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Sommario del 12/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: vescovi non siano autoritari, ascoltino anche i “lontani”

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I vescovi non assumano atteggiamenti autoritari e ascoltino anche i “lontani” dalla Chiesa. E’ l’esortazione rivolta ai pastori da Papa Francesco nell’udienza generale in Piazza San Pietro, dove migliaia di fedeli si sono raccolti nonostante il maltempo. Il Pontefice ha ribadito che i vescovi non devono pensare di avere “sempre la risposta giusta” e li ha esortati a guidare la Chiesa facendola crescere sulla via della santità. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Come deve essere un buon pastore che ha cuore il suo gregge? All’udienza generale, Francesco è tornato a parlare di un tema a lui particolarmente caro, facendosi guidare dalle “Lettere pastorali” inviate da San Paolo a Tito e Timoteo. L’Apostolo delle Genti, ha rammentato, elenca le qualità che non devono mancare in un vescovo, un presbitero, un diacono: “l’accoglienza, la sobrietà, la pazienza, la mitezza, l’affidabilità, la bontà di cuore”. E’ questo, ha commentato, “l’alfabeto, la grammatica di base di ogni ministero!”. E tanto più “deve essere la grammatica di base di ogni vescovo”, altrimenti non è possibile offrire un servizio e una testimonianza davvero gioiosi e credibili:

“Questo significa che deve essere sempre viva la consapevolezza che non si è vescovi, sacerdoti o diaconi perché si è più intelligenti, più bravi e migliori degli altri, ma solo in forza di un dono, un dono d’amore elargito da Dio, nella potenza del suo Spirito, per il bene del suo popolo”.

Questa “consapevolezza – ha soggiunto – è davvero importante e costituisce una grazia da chiedere ogni giorno”:

“Infatti, un Pastore che è cosciente che il proprio ministero scaturisce unicamente dalla misericordia e dal cuore di Dio non potrà mai assumere un atteggiamento autoritario, come se tutti fossero ai suoi piedi e la comunità fosse la sua proprietà, il suo regno personale”.

La consapevolezza, ha rimarcato, che “tutto è dono, tutto è grazia, aiuta un Pastore anche a non cadere nella tentazione di porsi al centro dell’attenzione e di confidare soltanto in se stesso”:

“Guai se un vescovo, un sacerdote o un diacono pensassero di sapere tutto, di avere sempre la risposta giusta per ogni cosa e di non avere bisogno di nessuno. Al contrario, la coscienza di essere lui per primo oggetto della misericordia e della compassione di Dio deve portare un ministro della Chiesa ad essere sempre umile e comprensivo nei confronti degli altri”.

“Pur nella consapevolezza di essere chiamato a custodire con coraggio il deposito della fede – ha proseguito – egli si metterà in ascolto della gente”:

“E’ cosciente, infatti, di avere sempre qualcosa da imparare, anche da coloro che possono essere ancora lontani dalla fede e dalla Chiesa. Con i propri confratelli, poi, tutto questo deve portare ad assumere un atteggiamento nuovo, improntato alla condivisione, alla corresponsabilità e alla comunione”.

Francesco ha quindi esortato i vescovi a guidare la Chiesa “facendola crescere lungo la via della santità”. Al momento dei saluti ai pellegrini giunti numerosi nonostante il maltempo, il Pontefice ha ricordato in particolare gli ammalati, più di 200, che hanno seguito l’udienza dall’Aula Paolo VI e che aveva incontrato prima di recarsi in Piazza San Pietro. Dal Papa anche un sentito pensiero per le famiglie delle vittime di incidenti stradali e di persone scomparse. Francesco ha inoltre ringraziato le suore scalabriniane per il loro impegno con migranti e rifugiati. Dal Papa infine un saluto alle Carmelitane missionarie di Santa Teresa di Gesù Bambino e agli studenti e docenti della Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale dell’Università Pontificia Salesiana, in occasione del 25.mo anniversario di fondazione.

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Francesco: fermiamo assurda violenza contro cristiani

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Le “drammatiche vicende dei cristiani che in varie parti del mondo sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso”, preoccupano fortemente il Papa, che ha rivolto un speciale appello al termine dell’udienza generale. Il servizio di Roberta Gisotti

Con “grande trepidazione” Francesco segue le vicende dei cristiani che sono duramente colpiti da “un’assurda violenza – ha sottolineato – che non accenna a fermarsi” e che “hanno diritto di ritrovare nei propri Paesi sicurezza e serenità, professando liberamente” la propria fede. Da qui l’incoraggiamento “ad essere forti e saldi nella speranza”:

"Ancora una volta rivolgo un accorato appello a quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale, come pure a tutte le persone di buona volontà, affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati”.

E, tra i drammi dimenticati dalla comunità internazionale, è quella dei cristiani in fuga dall’Iraq, come denuncia p. Raymond Moussalli, vicario del vescovado caldeo ad Amman, in Giordania, dove sono stati di recente accolti oltre 100 mila profughi a causa dell’avanzata delle milizie dello Stato islamico a Mossul e nella Piana di Ninive. Ascoltiamolo, al microfono di Romilda Ferrauto, descrivere la disperazione in cui versa questa povera gente:

R. – Arrivano in maniera tragica: non hanno soldi, né vestiti, hanno lasciato le loro case in un giorno, 100 mila persone.

D. – C’è ancora un futuro per loro lì, secondo lei?

R. – Penso che se non troveranno la sicurezza e la pace di poter rientrare nelle loro case, protetti del governo centrale iracheno, e di essere accolti come cittadini di "serie A", non vogliano più ritornare. Quindi, la questione è questa: di essere accettati dal popolo iracheno come iracheni.

D. – Dunque, la soluzione non è che i Paesi occidentali accolgano questa gente. Qual è la soluzione?

R. – Se loro hanno lasciato le loro case, devono essere accettati dalla comunità internazionale. Se sono rimasti lì devono essere protetti dalla comunità internazionale, dal governo centrale iracheno e dal governo del Kurdistan. Quelli che sono già andati via devono essere accettati dalla comunità internazionale e dai Paesi all’estero.

D. – Lei è soddisfatto del modo in cui la comunità internazionale sta reagendo a questa tragedia?

R. – Fino ad adesso, non abbiamo sentito alcuna presa di posizione dai leader delle comunità internazionale. Solo il Santo Padre ha reagito e ogni giorno fa un appello o un accenno. Gli altri sono venuti in visita, ma non hanno fatto nulla. Quindi, noi vogliamo essere incoraggiati e che si faccia di più.

D. – La Giordania in questo momento sta accogliendo tantissimi rifugiati sia dalla Siria che sall’Iraq…

R. – Grazie al Signore, speriamo continui in questo. In tutti i Paesi del Medio Oriente ci sono guerre, problemi interni. Solo la Giordania vive in pace con il suo popolo e la sua gente.

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Il Papa ricorda studenti uccisi in Messico e condanna traffico droga

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Durante l’udienza generale, nei saluti in lingua spagnola,  il Papa si è soffermato sulla drammatica vicenda dei 43 studenti messicani scomparsi a settembre che, secondo il procuratore generale dello Stato di Guerrero, sarebbero stati bruciati vivi dai narcos e gettati in una discarica. Mandanti della strage sarebbero il sindaco di Iguala, sua moglie e il suo responsabile della sicurezza pubblica. Il servizio di Debora Donnini

“Quiero de alguna manera expresar a los mexicanos…
Voglio in qualche modo esprimere ai messicani qui presenti, e a quelli che sono in patria, la vicinanza in questo momento doloroso, per la  sparizione legale - anche se sappiamo assassinati - degli studenti”.

