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Sommario del 15/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: aborto e eutanasia falsa compassione, figli non si "producono"

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Papa Francesco ha rivolto stamane un discorso vibrante in difesa della vita umana. Occasione di questo importante intervento l’udienza all’Associazione medici cattolici italiani. Il Pontefice ha avvertito che bisogna respingere la “falsa compassione” che propone l’aborto, l’eutanasia e la “produzione” dei figli. La vita, ha detto, è sempre “sacra” ed ha messo in guardia da chi vuole trattare gli esseri umani come cavie. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Impegnarsi a prendersi cura della persona, ricordando sempre che la vita umana è sacra. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nel suo appassionato discorso ai medici cattolici, tutto incentrato sulla dignità inviolabile dell’essere umano. Il Pontefice ha ribadito che l’attenzione alla vita umana, specie in difficoltà, “coinvolge profondamente la missione della Chiesa”:

“Essa si sente chiamata anche a partecipare al dibattito che ha per oggetto la vita umana, presentando la propria proposta fondata sul Vangelo”.

Da molte parti, ha soggiunto, “la qualità della vita è legata prevalentemente alle possibilità economiche, al ‘benessere’, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza”:

“In realtà, alla luce della fede e della retta ragione, la vita umana è sempre sacra e sempre “di qualità”. Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non c’è una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra, solo in virtù di mezzi, diritti, opportunità economiche e sociali maggiori”.

“La vostra opera – ha aggiunto – vuole testimoniare con la parola e con l’esempio che la vita umana è sempre sacra, valida ed inviolabile, e come tale va amata, difesa e curata”. Di qui l’esortazione “a proseguire con umiltà e fiducia su questa strada”, sforzandosi di “perseguire le vostre finalità statutarie che recepiscono l’insegnamento del Magistero della Chiesa nel campo medico-morale”:

“Il pensiero dominante propone a volte una ‘falsa compassione’: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica ‘produrre’ un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre. La compassione evangelica invece è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano, che ‘vede’, ‘ha compassione’, si avvicina e offre aiuto concreto (cfr Lc 10,33)”.

La vostra missione di medici, ha detto ancora, “vi mette a quotidiano contatto con tante forme di sofferenza: vi incoraggio a farvene carico come buoni samaritani”: 

“La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza”.

Quindi, a braccio, ha denunciato la deriva di chi vuole "sperimentare con la vita":

“Ma sperimentare è male. Di 'fare' figli invece di accoglierli come dono, come ho detto. Di giocare con la vita, lì. State attenti, eh?, che questo è un peccato contro il Creatore: contro Dio Creatore, che ha creato le cose così”.

Francesco ha rammentato che fin da quando era sacerdote ha sentito tante volte obiezioni sull’aborto di chi lo riteneva un problema religioso. “No – ha detto il Papa – non è un problema religioso” e nemmeno “un problema filosofico”:

“E’ un problema scientifico, perché lì è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema. ‘Ma, no, il pensiero moderno …’ – ‘Ma, senti, nel pensiero antico, nel pensiero moderno, la parola uccidere significa lo stesso!’. Lo stesso vale per l’eutanasia: tutti sappiamo che con tanti anziani, in questa cultura dello scarto, si fa questa eutanasia nascosta. Ma, anche c’è l’altra, no? E questo è dire a Dio: ‘No, la fine della vita la faccio io, come io voglio’. Peccato contro Dio Creatore. Pensate bene a questo”.

Francesco ha così concluso il suo intervento incoraggiando l’associazione dei medici cattolici a proseguire sul cammino, iniziato 70 anni fa, a servizio della vita “nella sua dignità, sacralità e inviolabilità”.

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Francesco apre lunedì Colloquio interreligioso su complementarietà uomo-donna

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Inizia lunedì 17 novembre, in Vaticano, con l’intervento di Papa Francesco, il Colloquio interreligioso internazionale sul tema “La complementarietà dell'uomo e della donna”. Il servizio di Sergio Centofanti

L’importante evento durerà tre giorni ed è promosso da ben quattro dicasteri vaticani: la Congregazione per la Dottrina della Fede e i Pontifici Consigli per la Famiglia, Dialogo Interreligioso e Unità dei Cristiani. Introdurrà i lavori il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si tratta di un raduno di studiosi e leader religiosi, ebrei, cristiani, musulmani e di altre confessioni – afferma un comunicato degli organizzatori – “al fine di proporre di nuovo la bellezza della naturale unione dell'uomo e della donna nel matrimonio”. I relatori svilupperanno vari aspetti di questa complementarità “per sostenere e rinvigorire il matrimonio e la vita familiare”. Ci saranno anche dei testimoni che “attingeranno alla saggezza della loro tradizione religiosa e dall'esperienza culturale per dare testimonianza alla forza e alla vitalità della complementarità dell'uomo e della donna”.

Papa Francesco era intervenuto sul tema della complementarietà uomo-donna l’11 aprile scorso, incontrando la Delegazione dell'Ufficio internazionale cattolico dell'infanzia (Bice). In quell’occasione, il Pontefice aveva ribadito “il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva”.

“Ciò comporta al tempo stesso – aveva proseguito - sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli”. E a questo proposito aveva espresso il suo “rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani – aveva esclamato - non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX – aveva detto con forza - non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del ‘pensiero unico’”. E citando la frase di un grande educatore, che si riferiva a progetti concreti di educazione, concludeva: “A volte, non si sa se con questi progetti … si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione”.

Il cardinale Gerhard Müller – di cui l’Osservatore Romano anticipa alcuni stralci della sua relazione al Colloquio - afferma che “il maschile ha bisogno del femminile per essere compreso, e così è per il femminile”. “Dalla presenza del figlio – osserva il porporato - proviene una luce che ci può aiutare a descrivere la complementarità dell’uomo e della donna. Il rapporto dei genitori con il bambino, dove ambedue si aprono al di là di se stessi, è un modo privilegiato per capire la differenza tra l’uomo e la donna, nel loro ruolo di padre e madre. La complementarità non si comprende, allora, quando guardiamo all’uomo e alla donna in modo isolato, ma quando li consideriamo nella prospettiva del mistero verso cui la loro unione si apre e, in modo concreto, quando guardiamo il maschile e il femminile alla luce del rapporto con il figlio”.

