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Sommario del 14/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: di fronte alla crisi, guardare l'uomo non la burocrazia

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Nell’attuale situazione di crisi è più che mai necessario andare incontro alle persone, facendo valere “le ragioni della dignità umana di fronte alle rigidità della burocrazia”: è quanto ha detto il Papa incontrando nell’Aula Paolo VI in Vaticano i partecipanti al Congresso mondiale dei commercialisti. Il servizio di Sergio Centofanti

Oggi – ha detto subito il Papa – il lavoro è la questione chiave: siamo di fronte alla “drammatica realtà di tante persone che hanno un’occupazione precaria, o che l’hanno perduta; di tante famiglie che ne pagano le conseguenze; di tanti giovani in cerca di un primo impiego e di un lavoro dignitoso. Sono numerosi coloro, specialmente immigrati, che, costretti a lavorare ‘in nero’, mancano delle più elementari garanzie giuridiche ed economiche”.

In questo contesto – ha proseguito – “è più forte la tentazione di difendere il proprio interesse senza preoccuparsi del bene comune, senza badare troppo alla giustizia e alla legalità. Perciò è richiesto a tutti, specialmente a quanti esercitano una professione che ha a che fare con il buon funzionamento della vita economica di un Paese, di giocare un ruolo positivo, costruttivo, nel quotidiano svolgimento del proprio lavoro, sapendo che dietro ogni carta c’è una storia, ci sono dei volti”. In tale impegno, il professionista cristiano fa bene il proprio dovere, con la capacità di “andare oltre”:

” … che significa andare incontro alla persona in difficoltà; esercitare quella creatività che ti permette di trovare soluzioni in situazioni bloccate; far valere le ragioni della dignità umana di fronte alle rigidità della burocrazia”.

E’ necessario – ha osservato ancora il Papa – “porre sempre al centro l’uomo con la sua dignità, contrastando le dinamiche che tendono ad omologare tutto e pongono al vertice il denaro:

“Quando il denaro diventa il fine e la ragione di ogni attività, di ogni iniziativa, allora prevalgono l’ottica utilitaristica e le logiche selvagge del profitto che non rispetta le persone, con la conseguente diffusa caduta dei valori della solidarietà e del rispetto per la persona umana. Quanti operano a vario titolo nell’economia e nella finanza, sono chiamati a fare scelte che favoriscano il benessere sociale ed economico dell’intera umanità, offrendo a tutti l’opportunità di realizzare il proprio sviluppo”.

Papa Francesco incoraggia, quindi, i commercialisti ad operare sempre responsabilmente, favorendo rapporti di lealtà, di giustizia e, se possibile, di fraternità, affrontando con coraggio soprattutto i problemi dei più deboli e dei più poveri:

“Non basta dare risposte concrete ad interrogativi economici e materiali; occorre suscitare e coltivare un’etica dell’economia, della finanza e del lavoro; occorre tenere vivo il valore della solidarietà – questa parola che ha il rischio di essere cacciata via dal dizionario, oggi: la solidarietà … – la  solidarietà come atteggiamento morale, espressione dell’attenzione all’altro in ogni sua legittima esigenza”.

Occorre “una globalizzazione della solidarietà” – conclude il Papa - in armonia con la sussidiarietà: “Grazie all’effetto di questi due principi i processi vanno a servizio dell’uomo e cresce la giustizia, senza la quale non ci può essere pace vera e duratura”.

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Francesco: dare ai ragazzi esempi di fede, non parole

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Per trasmettere la fede a bambini e giovani di oggi, e aiutarli a fare esperienza “della verità e dell’amore”, gli adulti devono offrire loro esempi più che tante parole. Lo ha affermato Papa Francesco durante l’omelia della Messa in Casa Santa Marta, alla quale era presente un nutrito gruppo di bambini e adolescenti di una parrocchia romana. Il servizio di Alessandro De Carolis

Come si trasmette la fede ai nativi digitali? Con la modalità che più di altre può far presa su chi vive costantemente stimolato dalle immagini: l’esempio. Nel giorno in cui una parte dei banchi della cappella di Casa Santa Santa Marta sembra una Gmg in miniatura – con un gruppo di ragazzini di una parrocchia romana che dopo la timidezza iniziale si scioglie in un vivace botta e risposta con il Papa – Francesco si cala nei panni del catechista e contemporaneamente del formatore dei catechisti. Sembra di essere alla “Messa dei ragazzi”, dice, e guardare ai ragazzi, prosegue, “è guardare a una promessa, è guardare al mondo che verrà”. Ma al nostro futuro, si chiede, “cosa lasciamo?”:

“Insegniamo quello che abbiamo sentito nella Prima lettura: camminare nell’amore e nella verità? O lo insegniamo con le parole, ma la nostra vita va da un’altra parte? Ma per noi guardare i ragazzi è una responsabilità! Un cristiano deve prendersi cura dei ragazzi, dei bambini e trasmettere la fede, trasmettere quello che vive, che è nel suo cuore. Noi non possiamo ignorare le piantine che crescono!”.

Tutto, afferma Papa Francesco, dipende dall’assumere il giusto atteggiamento verso i ragazzi. E “com’è – si chiede ancora – il mio atteggiamento? E’ un atteggiamento di fratello, di padre, di madre, di sorella, che lo fa crescere o è un atteggiamento di distacco: “loro crescono, io faccio la mia vita…?”:

“Tutti noi abbiamo una responsabilità di dare il meglio che noi abbiamo e il meglio che noi abbiamo è la fede: darla a loro, ma darla con l’esempio! Con le parole non serve, con le parole… Oggi, le parole non servono! In questo mondo dell’immagine, tutti questi hanno il telefonino e le parole non servono… Esempio! Esempio! Cosa do loro?”

A questo punto, il dialogo decolla. Il Papa comincia a chiedere ai ragazzi il perché del loro essere a Messa e qualcuno dopo un po’ prende coraggio e ammette: “Per vederti…”. Papa Francesco ricambia – “anche a me – replica – piace vedere voi” – quindi si informa se abbiano ricevuto chi la Prima Comunione, chi la Cresima e ripete a tutti che il Battesimo “apre la porta alla vita cristiana” e che, subito dopo, inizia un “cammino lungo tutta una vita”. Il percorso descritto dal brano della Lettera di Giovanni ascoltato poco prima: “Camminare nella verità e nell’amore”. Più avanti, indica il Papa, arriveranno altri Sacramenti come il matrimonio. Ma questo cammino, ribadisce, “è importante saperlo vivere, saperlo vivere come Gesù”:

“In questi Sacramenti – vi domando – la preghiera è un Sacramento?... Forte!… No! E’ vero, no! La preghiera non è un Sacramento, ma dobbiamo pregare. Non sapete se dovete pregare? Ecco, bene… Sì! Pregare il Signore, pregare Gesù, pregare la Madonna, perché ci aiutino in questo cammino della verità e dell’amore. Avete capito? Siete venuti per vedermi, chi lo aveva detto di voi? Tu. E’ vero. Ma anche per vedere Gesù. D’accordo? O lasciamo da parte Gesù? (bambini: ‘No!’). Adesso, viene Gesù sull’altare. E lo vedremo tutti! E’ Gesù! In questo momento dobbiamo chiedere a Gesù che ci insegni a camminare nella verità e nell’amore. Lo diciamo insieme? (tutti insieme) ‘Camminare nella verità e nell’amore’”.

