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Sommario del 10/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: mai dare scandalo, perdonare sempre, avere fede

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Ogni cristiano, qualsiasi sia la sua vocazione, deve saper perdonare sempre e non dare mai scandalo, perché lo “scandalo distrugge la fede”. Papa Francesco lo ha ripetuto commentando le letture della Messa del mattino, presieduta nella cappella di Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Meglio buttarsi al mare con una pietra al collo. Preferisce un’immagine cruda a qualsiasi altra espressione più edulcorata, Gesù, quando dice ai suoi discepoli cosa pensi di chi dà scandalo agli altri, specie se indifesi. Papa Francesco articola l’omelia enucleando dal brano del giorno del Vangelo di Luca le tre parole chiave: scandalo, perdono, fede. “Guai a chi scandalizza”, afferma perentorio Cristo, mentre nel brano della sua Lettera a Tito, San Paolo dà indicazioni precise su come debba essere lo stile di vita di un sacerdote – non violento, sobrio – in una parola “irreprensibile”, ovvero agli antipodi dello scandalo. Ma questo, afferma il Papa, vale per tutti i cristiani. Scandalo, soggiunge, “è dire e professare uno stile di vita – ‘sono cristiano’ – e poi vivere da pagano, che non crede in nulla”. Questo dà scandalo “perché manca la testimonianza”, mentre “la fede confessata – ribadisce Papa Francesco – è vita vissuta”:

“Quando un cristiano o una cristiana, che va in chiesa, che va in parrocchia, non vive così, scandalizza. Ma quante volte abbiamo sentito: ‘Ma io non vado in Chiesa – uomini o donne – perché è meglio essere onesto a casa e non andare come quello o quella che vanno in Chiesa e poi fanno questo, questo, questo…’. Lo scandalo distrugge, distrugge la fede! E per questo Gesù è tanto forte: ‘State attenti! State attenti!’. E questo ci farà bene ripeterlo oggi: ‘State attenti a voi stessi!’. Tutti noi siamo capaci di scandalizzare”.

In modo uguale e contrario, tutti dovremmo invece saper perdonare. E perdonare “sempre”, insiste il Papa facendo eco alle parole di Cristo, che invita a farlo anche “sette volte in un giorno” se chi ci ha fatto un torto ce lo chiede pentito. Gesù, osserva Papa Francesco, “esagera per farci capire l’importanza del perdono”, poiché “un cristiano che non è capace di perdonare scandalizza: non è cristiano”:

“Dobbiamo perdonare, perché perdonati. E questo è nel Padre Nostro: Gesù lo ha insegnato lì. E questo non si capisce nella logica umana. La logica umana ti porta a non perdonare, alla vendetta; ti porta all’odio, alla divisione. Quante famiglie divise per non perdonarsi: quante famiglie! Figli allontanati dai genitori, marito e moglie allontanati… E’ tanto importante pensare questo: se io non perdono non ho, sembra che non abbia diritto - sembra - ad essere perdonato o non ho capito cosa significa che il Signore mi abbia perdonato. Questa è la seconda parola, perdono”.

Si capisce allora, conclude Papa Francesco, “perché i discepoli, sentendo queste cose, abbiano detto al Signore: ‘Accresci in noi la fede’”:

“Senza la fede non si può vivere senza scandalizzare e sempre perdonando. Soltanto la luce della fede, di quella fede che noi abbiamo ricevuto: della fede di un Padre misericordioso, di un Figlio che ha dato la vita per noi, di uno Spirito che è dentro di noi e ci aiuta a crescere, della fede nella Chiesa, della fede nel popolo di Dio, battezzato, santo. E questo è un dono, la fede è un regalo. Nessuno con i libri, andando a conferenze, può avere la fede. La fede è un regalo di Dio che ti viene e per questo gli apostoli chiesero a Gesù: ‘Accresci in noi la fede!’”.

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Il Papa a vescovi africani: sviluppare dialogo costruttivo con islam

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Papa Francesco ha ricevuto stamani in udienza i vescovi di Senegal, Mauritania, Capo Verde e Guinea Bissau, in visita "ad Limina". Il Pontefice ha sottolineato che in questi Paesi africani spesso i cristiani sono minoranza e tuttavia offrono una testimonianza evangelica coraggiosa e generosa. Quindi, ha esortato i presuli a lavorare per un dialogo costruttivo con i musulmani. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Radicare la fede cristiana, dialogare con i musulmani. Sono i due temi chiave del discorso consegnato da Francesco ai vescovi di Senegal, Mauritania, Capo Verde e Guinea Bissau. Il Papa li incoraggia innanzitutto a radicare profondamente la fede nel popolo, soprattutto per contrastare le minacce di proposte religiose “più facili e attraenti sul piano morale”. Né manca di denunciare i rischi che anche le società africane devono affrontare a causa del fenomeno della secolarizzazione. Di qui, l’importanza di una “solida formazione dottrinale e spirituale” dei laici, affinché sia evitata una marginalizzazione della fede nella vita pubblica. Altrettanto importante, afferma, è la formazione dei sacerdoti che sempre devono contare sulla vicinanza dei pastori.

Francesco rivolge così il pensiero alla pastorale familiare, anche alla luce di quanto emerso dal Sinodo dei Vescovi. Il Papa ribadisce che la famiglia è “la cellula fondamentale della società e della Chiesa”. Inoltre, prosegue, è il luogo dove “si insegnano le basi della fede, i principi elementari della vita comune” e dove spesso “nascono le vocazioni sacerdotali e religiose di cui la Chiesa ha tanto bisogno”. Una parte importante del discorso è dunque dedicata al rapporto con le altre religioni e in particolare con l’islam, spesso maggioritario in regioni dell’Africa. Il Papa chiede in particolare ai sacerdoti di sviluppare un “dialogo costruttivo con i musulmani”, dialogo “sempre più necessario per vivere con loro una coabitazione pacifica”. Al tempo stesso, avverte, la Chiesa deve testimoniare l’amore di Dio a tutti, senza fare “distinzioni religiose nella sua azione sociale”.