Una vicenda che per Francesco rende visibile “la realtà drammatica di tutta la criminalità che esiste dietro al commercio e al traffico delle droghe”. Rivolgendosi, poi, a un gruppo di militari cileni, ricorda il 30.mo anniversario della firma del trattato di pace tra Argentina e Cile mettendo in rilievo il valore del dialogo. “Non continuiamo a litigare per i confini”, aggiunge:

“Solamente cuando hay voluntad de diálogo se solucionan las cosas…
Solo quando c’è una volontà di dialogo si risolvono le cose. E voglio anche elevare un pensiero di gratitudine a San Giovanni Paolo II e al cardinale Samorè, che tanto hanno fatto per ottenere questa pace tra di noi. Speriamo che tutti i popoli in conflitto, di qualsiasi tipo, sia per i confini che culturali, si impegnino a risolverli al tavolo del dialogo e non con la crudeltà di una guerra”.

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Francesco riceve la delegazione del Forum cattolico-musulmano

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza, nell’Auletta dell’Aula Paolo VI, una delegazione del Forum cattolico-musulmano.

In Spagna, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Zaragoza, presentata da mons. Manuel Ureña Pastor, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

Sempre in Spagna, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Segovia, presentata da mons. Ángel Rubio Castro, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Segovia mons. César Augusto Franco Martínez, trasferendolo dalla sede titolare di Ursona e dall’ufficio di ausiliare di Madrid.

In Brasile, il Papa ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Olinda e Recife  il rev.do Antônio Tourinho Neto, finora vicario generale nella diocesi di Jequié, assegnandogli la sede titolare di Satafi.

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Mons. Nykiel: sigillo della Confessione è sempre inviolabile

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Sono più di 200 i partecipanti iscritti al Convegno che si apre oggi pomeriggio al Palazzo della Cancelleria a Roma, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica e dedicato al tema “Il sigillo confessionale e la privacy pastorale”. Fabio Colagrande ne ha parlato con il vescovo Krzysztof  Nykiel, Reggente della Penitenzieria. 

R. – Il tema del segreto confessionale è particolarmente connesso con il vissuto dell’epoca corrente.  Non è una novità che, nella cultura cosiddetta mediatica, la gente sia sovraccaricata da troppe informazioni, stressata dagli innumerevoli dati di cronaca o semplicemente stanca perché quotidianamente condotta nel vortice della vivisezione e dell’esibizione delle esperienze e dei fatti vissuti. Perciò, l’uomo moderno ha bisogno di trovare uno spazio dove poter essere ascoltato, aprire la propria coscienza e avere la certezza di essere custodito e salvaguardato. Quale spazio migliore del confessionale? Chiunque si accosta al confessionale può sperimentare infatti gli effetti pacificanti e salutari del perdono incondizionato di Dio e, nello stesso tempo, ha il diritto di avere l’assoluta certezza che ciò che ha confessato nel Foro interno sacramentale rimarrà per sempre sigillato, anche dopo la sua morte.

D. – Attualmente, c’è una perdita del senso del peccato? Quali sono le cause?

R. – E’ vero. Soprattutto tra i giovani, assistiamo ad una diminuzione sempre crescente del senso del peccato. La causa principale di tale perdita, credo, sia da individuare fondamentalmente nell’estromissione di Dio dall’orizzonte culturale moderno. Molte persone non mettono più Dio al centro della loro vita. Non gli riconoscono il primato che gli spetta. Tutto è lecito. Tutto è permesso. La “mia personale opinione” è la sola verità. E’ questa difficoltà dell’uomo moderno a riconoscere il peccato e il perdono che spiega, alla radice, anche le difficoltà della pratica cristiana della confessione o riconciliazione. Noi che prestiamo servizio in questo Tribunale di misericordia e di grazia siamo molto grati al Santo Padre Francesco per i Suoi numerosi interventi e incoraggiamenti rivolti ai fedeli di non dubitare mai di questa verità che la misericordia di Dio è sempre più grande  di ogni peccato, e quindi di accostarsi con fiducia al Confessionale.

D. – Da quando nella Chiesa si è attribuito particolare importanza al sigillo confessionale?

R. – Praticamente da sempre. La Chiesa, fin dalle origini, ha attribuito particolare rilevanza alla riservatezza dell’incontro tra il fedele e il sacerdote nell’amministrazione del Sacramento della Penitenza. Ma è con il Concilio Lateranense IV (1215) che un canone sancisce per la prima volta il suo obbligo morale e giuridico come legge universale della Chiesa, prevedendo gravi sanzioni per i sacerdoti che lo infrangono.    

D. – In che modo la legislazione vigente della Chiesa disciplina e regola il sigillo confessionale?

R. – L’attuale codice, al canone 983, recita così: “Il sigillo sacramentale è inviolabile; per questo è vietato al confessore di tradire, anche parzialmente, il penitente con parole o in qualsiasi altro modo e per qualsiasi causa”. Questo principio dell’assoluta inviolabilità del sigillo sacramentale vuole tutelare la santità del Sacramento stesso e il buon nome del penitente. Il sigillo confessionale, va ricordato, rappresenta un elemento sostanziale, qualificante e dirimente del Sacramento della Penitenza, perché rivela e palesa sostanzialmente il carattere divino del Sacramento, che è motivo essenziale della causa perché questo sia e debba essere sempre rigorosamente “auricolare” e non pubblico.

D. – Quali ricadute positive si aspetta la Penitenzieria, soprattutto nell’ambito pastorale, sui confessori e i sacerdoti in cura d’anime, dallo svolgimento di questo Convegno?

R. – Certamente, quello di fare maggiore attenzione nel custodire il segreto della confessione, fosse anche a costo della propria vita come è accaduto a San Giovanni Nepomuceno, che accettò di essere gettato nella Moldava e morire annegato piuttosto che tradire il segreto della Confessione. La Chiesa è talmente gelosa della santità del sigillo sacramentale, che neppure la morte del penitente potrà sciogliere il confessore da questo vincolo. La legge del sigillo sacramentale non ammette eccezioni. Nessun confessore può esserne dispensato, anche se nel voler rivelare il contenuto di una Confessione intendesse evitare un grave e imminente male.

D. – Eccellenza, il Sacramento della Penitenza è una opportunità per aiutare i credenti ad accogliere Cristo nel loro cuore. Può meglio specificare, anche dal punto di vista canonico, che importanza ha il confessionale in questo incontro personale ed intimo con il Signore?

