Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 17/11/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: bambini hanno diritto a famiglia con padre e madre, no a famiglia ideologica

◊  

I bambini hanno il diritto di crescere con un papà e una mamma, la famiglia è un fatto antropologico non ideologico: è quanto ha ribadito il Papa ai partecipanti al Colloquio internazionale sulla complementarietà tra uomo e donna, promosso in Vaticano dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Il Papa ha annunciato che nel settembre 2015 si recherà a Philadelphia, negli Stati Uniti, per l’ottavo Incontro Mondiale delle Famiglie. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Lo Spirito ha dato a ciascuno doni diversi perché ognuno possa contribuire al bene di tutti: questa è l’armonia di Dio. Papa Francesco parte da questa affermazione per sottolineare che la complementarietà tra uomo e donna “sta alla base del matrimonio e della famiglia, che è la prima scuola dove impariamo ad apprezzare i nostri doni e quelli degli altri”. “Le famiglie – ha osservato - sono luogo di tensioni” ma anche l’ambito in cui risolverle:

"Quando parliamo di complementarietà tra uomo e donna in questo contesto, non dobbiamo confondere tale termine con l’idea semplicistica che tutti i ruoli e le relazioni di entrambi i sessi sono rinchiusi in un modello unico e statico. La complementarietà assume molte forme, poiché ogni uomo e ogni donna apporta il proprio contributo personale al matrimonio e all’educazione dei figli. La propria ricchezza personale, il proprio carisma personale, e la complementarietà diviene così di una grande ricchezza. E non solo è un bene, ma anche è bellezza”.

“Nel nostro tempo – ha osservato - il matrimonio e la famiglia sono in crisi.  Viviamo in una cultura del provvisorio, in cui sempre più persone rinunciano al matrimonio come impegno pubblico”:

"Questa rivoluzione nei costumi e nella morale ha spesso sventolato la bandiera della libertà – fra virgolette – ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili. È sempre più evidente che il declino della cultura del matrimonio è associato a un aumento di povertà e a una serie di numerosi altri problemi sociali che colpiscono in misura sproporzionata le donne, i bambini e gli anziani. E sempre sono loro che soffrono di più, in questa crisi”.

“La crisi della famiglia – ha proseguito il Papa - ha dato origine a una crisi di ecologia umana, poiché gli ambienti sociali, come gli ambienti naturali, hanno bisogno di essere protetti”:

“Anche se l’umanità ha ora compreso la necessità di affrontare ciò che costituisce una minaccia per i nostri ambienti naturali, siamo lenti – ma siamo lenti, eh?, nella nostra cultura, anche nella nostra cultura cattolica – siamo lenti nel riconoscere che anche i nostri ambienti sociali sono a rischio. È quindi indispensabile promuovere una nuova ecologia umana e farla andare avanti”.

Con forza, il Papa afferma che “occorre insistere sui pilastri fondamentali che reggono una nazione: i suoi beni immateriali”:

“La famiglia rimane al fondamento della convivenza e la garanzia contro lo sfaldamento sociale. I bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva. Per questa ragione, nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, ho posto l’accento sul contributo «indispensabile» del matrimonio alla società, contributo che «supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia» (n. 66)”.

Il Papa invita poi i giovani a non lasciarsi “coinvolgere dalla mentalità dannosa del provvisorio e siano rivoluzionari per il coraggio di cercare un amore forte e duraturo, cioè di andare controcorrente”. Quindi, ha esortato a non vedere la famiglia in modo ideologico:

"Non dobbiamo cadere nella trappola di essere qualificati con concetti ideologici. La famiglia è un fatto antropologico, e conseguentemente un fatto sociale, di cultura .... E noi non possiamo qualificarla con concetti di natura ideologica che soltanto hanno forza in un momento della storia, e poi cadono. Non si può parlare oggi di famiglia conservatrice o famiglia progressista: la famiglia è famiglia. Ma non lasciarsi qualificare così da questo o da altri concetti, di natura ideologica. La famiglia è in sé, ha una forza in sé”.

“Possa questo colloquio – ha concluso il Papa - essere fonte d’ispirazione per tutti coloro che cercano di sostenere e rafforzare l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio come un bene unico, naturale, fondamentale e bello per le persone, le famiglie, le comunità e le società”. E in questo contesto ha confermato che nel settembre 2015 si recherà a Philadelphia, negli Stati Uniti, per l’ottavo Incontro Mondiale delle Famiglie.

inizio pagina

Card. Müller: non lasciarsi confondere da ideologie, senza famiglia non c'è futuro

◊  

400 esperti provenienti da tutto il mondo, rappresentanti di 14 religioni, partecipano al colloquio interreligioso internazionale sul tema “La complementarietà tra uomo e donna” aperto questa mattina in Vaticano. I lavori si concluderanno mercoledì pomeriggio. Il servizio di Paolo Ondarza

Il maschile ha bisogno del femminile, solo nell’unione con l’altro sesso si può essere completi, la complementarietà uomo-donna è una garanzia per il futuro della società. Sono concetti condivisi da ebraismo, cristianesimo, islam, da tutte le 14 religioni presenti per tre giorni in Vaticano insieme a  400 esperti provenienti da tutto il mondo che, a vario titolo, evidenziano, a fronte delle sfide poste dalla contemporaneità, il valore fondante della famiglia costituita da un uomo e una donna. 4 i dicasteri vaticani coinvolti nell’evento: i Pontifici Consigli per la Famiglia, il Dialogo Interreligioso, l’Unità dei Cristiani e la Congregazione per la Dottrina della Fede, il cui prefetto, il card. Gerhard Müller, questa mattina ha aperto i lavori. Ascoltiamo la sua riflessione:

R. - Questo colloquio è stato preparato da tanto tempo. Sono coinvolti quattro dicasteri della Curia romana. Il Santo Padre ha sottolineato l’importanza del matrimonio, della famiglia, un grande tema di questo Pontificato poiché è un tema molto urgente per tutta l’umanità. Il matrimonio non è solo un tema della teologia cattolica della nostra Chiesa, ma è inserito nell’ordine della creazione. Per tutte le grandi religioni del mondo il rapporto fra uomo e donna nel matrimonio è un tema fondamentale. Senza famiglia, senza figli, non c’è un futuro, non c’è speranza; senza l’amore del padre e della madre verso i figli non c’è una buona evoluzione dell’identità personale e relazionale dell’individuo e della società. La dignità umana non viene solo garantita dalle istituzioni pubbliche, ma comincia dall’esperienza di essere amati dai propri genitori, dal crescere insieme con i fratelli, nonni e zii …

D. - Il Papa aprendo i lavori ha ricordato come oggi il valore della famiglia, il matrimonio, sia in crisi … Messo in crisi da una cultura del provvisorio: spesso il matrimonio e il concetto della famiglia, così come la differenza tra uomo e donna, sono concetti strumentalizzati e fraintesi da una visione ideologica …

R. – Sì, il Santo Padre ha detto in modo molto chiaro che il concetto della famiglia, del matrimonio, non è un concetto culturale, nato con una cultura e quindi destinato a sparire, ma è una dimensione basica, elementare che fa parte dell’essenza umana. Non dobbiamo lasciarci confondere e spaventare dalle ideologie di oggi. Noi abbiamo i migliori argomenti dalla nostra parte: è evidente che senza la famiglia, che passa per il matrimonio, per l’amore tra uomo e donna, non c’è sviluppo dell’umanità. Tutti noi siamo creati a immagine di Dio. Possiamo esprimere l’amore che Dio ha verso di noi, attraverso la coppia: nella coppia un uomo e una donna diventano padre e madre dei loro figli.

D. - Quindi è importante parlare e dare valore al concetto di legge naturale, forse mal compreso nel dibattito contemporaneo..

R. - Lex naturalis, legge naturale, non è una legge emanata da un parlamento, ma è una legge in senso analogico. La lex naturalis è il piano salvifico che Dio ha dato alla sua creazione; è il suo amore, presente nella nostra coscienza, nella nostra capacità di distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male, di riconoscere il vero dal falso, dalla bugia, implica anche l’intelligenza, la ragione dell’uomo.

D. - Per concludere, il suo auspicio per queste tre giornate di studio, di confronto …

R. – Che venga evidenziata l’importanza dell’amore-unione  di un uomo e di una donna che avviene in libertà; la responsabilità verso i figli, che hanno bisogno della presenza dell’amore dei loro genitori. L’amore dei genitori è come il sole e la pioggia per il figli: senza questo sole e questa  pioggia nessuna pianta può crescere.

inizio pagina

Il Papa a vescovi Zambia: difendere la famiglia da correnti che la minacciano

◊  

Sostenere la famiglia cristiana contro le correnti che la minacciano. E’ l’appello levato da Papa Francesco nel discorso consegnato ai vescovi dello Zambia, ricevuti in visita ad Limina. Il Pontefice sottolinea che quando la famiglia è in pericolo lo è anche la vita di fede. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Un appassionato discorso in favore della famiglia, cellula fondamentale della società. E’ quello rivolto da Francesco ai vescovi dello Zambia e con loro del Continente africano. Il Papa osserva che ci sono grandi minacce che “militano contro la stabilità nella vita sociale ed ecclesiale, in particolare per le famiglie”. E annota che quando la vita della famiglia “è in pericolo, anche la vita di fede è messa a rischio”. Il Papa rileva che, specialmente i poveri che lottano per la sopravvivenza, “sono portati fuori strada da promesse vuote di falsi insegnamenti che sembrano offrire un veloce rimedio in tempi di disperazione”.