Francesco elogia, dunque, il ruolo per il dialogo e la pace che svolge la Chiesa in Africa e il suo contributo riconosciuto per la promozione umana, la sanità e l’educazione. “Alcune vostre Chiese – conclude – sono piccole, fragili, ma sono coraggiose e generose nell’annuncio della fede”.

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Dal Papa il presidente del Ghana. Colloquio su famiglia ed Ebola

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Il dramma del virus Ebola in Africa occidentale e la promozione del “bene della famiglia”. Di questo hanno parlato, tra i vari temi affrontati, Papa Francesco e il presidente della Repubblica del Ghana, John Dramani Mahama, ricevuto in udienza in Vaticano. Nel corso dei colloqui “cordiali”, informa una nota, sono state inoltre “rilevate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e il Ghana” ed è stato sottolineato “il positivo contributo che la Chiesa cattolica offre in ambito sociale, educativo e sanitario, nonché per la promozione del dialogo tra le diverse componenti della società”.

Dopo l’incontro con Papa Francesco, il presidente ghanese si è poi intrattenuto a colloquio con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, insieme con il segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti.

A questo proposito, sollecitato dalle domande dei giornalisti, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha precisato che mons. Mamberti – nominato nei giorni scorsi dal Papa nuovo prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica – “continua ad essere in carica e a svolgere il compito di segretario per i Rapporti con gli Stati fino a nuovo ordine”, ovvero fin quando si realizzerà “effettivamente l’avvicendamento”. E questo, ha indicato padre Lombardi, “non è da considerarsi molto imminente, nel senso che non avverrà prima di diverse settimane”.

Per questo motivo, dunque, il presule ha preso parte all’incontro col presidente del Ghana e analogamente, ha concluso padre Lombardi,  “verso la fine del mese di novembre” mons. Mamberti “compirà in qualità di segretario per i Rapporti con gli Stati un viaggio in Australia previsto da tempo”. (A.D.C.)

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Cordoglio del Papa per l'incidente mortale di Cieza in Spagna

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Una preghiera per le vittime e per la pronta ripresa dei feriti, “conforto” e “forza spirituale” per chi vive il dramma di una “tragedia incresciosa”. Papa Francesco si è fatto vicino con un telegramma di cordoglio – firmato a suo nome dal segretario di Stato, Pietro Parolin – al gruppo di persone coinvolte, sabato scorso, nel grave incidente avvenuto a Cieza, in Spagna.

Di ritorno a Madrid dopo un pellegrinaggio, il bus sul quale viaggiavano una cinquantina di persone è finito fuori strada, causando la morte di 13 persone, tra cui il giovane parroco don Miguel Conesa Andujar, della chiesa di Nuestra Senora del Rosario di Bullas.

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Il Papa nomina all’Apsa i card. Wuerl, Salazar Gómez e Bertello

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Il Papa ha nominato membri dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa) i cardinali: Donald William Wuerl, arcivescovo di Washington (Stati Uniti d'America); Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá (Colombia) e Giuseppe Bertello, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Il Papa ha ricevuto questa mattina in udienza: l’On.le signora Malu Dreyer, ministro presidente del Land Renania-Palatinato, con il Consorte, e Seguito.

In Venezuela, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di San Carlos de Venezuela, presentata da mons. Tomás Jesús Zárraga Colmenares, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

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Al Maxxi il "Cortile degli studenti": musica come ascolto e visione

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 “La musica è forse uno dei linguaggi privilegiati per fare teologia”, così il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio sulla Cultura, si è espresso intervenendo questa mattina alla seconda edizione del “Cortile degli studenti”, un  momento di dialogo e di confronto dedicato alla musica come ascolto e visione. Il servizio di Elvira Ragosta

Pensato sul modello del "Cortile dei Gentili", l’evento ha ospitato un centinaio di liceali romani, stimolati alla discussione e al confronto su uno dei principali temi del vivere insieme: la musica come ascolto e come visione evocativa. A rispondere alle domande e alle curiosità degli studenti cantautori e musicisti, tra i quali Nicola Piovani, Antonello Venditti e il rapper “Piotta”. Sull’importanza dell’iniziativa abbiamo ascoltato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:

“E’ importante per due ragioni. Innanzitutto, perché il linguaggio della musica è un linguaggio universale e costante. I giovani, se noi li vediamo anche camminare per le strade, hanno quasi sempre all’orecchio la musica. E in secondo luogo perché la musica, di sua natura, non rappresenta soltanto il quotidiano ma rappresenta anche l’aspirazione segreta, qualche volta anche devastante, forse, ma comunque un’aspirazione ad andare oltre l’ovvio e il quotidiano. La religione ebraico-cristiana proprio mette all’inizio stesso dell’ingresso di Dio nella Creazione e nella storia, lo mette con un evento sonoro: la parola. Infatti si dice: “In principio Dio disse: ‘Sia la luce’ ” . E nel Nuovo Testamento si dice: ‘In principio c’era la parola’, il "logos". E quindi, dobbiamo dire che la musica è forse uno dei linguaggi privilegiati per poter fare anche teologia”.

Il compositore Nicola Piovani, rispondendo alle numerose domande degli studenti, ha sottolineato il necessario rispetto che si deve avere nell’ascolto della musica, affinchè non sia percepita come un sottofondo, ma elevata anche alla sua funzione mistica:

“Io credo che usare le musiche, le opere d’arte come sottofondo - usare una musica che sia di Ravel, che sia di De Gregori, che sia di Duke Ellington - usarle come sottofondo sarebbe un po’ come farsi un tappeto al ristorante con Raffaello, Gauguin, e camminarci sopra e mentre si cammina vedere un po’ di colori. Ridurre la musica a carta da parati non mi sembra una strada da incoraggiare. Io personalmente la evito”.

Francesco Cuccù è un giovane studente del liceo Aristofane, la sua testimonianza su questa giornata:

“E’ molto importante, molto coinvolgente, vedere come attraverso la musica sia possibile esprimere emozioni, sentimenti che possono essere sia pericolosi che buoni, positivi. Di conseguenza, si sbaglia dicendo che la musica non è collegata alla religione perché anche la religione attraverso i libri sacri trasmette insegnamenti che possono essere positivi soprattutto per una società che si basa sul potere politico ed economico".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Ponti, non muri: all'Angelus il Papa ricorda il crollo a Berlino della barriera tra Est e Ovest.