R. – I cristiani battezzati hanno la certezza di ricevere il perdono di Dio esclusivamente accostandosi al Sacramento della Penitenza. Infatti, il vigente Codice di Diritto Canonico afferma che “la confessione individuale ed integra e l’assoluzione costituiscono l’unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole del peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa” (canoni 959-960). Papa Francesco, nell’udienza generale del 19 febbraio, ha sottolineato questa importanza e peculiarità della confessione individuale: “Non basta chiedere perdono al Signore nella propria mente e nel proprio cuore, ma è necessario confessare umilmente e fiduciosamente i propri peccati al ministro della Chiesa”. Quando il penitente entra nel confessionale, egli si accosta realmente all’amore del Padre, entra nel cuore misericordioso di Dio che è l’unico capace di guarire le ferite dell’anima, di togliere il peccato che ci impedisce di rimanere nell’amicizia con Lui.

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La Sonda "Philae" verso il primo "accometaggio" della storia

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Per la prima volta nella storia dei voli spaziali, una sonda costruita dall’uomo potrebbe posarsi su una cometa (67P/Churyumov Gerasimenko), un evento storico paragonabile al primo allunaggio. Dopo un viaggio lungo dieci anni, infatti, la sonda madre "Rosetta" ha sganciato la piccola "Philae", che tra le 16.30-17.00, ora italiana, dovrebbe toccare la superficie del corpo celeste che dista 500 milioni di chilometri dalla Terra. Sono ore di apprensione per alcuni problemi tecnici che si sono verificati. Sull’impresa Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di padre José Gabriel Funes, direttore della Specola Vaticana: 

R.  – Per anni hanno sognato, lavorato, progettato di potere vedere questo atterraggio, anche se la parola “atterraggio” non è quella giusta. Un esperimento per capire un po’ di più come si è formato tutto il Sistema solare, come si formano, che cosa sono le comete. E’ un evento molto importante, anche perché è il risultato di un lavoro fatto da un team e credo che anche questo sia da sottolineare.

D.  – La cometa ci porta anche ai Magi condotti da Gesù. Alcuni dicono la scienza spiega tutto ed è contro la fede, in realtà non è così...

R.  – Scienza e fede non sono in contraddizione ma sono complementari. Abbiamo bisogno sia di un approccio scientifico che dell’approccio che proviene dalla luce della fede. La scienza senza la fede, senza la religione, diventa fondamentalista e la religione senza la scienza, anch’essa diventa fondamentalista.

D.  – Padre Funes, un’esplorazione che ci consente di vedere quale genialità c’è dietro la Creazione…

R. – Noi siamo parte dell’universo. Dobbiamo pensare che gli atomi dei nostri corpi una volta sono stati all’interno delle stelle, poi, queste stelle sono esplose, si sono formate altre stelle e così via: il nostro sole, i pianeti, così che noi siamo parte del nostro universo. Come diceva Carl Sagan, questo famoso astronomo agnostico: “Noi siamo polvere di stelle”. Io direi che noi, sì, siamo polvere di stelle ma con questo soffio divino, siamo creature di Dio. Certamente, nella ricerca si vede tanta bellezza che ci riporta alla bellezza del Creatore. Poi, la natura ha le sue leggi e noi cerchiamo di capirle con curiosità: anche questo motiva la scienza, ma anche questa nostra capacità di comprendere meglio l’universo ci ricorda che siamo degli esseri spirituali, intelligenti. Abbiamo noi stessi l’impronta del Creatore.

D. – Quindi, l’augurio è continuare a osservare queste meraviglie per capirle sempre di più…

R. – Speriamo di sì e speriamo che tanti giovani e bambini siano ispirati da queste imprese scientifiche.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un'assurda violenza: all'udienza generale il Papa invoca una mobilitazione delle coscienze per fermare le persecuzioni contro i cristiani.

Alla missione universitaria oggi, un impegno anche di fronte alla morte, è dedicato l'incontro organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana nel venticinquesimo anniversario dell'eccidio di sei gesuiti e due loro collaboratori presso l'università Centro-Americana di El Salvador.

Un duomo trasformato in allegoria: Firenze ricorda Mario Luzi.

Eden di cemento: Carla Zito sulla sfida dell'edilizia sacra.

Della carità e del dialogo: una riflessione di Jorge Juan Fernandez sull'Enciclica di Paolo VI "Ecclesiam suam" a cinquant'anni dalla pubblicazione.

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Oggi in Primo Piano



Apec: disegnati nuovi equilibri tra le superpotenze

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Un’unica area di libero scambio regionale tra i 21 paesi dell’Asia Pacifico, un nuovo target di riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2025 e nuove intese sul gas tra Cina e Russia. Questi, tra i più importanti risultati del vertice Apec di Pechino, che secondo alcuni osservatori ha ridisegnato profondamente i rapporti di forza tra le superpotenze a confronto. E’ così? E in che termini ? Gabriella Ceraso  lo ha chiesto a Rosella Ideo esperta di Storia politica e diplomatica dell’Asia Orientale: 

R. – C’è stato, più che un riassetto, quasi un’istituzionalizzazione di una nuova Cina assertiva ed estremamente importante sul piano internazionale che sta dicendo al mondo: “Io sogno il mio sogno cinese”. La Cina non si ispira più agli Stati Uniti come a un modello, ma il suo sviluppo avviene con tutte le caratteristiche tradizionali e culturali cinesi. In questo senso, la cosa importante è la proposta di quest’area di libero scambio Asia-Pacifico, che si contrappone al “Tras-Pacific Partnership” degli Stati Uniti che escludono Cina e Russia. È come dire che adesso la Cina si riposiziona in quello che considera il suo naturale ambiente di influenza, ovvero l’area asiatica.

D. – Cina che si rafforza anche sul fronte russo e, in questo senso, un po’ marginalizzando gli Stati Uniti con le intese sul gas e sull’uso delle rispettive valute con la Russia per i contatti energetici…

R. – La Russia e la Cina hanno sempre giocato insieme contro gli Stati Uniti. Però, in questo momento la mano forte a poker ce l’ha la Cina, cosa che non piace ovviamente a Putin.

D. – Nuovo target sulla riduzione delle emissioni del gas serra varato tra Stati Uniti e Cina: questo lei come lo valuta?

R. – Io lo leggo come un segnale politico importante, perché la Cina non ha preso degli impegni precisi, però ha convenuto che farà di tutto per adempiere a quello che è un obbligo internazionale.

D. – Siamo di fronte a una realtà internazionale sempre più collegata e connessa o c’è di nuovo i rischio di formazione di blocchi contrapposti?

R. – Più aree di influenza ci sono, più blocchi economici soprattutto, ma anche politici, e meno c’è il pericolo, secondo me, che si arrivi a uno scontro che sarebbe veramente letale.

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Padre Faltas: Gerusalemme sia esempio di convivenza e pace

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Sempre molto critica la situazione in Medio Oriente, dove le violenze tra palestinesi e israeliani stanno toccando i luoghi di culto. Ieri, profonda preoccupazione è stata espressa dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha invitato le parti a evitare di esacerbare ulteriormente la situazione. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

E’ altissima la tensione nei Territori palestinesi e sulla spianata delle Moschee a Gerusalemme. Le accuse di violenze sono reciproche. Gli abitanti di un villaggio nei dintorni di Ramallah hanno attribuito ai coloni israeliani l’incendio della loro moschea. Stessa dinamica in Galilea, dove una bottiglia incendiaria è stata lanciata contro una antica sinagoga, in una cittadina araba. Il presidente palestinese, Abu Mazen, in queste ore dovrebbe incontrare il re giordano, Abdallah, e in Giordania si sta recando anche il segretario di stato Usa, Kerry. Padre Ibrahim Faltas, della Custodia di Terra Santa – che ha fatto parte della delegazione di patriarchi e delle Chiese di Gerusalemme, che lunedì scorso ha compiuto una visita sulla spianata delle Moschee – non nasconde la sua preoccupazione.