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Papa incontra presidente del Perù, colloqui su sviluppo e ambiente

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Un confronto sui temi dello sviluppo e dell’ambiente hanno caratterizzato, tra gli altri, il colloquio privato tra Papa Francesco e il presidente della Repubblica peruviana, Ollanta Moisés Humala Tasso. In una nota ufficiale, si precisa che i cordiali colloqui si sono soffermati “sul ruolo peculiare del cristianesimo nella formazione dell’identità del Paese” e “sul contributo che la Chiesa cattolica ha dato e continua ad assicurare in favore del progresso umano, sociale e culturale della popolazione”. Infine, conclude la nota, “c’è stato uno scambio di vedute sulla situazione politica e sociale della Regione, con attenzione agli sforzi volti a favorire lo sviluppo integrale e la tutela dell’ambiente”.

Come di consueto, dopo l’udienza con il Papa, il capo di Stato del Perù si è intrattenuto a colloquio con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, insieme con l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. (A.D.C.)

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Il programma del viaggio del Papa in Sri Lanka e Filippine

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Otto giorni di viaggio, due Paesi visitati e un salto fino a otto fusi orari. E’ questo che attende Papa Francesco per il suo secondo ritorno in Estremo Oriente, quando dal 12 al 19 gennaio sarà in visita prima in Sri Lanka e poi nelle Filippine. Il volo papale atterrerà nella capitale srilankese di Colombo la mattina del 13 gennaio e i primi incontri il Papa li avrà con i vescovi locali e i leader di altre religioni, oltre che con il capo di Stato.

Evento centrale del giorno dopo sarà la cerimonia di Canonizzazione di Giuseppe Vaz – primo Beato dell’India e missionario nell’antica Ceylon dove nel ‘700 tradusse il Vangelo in cingalese e tamil – quindi nel tardo pomeriggio del 15 gennaio, Papa Francesco lascerà Colombo per atterrare alla base aerea “Villamor” di Manila.

La mattina seguente, il Papa avrà incontri con le autorità filippine, il Corpo diplomatico e celebrerà la Messa nella Cattedrale dell’Immacolata Concezione, mentre nel pomeriggio riceverà l’abbraccio delle famiglie del Paese.

Sabato 17 gennaio è in programma un altro degli eventi clou del viaggio, l’incontro a Tacloban con i superstiti del catastrofico tifone Haiyan, che nel novembre di un anno fa fece ottomila vittime tra morti e dispersi. Papa Francesco celebrerà la Messa, incontrerà clero e religiosi, quindi rientrerà a Manila, dove domenica 18 gennaio concluderà la visita nelle Filippine incontrando i giovani e presiedendo la Messa al “Rizal Park” di Manila.

Alle 10, ora di Manila, di lunedì 19 gennaio il volo papale decollerà alla volta di Roma per il lungo volo di ritorno che si concluderà verso le 17.40 all’aeroporto di Ciampino. (A cura di Alessandro De Carolis)

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In udienza dal Papa il card. Pell e il rettore della Cattolica

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata. In successive udienze, il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, e il dott. Franco Anelli, Rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

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Congresso Movimenti. Card. Rylko: tappa verso maturità ecclesiale

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Si aprirà giovedì prossimo il terzo Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, promosso e organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici sul tema “La gioia del Vangelo: una gioia missionaria”. “Intendiamo essere protagonisti di una nuova tappa della missione evangelizzatrice della Chiesa, segnata dalla gioia, come vuole il Papa”. Così si è espresso oggi, presentando l’evento, il presidente del dicastero vaticano, il cardinale Stanisław Ryłko. Le aspettative dei Movimenti e delle Comunità sono state invece espresse da Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, e dal prof. Jean-Luc Moens, responsabile per le relazioni internazionali della "Communauté de l’Emmanuel". Il servizio di Gabriella Ceraso

Circa 300 partecipanti in rappresentanza di un centinaio di Movimenti e nuove Comunità ecclesiali del mondo si preparano a vivere dal 20 al 22 novembre la terza tappa di una “crescita verso la maturità ecclesiale”, iniziata nel 1998 e proseguita nel 2006. Così il cardinale Stanisław Ryłko ha definito il prossimo Congresso, inserendolo nel contesto ecclesiale scaturito dal Concilio Vaticano II e segnato tutt’oggi da entusiasmo e adesioni nonostante “il secolarismo dilagante”:

"Molti si chiedono come mai, in un mondo che in maniera così radicale rifiuta Dio, si trovano ancora tanti uomini e donne, adulti e giovani, che scoprono la gioia e la bellezza di essere cristiani e con tanto entusiasmo scelgono Cristo e il suo Vangelo come bussola sicura della loro esistenza... È veramente grande la varietà e la ricchezza dei nuovi carismi che lo Spirito Santo elargisce alla Chiesa dei nostri tempi, dai quali nascono tanti Movimenti ecclesiali e nuove Comunità, che propongono itinerari pedagogici di iniziazione cristiana di stupefacente efficacia, capaci di cambiare la vita delle persone e di svegliare in esse uno straordinario slancio evangelizzatore. Sorprende la loro fantasia missionaria, la capacità di trovare modi e vie sempre nuovi di testimonianza e di annuncio del Vangelo".

Novità di quest’anno è l’ispirazione, nata dall’Esortazione apostolica "Evangelii Gaudium" di Papa Francesco e dalla sua idea di Chiesa di cui i Movimenti, ha sottolineato il porporato, vogliono essere gli attuatori. Il cardinale Rylko:

"Papa Francesco vuole una Chiesa 'in uscita' verso le periferie geografiche ed esistenziali del nostro mondo, una Chiesa particolarmente attenta e vicina a tutti i poveri, sofferenti ed esclusi - prodotto amaro della 'cultura dello scarto' oggi dominante... Ed è proprio questa la grande e fondamentale sfida che il popolo dei Movimenti  vuole accogliere durante questo terzo Congresso mondiale".

In questo quadro, ha precisato il segretario del Pontificio Consiglio per i laici, mons Josef Clemens, si sviluppano le tre giornate di lavori:

"In questo quadro generale, si collocano le tre giornate del nostro Congresso che intendono esplicitare il fondamento, le varie dimensioni e alcuni aspetti dell’impegno missionario. I relatori sono laici ed ecclesiastici, uomini e donne, e provengono da varie parti del mondo e alle loro relazioni seguirà sempre un ampio spazio per domande e interventi da parte dei partecipanti. Il carattere dell’evento sarà quello dell’incontro, del dialogo e del mutuo ascolto.

Citati da mons Clemens gli argomenti in programma: il contesto e i diversi aspetti dell’evangelizzazione,il dinamismo e la collaborazione tra carismi, il ruolo delle donne e i percorsi di inclusione dei poveri. Grandi le attese da parte dei partecipanti. Ciascuno darà il proprio contributo secondo i diversi carismi, ha detto Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari:

"Ci auguriamo che il prossimo Convegno, dando seguito a questa storia, segni un passo di maturità, cioè che riflessioni e confronto, comunione di successi e di sconfitte, di esperienze e di progetti, pongano le condizioni perché Dio, Signore della storia, possa trarre da esso non solo frutti di comunione e di arricchimento reciproco, ma il frutto di orientare maggiormente tutti, e tutti insieme, a guardare e a vivere sempre e con gioia rinnovata, per l’unico grande scopo della Chiesa di Cristo: 'Padre che siano una sola cosa… che tutti siano uno'. Questo è il 'sogno di Dio'. Speriamo di saper rispondere alle attese più profonde degli uomini e delle donne di oggi e contribuire a fare dell’umanità una sola grande famiglia".

