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Sommario del 08/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa agli Scout adulti: fate "strada" in famiglia, nel creato e nelle città

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“Grazie per sessant’ anni di impegno apostolico e di testimonianza nella Chiesa e nella società, dei valori di lealtà, fraternità e amore a Dio e al prossimo. Continuate a tracciare il vostro cammino con speranza nel futuro”. E' quanto ha affermato Papa Francesco accogliendo, nell’Aula Paolo VI, oltre 7000 rappresentanti del Movimento Adulti Scouts Cattolici italiani, il Masci, fondato nel 1954 da Mario Mazza. Un incontro preparato da canti, testimonianze e dalle parole di padre Federico Lombardi, portavoce vaticano e per 15 anni assistente nazionale del Masci: “Una Chiesa in uscita e al servizio è quella che vuole il Papa” - ha detto - ”ed è quanto rappresenta oggi lo scoutismo italiano”. Il servizio di Gabriella Ceraso

“Vogliamo continuare ad essere testimoni di coraggio, che non hanno paura di entrare nelle periferie umane per spingere l’uomo alla fede“: le parole della presidente e del segretario nazionale del Masci ben sintetizzano i primi 60 anni di vita di questo Movimento cattolico che il Papa accoglie e loda rimarcando subito il senso profondo della parola chiave della vita scout di giovani e adulti: “strada”:

"Vorrei incoraggiarvi allora a proseguire il vostro cammino che vi chiama a fare strada in famiglia; fare strada nel creato; fare strada nella città. Camminare, facendo strada: camminanti, non erranti e non quieti! Sempre camminare, ma facendo strada".

Tre ambiti chiave, dunque, a partire dalla famiglia, la “cellula della società”, la “comunità di amore e di vita”, afferma Francesco, “che insegna a relazionarsi con gli altri e col mondo”. “Tutte le vocazioni muovono i primi passi da essa e ne portano l’impronta”:

"Per un movimento come il vostro, basato sull’educazione permanente e sulla scelta educativa, è importante riaffermare che l’educazione in famiglia costituisce una scelta prioritaria. Per voi genitori cristiani la missione educativa trova una sua specifica sorgente nel Sacramento del matrimonio, per cui il compito di allevare i figli costituisce un vero e proprio ministero nella Chiesa".

Fare strada nel creato è il secondo binario della vita scout. In quanto discepoli di Cristo, dice il Papa, abbiamo un motivo in più per tutelare e difendere il dono affidatoci dal Creatore, “ in cui riconosciamo la sua impronta e nei nostri simili la sua stessa immagine”:

"Vivere a più stretto contatto con la natura, come fate voi, implica non solo il rispetto di essa, ma anche l’impegno a contribuire concretamente per eliminare gli sprechi di una società che tende sempre più a scartare beni ancora utilizzabili e che si possono donare a quanti sono nel bisogno".

Infine, fare strada nella città: agli scouts adulti il Papa chiede di essere lievito per la realizzazione del bene comune e di offrire come bussola “un cuore orientato, cioè con il senso di Dio”:

"In una società complessa e multiculturale, voi potete testimoniare con semplicità e umiltà l’amore di Gesù per ogni persona, sperimentando anche nuove vie di evangelizzazione, fedeli a Cristo e fedeli all’uomo, che nella città vive spesso situazioni faticose, e a volte rischia di smarrirsi, di perdere la capacità di vedere l’orizzonte, di sentire la presenza di Dio. Allora la vera bussola da offrire a questi fratelli e sorelle è un cuore vicino, un cuore 'orientato', cioè con il senso di Dio".

“Continuate, dunque, a tracciare il vostro cammino con speranza nel futuro” è l’incoraggiamento che il Papa lascia al Masci, non senza aver indossato lui stesso il fazzolettone blu e aver benedetto l’assemblea che insieme rinnova la promessa, cioè l’atto solenne che da sessant’anni impegna chi aderisce a servire Dio, il Paese e il prossimo.

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Il Papa alle Salesiane: accogliete i giovani con gioia come faceva Don Bosco

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Siate sempre accoglienti con i giovani, superando le tante forme di miseria spirituale e materiale. E’ l’esortazione rivolta da Papa Francesco alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ricevute in Vaticano in occasione del Capitolo generale sul tema “Essere oggi con i giovani casa che evangelizza”. Il Pontefice ha quindi invitato le religiose salesiane a mettersi in cammino verso le periferie con “una attenzione preferenziale ai poveri”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Essere sempre segno d’amore, cogliendo le fragilità dei giovani come facevano Don Bosco e Madre Mazzarello. Papa Francesco ha ricordato le origini del carisma delle religiose salesiane e le ha invitate innanzitutto ad “uscire”, a “mettersi in cammino” verso le tante periferie, con un’attenzione speciale ai poveri. Le ha inoltre esortate a cercare opportuni “percorsi di cambiamento e di conversione pastorale, trasformando” così le proprie “case in ambienti di evangelizzazione”. Così, ha proseguito, “si formano i giovani a diventare essi stessi agenti di evangelizzazione per altri giovani”:

“Siate ovunque testimonianza profetica e presenza educativa, mediante un’accoglienza incondizionata dei giovani, affrontando la sfida dell’interculturalità e individuando percorsi per rendere efficaci i vostri interventi apostolici in un contesto – quello giovanile – permeato dal mondo virtuale e dalle nuove tecnologie, specialmente quelle digitali”.

Francesco ha dunque sottolineato che nella vita religiosa va sempre messo Cristo “al centro” ed ha ribadito che bisogna ricercare l’unità superando invidie e gelosie. Ancora una volta ha parlato di “terrorismo delle chiacchiere” che è come una bomba che distrugge le comunità. Il Papa che ha chiesto alle religiose di non dimenticare la terra argentina della Patagonia, ha quindi esortato le salesiane ad essere sempre “a contatto con le gioie, le attese e le sofferenze della gente”. E le ha incoraggiate a contribuire con entusiasmo “nell’ambito dell’educazione e della scuola, della catechesi e della formazione dei giovani all’apostolato”:

“Siate per tutti missionarie di speranza e di gioia, testimoniando i valori propri della vostra identità salesiana, specialmente la categoria dell’incontro, aspetto fondamentale del vostro carisma: esso è una sorgente sempre fresca e vitale a cui potete attingere quell’amore che rivitalizza la passione per Dio e per i giovani. Le inevitabili difficoltà, che si incontrano nel cammino, non rallentino l’entusiasmo della vostra azione apostolica”.

Il Papa ha infine ribadito quanto la Chiesa stimi la vita consacrata che si pone “nel cuore stesso della Comunità ed è elemento decisivo per la sua missione”.

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Riconosciute le virtù eroiche di Silvio Dissegna, piemontese, 12 anni

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Papa Francesco ha ricevuto ieri il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzando il dicastero a promulgare i decreti sulle virtù eroiche di otto Servi di Dio. Tra questi nuovi Venerabili, ci sono un bambino di 12 anni, Silvio Dissegna, e un educatore dei giovani, padre Raimondo Calcagno, della Congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

Silvio Dissegna nasce a Moncalieri, in provincia di Torino, il primo luglio 1967. E’ un bambino come tanti, allegro e pieno di vita. Da grande vorrebbe fare l’insegnante. A 10 anni la mamma per Natale gli regala una macchina per scrivere e lui le dona la sua prima pagina dattiloscritta: “Ti ringrazio mamma, perché mi hai messo al mondo, perché mi hai dato la vita che è tanto bella! Io ho tanta voglia di vivere”. A 11 anni arrivano i primi dolori alle gambe. I medici non lasciano speranze: cancro alle ossa. Inizia il suo calvario con il Rosario in mano. Non lo lascerà più, giorno e notte: “Io ho molte cose da dire a Gesù e alla Madonna” – afferma – e offre tutte le sofferenze per i sacerdoti, i missionari, la salvezza dei peccatori e perché tutti gli uomini siano fratelli. Sa che Gesù gli vuole bene e che lo aspetta in Paradiso. Muore il 24 settembre 1979, a 12 anni.