Francesco sottolinea quanto la famiglia stia a cuore alla Chiesa dello Zambia. Quindi, chiede ai vescovi e ai sacerdoti di formare “famiglie cristiane forti” che capiranno e ameranno “le verità della fede più profondamente” e così saranno “protette da quelle correnti che provano a farle sgretolare”. Di qui la necessità di sostenere le coppie cattoliche nel “loro desiderio per la fedeltà nella vita coniugale” e per dare “una casa spirituale stabile ai propri figli”. Il Papa chiede ai pastori di essere “vicini alla gioventù nel momento in cui cercano di stabilire e articolare la loro identità in un’epoca di disorientamento”. Aiutateli, aggiunge, a cercare la gioia nella vocazione alla vita matrimoniale che trova compimento nella benedizione dei figli.

Il Papa chiede dunque ai presuli di essere vicini ai sacerdoti e soprattutto a non dimenticare i membri più deboli della società, a partire dai malati di Aids. E li invita a non scoraggiarsi nonostante le difficoltà che il Paese africano deve affrontare. Dal Papa infine l’esortazione a “resistere al materialismo” riconoscendo i veri bisogni del popolo.

inizio pagina

Papa: Chiesa non è gruppo di eletti chiuso in microclima "ecclesiastico"

◊  

Accade nella Chiesa che i cristiani siano tentati di stare con Gesù senza voler stare con i poveri e gli emarginati, isolandosi in un “microclima ecclesiastico” che nulla ha di autenticamente ecclesiale. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Guardare Gesù dimenticandosi di vederlo nel povero che chiede aiuto, nell’emarginato che fa ribrezzo. È la tentazione che la Chiesa vive in ogni epoca, quella di recintare se stessa all’interno di un “microclima ecclesiastico”, come lo definisce il Papa, invece che aprire le porte ai socialmente esclusi. L’omelia di Francesco parte da una delle pagine più intense del Vangelo, protagonista il cieco di Gerico. Costui, osserva il Papa, rappresenta la “prima classe di persone” che popola il racconto dell’evangelista Luca. Un uomo che non contava nulla, ma che “aveva voglia di salvezza”, “voglia di essere curato”, e che quindi grida più forte del muro di indifferenza che lo circonda finché vince la sua scommessa e riesce a bussare alla “porta del cuore di Gesù”. A quest’uomo si oppone la cerchia dei discepoli, che pretendono di zittirlo per evitare che disturbi e così facendo, afferma Papa Francesco, allontanano “il Signore da una periferia”:

“Questa periferia non poteva arrivare al Signore, perché questo circolo – ma con tanta buona volontà, eh – chiudeva la porta. E questo succede con frequenza, fra noi credenti: quando abbiamo trovato il Signore, senza che noi ce ne accorgiamo, si crea questo microclima ecclesiastico. Non solo i preti, i vescovi, anche i fedeli: ‘Ma noi siamo quelli che stanno col Signore’. E da tanto guardare al Signore non guardiamo le necessità del Signore: non guardiamo al Signore che ha fame, che ha sete, che è in prigione, che è in ospedale. Quel Signore, nell'emarginato. E questo clima fa tanto male”.

Dall’ironia venata di amarezza Papa Francesco passa alla descrizione di un gruppo che si sente prescelto – “adesso siamo eletti, siamo col Signore”, dice – e che dunque vuole conservare “questo piccolo mondo” allontanando chiunque “disturbasse il Signore”, perfino “i bambini”. “Avevano dimenticato, avevano abbandonato – nota – il loro primo amore”:

“Quando nella Chiesa i fedeli, i ministri, divengono un gruppo così… non ecclesiale, ma ‘ecclesiastico’, di privilegio di vicinanza al Signore, hanno la tentazione di dimenticare il primo amore, quell’amore tanto bello che tutti noi abbiamo avuto quando il Signore ci ha chiamato, ci ha salvato, ci ha detto: ‘Ma ti voglio tanto bene’. Questa è una tentazione dei discepoli: dimenticare il primo amore, cioè dimenticare anche le periferie, dove io ero prima, anche se devo vergognarmi”.

C’è poi il terzo gruppo sulla scena: il “popolo semplice”, quello che loda Dio per la guarigione del cieco. “Quante volte – afferma in proposito Papa Francesco – troviamo gente semplice, tante vecchiette che camminano e vanno” anche con sacrificio “a pregare in un santuario della Madonna”. “Non chiedono privilegi, chiedono grazia soltanto”. È il “popolo fedele”, conclude il Papa, quello “che sa seguire il Signore, senza chiedere alcun privilegio”, capace “di perdere tempo con il Signore” e soprattutto di non dimenticare la “Chiesa emarginata” dei bambini, degli ammalati, dei carcerati:

“Chiediamo al Signore la grazia che tutti noi, che abbiamo la grazia di essere stati chiamati, mai, mai, mai ci allontaniamo da questa Chiesa. Mai entriamo in questo microclima dei discepoli ecclesiastici, privilegiati, che si allontanano dalla Chiesa di Dio, che soffre, che chiede salvezza, che chiede fede, che chiede la Parola di Dio. Chiediamo la grazia di essere popolo fedele di Dio, senza chiedere al Signore alcun privilegio, che ci allontani dal popolo di Dio”.

inizio pagina

Francesco: mondo scarta le persone, il cristiano le riscatta

◊  

Riscattare invece che scartare. È la “consegna” che Papa Francesco ha lasciato ai giovani partecipanti al Simposio internazionale contro la prostituzione e la tratta di persone, terminato ieri in Vaticano. Il Papa, recatosi ieri pomeriggio alla Casina Pio IV – sede della Pontificia Accademia delle Scienze e del Simposio – ha messo in chiaro che l’azione di contrasto contro il traffico di persone e la prostituzione deve essere condotta come una vera e propria lotta:

“Es una lucha que todos estamos llamados…
E’ una battaglia che tutti siamo chiamati a compiere. Una battaglia contro questo movimento che porta l’umanità a pensare che una persona sia un oggetto usa e getta, un oggetto da usare. Riscattare la dignità della persona. Siamo certamente in un’epoca dove la persona umana viene usata come oggetto e finisce per essere materiale di scarto. Agli occhi di Dio non c’è materiale di scarto, c’è solo dignità”.

Il vostro lavoro, ha detto il Papa ringraziando i ragazzi, è dunque quello “di tornare a riscattare quello che si vuole scartare per tornare ad ungerlo con dignità”. In particolare, Papa Francesco ha espresso gratitudine per l’impegno mostrato dai giovani. “Impegnarsi è dare la vita, spendere la vita”, ha osservato, e per meglio sottolineare la differenza tra il collaborare e l’impegnarsi, il Papa ha ripreso una battuta di spirito di un umorista argentino, Landrecina:

“La vaca cuando nos da la leche colabora…
La mucca quando ci dà il latte collabora alla nostra alimentazione: ci dà il latte, si fa il formaggio e quindi facciamo un panino. Il panino al formaggio è un po’ insipido e quindi bisogna mettere il prosciutto. Allora andiamo a vedere il maiale e il maiale per fare il prosciutto non collabora: si impegna, dà la vita, e ci dà il prosciutto. Impegnarsi è dare la vita, è giocarsi la vita, e la vita ha senso solo se uno è disposto a giocarsela, a farla scorrere per il bene degli altri”.

“A me piace vedere tanti giovani che hanno questa voglia di impegnarsi”, ha concluso Papa Francesco, e questa “battaglia per recuperare la dignità delle persone richiede impegno”. (A cura di Alessandro De Carolis)

inizio pagina

Francesco a Castel Gandolfo per la benedizione di due sculture

◊  

Ieri, dopo la recita dell’Angelus, Papa Francesco si è recato in forma privata in automobile alle Ville Pontificie di Castelgandolfo. L’occasione è stata l’inaugurazione di due sculture in ferro realizzate dall’artista argentino Alejandro Marmo. Il Papa ha pranzato al Frantoio, nella zona della fattoria, in compagnia del cardinale Bertello, presidente del Governatorato, di mons. Vergez Alzaga, segretario generale, del direttore delle Ville pontificie con la famiglia e dell’artista Alejandro Marmo, con la famiglia e alcune altre persone. Poi il Papa si è spostato a piedi al vicino eliporto, dove ha incontrato un gruppo di circa 40 persone, sue conoscenti, provenienti dall’Argentina, e ha proceduto alla benedizione delle due opere d’arte. Quindi è rientrato in auto in Vaticano nel primo pomeriggio.

