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Sommario del 16/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa all'Angelus: nostra fede sia a vantaggio degli altri, non teniamola in cassaforte

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I beni che abbiamo ricevuto da Dio non vanno tenuti in cassaforte, ma usati per gli altri: è quanto ha detto Papa Francesco durante l'Angelus di questa domenica. Migliaia i pellegrini presenti in Piazza San Pietro. Il servizio di Sergio Centofanti

Al centro dell’Angelus del Papa la parabola dei talenti proposta dalla liturgia domenicale. I talenti, secondo questo brano evangelico – ha spiegato Papa Francesco – non sono le qualità individuali, ma il patrimonio che il Signore ci affida: la sua Parola, l’Eucaristia, la fede nel Padre celeste, il suo perdono, cioè “i suoi beni più preziosi” che noi siamo chiamati a far fruttare. Così, la buca scavata nel terreno dal “servo malvagio e pigro” indica “la paura del rischio che blocca la creatività e la fecondità dell’amore”:

“Gesù non ci chiede di conservare la sua grazia in cassaforte (...) ma vuole che la usiamo a vantaggio degli altri. Tutti i beni che noi abbiamo ricevuto sono per per darli agli altri e così crescono. È come se ci dicesse: ‘Eccoti la mia misericordia, la mia tenerezza, il mio perdono: prendili e fanne largo uso’. E noi che cosa ne abbiamo fatto? Chi abbiamo ‘contagiato’ con la nostra fede? Quante persone abbiamo incoraggiato con la nostra speranza? Quanto amore abbiamo condiviso col nostro prossimo? Sono domande che ci farà bene farci. Qualunque ambiente, anche il più lontano e impraticabile, può diventare luogo dove far fruttificare i talenti”.

Dunque - ha detto - “non ci sono situazioni o luoghi preclusi alla presenza e alla testimonianza cristiana” che "non è chiusa, è aperta":

“Questa parabola ci sprona a non nascondere la nostra fede e la nostra appartenenza a Cristo, a non seppellire la Parola del Vangelo, ma a farla circolare nella nostra vita, nelle relazioni, nelle situazioni concrete, come forza che mette in crisi, che purifica, che rinnova”.

Questo – ha sottolineato il Papa – vale anche per il perdono, che il Signore ci dona specialmente nel Sacramento della Riconciliazione:

“Non teniamolo chiuso in noi stessi, ma lasciamo che sprigioni la sua forza, che faccia cadere quei muri che il nostro egoismo ha innalzato, che ci faccia fare il primo passo nei rapporti bloccati, riprendere il dialogo dove non c’è più comunicazione".

Il Signore - ha osservato - non dà a tutti le stesse cose e nello stesso modo:

“Ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi; ma in tutti ripone la stessa, immensa fiducia. Dio si fida di noi. Dio ha speranza in noi. E questo è lo stesso per tutti. Non deludiamolo! Non lasciamoci ingannare dalla paura, ma ricambiamo fiducia con fiducia!”.

"La Vergine Maria - ha affermato - incarna questo atteggiamento nel modo più bello e più pieno. Ella ha ricevuto e accolto il dono più sublime, Gesù in persona, e a sua volta lo ha offerto all’umanità con cuore generoso. A Lei chiediamo di aiutarci ad essere 'servi buoni e fedeli', per partecipare “alla gioia del nostro Signore”.

Infine il Papa ha esortato a rileggere e meditare la parabola dei talenti (Matteo 25, 14-30), come esame di coscienza per vedere se i beni di Dio li teniamo per noi o li usiamo per gli altri.

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Francesco su tensione residenti-immigrati a Roma: non cedere a tentazione scontro

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Dopo la preghiera dell’Angelus, Papa Francesco ha ricordato le “tensioni piuttosto forti tra residenti e immigrati” in questi giorni a Roma: “Sono fatti – ha detto - che accadono in diverse città europee, specialmente in quartieri periferici segnati da altri disagi”. Il Papa ha invitato le Istituzioni, di tutti i livelli, “ad assumere come priorità quella che ormai costituisce un’emergenza sociale e che, se non affrontata al più presto e in modo adeguato, rischia di degenerare sempre di più”: 

“La comunità cristiana si impegna in modo concreto perché non ci sia scontro, ma incontro. Cittadini e immigrati, con i rappresentanti delle istituzioni, possono incontrarsi, anche in una sala della parrocchia, e parlare insieme della situazione. L’importante è non cedere alla tentazione dello scontro, respingere ogni violenza. E’ possibile dialogare, ascoltarsi, progettare insieme, e in questo modo superare il sospetto e il pregiudizio e costruire una convivenza sempre più sicura, pacifica ed inclusiva”.

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Papa: impegno costante nella prevenzione degli incidenti stradali

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Questa domenica ricorre la Giornata mondiale delle vittime della strada. All’Angelus, il Papa ha esortato a ricordare nella preghiera quanti hanno perso la vita, “auspicando l’impegno costante nella prevenzione degli incidenti stradali, come pure un comportamento prudente e rispettoso delle norme da parte degli automobilisti”. Nel 2013 in Italia i morti sono stati 3400, in diminuzione ma sempre troppi. Fabio Colagrande ne ha parlato con Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente dell'Associazione italiana familiari e vittime della strada (Aifvs): 

R. – La ricorrenza serve a noi per riflettere, proprio per liberarci dai comportamenti omissivi, prepotenti, di trasgressione delle norme. E questa trasgressione delle norme deve essere vista non soltanto con riferimento alle persone ma anche alle istituzioni. Quest’anno abbiamo cercato di puntare l’attenzione, certo, sul più debole ma nello stesso tempo sul fatto che la strage è effettivamente diminuita. Rifacevo il conto: nel quinquennio del 2008 al 2013, i morti sono diminuiti di 1.346 unità, i feriti di 53.318 unità e gli incidenti di 37.736. Quindi, la diminuzione c’è stata. E allora, se la strage è diminuita, vuol dire che può diminuire sempre di più. E se non è diminuita di più, la colpa è principalmente delle istituzioni. Dobbiamo avere le idee chiare: con il comportamento omissivo le istituzioni mantengono la strage.