Tra i nuovi Venerabili, c’è anche padre Raimondo Calcagno. Nato nel 1888 a Chioggia da una famiglia di poveri pescatori, mostra sin da ragazzo la sua vocazione di educatore. Diventa sacerdote nella Congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri e spende tutta la sua vita per i giovani, soprattutto quelli più poveri. I suoi ragazzi fanno disperare molti. Anche in fin di vita, a chi cercava di zittirli per non disturbarlo, dice: “Lasciateli giocare, non mi danno mai fastidio”. Li ha sempre voluti gioiosi e devoti alla Madonna, anche se rumorosi. La sua esortazione è una sola: “vivete nella carità”.

Gli altri nuovi Venerabili Servi di Dio sono:

Francesco Massimiano Valdés Subercaseaux, dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, Primo Vescovo di Osorno; nato a Santiago del Cile (Cile) il 23 settembre 1908 e morto a Pucón (Cile) il 4 gennaio 1982.

Ildebrando Gregori (al secolo: Alfredo Antonio), Abate Generale della Congregazione Silvestrina dell'Ordine di San Benedetto, Fondatore della Congregazione delle Suore Benedettine Riparatrici del Sacro Volto del Nostro Signore Gesù Cristo; nato a Poggio Cinolfo (Italia) l'8 maggio 1894 e morto a Roma il 12 novembre 1985.

Giovanni Sullivan, Sacerdote professo della Compagnia di Gesù; nato a Dublino (Irlanda) l'8 maggio 1861 ed ivi morto il 19 febbraio 1933.

Pelagio Saúter, Sacerdote professo della Congregazione del Santissimo Redentore; nato a Hausen am Thann (Germania) il 9 settembre 1878 e morto a Goiânia (Brasile) il 23 novembre 1961.

Giovanna Mance, Laica, Fondatrice dell'Ospedale Hotel-Dieu nella città di Montréal; nata a Langres (Francia) probabilmente l'11 novembre 1606 e morta a Montréal (Canada) il 18 giugno 1673.

Marta Luigia Robin, Laica, Fondatrice dell'Associazione Foyers de Charité; nata a Châteauneuf-de-Galaure (Francia) il 13 marzo 1902 ed ivi morta il 6 febbraio 1981.

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Vescovi amici dei Focolari, appello per confratelli rapiti in Siria

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Si è concluso ieri con l’udienza di Papa Francesco in Vaticano il  33.mo Convegno ecumenico dei Vescovi amici dei Focolari di otto Chiese diverse. Tema centrale dell’incontro, che si era aperto lunedì a Castelgandolfo, “L’Eucaristia, mistero di comunione”. Nel suo discorso il Papa ha ricordato che “l’unità è dono” e al tempo stesso “responsabilità grave” di fronte alla “globalizzazione  dell’indifferenza”. I presuli hanno chiesto a Francesco di ricordare i loro confratelli siro-ortodossi rapiti in Siria. Il servizio di Adriana Masotti

Trentanove i partecipanti di 29 nazioni: cattolici, ortodossi, siro-ortodossi, anglicani, metodisti, luterani e capi di altre comunità ecclesiali. L’arcivescovo di Bangkok, mons. Francis X. Kriengsak Kovithavanij, coordinatore del gruppo dei Vescovi amici dei Focolari, dice così dell’esperienza appena vissuta insieme:

"Questo incontro è particolare per l’aspetto ecumenico. Possiamo dire che è un ecumenismo a livello spirituale, a livello della vita, e poi dopo si può parlare sui vari temi proprio perché abbiamo alla base questa comunione fraterna tra vescovi. Ci sono anche problemi di persecuzione, di violenze, tanti problemi di immigrati, di rifugiati in tutto il mondo. Abbiamo ricordato anche tutto questo. E noi, di fronte a questo, faremo tutto quello che ci è possibile fare".

Della necessità della collaborazione fraterna tra le Chiese di fronte ad un mondo travagliato parla mons. Dionysius Jean Kawak, metropolita della Chiesa siro-ortodossa di Antiochia a Damasco:

"Sicuramente, noi dobbiamo essere uniti e adesso più di prima. E’ importante essere insieme, però non contro gli altri. Essere insieme per dire agli altri: noi vi vogliamo bene e dobbiamo vivere insieme, in pace, ed essere in collaborazione per costruire questo mondo che è danneggiato dal peccato. Questo è stato anche prima della crisi, però con la crisi stiamo cercando di lavorare insieme per poter rispondere ai bisogni dei nostri cittadini e dei nostri fedeli in Siria. Perché ci sono tanti poveri, tanti che hanno bisogno di un aiuto urgente. Da soli, come Chiese divise, non possiamo rispondere velocemente a questa urgenza. E’ importante anche fare accenno al caso dei due vescovi rapiti. Anche il Papa ne ha parlato. Da 18 mesi non sappiamo niente e nessuno sta reagendo per liberare questi due vescovi. Allora, anche tramite la Radio Vaticana, è importante parlarne e chiedere che tutti quelli che hanno buona volontà di lavorare seriamente per il loro immediato rilascio".

Mons. Theophilose Kuriakose è invece il metropolita della chiesa Siro-ortodossa di Antiochia per l'Europa, proveniene dal Kerala, India:

"It was very
È stato un momento molto profondo per tutti noi incontrare Sua Santità Papa Francesco: la sua semplicità e il suo amore sono stati evidenti nelle parole e nei gesti. Io credo fermamente che attraverso questo Papa noi riguadagniamo la perduta faccia della cristianità, lui è un bell’esempio per tutti noi. Lui ha sempre espresso la sua profonda attenzione per coloro che soffrono, per coloro che sono perseguitati, per i fratelli e le sorelle del Medio Oriente. Dunque, io ringrazio Sua Santità per il suo amore e la sua solidarietà con noi e noi tutti preghiamo per Papa Francesco che guidi non solo la Chiesa cattolica, ma l’intera cristianità con una rinnovata testimonianza".

Visibile la soddisfazione sul  volto del vescovo anglicano di Limerick in Irlanda, Trevor Williams:

"This week is a ….
Questa settimana è stata una splendida settimana per me, per ciò che è stato l’incontro. Così tanti vescovi, provenienti da diversi Paesi e che normalmente non ho occasione di incontrare: vescovi ortodossi, vescovi riformisti, vescovi cattolici. E’ stata una splendida esperienza per crescere insieme, come famiglia. E adesso posso veramente definire queste persone 'fratelli' per questo senso di appartenenza, per avere un obiettivo comune, che è seguire Gesù Cristo in così tante differenti situazioni. Per me questo è stato reso possibile grazie all’impegno del Movimento dei Focolari, che abbiamo incontrato nel Centro internazionale di Castel Gandolfo. Ci hanno accolto nella loro comunità, che si impegna nell’unità e nell’amore gli uni per gli altri. C’è sicuramente un lavoro importante da fare relativo alle differenze tra le Chiese, le teologie e come si guarda il mondo, i diritti… Ma siamo uno in Gesù Cristo! Abbiamo parlato riguardo alle differenze, abbiamo parlato e ci siamo confrontati per cercare di comprenderci meglio. Ma probabilmente il contributo maggiore è stato l’impegno a lavorare per l’unità della Chiesa. Io sono molto fortunato, perché sono arrivato insieme al mio fratello cattolico vescovo di Limerick…  Quando è stato ordinato vescovo, mi ha invitato ad unirmi a lui nello spirito dei suoi predecessori, mi ha presentato il suo staff pastorale… E’ stato un bel momento per me, è forse il momento migliore del mio essere vescovo: il fatto che questo vescovo cattolico mi abbia invitato a partecipare alla sua ordinazione, in questo modo. Io credo che quando c’è un desiderio come questo, così forte, di voler affermare cosa abbiamo in comune nel nostro servizio a Gesù Cristo, io credo si possa trovare la strada per far crescere le nostre Chiese insieme".