R. – Il nostro messaggio è che dobbiamo lavorare tutti, dobbiamo lavorare per superare questo momento difficile perché diminuisca questa tensione. Noi cristiani, i musulmani, anche gli ebrei. Le persone parlano di una guerra religiosa. Non vogliamo arrivare a questo punto. E per questo che dobbiamo muoverci, dobbiamo lavorare. Gerusalemme deve essere il modello, deve essere il modello della convivenza, della pace tra le tre religioni.

D.  – Padre Ibrahim, è stato Abu Mazen a dire che è Israele a condurre una devastante guerra di religione. Parole che hanno scatenato la reazione di Netanyahu…

R. – Abu Mazen è molto preoccupato della situazione. E’ per questo che oggi vediamo che nonostante la tensione, c’è anche una tensione tra Abu Mazen, Netanyahu e il re della Giordania, per trovare una soluzione, per non arrivare a un conflitto religioso. Tutti lavorano, tutti vogliono arrivare alla pace, a una convivenza pacifica in questa bellissima città.

D.  – Come si fa a tenere a freno gli estremismi di tutte e due le parti?

R. – Su questo devono lavorare i capi religiosi: è il momento di fare un incontro tra i tre capi religiosi che sono a Gerusalemme perché diminuisca questa tensione. Devono trovare una soluzione a questa tensione, a questo problema, in questo momento molto difficile, molto delicato non solo per i musulmani, o solo per gli ebrei o solo per i cristiani, ma per tutti e tre insieme.

D. – Voi della Custodia siete preoccupati?

R. – Tutti siamo preoccupati. Chiunque viva qui è preoccupato da questa situazione. C’è una iniziativa che io penso possa aiutare molto. E’ un’iniziativa dell’Opera romana pellegrinaggi, il Cammino di Pace “Giovanni Paolo II”, che faremo il 20 novembre da Betlemme fino a Gerusalemme. A questo cammino parteciperanno cristiani, musulmani, ebrei. Speriamo che anche questo aiuti. Ma ripeto: deve esserci un incontro tra i capi religiosi locali. Dobbiamo aumentare queste iniziative tra le tre religioni, qui a Gerusalemme, in questo momento.

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Nigeria, preghiera per la pace. Vescovi: vedremo presidente

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La Nigeria si prepara al pellegrinaggio di preghiera che domani sera e per tutta la notte, fino all’alba di venerdì, riunirà ad Abuja i fedeli per invocare il ritorno della pace nel Paese, sconvolto dai continui attacchi degli estremisti islamici di Boko Haram. Soltanto lunedì scorso, un attentato kamikaze nello Stato Nord-orientale di Yobe ha provocato 48 vittime, perlopiù studenti, e nelle ultime ore un gruppo di militari è caduto in un’imboscata dei miliziani nello Stato di Adamawa, sempre nel Nord Est. Il pellegrinaggio ad Abuja, che confluirà nel Centro cristiano nazionale, è il momento culminante di una speciale iniziativa di preghiera indetta nei mesi scorsi dal presidente della Conferenza episcopale nigeriana, l'arcivescovo Ignatius Kaigama, per la pacificazione nazionale, per il rilascio di tutte le persone rapite, per le vittime delle violenze, per lo sradicamento della corruzione, per la promozione dei valori familiari e la protezione della vita umana. Ce ne parla lo stesso mons. Kaigama, intervistato da Giada Aquilino

R. - I vescovi della Nigeria, la Conferenza episcopale, hanno pensato di affrontare con la preghiera il problema Boko Haram, che non sembra finire. Abbiamo deciso di farlo a diversi livelli: abbiamo cominciato a pregare sei mesi fa con le famiglie, poi nelle parrocchie e infine a livello diocesano. Questa volta ad Abuja noi vescovi, i preti, i religiosi, i laici, pregheremo il Signore affinché intervenga per la conversione di questo gruppo terroristico, che sta facendo davvero molto male ai nigeriani.

D. - Proprio la violenza di Boko Haram ha costretto le autorità a chiudere le scuole nello Stato di Yobe, dove nei giorni scorsi c’è stato un tragico attentato in un liceo. Qual è la situazione?

R. - Boko Haram ha la tendenza a colpire attraverso attentati, attaccando anche le scuole con studenti innocenti. Non ne comprendiamo il motivo. Forse in questa zona che hanno attaccato le scuole non funzionano, però altri istituti continuano a fare attività. Crediamo che l’educazione sia importante per la salute dell’anima e del corpo e dobbiamo andare avanti. Boko Haram dice che l’educazione è una cosa diabolica. No, non dobbiamo accettare questa situazione.

D. - A cosa puntano gli estremisti di Boko Haram?

R. – Non lo sappiamo. Hanno detto che vogliono convertire tutti all’islam e che la Nigeria diventi un califfato. Questo è impossibile. Però piano piano stanno facendo progressi in questo senso, perché hanno preso scuole, villaggi, città… Abbiamo veramente paura, perché non sappiamo dove e quando arrivano, per fare del male a tutti noi. Per questo abbiamo organizzato l’iniziativa di Abuja. Domani pomeriggio, prima della veglia di preghiera, alcuni vescovi avranno un incontro con il presidente Goodluck Jonathan.

D. - Cosa direte al presidente, che ha appena annunciato una sua ricandidatura?

R. - Diremo che la situazione è grave, la gente sta morendo, è sempre sotto attacco, per questo lascia le proprie città. Ci sono rifugiati in diversi luoghi e la sicurezza non c’è. Vogliamo dire che questa non è teoria, ma è un’esperienza che abbiamo vissuto. Ad esempio, il vescovo di Maiduguri, mons. Oliver Dashe Doeme, ha vissuto questa violenza. Tante parrocchie della diocesi di Maiduguri sono chiuse perché Boko Haram ha preso tutto; migliaia di rifugiati si trovano nella zona di Yola; stessa situazione negli Stati di Yobe, Bauchi, Gombe. Questo è un problema. Vogliamo dire chiaramente al presidente che la situazione non è normale. Devono fare qualcosa, abbiamo bisogno di sicurezza, di vivere in pace. E di fare il nostro lavoro, di predicare il Vangelo. Questo è il messaggio che rivolgeremo al presidente.

D. - Lei ha detto: “Pregheremo per la conversione dei cuori”. Quali sono le speranze della Chiesa per il futuro della Nigeria?

R. - La Chiesa continua. Dobbiamo sapere che il problema non c’è in tutta la Nigeria; ma in una parte del Paese, a Nord Est. A Sud, a Est, a Ovest la situazione è normale. Confidiamo nella pregheria e nella buona volontà del governo affinché si torni alla normalità.

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Carcere, è emergenza malattie infettive

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Epatite C, tubercolosi, Hiv. Sono le malattie infettive più diffuse in carcere, in Italia, e che il Sistema sanitario ha ancora molta difficoltà a curare. Ora, i medici che si occupano di sanità penitenziaria lanciano una campagna per sensibilizzare su questo tema. Il servizio di Alessandro Guarasci

Essere malati in carcere, è spesso una pena che si aggiunge alla pena data dal giudice. Le cure non sempre sono tempestive e la situazione cambia da carcere a carcere.