Fraternità, preghiera e missione: in un messaggio ai seminaristi francesi in pellegrinaggio a Lourdes il Pontefice indica tre parole chiave per la vita sacerdotale.

Quando finisce la guerra? Oddone Camerana su ritorno e solitudine dei reduci.

Il Perlasca col saio: nel settantesimo della morte Ugo Sartorio ricorda padre Placido Cortese.

Aristotele e la regola della cucina: Marco Beck su democrazia e famiglia secondo lo Stagirita.

Il blues di Rebecca: Silvia Gusmano su come prevenire la depressione post partum.

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Oggi in Primo Piano



Nigeria, attentato Boko Haram. Il vescovo: vogliono chiudere scuole

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Si aggrava col passare del tempo il tragico bilancio dell’attentato suicida avvenuto stamani in una scuola nel nord della Nigeria: almeno 48 le vittime, perlopiù studenti, e un’ottantina i feriti. Il servizio di Giada Aquilino

Ancora non c'è stata alcuna rivendicazione, ma i sospetti puntano sugli estremisti islamici di Boko Haram. Una scena raccapricciante, raccontata dai sopravvissuti ai soccorritori. Un kamikaze travestito da studente si è fatto saltare in aria, facendo detonare l’esplosivo che portava nella borsa, all’interno di un istituto superiore di Potiskum, capitale economica dello Stato nord-orientale di Yobe. L’attentato è avvenuto pochi minuti prima dell’inizio delle lezioni, quando circa 2 mila ragazzi erano riuniti in attesa del saluto quotidiano della preside. L’esplosione, le grida, il sangue, il panico, la disperazione: ai militari accorsi sul posto, i genitori degli studenti hanno tirato sassi e sono iniziate le contestazioni. Nella stessa città la settimana scorsa un altro attentatore suicida si era lanciato contro un corteo sciita, provocando 30 morti. A Yobe, più volte teatro di violenze, è in vigore lo stato d'emergenza deciso dal governo di Abuja per far fronte alle violenze di Boko Haram. Ma perché gli estremisti hanno voluto colpire ancora una volta una scuola, come successo già in passato? Risponde mons. Oliver Dashe Doeme, vescovo della diocesi di Maiduguri, la più estesa del Paese, che comprende anche Potiskum:

R. - Boko Haram is against Western education…
Boko Haram è contrario all’educazione di stampo occidentale. Quindi vanno in giro, attaccando le scuole in modo che queste chiudano e i ragazzi non possano andare a lezione. Questo è il loro scopo. Vogliono l’applicazione della sharia, la stretta applicazione della sharia.

Boko Haram dal 2009 vuole creare un 'califfato' islamico in tutto il nord della Nigeria, attraverso attacchi che hanno provocato almeno 10 mila morti in 5 anni. Soltanto ieri, i fondamentalisti avevano diffuso un video in cui il capo di Boko Haram, Abubakar Shekau, inneggia a un ‘califfato’ mondiale, chiamando alla mobilitazione i “fratelli” di Afghanistan, Pakistan, Azerbaigian, Cecenia, Yemen, Somalia, Iraq e Siria. Ad aprile il gruppo aveva sequestrato circa 200 ragazze in una scuola di Chibok, nello Stato di Borno. Alcune sono state liberate, altre - secondo il leader ribelle Shekau - sarebbero state date in moglie ai sequestratori, convertendosi all'Islam. Ma come si vive nel nord est della Nigeria? Ancora mons. Oliver Dashe Doeme:

R. – Many people are rolling from one place to another...
La gente si sposta da un posto all’altro, perché Boko Haram costringe alla conversione all’Islam: in caso contrario, uccidono. Per questo le persone lasciano le loro case e i luoghi nei quali si sono insediati i Boko Haram e si spostano. La Chiesa nigeriana porta generi di prima necessità ai rifugiati a Yola, Maiduguri, Mubi. E non aiuta soltanto i cristiani, ma anche i musulmani.

Giovedì prossimo e fino all’alba di venerdì, presso il Centro ecumenico nazionale di Abuja si terrà una Veglia di preghiera indetta dai vescovi nigeriani per invocare il ritorno della pace nel Paese.

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L’Iraq conferma il ferimento del "califfo" al Baghdadi

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Il "califfo" dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, è rimasto ferito in un raid aereo nel quale diversi altri leader dell'Isis sono rimasti uccisi. È quanto confermato stamani dal Ministero dell’Interno iracheno, dopo che la notizia era iniziata a circolare ieri da fonti Usa. Il Ministero di Baghdad aggiunge che il raid ha colpito una scuola dove era in corso un incontro dei vertici dello Stato Islamico e che il "califfo"' è stato trasferito in Siria, in una regione sotto il controllo dei suoi miliziani, per essere curato. Intanto, secondo le parole di Obama ai media americani, si entra in una nuova fase della guerra, diversa dalla precedente, il cui obiettivo era di contenere l'avanzata dell’Is. Ma quali scenari potrebbero aprirsi con l’eventuale eliminazione della leadership del cosiddetto Stato Islamico (Is)? Marco Guerra lo ha chiesto all’ricercatore dell’Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale, Paolo Maggiolini: 

R. - E’ chiaro che - se la notizia fosse confermata - per il fronte che sta combattendo Is il morale dovrebbe essere rinsaldato e sarebbe un grande successo. D’altra parte, per la struttura dello Stato islamico, è verosimile pensare che proprio grazie a questa struttura, ove esista veramente, ci dovrebbe essere o ci potrebbe essere già una linea di successione, che chiaramente non correrebbe sulla linea semplicemente carismatica, però potrebbe garantire comunque la tenuta del gruppo e del progetto.

D. - Qualora lo Stato islamico perdesse la sua leadership, c’è anche il rischio che cellule impazzite possano colpire indiscriminatamente un po’ in tutto il mondo, anche in Occidente?