Questo il commento del vescovo Williams all'incontro con Papa Francesco:

"I suppose having grown together and understanding one another…
Penso che essere cresciuti insieme, esserci compresi a vicenda e sentirci parte delle stessa famiglia di Gesù Cristo nel mondo e incontrare Papa Francesco sia stato il momento culmine di questa settimana. Fin dall’inizio, sono stato impressionato da ciò che diceva, dal suo desiderio concreto di incontrare le persone lì dove si trovano, dalla sua compassione per le persone e dalla sua volontà di mostrare personalmente alla gente l’amore di Dio. Per me è stata un’esperienza meravigliosa, soprattutto a livello personale: incontrarlo, vedere con quanta attenzione ascolta le persone e quanto sia possibile avvicinarsi a lui nonostante sia il Papa. É un meraviglioso leader cristiano nel nostro mondo. Mi ha chiesto di pregare per lui: gli ho risposto che lo farò ogni giorno".

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In udienza dal Papa il card. Ouellet

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi. Ieri pomeriggio, aveva ricevuto mons. Celso Morga Iruzubieta, arcivescovo coadiutore di Mérida-Badajoz, in Spagna. 

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Mons. Gallagher segretario per i Rapporti con gli Stati. Mamberti alla Segnatura

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Papa Francesco ha nominato segretario per i Rapporti con gli Stati mons. Paul Richard Gallagher, arcivescovo titolare di Hodelm, finora nunzio apostolico in Australia. Il presule è nato a Liverpool 60 anni fa. Ordinato sacerdote a 23 anni, è stato consacrato vescovo a 50 anni. Mons. Gallagher ha svolto il suo servizio in tutti i continenti. Ha, infatti, lavorato presso le nunziature di Tanzania, Uruguay e Filippine. Ha prestato poi servizio nella sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Nel 2000 è stato nominato osservatore permanente presso il Consiglio d'Europa di Strasburgo, nel 2004 nunzio in Burundi, nel 2009 in Guatemala e nel 2012 in Australia.

Mons. Dominique Mamberti, arcivescovo titolare di Sagona, finora segretario per i Rapporti con gli Stati, diventa prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, al posto del cardinale Raymond Leo Burke, nominato patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Sempre oggi, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Fairbanks (Stati Uniti d’America) il rev.do Chad Zielinski, del clero di Gaylord, Cappellano dell’Aviazione Militare degli Stati Uniti, attualmente di base a Fairbanks. Il rev.do Chad Zielinski è nato a Detroit, Michigan, negli Stati Uniti, l’8 settembre 1964. La sua famiglia si è trasferita nella parte settentrionale dello Stato del Michigan. Nel 1982, dopo aver terminato il liceo, si è arruolato nell’Aviazione, dove ha svolto il servizio militare dal 1983 al 1986. Nel 1986, stanziato nella Diocesi di Boise, nello Stato dell’Idaho, ha deciso di seguire la vocazione sacerdotale in quella Circoscrizione ed è entrato nel Seminario Maggiore di Mount Saint Angel. Nel 1989 si è diplomato in Filosofia (BachelorDegree) e ha deciso di interrompere la formazione. Nel 1992 è rientrato nel medesimo Seminario Maggiore e, nel corso degli studi teologici, ha deciso di ritornare alla diocesi della sua giovinezza, Gaylord. Il Vescovo di quella Sede lo ha inviato nel Seminario Maggiore Sacred Heart a Detroit, dove nel 1996 egli ha completato la formazione ecclesiastica, ottenendo un Master of Divinity. L’8 giugno 1996 è stato ordinato sacerdote per la Diocesi di Gaylord. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1996 – 1998: vicario della parrocchia Immaculate Conception, a Traverse City; 1998 – 2001: parroco di Saint Philip Neri, nella città di Empire; 1999 – 2001: membro del Consiglio presbiterale e responsabile della Missione per i fedeli di lingua spagnola; 2001 – 2002: parroco di Saint Rita e Saint Joseph, nella città di Maple City; dal 2002: cappellano dell’Aviazione. Come tale, ha prestato servizio in vari Paesi del Medio Oriente, anche in zone di guerra. È stato pure direttore vocazionale per la Diocesi Militare degli Stati Uniti e ultimamente è stato promosso al rango di Maggiore. Dal 2012 è assegnato alla Base Militare di Eielson, presso Fairbanks, in Alaska.

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Papa, tweet: Chiesa sempre in cerca di nuove vie per annunciare Vangelo

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex. “La Chiesa è sempre in cammino, alla ricerca di nuove vie per l’annuncio del Vangelo”.

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A Papa Francesco il Premio "Shahbaz Bhatti per la Libertà"

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Il segretario generale dell’Alleanza Evangelica Mondiale, Geoff Tunnicliffe, incontrando Papa Francesco giovedì scorso in Vaticano, gli ha consegnato il Premio “Shahbaz Bhatti per la Libertà”, istituito in memoria del ministro cristiano del Pakistan, Shahbaz Bhatti, assassinato nel 2011. Durante l’udienza, il Pontefice ha osservato che l’efficacia dell’annuncio cristiano sarebbe maggiore se i cristiani non fossero divisi e ha incoraggiato le occasioni di fratellanza e collaborazione tra cattolici ed evangelici. Linda Bordoni ne ha parlato con lo stesso Geoff Tunnicliffe:

R. - We are recognizing that…
Riconosciamo che siamo in una nuova era e questo è un dato di fatto nella Chiesa cattolica. Ci troviamo in continuazione ad affrontare questioni teologiche, ma lavoriamo insieme sulle questioni che riguardano tutta l’umanità, perché credo che abbiamo delle responsabilità in questo momento.

D. - Durante l’incontro, avete consegnato al Papa il Premio “Shahbaz Bhatti per la Libertà”…

R. - Yes. In presenting it, I was almost in tears…
Sì, nel momento in cui glielo ho consegnato ero quasi con le lacrime agi occhi perché Shahbaz Bahtti era un mio caro amico. Shahbaz Bahtti fu il primo ministro cattolico nominato dal Consiglio dei ministri in Pakistan. Era il ministro per le minoranze. E lui si batteva in difesa delle minoranze. Stava cercando un dialogo per quanto riguarda la legge sulla blasfemia. Una volta cenammo insieme e disse che la settimana prima, il capo dei talebani, in Pakistan, lo chiamò e gli disse: “Smetti di fare il tuo lavoro. Sei il numero uno nella nostra lista: ti uccideremo”. Shahbaz Bhatti era l’unico ministro a non avere a diposizione una vettura antiproiettile. Ci stavamo preparando per recarci insieme in visita dal presidente del Pakistan. Quando tornai a casa, controllai la mia casella di posta elettronica e trovai una mail di Shahbaz. Quella fu l’ultima mail che Shahbaz inviò: dopo un’ora circa fu assassinato per i suoi principi. Decidemmo di portare avanti iniziative per la pace ed introdurre un premio annuale in sua memoria da consegnare a coloro che si impegnavano per la libertà, per la pace e per i perseguitati. Quest’anno abbiamo voluto consegnarlo a Papa Francesco in memoria di Shahbaz Batti, perché in tutto il lavoro che il Papa sta facendo ci ha dimostrato di essere una persona di pace.

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Le onde che violarono il Muro: la Radio del Papa e il 9 novembre '89

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La caduta del Muro di Berlino rappresentò per la Radio Vaticana un evento di particolare portata. Per decenni una generazione di redattori e tecnici lavorò per portare sostegno giornaliero, attraverso le frequenze della Radio del Papa, ai cattolici oltrecortina. Alessandro De Carolis ne racconta la storia in questo servizio: 

La profezia sulla sua sorte il “Mauer” la portava scritta da tempo su un breve tratto della sua infamia. Una striscia di lettere tremolanti, spruzzate con la vernice rossa, lunga cinque o sei metri – segmento da nulla rispetto ai suoi infiniti 150 km – stesa frettolosamente da qualcuno come un epitaffio anzitempo, storto e insieme nitidissimo, al di sopra dei graffiti sottostanti: “Prima o poi ogni muro cade”.

Quella che l’ignoto autore aveva impressa come una speranza sul cemento del Muro di Berlino – quando ancora per i tedeschi e un intero continente la parola libertà era scritta col filo spinato e crivellata dai mitra – nelle redazioni della Radio Vaticana è stata coltivata come una certezza dall’alba della Guerra fredda fino a quella incredibile sera di 25 anni fa. Una certezza basata intanto su una convinzione di fede – l’amore di Dio supera l’odio di qualsiasi totalitarismo – ma in certo modo galvanizzata dall’energia di una stagione di lotta dura vissuta con piglio militante per almeno quattro decenni, con i giornalisti vaticani, specie quelli dell’Europa orientale, impegnati a lanciare giorno dopo giorno aliti di Vangelo ai polmoni della Chiesa oltrecortina, costretti dai regimi a una drammatica apnea.

