arrestati.

Introdotto nel 1968, il Madhya Pradesh Freedom of Religion Act "è uno strumento per perseguitare e intimidire la vulnerabile minoranza cristiana". "Le forze radicali indù - spiega Sajan George - lo sfruttano, inventando false accuse di conversioni forzate".

Nell'agosto 2013 il governo del Madhya Pradesh ha approvato un emendamento al Madhya Pradesh Freedom of Religion Act 1986, che ha reso la legge ancora più dura. La modifica impone ai sacerdoti di fornire alle autorità locali tutti i dettagli relativi alla persona che ha deciso di cambiare religione almeno 30 giorni prima della cerimonia, e multe salatissime per chi non la rispetta.

"È essenziale - sottolinea il presidente del Gcic - che i leader cristiani e indù intraprendano un dialogo attivo e una vera cooperazione, per cancellare le nubi di sospetto e timore che agitano il Madhya Pradesh e instaurare un clima di mutua tolleranza".

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Congo. Aggressioni contro religiosi cattolici: cresce intolleranza nel Paese

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A distanza di più di 20 giorni dall’aggressione a due sacerdoti e ad una religiosa, avvenuta il 12 e il 13 ottobre a Lodja, nella Provincia del Kasai orientale della Repubblica Democratico del Congo, le indagini non hanno fatto alcun progresso. Lo ha denunciato la “Nuova Società Civile del Congo” (NSCC) nel corso di una conferenza stampa tenuta a Kinshasa, di cui è pervenuta notizia all’Agenzia Fides. “Siamo preoccupati per l’aggressione a preti e religiose a Lodja. Vediamo che la libertà di espressione è minacciata dall’intolleranza politica nel nostro Paese” ha affermato il coordinatore nazionale della NSCC, Jonas Tshombela.

I due sacerdoti avevano appena letto durante la Messa il Messaggio con il quale i Vescovi congolesi si dichiaravano contrari alla riforma della Costituzione per permettere al presidente Joseph Kabila di concorrere alle elezioni per ottenere un terzo mandato. In seguito alcuni ragazzi hanno assalito il convento delle suore francescane. Una suora era stata aggredita.

Jonas Tshombela ha denunciato l’impunità di chi ha commesso il crimine contro i religiosi: “deploriamo la Repubblica dell’impunità. (…). Questi giovani, chiaramente strumentalizzati, con quale diritto si sono permessi di toccare una religiosa, denudarla, infierire su di lei? È intollerabile. Chiediamo l’apertura di un’inchiesta e che i responsabili siano portati di fronte alla giustizia”.

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Paraguay. I vescovi: nessuno cacci gli indigeni dai loro territori

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La Conferenza Episcopale del Paraguay, attraverso la Pastorale Indigena, ha annunciato che farà appello alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, se lo Stato non garantirà alle comunità indigene Y’apo Ava-Guaranì il proprio territorio.

Secondo una nota pervenuta all’Agenzia Fides, il 5 novembre, presso la sede della Conferenza Episcopale, la segretaria della Pastorale Indigena, Raquel Peralta, ha dato lettura di una dichiarazione dei Vescovi del Paraguay nella quale si esprime la grande preoccupazione dei Vescovi per la sentenza emessa a Ciudad de Salto del Guairá, che ordina lo sfratto alla comunità indigena Y’apo Ava-Guaranì, dal distretto di Corpus Christi.

"Siamo preoccupati perché tale sentenza viola i diritti delle comunità indigene a vivere nelle loro terre ancestrali, bene tutelato dal diritto, dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali e da altre disposizioni di legge. Siamo anche preoccupati per le gravi conseguenze di tali misure sulla loro cultura e sulla loro sopravvivenza come popolo" si legge nel documento dei Vescovi.

La segretaria della Pastorale Indigena, Raquel Peralta, ha affermato che se la sentenza non sarà modificata, la comunità e la Chiesa faranno ricorso alla Commissione Interamericana per i Diritti umani. A giugno si erano verificati degli scontri per l’intervento violento del servizio di sicurezza della Società Laguna SA, che risulta proprietaria del territorio, contro gli indigeni, causando un morto e molti feriti.