R. - Chiaramente, si apre una fase che va attentamente letta e compresa sul piano internazionale o regionale. D’altra parte, nella componente diciamo localizzata del fronte siriano ed iracheno, lì va valutata effettivamente la forza della struttura. Il progetto è stato quello di rappresentare, appunto, non tanto un gruppo, ma uno Stato, con delle istituzioni e quindi anche con un certo grado di organizzazione. Ecco, sul fronte locale la componente carismatica è chiaramente importante e rilevante, però l’Is sembrerebbe cercare di superare questa dimensione squisitamente carismatica, offrendo un modello di riferimento più ampio. Per conformazioni e gruppi esterni, la successione prevede che questo riconoscimento venga rinnovato al successore. E quindi possiamo attenderci una fase di intermezzo, di valutazione. Quindi, in realtà, a livello internazionale, la minaccia per il resto rimane del tutto intatta: non è nelle sorti di un singolo individuo.

D. - Intanto, Obama annuncia una nuova fase: cosa dobbiamo aspettarci nelle prossime settimane e nei prossimi mesi?

R. - Obama ha aumentato la presenza militare - però siamo sempre in numeri molto piccoli, perché arriviamo ora ad una quota di tremila - e ha chiesto al congresso di aumentare il budget per le operazioni militari contro lo Stato islamico. Le operazioni condotte soltanto attraverso gli attacchi aerei sono state ritenute per ora necessarie per guadagnare principalmente tempo: questo è quello che, in realtà, Washington stesso ha dichiarato. Dall’altra parte, invece, la consapevolezza che un’operazione di terra sarà necessaria è evidente. Chi poi la farà, questo è l’altro punto. Anche perché il nemico è uno, lo Stato islamico, mentre i fronti e le problematiche che i fronti presentano - sia dal punto di vista militare, sia dal punto di vista delle risposte politiche che vanno date - sono differenti. Nel caso iracheno, la via da percorrere passa attraverso l’esercito iracheno. Nel caso siriano, questa forza militare locale è da creare. Quindi, in realtà, è difficilmente prevedibile la rapidità e la lunghezza di questo percorso, dato che l'Is per essere efficacemente combattuto deve essere affrontato anche sul piano politico ed economico. D’altronde, la sfida che ha posto in questo caso questa nuova, diciamo, "incarnazione" di un movimento più ampio è una sfida politica ed è una sfida economica, più che militare.

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Voto sull’indipendenza della Catalogna: oltre l'80% di "sì"

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In Spagna, l’80% di oltre due milioni di votanti ha detto "sì" all’indipendenza della Catalogna, nonostante la consultazione di ieri sia divenuta solo simbolica dopo la sospensione da parte della Corte costituzionale. Il presidente catalano, Artur Mas, parla di “successo completo". Per il ministro della Giustizia spagnolo, Rafael Català, si tratta invece di “un atto di propaganda”. Amedeo Lomonaco ha chiesto un commento al prof. Claudio Venza, docente di Storia della Spagna contemporanea all’Università di Trieste: 

R. – Dal punto di vista istituzionale e legale, certo non era un referendum come è stato quello della Scozia, qualche settimana fa. Però, da un punto di vista politico sostanziale, è stata la dimostrazione che c’è una notevole simpatia verso la prospettiva indipendentista. Questo è stato anche un momento abbastanza esplicito del braccio di ferro tra Barcellona e Madrid.

D. – Quali influenze può avere questo voto sulla politica interna spagnola e in particolare per le aspirazioni indipendentiste di altre regioni come quella Basca, l’Andalusia?

R. – Io penso che ci sarà qualche effetto abbastanza considerevole. Se la Catalogna prosegue su questa strada più o meno decisa, queste tendenze autonomiste verranno in qualche modo favorite da questo consenso non totale ma considerevole, che ha avuto il progetto indipendentista nelle recenti consultazioni in Catalogna.

D. – Anche senza validità legale, questo voto può essere un "punto di non ritorno" per la Spagna?

R. – Il peso di questo voto si farà sentire. Il governo centrale cosa farà? Ha di fronte a sé due possibilità: quella di indurire ancora di più i suoi ostacoli verso questo cammino e quindi mettere in mezzo diverse altre forze oltre a quelle giuridiche, che aveva già abbastanza mobilitato. E poi sullo sfondo c’è una grande incognita su cosa farà l’esercito, il potere di fatto più forte, ieri nella storia e anche oggi nell’attualità, in Spagna. L’esercito ha una sua autonomia, una sua valenza politica, un suo centro decisionale o dipende completamente dal potere politico? E’ difficilissimo prevedere cosa succederà. Secondo me, dipenderà moltissimo dall’atteggiamento del governo di Madrid e dalle sue scelte.

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A Pechino il vertice Apec: confronto tra Russia, Usa e Cina

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Al via oggi a Pechino il vertice Apec, l’Associazione dei Paesi dell’Asia-Pacifico. Vi partecipano i rappresentanti di 21 nazioni, tra le quali Cina, Russia, Stati Uniti, Sud Corea, Indonesia e Giappone. Tante le tematiche al centro dei colloqui, ma soprattutto quelle economico-commerciali. A margine, il presidente Usa Obama ha esortato la Cina al rispetto dei diritti umani. Ai lavori guarda con particolare attenzione l’Unione Europea. Sotto osservazione proprio la Cina alle prese con la seconda fase della crescita economica degli anni scorsi. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Angelo Baglioni, docente di Economia Internazionale all’Università Cattolica di Milano: 

R.  – Credo che l’Europa abbia sicuramente interesse a un rilancio delle trattative sul libero scambio nel Pacifico, e nell’Atlantico soprattutto tra Europa e Stati Uniti. L’unica speranza che abbiamo come Europa, per risollevarci dalla situazione di recessione, è che ci sia una ripresa in altre aree del pianeta; negli Stati Uniti, in primo luogo, e poi anche in altri Paesi. E’ chiaro che, dalla sua, la Cina si trova in una fase molto delicata, nel senso che viene da decenni di crescita molto forte, trainata dalle esportazioni, e si sta convertendo a un modello di sviluppo molto diverso, trainato più dalla domanda interna, quindi da un più alto livello di consumo da parte dei cinesi. E le autorità di Pechino devono stare un po’ attente a un modello di sviluppo che finora è stato molto alimentato dal debito privato, dall’intermediazione, e questo ha provocato anche una certa bolla immobiliare. C’è la necessità, insomma, di rientrare un po’ da questa fase di crescita molto impetuosa del credito e, naturalmente, di rientrarci facendo quello che si chiama un “atterraggio morbido”, quindi non in maniera troppo violenta.