Durante il percorso ha sostato alla Clinica Pio XI per una breve visita al cardinale Jorge Maria Mejia, lì ricoverato.

Arrivando in Vaticano, si è recato direttamente alla Casina Pio IV, sede dell’Accademia delle Scienze, dove era in corso il Simposio internazionale di giovani impegnati nella lotta contro il traffico di esseri umani. Poco dopo le 16 il Papa è rientrato a Santa Marta.

inizio pagina

Presentati i viaggi di Francesco a Strasburgo e in Turchia

◊  

Per due volte, nell’arco della prossima settimana, Papa Francesco prenderà l’aereo per recarsi in visita dapprima al Parlamento di Strasburgo, il 25 novembre, e quindi in Turchia, dal 28 al 30, dove si svolgerà l’incontro col Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Entrambi i viaggi apostolici sono stati presentati ai media nel corso di un briefing in Sala Stampa vaticana, dal direttore padre Federico Lombardi. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Sono i viaggi internazionali numero cinque e sei del Pontificato di Francesco quelli che lo vedono il 25 novembre a Strasburgo, in visita al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa, e poi, dopo solo due giorni, in viaggio per la Turchia, con le tappe ad Ankara e ad Istanbul. Due viaggi dai toni diversi ma simili nell’accelerazione della preparazione, a Strasburgo organizzato subito dopo il rinnovo del Parlamento  europeo, e quindi in coincidenza di un’assemblea parlamentare, e in Turchia successivamente alle elezioni e alla formazione del nuovo governo e, soprattutto in occasione, il 30 novembre della festa di Sant’Andrea, grande festa del Patriarcato ecumenico, quindi la giusta data, spiega padre Lombardi, per accettare l’invito del Patriarca ecumenico Bartolomeo I. Quello di Strasburgo sarà il più breve viaggio papale della storia, tre ore e 50 minuti, inoltre si caratterizzerà perché senza alcun evento pastorale, liturgico, religioso. Il Papa ha preferito tenere precisa la finalità di questo viaggio che sarà solo alle istituzioni europee, un momento di riflessione sulla situazione attuale del continente, così cambiato dall’ultimo viaggio di un pontefice a Strasburgo, nel 1988 Giovanni Paolo II:

"Il contesto di oggi è veramente molto nuovo, e questo giustifica effettivamente un nuovo viaggio del Papa che con questo viaggio parla all’Europa intera, non solo all’Unione, ma all’Europa intera con tutti i suoi popoli".

E sulle polemiche sollevate circa la possibile confusione tra capo religioso e capo di Stato ecco la risposta di padre Lombardi:

"La cosa che io farei notare, è che tutti sappiamo benissimo, e il Papa meglio di tutti, che non è un capo politico di Stato con poteri militari, economici e degli interessi politici particolari. Ma la presenza del Papa nel mondo delle organizzazioni internazionali è quella di una grande autorità riconosciuta, a livello internazionale e mondiale, da secoli, come una grande autorità di carattere religioso e morale di una comunità molto numerosa, come lo è la Chiesa cattolica, e anche le istituzioni, gli Stati stessi desiderano, nella loro grande maggioranza, avere rapporti con questa autorità, avere anche loro rappresentanti presso questa autorità. Questo vuol dire che anche le autorità politiche nel mondo riconoscono l’importanza del messaggio di quello che il Papa rappresenta e dice per i grandi problemi, i grandi valori dell’umanità: la pace, la giustizia, il benessere, la convivenza tra i popoli".

Il viaggio in Turchia si pone nella continuità, nella tradizione, dei viaggi papali al Paese e al Patriarcato di Costantinopoli, si ricordino i viaggi di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Di vario genere le motivazioni di questo viaggio:

"C’è naturalmente l’attenzione per il Paese ospitante, quindi per la Turchia, la Turchia si trova nel Medio Oriente; c’è il dialogo interreligioso, perché la Turchia è un Paese a immensa maggioranza musulmano; c’è una piccola comunità cattolica che, come sempre quando il Papa viaggia all’estero, viene presa attentamente in considerazione per essere incoraggiata e visitata; e c’è, come ben sappiamo, la sede del Patriarcato ecumenico con il Patriarca Bartolomeo con il quale si è sviluppato un dialogo di fraterna amicizia da molto tempo".

Una delle domande ricorrenti su questo viaggio, sia sulla stampa, che da parte dei giornalisti al briefing di Lombardi è stata sull’eventualità di un incontro del Papa con i profughi dei conflitti in atto in Siria e in Iraq e riparati in Turchia:

"Negli incontri di Istanbul con i giovani (degli oratori dei salesiani n.d.r) e nella cattedrale, certamente ci sono persone che non sono solo locali, ma che arrivano anche, per vari motivi, da diverse altre parti. Quindi quelle sarebbero occasioni in cui certamente abbiamo delle presenze o delle rappresentanze che vanno un po’ in questo senso".

Sarà soprattutto quello ecumenico il carattere predominante del viaggio del Papa in Turchia che vedrà Francesco condividere con Bartolomeo diversi importanti momenti ad Istanbul, con il quale poi firmerà la dichiarazione congiunta.

inizio pagina

Di Tora: tensioni residenti-immigrati a Roma, Papa invita a cultura dell'incontro

◊  

Le parole del Papa, ieri all'Angelus, sulle tensioni tra residenti e immigrati nella periferie di Roma, con l'invito al dialogo e a non cedere alle tentazioni dello scontro, chiamano tutti ad un cambiamento di pensiero e ad una nuova cultura. E' quanto afferma mons. Guerino di Tora, vescovo ausiliare di Roma ed ex direttore della Caritas romana. Gabriella Ceraso lo ha intervistato: 

R. - Io penso che il Papa stia parlando a tutte le istituzioni, non soltanto nazionali ma anche locali, e soprattutto a noi che, come cristiani, ci sentiamo impegnati in questa situazione. E’ chiaro che ormai viviamo in un contesto di un mondo globalizzato. Quindi, l’incontro non è un fatto sporadico. C’è una globalizzazione che è anzitutto a livello di persone. E su questo dobbiamo entrare in una cultura diversa tutti quanti. E per noi cristiani viene dal Vangelo: tutti siamo figli di un unico Padre. Avere questa attenzione maggiore a un senso di accoglienza e di reciprocità.

D. - Il Papa fa un passo ancor più ampio, invita la parrocchia ad aprirsi e a diventare essa stessa luogo di incontro tra istituzioni e nuove realtà sociali. Come rispondere?

R. - Per la parrocchia, come viene oggi concepita in senso missionario, immaginiamo solo un andare fuori. Ma la missionarietà è all’interno, prima ancora che all’esterno: conoscersi tra gruppi, conoscersi tra persone. Quindi, in tanti luoghi, soprattutto di periferia - noi abbiamo anche a Roma periferie dove non c’è nulla -  l’unico luogo di incontro è la parrocchia. Allora, veramente, deve poter diventare quel luogo dove tra diverse mentalità, culture, situazioni, ci si possa incontrare, ci si possa confrontare in uno spirito di collaborazione, di serenità. Purtroppo, le difficoltà economiche e sociali portano a chiuderci non ad aprirci. Del resto, il Papa ci insegna: il cristiano è l’uomo della contrarietà non di quello che si adegua alle situazioni, ma di quello che sa andare oltre, che sa vedere al di là perché ha dentro lo Spirito di Gesù che ci porta a questo.

D. – Pensa che effettivamente questo sforzo possa essere fatto sul territorio romano, nei quartieri più difficili?

R. – Non solo penso che si possa fare, in tanti periodi è stato fatto, non è una cosa nuova.

inizio pagina

Altre udienze e nomine episcopali in Argentina e Messico

◊  

Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’arcivescovo Ivan Jurkovié, nunzio apostolico in Russia e in Uzbekistan, il neo ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede, Mehmet Pagaci, presentazione delle Lettere Credenziali, mons. Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejeon, in Corea,  e il direttore d’orchestra Daniel Baremboim.

In Argentina, il Papa ha nominato ausiliare di Buenos Aires il sacerdote Juan Carlos Ares, attualmente parroco di Nuestra Señora de Balvanera a Buenos Aires, assegnandogli la sede titolare di Cercina. Mons. Ares è nato in Buenos Aires, il 23 dicembre 1963. Nel 1982 è entrato nel Seminario Maggiore di Buenos Aires e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 25 novembre 1989. È stato Vicario parrocchiale della Parrocchia di San Rafael della quale in seguito è diventato Parroco; Cappellano degli Scouts di Argentina per la Vicaria Episcopale Devoto; Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori, Vicedirettore del Departamento de Escuelas dell'Arcivescovado di Buenos Aires, Membro del Consiglio di Educazione Cattolica e Parroco della Parrocchia di San Ramón Nonato. Dal 2012 è Parroco di Nuestra Señora de Balvanera.