“Si potrebbe aggiungere – prosegue il cardinale Müller - che il femminile si caratterizza per una presenza costante, che sempre accompagna il figlio. In tedesco, infatti, quando una donna è incinta, si dice che porta un bambino sotto il cuore (dass sie ein Kind unter dem Herzen trägt). La filosofia contemporanea ha parlato del femminile come dimora, come presenza che avvolge l’uomo dall’inizio e l’accompagna sulla strada, come sensibilità singolare per la persona come dono e per la sua affermazione. D’altra parte, il maschile è caratterizzato, riguardo al figlio, come la presenza di qualcuno ‘nella distanza’, in una distanza che attira e, così, aiuta a percorrere il cammino della vita. Ambedue, maschile e femminile, sono necessari per trasmettere al figlio la presenza del Creatore, sia come amore che avvolge e conferma la bontà dell’esistenza malgrado tutto, sia come chiamata che da lontano invita a crescere. Il primo luogo in cui la differenza sessuale appare nella vita delle persone è appunto l’esperienza di filiazione. La nostra origine, il nostro primo luogo di contatto con il mistero, si rivela nell’unione dei nostri genitori, da cui ci proviene la vita. Il maschile e il femminile rendono visibile per ogni bambino che viene a questo mondo, in modo sacramentale, la presenza del Creatore. Il bene di questa differenza è la grammatica essenziale perché il bambino possa essere educato come uomo aperto al mistero di Dio”.

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Altre udienze e nomine episcopali di Papa Francesco

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Il Santo Padre Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il Card. Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi; il Card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; Mons. Bashar Matte Warda, C.SS.R., Arcivescovo di Arbil, Erbil dei Caldei (Iraq); Mons. Paul-André Durocher, Arcivescovo di Gatineau (Canada), Presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici del Canada, con il Vice Presidente: S.E. Mons. David Douglas Crosby, O.M.I.,Vescovo di Hamilton, e con il Vice Segretario: il signor Bede Hubbard.

Il Santo Padre ha nominato Sotto-Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali il Rev.do P. Lorenzo Lorusso, O.P., finora Rettore della Basilica di San Nicola in Bari e Consultore del medesimo Dicastero, Docente di Diritto presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma.

In Paraguay, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Encarnación, presentata ad S.E. Mons. Ignacio Gogorza Izaguirre, S.C.I. di Béth., per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Vescovo di Encarnación il Rev.do P. Francisco Javier Pistilli Scorzara "J. Sch", Superiore Regionale dell’Istituto Secolare dei Padri di Schönstatt per la ‘Regione del Padre’ (Argentina, Uruguay, Paraguay e Nigeria).

Ancora in Paraguay Francesco ha accettato la rinuncia all’Ufficio di Vescovo Ausiliare della diocesi di Encarnación, presentata da Mons. Claudio Silvero Acosta, S.C.I. di Béth., per sopraggiunti limiti d’età.

 

Sempre in Paraguay, il Santo Padre ha nominato Vescovo di Ciudad del Este  il rev.do P. Heinz Wilhelm Steckling, O.M.I., Rettore del Seminario Maggiore degli Oblati di Maria Immacolata in Asunción.

 

In Polonia, il Papa ha accettato la rinuncia all’ufficio di Ausiliare della diocesi di Gliwice (Polonia), presentata da S.E. Mons. Gerard Kusz, per sopraggiunti limiti d’età.

 

In Myanmar, il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Loikaw Mons. Stephen Tjephe, attuale Vescovo Ausiliare di Loikaw e Amministratore Apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della medesima Diocesi.

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Tweet del Papa: "Un cristiano porta pace agli altri"

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"Un cristiano porta pace agli altri. E non solo pace, ma anche amore, bontà, fedeltà e gioia". E' il tweet di Papa Francesco pubblicato oggi sul suo account Twitter @Pontifex, seguito da oltre 16 milioni di follower.

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Card. Vegliò: migranti siano visti come risorsa, non problema

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Da lunedì prossimo la Pontificia Università Urbaniana ospita il VII Congresso Mondiale per la pastorale dei migranti. “Cooperazione e sviluppo nella pastorale delle migrazioni” è il tema scelto per l’incontro, che vedrà riuniti quasi trecento esperti, provenienti da 93 Paesi dei 5 Continenti. I lavori si concluderanno il 21 novembre con l’Udienza dei partecipanti con Papa Francesco. Il Congresso considererà dunque il fenomeno dei popoli in movimento soprattutto come una risorsa, come spiega il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, al microfono di Fabio Colagrande

R. - Quello delle migrazioni è un fenomeno complesso. I migranti arrivano carichi di potenzialità e, come tutti i fenomeni umani, anche con le loro problematiche. Ma sicuramente, se gestiti nel modo giusto, i flussi migratori possono generare nuove forme di sviluppo. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità di una cooperazione tra diverse culture, Governi, Chiese; sono i migranti che la rendono possibile. E la cooperazione è la base per lo sviluppo di una società. Con l’arrivo di un migrante arriva anche una nuova forza creativa oltre che produttiva. Questo genera ricchezza per il Paese che lo accoglie. Allo stesso tempo si offre al migrante un’opportunità di formazione, di lavoro e anche di retribuzione che diventa un arricchimento per sé ma anche per il Paese di origine. Diventa quindi un guadagno per tutti. Certo, le migrazioni obbligano ad affrontare in modo serio diverse problematiche che diventano delle sfide per chi le deve gestire. Parliamo di problematiche di natura sociale, economica, culturale e anche religiosa. E’ chiaro che la mobilità umana, se gestita nel modo sbagliato, diventa terreno fertile per la criminalità, per gravi crimini contro i diritti umani e l’emersione di forme latenti di xenofobia. Pur essendo consapevoli degli aspetti negativi e difficili legati al fenomeno migratorio, vogliamo sottolineare le sue potenzialità.

D. - Quali sono le potenzialità che la 'diaspora' di milioni di persone può offrire al progresso delle collettività?

R. - Le potenzialità che la diaspora offre allo sviluppo della società sono numerose. Pensiamo, ad esempio, a come il fenomeno della globalizzazione riesca ad arricchire molti Paese e ad offrire opportunità per una vita più dignitosa. Sono tantissime le persone che lasciano casa e famiglia per andare in Paesi più sviluppati a cercare un lavoro che possa offrire una prospettiva di vita migliore; un lavoro che permetta di inviare soldi nella terra di origine per offrire un futuro a chi è rimasto a casa. Inoltre le migrazioni vanno intese anche in un contesto di universalità della Chiesa, universalità che deve però, allo stesso tempo, tener presenti e rispettare le particolarità e le necessità della Chiesa locale.