D. - Voi parlate di un modo “burocratico” con cui le istituzioni affrontano questi problemi, che significa?

R. – Nel senso che magari si vede che in certi tratti stradali c’è pericolosità, etc.. Un ufficio trasmette la notizia all’altro, ma poi tutto si blocca in una questione di carte, passaggio di carte. Poi, c’è sempre la giustificazione: perché non hanno i soldi. Ma non è vero che ci vogliono necessariamente molti soldi per fare determinati interventi che eviterebbero condizioni di pericolo, perché a volte si tratta solo di un segnale mal posto. In questo modo si subordina ai soldi anche la propria intelligenza, così diminuisce il senso di responsabilità della persona. E’ assurdo che una persona non si renda conto, in un’istituzione, che ha un obiettivo da raggiungere e di quell’obbiettivo deve rispondere. Le istituzioni hanno il compito di garantire la sicurezza sulla strada. La maggior parte degli incidenti si concentra sempre sugli stessi tratti: vuol dire che si conoscono già le condizioni di pericolo. E perché non si tolgono quelle situazioni di pericolo? E così come si sanziona il conducente, anche se non causa l’incidente, solo perché non osserva le norme, allo stesso modo si deve sanzionare l’ente che gestisce il territorio perché mantiene una situazione di pericolosità, pur se non si verifica l’incidente.

D.  – In occasione di un vostro convegno San Giovanni Paolo II disse delle parole forti: “Non rassegnatevi mai a considerare le vittime della strada come un fatale ed inevitabile pedaggio da pagare al progresso”…

R.  – Ci vuole veramente un po’ di luce nella coscienza: capire che cosa dobbiamo fare in questo mondo di cui abbiamo la responsabilità, della cui gestione, del cui miglioramento abbiamo la responsabilità, come pure abbiamo la responsabilità del suo peggioramento. Quindi per noi questo richiamo morale, questa indicazione che ha dato Giovanni Paolo II è una cosa importantissima perché pone l’attenzione sull’uomo. Non dobbiamo pensare che il progresso debba distruggere l’uomo e quindi noi ci dobbiamo impegnare perché tutto questo non avvenga. E tuttavia questo messaggio cade nel vuoto e non viene percepito da coloro che hanno la responsabilità di contrastare la strage. C’è, per esempio, l’obiettivo “Visione Zero”: cioè non accettare morti e feriti sulle strade come effetti collaterali inevitabili. Mi sento dire tante volte che questo non si può raggiungere. Non si può raggiungere perché non ci sono gli interventi adeguati, altrimenti si potrebbe raggiungere. E ci sono diversi Paesi europei che hanno “Visione Zero”. Certo è un obiettivo al lungo termine ma bisogna avere un obiettivo elevato per raggiungere traguardi di rispetto della persona umana.

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Iraq, cristiani dimenticati dai media. Cona: hanno perso tutto, non la fede

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Oramai, sui media, si parla poco o niente della drammatica situazione che continuano a vivere migliaia di profughi iracheni, cristiani ma non solo, cacciati nell’agosto scorso dalla Piana di Ninive dagli estremisti del cosiddetto Stato Islamico. Papa Francesco ha incontrato ieri mons. Bashar Matte Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, assicurando la vicinanza e l’aiuto concreto della Chiesa. Tanti i cristiani che si sono rifugiati in Giordania. Mons. Roberto Cona, consigliere di nunziatura presso la rappresentanza vaticana ad Amman, li ha incontrati. Romilda Ferrauto lo ha intervistato: 

R. - Per me, innanzi tutto, sono delle impressioni indimenticabili. Ho avuto modo di visitare alcuni centri e sono rimasto veramente impressionato dalla testimonianza di fede che queste persone – uomini e donne – hanno dato. Loro dinanzi alla pressione di convertirsi o di pagare una tassa per poter restare nelle proprie proprietà, hanno scelto invece di restare fedeli a Cristo. E proprio per la loro fedeltà, hanno scelto di accogliere il nemico che voleva scacciarli senza imbracciare le armi, quindi scegliendo la non violenza. Ma, nello stesso tempo, di confidare tanto nella provvidenza di Dio, perché andandosene dalle loro case hanno perso tutto quello che avevano, molti addirittura sono arrivati solo con i vestiti che avevano indosso. Eppure erano capaci di ridere, di accogliere gli ospiti e, nello stesso tempo, di guardare con fiducia al loro futuro.

D. - In che modo la nunziatura apostolica ad Amman può agire in questo contesto tormentato?

R. - Innanzi tutto mantenendo i contatti e mantenendo informata la Santa Sede riguardo tutto quello che succede quaggiù. Poi per quanto mi riguarda, cerco in tutti i modi di mettere al corrente anche i colleghi delle altre ambasciate affinché possano essere sensibilizzate al problema presente in questo Paese e, nello stesso tempo, incoraggiando e aiutando le associazioni che si stanno dedicando all’accoglienza dei rifugiati iracheni.

D. - Lei pensa che sarebbe opportuno che i Paesi occidentali pratichino una politica di accoglienza privilegiata riguardo i cristiani? Sarebbe una soluzione, secondo lei?