Così quello che il 9 novembre 1989 il resto del mondo osserva sbigottito come un evento incredibile, quasi sbucato dal nulla – le ruspe contro il Muro, i lastroni sollevati dalle gru, le picconate e gli strattoni a mani nude, e poi la marea dilagante che con le lacrime agli occhi passa da est a ovest, dal terrore al sollievo, al grido di “Freiheit!”, “Libertà!”, sfilando davanti alle uniformi immobili e per una volta innocue dei terribili “Vopos” – nelle stanze della Radio del Papa, le stesse lacrime di gioia, contenute dalla sobrietà tipica degli est-europei, salutano quella notte attesa e meravigliosa come una vittoria nella vittoria, una sorta di intima promessa realizzata.

Perché per la Radio Vaticana il Muro di Berlino non è crollato improvvisamente, quasi colpito da una fulminea fatiscenza, come qualche frettolosa lettura “storica”, figlia della cronaca emotiva del momento, azzarda a caldo. Al primo piano di Palazzo Pio, dove sono ubicate le redazioni delle lingue est-europee, ma non solo lì, regna piuttosto l’atmosfera esausta della quiete dopo un’interminabile battaglia. Quello che nella sede della Radio del Papa si coglie in filigrana sulle facce ebbre di gioia inquadrate tra i rottami del Muro è il contorno sfumato di un altro e più grande viso, il volto felice della “Chiesa del silenzio”, che finalmente, grazie alla forza degli eventi innescati due lustri prima dalla tempra di Giovanni Paolo II, può finalmente strapparsi di dosso il dolore e la crudeltà di un vergognoso bavaglio.

La storiografia contemporanea annovera ormai il Papa “venuto di un Paese lontano” tra gli artefici principali della caduta del blocco comunista, dalla prima “crepa” che il figlio della Polonia vi apre nel 1979, in occasione del suo primo ritorno in patria, fino alle macerie di Berlino di dieci anni dopo. Molto meno gli storici sanno quanto e cosa abbia fatto la Radio Vaticana, a servizio di Papa Wojtyla e prima di lui, per tenere puntellata non solo la fede dei cristiani di là del Muro, ma anche impedire che la sete di libertà di tutta un’area del pianeta inaridisse nel deserto di un’utopia irrealizzabile.

La Radio sfrutta il tallone d’Achille della grande barriera. Nel momento della sua massima impenetrabilità, il Muro è altro circa tre metri e mezzo ma per le onde radio ha la consistenza di un oceano visto dal satellite: una macchia. Onde medie e corte lo valicano senza problema, portando con sé le centinaia di migliaia di messaggi lanciati quotidianamente dalla Radio Vaticana a sostegno dei cattolici che in questo modo, senza problemi di fuso orario, possono ascoltare parole del Papa, celebrazioni liturgiche, brani di magistero, pagine di Bibbia e Sacramenti, vite di Santi, catechesi per adulti e per bambini, informazioni ecclesiali di vario tipo, ma anche insegnamenti su diritti umani, giustizia, disarmo, cultura, arte. Un massaggio cardiaco su cuori che la propaganda vorrebbe battessero per altro. Una disputa serrata, metro dopo metro, sul terreno brutalmente arato dall’ateismo di Stato e pazientemente riseminato da voci che, con ritmo e inventiva radiofonica, parlano di Cristo e della Chiesa e lo fanno in russo e ucraino, ungherese e romeno, lituano, ceco e slovacco, croato e lettone, sloveno e bulgaro, bielorusso, armeno, albanese. Cosicché, quel corpo che avrebbe dovuto essere smembrato e annichilito, alla resa dei conti – e proprio la Polonia lo dimostrerà con plastica evidenza – ha ancora unità e forza sufficiente per reagire.

Dunque, molto tempo prima che il socialismo reale scopra il valore politico della “glasnost”, la Radio Vaticana lavora per rendere trasparente – cioè udibile, fruibile – ai clandestini della fede un palinsesto che amplifica lo spirito che altri soffocano e che col tempo finisce per conquistare un target ben più vasto di quello di riferimento. Perché oltre alle testimonianze delle Chiese locali, le scarne lettere che in quegli anni arrivano a Roma sfidando le censure raccontano ad esempio di ortodossi russi che ascoltano attenti la Radio del Papa, di atei croati che preferiscono le sue trasmissioni agli indottrinamenti, di musulmani albanesi informati con puntuali programmi sulle parole e i viaggi di Giovanni Paolo II – così da controbilanciare nel mondo islamico la propaganda di Tirana che dichiarava a ogni piè sospinto la morte della Chiesa. Una contesa a colpi di microfono, che si riverbera in migliaia di case dove può capitare che la paura sia vinta da una radio posta al centro del tavolo, sintonizzata sulle frequenze vaticane e tutt’intorno i membri della famiglia in ginocchio ad ascoltare la Messa e a cibarsi di una comunione fatta di fiducia, coraggio e megahertz proibiti.

È passato alla storia il botta e risposta di Papa Wojtyla con la folla di Assisi, dove il neoeletto Pontefice era salito da Roma per affidare a San Francesco il ministero appena cominciato. A chi gli gridava “Non dimenticarti della Chiesa del silenzio!”, Giovanni Paolo II replicò: “Non c’è più la Chiesa del silenzio, adesso parla per bocca del Papa”. Era il 5 novembre del 1978 e quel giorno un invisibile calcinaccio rotolava a terra davanti ai chekpoint di Berlino est. Cominciava il conto alla rovescia verso la spallata finale a un Muro che una generazione di onde “telluriche”, prodotte della Radio del Papa, aveva contribuito a scardinare.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Fare strada: al Movimento adulti scout cattolici italiani il Papa indica come priorità la famiglia, il creato e la città.

La libertà religiosa cuore dei diritti umani: intervento della Santa Sede all'Onu.

Abraham Skorka sul male che non faceva notizia: tra il 9 e il 10 novembre 1938 la Notte dei cristalli in Germania, Austria e Cecoslovacchia.

Giovanni Cerro su don Lisander il moderno nel giudizio di Carducci.

Lo scettico e il cristiano: Piero Di Nepi su Leopardi e Manzoni di fronte all'ingiustizia.

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Oggi in Primo Piano



Iraq. Mons Warduni: profughi cristiani tornino a casa a Ninive

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Mettere in campo tutto l’impegno possibile per ottenere la liberazione della Piana di Ninive e consentire il rientro dei profughi cristiani nelle loro case: queste le priorità individuate nella riunione d’emergenza dei rappresentanti delle Chiese cattoliche d’Iraq, che si è svolta nei giorni scorsi ad Ankawa. Roberta Barbi ne ha parlato con mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei: 

R. – Quella riunione c’è stata prima di tutto per studiare la situazione dei cristiani e di come possiamo aiutarli. Abbiamo soprattutto insistito sul punto della liberazione della piana di Ninive, perché se non viene liberata la nostra gente non cesserà di emigrare.

D. – Com’è la situazione laggiù, quanti sono i profughi cristiani e di cosa hanno bisogno?

R. – I profughi cristiani sono più di 120 mila, soprattutto con bambini e giovani che ancora non possono andare a scuola, perciò la loro situazione è tragica. E noi soffriamo con loro perché guardiamo e non possiamo fare niente. Perciò, abbiamo promesso alla nostra gente che faremo tutto il possibile per smuovere la situazione precaria nella quale si trova. La Chiesa non ha mai smesso di fare, di lavorare, noi siamo lì non soltanto come cristiani, ma ancora prima del cristianesimo. Quindi, la nostra gente si aspetta che noi facciamo qualcosa, ma noi ci sentiamo impotenti.

D.  – L’appello alla cooperazione tra il governo centrale iracheno e quello della regione autonoma del Kurdistan per la liberazione, tra le altre zone, proprio della Piana in vista dell’arrivo dell’inverno è rimasto inascoltato?