D. - Il congresso si soffermerà in particolare sulla 'famiglia migrante'. E' una prospettiva emersa anche al recente sinodo straordinario che sollecita nuove risposte pastorali?

R. - Certamente la famiglia, ora più che mai al centro dell’attenzione della Chiesa, occupa un ruolo di fondamentale importanza nel contesto della diaspora. La famiglia è la fonte della vita, della cultura, dei valori umani ed è necessaria un’attenta presenza pastorale in grado di garantirle un sostegno concreto. Un sostegno in grado di curare le ferite presenti nel cuore di chi ha dovuto lasciare la propria terra, ma anche un sostegno che offra la giusta integrazione del nucleo famigliare all’interno della comunità in cui approda. La cura e l’assistenza della famiglia migrante deve arrivare sia dalla cooperazione tra il Paese di origine e quello di arrivo ma anche da una forte collaborazione tra la Chiesa di origine e quella di arrivo. E’ dalla famiglia che prende forma la società di oggi ed è alla famiglia che bisogna guardare.

D. - Una tavola rotonda sarà dedicata al ruolo delle donne migranti. Perché questa scelta?

R. - Una scelta arrivata in modo del tutto naturale guardando ai più recenti dati sulle migrazioni: pensiamo che ben il 49% dei migranti è composto da donne. Allora capiamo bene che lo stesso fenomeno migratorio sta cambiando; nel corso degli ultimi anni le donne hanno lasciato sempre più spesso il Paese di origine per andare a cercare di persona una vita migliore da offrire alla propria famiglia. Mentre una volta le donne si muovevano solo per ricongiungersi con i mariti, oggi diventano parte attiva dello sviluppo globale; sono, sempre di più, le protagoniste del cambiamento. Le donne si spostano in cerca di occupazione, pensano a come sostenere, anche economicamente, i figli e la famiglia. Se ci pensiamo, molti lavori oggi, anche nella nostra società, sono svolti proprio da donne arrivate da altri Paesi. La parola scelta volutamente per il nostro Congresso è “partner” nel senso che le donne sono in grado di cambiare e trasformare sia il volto della cooperazione sia quello dello sviluppo. Certo, non dobbiamo sottovalutare i pericoli che questa fascia migratoria deve affrontare: pensiamo, ad esempio, che spesso le donne lasciano i figli al Paese di origine, figli anche piccoli, in fase di crescita; inoltre spesso le donne che migrano finiscono nelle reti della criminalità. Tutto questo va tenuto in considerazione e anche di questo si parlerà durante il congresso.

D. - La migrazione giovanile è in aumento nel mondo. E' un fenomeno che preoccupa la Chiesa?

R. - Parlando dei giovani maggiorenni, il fenomeno della migrazione non dev’essere visto come un “problema” che varca i confini del nostro o di altri Paesi. I giovani migranti si portano appresso un potenziale enorme, indispensabile per costruire le basi solide di una società migliore, più produttiva e, senza dubbio, più fraterna. Ogni giovane che lascia la sua Terra di origine, porta con sé un bagaglio di conoscenze indispensabile per una stretta cooperazione tra i diversi Paesi. Culture, conoscenze economiche e anche religiose, si fondono in un incontro fondamentale per la crescita di una società. Quindi i giovani migranti sono una risorsa preziosa. Certo, bisogna riconoscere che l’adolescenza è un periodo della vita molto complesso, ricco di sogni, desideri e delusioni. I ragazzi che lasciano i loro Paesi in cerca di un futuro migliore devono ricevere attenzioni particolari da parte di chi li accoglie perché arrivano carichi di tutti i loro bisogni e le loro vulnerabilità, tipiche dell’età giovanile. E’ necessario che l’intera società tenga conto di questo. La Chiesa cattolica è impegnata in prima persona nella tutela dei giovani migranti; si batte perché i Governi sostengano i ragazzi in arrivo e offrano loro la possibilità di integrarsi al meglio all’interno di una comunità, così da sentirsi accolti per quello che sono. In questo periodo di adattamento, in cui il ragazzo si trova a vivere tra due differenti culture, c’è il rischio di una crisi d’identità ma anche il pericolo dell’indebolimento della fede. Anche per questo, è importante che il giovane migrante mantenga i rapporti con la famiglia di origine e in questo contesto la Chiesa vuole offrire un aiuto pastorale concreto.

D. - Quanto resta da fare sul piano pastorale per tutelare la dignità dei migranti?

R. - Sul piano pastorale c’è ancora molto da fare perché il fenomeno migratorio è in continua crescita e in continuo cambiamento. Uno degli obiettivi principali che la Chiesa si propone di raggiungere è quello della sensibilizzazione dei fedeli e dell’intera società: tutti devono ritenersi attori protagonisti in questo nuovo scenario migratorio che di giorno in giorno si sviluppa e si delinea in modo chiaro e complesso allo stesso tempo. L’accompagnamento è fondamentale per chi si trova solo in un Paese straniero e la Chiesa dev’essere costantemente quella madre accogliente che abbraccia tutti soprattutto nei momenti di difficoltà.

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Vaticano, Simposio contro la tratta: 30 milioni di schiavi nel mondo

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Nel mondo milioni di uomini, donne e bambini vengono raggirati, venduti, costretti a subire varie forme di schiavitù. Un numero tragico che aumenta al ritmo di tre milioni all’anno. E’ questo il dramma al centro del simposio internazionale “I giovani contro la prostituzione e la tratta di persone”, apertosi oggi in Vaticano. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Al Simposio, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali insieme alla ong argentina Vínculos en Red, partecipano oltre cento giovani  provenienti dai cinque continenti. Tra loro anche vittime della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento prostituzione. Dai giovani possono arrivare grandi e importanti insegnamenti. E’ quanto sottolinea mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali:

R. – Il migliore educatore per un giovane è un altro giovane. Quindi se i giovani stessi, che hanno sofferto queste nuove forme di schiavitù, soprattutto della prostituzione, sono capaci di comunicare come sia la violenza e quanto sia estesa – si parla di 30 milioni di persone soggette nel mondo a questo problema – e mostrare che questo è proprio l’effetto peggiore della globalizzazione dell’indifferenza, loro stessi, consapevoli di questo fenomeno, sono i migliori educatori; e loro stessi possono anche influire sui loro genitori, perché capiscano, per i fratelli e per gli altri giovani. Molte volte, infatti, non si conosce neanche il problema e non si è consapevoli. Una mamma manda a scuola sua figlia, o suo figlio, che vengono drogati e poi inseriti nel giro della prostituzione. E questo non si sa. Non si conoscono i pericoli veri che oggi vive la società. C’è sembrato, quindi, fondamentale unire i giovani, perché loro stessi comunichino le loro esperienze e vedano quali sono le migliori pratiche per sradicare questo fenomeno, il fenomeno che più danneggia la società.