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Incontro mondiale sul clima a Lima. Le iniziative della Chiesa peruviana

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“La Chiesa non è estranea all’appuntamento mondiale che dovrà dare risposte chiare e vincolanti sulle conseguenze e sulle responsabilità del cambiamento climatico nel pianeta”. Queste le parole dei vescovi peruviani che, ieri, in una conferenza stampa hanno presentato le iniziative della Chiesa che accompagneranno la Conferenza delle Parti aderenti alla Convenzione del Clima delle Nazioni Unite (COP 20) che si terrà dal primo al 12 dicembre, a Lima, in Perù. Mons. Salvador Piñeiro, arcivescovo di Ayacucho e presidente della Conferenza episcopale, ha annunciato che uno degli eventi ufficiali della conferenza sarà il Seminario Internazionale sul “Cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e l’agricoltura familiare” organizzato dalla Caritas Internationalis, la Caritas Perù, il CELAM (Consiglio Episcopale Latinoamericano) e la CIDSE, rete di organizzazioni cattoliche di cooperazione allo sviluppo.

Ci sarà anche un incontro dei vescovi di tutto il mondo che verranno insieme alle delegazioni di circa 195 Paesi per partecipare alla conferenza. Mons. Piñeiro ha spiegato che si tratta di individuare i problemi e le sfide che pone il cambiamento climatico e l’impatto sulle popolazioni impoverite ed emarginate, affinché la Chiesa cattolica possa offrire delle proposte per una “giustizia climatica” e per la salvaguardia dei beni del Creato. “Dobbiamo agire subito di fronte al cambiamento climatico -  ha affermato mons. Piñeiro - perché nella regione sudamericana, il Perù è il terzo Paese più vulnerabile agli effetti del riscaldamento globale”.

In questo senso, il segretario generale dell’episcopato, mons. Forturanto Pablo Urcey, ha ricordato che Benedetto XVI e Papa Francesco nel loro magistero hanno indicato che la perdita di biodiversità e la deforestazione stanno dimostrando i loro effetti devastanti attraverso grandi cataclismi. Durante la COP 20 la Chiesa promuoverà una raccolta fondi per lo sviluppo sostenibile delle regioni e per le popolazioni più colpite e un decalogo di parametri di controllo delle forme di estrazione mineraria che causano inquinamento e danni ecologici.

Il vescovo di Chosica, mons. Norberto Strotmann, ha insistito sull’urgenza di meccanismi di protezione per le popolazioni vulnerabili ai cambiamenti climatici. “La realtà è che i più poveri ed emarginati – ha detto- sono i più colpiti dal riscaldamento globale”. Tra le altre iniziative, i vescovi hanno convocato una giornata di preghiera e digiuno in 130 parrocchie peruviane per la custodia del Creato e per la giustizia climatica. Inoltre, è previsto un atto interreligioso e una conferenza dal tema “La COP 20: prospettive dal Sud” all’Università ‘Antonio Ruiz de Montoya’, e una celebrazione eucaristica, il 6 dicembre, presieduta dall’arcivescovo di Ayacucho, e concelebrata dai vescovi di America, Asia, Africa e Europa. (A cura di Alina Tufani)

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Nasce l’Associazione Solidarietà Mediterranea

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Solidarietà e cooperazione sanitaria per la salute delle popolazioni, ma anche per promuovere giustizia, pace, riconciliazione e dialogo nel bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente. Sono questi gli obiettivi della nascente Associazione Solidarietà Mediterranea (Mediterranean Solidarity Association - MSA) che sarà presentata ufficialmente a Milano il 19 novembre prossimo. Per conseguire tali finalità, la MSA intende costruire un’efficiente rete di strutture sanitarie con il coinvolgimento degli Enti Locali dei Paesi interessati, in primo luogo le Regioni italiane, e di importanti realtà confessionali, come la Confederazione Internazionale delle Istituzioni Sanitarie Cattoliche (CIISAC), collegata al Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. L’idea della MSA, come precisato in una nota dei suoi fondatori, medici ed esperti di sanità italiani e di altri Paesi mediterranei, scaturisce dalla consapevolezza degli enormi problemi che travagliano l’area, tra i quali conflitti, terrorismo, emergenze sanitarie, gravissime crisi economiche, geopolitiche e sociali, migrazioni o fughe in massa dalle zone di conflitto. A garantire la progettazione e le attività della MSA, vi è un Decalogo stilato dai fondatori e contenente tutti i principi che guideranno l’Associazione.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 311

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.