“Vogliamo avanzare nel cammino di conversione pastorale”  che ci chiede il Papa, manifestare a Lui il nostro sostegno e soprattutto ci aspettiamo di fare un’esperienza di comunione, ha voluto ribadire il prof. Jean-Luc Moens, responsabile per le relazioni internazionali della Communauté de l’Emmanuel:

"Per noi, perciò, è molto interessante scoprire come lo Spirito Santo lavori negli altri. Il Congresso sarà un’occasione unica per fare questa reciproca scoperta, per ascoltarci, conoscerci meglio, condividere e scambiarci le rispettive esperienze, imparare gli uni dagli altri, creare dei legami. Potremmo così riassumere la nostra aspettativa riguardo a questo Congresso: speriamo di vivere un’esperienza di comunione con la Chiesa universale per essere rinnovati nello Spirito Santo per la missione".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Dietro ogni carta c'è un volto: il Papa ai commercialisti ed esperti contabili.

La giornata dei bambini: messa a Santa Marta.

L'Oriente che è in noi: Dimitrios Salachas sulla cura pastorale per i fedeli di rito non latino immigrati in Occidente.

Katia una e centomila: Anna Foa su "Forse Esther", un viaggio tra gulag e lager.

Un articolo di Carlo Petrini dal titolo "Il pendolo della bioetica": oscillazioni emotive nelle leggi sulla medicina.

Il piccolo Tibet: Francesco Scoppola alla scoperta dei tesori nascosti del Gran Sasso.

Un bene virale: Dario Edoardo Viganò sulla Chiesa e le pratiche di comunicazione.

Atlante immaginario: Claudio Toscani su nomi e luoghi di una geografia fantasma.

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Oggi in Primo Piano



Al via G20 sulla crescita. Focsiv: servono decisioni vincolanti

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Sarà dedicato principalmente alla crescita economica e all’occupazione il G20 che si terrà questo fine settimana in Australia. Nella due giorni che si apre domani, il leader delle maggiori potenze del mondo si confronteranno anche sui cambiamenti climatici, Ebola e sulle diverse crisi che scuotono la comunità internazionale. Molti anche i temi sui cui pone l’accento la società civile. Marco Guerra ne ha parlato con Gianfranco Cattai, presidente nazionale della Focsiv (Federazione degli organismi internazionali cristiani di volontariato): 

R. – Io vorrei partire con un esempio: Ebola. Ebola è sicuramente un tema di importanza internazionale, ma Ebola non dovrebbe portarci a pensare alla localizzazione e soprattutto a sostenere i sistemi sanitari locali, pubblici, cioè a fare interventi strutturali locali, e cioè a maggiore cooperazione? Queste cose le sappiamo. E’ facile, troppo facile, spesso gestirle sotto il capitolo “emergenza”, quando invece dovrebbero essere gestite sotto il capitolo “prevenzione”. E prevenzione vuol dire cooperazione.

D. – Il Papa ha detto che dietro le parole e i numeri ci sono persone, famiglie disoccupati, poveri e urgono anche decisioni contro il terrorismo, i commerci illegali, il degrado ambientale. Veramente vuole abbracciare tutti i temi e pone l’accento su tutte le crisi. Ma quali sono gli elementi di novità di questo G20?

R. – A proposito degli elementi di novità, uno degli argomenti che sicuramente verrà trattato è quello della corruzione, che noi trasformiamo in discorso dei paradisi fiscali. Io penso che, innanzitutto, al G20 bisognerebbe che fosse evidenziato che le scelte che vengono fatte, gli strumenti che vengono considerati, abbiano un carattere obbligatorio. Perché se è solo lasciato al campo delle buone intenzioni, non si può poi capire la conseguente correttezza dei comportamenti. Mi riferisco in particolare all’invito che i 70 vescovi del Sud del mondo hanno sollevato a proposito dei "paradisi fiscali" e a proposito di questo carattere obbligatorio delle scelte che dovrebbe assumere il G20. Non solo i 70 vescovi del Sud del mondo hanno firmato questo appello, ma è stato sottoscritto dalle Chiese europee. In particolare, come Focsiv, posso dire che è stato sottoscritto dal nostro coordinamento a livello internazionale.

D. – Quali sono gli auspici del mondo del volontariato, della società civile, alla vigilia dell’apertura di questo vertice?

R. – A proposito del Creato, ci pare che il tema sarà sollevato, ma in modo debole. Siccome sono, tra l’altro, i Paesi più produttori di emissione di carbonio che siedono attorno al tavolo, che assumessero delle posizioni coerenti proprio in sede di G20. Quindi, questo aspetto del clima e del rispetto del Creato è un tema che ci preoccupa particolarmente.

D. – Si rischia l’ennesimo vertice interlocutorio o la vostra speranza è che diventi una sorta di Consiglio che possa intervenire in maniera vincolante sulle crisi?

R. – Il precipitare degli eventi – Sua Santità parla di terza guerra mondiale, sia pure vissuta da isole differenti – dovrebbe spingere quello che da 20 anni stiamo invocando come ristrutturazione del sistema delle Nazioni Unite. Io penso si possa costruire, come molti pensatori sostengono, partendo da esperienze positive, non teorizzando dei sistemi. L’auspicio è che questo G20 dell’Australia possa essere vissuto come laboratorio di progettazione di un sistema internazionale, che funziona in un modo diverso.

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Continua a calare il Pil dell'Italia, va meglio il resto dell'Europa

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L’Italia fa ancora fatica, molta fatica, ad agganciare la crescita. Nel terzo trimestre del 2014 il prodotto interno lordo è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Vanno invece meglio Germania e Francia, e comunque tutto il resto della Ue. Alessandro Guarasci

Nel terzo trimestre, nell’Eurozona il Pil rialza timidamente la testa, con un incremento dello 0,2 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Dati moderamenti positivi che però lasciano fuori l’Italia. Nel terzo trimestre il Pil è calato dello 0,1% e se non il dato rimanesse nullo da qui a fine anno, nel 2014 risulterebbe in calo dello 0,3%. L’economia italiana in sostanza è tornata ai livelli del 2000. Nella Ue, assieme all’Italia, solo Cipro rimane negativa. Solo alcuni esempi: la Germania nel terzo trimestre è aumentata dello 0,1%, e la Francia dello 0,3%, ben oltre le aspettative. Sulle difficoltà dell’Italia sentiamo l’economista Angelo Baglioni:

R. – Sicuramente è un problema strutturale dell’Italia. C’è, però, anche un problema di politica fiscale restrittiva, che è stata portata avanti fino adesso. Questo governo sta un po’ invertendo la rotta, cercando nei limiti della politica e dei vincoli europei di fare una qualche manovra espansiva. Però, fino all’ultima manovra dello scorso anno, in vigore quest’anno, abbiamo avuto una politica restrittiva. Dopo di che, l’industria è molto focalizzata su settori tradizionali, con imprese medio-piccole che stentano ad innovare, con investimenti che non riprendono: né quelli domestici né quelli dall’estero.

D. – Secondo lei, decontribuzione per i neoassunti e calo della componente lavoro per quanto riguarda l’Irap, potranno in qualche modo dare un avvio ad un inizio di ripresa?

R. – Sicuramente sono un fattore positivo, come i famosi 80 euro in busta paga. Si va, diciamo, nella direzione giusta. Purtroppo le quantità in gioco sono ancora poche.