D. – In modo che i giovani – come ha detto anche il Papa – riescano a fare chiasso. Quindi quell’esortazione rivolta dal Papa ai giovani, riuniti nella Cattedrale di Rio de Janeiro, oggi trova in questa iniziativa una risposta, che poi potrà dare altri frutti…

R. – Sì, fare chiasso, fare “casino” come ha detto il Papa, partendo da questa società chiusa, soprattutto interessata al lucro e al profitto, rompere questa schiavitù a cui ci portano le grandi multinazionali del profitto, e mostrare la vera dignità dell’uomo, anche con la pressione e con il chiasso, a partire dagli stessi giovani che soffrono questa situazione.

Suor Eugenia Bonetti, responsabile dell’Ufficio tratta dell’'Unione Superiori Maggiori d’Italia, si è soffermata su una priorità: quella di costruire reti e sinergie per affrontare con maggiore efficacia la tratta degli esseri umani.

R. - I giovani in questo settore, soprattutto in quello della sessualità, dell’affettività, hanno una grande capacità di cogliere quello che veramente costruisce, invece di dare un volto un nome a quello che distrugge. I giovani hanno bisogno di speranza, di futuro, di sapere quali sono le loro potenzialità, le loro ricchezze per metterle al servizio di questa umanità, dove sembra che ciò che è più importante ciò che è valido è solo l’interesse, il piacere, il potere, il possesso. Ormai la nostra più grande forza è “lavorare in rete”. Da soli non riusciamo più a far niente, ma se noi mettiamo insieme le potenzialità di questi giovani ma anche i nostri Paesi, le nostre chiese, le nostre scuole, le nostre società, questi possono veramente imboccare una strada giusta dove la persona è al centro. Come umanità, come società siamo un grande mosaico, ma il mosaico è fatto di piccoli pezzettini; quello che è importante è che ciascuno sia al proprio posto. Allora il mosaico sarà qualcosa di veramente bello: una creazione nuova dell’oggi, di questa nostra società.

D. - L’esempio di oggi di giovani riuniti in un dibattito sul tema della prostituzione con esperienze dirette ed indirette di questo dramma può essere una risposta importante …

R. - Certamente una bellissima occasione anche per il fatto che vengono giovani da tutto il mondo dove in alcuni Paesi la realtà della prostituzione può essere molto più spiccata rispetto ad altri Paesi. Vedere dei giovani che si interrogano sul valore della persona, delle proprie azioni ci fa scoprire come i giovani cerchino veramente la dignità il rispetto di sé stessi e degli altri.

Al dibattito è intervenuta, tra gli altri, la giovane messicana Mariana Ruenes, presidente e fondatrice dell’Associazione “Senza tratta”, che ha ricordato l’importanza di non chiudere gli occhi di fronte a drammi come quello della tratta degli esseri umani:

R. – Siempre digo una frase…
Dico sempre che l’ignoranza causa indifferenza e l’indifferenza è il maggiore alleato della tratta degli esseri umani, il maggior alleato di un trafficante. Quindi credo che ascoltare queste informazioni ci debba caricare di una responsabilità, quella di abbandonare l’indifferenza. Abbandonare l’indifferenza può avvenire in maniera diversa in ognuno di noi, perché ognuno di noi ha le sue trincee: un avvocato, un comunicatore, un sociologo. Quindi fare la differenza può essere diverso per ciascuno di noi. Ma in definitiva credo che fare la differenza arrivi nel momento in cui si dà davvero valore alla vita dell’essere umano, al punto da essere disposti a fare per quella vita la stessa cosa che vorremmo per la nostra in quella situazione. Credo che la risposta a questa riflessione stia nell’atteggiamento che abbiamo rispetto alla tratta degli esseri umani.

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A padre Lombardi dottorato honoris causa in Scienze Comunicazioni Sociali

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Per il suo costante e continuo servizio nell'opera di evangelizzazione e diffusione del messaggio cristiano e della voce del Papa nel mondo, l'Università Pontificia Salesiana, venerdì pomeriggio, ha conferito a padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana e della nostra emittente, un dottorato honoris causa in Scienze della Comunicazione Sociale. Dopo la proclamazione, avvenuta in occasione del 25.mo anniversario della facoltà, padre Lombardi ha tenuto una lectio magistralis sui suoi 25 anni a servizio delle comunicazioni sociali, prima come vicedirettore de La Civiltà cattolica, poi come direttore del Centro Televisivo Vaticano e della Radio Vaticana e quale direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Nel corso della lectio, padre Lombardi ha sottolineato l’importanza di parlare della pace, continuamente e pervicacemente, ricordando: “quante volte in questi anni i Papi ci hanno pazientemente e costantemente guidato a parlare di pace, a volte appassionatamente picchiando il pugno sul davanzale della finestra come faceva Giovanni Paolo II, a volte accoratamente, a volte sperando contro ogni speranza”. Bisogna “usare la comunicazione per la pace - ha poi continuato - per annunciarla, per fare capire la difficoltà e la complessità della sua costruzione, per accompagnare e sostenere gli operatori di pace di ogni genere, per educare alla pace, per farla passare negli atteggiamenti quotidiani attraverso il tono della voce, gli atteggiamenti di dialogo o le immagini, a seconda del medium che si usa”. Sul significato di questo riconoscimento, ascoltiamo le parole di padre Federico Lombardi al microfono di Elvira Ragosta

R. – Ricevere un dottorato è un segno di incoraggiamento per me: vuol dire che ci sono state persone, tante persone, anche competenti, che ritengono che ho potuto fare un servizio per la Chiesa, per il pubblico, per loro. Naturalmente, io ne sono grato e mi sento incoraggiato a continuare. Questo è il significato che do a questo dottorato, non altri.