R.  – Speriamo che sarà ascoltato, ma finora non abbiamo visto niente di concreto. Abbiamo chiesto non solo l’intervento centrale e dei curdi, ma anche della comunità internazionale, chiedendo l’aiuto del Papa, che ci aiuti moralmente perché la sua potestà è veramente molto forte. Ringraziamo Dio per l’aiuto degli organismi di beneficenza: abbiamo chiesto loro di fare pressione sulla comunità internazionale perché intervenga.

D.  – L’esodo dall’Iraq purtroppo non si ferma. Pare che nei mercati di Mosul vengano venduti gli arredi delle case abbandonate dai cristiani e il ricavato vada a finanziare il sedicente Stato islamico…

R. – Abbiamo esposto questo problema, bisogna fare qualcosa! Tanta gente sfrutta l’assenza della gente e cominciano le pratiche ingiuste: vendono le case senza il permesso del loro proprietario. Questo si è già verificato ed è un’azione terribilmente cattiva per allontanare la gente dal posto e averle loro. Sono i vicini di casa: con quale coscienza terribilmente sporca vivono queste persone? Bisogna promuovere un’azione comune.

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Messico. Bruciati dai narcos i 43 studenti scomparsi

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Drammatica svolta nell’inchiesta in Messico sui  43 studenti  scomparsi il 26 settembre: sarebbero stati bruciati vivi dai narcos e gettati in una discarica. I particolari sono stati rivelati ieri in una conferenza stampa dal procuratore federale dello stato di Guerrero. Mandanti della strage sarebbero il sindaco di Iguala, sua moglie e il suo responsabile della sicurezza pubblica. I genitori dei giovani non accettano questa versione per mancanza di prove e chiedono “giustizia e verità” al presidente Peña Nieto. Nelle scorse settimane – lo ricordiamo – la vicenda era stata al centro delle preghiere del Papa. Il servizio Paolo Ondarza

Uccisi dai sicari del gruppo narco Guerreros Unidos. I corpi bruciati in una discarica nella località di Colalula, alcuni erano ancora vivi, altri sono morti per asfissia. Sarebbe questo l’orribile epilogo della vicenda dei 43 studenti desaparecidos lo scorso 26 settembre nello Stato messicano meridionale di Guerrero. I particolari sono stati svelati ieri dal procuratore federale Jesus Murillo Karama che ha citato la deposizione di tre uomini, rei confessi, arrestati la scorsa settimana. Ora si attende l’identificazione dei corpi affidata ad un laboratorio austriaco, ma non sarà semplice. Dopo averli presi in consegna da poliziotti corrotti e uccisi i sicari narcos avrebbero ricevuto l'ordine di spezzettare le ossa delle loro vittime, per fare sparire ogni traccia della strage e gettarne i resti insieme all’immondizia nel fiume san Juan, dove i sommozzatori della polizia li hanno rinvenuti. Gli studenti, tutti sui 20 anni, frequentavano l’università di Ayotzinapa, erano stati arrestati mentre viaggiavano a bordo di minibus per andare a manifestare a Iguala. Secondo la deposizione ad ordinare l’arresto dei giovani ad agenti al soldo dei narcotrafficanti sarebbe stato il sindaco di Iguala, José Luis Abarca, considerato il mandante della strage insieme alla moglie, e al suo responsabile della sicurezza pubblica, tuttora latitante. Ma i genitori degli studenti non credono alla versione dei fatti del procuratore Karadama. “Vogliamo risultati con prove”, spiega una  madre. Il presidente Pena Nieto da parte sua assicura loro che non cesseranno gli sforzi finché giustizia sia fatta. 

Ma perché la barbara uccisione dei 43 studenti messicani? Lo abbiamo chiesto a Piero Innocenti, ex questore della Polizia di Stato ed esperto di narcotraffico: 

R. - Gli studenti hanno dato fastidio al sindaco di Iguala e alla moglie che in realtà sono in combutta da diverso tempo con una costola del cartello Guerreros Unidos. Vede in questo Stato di Guerrero ci sono grosse collusioni tra polizia locale, gruppi e bande di narcotrafficanti. Quindi c’è una situazione di sostanziale incontrollabilità. Lo Stato lì non esiste. I giovani studenti avevano osato partecipare ad una manifestazione di protesta che in qualche modo andava contro gli interessi locali del sindaco e della moglie. Tenga presente che il sindaco in passato è rimasto coinvolto in alcune indagini in cui alcuni suoi avversari politici sono morti in circostanze misteriose. La moglie è la sorella di due narcotrafficanti di Guerreros Unidos. Questo per darle un’idea delle complicità, delle collusioni, che esistono in questo Stato; ma anche in tanti altri Stati ...

D. – Emerge un quadro in cui le istituzioni sono fortemente coinvolte nel narcotraffico …

R. - Assolutamente sì. C’è una situazione davvero desolante. Le polizie municipali sono fortemente colluse con la criminalità locale. Negli ultimi sette anni sono stati destituiti migliaia di poliziotti che non avevano superato le cosiddette prove di fiducia. Tenga presente che il presidente Peña Nieto oggi, e Calderon in passato, hanno fatto molto ricorso a reparti dell’esercito, ai fanti della marina e ultimamente alla gendarmeria che si è costituita da pochi mesi, per ristabilire l’ordine pubblico turbato in molte parti del Paese. Tenga presente infine che su 2435 - tanti sono i municipi del Messico - secondo un’indagine fatta alcuni mesi fa, oltre il 70 percento di questi sono nelle mani della criminalità organizzata.

D. - I genitori degli studenti in mancanza  di prove chiedono al presidente Peña Nieto di fare chiarezza. Che margine avrà la presidenza, il governo, per far luce su quanto sta accadendo?

R. - Il presidente, sicuramente, dopo questo coinvolgimento a livello internazionale che c’è stato degli organi d’informazione negli ultimi giorni avrà tutto l’interesse di chiarire, perché il Paese sta attraversando uno dei periodi più bui degli ultimi 40 -50 anni.

D. - Colpisce la fine che hanno fatto questi 43 studenti: bruciati vivi e i loro resti gettati in un fiume. E questa brutalità per il Messico non è una novità …

R. - No, non è una novità. Gran parte delle bande di sicari al soldo dei vari cartelli della droga del Golfo, di Tijuana, di Juarez, dei Cavalieri Templari, dei Los Zetas,  fanno spesso ricorso a questi sistemi di decapitazioni e di smembramenti di cadaveri che poi vengono lasciati lungo le strade, lungo la via principale, appesi penzoloni ai ponti pedonali di molte città, per incutere timore e per far capire alla  gente chi comanda.

D. - Quando parliamo di narcotraffico in Messico ci riferiamo ad un business che gira attorno a quali cifre?

R. - Le dico soltanto che secondo un’analisi fatta nel gennaio 2014, se si interrompesse il narcotraffico, l’impatto negativo sull’economia messicana sarebbe del 50 percento. I cartelli della droga ormai hanno diversificato la loro attività: non solo narcotraffico, ma estorsioni, omicidi, sequestri si persona, tratta di esseri umani.

D. - Il narcotraffico è una piaga che per essere estirpata necessiterebbe non solo dell’impegno delle istituzioni messicane, ma di una visione globale …

R. - Assolutamente si. Il Messico non è poi tanto lontano dall’Europa. Anche da noi dal 2008 al 2012 in concomitanza con le attività investigative svolte dalle forze di polizia italiane, sono emersi collegamenti con la ‘ndrangheta e la camorra. Questo per dirle come il collegamento tra le mafie nostrane, messicane e altre sia costante.