Sempre in Argentina, Francesco ha nominato ausiliare di San Isidro il Reverendo Martín Fassi, vicario generale della medesima diocesi. Il presule è nato il 14 novembre 1960, a San Isidro. Ha studiato filosofia e teologia nel Seminario diocesano San Agustín de San Isidro. È stato ordinato sacerdote il 14 dicembre 1984. Come sacerdote ha ricoperto i seguenti ministeri: Formatore del Seminario Regionale Nuestra Señora de la Encarnación di Resistencia, Missionario nella diocesi di Olguín (Cuba) e Parroco della Parrocchia Purísima Concepción di Pacheco. Attualmente, è Vicario generale della diocesi di San Isidro.

In Messico, Francesco ha accettato la rinuncia all’Ufficio ausiliare dell’arcidiocesi di Guadalajara, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Miguel Romano Gómez.

Sempre in Messico, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Apatzingán, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Miguel Patiño Velázquez, dei Missionari della Sacra Famiglia. Al suo posto, il Pontefice ha nominato il sacerdote Cristóbal Ascencio García, del clero della diocesi di San Juan de los Lagos, attualmente parroco della Parrocchia San Francisco di Asís a Tepatitlán di Morelos. Il nuovo presule è nato il 25 marzo 1955, a El Josefino de Allende, diocesi di San Juan de los Lagos. È stato ordinato sacerdote il 4 maggio 1985, incardinandosi nella diocesi di San Juan de los Lagos. Na compiuto gli studi ecclesiastici presso il Seminario di San Juan de los Lagos e ha conseguito la Licenza in Diritto canonico presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma. Ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale nelle Parrocchie San Nicolás de Tolentino a Mexticacán e San Juan Bautista a San Juan de los Lagos; Formatore nel Seminario Minore; Parroco della Parrocchia dell'Espíritu Santo; Prefetto e dopo Rettore del Seminario Maggiore; Giudice nel Tribunale Ecclesiastico diocesano e nel Tribunale di Seconda Istanza. Attualmente è parroco della Parrocchia San Francisco di Asís a Tepatitlán di Morelos e Membro del Collegio dei Consultori.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Famiglia non è ideologia: Papa Francesco ricorda che i bambini hanno diritto a crescere con un padre e una madre.

No alla tentazione dello scontro: all'Angelus dedicato alla parabola dei talenti il Papa parla del rapporto fra cittadini e immigrati.

Un fiume di misericordia: udienza ai vescovi dello Zambia in visita "ad limina".

L'Is rilancia la sfida dell'atrocità: decapitati l'ostaggio statunitense e quindici soldati siriani.

Una crisi culturale: Lucetta Scaraffia recensisce il libro di Roberto Volpi "La nostra società ha ancora bisogno della famiglia?".

La lunga fuga dei Pilosoff: due fratelli ebrei italiani nascosti in convento durante il nazismo.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Colombia. Sequestro generale, sospesi trattati di pace

◊  

Colombia. Sono stati sospesi i negoziati di pace tra il governo e i guerriglieri delle Farc in seguito al rapimento del generale Ruben Dario Alzate. È la prima volta in 50 anni di conflitti che un generale dell’esercito viene reso prigioniero. Il presidente, Juan Manuel Santos, ha dichiarato che non ci saranno confronti finché non saranno chiarite le circostanze del rapimento. Corinna Spirito ha chiesto un commento a Luis Badilla Morales, giornalista della nostra emittente, esperto di America Latina: 

R. – I negoziati tra il governo del presidente Santos e le Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc) che vanno avanti a Cuba, a L’Avana, da due anni, si trovavano al momento del sequestro di questo generale in una fase piuttosto avanzata, con accordi sostanziali molto importanti. Ecco perché la notizia triste del fatto che il governo ha deciso di sospendere questi negoziati a seguito del sequestro – che è una cosa molto grave – non può altro che seminare preoccupazione per l’opinione pubblica colombiana, per la Chiesa cattolica – che con ogni probabilità si pronuncerà nelle prossime ore – e per la comunità internazionale, perché il ruolo della Colombia è molto importante. Speriamo sia una cosa momentanea, che si prendano le misure e si diano le risposte adeguate, in particolare da parte delle Farc.

D. – Quali sono le ragioni dietro al rapimento di un generale dell’esercito, a soli due giorni da trattati molto importanti?

R. – Qui dovremmo ragionare con una certa cautela, perché la situazione interna delle Farc è molto delicata e quindi non so se sia giusto parlare del rapimento delle Farc e non sia meglio parlare di qualcosa che sta succedendo dentro le Farc, perché potrebbe essere benissimo che questo rapimento sia opera di una parte delle Farc che non condivide la linea politica ufficiale dei negoziati in corso a L’Avana. Per questo, dobbiamo aspettare di avere più informazioni per avere un’opinione definitiva. È molto probabile, anzi direi quasi certo, che questa vicenda debba essere inquadrata all’interno di una resa dei conti all’interno delle Farc.

D. – Come peserebbe sull’economia colombiana un accordo di pace?

R. – Un accordo di pace peserebbe in maniera straordinariamente positiva, soprattutto sul popolo della Colombia, che ormai da 50 anni patisce questa guerra strisciante, orrenda, con migliaia e migliaia di vittime, sequestrati mai tornati o sequestrati e uccisi, sfollati – la Colombia è il Paese al mondo che conta più sfollati, oltre quattro milioni – e via dicendo. Quindi, la prima considerazione nell’eventualità di un trattato di pace è quanto farebbe di importante per la serenità e la tranquillità di questo popolo e, in secondo luogo, la possibilità di dedicarsi allo sviluppo sostenibile, combattere la povertà e non dover vivere la vita delle persone, delle istituzioni, dei politici dedicata tutti i giorni solo a difendersi da violenze o a combattere la violenza.

D. – È pensabile che in futuro i membri delle Farc possano accedere al parlamento?

R. – Certamente. È già accaduto in altri Paesi: in Guatemala, nel Salvador… Dopo un trattato di pace, evidentemente la guerriglia smobilitata deve essere reinserita come partito costituzionale democratico all’interno delle regole del gioco. Questo non è solo pensabile, ma è auspicabile nella misura in cui si raggiunga un accordo di pace vera, duratura e giusta.

inizio pagina

Romania, a sorpresa eletto presidente il conservatore Iohannis

◊  

Elezioni presidenziali in Romania: nel ballottaggio, netta la vittoria del candidato conservatore di centrodestra, Klaus Iohannis, 55 anni, docente di Fisica, che ha conquistato il 54,5% dei voti rispetto al 45,5% dello sfidante, Victor Ponta, 43 anni, premier socialdemocratico in carica, ex giudice, favorito alla vigilia avendo vinto con 10 punti di vantaggio (40% contro 30%) il primo turno, dove l’affluenza era stata più bassa di 11 punti rispetto al ballottaggio a quota 64%. Cosa può aver determinato il successo di Iohannis? Roberta Gisotti lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vicedirettore del settimanale "Famiglia cristiana", esperto di politica estera: 

R. – Credo due fattori. Intanto, la voglia di cambiare di un Paese che portava ancora sulle spalle il peso non solo dei ricordi del periodo di CeauČ™escu, ma anche il peso opprimente nelle strutture del potere dei reduci di quella stagione, che certamente non avevano né il passo, né l’interesse di portare il Paese verso un’evoluzione più democratica e soprattutto più efficiente anche nella gestione dell’economia. Perché non dobbiamo dimenticare che la Romania è il secondo Paese più povero dell’Unione Europea, dopo la Bulgaria. L’altro fattore che ha secondo me portato alla presidenza Iohannis è stato l’importanza, il peso del voto dei romeni che vivono all’estero: sono più di tre milioni di romeni, 900 mila solo in Italia, e questi alla fine hanno contribuito a rovesciare il pronostico della vigilia.

D. – Si dice che Iohannis sia stato scelto anche per non essere espressione di un apparato politico, ma piuttosto è stato giudicato quale ottimo amministratore – è stato sindaco di Sibiu, capitale europea della cultura 2007…

R.  – Sì, il suo gradimento popolare per la sua opera di amministratore locale è stato molto, molto alto e credo che in questo caso le categorie tradizionali della politica – sinistra-destra, conservatore-progressista – abbiano perso qualunque significato. Molto semplicemente, i romeni volevano una svolta nel senso di un sviluppo economico e di uno sviluppo anche della democrazia – perché non dimentichiamo che il premier Ponta ha qualche tendenza autoritaria – e volevano una persona capace di incarnare questo sogno. Iohannis, tra l’altro, ha origini tedesche che in qualche modo contribuiscono a rafforzare la sua fama di amministratore efficiente e soprattutto onesto. Sappiamo che la Romania è uno dei Paesi più corrotti d’Europa, quindi anche la fama di onestà gli ha molto giovato.