Almeno il 30% dei detenuti ha un’infezione da epatite C, che spesso poi evolve in cirrosi. Una vera emergenza. Oltre la metà, poi risulta positivo alla tubercolosi. L’Hiv colpisce soprattutto i tossicodipendenti, ma tra questi l’incidenza è maggiore del 20% rispetto agli altri detenuti. Per la società italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, l’introduzione di nuovi farmaci per il controllo di alcune di queste infezioni potrebbe permettere una cura migliore durante la detenzione. La competenza da qualche anno è delle regioni, ma sono troppe le differenze sul territorio. Il presidente Luciano Lucania:

“Abbiamo una sanità penitenziaria con venti forme diverse. Il problema investimenti certamente è un problema che può e che deve essere affrontato. Ma, fondamentalmente, quello che deve cambiare è la cultura della salute in carcere: da un qualcosa di nascosto, da un qualcosa di riservato - da un qualcosa che è stato per oltre un secolo e mezzo una “proprietà” del Ministero della giustizia - a una situazione nuova, voluta dalla legge, per cui la salute dentro il carcere è una proprietà di tutti”.

Insomma, è anche necessaria più collaborazione tra i ministeri della Giustizia e della Salute.

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Matrimoni in calo, civili superano religiosi al Nord e al Centro

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Nozze in calo in Italia: al di sotto delle 200 mila quelle celebrate nel 2013, pari a circa un quinto rispetto a 5 anni fa. Lo rivela uno studio dell’Istat pubblicato oggi. I matrimoni contratti con solo rito civile superano di poco quelli religiosi, tranne che nel Sud. Il servizio di Adriana Masotti

Nuovo calo dei matrimoni in Italia a conferma della tendenza alla diminuzione in atto dal 2008: per la prima volta, nel 2013, il numero scende sotto quota 200 mila. Per l’esattezza, 194.057 matrimoni, 13.081 in meno rispetto all’anno precedente. Il dossier dell’Istat rileva che a diminuire sono soprattutto le prime nozze tra sposi di cittadinanza italiana: 145.571 celebrazioni nel 2013, mentre i matrimoni in cui almeno uno dei due sposi è di cittadinanza straniera, dopo il recupero del 2012, scendono di nuovo tornando al livello di circa 26 mila, ma ancora di più calano le nozze tra stranieri.

Per i  matrimoni misti, cioè quelli in cui un coniuge è italiano e l'altro straniero, che ammontano a 18.273 nel 2013, la tipologia prevalente è quella in cui è la sposa ad essere di cittadinanza straniera: una su due è cittadina di un Paese dell'Est Europa. Diminuiscono anche i secondi matrimoni, prosegue l’Istat, ma il ritmo della flessione è più contenuto di quello delle prime nozze. Nel 2013, sono state celebrate con rito religioso 111.545 nozze, oltre 44 mila in meno negli ultimi 5 anni. I matrimoni celebrati con il solo rito civile sono stati 82.512: la loro quota sul totale raggiunge il 42,5% del 2013, era il 36,8 nel 2008. Sia al Nord (55%) che al Centro (51%), i matrimoni con rito civile superano quelli religiosi.

Dunque, ci si sposa sempre di meno. La riflessione di mons. Sergio Nicolli, parroco a Rovereto, Trento, già direttore dell’Ufficio pastorale Famiglia della Conferenza episcopale italiana:

R.  – E’ un dato, questo del calo dei matrimoni, che sicuramente ci preoccupa.  Molta gente non si sposa più né in Chiesa né in Comune e quindi vive la relazione di coppia come un fatto totalmente privato al di fuori anche di ogni regolamentazione di tipo civile. Questo sicuramente è un dato che è sintomo di una cultura che sempre di più è proiettata sul privato. E’ un calo costante, lo rilevo anche qui nella mia zona. Io credo che dovremo prepararci anche a un calo che continuerà nei prossimi anni. Sicuramente, su questo dobbiamo impegnarci di più sia come Chiesa ma direi soprattutto come comunità civile ad aiutare a cogliere la famiglia come un fatto che ha una rilevanza pubblica e quindi il matrimonio come un impegno di fronte alla società. E qui bisogna intervenire soprattutto sulla fase dell’adolescenza, sull’educazione affettiva e sessuale: aiutare gli adolescenti perché capiscano che quando cominciano a vivere questo tipo di relazione, si innamorano, etc., aiutarli a capire che sta accadendo qualcosa di importante che non è rilevante solo per loro individualmente, ma è rilevante anche per la loro vita all’interno di una società e che quindi si preparino a vivere questa realtà come assunzione di una responsabilità nei confronti di una società. Se poi sono credenti, anche nei confronti della comunità cristiana.

D. – Sia al Nord che al Centro Italia i matrimoni civili superano quelli religiosi. Non così al Sud. In che modo, secondo lei, questo dato interpella la Chiesa?

R. – Anche questo è un dato che era prevedibile, a cui siamo preparati da tempo, soprattutto se noi facciamo un confronto tra quella che è la partecipazione liturgica, i cosiddetti praticanti: è una percentuale molto bassa, si va da realtà diocesane in cui arriviamo fino al 10% ad altre realtà dove si arriva al 20. Però, ci sono ancora molti che nonostante questo sono battezzati, si sposano in Chiesa, fanno battezzare i figli e questo arriva ancora quasi al 50%. Credo che dobbiamo lavorare soprattutto su questa zona molto vasta.

D.  – Lei dice: guardando ai numeri dei cristiani che frequentano le chiese, i matrimoni celebrati religiosamente sono ancora tanti…

R.  – Sì, tanti. Ma dobbiamo aspettarci che questo calo continui. Però, nello stesso tempo, dobbiamo impegnarci perché, per i matrimoni religiosi che vengono celebrati con persone che non frequentano più la Chiesa – percorso che chiediamo, ormai come una cosa imprescindibile per prepararsi al matrimonio – diventi un tempo in cui si fa un progetto di vita nel quale la fede, l’appartenenza alla Chiesa, diventi significativa.

D. – In sintesi, quello che preoccupa la Chiesa non è il numero, ma piuttosto la qualità?

R.  – La qualità: direi proprio di sì. Io sono convinto che domani una qualità migliore, che possiamo già riscontrare oggi in molte coppie, in molte famiglie, quando cresceranno le famiglie che vivono una realtà di matrimonio nella fede, queste diventeranno contagiose rispetto ad altri che ormai pensano che sposarsi sia una cosa un po’ fuori moda e basta mettersi insieme e andare avanti. Io sono convinto di questo. E’ la qualità che convince, non la quantità.