D. – Nella sua lectio ha detto che la parola è tutto per comunicare la pace, che è la cosa più importante nella comunicazione sociale…

R. – Sì, il primo messaggio che io volevo dare è proprio: perché si comunica? Uno degli aspetti fondamentali per cui si deve comunicare è per unire, perché la gente possa capirsi vicendevolmente. Noi facciamo la comunicazione in una prospettiva cristiana, ma credo anche in una prospettiva umana più ampia, proprio perché le persone possano capirsi vicendevolmente e quindi possano costruire comunità. Questo a me sembra una cosa tutt’altro che teorica, mi sembra molto concreta, perché negli atteggiamenti del comunicatore, nel suo modo di andare incontro alla persona con cui parla, nel suo creare occasioni di incontro, veramente si capisce benissimo se vuole creare unità o se vuole creare divisione. E c’è un po’ la mentalità che per fare una buona comunicazione dinamica bisogna mettere gli uni contro gli altri, bisogna creare divisioni e cose di questo genere. Questo io non lo condivido assolutamente. Io credo che dobbiamo sempre usare la parola per farci capire e per stabilire dialogo e quindi comunicare per unire.

D.  – Nel corso degli ultimi 25 anni la tecnologia è andata avanti eppure il messaggio da comunicare resta sempre lo stesso. Come la nuova tecnologia ha aiutato?

R. – Sono assolutamente convinto che la cosa più importante sia il che cosa si voglia comunicare. Questo, in particolare, poi, per i comunicatori nella fede, per i comunicatori del Vangelo è estremamente importante: al centro ci deve essere la consapevolezza che si annuncia Gesù Cristo, la sua parola e, anche più ampiamente, che si annunciano tutti i valori, anche quelli umani, che sono coerenti con il Vangelo. Le tecnologie sono importanti, evidentemente, non vanno affatto disprezzate, anzi vanno amate e scelte con intelligenza per lo scopo, cioè per riuscire a raggiungere sempre nuove persone, a integrarle in una circolazione di informazione, di comunicazione, per cui la comunità possa crescere. Ci possono essere tecnologie che ci permettono di arrivare in angoli del mondo che finora sono isolati, che ci permettono, come è stato per noi alla Radio Vaticana, tanto tempo fa, di superare le barriere, i confini, dove i popoli venivano segregati e tenuti privi della libertà e noi riuscivamo a raggiungerli grazie alle onde corte. Quindi le tecnologie sono importanti in vista di uno scopo che è quello appunto del messaggio, che per noi è fondamentalmente il messaggio cristiano, ma anche tutto ciò che ha a che fare con la verità, con la pace, con la giustizia, con la vera crescita della persona umana.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Con la vita non si gioca: ai medici cattolici Papa Francesco ricorda la necessità di scelte coraggiose come l'obiezione di coscienza.

Il dovere della pace: intervento della Santa Sede a Ginevra.

Una strada verso il mondo: il cardinale Gerhard Muller sulla ricchezza dell'amore tra uomo e donna.

Il segnalibro ritrovato: Mario Sina su Paolo VI e Pascal.

Il terrorismo del rumore: intervista di Carlo Pulsoni a Pablo d'Ors autore del libro "Biografia del silenzio", con un articolo di Antonella Lumini.

Sotto un cielo che vibra: Rodolfo Balzarotti sulla "Natività" di William Congdon in mostra a Milano.

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Oggi in Primo Piano



G 20: Putin lascia il vertice in anticipo. Forti tensioni sull'Ucraina

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Archiviata la prima giornata del G20 a Brisbane, in Australia. Domani la conclusione del vertice dei capi di Stato e di governo che ha visto l’improvviso abbandono del presidente russo Putin. Una mossa dettata dalla crisi ucraina. Il servizio di Benedetta Capelli: 

Sono già passate in secondo piano le ragioni del G20 di Brisbane, convocato per dare una risposta alla crisi economica e rilanciare la crescita, guardando ai cambiamenti climatici e all’emergenza Ebola. A fare notizia è l’abbandono del presidente russo Vladimir Putin che lascia prima della conclusione il summit. Un vertice che il capo di Stato australiano Abbott voleva all’insegna dell’ottimismo e della speranza, una riunione dove parlare con il cuore. Ma si è capito subito che la strada era in salita. Dopo l’incontro tra Obama e Putin, una nota di Mosca riferiva che i rapporti tra i due Paesi non registravano passi avanti. Poco prima il capo della Casa Bianca aveva giudicato l’aggressione contro l’Ucraina “una minaccia per il mondo”, riferendosi in particolare all’abbattimento dell’aereo malese lo scorso luglio. Polemiche c’erano state anche negli incontri tra Putin, il premier britannico Cameron e il presidente francese Hollande. Troppe tensioni che hanno indotto il capo del Cremlino ad andarsene. Intanto in una dichiarazione congiunta, i leader del G20 si sono detti “profondamente preoccupati” per l'epidemia di Ebola, ed hanno chiesto di fare di tutto per “sradicarla” e intervenire sulle sue conseguenze economiche e umanitarie “nel breve termine”. Dichiarazione che non ha soddisfatto le Ong che se ne occupano. Per l’economia, al vaglio c'è un piano da duemila miliardi di dollari per crescere del 2% in 5 anni. L’esordiente presidente della Commissione europea Junker è pronto ad un pacchetto di investimenti del valore di 300 miliardi di Euro. Al centro del vertice anche il clima con la proposta americana di un contributo di 3 miliardi ai Paesi emergenti per combattere i gas serra e l'inquinamento. Da registrare anche alcune manifestazioni contro il G20, tre gli arresti effettuati.

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Nigeria, avanza Boko Haram. Casale: serve dialogo interreligioso

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Ancora violenza in Nigeria. Chibok, la città nel nord est del Paese dove erano state rapite in aprile 276 studentesse, è caduta nelle mani di Boko Haram, nonostante le promesse del governo di inviare nella zona dei rinforzi. Inoltre, sempre ieri, sei persone, tra cui tre poliziotti sono rimasti uccisi in un attentato suicida a Kano, attribuito sempre al gruppo islamico. Sembrano dunque naufragare le ipotesi di un accordo tra governo e Boko Haram, che si erano ventilate nei giorni scorsi. Corinna Spirito ,ne ha parlato con Enrico Casale, esperto di Africa per la rivista dei gesuiti Popoli: 

R. - Non bisogna aspettarsi da Boko Haram un ritorno sui suoi passi. Io credo che loro invece premeranno ulteriormente l’acceleratore per creare anche in Nigeria un Califfato. Detto questo, credo che la reazione della comunità internazionale, a fianco anche di un maggiore coordinamento da parte delle potenze regionali, e penso al Camerun, al Niger, in parte al Burkina Faso, sebbene ultimamente sia agitato da instabilità interna. Quindi, una cooperazione tra le potenze regionali e le organizzazioni delle Nazioni Unite che possa portare a un contenimento così come è avvenuto in Mali dei movimenti fondamentalisti islamici.