D. – Le attuali crisi in corso – l’Ucraina, la Siria, l’Iraq – quali economie rischiano di mettere in difficoltà?

R. – Per quanto riguarda l’Europa, è chiaro che la crisi in Ucraina crea problemi di interscambio commerciale con la Russia, soprattutto per il problema delle sanzioni commerciali. Poi, naturalmente, c’è tutto il problema degli approvvigionamenti energetici che vengono dalla Russia e che passano per i Paesi del Medio Oriente. E, naturalmente, quello che sta succedendo, poi, in Siria è un fattore incertezza forte per quanto riguarda gli approvvigionamenti di petrolio.

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Muro di Berlino. Il ricordo del card. Meisner: vidi un miracolo

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“Chiedo a tutte le persone di buona volontà di contribuire a creare una cultura dell’incontro, della solidarietà, della pace”. E’ il tweet di Papa Francesco, lanciato ieri pomeriggio, per condividere la festa in Germania nel 25.mo della caduta del Muro di Berlino, “resa possibile – aveva già sottolineato all’Angelus - dal lungo e faticoso impegno di tante persone che per questo hanno lottato, pregato e sofferto”. Tra questi il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Berlino fino a settembre del 1989, da lì nominato alla guida della diocesi di Colonia, dove assistette all’evento storico con incredulità, come racconta ai nostri microfoni: 

R. – Das habe ich nie für möglich gehalten, auch als ich im September ’89 von Berlin ...
Non avrei mai pensato che potesse accadere. Nemmeno quando nel settembre 1989 mi sono trasferito da Berlino a Colonia, avrei pensato che il Muro potesse cadere. Dietro al Muro c’era la potenza atomica dell’Unione Sovietica e – come si era dimostrato in Ungheria, in Cecoslovacchia e da noi, il 17 giugno 1953 – con quelli non si scherzava. Per questo non avrei mai pensato che potesse accadere… E poi, quando invece è accaduto ero a Colonia, seduto davanti al televisore e mi pizzicavo le mani, mi strofinavo la fronte, dicendomi: “Ma stai sognando o sta succedendo davvero?”. Per la prima volta nella mia vita, sono stato testimone di un miracolo che non avrei pensato potesse accadere. E io personalmente ne ho tratto una conseguenza: bisogna credere ai miracoli. Ne accadono forse più di quanto immaginiamo …

D. Il 9 novembre 1989 una giornata impressa nella sua vita….

R. – Ich habe solange die Ddr lebte, dort mein Dasein gehabt…
Sì, finché è esistita la Ddr, io ho vissuto lì. Lo ricordo molto bene: ero apprendista in una banca, quando il 7 ottobre 1949 si fondava la Ddr. Abbiamo dovuto chiudere la banca e abbiamo dovuto seguire l’evento via radio: eravamo ormai uno Stato a sé stante, la Repubblica democratica tedesca. Quel giorno ho sentito per la prima volta l’inno nazionale. E, pensi un po’, ci sono voluti 40 anni – come gli anni impiegati dal popolo di Dio per attraversare il deserto – per eliminare questo Stato, il cui segno esteriore era stato il crollo del Muro.

D. Qual è stato il ruolo delle Chiese nella Ddr?

R. – Ja, wir sind die einzigen die die Regierung nicht anerkannt hatten…
Noi siamo stati gli unici a non riconoscere il governo. Le nostre diocesi erano ancora tutte provvisorie. La Chiesa evangelica fondò immediatamente il “Consiglio delle Chiese evangeliche nella Ddr”, per avere l’equivalente della Repubblica federale (Brd). Noi questo l’abbiamo sempre rifiutato. In realtà, siamo sempre rimasti gli ultimi a non aver mai riconosciuto il confine interno alla Germania. E devo dire che questo non ce lo hanno mai perdonato. Questo lo ripeto sempre: non ci sono stati riconosciuti diversi privilegi che invece sono stati riconosciuti alla Chiesa evangelica, perché noi abbiamo rifiutato per principio di accettare quel sistema.

D. – 25 anni dopo, guardando a ritroso, quali sono i compiti della Chiesa?

R. – Den Glauben verkünden, nach wie vor, das ist noch dringender…
Annunciare la fede, ora come prima, ma oggi è ancora più urgente che ieri e l’altro ieri.

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Scaglione: ancora troppi muri in Europa, servono scelte coraggiose

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A 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino sono ancora tanti i muri in tutto il mondo che separano i confini, minando i diritti fondamentali delle persone e dividendo famiglie e comunità. Da Israele alla Corea, dal Messico a Cipro: chilometri di odio, cemento e filo spinato. Sull’argomento Corinna Spirito ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto di politica estera: 

R. - Mentre ricordiamo e festeggiamo i 25 anni della caduta del Muro di Berlino, non dovremmo dimenticare che in Europa e nel mondo - ma diciamo più direttamente per quel che riguarda noi in Europa - resistono molti altri muri: a Belfast, c’è addirittura una serie di muri, sono un centinaio di pezzi di muro; a Cipro, dal 1974, c’è un altro muro - se anche lì viene chiamato “linea verde” - per dividere le comunità turche e quelle greche; e poi ci sono altri muri anche nell’ex Jugoslavia, dove - anche lì - c’è un cumulo di rancori che si riuscirà a smaltire solo con molto tempo; il muro di Mitrovica, nel Kosovo, per dividere la comunità serba da quella kovosara; e poi a Mostar, in Bosnia Erzegovina… Insomma, il muro come istituzione politica è di gran moda.