D. – Si dice anche che i giovani abbiano preferito proprio Iohannis e che lui abbia fatto una campagna molto efficace sui social media...

R. – Sì, sicuro. E questo contribuisce a fare di lui anche un leader più moderno di quanto sia Ponta. Detto tutto questo, va anche considerato un altro fattore e cioè che Ponta resta figura determinante per il governo, almeno fino alle elezioni parlamentari del 2016. Quindi si prospetta, diciamo, un anno e mezzo, quasi due, di coabitazione che per Iohannis certamente non sarà facile e che limiterà fortemente le possibilità per lui di determinare immediatamente un nuovo corso nella politica romena. Perché lui farà il presidente, ma le leve del governo saranno ancora tutto sommato nelle mani di Ponta.

D.  – C’è chi però già in piazza chiede le dimissioni di Ponta…

R. – Sicuramente secondo le nostre logiche politiche, questa sarebbe un fatto abbastanza naturale e auspicabile ma nel sistema politico della Romania, le due funzioni sono molto ben distinte e anche i procedimenti elettorali che portano ad eleggerle. Quindi, se Ponta decide di resistere nella sua roccaforte governativa non c’è molto che Iohannis possa fare.

D. – C’è un altro fattore rilevante: il fatto che Iohannis sia protestante e questo non sia stato di impedimento per la sua vittoria, in un Paese che sappiamo al 90 per cento, ortodosso, è segno di maturità del popolo romeno?

R. – Intanto, bisogna dire che le origini, almeno quelle politiche di Iohannis, sono già nel segno di una mescolanza di fedi e di etnie che promette bene, perché lui di origine è tedesca e poi è stato amministratore a Sibiu in una regione, la Transilvania, dove le minoranze ungherese e tedesca sono folte. Quindi già le sue origini personali e politiche vanno in questo senso. Credo che il fatto che il fattore religioso in una elezione politica non sia stato determinante sia un segno di maturità e di modernità. E comunque, in ogni caso i romeni hanno scelto la personalità che dava loro più fiducia per lo sviluppo del Paese e questa era l’assoluta priorità che si è affermata  in questa elezione e alla luce di questa priorità i romeni hanno votato.

inizio pagina

G20. Oxfam: manca impegno finanziario concreto contro Ebola

◊  

Il G20 ha preso consapevolezza della gravità dell’epidemia di Ebola e delle conseguenze che avrà a lungo termine, ma non ha preso nessun impegno finanziario concreto. E il tempo sta scadendo. Sono deluse le Ong come Oxfam che, insieme con Save the Children, stanno raccogliendo firme per sollecitare l’attenzione internazionale sulla crisi nell’Africa occidentale, dove l’epidemia non cessa di avanzare. Gabriella Ceraso ha raccolto il commento di Silvia Testi, responsabile ufficio Africa dell’Oxfam: 

R. – Il G20 ha parlato di cooperazione bilaterale, di sostenere l’intervento che già viene condotto dalle organizzazioni internazionali. Però, noi ci aspettavamo che questo sarebbe stato accompagnato da un impegno e da una mobilitazione concreta di risorse. Questo perché sappiamo che comunque il G20, anche volendo salvaguardare la ricchezza globale, non può permettere che l’economia di questa regione del mondo venga completamente destabilizzata, come evidentemente sta avvenendo. Tra l’altro, sappiamo che c’era un obiettivo delle Nazioni Unite di ridurre la diffusione del virus drasticamente entro il primo dicembre: se non vengono prese misure conseguenti, questo non sarà possibile.

D.  – Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha sbloccato 300 milioni di dollari supplementari per far fronte all’epidemia, per ridurre anche un po’ la pressione su Guinea, Liberia e Sierra Leone. E’ una cosa positiva, come la valutate?

R. – E’ una cosa sicuramente positiva. Quello che noi sappiamo è però che c’è bisogno di fare molto di più. C’è bisogno di stanziamenti economici molto più significativi. Le strutture sanitarie, i centri che attualmente sono operativi nei Paesi sono assolutamente sottodimensionati. Attualmente, il Paese maggiormente bisognoso da questo punto di vista è la Sierra Leone, dove sembra che l’epidemia sia effettivamente più forte in termini di diffusione.

D. – Se ne parla un po’ meno, in questi giorni, mi sembra, di Ebola, forse perché i casi in Europa e nel resto del mondo sono diminuiti. In Africa possiamo dire che c’è stato un miglioramento o la situazione è in stallo?

R.  – La situazione in Africa non è una situazione che possiamo definire in termini di miglioramento, purtroppo. Nonostante la diminuzione nella diffusione del virus in Liberia e in Guinea, la situazione è assolutamente drammatica sia da un punto di vista sanitario sia da un punto di vista economico e sociale in generale. Dalla scarsità di cibo che è dovuta alla chiusura delle frontiere, alle malattie degli animali, dei produttori, che con questo clima di paura non vengono affrontate… Questo sta creando tensioni, violenze. C’è un aumento dei prezzi e ci sono difficoltà logistiche di trasferimento da un Paese all’altro ma anche nei Paesi stessi. Quindi, stiamo parlando di economie che stanno subendo un arresto veramente drammatico. Noi stiamo lanciando proprio in questi giorni una campagna di raccolta firme in moltissimi Paesi, dall’Europa agli Stati Uniti all’Australia, in tutti i Paesi dove Oxfam è presente, e questo sarà utilizzato anche per accompagnare questa richiesta al G20 anche per stimolare l’attenzione su Ebola e per far vedere che c’è effettivamente un interesse e una mobilitazione anche a livello locale rispetto a questo. Quindi, è una richiesta molto forte ai nostri governi.

inizio pagina

Emergenza maltempo, il vescovo di La Spezia: territorio da curare

◊  

Ancora emergenza maltempo in Italia. A Genova, al termine di un incontro in Prefettura, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ha dichiarato che “non ci saranno limitazioni ai lavori in somma urgenza”. Governo e autorità locali - ha affermato inoltre il cardinale Angelo Bagnasco – intervengano subito. Sulla situazione nel territorio di La Spezia, in particolare, si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco il vescovo mons. Luigi Ernesto Palletti

R. – La nostra è una situazione di fragilità di territorio. E se i fiumi dovessero prendere maggior corso potrebbero creare criticità. Ultimamente, ci sono state criticità nella zona del Magra. E’ vero che in parte erano terreni agricoli, però lì ci sono state aziende che hanno subito, in maniera notevole, questo allagamento.

D.  – A proposito della zona della Val di Magra, che lei ha potuto visitare recentemente, quali sono adesso le priorità per far riprendere il tessuto economico di questo territorio?

R. – Direi che innanzitutto le persone colpite hanno una grande costanza e una grande personalità perché, nonostante tutto, non le ho viste abbattute. In questo momento, la cosa fondamentale è un’attenzione al territorio. Penso che, da parte loro e da parte degli imprenditori, ci sia tutta la volontà e tutta la capacità per riprendere l’attività delle aziende. Certamente, una vicinanza, un aiuto a tutti i livelli, è estremamente necessario. Ho visto anche tanta solidarietà fra le persone.

D. – Tanta solidarietà alle persone colpite da questa emergenza e un aiuto che arriva anche dalla Chiesa locale…

R. – Direi di sì, almeno per quello che è fattibile. Ovviamente, i nostri parroci dall’inizio si erano subito attivati e il mio stesso sopralluogo l’ho fatto proprio in compagnia di questi sacerdoti che sono vicini alla gente. Certo, la dimensione del problema è talmente grande che è impensabile che possa essere risolta dalla Chiesa in questo momento. Non è una questione di carità. E’ proprio una questione di struttura. C’è vicinanza certamente. Questa disponibilità c’è stata e continua.