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Filippine ricordano le vittime del tifone Hayan di un anno fa

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Le Filippine oggi hanno ricordato le oltre 8.000 vittime, tra morti e dispersi, e la devastazione causate un anno fa dal passaggio del tifone Hayan. La città più colpita fu Tacloban, rasa la suolo con 6.300 morti, ma Hayan interessò sei regioni e i 14 milioni e mezzo di persone che vi abitavano. Ancora oggi, in 4 milioni sono senza casa. Oggi, nel ricordare la tragedia, nel Paese non sono mancate le manifestazioni di protesta contro il governo, accusato soprattutto di aver deviato i fondi previsti per la ricostruzione. Federico Piana ha intervistato Claudia Bruno, di Action Aid, organizzazione impegnata a nella lotta alle cause della povertà e dell'esclusione sociale: 

R. – Gran parte degli ospedali sono stati colpiti, le scuole sono state quasi tutte devastate. In più stiamo cercando di supportare la popolazione affinché possa ricostruire quelle attività economiche che portava avanti e che purtroppo ora non esistono più. Uno dei problemi principali è che le popolazioni non sono in grado di rispondere alle emergenze, non sono dati loro gli strumenti, tanto più che si tratta di un Paese che è estremamente colpito da questo tipo di fenomeni. Il tifone Haiyan era previsto, ma non si prevedeva quale sarebbe stata la sua forza e la sua intensità.

D. – Cosa manca, però, alle Filippine? So che mancano tante cose ancora e anche una politica probabilmente di recupero delle zone distrutte…

R. – Solo il 21% delle abitazioni sono state ricostruite, circa 3.500 persone vivono in alloggi, quindi ciò che in realtà noi chiediamo è una "accountability" rispetto ai fondi che sono stati realmente investiti, stiamo parlando quasi di quattro miliardi di dollari che sono stati stanziati, ma alla fine sono stati messi a disposizione soltanto 884 milioni. In più, cosa manca? Si deve cominciare a lavorare seriamente sulla ricostruzione sicura, perché più di due milioni di persone vivono ancora in una zona che viene chiamata “no-build zones” che si trova a 40 metri dal litorale. E questo, per un Paese colpito con una certa frequenza da determinati fenomeni, rappresenta un problema serio, grave, che può far sì che in una situazione del genere si possa replicare in futuro, riportando una nuova devastazione.

D. – Secondo lei, come mai è stato fatto così poco fino ad ora?

R. – Noi non ci mettiamo nella posizione di giudicare o di dare opinioni politiche. Quello che posso dire è che chiediamo maggior trasparenza nella gestione e nello stanziamento dei fondi per la ricostruzione e che i media non spengano i riflettori su questo tipo di emergenza che sappiamo, com’è capitato in altri casi, fa sì che poi cada nel dimenticatoio e che anche la comunità internazionale non investa più, non stanzi più fondi e che la situazione quindi non torni più alla normalità.

Per ricordare la tragedia di un anno fa, la Conferenza episcopale delle Filippine ha indetto per oggi una Giornata nazionale di preghiera. Inoltre, come gesto di solidarietà, tutte le campane delle chiese nel Paese hanno suonato alle 18 in punto. Migliaia le persone che hanno poi partecipato alla messe celebrate in tutta la nazione, a Manila, a celebrare la funzione a cielo aperto è stato mons. Pedro Quitorio, direttore della comunicazione della Conferenza episcopale, e con Laura Ieraci ha fatto il punto sulla ricostruzione:

The reconstruction work to keep…
"La ricostruzione è stata molto difficoltosa a causa proprio dell’estensione del danno e delle tante vittime. Prima di tutto, si doveva cercare di far tornare le persone alla normalità, di fare avere loro un rifugio. La Chiesa ha cercato di fare il più possibile: è stato un lavoro che ha impegnato sia la chiesa locale che le organizzazioni cattoliche, anche estere. Io credo di non sbagliare nel dire che il maggiore sforzo e il maggior aiuto finora nella ricostruzione sia stato compiuto proprio dalla Chiesa, e con Chiesa intendo tutte le organizzazioni cattoliche, anche quelle ci sono venute in soccorso dall’esterno, come il "Relief Catholic" o la Caritas Internationalis, in tutte le sue branche, la Caritas delle Filippine. Insieme siamo riusciti a compiere un grande lavoro di ricostruzione. Abbiamo cercato di portare assistenza ai poveri, alle vittime. Abbiamo costruito case, ma il nostro impegno non è stato soltanto indirizzato a una ricostruzione materiale, a una ricostruzione fisica. Abbiamo anche cercato di ricostruire gli animi: questa era la cosa più importante. Il governo ci ha aiutato molto in tutto questo, da dicembre ad oggi. Malgrado tutti i nostri sforzi, però, non siamo riusciti, dopo un anno, a portare a termine che il 55% della ricostruzione".

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Jagland, Consiglio Ue: ispirazione Wojtyla aiutò caduta Muro Berlino

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Ancora oggi sono diversi i “muri” che restano nelle società europee. L'affermazione è di Thorbjørn Jagland, segretario generale del Consiglio d’Europa, sullo sfondo delle celebrazioni per il 25.mo della caduta del Muro di Berlino. Al microfono di Fausta Speranza, Jagland ricorda il ruolo di Giovanni Paolo II nel processo che portò al crollo del Muro e le questioni gravi che oggi dividono: 

R. - John Paul II was a great inspiration at the time, and was very important…
Giovanni Paolo II fu una grande ispirazione, all’epoca, e fu molto importante per quello che avvenne. Il processo iniziò in Polonia, con Lech Walesa: Giovanni Paolo II era un forte punto di riferimento per tutti coloro che chiedevano la pace. L’anno dopo la caduta del Muro di Berlino, lui venne al Consiglio d’Europa. In seguito, abbiamo incluso tutti quei Paesi che hanno ritrovato la libertà in seguito alla caduta del Muro di Berlino. Ora, dobbiamo nuovamente incentrare l’attenzione non sulla libertà intesa come diritto di voto e libertà di espressione, ma in quanto diritto di essere inclusi nella società. Quindi, ancora una volta il Papa, questa volta Papa Francesco che verrà il 25 novembre, può svolgere un ruolo importante nella costruzione di ponti e nell’abbattimento dei muri. Ci sono così tante persone escluse, persone che non hanno voce… Si sta costruendo una sorta di nuovo “Muro di Berlino” in tutte le nostre società: tra coloro che hanno lavoro e sono inclusi nella società e coloro che invece ne sono stati esclusi. Molte minoranze che subiscono aggressioni, un crescente nazionalismo, estremismi in aumento… Così, in un certo modo, la storia si sta ripetendo, nel continente, ed è per questo che dobbiamo concentrarci di nuovo sui valori che abbiamo in comune.

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A Orvieto il 12.mo pellegrinaggio degli universitari romani

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Sono quasi 4.000 i giovani partecipanti al 12.mo pellegrinaggio degli universitari, promosso dalla diocesi di Roma, che si svolge oggi a Orvieto. Tema di questo ormai tradizionale appuntamento è per il 2014 “Eucarestia e nuovo umanesimo. Non avevano che un solo pane.” Marina Tomarro ne ha parlato con il vescovo Lorenzo Leuzzi, delegato per l’ufficio per la pastorale universitaria diocesana: 

R. – Quest’anno, il 12.mo pellegrinaggio degli universitari si svolge a Orvieto perché, come sappiamo, la diocesi di Orvieto sta celebrando il 750.mo anniversario del Miracolo eucaristico di Bolsena. E poi perché, come diocesi, vogliamo proporre ai giovani universitari la riscoperta dell’Eucaristia, in riferimento anche al tema culturale del nuovo umanesimo e aiutare i giovani a scoprire la centralità della celebrazione eucaristica per la propria crescita personale e anche per il servizio che i giovani universitari saranno chiamati a svolgere nella società e nella Chiesa dopo l’esperienza della laurea.

E grande è l’entusiasmo dei partecipanti. Ascoltiamo alcuni commenti:

R. – Io credo che il pellegrinaggio sia sempre la metafora della vita: quindi, andare di luogo in luogo, cercando poi una meta definitiva. Credo anche che l’occasione del pellegrinaggio per gli universitari diventi un po’ questo: il simbolo di una ricerca nello studio, che diventa però anche la ricerca di un senso da scoprire. La ricerca è fondamentale e quindi anche il pellegrinaggio.

R. – Anzitutto, lo stare insieme a tutti i miei colleghi di università. E’ una esperienza bellissima in quanto si condivide una giornata sì religiosa ma anche di unione, di fratellanza, insieme ai nostri coetanei. Quindi, si vive questa spiritualità tutti insieme.