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Nato: sostegno all'Ucraina. Violenze a Lugansk: uccisa bimba

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La Nato “sostiene e sosterrà” la piena integrità e sovranità dell’Ucraina. Lo afferma, in un’intervista al Corriere della Sera, Jens Stoltenberg, da poche settimane segretario generale dell’Alleanza Atlantica. L’ex primo ministro norvegese, parlando anche alla stampa tedesca, ha riferito pure come la Russia abbia “portato in Ucraina, attraverso i confini, armi, strumenti bellici, artiglieria, carri armati e missili”. Mosca da giorni nega ogni responsabilità, mentre secondo i servizi segreti ucraini nel sud-est del Paese sarebbero già presenti almeno “7.500 militari” inviati dal Cremlino. Il premier Arsenij Yatseniuk ha annunciato che è priorità dell’Ucraina dotarsi di un esercito capace di contrastare l’“aggressione russa”. Intanto stamani si è appreso che una bimba di 5 anni è stata uccisa da un colpo di mortaio nella zona di Lugansk: Kiev accusa i ribelli filorussi. Sul piano diplomatico, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che avrà un incontro bilaterale con la cancelliera tedesca Angela Merkel, in occasione del vertice del G20, domani e dopodomani a Brisbane, in Australia. Per un’analisi della crisi ucraina, Giada Aquilino ha intervistato Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’Università di Firenze: 

R. – L’affermazione del segretario generale è in qualche maniera dovuta, scontata. Evidentemente la Nato non può accettare quelle che sono una manifesta violazione e una minaccia di ancora più grave violazione delle norme di diritto internazionale. La crisi - per quanto, in parte almeno, trascurata dai media in queste ultime settimane, in virtù del fatto che ci sono crisi almeno apparentemente più serie, sto pensando soprattutto al Medio Oriente e poi al caso di ebola - in realtà pare preoccupante. Sul campo non c’è affatto una situazione di tregua. La guerra, in realtà, continua con una certa intensità ed è notizia degli ultimi giorni l’apparente penetrazione nei territori, nelle regioni contese dell’Ucraina, di nuove truppe provenienti dalla Federazione Russa e anche di armamenti pesanti.

D. – Tra l’altro, sono aumentati i voli militari russi a ridosso dello spazio aereo europeo, ma anche verso il Golfo del Messico, il Pacifico orientale… Forse era dai tempi della “guerra fredda” che gli aerei militari di Mosca non sorvolavano spazi così ampi…

R. – Sì, le violazioni dello spazio aereo in Occidente, in Europa occidentale intendo, e altrove si sono susseguite a partire dalla scorsa estate. A questi episodi se ne sono aggiunti altri altrettanto preoccupanti: una nave per ricerche oceanografiche finlandese, nei confronti della quale si è tentato di effettuare pressioni, da parte russa, perché cambiasse la propria rotta nel Golfo di Finlandia; il caso del cosiddetto sottomarino fantasma nell’arcipelago di fronte Stoccolma; il rapimento di un membro dei servizi di intelligence e di sicurezza in Estonia; e molti altri casi, in realtà. Recentemente anche il governo britannico si è lamentato vibratamente di violazioni del proprio spazio aereo. A me pare che la Federazione Russa stia praticando una politica volta a saggiare le reazioni e la capacità anche di reazione e di intervento militare dell’Occidente: una politica molto muscolare, proprio ispirata a quelle che sono le condizioni sul campo e all’evolvere della crisi in Ucraina.

D. – Lei parlava di politica “muscolare”; molti analisti dicono che di fatto sono ai minimi termini le relazioni tra Russia, Stati Uniti ed Europa. E’ davvero così o comunque dietro ci sono dei giochi geopolitici già visti, studiati?

R. – Giochi ci sono e sono naturalmente già visti, nel senso che si tratta del confronto tra una grande potenza, che forse in Occidente troppo spesso negli ultimi anni si è dimenticato essere tale, ovvero la Federazione Russa, erede dell’Unione Sovietica, a sua volta erede della potenza zarista. Si tratta, appunto, delle relazioni di potere tra questa grande potenza e quelle che sono altre potenze, in particolare nella fattispecie gli Stati Uniti e la Nato. In questo, per certi versi, non c’è niente di nuovo, per quanto sia nuova la situazione, visto che dopo la fine della “guerra fredda” - abbiamo festeggiato appunto il 25.mo anniversario dal crollo del muro di Berlino - forse ci si è illusi che la situazione in Europa potesse prendere un indirizzo diverso da quello che pare voler prendere in questi ultimi anni. Io considero la crisi in corso una crisi preoccupante. Credo che non debba affatto essere trascurata, perché questa è una crisi nel cuore dell’Europa, è una crisi nella quale la Nato potrebbe trovarsi direttamente impegnata - di fatto già lo è - ed  è una crisi della quale in questo momento non si vede la soluzione. Non credo che la Russia sia disponibile ad accettare compromessi al ribasso, per quello che riguarda la situazione in Crimea e forse anche per quello che riguarda le regioni orientali, in seno all’Ucraina, che rivendicano l’autonomia.

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Centrafrica. A un anno dal colpo di Stato regna l'instabilità

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A un anno e mezzo dal colpo di Stato nella Repubblica Centrafricana, continuano le manifestazioni del gruppo di ribelli Seleka. Nonostante l’intervento delle forze internazionali avesse costretto la coalizione ad abbandonare il potere, preso con la forza, Seleka non vuole lasciare la capitale Bangui e alimenta la guerra civile. Sull’attuale situazione politica del Centrafrica, Corinna Spirito ha intervistato il prof. Luigi Serra, esperto dell’area africana e docente all’Università di Napoli “L’Orientale”: 

R. – La distanza di un anno dal colpo di Stato e l’instaurazione di una sorta di governo di regime che potesse regolare gli affari interni, e in parte anche esterni, del Centrafrica è un tempo apparentemente lungo e foriero di stabilità. In effetti, non lo è stato, perché è stato un compromesso dietro al quale si sono mascherati interessi di parte, compromessi e danni per la gente, per il popolo, pari a quelli del momento in cui la rivolta è scoppiata. All’interno di tutto il meccanismo dei sovvertimenti politici, religiosi ed economici che aggirano la Repubblica Centrafricana, a partire soprattutto dal nord – penso alla Nigeria, penso ad altri siti dove Boko Haram ormai imperversa e dissemina terrore – questa stessa gente si è alimentata sul piano dell’insoddisfazione per i risultati del compromesso di un anno fa con l’insurrezione, l’avversione e ancora il disastro politico in quel Paese.

D. – Il popolo, come ha reagito al colpo di Stato?

R. – Il popolo – in quei luoghi, in quelle culture, in quelle civiltà, in quelle economie – ha reagito come reagisce sempre: con sorpresa e sottomissione, quindi insorgendo e rivoluzionandosi anch’esso rispetto al sistema preesistente, ancorché da solo un anno…

D. – L’Onu come sta gestendo la situazione?

R. – L’Onu sta gestendo la situazione secondo i suoi schemi, quelli di tutela dell’ordine, di anticipazione delle rivolte che non riesce poi a eliminare, con impegno sul campo a tutela della pace e dell’ordine. Ma una tale gestione, programmata in linea di principio, in pratica è risultata vanificata dal colpo di Stato. In sintesi, si può dire che l’Onu, come dappertutto in quelle aree, non interviene con risultati sempre e solo positivi.

D. – Come dovrebbe agire l’Onu per aiutare il popolo della Repubblica Centrafricana?

R. – Dando segnali di volere interloquire soltanto con regimi rappresentati da organi democraticamente individuati. Una qualsiasi rivolta, rivoluzione, colpo di mano a connotazione armata è sempre una mina vagante con cui non si è sicuri, certi e stabilmente sereni sulla continuità del rapporto instaurato. Sono i tassi di democrazia ancora latitanti in quelle aree, a livello di vertici gestionali del potere e a livello di distribuzione alle popolazioni.

D. – Cosa possiamo aspettarci, ora, per il futuro della Repubblica Centrafricana?

R. – Difficile da dirsi. L’auspicio è che si evolva senza uno spargimento di sangue che investa la “povera gente”, cioè il popolo. Si potrà evolvere, evidentemente, con un ulteriore accomodamento, se mai l’Onu riuscirà a fare incontrare le parti. Il popolo potrebbe lanciare segni di una riconferma di un sistema democratico di elezione, quindi di una partecipazione attiva o al rinnovamento tout court, quindi sostituire già in toto con un nuovo momento elettorale il presidente deposto, o invocarne il ritorno. Ma questo, appunto, attiene alla forza dei giochi democratici e a fronte di un potere militare, di una rivoluzione scatenatasi e diventata operante, il rispetto di questi schemi è da tenere in dubbia considerazione.