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Cinema. "Gemma Bovery" apre il 32.mo Torino Film Festival

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E’ stata presentata la 32.ma edizione del Torino Film Festival, che si svolgerà nel capoluogo piemontese dal 21 al 29 novembre, diretto per la prima volta da Emanuela Martini. Si aprirà con “Gemma Bovery”, una bella commedia di Anne Fontaine, e proseguirà poi con tanti titoli e tanti nomi capaci di incuriosire il pubblico degli appassionati e soprattutto quello entusiasta dei giovani. Il servizio di Luca Pellegrini

Il Torino Film Festival prosegue la sua storia di manifestazione dai molti sguardi e dai contenuti d’autore, senza abdicare alla curiosità dei nomi e dei titoli scelti, al suo gusto cinefilo, all'attenzione principalmente rivolta ai giovani, che affollano sempre numerosissimi le sale. Una vera kermesse: 65 lungometraggi opere prime e seconde, molte anteprime, sezioni dai titoli accattivanti come "Festa mobile", "Diritti e rovesci", “After hours", "Onde, onde", che si affiancano al tradizionale Concorso in cui emergeranno sicuramente sorprese e passioni. Emanuela Martini da quest'anno dirige il Festival torinese, che custodisce le caratteristiche dei precedenti direttori con i quali ha avuto la fortuna di collaborare. Le ricorda così:

R. – Di Nanni Moretti, sicuramente il rigore e l’ostinazione con cui ha deciso che il Torino Film Festival dovesse restare un Festival con una grossa identità, restare cioè un Festival diretto alla scoperta, all’invenzione, ai nuovi talenti. Di Gianni Amelio, la passione cinefila, ovviamente, che non si rivolge soltanto al cinema del passato, ma si rivolge anche al cinema del futuro: la maniera cioè di guardare con grande entusiasmo cinefilo. Di Paolo Virzì, l’intelligenza con cui ha sottolineato che il Torino Film Festival ha anche una anima pop, pop alto, pop positivo, cultura popolare alta.

D. – Mentre la sua caratteristica di direttore?

R. – Condivido anche alcune delle caratteristiche dei tre direttori precedenti e sicuramente la curiosità che, grazie al cielo, continuo ad avere, nonostante siano molti anni che faccio il critico e la voglia di scoprire ancora qualcosa.

D. –  Un Festival sempre amato dai giovani. Perché?

R. – Non lo so… Probabilmente, proprio perché c’è veramente il miscuglio giusto di cose. Per esempio, la cosa che appassiona i giovani a Torino – una cosa che a me personalmente fa molto piacere – sono le retrospettive. Poi, i giovani vanno a vedere i film di giovani volentieri, ovviamente, e secondo me hanno capito che se perdono un film grosso, perché non riescono a entrare, si buttano nella sala di fianco dove c’è un film del quale non hanno mai sentito parlare e magari scoprono qualcosa…

D. –  Paolo Virzì ha scelto i film della sua sezione dedicandola alle problematiche del mondo del lavoro, mentre Massimo Causo ha collezionato una serie di opere e documentari che affrontano le prospettive della democrazia oggi. Il Festival è legato alla realtà del mondo?

R. – Ha sempre guardato al reale e al sociale e infatti ha una grossa parte che è esplicitamente dedicata al documentario. Poi, lo sappiamo che ormai le sovrapposizioni e gli sconfinamenti tra documentario e finzione sono all’ordine del giorno, ovunque. Addirittura, in Italia è già da alcuni anni che si dice che è dal documentario che stanno venendo fuori le forze più giovani e più interessanti anche per il cinema di finzione. La democrazia è sicuramente nell’aria: il lavoro non c’è ed è perciò nell’aria. Quindi, vuol dire che a Torino c’è sempre stata molto questa valenza sul reale.

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Nella Chiesa e nel mondo



Messaggio vescovi europei per 100.mo della I Guerra Mondiale

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“Il nostro pellegrinaggio a Verdun ci rende, come vescovi, più risoluti nel nostro impegno per aiutare l’Europa a ritrovare le radici della propria identità, ad apprezzare di nuovo i valori — molti dei quali sono profondamente cristiani — che la costituiscono come comunità e a promuovere un futuro dove regnino la pace e la giustizia per tutti i cittadini europei e per il mondo. Ispirato dalla gioia del Vangelo, il nostro incontro si è chiuso con una speranza. La speranza di un futuro pacifico per l’intera umanità”. Si conclude così il messaggio finale che il cardinale arcivescovo di München und Freising, Reinhard Marx, presidente della Conferenza degli episcopati della Comunità europea (Comece), ha letto ieri al termine del pellegrinaggio compiuto dai presuli europei a Douaumont e a Verdun, in Francia, nell’ambito delle iniziative per commemorare il centesimo anniversario dell’inizio della I Guerra Mondiale.

“Per l’esperienza acquisita nelle nostre Chiese in tutta Europa — si legge nel documento ripreso dall'Osservatore Romano — siamo consapevoli di venire da Paesi, alcuni dei quali, un secolo fa ma anche più recentemente, sono spesso entrati in guerra gli uni contro gli altri. Ci ricordiamo umilmente come anche uomini di Chiesa abbiano ceduto al fuoco del conflitto e alla passione nazionalista: si tratta di un ricordo tinto di rammarico e di vergogna. Ma ci ricordiamo anche il modo stoico, costante, con il quale Papa Benedetto XV si è espresso a favore della cessazione dei conflitti armati e ha promosso la pace».

Il card. Marx ricorda inoltre «con gratitudine» la realizzazione del progetto europeo e come i padri fondatori dell’Unione europea e coloro che li hanno ispirati nel corso degli anni abbiano contribuito alla pace e alla comprensione fra le nazioni che «così spesso in passato hanno fatto ricorso ai conflitti armati e vi fanno ricorso ancora oggi per risolvere le loro controversie”.

La commemorazione a Verdun (teatro nel 1916 di una delle più lunghe e cruente battaglie della storia) è cominciata all’ossario di Douaumont dove i presuli della Comece e del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee) — rappresentato dal cardinale arcivescovo di Sarajevo, Vinko Puljic — hanno tenuto cerimonie di preghiera (in cinque lingue) prima fra le tombe dei soldati caduti, poi nel cimitero militare e nella cappella dell’ossario dove riposano 130mila militi ignoti e dove sono state deposte candele votive.

Si sono quindi recati nella cattedrale di Verdun per la recita dei vespri e un breve discorso pronunciato dal card. Marx. Alle cerimonie hanno partecipato fra gli altri l’arcivescovo di Strasburgo, Jean-Pierre Grallet, l’arcivescovo di Lussemburgo, Jean-Claude Hollerich, e il vescovo di Verdun, Jean-Paul Gusching. «Facciamo memoria — si afferma nel messaggio finale — di coloro che sono morti e di coloro che sono ancora segnati dal ricordo della perdita di innumerevoli vite umane causata da questo conflitto: quasi un milione di soldati sono deceduti nella battaglia di Verdun. Una volta ancora siamo colpiti dalla pura follia della guerra e dalla rovina che provoca. Se all’alba del ventesimo secolo i destini delle nazioni in Europa fossero stati intrecciati, la prima guerra mondiale non ci sarebbe stata». (L.Z.)