D. - In un mondo sempre più aperto e internazionalizzato i muri che continuano a nascere sono un po’ un paradosso?

R. - Lo sono! E sono una risposta politica facile, ma fragile. D’altra parte dobbiamo riflettere su un fatto, secondo me: il Muro di Berlino è durato 28 anni e noi stiamo già parlando del 25.mo anniversario della sua scomparsa, quindi chiaramente la risposta politica che si dà ad un problema con la costruzione di un muro è una risposta fragile, provvisoria e neanche nel lungo tempo, è perdente…

D. - Eppure ci sono muri che durano ormai da tantissimo, pensiamo a quello tra le due Coree…

R. - Sicuramente. Ma anche lì sono situazioni che non hanno più senso, alla luce di come si è sviluppato il mondo, perché va detto che il Muro di Berlino, che prendiamo come esempio di tutti i muri, come l’esempio più clamoroso, quando è crollato ha sì sommerso e abbattuto il sistema comunista, ma ha cambiato anche il nostro mondo: ha spalancato le porte a quella che poi avremmo chiamato “globalizzazione”, ma che in realtà è una più libera circolazione delle idee, delle merci e delle persone. Questi muri - e quello della Corea è forse l’esempio attuale più clamoroso - sono una sopravvivenza del passato.

D. - E allora possiamo dire che dalla storia non si impara mai? Nonostante la lezione del Muro di Berlino continuiamo ad avere barriere in casa nostra: Cipro è nell’Unione Europea…

R. - Sì, sicuramente. Poi, tra l’altro, anche con il nuovo stato sia economico che politico che ha ottenuto la Turchia nel frattempo, che poi si preoccupi di avere una qualche influenza su Cipro fa un po’ ridere…. C’è anche da dire una cosa a giustificazione dei politici contemporanei: spesso i problemi spuntano e diventano così clamorosi che veramente le risposte non si riescono a trovare in tempi brevi. Allora tirar su un muro può sembrare il tampone messo ad una falla. Quando nel novembre del 1989 cadde il Muro, pochi giorni dopo in Italia fu approvato il Decreto Martelli per la regolamentazione dell’immigrazione: e lo dico perché molti di questi muri contemporanei, quelli che vengono costruiti oggi o che sono progettati, sono fatti proprio per contrastare il problema dell’immigrazione. Questo per dire che, mentre il Muro di Berlino veniva giù tante altre cose venivano su: per esempio il problema dell’immigrazione…

D. - Un problema che è proprio alla base del "Muro della vergogna" tra gli Stati Uniti e il Messico, che continua sempre più ad ampliarsi…

R. - Sì, esattamente! Nasce e si espande perché il problema dell’immigrazione è un problema reale e non può essere risolto a colpi di slogan, ma di fronte al quale la politica risulta impotente, incapace di elaborare delle soluzioni che siano efficaci in tempi rapidi. Allora che cosa si fa? Si tira su un muro! Ma questa non è una soluzione, è semplicemente la negazione del problema. E come tutte le negazioni dei problemi, prima o poi e più spesso prima che poi, vengono travolte dalla forza del problema stesso.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: cristiani chiedono di abrogare legge sulla blasfemia

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Assicurare alla giustizia gli aggressori che hanno ucciso i due coniugi cristiani a Kasur il 4 novembre; prendere provvedimenti immediati e abrogare la legge sulla blasfemia: sono le richieste formulate da centinaia di cristiani che hanno manifestato oggi a Kasur, distretto dove è avvenuta la tragedia dei due coniugi, Shahzad Masih e Shama Bibi, arsi vivi in una fornace perché accusati di blasfemia. “Il governo ha il dovere di proteggere il diritto alla vita e alla proprietà dei suoi cittadini” ha spiegato all’agenzia Fides l’avvocato Sardar Mushtaq Gill, difensore dei diritti umani, presente alla manifestazione.

Alla protesta - riporta l'agenzia Fides - hanno preso parte fedeli di tutte le confessioni, tra i quali cattolici e protestanti. I dimostranti hanno esposto cartelli e proclamato slogan contro la persecuzione religiosa dei cristiani in Pakistan, chiedendo di porre fine alle ingiustizie e agli abusi legati alle leggi sulla blasfemia.

“La polizia non è riuscita a salvare i due coniugi: spesso gli agenti dicono di non poter salvare l'accusato di blasfemia se è un cristiano” spiega Gill. “I cristiani non saranno mai al sicuro finchè questa legge è in vigore. Questa legge rappresenta una grave violazione dei diritti umani e dovrebbe essere abrogata immediatamente” prosegue. “Chiediamo che la comunità internazionale svolga un ruolo costruttivo ed efficace in questo”.

I cristiani hanno anche rimarcato la questione della “moderna schiavitù”, in Pakistan. Spesso i fedeli che lavorano come operai in grandi forni per la fabbricazione di mattoni di argilla lo fanno “da schiavi”. Come è avvenuto ai due coniugi Shahzad e Shama, infatti, essi contraggono dei debiti con i datori di lavoro che pagano con anni di lavoro senza salario. Accade che tali debiti, che si gonfiano per gli interessi, spesso non vengano riscattati dai genitori (una vita intera di lavoro non basta) e allora ricadono sui figli, così la schiavitù si perpetua per generazioni. Le organizzazioni cristiane chiedono di interrompere questa pratica illegale e disumana. (R.P.)

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Patriarca Rai ai politici libanesi: "Tradite la Costituzione"

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Il patriarca di Antiochia dei maroniti, il card. Bechara Boutros Rai, ha lanciato un nuovo, perentorio j'accuse contro i politici libanesi, accusandoli di aver tradito la Costituzione e di puntare al vuoto di potere e alla paralisi delle istituzioni statali per servire meschini interessi personali. L'atto di accusa è stato pronunciato oggi dal patriarca, in apertura dell'ottava Assemblea del Consiglio dei patriarchi e dei vescovi cattolici in Libano. Il primate della Chiesa maronita, appena rientrato in patria da una visita pastorale in Australia, ha riferito che anche le comunità libanesi in diaspora provano dolore e sofferenza per lo stato di decadenza raggiunto dal Paese a causa della dissennatezza della classe dirigente.