D. – Per la Nigeria i vescovi hanno sollevato una campagna nazionale di sei mesi e una veglia di preghiera la notte tra il 13 e il 14 novembre. Queste iniziative possono avere un peso politico?

R. – Io credo che le iniziative della Chiesa cattolica siano lodevoli, ma che un maggiore impatto sulla situazione nigeriana possa esserci solo se ci sarà un’apertura, come in molte regioni della Nigeria già avviene, di dialogo ecumenico e interreligioso con le fazioni più dialoganti dell’islam e con le altre componenti cristiane presenti sul territorio nigeriano, dialogo che possa portare a un superamento di questa crisi legata a Boko Haram.

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Sudafrica: chiusa inchiesta sulla strage di Marikana

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In Sudafrica, si sono conclusi ieri – dopo oltre due anni e trecento udienze – i lavori della commissione d’inchiesta sul massacro di Marikana. In questa località del Nordovest, il 16 agosto 2012, 34 minatori del platino rimasero uccisi dopo che la polizia aprì il fuoco durante uno sciopero selvaggio. Ora c’è attesa per le conclusioni della commissione, che ha ascoltato testimonianze del tutto contrastanti. Dal Sudafrica, ci riferisce Davide Maggiore: 

Su un solo punto tutte le parti concordano. Il verdetto sulle morti dei 34 minatori della compagnia Lonmin sarà un test “per il funzionamento della giustizia sudafricana”. Sulle responsabilità dell’accaduto, però, è scontro aperto: secondo le forze dell’ordine sparare fu legittima difesa, visto che i manifestanti stavano attaccando gli agenti. I responsabili della raccolta delle prove, però, hanno parlato di “reazione sproporzionata” ed è confermato che alcuni scioperanti furono colpiti alle spalle. I rappresentanti dei superstiti e del sindacato che aveva organizzato lo sciopero, in più, hanno accusato la Lonmin di pressioni su esponenti politici e forze dell’ordine perché la questione fosse affrontata con durezza. Da questi elementi contrastanti dovranno partire i tre componenti della commissione, guidati dal giudice a riposo Ian Farlam, per stilare il rapporto da consegnare alle autorità entro fine marzo. Un compito non facile, considerato che le famiglie delle vittime chiedono la messa in stato d’accusa proprio dei vertici della polizia e del vicepresidente della Repubblica Cyril Ramaphosa, al tempo azionista della Lonmin.

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A Roma il Family Act per difendere vita e famiglia

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Una grande riunione di piazza per difendere la famiglia: questo vuole essere la manifestazione “Family Act: insieme per la vita e per la famiglia”, che si tiene nel pomeriggio di oggi a Roma. Vi hanno aderito diverse organizzazioni: dal Forum delle Associazioni Familiari all’associazione Nuovi Orizzonti; dall’Alleanza Evangelica Italiana al Movimento cristiano riformisti. L’evento, organizzato da Ncd, vede gli interventi di diversi esponenti della società civile. Fra loro Massimo Gandolfini, presidente di “Vita è”  e direttore del dipartimento di neuroscienze all’Ospedale di Brescia. Debora Donnini lo ha intervistato: 

R. – Siamo molto preoccupati perché stanno venendo avanti delle opzioni di ordine sociale, di ordine culturale, che vorrebbero destrutturare la famiglia così come noi la conosciamo dai primordi dell’umanità ad arrivare ad oggi, "inventandosi" nuovi tipi di famiglia, tant’è che si propone che non si parli più di una famiglia ma di “modalità diverse di famiglie”, che possono comprendere, appunto, famiglie dette omogenitoriali, cioè con due papà o due mamme … Collegato a questo, c'è il problema dell’educazione dei bambini secondo la cosiddetta ideologia “gender”.

D. – Lei come medico si occuperà principalmente della "questione biologica" della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. A volte, però, si viene accusati di discriminazioni verso le persone omosessuali. Lei cosa ha da dire in proposito?

R. – Questa manifestazione che faremo a Roma non ha la finalità di essere una manifestazione contro qualcuno o che vuole discriminare qualcuno; non vuole discriminare le persone omosessuali, tanto meno vuole essere irriguardosa. Detto questo, non deve essere questa la scusa per far passare istanze di ordine sociale, per le quali si propongono – soprattutto alle nuove generazioni – dei modelli di famiglia o dei modelli di educazione sessuale, che sono contrari innanzitutto alla biologia. Infatti, il fondamento è che la specie dell'homo sapiens sapiens è una specie fondata su un chiarissimo dimorfismo sessuale: il maschio ha delle caratteristiche maschili, la femmina ha delle caratteristiche femminili, tra di loro differenti che, portando delle specificità l’una e delle specificità l’altra, nella loro complementarietà rappresentano la pienezza dell’umanità. Il “gender”, o il genere, è una costruzione culturale-ideologica, che prescinde da questo dato di fatto – in questo senso, è uno degli esempi più classici di relativismo filosofico – cioè si prescinde dal dato di fatto e si fa una costruzione mentale per cui il “genere” è una sorta di percezione di sé per cui ognuno si può "inventare" di essere di un genere particolare, indipendentemente dal proprio sesso.

D. – Quindi voi ribadite che la famiglia è quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, partendo anche dal dettato costituzionale...

R. – Si può capire benissimo quanto il dettato costituzionale sia nella sua organicità limpido e chiaro nel momento in cui definisce la famiglia una società naturale fondata sul matrimonio. Se teniamo fisso questo principio, è chiaro che allora la famiglia è la famiglia etero-genitoriale; le altre unioni non sono “la” famiglia e non possono avere la pienezza dei diritti che spetta – secondo il principio del “favor iuris” – soltanto alla famiglia etero-genitoriale come è definita dall’articolo 29 della Costituzione. E per essere molto chiari, uno di questi diritti che non può essere dato alle convivenze omogenitoriali è l’adozione dei bambini.