R. – Probabilmente sarebbe una soluzione semplicistica. Credo che sarebbe meglio trovare una soluzione in loco, proprio per poter garantire una continuità della presenza cristiana in Medio Oriente: una bimillenaria presenza non può essere messa a rischio così frettolosamente. Probabilmente sarebbe meglio trovare delle soluzioni qui in Medio Oriente per garantire la presenza dei cristiani.

D. - Purtroppo, però, secondo la maggioranza degli osservatori, l’instabilità, le guerre e le violenze attuali dovrebbero durare mesi, se non anni. Nell’immediato andrebbe fatto qualcosa in più secondo lei?

R. - Non sta a me dire cosa si dovrebbe fare. Però di fatto ci sono le condizioni. Intanto, per esempio, il re Abdullah ha dato la sua disponibilità ad accogliere i cristiani qui. Anche lui ha dato la sua disponibilità affinché i cristiani possano rimanere in Medio Oriente perché sono una presenza importante anche per l’islam. Quindi ritengo che sia bene studiare con attenzione il problema e trovare delle soluzioni praticabili probabilmente a breve termine.

D. - Tanto più che qui sul terreno ci sono esempi di fratellanza che vanno al di là delle religioni che lei ha potuto constatare …

R. - Vorrei sottolineare, per esempio, nell’ambito dell’accoglienza di questi profughi iracheni come, oltre alle associazioni cristiane, si siano avvicinate ed abbiano dato degli strumenti e un apporto veramente fondamentale anche delle associazioni islamiche e non solo; anche dei fedeli musulmani si sono presentati a titolo personale per dare il loro aiuto, alcuni di loro hanno addirittura messo a disposizione delle case per accogliere i cristiani iracheni, altri hanno messo a disposizione qualche ora del loro tempo per dedicarsi al volontariato. Quindi è molto bello vedere questa fraternità che nasce attraverso un bisogno, un’emergenza e che supera quelli che possono essere gli steccati confessionali e religiosi. Questa esperienza diventa veramente un segno di speranza.

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Oggi in Primo Piano



25 anni fa il massacro dei gesuiti a San Salvador

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25 anni fa, era la notte del 16 novembre 1989, sei gesuiti e due loro collaboratrici venivano trucidati da un gruppo paramilitare presso l’Università Centroamericana di El Salvador. Varie le manifestazioni per ricordare i “martiri dell’Uca” in diverse città della Spagna e a San Salvador. Paolo Ondarza

E’ la notte del 16 novembre 1989, El Salvador è in piena guerra civile mentre da poco il mondo ha assistito alla caduta del Muro di Berlino, simbolo della Guerra Fredda. I soldati del battaglione anti-guerriglia, addestrato negli Stati Uniti, penetrano nell’Uca, Università Centroamericana, e armati di fucili d’assalto sovietici per far ricadere ogni responsabilità sui ribelli del FMLN, irrompono nella residenza dei padri gesuiti uccidendo a colpi di mitraglietta il rettore, lo spagnolo Ignacio Ellacuría, insieme ai confratelli Ignacio Martin Baro, Segundo Montes, Amando Lopez, Juan Ramon Moreno e il salvadoregno Joaquin Lopez, oltre alla cuoca Elba Julia Ramos e a sua figlia quindicenne Celina Mariceth Ramos. Fu un tentativo di decapitare le “menti pensanti” in un Paese oppresso: padre Ellacuría era temuto come possibile mediatore e i sei sacerdoti erano impegnati nella formazione e nella difesa dei più poveri e dei deboli, nella rivendicazione dei diritti umani e nell’accoglienza dei rifugiati. Dopo la loro morte padre Michael Czerny ne ha raccolto l’eredità dirigendo fino al 1991 l’Istituto per i diritti umani dell’Uca:

R. – Sono grandi figure, soprattutto il rettore padre Ignácio Ellacuría. L’ordine era di uccidere padre Ellacuría e non lasciare nessun testimone.

D. - La responsabilità venne fatta ricadere sui ribelli del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional …

R. - Si, volevano fare finta che fosse un attacco dei ribelli. Ma questa università si trova ad un chilometro dalla principale base militare; non era possibile un attacco di questo tipo. Nessuno ci  ha creduto. Si trattava di un battaglione speciale delle forze armate e gli ordini sono stati dati dall’Alto comando.

D. - Ad oggi è stata fatta piena verità su quello che accadde 25 anni fa?

R. - C’è abbastanza verità, ma non giustizia sufficiente. Purtroppo i responsabili, coloro che hanno dato gli ordini, il ministro della Difesa e gli altri membri dell’Alto comando non sono mai stati processati.

D. - Il massacro dell’Uca può essere considerato una delle ultime atrocità della Guerra Fredda...

R. - Esatto. La lotta assolutamente giustificata per la giustizia sociale all’interno di un piccolo Paese povero è diventato un fattore nella Guerra Fredda.

D. - La guerra civile durò 12 anni e causò 75 mila vittime. Ma anche dopo la fine della guerra civile altrettanti salvadoregni sono stati assassinati …

R. - Sì. Purtroppo la risoluzione negoziata non ha messo fine alle ingiustizie sociali, al conflitto sociale. Questo è il peccato del mondo di oggi: non abbiamo la lotta tra due grandi potenze, piuttosto la lotta o il conflitto all’interno della società per situazioni ingiuste che tante persone vivono con miseria e senza speranza.