D. – La Liguria sta mostrando, ormai da diversi anni, gravi criticità proprio legate al maltempo. Servono risposte – come ha più volte detto anche il cardinale Bagnasco – concrete, durature e immediate da parte delle istituzioni e del mondo della politica…

R. – La problematica c’è ed il territorio va curato. Sul territorio non ci sono solo strutture, per quanto importanti, ma ci sono persone, le quali hanno pieno diritto a una dignità non solo lavorativa ma anche abitativa e di sicurezza.

inizio pagina

Caritas-Migrantes: raddoppiate negli ultimi mesi domande di asilo

◊  

Dal 2013 ad oggi nel mondo sono state oltre 51 milioni le persone costrette alla migrazione per fuggire dai conflitti e dalle violazione dei diritti umani, con un forte aumento negli ultimi mesi . Di questi, quasi due milioni hanno chiesto asilo politico in Europa e la maggior parte proprio all' Italia. Si apre con questi numeri impressionati il "Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014", presentato oggi a Roma dalla Caritas e dalla Fondazione Migrantes, con Anci e Servizio Centrale dello Sprar, in collaborazione con l’Unhcr, l'agenzia dell'Onu per i rifugiati. Il servizio di Marina Tomarro

Da gennaio di quest’ anno a luglio, sono stati oltre 65 mila i migranti giunti sulle coste italiane, mentre nel 2013 erano sbarcate poco meno di 10 mila persone. E le domande di asilo politico presentate alle autorità italiane nel primo semestre del 2014 sono invece aumentate fino ad arrivare a oltre 26.600. La Nigeria è il primo Paese d’origine da cui provengono i richiedenti, seguito da Pakistan, Somalia ed Eritrea. Questi sono alcuni dati del "Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014", che raccontano attraverso queste cifre la situazione drammatica di decine di migliaia di uomini e donne, che lasciano i loro Paesi con la speranza di ritrovare un futuro migliore. Oliviero Forti, responsabile dell’ Ufficio immigrazione per la Caritas italiana:

R. – Il tema dell’accoglienza in Italia, ahimè, è un tema che si deve reinventare ogni volta. Quando dico ogni volta, intendo ogni anno, perché già nel 2012-2013 avevamo chiuso l’emergenza legata alle "primavere arabe". Nel 2014, abbiamo dovuto affrontare un’altra grande emergenza proveniente sempre dalla Libia che ha visto incredibilmente, in una prima fase, l’Italia impreparata, perché i posti di accoglienza erano e rimangono in parte insufficienti. Si è cercato di replicare dei modelli di accoglienza diffusa sui territori come nel 2011, che stanno dando dei buoni esiti. È evidente che l’incertezza rispetto ai finanziamenti, a politiche di integrazione, sono l’incognita più grande. Oggi, sono più di 5 mila le persone in accoglienza. Chiaramente, sono tutte persone che avranno, da qui a qualche mese, bisogno di risposte non solo da un punto di vista giuridico – per cui dovranno vedersi riconoscere un qualche stato sociale – ma, ripeto, soprattutto di integrazione e i fatti di Roma ci interrogano chiaramente sull’efficacia poi di questi processi.

D. – Uno dei temi più caldi è proprio quello dei minori non accompagnati. In che modo si può evitare che accadano fatti come quelli di alcuni giorni fa a Tor Sapienza, nella capitale?

R. – I minori non accompagnati costituiscono storicamente una categoria vulnerabile tra i richiedenti asilo e i rifugiati, che hanno potuto garantirsi in questi anni un’accoglienza tutto sommato buona anche se, chiaramente, con delle derive – penso al caso dei minori fermi a Lampedusa nel 2011. Ma la situazione si è andata ad aggravare nel 2014, perché i numeri che noi ci attendevamo di minori non accompagnati non hanno visto contestualmente un sistema di accoglienza pronto ad accoglierli, in quanto le comunità per minori non sono numericamente sufficienti. Si è dovuto comunque dare in emergenza una risposta: è stato fatto male e oggi se ne pagano le conseguenza. È chiaro che lo sforzo che sta facendo il governo, e che noi tentiamo di sostenere, sicuramente lo vediamo in maniera positiva. Però, è chiaro bisogna passare dalle idee ai fatti. Ancora siamo distanti dall’obiettivo.

Fondamentale diventa allora l’aiuto di tutta l’Unione Europea. Il commento di Domenico Manzione, sottosegretario del Ministero dell’interno:

R. – Io ritengo che l’unica soluzione sia quella politica, cioè che l’Europa decida di fare finalmente una politica unitaria in materia di immigrazione anche per evitare squilibri che non solo si sono manifestati fino a oggi sul territorio italiano, ma che corrono il rischio di manifestarsi sul territorio europeo. Se l’accoglienza per i rifugiati e per i richiedenti asilo la fanno cinque Stati, sul numero complessivo di Stati fondanti l’Unione Europea, significa  evidentemente che un problema c’è. Un problema che non è solo nostro, ma di tutta l’Europa.

inizio pagina

Ospedale Bambino Gesù: sempre più vicino a piccoli malati e famiglie

◊  

Acquisire tecnologie di ultima generazione per prevenire l'insorgenza del dolore, ridurre al minimo la sua percezione e contenere paura, ansia e stress sia nei piccoli pazienti sia nei loro familiari. Questo l’obiettivo della Campagna di comunicazione sociale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, dal titolo “Progetto Ospedale senza dolore”, lanciata stamani a Roma e destinata a radio, tv e stampa. La presentazione è stata introdotta dal presidente dell'Ospedale, il prof. Giuseppe Profiti. C’era per noi Giada Aquilino

Quando un bambino si ammala, anche i genitori hanno bisogno di cure. È una Campagna costruita sull’esperienza quella del Bambino Gesù: il progetto “Ospedale senza dolore” punta a effettuare, regolarmente e per tutti i pazienti, la valutazione e il controllo terapeutico del dolore, sia acuto, sia cronico. Ma non solo. Ora la sfida è raccogliere fondi per 1 milione di euro (tutte le informazioni sul sito www.ospedalesenzadolore.it) per tecnologie diagnostiche di ultima generazione, attraverso una nuova Campagna: i protagonisti sono i genitori dei piccoli pazienti, con la testimonianza silenziosa del loro dolore, ma anche della loro presenza. Gli obiettivi, nelle parole del direttore sanitario, il dott. Massimiliano Raponi:

R. - Cercare di dare risalto ad un progetto a cui teniamo molto: l’“Ospedale senza dolore”. L’abbiamo avviato ormai da qualche anno e ha visto negli ultimi tempi la realizzazione di progetti importanti per un diritto dei bambini ed un dovere di un Ospedale pediatrico come il Bambino Gesù.

D. - In particolare a cosa si punta?

R. - Si punta intanto a valutare quella che può essere la percezione del dolore da parte di tutti i bambini che vengono in ospedale, dall’ambulatorio al ricovero ordinario. Dobbiamo chiederci se purtroppo soffrono e se sentono dolore. Poi però bisogna preoccuparsi di qualcos’altro, di prevenirlo. Abbiamo fatto quindi degli interventi di prevenzione, per fare in modo che non venga procurato un dolore al paziente, per esempio nel distacco in sala operatoria. Abbiamo realizzato quindi un progetto - seguendo regole, criteri e protocolli, per ovvi problemi igienico sanitari - che dà ai bambini la possibilità di essere accompagnati in sala operatoria dalla mamma e dal papà. Un altro intervento è stato fatto sull’alta complessità: un ambulatorio dedicato al dolore, quindi alla gestione di esso, per pazienti di alta complessità che purtroppo hanno bisogno di un trattamento terapeutico per poter controllare il dolore fisico. Poi, nell’ambito chirurgico, abbiamo previsto un controllo e quindi una valutazione del dolore a casa, attraverso una semplicissima App che viene installata sul telefonino oppure sul computer e ci permette di poter affrontare con i genitori e con i familiari la gestione del dolore a casa.

D. - Questi sono interventi che avete già iniziato. Adesso puntate a raccogliere un milione di euro per tecnologie avanzate. Di cosa si tratta?

R. - Il futuro sarà sempre più orientato a sviluppare ed applicare con alta tecnologia la gestione del dolore in alcuni ambiti, perché se riesco a fare delle procedure più veloci, oltre che ad avere dell’alta tecnologia che mi permette di aver risposte migliori per l’alta complessità, probabilmente riesco a evitare di fare la narcosi del paziente, quindi l’anestesia piuttosto che la preparazione del paziente alla procedura diagnostica. L’alta tecnologia aiuta tantissimo la Campagna “Ospedale senza dolore”, perché da questa potremmo avere sempre più – in questo caso attraverso la tac - altri tipi di tecnologie che ci possano permettere di prevenire e di fare degli interventi per ridurre il dolore nei bambini.

D. - Adesso si punta ad una nuova tac. Dove e come verrà impiegata?

R. - La nuova tac nell’Ospedale Bambino Gesù di Palidoro ci permetterà di rispondere a diverse esigenze: gestione dell’emergenza, che sulla sede di Palidoro aumenta sempre di più, con oltre 20 mila accessi l’anno, gestione di specialistiche di alta complessità, come la neurologica, a Polidoro abbiamo un importante centro di riabilitazione, poi la parte cardiologica e aritmologica e ancora le specialistiche di otorino e oculistica, ortopedia.

Come opera allora un “Ospedale senza dolore”? La responsabile dell’accoglienza e dei servizi alla famiglia, la dottoressa Lucia Celesti:

R. – E’ una valutazione complessiva di tutto ciò che riguarda il dolore. Il dolore, infatti, non è soltanto un fatto fisico, ma è anche quel disagio, quella paura, quel terrore che accompagnano la permanenza della famiglia in ospedale, soprattutto quando le famiglie si distaccano da posti lontani e arrivano sperdute. Serve accoglienza alloggiativa, avere qualcuno che si occupi di loro, angeli custodi, mediatori culturali, nel caso in cui si è stranieri. Tutto questo fa parte, contribuisce proprio alla cura, è una specie di terapia dell’accoglienza. Noi così la chiamiamo.