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La società civile si mobilita: no al gender nelle scuole italiane

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Rispondere all’emergenza educativa che, sotterranea ma violenta, si sta imponendo con l’indottrinamento gender nelle scuole di Roma e di tutto il territorio nazionale. Questo l’obbiettivo del Comitato Articolo 26 ispirato al principio della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo in base al quale "i genitori hanno diritto di priorità nella scelta dell’istruzione da impartire ai propri figli". Un concetto ribadito anche dal Papa, secondo il quale la famiglia è il luogo primario dell’educazione. Il Comitato Articolo 26 - che mostra come la società civile si stia mobilitando - denuncia in particolare il caso di un asilo nido della capitale. Ce ne parla Paolo Ondarza

“Margherita ha due mamme: Mery e Franci. Volevano una famiglia, ma mancava il semino. Franci si è fatta dare da una clinica olandese il semino donato da un signore gentile e  l’ha messo nella pancia di Mery”. Parole semplici, corredate da illustrazioni dai colori pastello per “inculcare”, in modo accattivante, l’ideologia del gender tra i bambini già all’asilo nido. Il racconto è contenuto nel volumetto “Piccola storia di una famiglia” edito da Stampatello ed inserito, insieme ad altri testi che promuovono il gender, nel progetto educativo dell’asilo nido comunale del quartiere Bufalotta di Roma “Il Castello Incantato” all’insaputa dei genitori. L’obbiettivo dichiarato, in linea con quanto prescritto dall’Oms e dall’Ue, è la lotta alla discriminazione e all’omofobia, o anche al bullismo, ma la strategia vera punta a decostruire nelle scuole gli stereotipi dei modelli familiari nella primissima infanzia. A denunciare l’episodio è stato il Comitato Articolo 26 costituito da famiglie, insegnanti, psicologi. Ascoltiamo Maria Chiara Iannarelli:

R. – Come in altri asili di Roma accade che i genitori si trovino di fronte alla proposta o già alla fruizione in classe da parte di bambini di un anno e mezzo, due o tre anni – perché parliamo di nidi – di albi illustrati, proposti dalle educatrici o dalle insegnanti con storie di vita omosessuale nei loro particolari, come – ad esempio – la tecnica della fecondazione eterologa; quel che è più grave è che tutto ciò viene deciso senza la condivisione con le famiglie e senza purtroppo che questi progetti presentino fondamenti scientifici, pedagogici e psicologici. Queste iniziative rientrano in progetti patrocinati dal Comune di Roma come, in particolare, “La scuola fa differenza” che ha visto affidato alla Associazione “Scosse” un corso di formazione per molte educatrici di nido in diversi nidi della capitale. I genitori chiedono solo quello che sancisce l’art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che sia cioè riconosciuto loro il diritto di priorità nella scelta dell’educazione da dare ai loro figli. Perché siamo tutti d’accordo sul fatto che dobbiamo educare – e lo dico da docente della scuola pubblica da più di 20 anni – tutti i bambini al rispetto di tutte le situazioni personali, ma non ci sono fondamenti scientifici e pedagogici per fare facili sperimentazioni su bambini così piccoli.

D. – Stiamo parlando di progetti inseriti in scuole comunali o statali, per i quali vengono spesi soldi pubblici…

R. – Certo! “La scuola fa differenza” è partito in seguito alla vincita di un bando proposto dal Comune di Roma, ma ci sono molti altri progetti – come “Le cose cambiano” - che insistono sempre sul tema giustissimo della lotta al bullismo omofobico, come è giusta la lotta a tutte le forme di bullismo, ma mancano di fondamenti scientifici e sono – appunto – finanziati dal Comune di Roma.

D. – Colpisce il cospicuo investimento di denaro a fronte delle gravi carenze strutturali nelle quali versano le scuole italiane…

R. – Si pensi anche ai progetti proposti dalla Regione, con un finanziamento di 120 mila euro, da parte di Zingaretti e affidati ad associazioni Lgbt, senza che ci sia stato prima un dialogo costruttivo e un dibattito culturale e politico con le famiglie…

D. – Secondo diversi pedagogisti quando in un bambino si abolisce il principio di evidenza naturale  - e quindi l’essere uomo o donna come dato inconfutabile di natura – la mente potrebbe compensare con squilibri psicotici molto gravi…

R. – Questo è chiaro: noi non possiamo correre il rischio, non possiamo fare sperimentazioni sui bambini! La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nasce dopo lo spaventoso periodo che ha visto la propaganda nazista sui banchi di scuola manipolare le menti. Allora, stiamo attenti! Noi – io sono una insegnante – abbiamo di fronte una responsabilità immensa: dobbiamo rimanere su un piano di ragione, di scienza e fare riferimento al contesto della natura, del biologico, del dato, in cui si può muovere ogni costruzione sociale umana. Purtroppo dico anche che gli standard per l’educazione europea, che sono stati introdotti in Italia nel 2013, parlano nella fascia 4-6 anni di introduzione alla masturbazione precoce infantile; in Austria il primo ministro dell’Educazione ha detto la settimana scorsa che si comincerà a proporre la stimolazione dei genitali e il nudismo nei kindergarten: di fronte a questo noi invitiamo, se ci sono delle perplessità o se ci sono dei dubbi, a contattarci in un’ottica di conoscenza e anche per fare rete di genitori, perché la famiglia è la insostituibile realtà educativa, che è responsabile della formazione dei figli, ma anche dell’edificazione della società umana. Quindi invito a contattarci al nostro indirizzo di posta elettronica che è info@comitato26.it e a visitare il nostro sito www.comitatoarticolo26.it. La nostra non è da intendere come una battaglia contro qualcuno, ma insieme a tutti per la persona, per i più piccoli e per i più fragili, che sono il nostro futuro!

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Tor Sapienza. Il parroco: guerra fra poveri, attendiamo risposte

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Scendono in piazza domani a Roma i Comitati di quartiere di diverse zone della capitale contro il degrado. L’iniziativa nasce dopo le polemiche e le violenze che hanno interessato nei giorni scorsi il Centro per richiedenti asilo di Tor Sapienza, alla periferia est di Roma. Oggi, hanno tentato di rientrare nella struttura 14 immigrati minorenni allontanati ieri, ma senza successo perché i locali non sono sicuri. Di situazione di abbandono, parla don Marco Ridolfi, parroco di S. Cirillo Alessandrino a Tor Sapienza, al microfono di Davide Capano

R. – A me sembra che stiamo assistendo a una e vera propria “guerra tra poveri”. Per carità, con questo non intendo assolutamente sminuire le inquietudini, il senso di solitudine o l’esasperazione della gente del quartiere. Sentimenti che comunque ci sono… Penso però che ciò cui stiamo assistendo sia veramente troppo. Non c’è nessuna cosa che alla fine possa giustificare la violenza. Onestamente, ciò che mi rattrista in questi giorni è pensare o leggere che tutto il quartiere non sia accogliente, che tutto il quartiere sia razzista… Non mi sembra sia una fotografia che descriva al meglio il cuore del quartiere, perché altrimenti non mi spiegherei tutte quelle braccia che disinteressatamente ti portano la spesa, ti portano i vestiti e non ti dicono: “Mi raccomando dalli soltanto agli italiani”…

D. – Quindi, don Marco, quello che accade a Tor Sapienza è frutto di un disagio più generale, di altri problemi?

R. – Certamente è un disagio generale. Onestamente, io non credo che se dovessero sgomberare totalmente questo Centro di accoglienza, domani la gente si sveglierà più tranquilla. Ci sono delle problematiche più generali e che si possono riassumere in una sola parola: la paura di sentirsi abbandonati, la paura di sentirsi soli proprio in periferia, alla periferia della periferia.