In Libano la carica di Presidente della Repubblica, riservata per legge a un cristiano maronita, è vacante da più di cinque mesi perchè i blocchi politici dominanti nel Paese non riescono a trovare un consenso sui possibili candidati, dopo che lo scorso 25 maggio è scaduto il mandato dell'ex Capo di Stato Michel Sleiman.

La scorsa settimana, il Parlamento ha decretato l'estensione del proprio mandato per più di due anni e mezzo, facendo appello alla paralisi istituzionale sperimentata in merito all'elezione del Presidente e allo stato emergenziale di insicurezza che segna il Paese dei Cedri, sempre a rischio di essere risucchiato nei conflitti che stanno dilaniando l'area mediorientale.

Le forze politiche da tempo non trovano accordo neanche sulla legge elettorale che dovrebbe consentire il voto e la creazione di una nuova assemblea parlamentare. Il prolungamento del mandato parlamentare cristallizza la situazione di blocco, certifica la sospensione di fatto dell'esercizio democratico e, a giudizio del patriarca Rai, rappresenta una violazione “a sangue freddo" della Costituzione.

Come riportano fonti locali consultate dall'agenzia Fides, il card. Rai ha anche riferito che la Chiesa “raddoppierà gli sforzi” per sostenere le famiglie libanesi in questo momento difficile, invitando la società civile a mettere in atto dinamiche solidali senza far troppo conto sulle istituzioni statali, ormai latitanti. (R.P.)

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Vescovi messicani: "Basta corruzione e violenza"

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La Conferenza episcopale messicana (Cem) ha pubblicato una dichiarazione, inviata all’Agenzia Fides, in cui esprime solidarietà alle famiglie dei 43 studenti scomparsi a Ayotzinapa e chiede che si metta fine a questo clima di violenza: “Unendo la nostra voce alla vostra e a quella di tutta la nostra società, diciamo: basta a tanta corruzione, impunità e violenza!” Quindi la dichiarazione prosegue: “Esortiamo le autorità a indagare fino alla fine, fino alle ultime conseguenze, per conoscere con certezza la situazione degli scomparsi e punire con tutto il peso della legge gli autori intellettuali e materiali. Chiediamo anche di far valere lo stato di diritto, per mettere fine a tutte le forme di violenza, alle attività illegali, alla corruzione, all'impunità, ai collegamenti e alla complicità di alcuni funzionari con la criminalità organizzata”.

Il documento è firmato, a nome di tutti i vescovi messicani, dall'arcivescovo di Guadalajara e presidente della Cem, il card. José Francisco Robles Ortega, e dal segretario della Cem, il vescovo ausiliare di Puebla, mons. Eugenio Lira Rugarcia.

Venerdì scorso a Chilpancingo, il Procuratore generale della Repubblica, Jesús Murillo, aveva incontrato i genitori dei 43 studenti scomparsi a Ayotzinapa ed aveva riferito loro la confessione di 3 sicari che hanno raccontato come hanno giustiziato e bruciato i corpi degli studenti, per poi disfarsi dei resti gettandoli nel fiume San Juan. La notizia è stata riportata ampiamente da tutti i media messicani e di altre nazioni.

La drammatica vicenda continua ad infiammare gli animi e ad avere conseguenze di ordine pubblico: nelle ultime ore un gruppo consistente di studenti e di altre persone ha manifestato davanti al palazzo del governo della capitale, appiccando il fuoco alle porte dell’edificio. (R.P.)

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Paraguay: i vescovi chiedono di fermare la corruzione

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La corruzione diffusa ha fatto sì che i "narcopolitici" riescano ad infiltrarsi con facilità a tutti i livelli, ha sottolineato mons. Catalino Claudio Giménez Medina, vescovo di Caacupé e presidente della Conferenza episcopale del Paraguay (Cep), parlando ieri alla fine della Messa domenicale celebrata nel Santuario di Nostra Signora di Caacupé, Patrona della nazione.

Mons. Giménez ha definito “molto grave” l'omicidio del giornalista Pablo Medina (avvenuto il 16 ottobre) e ancor più grave il fatto che le autorità siano coinvolte in questo crimine. Tali dichiarazioni vengono a completare l’analisi della situazione fatta dalla Conferenza episcopale del Paraguay durante la sua recente Assemblea plenaria, svoltasi dal 3 al 7 novembre.

Nel testo, inviato all’agenzia Fides, che documenta i lavori dell’Assemblea, riunitasi per trattare principalmente la situazione del Paese e l’Anno della Vita Consacrata, si afferma: “Lo stato di corruzione, già denunciato dai vescovi nella lettera pastorale del giugno 1979 (“El saneamiento moral de la Nación"), è presente ancora oggi, con l'aggravarsi della crescita esponenziale del traffico di droga (con conseguenze disastrose sulla sanità pubblica) che infetta e coopta settori della politica, con i suoi tentacoli, in tutti i poteri di governo e la cui portata è ancora da verificare”.

I vescovi hanno avuto modo di incontrare durante l’Assemblea diverse autorità nazionali: la Ministra della Pubblica Istruzione, con cui hanno dialogato sull’agenda educativa 2013-2018; la Ministra della Giustizia per parlare della sicurezza e della situazione delle carceri; il Presidente della Repubblica del Paraguay, Horacio Cartes, accompagnato dal Ministro dell’Interno, Francisco de Vargas, ai quali i vescovi hanno esposto la loro forte preoccupazione per la violenza e lo sviluppo rallentato del Paese. (R.P.)