D. - Non è corretto però dire che il martirio dei sei gesuiti sia avvenuto invano …

R. - No, no! Al contrario! Il loro martirio in primo luogo è stato un fattore decisivo per mettere fine alla guerra, perché ha aperto gli occhi soprattutto dei cittadini degli Stati Uniti che hanno fatto pressione al loro governo affinché modificasse e condizionasse l’appoggio che dava al governo e all’esercito di El Salvador. Ma più a lungo termine questi martiri, come Gesù, sono segni di contraddizione. I martiri sono inviati da Dio per ricordarci che dobbiamo impegnarci veramente per il Regno di Dio e non per i nostri motivi egoistici.

D. - Il loro sacrificio è dunque l’eredità più grande che hanno lasciato?

R. - Certo. Facciamo memoria dei martiri perché questo come, la memoria di Gesù, ci dà speranza per un futuro migliore.

D. - Ricordiamo anche le due donne che sono morte nel massacro dell’università…

R. – Julia Elba era una donna molto semplice, molto buona; aiutava nella nostra comunità come cuoca e aiutava i giovani a vivere in maniera migliore e più profonda la loro vocazione e la loro preparazione al sacerdozio. La figlia Celina aveva 15 anni; studiava all’università. Era fidanzata. E con questa tragedia è entrata troppo presto nella vita eterna; rimane un simbolo di speranza e di ispirazione per i giovani di El Salvador. È diventata una sorta di patrona della gioventù.

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G20: obiettivo crescita del 2,1 per cento entro il 2018

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Il G20 di Brisbane, in Australia, è arrivato alla sua conclusione: assicurare una crescita del Pil mondiale pari al 2,1 per cento entro il 2018. L’Unione Europea faccia tesoro delle raccomandazioni - ha detto il premier italiano Renzi - crescere deve essere la priorità. Sul tavolo del vertice anche le principali crisi internazionali: l’Ucraina, la Siria, l’avanzata dello Stato islamico, l’emergenza Ebola in Africa occidentale, i cambiamenti climatici. Cecilia Seppia: 

I Grandi della Terra sono d’accordo: l’obiettivo è ritornare a far girare l’economia e a far crescere il Pil mondiale del 2,1 per cento entro il 2018 che vuol dire 2mila miliardi di dollari in più e la creazione di milioni di posti di lavoro. Promesse persino più ambiziose del previsto che metterebbero fine all’era dell’austerità e che vanno di pari passo con la trasparenza, la lotta all’evasione, l’abbattimento dei cosiddetti paradisi fiscali e persino della ottimizzazione fiscale, cioè le agevolazioni offerte da alcuni Paesi per attirare le multinazionali.

Ma sul tavolo di Brisbane è arrivata anche la crisi Ucraina con la forte presa di posizione di Usa, Giappone e Australia che dichiarano di opporsi fortemente alle azioni destabilizzanti di Mosca su Kiev. “Se la Russia continuerà a violare lo spirito dell’accordo di Minsk, che Putin stesso ha accettato, il suo isolamento proseguirà ad oltranza” ha ammonito il capo della Casa Bianca, Barack Obama, provocando forse l’abbandono anticipato del vertice da parte del presidente russo.

Dai leader del G20 è giunta pure la promessa di impegnarsi a sradicare il virus dell’Ebola, con il segretario dell’Onu Ban Ki-moon che ha implorato di rafforzare la risposta internazionale per contenere l’epidemia, visto anche l’impatto economico che sta avendo sul mondo. A margine del vertice Obama ha infine parlato della strategia per fermare lo Stato islamico. In particolare, ha detto, "il presidente siriano Assad non ha nessuna legittimità in Siria, allearsi con lui indebolirebbe la colazione che lotta contro l’Is e spingerebbe i siriani sunniti a sostenere i jihadisti".

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Elezioni Romania: tensione per il ballottaggio presidenziale

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Romania al voto, questa domenica, per il ballottaggio presidenziale che vede sfidarsi il socialdemocratico e attuale premier Victor Ponta, favorito con il 53% dei consensi, e il liberale Klaus Iohannis, esponente della minoranza tedesca, che si attesta al 43%. Sono 18 milioni i cittadini chiamati alle urne. Il servizio di Roberta Barbi: 

Urne aperte questa domenica in Romania, dove i cittadini sono chiamati al ballottaggio per l’elezione del presidente che resterà in carica per i prossimi cinque anni, dopo il nulla di fatto del primo turno che, il 2 novembre scorso, ha registrato un’affluenza molto bassa, appena del 53%. La campagna elettorale si è chiusa tra i veleni, con accuse tra i candidati e violenti scontri: migliaia, nei giorni scorsi, i manifestanti scesi in piazza in diverse città per chiedere una maggiore trasparenza del voto, dopo che al primo turno molti romeni della diaspora non erano riusciti a votare nei seggi esteri. Proprio a queste polemiche sono legate le dimissioni di Titus Corlatean, ministro degli Esteri del governo Ponta, mentre suscita molte perplessità, tra gli analisti, la proposta di legge socialdemocratica, attualmente in discussione in Parlamento, di concedere la grazia per i reati che prevedono una pena massima di sei anni e contemporaneamente la cancellazione - per coloro che si sono macchiati di questi reati - del divieto di candidarsi a incarichi pubblici. Abbiamo chiesto a Mihaela Iordache, giornalista romena della stampa estera in Italia, in quale clima si sta svolgendo questo appuntamento elettorale:

R. – In Romania c’è un clima abbastanza teso in questi giorni, prima delle elezioni. Molti romeni sono scesi in piazza, parliamo di decine di migliaia di persone che protestano in strada, nelle maggiori città del Paese: sono romeni che chiedono il diritto al voto per i romeni che vivono all’estero, perché infatti nel primo turno di scrutinio molti romeni che vivono all’estero non hanno potuto votare. Ci sono stati pochi seggi per più di tre milioni e mezzo di romeni, inoltre era una procedura complicata che metteva i romeni che vivono all’estero in difficoltà - dovevano compilare una dichiarazione in cui dovevano dichiarare di non aver votato prima in un altro posto – e ha reso difficile il voto: le file sono state chilometriche intorno alle ambasciate e ai consolati romeni all’estero e, infatti, la polizia a Parigi e a Londra è intervenuta. Un clima teso, dunque, con la gente che scende in strada, a 25 anni dalla rivoluzione romena, per chiedere il diritto al voto.