D. – Per te è la prima volta che partecipi al pellegrinaggio degli universitari?

R. – Sì, per me è la prima volta.

D. – Cosa ti ha spinto?

R. – Mi ha spinto la curiosità di questo viaggio e la condivisione del mio percorso e il mio cammino con tanti amici, ma anche con tanti giovani di tante realtà.

R. – Partecipare a questo pellegrinaggio per me vuol dire essere Chiesa, essere comunione con tanti giovani universitari che condividono il cammino di fede nelle parrocchie, nelle università e nelle cappellanie. Ritrovarci qui oggi è proprio la testimonianza di questa comunione: questa comunione che, è  il titolo di quest’anno, parte dalla comunione quotidiana che è ognuno di noi nutre con il Signore. Quindi, dalla comunione con Cristo poi parte la comunione tra di noi.

E i ragazzi, al loro arrivo ad Orvieto, sono stati accolti dal vescovo della diocesi umbra, mons. Benedetto Tuzia. Ascoltiamo il suo commento:

R. – Sono il sigillo molto bello, fresco, giovanile e anche di una fede primaverile. Paolo VI, ma anche Giovanni Paolo II, parlava sempre di una nuova primavera in quello che può essere la spiritualità eucaristica. I giovani sono proprio questa primavera della vita che si sposa bene anche con questa primavera nuova, primavera eucaristica.

D. – Eccellenza, in che modo si invitano i giovani a vivere l’Eucaristia nella loro vita quotidiana?

R. – E’ uno stile di vita che Gesù ci ha insegnato. Si può dire che lo ha quasi fotografato e firmato in quel gesto, quel gesto cioè di prendere quel pane, quel pane che è poi se stesso: Lui è quel pane condiviso, vita condivisa e che dice: “Anche voi, fate quello che io faccio: donatevi e fate della vostra vita una vita condivisa”. Per un giovane, credo sia un forte programma di vita.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 32.ma Domenica del Tempo ordinario la Chiesa celebra la Festa della Dedicazione della Basilica Lateranense, Cattedrale di Roma. La liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù caccia i mercanti dal Tempio. Alla richiesta di spiegazioni da parte dei giudei, dice:  

«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» ... Egli parlava del tempio del suo corpo.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Nata come festa della Chiesa che è in Roma, fu in seguito “estesa a tutte le chiese di rito romano per onorare la basilica chiamata chiesa-madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe, e come segno di amore e di unione verso la cattedra di Pietro”. La chiesa cattedrale è madre non solo perché è il luogo da dove è partita l’evangelizzazione della regione, dando alla luce altre chiese, ma innanzitutto perché ci ha dato la vita mediante il battesimo, ci ha resi figli di Dio riversando sopra di noi il dono dello Spirito Santo. Ha fatto di noi il tempio di Dio. Il Vangelo di oggi mostra lo zelo che il Signore Gesù ha per la casa del Padre suo; scaccia dal tempio venditori e cambiamonete, dichiarando loro: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”, e davanti alle proteste dei presenti dichiara: “’Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere’, … parlava del tempio del suo corpo”. Con l’incarnazione del Figlio suo, Dio ha posto la sua dimora nella carne dell’uomo. “Il tempio vivo e vero di Dio dobbiamo essere noi” ripete San Cesario di Arles (la chiesa-edificio non è che il luogo dove si riunisce la comunità dei cristiani: la “domus ecclesiae”). Non è una cosa scontata, specialmente oggi, quando in nome di Dio molti pensano di poter impunemente fare scempio dell’uomo, ucciderlo. Quanti cristiani danno la vita per la propria fede! Che la festa di oggi ravvivi la comunione con Pietro, ravvivi la comunione tra i cristiani, questo amore e rispetto per l’uomo, vero tempio dove abita Dio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Filippine. Un anno fa il tifone Haiyan: l'impegno della Caritas

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“Siate generosi nella preghiera e con l’aiuto concreto”. A questo appello di Papa Francesco per sostenere la popolazione nelle zone colpite dal tifone Haiyan l’8 novembre del 2013, è seguita una pronta la risposta della rete Caritas che si è attivata immediatamente per aiutare gli oltre 4 milioni di sfollati. E la Caritas Italiana, ancora sul posto accanto alla Caritas locale, in un dossier presenta i frutti della grande risposta solidale dopo l'appello del Papa.

Più di 800 mila beneficiari sono stati raggiunti con innumerevoli interventi in tutte le 9 diocesi colpite grazie alla collaborazione di Caritas Filippine con oltre 40 Caritas di tutto il mondo tra cui anche Caritas Italiana. La rete Caritas ha raccolto complessivamente oltre 135 milioni di euro per le vittime del tifone. Dalla raccolta straordinaria in tutte le parrocchie del 1 dicembre 2013 sono arrivati a Caritas Italiana più di 10 milioni di euro di cui 3 milioni stanziati direttamente dalla Conferenza episcopale italiana. 

Grazie a questo contributo è stato possibile aiutare finora quasi 170.000 beneficiari con più di 35 interventi già realizzati, per oltre il 60% del totale raccolto. Nei prossimi mesi queste cifre sono destinate a crescere grazie alle attività già in programma per il biennio 2015-2016. In particolare è stato dato un contributo a Caritas Filippine per aiuti d’urgenza in tutte e 9 le diocesi colpite; la ricostruzione di quasi 4.000 case; la fornitura di più di 35.000 attrezzature igieniche, 70 progetti di ricostituzione di attività produttive. 

Un secondo blocco di interventi comprende i progetti, che si concluderanno nel corso del 2015, in collaborazione con una decina di Congregazioni italiane che lavorano nelle Filippine e che sono intervenute nel primo soccorso ed ora per la riabilitazione e lo sviluppo. 

Il terzo gruppo riguarda la presenza di Caritas Italiana sull’isola di Panay con l’accompagnamento alle Caritas diocesane gemellate di Capiz e Kalibo. Sin da dicembre 2013 i due vescovi hanno invitato Caritas Italiana ad avviare un cammino di “accompagnamento tra Chiese sorelle”, che si è concretizzato nei mesi
successivi. In queste diocesi sono ancora basati in maniera stabile i due operatori di Caritas Italiana con l’obiettivo di coordinare e monitorare gli interventi e accompagnare la Caritas locale nella sua azione a servizio dei più poveri. 

I progetti finora realizzati, con attività in quasi 50 parrocchie, riguardano la costruzione di 350 case, la ricostituzione di attività produttive per 300 famiglie, la costruzione di 7 centri di evacuazione per l’emergenza per quasi 3.000 persone, una scuola per la formazione professionale, la costituzione di task force per l’emergenza, con volontari formati, pronti ad intervenire in aiuto delle comunità colpite. A un anno da questa emergenza è stato messo a punto un dossier su quanto finora realizzato e una missione di Caritas Italiana si recherà sull’isola di Panay per fare il punto e definire i prossimi interventi insieme ai due operatori italiani e alle Caritas locali. (R.P.)

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Iraq: a Mosul messi in vendita arredi case dei cristiani

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Nei mercati di Mosul intere aree sono adesso occupate dagli arredi e dagli utensili razziati nelle case abbandonate dai cristiani. Le merci saccheggiate vengono messe in vendita a prezzi stracciati. Lo rivelano gli abitanti stessi della città occupata lo scorso giugno dai jihadisti del sedicente Stato Islamico, che hanno fatto pervenire al sito www.ankawa.com informazioni interessanti sull'accoglienza riservata dalla popolazione locale a tale commercio.

I miliziani jihadisti hanno espropriato fin dal loro arrivo buona parte delle abitazioni dei cristiani fuggiti, marchiandole con scritte che le indicavano come “proprietà” dello Stato Islamico. Adesso i mobili e gli elettrodomestici trovati in quelle case vengono venduti nei mercati del centro, sulla riva destra e su quella sinistra del Tigri, il fiume che divide la città.

Ma a fare buoni affari, comprando sottocosto televisioni e frigoriferi rubati ai cristiani – spiegano le fonti, rivelando un dettaglio significativo – sono soprattutto acquirenti provenienti da fuori città. Gli abitanti rimasti a Mosul si tengono solitamente lontani dai banchi che vendono oggetti appartenuti ai loro concittadini cristiani.