D. – Questo perché appunto la sofferenza del bambino poi si ripercuote su tutto il nucleo familiare, su tutta la famiglia. Come stare di fatto accanto al bambino e alla famiglia?

R. – E’ un insieme di terapie integrate, che partono dalla presenza h24 dei genitori con il bambino, anche nelle terapie intensive; dà la possibilità di alloggiare alle famiglie. Per esempio, abbiamo una casa - la Casa delle Cicogne - dove le mamme che hanno i figli in terapia intensiva allattano. E’ proprio un appartamentino, dove possono restare per i primi mesi accanto al bambino. Abbiamo la scuola, la ludoteca, i servizi sociali, le associazioni di volontariato, i servizi per gli stranieri. Insomma, una serie di servizi integrati, tutti volti al benessere dell’intera famiglia. Quando si ammala un bambino, infatti, si ammala tutta la famiglia.

D. – Negli spot della Campagna colpisce il silenzio dei genitori…

R. – Nella mia esperienza ventennale, molto spesso, anzi quasi sempre, non sono le persone che gridano di più quelle che hanno i problemi più gravi. La cosa importante è riuscire ad intercettare la sofferenza e i bisogni anche di chi non dice nulla.

D. – Lei conosce i genitori dei bambini che hanno avuto cure o sono ancora in cura al Bambino Gesù. Cosa le hanno detto? Perché hanno scelto di partecipare alla campagna?

R. – Ci sono moltissime persone straordinarie. Io credo che quello che muove i professionisti e questi genitori sia il capire che l’elaborazione del dolore, la gestione del dolore, oltre che far crescere se stessi, riesce a far crescere gli altri e può produrre effetti benefici a catena su tante altre famiglie, per il futuro.

La mamma di un piccolo paziente, Viviana, colombiana, da 14 anni in Italia, ha aderito alla Campagna:

R. – Ci aiuta a capire anche la sofferenza degli altri, attraverso la nostra, e ci dà una mano ad andare avanti, in tanti modi.

D. – Perché lei è qui?

R. – Io sono qua perché ho un bambino di 8 anni che ha la distrofia muscolare. Viene seguito qui praticamente da quando è nato.

D. – Come viene seguita anche lei, la sua famiglia, accanto al bambino?

R. – Ci aiutano tanto, anche parlando con noi genitori. Ci chiedono come ci troviamo, ci danno una mano per farci stare meglio anche accanto ai bambini. Tutto il personale dell’ospedale è fantastico.

D. – Cosa l’aiuta nel suo percorso?

R. - Mio figlio. Mio figlio, ogni giorno. Perché, con tutto quello che gli manca, l’unica cosa che non gli manca è il sorriso. E lui mi aiuta tanto…

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Iraq. Presidente del Parlamento: essenziale ruolo dei cristiani

◊  

Apprezzamento per il ruolo esercitato dal Patriarcato caldeo nella promozione della pace e della coesistenza; ferma condanna per le violenze contro i cristiani di Mosul e della piana di Ninive, dove circa 500mila persone sono fuggite in seguito all'avanzata dello Stato islamico, che ha fondato un Califfato e imposto la sharia. Sono questi i temi principali che hanno contraddistinto l'incontro fra il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako e il presidente del Parlamento irakeno Salim al-Jubouri (nella foto).

Sabato sera - riferisce l'agenzia AsiaNews - una delegazione di alti funzionari di Baghdad, guidata dal presidente del Parlamento, ha visitato la sede del patriarcato caldeo ed espresso solidarietà e vicinanza alla comunità cristiana. Egli ha inoltre assicurato il sostegno di Camera e governo alla minoranza religiosa, vittima delle violenze delle milizie islamiste.

Sua Beatitudine ha ringraziato per l'iniziativa, che definisce un segno concreto della "solidarietà" e della "vicinanza" della leadership di Baghdad verso i cristiani, "cacciati" dalle loro case e costretti a sopravvivere in un contesto "tragico". Mar Sako ha quindi aggiunto che la visita dell'alto funzionario mostra che "il presidente del Parlamento non rappresenta solo i musulmani", ma "tutti i cittadini".

Fonti del patriarcato caldeo spiegano ad AsiaNews che si tratta "senza dubbio di una visita storica", che "dà un rinnovato senso di fiducia" alle famiglie cristiane sfollate, costrette ad abbandonare le proprie abitazioni a causa dell'avanzata del sedicente Stato islamico. Sua Beatitudine ha al contempo sottolineato l'importanza degli sforzi messi in campo per ristabilire la sicurezza nel Paese e sventare "la minaccia di altri espropri e conquiste" da parte delle milizie islamiste.

Mar Sako - che ieri ha incontrato anche il Presidente della Repubblica Fuad Masum - ha presentato una richiesta ufficiale perché "la festa del Natale sia riconosciuta in via ufficiale" e che sia concesso "un giorno di ferie per tutti i cittadini irakeni". Jubouri ha assicurato che farà di tutto perché ciò avvenga. (R.P.)

inizio pagina

Siria: cristiani di Raqqa devono pagare a Is 'tassa di protezione'

◊  

A Raqqa, la città della Siria settentrionale divenuta roccaforte dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) dal 2014, risiedono soltanto 23 famiglie cristiane delle 1500 che vi abitavano prima che iniziasse il conflitto siriano. Su questo piccola comunità costituita da cristiani armeni, che non hanno potuto lasciare la città per mancanza di risorse o per motivi di età e di salute, la violenza del fanatismo islamista si abbatte anche con l'aspetto metodico delle prassi amministrativo-burocratiche: a loro sono stati recentemente comunicati i parametri della jizya, la “tassa di protezione” che dovranno pagare a partire da ieri se non vogliono essere espulsi e espropriati delle loro case e che ammonta all'equivalente di 535 dollari.

L'informazione, proveniente dagli stessi cristiani di Raqqa, è stata diffusa dal sito arabo ankawa.com. Con tutta probabilità le famiglie cristiane, impoverite dalla guerra, non troveranno modo di pagare la tassa e dovranno abbandonare le proprie case.

La jizya è l'imposta che fino al XIX secolo ogni suddito non-musulmano era tenuto a pagare alle autorità islamiche come clausola del “patto” che garantiva loro protezione dalle aggressioni esterne e libertà di culto. A Raqqa i jihadisti dell'Is – che hanno assunto totale controllo della città nei primi mesi del 2014, dopo essersi scontrati con altre fazioni islamiste anti-Assad - hanno trasformato proprio la principale chiesa armena in ufficio per la gestione degli affari islamici e per la promozione della sharia.

Nella città-roccaforte i miliziani dello Stato Islamico hanno già espropriato le proprietà dei cristiani fuggiti e hanno anche organizzato azioni simboliche, come il rogo di Bibbie e libri cristiani. Ad affiliati della fazione jihadista dell'Is viene attribuito il rapimento del gesuita romano Paolo Dall'Oglio, scomparso proprio a Raqqa alla fine di luglio del 2013. (R.P.)

inizio pagina

Preghiera comune per i 60 anni di padre Dall'Oglio rapito in Siria

◊  

Compie oggi 60 anni il padre gesuita Paolo Dall'Oglio, fondatore della comunita' monastica di Deir Mar Musa in Siria, scomparso nel luglio 2013 a Raqqa, citta' nel nord della Siria, diventata la roccaforte dei terroristi dell'Isis.

"Vorremmo riabbracciarlo, ma siamo anche pronti a piangerlo", hanno scritto gli anziani genitori e i sette fratelli e sorelle, in occasione del primo anniversario della scomparsa avvenuta il 29 luglio dello scorso anno. Ora gli stessi familiari propongono di ricordare il compleanno di padre Paolo con un momento di preghiera in contemporanea in vari luoghi del mondo.

"Lo proponiamo a chi ti vuole bene - affermano - in ogni parte del mondo, alle 19 ora italiana. Pregheremo per te e per tutte le altre persone private della libertà. Noi pregheremo per i vescovi e gli altri preti di cui, come te, non si hanno più notizie da tempo. Pregheremo per la pace e la giustizia in quella regione.

"Il nostro regalo - scrivono in un breve messaggio leggibile su www.paolodalloglio.net - sara' una preghiera o un pensiero condiviso a distanza. Pregheremo affinchè un po' di luce o un soffio di vento possano dare sostegno e conforto a te e a tutte le persone che da troppo tempo stanno soffrendo. Caro Paolo, ti vogliamo bene e continuiamo con insistenza e speranza ad aspettarti". (R.P.)

inizio pagina

Pakistan: ancora un cristiano arrestato per blasfemia

◊  

Il cristiano Qaiser Ayub, 40 anni, è stato arrestato per un presunto caso di blasfemia dalla polizia di Lahore. La denuncia è registrata ai sensi delll’art 295-C del Codice penale (vilipendio al profeta), lo stesso per cui è stata condannata Asia Bibi. Ayub è un professore di informatica e ha insegnato in diverse scuole di Lahore.