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Usa: famiglia e libertà religiosa alla Plenaria dei vescovi

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Si sono aperti lunedì a Baltimora con un breve intervento del nunzio apostolico Carlo Maria Viganò, i lavori della sessione autunnale della Conferenza episcopale degli Stati Uniti che proseguirà fino a domani. Una giornata intensa dedicata a diversi temi importanti all’ordine del giorno dell’Assemblea. Tra questi le conclusioni del recente Sinodo straordinario sulla famiglia; i preparativi dell’Incontro Mondiale delle famiglie a Philadelphia nel 2015; due relazioni sulle attività svolte nel corso dell’anno dal Sotto-Comitato episcopale per la promozione e la difesa del matrimonio e dalla Commissione ad hoc per la libertà religiosa; il punto sul piano strategico quadriennale dell’episcopato intitolato “La nuova evangelizzazione: fede, culto e testimonianza” e l’accesso all’educazione cattolica delle comunità svantaggiate.

Al tema della famiglia è stata dedicata ampia parte della prolusione del presidente della Usccb mons. Joseph Kurtz, che ha ribadito quanto emerso dal Sinodo circa la necessità di una Chiesa capace di accompagnare le famiglie: “Dobbiamo soprattutto cercare coloro che soffrono sotto il peso delle difficoltà incontrate dalle famiglie di oggi – ha detto l’arcivescovo di Louisville - ricordando di guardare prima alle persone, camminare con loro e indicare loro la via verso Dio”. Un approccio, ha sottolineato, che “non è in contrasto con gli insegnamenti della Chiesa”, ma una loro affermazione. “La nostra chiamata come vescovi — ha concluso mons. Kurtz — è quella di portare la Buona Notizia agli altri come veri discepoli missionari, ispirando loro ad andare avanti e a fare lo stesso”.

Sulla stessa linea l’intervento di mons. Salvatore Cordileone che, nella sua relazione sulle attività svolte nell’anno dal Sotto-Comitato per la promozione e la difesa del matrimonio da lui presieduto, ha esortato i confratelli a non farsi intimidire dalle sfide poste dalle minacce che oggi insidiano l’istituto matrimoniale, ma a prendere l’esempio di Papa Francesco facendo progredire la “cultura dell’incontro, dell’accompagnamento e della testimonianza”.

Nella stessa giornata di lunedì l’Assemblea ha ascoltato la relazione di mons. William Lori, presidente della Commissione per la libertà religiosa. Il presule ha annunciato che nei prossimi tre anni la Commissione focalizzerà la sua attenzione sulla divulgazione degli insegnamenti della Chiesa e intensificherà la collaborazione su questo fronte con le associazioni e i gruppi laicali e con altre Chiese e confessioni religiose. Inoltre ha reso noto che la prossima edizione della “Fortnight for Freedom”, l’annuale Campagna per la libertà religiosa organizzata dalla Usccb alla fine di giugno, sarà dedicata nel 2015 alla Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa “Dignitatis Humanae”, nel 50° della sua pubblicazione.

L’Assemblea è stata inoltre aggiornata dall’arcivescovo di Philadelphia sui preparativi dell’Incontro mondiale delle famiglie del settembre prossimo. All’evento sono attesi 15mila partecipanti da tutti gli Stati Uniti.

Oggi i lavori proseguono, tra l’altro, con l’esame di una proposta di aggiornamento delle direttive etiche e religiose dei vescovi per gli operatori sanitari cattolici e l’approvazione del bilancio 2015. (A cura di Lisa Zengarini)

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Burkina Faso: Chiesa fiduciosa sul passaggio dei poteri ai civili

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“I militari sono certamente disposti a restituire il potere ad un governo civile di transizione. È dunque un bene che ci sia una Carta che regoli il periodo transitorio” afferma mons. Paul Yembuado Ouédraogo, arcivescovo di Bobo-Dioulasso e presidente della Conferenza episcopale del Burkina Faso e del Niger, in un’intervista a Rfi.

La Carta di transizione, una sorte di Costituzione provvisoria che fornirà il quadro istituzionale per i prossimi 12 mesi, fino alle elezioni del 2015, è stata approvata dai rappresentanti della politica, della società civile e delle comunità religiose, domenica scorsa. Il testo della Costituzione provvisorio è ora all’esame della giunta militare, guidata dal Tenente Colonnello Isaac Zida, che ha assunto il potere il 1° novembre all’indomani delle dimissioni del Presidente Blaise Compaoré. Al termine di questo processo, i militari dovrebbero riconsegnare il potere ai civili, anche perché sul Paese incombe la minaccia delle sanzioni dell’Unione Africana, nel caso in cui i militari non dovessero farlo.

Il problema, come dice mons. Ouédraogo, è trovare “l’uccello raro”, ovvero “l’uomo o la donna in grado di attirare il consenso di tutti, che dovrà gestire la transizione”. “Sono comunque fiducioso” aggiunge il presidente della Conferenza episcopale. Nei giorni scorsi era stata avanzata l’ipotesi di affidare ad un vescovo cattolico la carica di “Presidente della transizione”, ma a norma del Diritto Canonico per un ecclesiastico non è possibile assumere cariche politiche o sindacali.

“Abbiamo un certo numero di tecnocrati che hanno lavorato per questo Paese in quanto tecnocrati, e meno come militanti”, durante i 27 anni di governo di Compaoré. A questo proposito mons. Ouédraogo ritiene che occorre integrare nel processo di ricostruzione del Paese anche i membri dell’ex maggioranza presidenziale, perché “ non costruiremo il Burkina contro di loro. Lo faremo insieme, ciascuno naturalmente convertendosi al bene comune e della nazione. Ciascuno deve operare le necessarie forme di conversione per offrire l’immagine di una nazione riconciliata che si costruisce nella pace e nella giustizia”. (R.P.)

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Zambia. Funerali del Presidente Sata: appello della Chiesa all'unità

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Un appello ai leader politici dello Zambia perché mantengano unito il Paese anche durante la prossima campagna elettorale è stato lanciato dall’arcivescovo cattolico di Lusaka, mons. Telesphore Mpundu, durante la Messa funebre per il Presidente Michael Sata, morto il 28 ottobre.

Migliaia di persone - riferisce l'agenzia Misna - hanno seguito la processione funebre e affollato lo stadio National Heroes dove si è tenuta la cerimonia, a cui erano presenti numerosi Capi di Stato africani: Uhuru Kenyatta del Kenya, Robert Mugabe dello Zimbabwe, Armando Guebuza del Mozambico, Hery Rajaonarimampianina del Madagascar e Hifikepunye Pohamba della Namibia.

Altri governi, africani e non solo, hanno inviato delegazioni di alto livello. Lunedì scorso erano state le istituzioni statali a rendere omaggio a Sata con una cerimonia in Parlamento a cui hanno partecipato tra gli altri il fondatore dello Zambia indipendente, Kenneth Kaunda e il predecessore di Sata, Rupiah Banda.

Ricordando il defunto Presidente, mons. Mpundu – riferisce l’agenzia Misna - ha fatto appello ai suoi aspiranti successori, chiedendo che rifiutino qualsiasi forma di violenza e che nella campagna elettorale a confrontarsi siano solo le idee. Pace e unità, ha ricordato il presule, sono ciò di cui lo Zambia ha bisogno per proseguire sulla strada dello sviluppo. L’arcivescovo si è infine rivolto ai politici più giovani, incoraggiandoli a lavorare duramente e a compiere una carriera al servizio del popolo prima di aspirare alle massime cariche. (L.Z.)