D. – Uno dei temi in ballo è infatti quello della possibilità di adozione di bambini da parte di coppie omosessuali …

R. – Per quanto riguarda il tema specifico dell’adozione, bisogna essere molto chiari. Non esiste il diritto della coppia ad avere un bambino. In questo momento, in Italia – e questo ce lo dice l’Istat – per 20 famiglie che hanno già l’idoneità ad adottare un bambino italiano, il bambino è uno: è un rapporto di 20 a 1. E quei bambini che sono negli orfanotrofi, spesso sono bambini grandi oppure sono bambini che hanno disabilità fisiche o psichiche. Quindi, pensare di aprire l’adozione alle coppie gay per ovviare ad un problema sociale di bambini abbandonati, è falso. L’adozione ha come scopo quello di porre il bambino – considerando che è il suo supremo interesse quello che dev’essere tutelato – nelle condizioni familiari migliori per poter crescere in condizioni di sviluppo equilibrato. Allora, la storia della psicologia da 150 anni ad oggi ci dice che la condizione migliore per lo sviluppo di un bambino è quello che abbia un papà maschio e una mamma femmina.

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Firenze omaggia Luzi. Card. Betori: unisce storia e religione

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Narrare la storia della costruzione di una delle cupole più celebri al mondo, quella del duomo di Santa Maria del Fiore a Firenze, progettata dall’artista Filippo Brunelleschi nel 1400. E’ il tema da cui parte la rappresentazione 'Opus Florentinum', scritta da Mario Luzi nel 1999 e messa in scena ieri sera a Firenze proprio all’interno del duomo, in omaggio al maestro toscano di cui ricorre in questi giorni il centenario dalla nascita. L’evento, promosso dall’Opera di Santa Maria del Fiore, è stato realizzato dal teatro studio Krypton. Ascoltiamo il commento del cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo del capoluogo toscano, presente alla serata, al microfono di Marina Tomarro

R. – Inizia, innanzitutto, dalla figura di Mario Luzi, che rappresenta il fiore più appariscente di una pianta, perché tutto il '900 fiorentino ha prodotto delle figure di grande spessore culturale e poetico. Noi quest’anno festeggiamo tre centenari - quello di Bigongiari, quello di Luzi e di Parronchi - tutto nello stesso filone di un cattolicesimo attento all’umano, che a Firenze ha trovato l’habitat più fecondo. Direi, quindi, anzitutto questa appartenenza di Luzi ad una storia cittadina, segnata profondamente dal Vangelo, dal cristianesimo, con tutte le sue contraddizioni.

D. – Quanto è attuale ancora il suo messaggio?

R. – Direi proprio che l’attualità sta nel fatto che egli ha saputo coniugare insieme l’attenzione alla trascendenza, l’attenzione all’umano e l’attenzione al civile. Direi che proprio questo non separare le cose tra lo spirituale e lo storico, tra il religioso e l’umano, sia il messaggio più forte che ci viene da Luzi e dall’opera “Opus Florentinum”.

D. – Ecco, l’"Opus Florentinum" racconta proprio del Duomo di Santa Maria del Fiore: quanto è importante ancora oggi per la città di Firenze?

R. – Direi che, ancora, questa cupola che svetta su tutte le nostre case dice che c’era un’ambizione qui e cioè che questo fosse un luogo capace di raccogliere e di raccogliere tutti. Questa cattedrale non è percorsa nelle sue navate dalle grandi opere sacre, bensì dalla memoria dei grandi di Firenze, quelli che l’hanno difesa, i condottieri, quelli che l’hanno costruita, i grandi artisti, quelli che gli hanno dato un’anima, i pensatori, Marsilio Ficino e così via. Dentro questa cattedrale la storia religiosa non è diversa dalla storia della città.

E l’"Opus Florentinum" diventa un testamento spirituale di Luzi per la sua amata città. Ascoltiamo il regista della rappresentazione, Giancarlo Cauteruccio:

R. -  E', secondo me, un vero testamento spirituale, perché questa opera scritta per Firenze, partendo dal cuore di Firenze, quindi dalla basilica di Santa Maria del Fiore, è proprio un vero testamento lasciato alla città. Ma io, devo dire, ho colto da Mario Luzi la semplicità, la cittadinanza e l’osservazione attenta. Nel testo questo si sente molto: quanto lui abbia osservato la città e i fenomeni. Quindi io sono stato davvero fortunato di avere avuto la possibilità di frequentare Mario Luzi: e questa cosa mi ha dato più forza.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 33.ma Domenica del Tempo ordinario la liturgia ci presenta la parabola dei talenti, donati a ciascuno secondo le sue capacità. C’è chi li fa fruttare e chi no. Ai primi Gesù ricorda quanto verrà detto:

“Bene, servo buono e fedele … sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto”.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Anche questa pagina del Vangelo suona un poco scandalosa alle nostre orecchie: da una parte un padrone: “uomo duro”, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso – un’immagine di Dio che molti di noi hanno; dall’altra questo servo che ha paura, e restituisce quanto è del suo padrone. Il padrone, prima di un lungo viaggio, distribuisce ai servi i suoi beni: cinque talenti, due e uno. E li distribuisce non a casaccio, ma nel rispetto delle capacità di ognuno. Ciò che egli si aspetta dai servi non è una specie di catena di produzione, ma che essi possano entrare, “prendere parte alla gioia del loro padrone”. La parabola si apre e illumina il senso della vita dell’uomo. I doni che Dio dà sono perché nell’uomo si possa riprodurre la vita divina e egli possa fare della sua vita un servizio ai fratelli. I primi due servi sanno bene operare e portare a compimento l’opera del Signore: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, …prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Il terzo riceve una parola dura, caratterizzata da tre aggettivi: “Servo malvagio e pigro”, “inutile”. Malvagio, perché conosce la volontà del padrone, ma non se ne cura; pigro, perché non ha tempo per essa, ma per altro; inutile, Dio ha dato anche a lui una missione, ma lui ha sprecato il dono di Dio. Nel cristianesimo “tutto è grazia”, che precede, accom-pagna e segue l’opera di Dio, ma non è una grazia da buttare via: “Io sono una missione su questa terra” (Ev. gaudium, 273), ci dice Papa Francesco.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: blasfemia, arrestato cristiano in fuga da oltre 3 anni

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La polizia della provincia del Punjab, in Pakistan, ha arrestato a Lahore un uomo, di religione cristiana, accusato di blasfemia e latitante da oltre tre anni. Lo riportano il quotidiano The Dawn e il sito di Express Tribune. Il quarantenne è accusato di aver pubblicato su internet un commento offensivo nei confronti di Maometto. La vicenda risale al luglio del 2010: Qaisar Ayoub, di professione informatico, secondo l’accusa scrisse delle parole blasfeme sul proprio blog e sul sito web di una tv. Un residente del distretto di Chakwal lo denunciò. In base ai dati raccolti da ong pachistane, tra il 1987 e l'ottobre 2014, circa 1.500 persone sono state accusate di blasfemia. Le minoranze religiose, pari a meno del 4% della popolazione nazionale, costituiscono il 50% degli accusati di blasfemia (501 ahmadi, 182 cristiani, 26 indù e 10 vittime di cui non è accertato il credo). A partire dal 1990, 60 persone sono state uccise in via extragiudiziale per blasfemia, 20 delle quali dai poliziotti o mentre erano in custodia, 19 in attacchi della folla. (G.A.)