Come riferito all’agenzia Fides dall’avvocato Sardar Mushtaq Gill, secondo la polizia Ayub era latitante da circa 3 anni, dato che la presunta blasfemia risale al 2011. L’accusa a suo carico è quella di aver scritto commenti blasfemi sul suo blog.

Intanto la polizia ha reso noto che due fratelli, Imran e Irfan, musulmani, tra i principali ricercati per il linciaggio di Shaazad Masih e Shama Bibi, avvenuto a Kasur, sono stati arrestati nell’area di Pirmahal, nel Punjab. Restano tuttora in custodia circa 50 sospettati.

Intanto a Faisalabad difensori dei diritti umani, musulmani e cristiani, riuniti per un incontro, hanno esortato il governo del Pakistan a prendere una posizione chiara sull'uso improprio delle leggi sulla blasfemia. “Il governo deve annunciare e dimostrare chiaramente la sua posizione per impedire le uccisioni extragiudiziali e gli attacchi contro le minoranze, giustificati dall’uso improprio delle leggi sulla blasfemia” hanno rimarcato durante l’incontro, organizzato da associazioni come “Awam” (Association of Women for Awareness and Motivation) e “Reat” (Rights of expression, assembly, association and thought). (R.P.)

inizio pagina

Spagna: Plenaria vescovi su Catechismo per bambini e adolescenti

◊  

Inizia oggi a Madrid la 54ma riunione dell’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola (Cee). Uno dei temi all’ordine del giorno sarà l’elezione del nuovo membro del Comitato esecutivo della Cee, in sostituzione del card. Antonio M. Rouco Varela, che era componente di questo organismo per il suo ruolo di arcivescovo di Madrid. Il nuovo arcivescovo di Madrid, mons. Carlos Osoro Sierra, è già membro del Comitato esecutivo in quanto vice presidente della Cee, per questo l’Assemblea dovrà eleggere un nuovo rappresentante.

Un altro compito della Plenaria sarà eleggere i padri sinodali che rappresenteranno la Cee all’Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, che si terrà a Roma ad ottobre 2015. I vescovi, poi, continueranno a lavorare sul nuovo Piano pastorale 2016-2020. Presenterà la bozza il card. Fernando Sebastián Aguilar.

Sarà presentata anche l’Istruzione pastorale sui catechismi della Conferenza episcopale spagnola per bambini e adolescenti “Custodire, alimentare e promuovere la memoria di Gesù Cristo”, che è redatto dalla subcommissione episcopale della catechesi. Il vescovo di Ávila, mons. Jesús García Burillo, con il vescovo responsabile della Pastorale giovanile della Cee, mons. Xavier Novell, informerà sui preparativi degli atti centrali del quinto centenario della nascita di santa Teresa de Jesús. (R.P.)

inizio pagina

Indonesia: i vescovi rilanciano il cammino missionario

◊  

Rilanciare il cammino pastorale e missionario, seguendo la via tracciata da Papa Francesco nella "Evangelii Gaudium", riscoprendo la gioia che è racchiusa nell'annuncio. E ancora, rafforzare il valore del multiculturalismo, il dialogo interreligioso e le iniziative di amore e carità verso poveri ed emarginati. Sono queste le direttive tracciate dai vescovi indonesiani, a chiusura dell'incontro annuale che si è tenuto nei giorni scorsi a Jakarta.

L'esortazione apostolica, pubblicata da Bergoglio nel novembre 2013, sarà anche principio ispiratore della 7ma Giornata Asiatica della Gioventù, in programma nell'arcidiocesi di Semarang (Java centrale) nel 2017, sul tema: "La Gioia del Vangelo nell'Asia multiculturale". Un aspetto che riguarda tanto il continente, quanto la nazione indonesiana, a lungo esempio di coesistenza pacifica, ma che negli ultimi anni ha registrato un'escalation delle violenze anti-cristiane di movimenti estremisti islamici.

Nei giorni scorsi una solenne concelebrazione eucaristica, alla presenza dei 37 vescovi e del Nunzio apostolico mons. Antonio Guido Filipazzi, ha chiuso l'annuale incontro della Conferenza episcopale indonesiana. La funzione si è tenuta nella parrocchia del Sacro Cuore a Kemakmuran, West Jakarta, alla presenza di migliaia di fedeli. In precedenza, i prelati avevano promosso una iniziativa per raccogliere fondi da destinare agli studenti dei Seminari minori di tutto il Paese.

Assieme alla 7ma Giornata Asiatica della Gioventù, i vescovi hanno anche presentato la Giornata indonesiana della gioventù, in programma nel 2016 nella diocesi di Manado (provincia di North Sulawesi). Questo appuntamento potrebbe essere anche l'occasione per invitare Papa Francesco a visitare l'Indonesia, sebbene finora non vi siano conferme. Anche il nunzio apostolico mantiene un basso profilo, sottolineano che "è solo un'idea" e non vi sono informazioni ufficiali in merito a "una possibile visita".

Intanto i vescovi indonesiani hanno tracciato le linee guida per la missione futura della Chiesa, in un contesto in rapido cambiamento e costellato di sfide e difficoltà. Partendo proprio dal multiculturalismo, la "vera fonte di benedizione" in una nazione che vanta culture, lingue ed etnie diverse. In una realtà che cambia, affermano i prelati, l'unico punto fermo "resta Gesù Cristo". A questo si aggiunge il richiamo al dialogo interreligioso, che "non si fonda solo sulla tolleranza" ma comprende anche "un vero spirito di accettazione" dell'altro. Infine, l'invito a farsi carico delle sofferenze di poveri ed emarginati, perché "nella Chiesa di Cristo non ci sono stranieri, tutti sono fratelli".

In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità è vittima di episodi di violenze e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come ad Aceh. (R.P.)

inizio pagina

Perù: XIII Incontro della Riial sulla cultura dell'incontro

◊  

Si svolge a Lima da oggi al 21 novembre, il XIII Incontro Continentale della Rete Informatica della Chiesa in America Latina (Riial), organismo che conta sul supporto del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. Quest’anno l’incontro avrà come tema "Reti per una Cultura dell'incontro".

L’evento, che da 13 anni coinvolge un numero crescente di operatori del settore, vedrà la partecipazione di rappresentanti di Argentina, Antille, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Stati Uniti, Spagna, Guatemala, Italia, Paraguay, Porto Rico, Uruguay, Repubblica Dominicana.

La Conferenza episcopale peruviana offrirà il suo patrocinio alle sessioni in cui i convegnisti provenienti dalle diocesi latino-americane ed europee scambieranno le proprie esperienze ed elaboreranno strategie comuni di progettazione e costruzione di reti di comunicazione al servizio della comunione ecclesiale, nel segno della conversione pastorale e dell’emancipazione dall’autoreferenzialità ecclesiastica, secondo la prospettiva suggerita da Papa Francesco. In particolare, l’arcidiocesi di Cusco sarà presente all’incontro con una delegazione qualificata.

La Riial, in coordinamento con il Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali e con il Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), offre strumenti e occasioni di formazione culturale e tecnologica nel campo dei nuovi media per favorire vescovi, sacerdoti e laici nella missione ecclesiale a cui sono chiamati, organizzando incontri periodici di formazione permanente e favorendo l’acquisizione di competenze tecnico-informatiche a livello capillare, al servizio dell’annuncio cristiano. (R.P.)

inizio pagina

Messico: corpo di un comboniano ritrovato in fossa comune

◊  

 Il corpo del sacerdote John Ssenyondo, missionario comboniano di nazionalità ugandese, è stato ritrovato in una fossa comune vicino la località di Chilapa, insieme ad altri cadaveri. Lo conferma all'agenzia Fides una fonte della diocesi messicana di Chilpancingo-Chilapa.

L'identificazione di padre John Ssenyondo è stata possibile grazie al lavoro della sua dentista che aveva conservato le sue placche dentali per il lavoro di odontoiatria. Il sacerdote era scomparso il 30 aprile 2014. Secondo la polizia, non sono chiare le ragioni dell’omicidio.

La fonte di Fides riferisce che il ritrovamento è avvenuto lo scorso 29 ottobre, ma solo mercoledì 13 novembre il medico legale ha compiuto le ultime verifiche e ha avvertito la diocesi.

Padre John Ssenyondo era originario di Masaka, in Uganda, e apparteneva alla Congregazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù. Il 30 aprile, dopo che il sacerdote aveva celebrato un matrimonio presso la comunità di Santa Cruz, a Chilapa, era scomparso. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 321

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.