“Anche nella vendita di tv e altri elettrodomestici - fa notare all'agenzia Fides una fonte locale - i sostenitori più fanatici del sedicente Califfato esprimono in qualche modo il loro rifiuto per la civiltà e la modernità. Dicono che vogliono tornare al passato. Nel mondo che vogliono costruire, non c'è posto per gli strumenti che possono diffondere musica, cultura e informazione”. (R.P.)

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El Salvador ricorda la strage dei 6 Gesuiti all’Università cattolica

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“La Compagnia di Gesù condanna questa barbara violenza che ha già fatto tante altre vittime tra la popolazione di El Salvador. Spera e prega che il sangue di questi nostri fratelli non sia versato invano. Confida che la vita e i diritti di tante altre persone della Chiesa e del popolo salvadoregno, che sono state minacciate, siano rispettate, e che una pace giusta si imponga alla coscienza di tutti”. Con queste parole il Preposito generale della Compagnia di Gesù informava, il 16 novembre 1989, del barbaro assassinio a colpi di mitraglietta, di 6 Gesuiti e di due donne, avvenuto all’Università Cattolica Centroamericana (Uca) di El Salvador.

Furono uccisi i padri Ignacio Ellacuría (Rettore), Segundo Montes (Superiore della comunità), Ignacio Martín-Baró (Vicerettore), Amando López (Professore), Juan Ramon Moreno (Professore) e Joaquin Lopez (Direttore nazionale di “Fe y Alegria”). Le due donne assassinate erano la cuoca Julia Elba e sua figlia Celina Ramos.

I sei Gesuiti erano impegnati nel campo della formazione e dell’educazione, soprattutto dei più poveri, nella difesa dei più deboli, nella rivendicazione dei diritti umani, nell’accoglienza dei rifugiati. Negli anni 80 furono diverse decine di migliaia le vittime della guerra civile che insanguinò il Paese, e ancora oggi preoccupa il diffuso clima di violenza, come più volte hanno denunciato i vescovi locali.

Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, la Compagnia di Gesù ricorderà i Gesuiti assassinati 25 anni fa con diverse manifestazioni (celebrazioni, conferenze, tavole rotonde, proiezioni) in molte città della Spagna, dal momento che cinque di loro erano spagnoli, come anche a San Salvador, dove l’Uca ha aperto un sito internet dedicato all’anniversario e alle iniziative collegate. (R.P.)

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Congo. Vescovo del Katanga: 2000 civili in fuga senza assistenza

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Più di 2.000 persone sono state cacciate dalle loro abitazioni nel nord-est del Katanga, nel sud della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) dai miliziani Bakata Katanga. Lo ha denunciato mons. Fulgence Muteba Mugalu, vescovo di Kilwa-Kasenga, secondo il quale i miliziani, dopo essere stati cacciati dall’esercito dal villaggio di Musumari, come forma di rappresaglia hanno costretto alla fuga i civili dalla regione di Mitwaba-Kasenga.

“I Bakata Katanga avevano detto ufficialmente di aver raggiunto un accordo perché non ci siano più attacchi fino al 2016, la data delle elezioni presidenziali, e visto che sono stati attaccati, dicono che intendono chiedere delle spiegazioni alle autorità” ha detto mons. Muteba.

Secondo il vescovo - riferisce l'agenzia Fides - “il gruppo dei 600 miliziani che sono passati sul fianco del Monte Mituba non hanno commesso violenze dirette sulla popolazione, ma hanno saccheggiato i raccolti di manioca e i campi per nutrirsi”. I 2.000 civili in fuga sono costretti a vagare per la savana e sono privi di qualsiasi tipo di assistenza, afferma mons. Muteba.

Ad aprile mons. Muteba aveva lanciato l’allarme sulla ripresa delle violenze dei Bakata Katanga. Il Katanga, dove sono concentrate le miniere di rame e cobalto della Rdc, è attraversato da tempo da tensioni legate anche alle prossime elezioni presidenziali. L’attuale governatore della Provincia, Moïse Katumbi, pur facendo parte della maggioranza presidenziale, potrebbe sfidare l’attuale Presidente, Joseph Kabila, se questi riuscirà a imporre la revisione della Costituzione per partecipare alle elezioni del 2016 per ottenere un terzo mandato. (R.P.)

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Perù. Chiesa al governo: non sopprimere l'ora di religione

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La Chiesa cattolica peruviana ha consegnato, ieri, al governo 135 mila firme perché si mantenga l’ora di religione che rischia di essere soppressa dal programma scolastico delle scuole pubbliche a partire del prossimo anno.

Durante l’inaugurazione del Seminario internazionale di educazione cattolica, mons. Salvador Piñeiro, arcivescovo di Ayacucho e presidente della Conferenza episcopale peruviana, insieme al card. Juan Luis Cipriani, arcivescovo di Lima; il segretario generale dell’episcopato, mons. Fortunato Pablo Urcey e il presidente della Commissione episcopale di Educazione e Cultura, mons. Javier Travieso Martín, hanno consegnato al Ministro dell'Educazione, Jaime Saavedra la richiesta sottoscritta da migliaia di genitori e di educatori in tutto il Paese perché lo Stato non sopprima il corso di religione dal curriculum scolastico di bambini e adolescenti.

In conferenza stampa, i vescovi hanno sottolineato che nei programmi  didattici per le scuole primarie e secondarie pubblicato dal governo per il 2015 gli obbiettivi di apprendimento sono, in gran parte, di carattere tecnologico e scientifico mentre nessuno riguarda la “dimensione spirituale e religiosa” e la educazione al rispetto e della stima della persona umana e della convivenza civica. Sebbene il Ministro dell'Educazione abbia ribadito che le due ore di religione settimanale non saranno ritirate dai programmi delle scuole cattoliche, non si è pronunciato sui programmi delle scuole pubbliche. Dal 2010, le ore di religione sono opzionali e non incidono nella valutazione scolastica degli alunni.

Il vescovo emerito di Chimbote, Luis Bambaren ha dichiarato al canale N della Televisione, che la richiesta della Chiesa è di mantenere un’ora di religione settimanale per tutti gli studenti, tranne che per quelli che appartengono ad altre confessioni religiose o che non professano alcuna fede religiosa. “L'educazione religiosa - ha detto - non deve essere eliminata e nemmeno considerata un corso scolastico marginale perché si basa nella trasmissione dei valori che il Perù necessità oggi più che mai, di fronte a una famiglia in crisi e di fronte a una società dove non c’è rispetto della donna e dove si fabbricano le falsi idolatrie del denaro, del potere e del piacere”. (A cura di Alina Tufani)

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I vescovi italiani ad Assisi per la formazione sacerdotale

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Si apre lunedì prossino, con la prolusione del presidente, il card. Angelo Bagnasco, la 67ª Assemblea Generale della Conferenza episcopale italiana. I lavori, che termineranno giovedì 13, si svolgono presso la Domus Pacis in Santa Maria degli Angeli ad Assisi.

Il tema centrale dell’Assemblea riguarderà la vita e la formazione permanente dei presbiteri; sarà approfondito con relazioni e gruppi di studio sulla base dell’instrumentum laboris, curato dalla Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata. Già nel Consiglio permanente dello scorso settembre, I vescovi si sono confrontati attorno a una concezione della formazione permanente che non intende ridursi a un aggiornamento teologico-pastorale, ma si muove nell’orizzonte di una conversione e, più ancora, di una «riforma» dei presbiteri; la volontà è quella di puntare alla verità del ministero e al carattere evangelico della sua pratica.

L’Assemblea sarà inoltre chiamata ad eleggere un vice presidente della Cei per l’area dell’Italia centrale, nonché il presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e della salute. Nel contesto dei lavori verranno fornite anche alcune comunicazioni, concernenti la preparazione al 5° Convegno Ecclesiale Nazionale (Firenze, 9-13 novembre 2015), l’Anno della vita consacrata (30 novembre 2014 – 2 febbraio 2016), l’ostensione della Sindone (Torino, 19 aprile – 24 giugno 2015) e il cammino verso la prossima Giornata Mondiale della Gioventù (Cracovia, 26 – 31 luglio 2016). (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 312

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.