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Uruguay. Vescovi: ideologia gender a scuola calpesta diritti dei genitori

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La Conferenza episcopale dell’Uruguay ha pubblicato una dichiarazione dal titolo “No alla discriminazione, sì al rispetto” in risposta a due testi del ministero dello Sviluppo sociale locale in materia di orientamento sessuale che, secondo i vescovi, “pretendono di imporre l’ideologia di genere”. Si tratta di una guida all’“Educazione e alla diversità sessuale” e del documento “Trasforma 2014” che invita i docenti omosessuali a uscire allo scoperto per “offrire agli studenti modelli d’identificazione alternativi”. La dichiarazione dell’episcopato ribadisce il diritto di ogni persona di non essere discriminata per motivi di razza, sesso o religione, ma avverte che questa giusta aspirazione “non può essere utilizzata per imporre l’ideologia di genere da parte di chi non tollera altre concezioni della sessualità o della famiglia, in particolare, la visione ebraico-cristiana di cui siamo gli eredi”.

I vescovi affermano, inoltre, che nonostante il Ministero dichiari che tali testi hanno come obiettivo quello di “smontare stereotipi’, in realtà impongono una concezione del corpo umano, della persona, del matrimonio, della famiglia e della morale in totale contrasto con quanto sostengono sia il cristianesimo sia le altre religioni e filosofie. Secondo i vescovi ciò calpesta il diritto fondamentale dei genitori di scegliere l’educazione dei propri figli come sancito dalla Costituzione, secondo la quale “lo Stato laico non deve promuovere alcuna concezione filosofica della persona o della sessualità, e ancor meno, un’ideologia che, giustificandosi con la non discriminazione, pretende precludere l’educazione ai valori cristiani”.

I presuli ricordano che i culti religiosi sono liberi in Uruguay e pertanto le istituzioni cattoliche continueranno a insegnare liberamente il prezioso patrimonio della dottrina della Chiesa, della quale il rispetto di tutte le persone senza alcuna discriminazione è parte essenziale. “Infine alziamo la nostra voce anche in nome delle famiglie cattoliche che mandano i propri figli alle scuole statali – conclude la nota - i genitori hanno il diritto e il dovere di opporsi a quello che considerano un abuso nell’educazione dei figli, che invece di essere formati alla non discriminazione delle persone, soffriranno la violenza di un’educazione sessuale ideologizzata”. (A cura di Alina Tufani)

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Card. Tagle: la visita del Papa nelle Filippine benedizione per tutti

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“La visita pastorale di Papa Francesco sicuramente sarà una benedizione per tutti noi, specialmente per i poveri, per i sopravvissuti alla calamità naturali e alle vittime di diversi tipi di ingiustizia. Nella persona e nella presenza di Papa Francesco sarà palpabile la preoccupazione e la solidarietà di Gesù Buon Pastore”: lo afferma l’arcivescovo di Manila, il card. Luis Antonio Tagle, in una nota pervenuta all’agenzia Fides all’indomani della pubblicazione del programma del viaggio papale, che sarà in Sri Lanka dal 13 al 15 gennaio e, a seguire, nelle Filippine fino al19 gennaio 2015.

Il card. Tagle rimarca: “La visita del Papa richiama ogni cristiano a una responsabilità personale e sociale. Come discepoli di Gesù Cristo, guidati dallo Spirito Santo, siamo chiamati a far giungere l’amore agli emarginati e agli abbandonati, per contribuire a guarire le ferite inflitte a bambini, donne e famiglie. Siamo chiamati a rispettare quanti sono diversi da noi, per formare i giovani alla libertà responsabile, al valore della vita e del Creato, per infondere misericordia e compassione nella nostra cultura e società. Con Il Papa cerchiamo di diffondere con gioia il Vangelo della speranza”.

Dato che la visita nella Filippine avrà come tema “misericordia e compassione”, l’arcivescovo invita, infine, i fedeli a vivere tali valori, “purificandosi, rafforzandosi costantemente nella fede, ascoltando la Parola di Dio, accostandosi all'Eucaristia”, riconciliandosi con Dio e col prossimo, compiendo atti di giustizia e amore.

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Laos. Famiglie sfrattate dai villaggi dopo conversione al cristianesimo

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Sette cristiani di etnia Hmong sono stati arrestati nella provincia di Luang Namtha, nel Nord del Laos, il 2 novembre scorso, dopo essere convertiti dall’animismo al cristianesimo. Come appreso da Fides, nei giorni successivi cinque dei cristiani sono stati rilasciati dopo aver firmato un impegno a rinunciare alla loro fede, mentre altri che hanno rifiutato sono stati trasferiti nella prigione provinciale. L’accusa è “turbamento della pace sociale”.

Un altro episodio testimonia l’ostilità del governo: sei famiglie cristiane Hmong sono state cacciate dal loro villaggio, nel Laos centrale, dopo essersi rifiutate di abbandonare la fede. Le sei famiglie (in tutto circa 25 persone) abitavano nel villaggio di Ki Hai, nella provincia di Borikhamxay. Si erano convertite al cristianesimo dall’animismo e, a causa della conversione, le autorità locali hanno arrestato due uomini, tra i capo famiglia, tenendoli in carcere per circa un mese e chiedendo di rinunciare alla fede cristiana. Dopo il rifiuto, è giunto l’ordine di sfratto. Due famiglie hanno lasciato il villaggio alla fine di agosto, altre quattro a metà settembre, rifugiandosi nel vicino villaggio di Hoi Keo, nei pressi della città di Lak Sao. Le famiglie hanno perso la casa, il terreno e la fattoria che avevano nel villaggio originario. Il governatore del distretto interessato, interpellato da Radio France International, ha affermato di non essere a conoscenza dello sfratto forzato, che viola la Costituzione, ma ha promesso di indagare. Le autorità del Laos – riferisce Fides - da tempo diffidano della popolazione di etnia Hmong, per la loro antica opposizione al governo comunista ai tempi della guerra tra Vietnam e Stati Uniti.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 319

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.