D. – La Romania è uno dei Paesi più poveri dell’Unione Europea, qual è la reale situazione?

R. – La Romania è il secondo Paese più povero dell’Unione Europea ancora adesso, a sette anni dall’adesione. Infatti, il 40 per cento della popolazione vive al limite della soglia di povertà, con uno stipendio minimo di 214 euro, mentre lo stipendio medio si aggira intorno ai 400 euro. Infatti, secondo l’Istituto per le politiche pubbliche, oltre sette milioni di romeni godrebbero di aiuti sociali. La maggior parte vive in campagna, oppure nella parte dell’est della Romania, verso la Moldavia.

D. – Riforme, infrastrutture, ancora tanta corruzione negli organi statali: quali sono le sfide che si troverà ad affrontare il nuovo presidente romeno?

R. – Le sfide che dovrà affrontare il futuro presidente della Romania, nei prossimi cinque anni, riguardano: la lotta alla corruzione, l’indipendenza della giustizia, della magistratura, e ovviamente l’economia e lo sviluppo delle infrastrutture e saper spendere bene i soldi dell’Unione Europea, lontano da ogni tentativo di corruzione.

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Allerta maltempo: 2 morti in Lombardia, 6 in Francia

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Ondata di maltempo in Europa: particolarmente colpito il Sud della Francia dove le violenti piogge hanno causato la morte di sei persone tra cui due bambini. Grave resta la situazione in Italia con l’allerta fiumi in tutto il Nord e la tragedia a Cerro di Laveno nel Varesotto, dove un anziano e la nipote sedicenne hanno perso la vita a causa di una frana. Anche Genova in ginocchio con il Rio Torre uscito dagli argini e il Bisagno arrivato al livello rosso. Il sindaco Doria ha invitato i cittadini a non uscire di casa e ha confermato che ci sarebbe un disperso: al lavoro Vigili del fuoco e Protezione civile. Lago Maggiore e d’Orta sorvegliati speciali, in Piemonte, dopo le forti precipitazioni di sabato. Il livello delle acque, continua a salire. Ad Alessandria, il sindaco parla di catastrofe. Nella notte è stato evacuato per precauzione anche l’ospedale di Omegna. Numerose, in tutta la provincia di Verbania e in quella di Novara, le strade chiuse per frane e allagamenti. A Carrara diverse famiglie sono state evacuate. Sull’ennesima tragedia nel Varesotto Cecilia Seppia ha sentito il sindaco di Laveno Mombello, Graziella Giacou: 

R.  – Le due persone stavano purtroppo dormendo, perché erano le 23.30, mentre i familiari erano nelle altre stanze a vedere la televisione. Le due persone che stavano dormendo, nonno e nipote, sono state colpite all’improvviso dalla massa di terra che è scesa dalla collina dietro casa e quindi non hanno avuto assolutamente il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo e sono state travolte dalla massa violenta della frana che è caduta.

D.  Ma la casa travolta si trova in una zona particolarmente instabile? Tra l’altro, sarà aperta un’inchiesta …

R.  – Naturalmente l’inchiesta viene aperta perché ci sono due vittime. In ogni caso tutto il territorio del lago, ma soprattutto Laveno-Mombello è molto delicato dal punto di vista idrogeologico, anche se il monitoraggio è stato continuo, però prevedere le frane diventa quasi impossibile. Qui, tra l’altro, non c’era stata fatta alcuna segnalazione di fuoriuscita d’acqua perché di fatto si tratta di acque interne che lavorano quando ci sono tantissime precipitazioni come quest'ultimo mese.

D.  – Oltre a questa tragedia ci sono state diverse emergenze nella notte, anche nei giorni scorsi, so che avete dovuto trovare un rifugio a diverse famiglie evacuate…

R. – Sì, c’è stata un’altra frana circa 10 giorni fa che ha praticamente coinvolto due abitazioni con tre famiglie che vivevano in queste case, che sono state evacuate e sono state messe in sicurezza. Di fatto, la frana anche lì è stata molto importante però siamo riusciti ad arrivare in tempo e non è successo niente alle persone. Ci sono stati grandissimi danni alle abitazioni e altri casi di smottamenti, però di lieve entità. Purtroppo il livello di rischio in questa zona è alto, siamo sempre in emergenza.

D. – Immagino che la gente sia spaventata però c’è anche grande solidarietà tra le persone, tra i cittadini, si stanno tutti dando da fare in questo momento..

R.  – Sì, le persone sono state vicine alla famiglia, perché la famiglia con una disgrazia di questa natura era sotto choc. Hanno trovato, stanotte perlomeno, rifugio presso amici. Adesso noi abbiamo sistemato i parenti delle vittime, in questi giorni poi troveremo anche un appartamento perché di fatto qui la casa è inagibile e non so per quanto tempo lo resterà.