D. – Ma le istituzioni sono presenti o sono assenti?

R. – Se fossero presenti a 360 gradi, questo malcontento non si respirerebbe nell’aria. Ma è anche giusto che io dica che in questi giorni sì, si sta parlando molto, e ciò che sta facendo più rumore naturalmente è questa violenza. Però, è anche vero che sono giorni in cui siamo a stretto contatto con la segreteria del sindaco per presentare quelle che sono le problematiche del quartiere. E non parliamo soltanto di problemi di tolleranza o intolleranza: qui si parla di prostituzione, si parla di spaccio, si parla di sicurezza per le strade, si parla di buio e di scarsa illuminazione… E su questo  il sindaco ha assicurato una risposta. Speriamo sia veramente così.

D. – Che ruolo può avere la parrocchia in un contesto del genere e in una situazione del genere?

R. – Io penso che la nostra missione principale sia quella intanto di pregare e questo non significa sprecare tempo. Poi, naturalmente, la nostra missione è quella di aiutare la gente ad incontrare Gesù, per evitare appunto di leggere, vedere e vivere la tua vita soltanto a partire da te stesso. In definitiva, io sto pensando tanto in questo periodo a come fare in modo che tutto ciò che vediamo non ci renda brutto il cuore. Quindi, la nostra missione è quella di non fare appassire il cuore e soprattutto di spingere la gente a comprendere che la violenza non può essere l’ultima o l’unica arma che la gente può avere per farsi ascoltare da chi di dovere.

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Alzheimer, si discute al Gemelli di approcci non convenzionali

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È in corso, presso il Centro Congressi del Policlinico Gemelli, un convegno su “Alzheimer, un approccio non convenzionale alla malattia”. Organizzato in collaborazione con l’Ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, vede la partecipazione di esperti internazionali per fare il punto sui nuovi approcci diagnostici e terapeutici a questa patologia. Eliana Astorri ha intervistato il professor Paolo Maria Rossini, direttore dell’Istituto di Neurologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma: 

R. – Stiamo parlando di una malattia che colpisce il cervello ma, attraverso il cervello, colpisce l’intera persona perché toglie l’identità, la storia al malato. Colpisce, inoltre, la sua intera famiglia e l’intero circuito dei suoi rapporti sociali. Parliamo soprattutto di una malattia che si sta diffondendo sempre di più, perché legata all’invecchiamento della popolazione generale. Oggi, in Italia colpisce oltre 600 mila persone.

D. – Quali sono i sintomi?

R. – I sintomi sono, a elencarli, molto chiari, ma a rilevarli molto subdoli perché sono delle mancanze di memoria progressive sempre più problematiche, problemi a orientarsi nello spazio conosciuto – ad esempio, riconoscere le strade, percorsi che normalmente si fanno a piedi – difficoltà a reperire le parole giuste e a completare delle frasi un po’ complesse. Questa cosa poi va avanti fino alla comparsa dei disturbi del comportamento: aggressività, irritabilità, disturbi del suono, fino a compromettere completamente quelle che sono le autonomie quotidiane della persona nella sua igiene, vestirsi, spogliarsi, gestire l’amministrazione di famiglia, il lavoro i rapporti sociali.

D. – L’Alzheimer è una malattia tipica di una fascia d’età avanzata. Ma ci sono casi di persone giovani?

R. – In realtà, la prima donna descritta ed incontrata da Alzheimer – da cui poi la malattia ha preso il nome – aveva 49 anni e i sintomi erano già comparsi da un paio d’anni. Quindi, parliamo sempre di terza età, perché la malattia cresce man mano che cresce l’età della popolazione generale. Però, sicuramente sono presenti anche casi di 50.enni o addirittura di 40.enni e – nelle forme familiari quelle più aggressive che, grazie a Dio, sono però molto poche – la forma può anche esordire in età più giovanile.

D. – Quindi, la familiarità è un fattore di rischio, un fattore predisponente?

R. – I fattori di rischio sono tanti. Questa è sicuramente una malattia multifattoriale. Il rame di cui si parla oggi è sicuramente uno dei tanti fattori, ma certamente non l’unico. È chiaro che se all’interno di una famiglia di una persona che non è ammalata ci sono però due, tre, quattro casi in generazioni successive, questo deve suonare come un campanello, non dico di allarme, ma di attenzione maggiore a seguire, ad approfondire l’eventuale comparsa dei sintomi. Purtroppo, talvolta, questa cosa non è nota perché se una persona, se un padre, se una madre, se un nonno, una nonna sono morti giovani non sapremo mai se poi, con il passare degli anni, avrebbero o meno sviluppato questa malattia.

D. – Oggi, come si cura l’Alzheimer? Come si rallenta più che altro?

R. – La cura in grado di modificare la malattia purtroppo ancora non esiste. L’iniziativa di questa giornata è un po’ legata anche alle delusioni degli ultimi anni. Tutti veniamo da cocenti delusioni di “trial” chimici tentati negli ultimi 10-15 anni, falliti miseramente l’uno dopo l’altro. Si vocifera ci vorranno almeno un’altra decina di anni ancora per avere la cura, quella risolutiva. Nel frattempo, bisogna andare a cercare soluzioni-tampone, come diceva lei, in grado almeno di rallentare la malattia e quindi allungare il più possibile il tempo di autonomia dei nostri malati nel loro vivere quotidiano anche perché, circa nell’85% dei casi, il problema ricade poi sulla famiglia con dei costi indiretti altissimi per tutti. Come si cura? Come si rallenta? Sicuramente, ci sono alcuni approcci farmacologici da una parte – con i farmaci oggi a disposizione: gli anticolinesterasici, la memantina – sicuramente con quella che è sia la ginnastica fisica, perché aiuta a ossigenare meglio il sangue e quindi a nutrire la parte di cervello ancora non colpita, ma sicuramente anche la ginnastica cognitiva, quindi gli esercizi che stimolano le varie attività, i vari domini cognitivi dell’intelligenza del cervello magari, appunto, combinati con approcci un po’ più nuovi. Oggi, ne presentiamo alcuni: in particolare, il dosaggio del rame libero nel sangue, un test eseguibile oramai con banale prelievo e, laddove questo test dovesse risultare significativamente alterato, l’adozione di misure di correzione, quali una dieta povera di rame e, se questo non bastasse, l’assunzione di sostanze che legano il rame in eccesso e lo eliminano dall’organismo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Comece: "Chiesa, voce dei poveri"

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Un trattato che "solleva una serie di problemi e di controversie" e la Chiesa "deve far sentire la voce dei più deboli e dei più poveri in Europa e nel mondo, nella misura in cui saranno interessati dall‘accordo sul libero scambio". Lo scrivono i vescovi europei della Comece (la Commissione degli episcopati della Comunità Europea) che hanno deciso di dedicare la loro Assemblea plenaria autunnale alla analisi del Partenariato transatlantico su commercio ed investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership, Ttip) che è attualmente in corso di negoziato tra gli Stati Uniti e l‘Unione Europea.

In un comunicato diffuso al termine della Assemblea plenaria dei vescovi Ue (che si è conclusa ieri a Bruxelles), la Comece fa sapere che ad informare accuratamente i vescovi europei sul contenuto preciso dei negoziati è stato il capo negoziatore per l‘Unione europea per il Ttip, Garcia Bercero. Ad essere esaminati sono stati anche gli elementi che sono stati esclusi dal Trattato (come gli ogm e le denominazioni d‘origine), nonché le prossime fasi dei negoziati.