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Malawi. I vescovi: la gente muore per mancanza di medicine

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“La gente muore per la mancanza di medicine e di assistenza sanitaria, perché non ci sono fondi sufficienti da destinare alla sanità” dice all’agenzia Fides mons. Joseph Mukasa Zuza, vescovo di Mzuzu e presidente della Conferenza episcopale del Malawi, a Roma per la visita ad limina. È una delle conseguenze più terribili del cosiddetto “cashgate”, lo scandalo che ha travolto buona parte dell’amministrazione statale e della politica del Malawi, provocato dalla malversazione dei fondi donati dalla comunità internazionale (in particolare dall’Unione Europea) che coprivano il 40% del bilancio statale

“A causa del cashgate – spiega il vescovo - i nostri partner internazionali hanno bloccato l’invio di ulteriori fondi, fino a quando non saranno sicuri che il denaro da loro versato sia utilizzato per i fini ai quali è destinato”.

“Il settore più colpito dalla mancanza degli aiuti dei nostri donatori è quello sanitario. Alcuni farmaci diventano sempre più costosi e non ci sono risorse per acquistarli. Ci sono persone che muoiono per la mancanza di cure adeguate” sottolinea il presidente della Conferenza episcopale.

“La Chiesa fa quello che può per aiutare i più bisognosi, ma anche noi siamo dipendenti dagli aiuti esterni e non possiamo far fronte a tutte le necessità, visto che lo Stato stesso non è in grado di farlo” conclude mons. Zuza.

In una nota inviata a settembre all’agenzia Fides padre Piergiorgio Gamba scriveva che a causa della mancanza di aiuti stranieri “640.000 abitanti non avranno cibo a sufficienza visto lo scarso raccolto. Il 25% della popolazione vive nell’estrema povertà, con meno di un dollaro al giorno, quindi senza nemmeno la possibilità di avere cibo a sufficienza. Il 17% degli estremamente indigenti vive nelle città e il 57% nelle campagne”. L’inchiesta giudiziaria ha finora accertato la scomparsa di più di 30 milioni di dollari. Dal settembre 2013, quando è scoppiato lo scandalo, ad oggi, almeno 70 persone sono state arrestate in relazione al cashgate. (R.P.)

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Pakistan: Stato restituisce alla Chiesa scuola di San Francesco

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L’arcidiocesi di Lahore ha ottenuto la restituzione della scuola San Francesco, tra le proprietà nazionalizzate in passato dal governo pakistano. Come riferisce l’agenzia Fides, la controversia era una ferita aperta e nei mesi scorsi si erano susseguite la manifestazioni per chiederne la restituzione.

Il bene conteso è l’appezzamento dove sorge la scuola San Francesco, nella zona di Anarkali, a Lahore. Nella vicenda, notano fonti di Fides, si incrociavano interessi di politici e speculazioni immobiliari che spesso hanno riguardato le proprietà dei cristiani, come chiese, scuole e ospedali nel Punjab. A giugno scorso l’arcivescovo Shaw aveva affrontato la questione con il Premier pakistano Nawaz Sharif, ottenendo la promessa di una soluzione positiva della vicenda.

Esprimendo ora soddisfazione per l’esito positivo, padre Andrew Nisari, vicario generale di Lahore, ha ricordato “il prezioso ruolo svolto dai cristiani nel campo dell’istruzione in Pakistan” e che “la maggioranza della leadership politica pakistana ha acquisito l'istruzione in istituti cattolici”.

La proprietà della scuola superiore San Francesco, fondata nel 1842, fu assunta dal governo pakistano nel 1972 come parte della politica dell’allora Presidente Ali Bhutto che, per motivi economici, decise di nazionalizzare scuole, università e ospedali tenuti dai cristiani nel Paese. Nel 2004 il Presidente Pervez Musharraf avviò la restituzione di tali beni e 16 scuole tornarono sotto il controllo dell’arcidiocesi di Lahore, tranne la scuola San Francesco. Dopo altri dieci anni, la positiva conclusione della vicenda. (R.P.)

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Bolivia: messaggio dei vescovi sull'Eucarestia

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“L’Eucaristia, fonte di fraternità” è il tema del messaggio al popolo di Dio che i vescovi della Bolivia hanno pubblicato a conclusione dell’Assemblea della Conferenza Episcopale. Nel testo, diviso in due parti, i vescovi propongono una riflessione ecclesiale (nella prima parte) e una presentazione delle sfide sociali (nella seconda).

“Si verificano casi, nella nostra società boliviana, in particolare riguardanti le donne, ingiustamente abbandonate dai loro partner o vittime di violenze e abusi da parte dei loro mariti o compagni – è scritto nel messaggio - . Come Chiesa vogliamo mostrare la nostra vicinanza fraterna a così tante persone che soffrono, tra coppie instabili e famiglie distrutte a causa della povertà e il peccato".

Riferendosi poi al prossimo Congresso Missionario Americano, auspicano: "Papa Francesco ci ricorda che l'Eucaristia è necessaria per la missione e che la missione senza la comunione fraterna non è possibile. Possa lo Spirito presente in ogni Eucaristia guidarci nel lavoro di preparazione del V Congresso Missionario Americano e X Missionario Latinoamericano, (Cam5-Comla10), che si terrà a Santa Cruz nel 2018".

Riguardo ai servizi sociali, i vescovi chiedono alle autorità dello Stato “di rispettare il proprio dovere di sostenere queste opere per i più poveri". Ribadiscono quindi la volontà di dialogo con il governo: "Apprezziamo la vicinanza di Papa Francesco al popolo della Bolivia e alla Chiesa, in occasione della partecipazione del Presidente al Forum dei Movimenti Popolari, quando (il Papa) ha accettato di riceverlo in privato, esprimendo la fiducia che questo gesto serva a migliorare le relazioni con la Chiesa. Ci auguriamo che questo incontro porti all’apertura coerente di un canale diretto di dialogo con la Conferenza Episcopale, come abbiamo chiesto in precedenti occasioni".

Nella seconda parte del messaggio, i vescovi esprimono soddisfazione per la crescita dell’inclusione sociale nel paese e della partecipazione democratica della popolazione alla vita politica. Allo stesso tempo ricordano le grandi sfide del paese e del governo: gli investimenti pubblici devono dare priorità ai più poveri nell’area della sanità, dell’assistenza sociale, della pubblica istruzione e dello sviluppo. (R.P.)

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Caritas Italiana: mons. Luigi Bressan nominato presidente

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Mons. Luigi Bressan, arcivescovo di Trento, è stato nominato oggi presidente della Caritas Italiana. Ad eleggerlo sono stati i vescovi italiani, riuniti ad Assisi per la terza giornata dell’Assemblea generale. Incarico, quello di presidente della Caritas, che mons. Bressan svolgeva già “ad interim” e che, com’è prassi, si assomma a quello di presidente della Commissione episcopale per la carità e la salute e della Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali.

Nato a Sarche, arcidiocesi di Trento, il 9 febbraio 1940, mons. Bressan è stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1964. Eletto arcivescovo titolare di Severiana e nominato pro-nunzio apostolico in Pakistan il 3 aprile 1989, è stato ordinato vescovo il 18 giugno 1989, nunzio apostolico in Thailandia il 26 luglio 1993 e arcivescovo di Trento il 25 marzo 1999. È vicepresidente della Conferenza episcopale triveneta. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 316

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.