D. – La situazione del tempo invece com’è? Si può sperare in un po’ di tregua?

R. - Purtroppo vicino anche alla frana abbiamo dovuto evacuare altri appartamenti perché le previsioni del tempo sono ancora brutte per altri due o tre giorni, quindi per sicurezza abbiamo spostato le persone per metterle tranquille, perché con uno choc del genere bisognava tranquillizzarle e proprio per precauzione abbiamo preferito spostarle.

D.  – Vi sta dando una mano anche la Caritas, le parrocchie di Laveno-Mombello...

R. – Sì tutti. In questo momento abbiamo la situazione in un certo senso sotto controllo. Abbiamo una squadra della Protezione Civile molto attiva. Ci sono gli “angeli dei sindaci”, purtroppo dobbiamo dire che siamo protetti dai volontari. Ci sono poi i carabinieri, le forze di polizia locale… Insomma tutti ci stiamo dando una mano e riusciamo a gestire la situazione.

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Family act. Carlo Casini: reagire alla censura su vita e famiglia

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Associazioni ed esponenti della società civile hanno partecipato ieri pomeriggio a Roma, in Piazza Farnese, al “Family act”, una manifestazione, organizzata da Ncd, per difendere la vita e la famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio", come recita la Costituzione italiana. Elvira Ragosta

Dal Movimento per la Vita al Forum per le famiglie, dal Moige a Nuovi Orizzonti: una decina le associazioni presenti in piazza Farnese e i rappresentanti di ognuna di esse si sono alternati sul palco in quella che hanno definito una maratona oratoria non contro qualcuno, ma a favore della famiglia. Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita:

“Bisogna reagire al grande silenzio, alla censura che oggi circonda il grandissimo, moderno, essenziale tema della vita e della famiglia. Ho ricordato nel mio brevissimo intervento la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dove la famiglia è dichiarata cellula fondamentale della società e dello Stato. 'Fondamentale' vuol dire che senza questa crolla lo Stato perché senza la distinzione sessuale uomo/donna, cioè la base della famiglia, finirebbe la storia. Questa sarebbe l’ultima generazione: punto, basta! E perderebbe senso tutta la fatica che sta alle nostre spalle, tutta la nostra speranza di futuro”.

A favore della famiglia naturale, composta da madre, padre e figli, sono state rivolte le richieste della manifestazione alle istituzioni. Simone Pillon, presidente del Forum delle Famiglie:

“La nostra proposta è sempre quella, cioè ricostruire le politiche familiari nel nostro Paese per dare finalmente un fondamento sostenibile a quello che sarà il nuovo sviluppo dopo questa crisi e offrire al nostro Paese un futuro che sia sostenibile, che sia serio, che sia a misura d’uomo, a misura di famiglia”.

Al “Family act” anche famiglie e giovani non appartenenti ad associazioni. Laura è una ragazza romana che ha voluto testimoniare il ruolo che i genitori hanno nell’educazione dei figli:

“Un bambino ha bisogno di un padre e di una madre. Un bambino ha i suoi tempi per scoprire la sessualità, i suoi tempi per scoprire se stesso e non deve essere guidato da terzi in questo se non dalla sua famiglia. E tutto quello che si cela dietro quella che vuole essere una libertà di pensiero, una libertà di espressione, è mostruoso perché, basandosi sui bisogni di alcune persone, sta demolendo una società”.

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Calo delle vocazioni in Italia. Intervista con mons. Dal Molin

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In Italia ogni anno ci sono sempre meno suore e sacerdoti. E’ l’allarme lanciato dalla Conferenza Episcopale Italiana nel documento finale reso noto a conclusione dei lavori dell’Assemblea Generale della Cei, svoltasi  nei giorni scorsi ad Assisi. Secondo gli ultimi dati dell’Annuario Statistico, dal 2002 al 2012, si è registrata una diminuzione di 5mila sacerdoti e 20mila suore. Federico Piana ne ha parlato con mons. Domenico Dal Molin, direttore dell’Ufficio Nazionale Cei per la pastorale delle vocazioni: 

R.  – La realtà del centro Italia è forse la più in sofferenza. Quella del nord Italia è un po’ una realtà a macchia di leopardo: il nord-ovest è più in difficoltà, nel nord-est ci sono alcune zone ancora in relativa tenuta. E il sud Italia, invece, che continua ad avere una buona media di accessi vocazionali, e quindi anche non certo una sofferenza notevole nell’ambito del ricambio dei sacerdoti, dei presbiteri. Però l’allarme è reale e rispecchia una situazione che noi viviamo.

D. - Le cause di questo crollo delle vocazioni dove vanno ricercate?

R. – Se noi guardiamo al calo demografico rispetto alle situazioni nelle nostre famiglie negli anni ’50, ’60, ’70, è chiaro che noi ci troviamo davanti a un bacino demografico che è molto più ridotto. Poi, c’è il contesto sociale e culturale, il clima di precarietà… Però oggi direi soprattutto la fatica della scelta: la fatica della scelta definitiva rimane sempre un problema profondamente culturale e anche esistenziale, di fatto. Se poi noi andiamo a leggere la realtà interna alla Chiesa, penso che fondamentalmente dovremmo rifarci alle parole di Papa Francesco, quando ripetutamente diceva che la vocazione non va per logiche di reclutamento ma va per attrazione.