Dopo un esame del testo a 360 gradi, la Comece ha stimato che "al di là delle questioni strettamente commerciali che solleva, il Ttip interroga la nostra identità europea e come tale identità possa affermarsi e profilarsi nel mondo". 

"In sostanza, il Ttip - affermano i vescovi Ue - ha un effetto specchio sull‘Unione europea e obbliga gli europei a definire in più chiaramente la propria posizione sulla scena mondiale e ad adottare una strategia commerciale e una politica monetaria sostenibile in vista dei prossimi decenni che si annunciano a crescita debole o zero".

Questo è il motivo per cui la Comece ha deciso di elaborare un documento che esprima la presa di posizione dell‘episcopato europei sul Ttip. "Questo documento metterà in evidenza le opportunità e formulerà una serie di domande critiche lasciate in sospeso riguardo al progetto di trattato. Il presente documento sarà reso pubblico e trasmesso ai deputati europei, che saranno chiamati a confermare o meno il Trattato".

Vari e diversi sono stati i punti di vista presentati in questi giorni ai vescovi europei. L‘economista Pierre Defraigne, direttore esecutivo della Fondazione Madariaga, ha presentato le sue riserve sul Trattato e, in particolare, sul dubbio che possa "promuovere la crescita economica e l‘occupazione nei Paesi dell‘Ue".

Da parte sua, Patrick O‘Sullivan, docente di etica degli affari, ha messo in guardia contro gli attuali indicatori economici, che non riflettono il reale sviluppo umano mentre Brian Mc Feeters, consigliere economico presso l‘Ambasciata degli Stati Uniti verso l‘Ue ha richiamato le opportunità economiche che un tale trattato sarebbe per entrambe le sponde dell‘Atlantico. E‘ intervenuto anche padre Joseph Komakoma, segretario generale del Secam, che ha presentato le preoccupazioni dei vescovi africani sul progetto di trattato. (R.P.)

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Onu: Siria, crimini di guerra e contro l'umanità dell'Is

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Il sedicente Stato Islamico (Is) ha perpetrato in Siria "crimini di guerra e crimini contro l'umanità" e i comandanti dei gruppi jihadisti "sono individualmente e penalmente responsabili per questi reati". Lo afferma la Commissione di inchiesta dell'Onu sulla Siria, in un rapporto reso noto oggi a Ginevra. Il documento denuncia una scioccante lista di crimini, documentata da circa 300 testimonianze di vittime e testimoni, tra cui omicidi di massa contro gruppi etnici e religiosi, decapitazioni, violenze sessuali. La Commissione chiede, per questo, l’attivazione di meccanismi internazionali, compresa la Corte penale internazionale, affinché i capi dell'Is rispondano di tali crimini. (G.A.)

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Siria: mons. Hindo teme una nuova Libia in caso di attacco Usa

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“Se l'intervento a guida Usa contro i jihadisti dello Stato Islamico finirà per rivolgersi contro l'esercito siriano, in Siria potremmo avere una seconda Libia”. Così l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare dell'arcieparchia di Hassakè-Nisibi, descrive le incognite e i pericoli connessi ai possibili sviluppi delle iniziative militari a guida Usa realizzate anche in territorio siriano contro le postazioni dello Stato Islamico.

In una conversazione con l'agenzia Fides, l'arcivescovo cattolico di rito orientale conferma che per ora le incursioni aeree dell'esercito siriano contro le postazioni dei jihadisti si sommano a quelle compiute contro gli stessi obiettivi dagli aerei Usa. Descrive poi, con toni preoccupati, la condizione incerta vissuta dalle popolazioni nella regione che comprende le città di Hassake e Qamishli, nella provincia siriana nord-orientale di Jazira.

“Più di un mese fa - riferisce a Fides mons. Hindo - l'esercito siriano ha attaccato il quartiere di Hassakè dove si trovavano circa 250 militanti dello Stato Islamico, prendendone il controllo. Da allora, nei due centri abitati si vive una relativa calma. Ma le postazioni dei jihadisti sono solo a 15 chilometri da Hassakè e a una ventina da Qamishli. Se decidono di attaccare, magari coi rinforzi delle loro milizie cacciate dall'Iraq, una loro offensiva su larga scala metterebbe in pericolo la vita di quasi un milione di persone, tra cui 60mila curdi e 120mila cristiani”.

L'arcivescovo Hindo ridimensiona anche le notizie circolate in rete su presunte “milizie cristiane” in azione nella regione: “si tratta solo di qualche centinaio di assiri, collegati in parte alle milizie curde e in parte alle truppe dell'esercito regolare. Ma è una piccola fazione che non può avere nessun peso determinante nel caso di un'escalation degli scontri armati”. (R.P.)

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Blasfemia in Pakistan: i dati sulle vittime

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La legge sulla blasfemia continua a mietere vittime in Pakistan e le minoranze religiose sono le più vulnerabili. Secondo i dati raccolti dalla rete di Ong pakistane “Awaz-e-Haq Itehad” (Ahi), e prevenuti all’agenzia Fides, 1.438 persone sono state accusate di blasfemia tra il 1987 e l’ottobre 2014.

Le minoranze religiose – che costituiscono nel complesso meno del 4% della popolazione pakistana – costituiscono il 50% degli accusati di blasfemia (501 ahmadi, 182 cristiani, 26 indù - 10 vittime di cui non è accertato il credo). A partire dal 1990, 60 persone che sono state uccise in via extragiudiziale in connessione con le accuse di blasfemia: 32 erano di gruppi delle minoranze religiose e 28 musulmani. Tra le 60 vittime, 20 sono state uccise dai poliziotti o mentre erano in custodia, 19 uccise in attacchi della folla.

La provincia del Punjab è il luogo dove gli abusi sono maggiormente diffusi: qui si sono verificati 1.086 incidenti legati alla blasfemia, il 76% del totale, mentre il 21% sono avvenuti in Sindh. Tra gli episodi di violenza correlata, 1.097 case sono state saccheggiate e danneggiate nei distretti di Khanewal, Sangla Hill, Kasur, Gojra e Lahore. Diciassette chiese di Khanewal e Korian insieme a 10 scuole e collegi sono stati dati alle fiamme in diversi attacchi legati alle accuse di blasfemia tra il 1997 e il 2013.

Commentando i dati, l’attivista cattolico Peter Jacob, ex segretario della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale, afferma in una nota inviata a Fides: “Gli episodi di presunta blasfemia hanno avuto un riflesso sulla vulnerabilità anche di avvocati e magistrati, oltre che sugli accusati e sulle loro famiglie”. “Ogni episodio di presunta blasfemia – spiega – forma una catena di ingiustizie in cui ogni passo porta a una maggiore violenza e a legalizzare l'ingiustizia. Le misure amministrative e il sistema giudiziario non sono riusciti a fermare queste violazioni sistematiche dei diritti umani”.

“I governi – nota Jacob – hanno fornito nella maggior parte dei casi una risposta di emergenza, magari con risarcimenti o ricostruendo le case bruciate. Ma andrebbe considerata, da parte delle vittime innocenti – che secondo alcuni avvocati musulmani arrivano fino all’80% del totale – la detenzione prolungata, le spese legali, la perdita di mezzi di sussistenza, lo sfollamento temporaneo e permanente di migliaia di famiglie, oltre al peso emotivo che si deve sopportare. Chi ripaga tutto questo? Chi e come può ripagare tutta questa sofferenza?”. Inoltre vi è un generale clima di impunità: troppe inchieste, come quella di Gojra, sono finite nel nulla.