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Filippine: impegno della Chiesa a un anno dal tifone Haiyan

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Il Catholic Relief Services (Crs) annuncia la costruzione di almeno 20mila unità abitative per i sopravvissuti del super-tifone Yolanda, da realizzare entro i prossimi tre anni. Insieme agli alloggi, l'ente caritativo intende fornire anche nuove opportunità di sostentamento per 9mila famiglie colpite dal disastro, garantendo al contempo 23mila latrine dignitose. Sin dai primi giorni dell'emergenza - riferisce l'agenzia AsiaNews - Crs ha promosso iniziative a favore della popolazione, fornendo cibo, generi di prima necessità e alloggi temporanei. Le attività dell'Ong cattolica si sono concentrate nei primi tre mesi, arrivando a coprire i fabbisogni di almeno 43mila famiglie nelle Eastern Samar e Leyte.

Tuttavia, la situazione sul campo è ancora complessa e molto resta da fare per garantire un futuro alle vittime, come spiega ad AsiaNews Jing Rey Henderson, responsabile della National Secretariat for social Action - Justice and Peace, Nassa (la Caritas filippina). Promosso il primo aprile scorso, il programma #ReachPhilippines ha finora raggiunto più di 97mila famiglie. Ma si tratta solo dell'inizio, perché secondo il piano stabilito dal direttore Nassa mons. Rolanda J. Tria Tirona esso "durerà tre anni" e riguarderà gran parte delle zone colpite da Yolanda.

L'8 novembre scorso si è tenuta una giornata di preghiera nazionale in ricordo delle vittime promossa dai vescovi filippini; le campane di oltre 50mila chiese, sparse nelle 89 diocesi del Paese, hanno suonato in contemporanea per rendere omaggio alla loro memoria. Il 16 novembre è in programma un incontro promosso dai vertici di Caritas internationalis a Manila, per fare il punto sulla situazione e programmare gli interventi futuri.

Fra le molte iniziative di solidarietà organizzate da Nassa vi è anche una "corsa celebrativa" di 3, 5 o 10 km in programma il prossimo 15 novembre nella capitale, cui seguirà una messa solenne per tutti i partecipanti. Il denaro raccolto all'atto di iscrizione verrà utilizzato per finanziare le iniziative di solidarietà della Caritas filippina. Abbiamo vissuto una "esperienza tragica", ricorda mons. Tirona, ma "l'aiuto di centinaia di associazioni e singoli individui" ha garantito una pronta risposta nell'emergenza in tempi rapidi.

Abbattutosi sulle isole Visayas poco più di un anno fa, Haiyan/Yolanda ha colpito con diversa gravità almeno 11 milioni di persone, sparsi in 574 fra municipalità e città diverse; per un ritorno alla normalità saranno necessari otto miliardi di dollari. Ancora oggi risultano oltre 1.700 dispersi; il numero delle vittime sarebbe superiore a 5mila, anche se il governo ridimensiona il bilancio e parla di circa 2.500 morti. Nelle scorse settimane la Chiesa filippina ha consegnato le prime 1600 case "permanenti", parte di un progetto più ampio che intende realizzare almeno 3mila complessi abitativi entro fine anno, sparsi fra le nove province ecclesiastiche colpite dal tifone. L'esecutivo ha invece completato solo 364 unità abitative a Tacloban e Tanauan (Leyte), ma il numero degli sfollati nei centri di accoglienza temporanei - sparsi nelle province di Samar, Leyte e Eastern Samar - supera i 20mila. (R.P.)

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Nord Corea: negli Usa i due cittadini americani rilasciati

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Kenneth Bae e Matthew Miller, due cittadini americani che erano detenuti in Corea del Nord anche per motivi religiosi, sono stati rilasciati e sono giunti negli Stati Uniti. Bae ha ringraziato il governo nordcoreano e il governo statunitense per l’impegno profuso. Grande sollievo e gratitudine sono stati espressi dalle famiglie e dalle organizzazioni che difendono la libertà religiosa.

Bae, 46 anni, è un missionario cristiano coreano-americano che stava accompagnando nel 2012 un viaggio di gruppo in Corea del Nord, quando è stato arrestato e accusato di crimini contro lo stato. Anche Matthew Todd Miller ha trascorso sette mesi in carcere, dopo aver chiesto asilo politico nel paese, in quanto sospettato di essere una spia. Pochi giorni fa era stato liberato anche Jeffrey Fowle, detenuto per sei mesi per aver lasciato una copia della Bibbia in un locale pubblico. (R.P.)

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Lettera Ordinari di Terra Santa per Anno vita consacrata

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“Fare memoria con gratitudine del nostro passato recente, abbracciare l’avvenire con speranza e vivere il presente con passione in modo che il vostro amore, vero e sincero, riesca a riscaldare il nostro mondo mediorientale scosso dai venti gelidi dell’odio e della morte”. Sono gli obiettivi dell’Anno della vita consacrata stabiliti dall’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts) per i 274 contemplativi e contemplative, distribuiti in 27 case e per i 1594 consacrati e consacrate che svolgono la loro missione pastorale nella Chiesa di Terra Santa.

L’Anno - riferisce l'agenzia Sir - voluto da Papa Francesco per la Chiesa universale, si aprirà il 30 novembre 2014 e si chiuderà il 2 febbraio del 2016. L’iniziativa, secondo quanto si legge in una lettera dell’Aocts, “è un’occasione propizia per ritornare al Piano pastorale generale, frutto del Sinodo diocesano delle Chiese cattoliche, approvato dall’Aocts e pubblicato durante il grande Giubileo del 2000”. 

Il Piano, affermano gli Ordinari rivolgendosi direttamente ai consacrati e ai religiosi “vi ricorderà gli aspetti fondamentali della vostra presenza nel seno delle nostre diocesi o eparchie, che sono: coltivare il vostro essere-religiosi, essere testimoni con la vostra vita, fare della vostra vita una segno della consacrazione assoluta a Dio”.

La lettera contiene anche un programma di iniziative e di celebrazioni per l’Anno in tutte le chiese della regione e l’invito ai religiosi a rendersi disponibili all’animazione delle stesse unitamente all’organizzazione di eventi rivolti ai giovani. “Dobbiamo collaborare per il futuro della Terra Santa - concludono gli Ordinari - Dobbiamo insieme preparare un futuro umano e spirituale per questa terra. Abbiamo una grande responsabilità nei confronti di tutti i figli e gli abitanti di questa terra”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 314

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.