D. – Cosa si intende per ridefinizione dei compiti e delle priorità del ministero?

R. – Da una parte provare a ridefinire la componente burocratica e “manageriale”, chiamiamola anche così, che talvolta viene ad appesantire notevolmente la vita di un prete in una parrocchia. Questo però domanderà un ripensamento abbastanza preciso, perché va a toccare anche elementi di diritto canonico - cioè, una rappresentanza legale non è qualcosa che si può saltare di punto in bianco - però cercando di farsi aiutare da persone competenti che possano svolgere molte cose che i preti tuttora fanno nell’ambito della parrocchia, soprattutto nella gestione dei beni della parrocchia. Le priorità, innanzitutto, sono nel dare spazio ad una vita di interiorità, di preghiera, quindi ad accogliere anche le proposte che una diocesi, il proprio vescovo, lanciano per vivere questi momenti in comune tra i preti. E’ significativo che l’accento è andato sul prete appartenente ad un presbiterio: cioè, appartenente ad un insieme di preti con cui cammina insieme. L’altra dimensione che mi pare molto interessante è quella di un prete che comincia ad avere più attenzione ad una vicinanza di consolazione, direi molto legata allo stile di Papa Francesco: cioè, ad avere una presenza che sa stare accanto alla gente nei momenti normali della vita. Quindi un prete disponibile per l’accompagnamento spirituale, per la confessione, che abbia più cura delle celebrazioni liturgiche, dell’omelia, di alcune delle dimensioni che sono tipiche della vita di un presbitero. Mi pare quindi che, da una parte, un’attenzione all’interiorità e dall’altra alla vita comunitaria e su un altro versante ancora, un prete in mezzo alla gente che sa farsi presenza viva, sono un grande salto di qualità che probabilmente in questa fase può essere abbastanza maturo da compiere.

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“Basta un clic”, un libro sulla sfida dei social network per la Chiesa

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“Siamo anche ciò che digitiamo”. E’ uno dei concetti espressi nel libro “Basta un clic”, scritto dal teologo della comunicazione Carlo Meneghetti, docente allo Iusve, Istituto universitario salesiano di Venezia. Il libro, edito dalla Libreriauniversitaria, si sofferma sulle sfide poste dai social network, con un’attenzione particolare ai giovani e alla Chiesa. Alessandro Gisotti ha intervistato l’autore: 

R. – “Basta un clic” è una serie di esperienze e una serie di laboratori fatti sia a scuola ma anche in vari contesti educativi. Questi incontri sono incontri di condivisione e ho pensato di raccoglierli tutti per avere un confronto, una condivisione sulla tematica dei social network che oggi è quanto mai viva e pressante.

D. – Un libro che, anche per come nasce, si rivolge molto ai giovani, è vero?

R. – Sì, si rivolge principalmente ai giovani ma anche agli adulti. Ieri sera mi trovavo a un incontro di formazione con dei genitori, un genitore mi ha chiesto: “Ma questo libro posso leggerlo o può leggerlo mio figlio?”. Il mio consiglio è stato di leggerlo lui insieme al figlio perché così si possono fare anche raffronti. Si parla molto di nativi digitali: giovani, più giovani che insegnano a noi come usare tecnicamente questi nuovi sistemi. Però, noi dobbiamo essere vicini a loro cercando di usare la testa, magari quando facciamo clic anche per fare cose di cui dopo ci si può pentire.

D.  – Uno dei primi concetti che si incontra leggendo questo libro è che la parola anche in internet è un dono…

R. – Certo. Ho citato, infatti, Enzo Bianchi, che in un suo volume dice appunto che la prima possibilità del dono avviene attraverso la parola: la parola donata all’altro. Come riportava Giaccardi nella prefazione, la parola è un dono che noi facciamo all’altro. Dunque anche attraverso i social network dobbiamo fare attenzione a quello che diciamo, a quello che facciamo, perché poi il pericolo è di essere noi stessi sui social e magari cambiare prospettiva quando invece siamo in prossimità alle persone.

D. -  In questo libro è anche molto presente la dimensione religiosa e direi anche proprio ecclesiale…

R. – L’ultimo capitolo, il capitolo VI in particolare, l’ho chiamato Chiesa 2.0. Come vediamo la Chiesa si impegna anche in questo campo. Pensiamo anche al convegno ecclesiale di Firenze 2015, che si terrà il prossimo anno e vediamo quanto sia impegnata anche nel campo dell’educazione ai media e ai social network. Se prendiamo i vari documenti della comunicazione sociale - penso al  direttorio del 2004 - troviamo una serie di indicazioni per progettare anche attraverso i social.

D.  – Nell’appendice ci sono anche i messaggi dei Pontefici per la Giornata delle comunicazioni sociali e vediamo come già Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II nel 2002, quindi diversi anni fa, dedicava proprio ad internet il suo messaggio per le comunicazioni sociali, come a dire che poi la Chiesa ha letto abbastanza velocemente l’importanza di questo fenomeno…

R. – Sì la Chiesa è stata sempre avanti in questo campo si  può dire. Oggi siamo nel 2014, sono passati 12 anni, ma se leggiamo quel testo è ancora vivo e attuale. Dunque, ho voluto proprio mettere questi messaggi che hanno come filo conduttore o la rete o le relazioni digitali, in modo da portare il lettore a far vedere come la Chiesa sia impegnata e si prefigga di portare l’accoglienza e la testimonianza cristiana anche in questi mondi, perché questi mondi sono parte della nostra vita quotidiana.