In molte nazioni del mondo il reato di blasfemia è previsto ma con pene lievi, a volte è considerato solo “un illecito amministrativo”, punibile con sanzioni. (R.P.)

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India. Radicali indù: no a conversioni a cristianesimo e islam

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Gli indù non devono convertirsi al cristianesimo e all'islam, e le minoranze devono abbracciare l'induismo. È quanto ribadito dal gruppo paramilitare radicale indù Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) in occasione dei 50 anni del Vishwa Hindu Parishad (Vhp), un'altra organizzazione estremista. Affermazioni, spiega all'agenzia AsiaNews Sajan George - presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) - che sono "assolutamente illegali" dal momento che in India la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione.

Leader, militanti e sostenitori del Vhp si sono riuniti l'11 e il 12 novembre scorsi a Tumkur, in Karnataka, per celebrare l'anniversario dell'associazione estremista. Prendendo la parola, Mohan Bhagwat, capo della Rss, ha sottolineato: "C'è bisogno di far tornare all'induismo i convertiti ad altre religioni, come il cristianesimo e l'islam". "Sono le forze straniere - ha aggiunto - che tentano di distruggere l'unità dell'India ricorrendo alle conversioni e ad altre attività".

Da sempre i gruppi radicali indù come la Rss e il Vhp - che operano entro l'ombrello del Sangh Parivar - perseguitano le minoranze religiose, anche con azioni violente. Contro quella cristiana, in particolare, c'è spesso l'accusa di "essere stranieri", e di "comprare" le conversioni con denaro o attività caritatevoli.

"Faccio appello alla National Commission for Minorities (Ncm) - dice Sajan George ad AsiaNews - e alla National Human Rights Commission (Nhrc) per proteggere la vulnerabile comunità cristiana del Karnataka secondo le vigenti garanzie costituzionali". Oltre a essere illegale, aggiunge, "quelle dichiarazioni mostrano uno smaccato e profondo pregiudizio nei confronti delle minoranze, che può solo alimentare i sospetti e la sfiducia all'interno delle comunità". (R.P.)

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Sud Sudan. Uccisa prima donna sindaco di Yei: atto contro la Chiesa

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Forte condanna della Chiesa per il barbaro omicidio del primo sindaco donna di Yei, nel sud-ovest del Sud Sudan, Cecelia Oba Tito, il cui corpo è stato trovato, insieme a quello del suo capo di gabinetto, Emmanuel Lemi, il 9 novembre nei pressi di una casa in costruzione alla periferia della capitale, Juba. Mons. Zachariah Angutuwa Sebit, vicario generale della diocesi di Yei, ha affermato che il duplice omicidio è un atto contro la popolazione della Yei River County e, più in generale, contro la pace nel Sud Sudan.

Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, mons. Sebit ha aggiunto che gli assassini dell’ex sindaco volevano colpire la Chiesa ed ha chiesto alle autorità di garantire la sicurezza dei cittadini. La signora Tito è stata un membro attivo della Chiesa in Sud Sudan, e si è battuta per promuovere i diritti delle donne nel suo Paese, in particolare l’accesso all’educazione.

Dopo essere stata eletta deputato all’Assemblea Nazionale, ha partecipato alla stesura della Costituzione del Sud Sudan (che ha raggiunto la piena indipendenza nel luglio 2011) e nel 2013 era stata eletta sindaco di Yei. (R.P.)

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La Lev presenta libro di Paolo Portoghesi

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L’urgenza del cambiamento sulla gestione dei temi ambientali, per rendere meno incerto il futuro della nostra società. È l’appello emerso durante la presentazione del volume dell’architetto Paolo Portoghesi “Il sorriso di tenerezza. Letture sulla custodia del creato”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, che si è svolta ieri a Roma presso l’Accademia di San Luca, di cui l’autore è presidente. Il titolo dell’opera, che “nasce dal desiderio di spingere il lettore a riconoscere nella bellezza del creato l’impronta del Creatore” e che insieme alle riflessioni di Portoghesi presenta un’antologia di testi di ispirazione cristiana sul rispetto del creato, si riferisce a una metafora di Simone Weil, secondo la quale il sorriso di Gesù risplende nelle bellezze della terra, ma richiama anche le parole di Papa Francesco, che più volte ha usato l’espressione “tenerezza”.

“Il libro – ha spiegato Portoghesi – raccoglie scritti che appartengono a epoche diverse, lungo un percorso a ritroso di quasi tremila anni. Vicini o lontani nel tempo, però, tutti sono di grande attualità perché riguardano il rapporto tra l’uomo e il creato in un periodo in cui alla cura e all’utilizzo equilibrato, si è sostituito lo sfruttamento e la rapina, con il risultato di far sì che ogni generazione lasci alla successiva un ambiente di vita peggiorato e impoverito”. Certo, riconosce l’autore, “nel creato non c’è solo bellezza e armonia, ma ci sono anche conflitti, dissonanze, crudeltà e tanto dolore”. Ma “la gioia che si prova ammirando la bellezza del creato”, e questo è il filo conduttore del volume, “non avrebbe il senso profondo che ha, se non si leggesse in essa, insieme alla fragilità e alla grazia, l’imminenza del dolore”.

Il libro si articola in undici capitoli, a iniziare dalla Bibbia, poi la Patristica, con passaggi, tra gli altri, di Ilario di Poitiers, Efrem il Siro, Basilio Magno, Ambrogio e Agostino, la cultura medioevale con Ildegarda di Bingen e Francesco d’Assisi, la cultura umanistica e della Riforma cattolica, con brani di Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, il Romanticismo con Hölderlin, Novalis e Chateaubriand, la cultura moderna, da Dostoevskij a Bloy, Peguy, Rilke e Bernanos, Luzi e Turoldo, il Concilio Vaticano II e gli ultimi Papi, da Pio XII a Francesco, con un approfondimento sulla via pulchritudinis, in quanto la bellezza del creato rimane “per la cultura cristiana elemento chiave per avvicinarsi a Dio, per sentirne la presenza e comprenderne quindi l’amore dimostrato per l’uomo e per ogni altra creatura”. I brani degli autori citati si alternano alle considerazioni dell’autore e a decine di foto che ritraggono animali, piante, paesaggi urbani e fenomeni naturali, realizzate dallo stesso Portoghesi, che ha progettato edifici in molte regioni italiane – dalla Grande Moschea di Roma al teatro di Catanzaro, dalla piazza Leon Battista Alberti di Rimini a chiese presso Salerno, Terni, Vicenza, Calcata, Castellaneta –, ma anche all’estero, come la reggia di re Hussein di Giordania, la Torre del Respiro a Shanghai, il quartiere turistico “Mar Azul” in Argentina.

Paolo Portoghesi vede la natura “come un grande libro da sfogliare, con appassionata dedizione, per rintracciare in ogni sua pagina l’impronta del Creatore”, ha spiegato il card. Raffaele Farina, archivista e bibliotecario emerito di Santa Romana Chiesa. “È da questa propensione a vedere l’invisibile nel visibile – ha concluso il porporato – che è nato questo libro che raccoglie le testimonianze dell’atteggiamento cristiano di fronte alla natura e quindi della volontà di custodirla come un dono prezioso utilizzandola per le necessità della vita, con amorosa gratitudine verso il Creatore”. Tenendo però  presente la “differenza sostanziale tra l’uomo e le altre creature viventi – ha precisato Portoghesi –: l’uomo è il solo che, in quanto cosciente della sua condizione di abitante del pianeta, ha nei suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi abitanti, precise responsabilità che non può condividere, anche se lo volesse, con nessuno dei suoi coinquilini”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 318

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.