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Nella Chiesa e nel mondo



Video dell’Is: decapitati 15 soldati siriani e un ostaggio americano

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Nuovo video diffuso dai miliziani del sedicente Stato islamico che mostra la brutale decapitazione di  massa di 15 soldati siriani e di un altro ostaggio americano. Si tratta dell’ex soldato Peter Edward Kassing, 26 anni. Il giovane era stato rapito il primo ottobre mentre si trovava in Siria dove lavorava come operatore umanitario. Ex ranger, dopo aver intrapreso corsi per diventare assistente medico, Kessing si era poi trasferito in Libano e aveva fondato l'organizzazione no profit Sera (Special Emergency Response and Assistance). Di recente si era anche convertito all’Islam. Nel video pubblicato su diversi siti jihadisti, un miliziano, probabilmente l’autore delle altre decapitazioni, spiega il gesto come "una risposta alla scelta dell'America di aiutare le truppe irachene nella guerra contro l’Is". La Casa Bianca sta verificando l’autenticità del filmato che dura 16 minuti ma per ora esprime sconcerto e si dice “scioccata dalla brutale uccisione”. Inorridito il premier britannico Cameron che su Twitter ha scritto: “lo Stato islamico ha mostrato ancora una volta la sua depravazione”. Intanto sul terreno continuano i raid della Coalizione internazionale contro le postazioni dei jihadisti, mentre un grave attentato ha scosso Baghdad provocando la morte di 5 persone e il ferimento di altre 20. (C.S.)

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Vescovi peruviani: salviamo tutti, appello contro depenalizzazione aborto

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La Conferenza episcopale del Perù ha pubblicato un comunicato contro la proposta di legge, attualmente in discussione al Congresso, a favore della depenalizzazione dell’aborto in casi di violenza sessuale. Nel documento dal titolo “Salviamo tutti”, i vescovi esprimono con forza la difesa del diritto a nascere del concepito, anche se frutto di una violenza.

Nel documento l’episcopato ricorda che il catechismo della Chiesa cattolica condanna con forza la violenza sessuale, ma sottolinea tuttavia che non si ripara ad una violenza con un’altra violenza: siamo di fronte ad nuovo essere umano, frutto innocente di un atto violento, che però ha diritto alla vita: “Non è il bambino innocente che si deve punire con la morte, ma processare e punire il violentatore con tutta la severità della legge”. Inoltre, i vescovi affermano che procurare l’aborto alla donna che è stata violentata è provocarle un doppio trauma fisico, psicologico e spirituale: la violenza e l’aborto.

Per questo, i vescovi peruviani ribadiscono che un cambiamento legislativo di questa portata è una violazione dei diritti umani e va contro i principi del diritto alla vita sancito dalla Costituzione. In secondo luogo, per i vescovi, legalizzare l’aborto potrebbe aprire le porte a manipolazioni giuridiche per cui anche un rapporto consensuale potrebbe essere presentato come contrario alla volontà della donna e procedere sulla strada dell’aborto.

Infine, la Conferenza episcopale peruviana esorta il Congresso a invitare la Chiesa e altre associazione pro-vita ad esporre le proprie posizioni sul tema come è stato fatto nei giorni scorsi per i rappresentati di organismi abortisti che hanno esposto i loro argomenti a favore della legge. Per i vescovi “depenalizzare l’aborto per violenza sessuale non è altro che un ulteriore passo verso la legalizzazione dell’aborto senza limiti, un cammino doloroso già iniziato con l’approvazione, lo scorso giugno, del protocollo sull’aborto ‘terapeutico’, di cui la Chiesa chiede la sospensione perché immorale, incostituzionale e illegale”. (A cura di Alina Tufani)

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Argentina. Vescovi preoccupati per aumento povertà e narcotraffico

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La Commissione esecutiva della Conferenza episcopale argentina, in una conferenza stampa, ha presentato le conclusioni dell’assemblea plenaria nella quale sono stati rinnovati i vertici istituzionali e riconfermato il presidente, mons. José María Arancedo, arcivescovo di Santa Fe. Tra i temi trattati durante la plenaria, il presidente dell’Episcopato ha sottolineato l’urgenza di ristabilire un clima di “amicizia sociale” e di concordia tra tutti i settori sociali.

"Dobbiamo promuovere la capacità d’incontro per creare e ricreare un Paese per tutti”- ha detto mons. Arancedo, parlando delle preoccupazioni dei vescovi per l’aumento della povertà e del narcotraffico nel Paese. “E’ il momento d’iniziare una ardua e prolungata lotta per rovesciare la cultura che esclude i poveri” ha detto il nuovo vicepresidente mons. Mario Cargnello, sottolineando la necessità dell’impegno di tutta la comunità per creare una cultura inclusiva, che inizia dalla famiglia e si allarga a tutta la società. Nella sua riflessione, il presule ha ricordato che bisogna guardare il problema del narcotraffico dalla prospettiva sociologica e del singolo consumatore, povero ed emarginato.

Anche le “manovre” di alcuni gruppi presso la Commissione giustizia della Camera per “accelerare” il dibattito per l‘approvazione della depenalizzazione dell’aborto, sono state disapprovate dai vescovi che hanno ribadito che l’aborto non è mai una soluzione e che la Chiesa avrà sempre questa posizione. Questi sono progetti che secondo i vescovi richiedono un dibattito serio e allargato per la loro rilevanza nella vita dei cittadini, delle istituzioni e della società.

Infine, la Conferenza episcopale, alla luce della Esortazione apostolica Evangelii gaudium, ha ribadito l’impegno ad essere sempre una “chiesa missionaria, povera ed evangelizzatrice” dove al centro ci sia l’opzione preferenziale per i poveri. “La parola povero - ha detto il presidente dell’Episcopato - ci porta tante preoccupazioni che nascono dai delitti della società attuale: la tratta di persone, il narcotraffico, la corruzione e la miseria”. I vescovi argentini hanno infine sottolineato alcuni obiettivi: rinsaldare i vincoli e l’amore nella famiglia, la dignità e la bellezza di tutte le vite umane, nonché la preparazione al Congresso eucaristico nazionale per viverlo come rinnovamento delle comunità. (A.T.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 320

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.